MANCIANI FERDINANDO
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831 e fu tra gli inquisiti di Stato.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 558.
MANCINI FRANCESCO ODOARDO
1641-Parma 4 marzo 1707
Dottore collegiato in teologia, fu Commissario ducale.Fu provinciale dei Francescani, segretario generale e priore a Parma.Morì in fama di santità, onorato dalla visita del vescovo e delle duchesse di Parma e Modena nella sua ultima malattia.Fu autore della Vita della Ven.Suor Margherita Cristalli, monaca di Sant’Uldarico. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria del Quartiere in Parma, con la seguente iscrizione: Patris magistri Francisci Odoardi Mancini doctoris collegiati in theologicis exprovincialis commissarii pro toto statu serenissimae celsitudinis Parmae ex a secretis generalis nec non prioris in conventu Sanctae Mariae Quartery viri doctrina eximii pietate celeberrimi mortem dum fleret universa civitas moestissimi pp tertii ordinis Sancti Francisci haud morituro civium dolori suas lachrymas cumulabant obiit anno domini mdccvii die veneris quarto nonas martii aetatis suae lxvi.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 293-294; Parma nell’Arte 2 1977, 14.
MANCINI GIAN GIUSEPPE
Pietrasanta 26 aprile 1881-Milano o Parma 1954
Nel 1902 si diplomò in disegno architettonico nell’Istituto di Belle Arti di Roma.Partecipò a vari concorsi d’architettura nazionali e internazionali (Palazzo della Pace dell’Aja), ottenendo premi e menzioni. Nel 1904 ottenne il pensionato artistico nazionale e premi in esposizioni a Parigi (1904), Milano (1906) e Roma (1911) e, tra altri, nel concorso per il monumento al fante sul San Michele.Dal 1912 insegnò nell’Istituto di Belle Arti di Parma.I suoi progetti architettonici degli anni Dieci, traendo spunto dalla lezione della Wagnerschule, si proiettano verso esiti di monumentalità fantastica di forte accentuazione scenografica.Dopo la prima guerra mondiale progettò e costruì per l’amico drammaturgo Sem Benelli la villa-castello di Zoagli, ove, attraverso l’esperienza delle sue prime composizioni esuberanti di fantasia ed eclettiche, l’arte del Manciniappare matura.Operò contemporaneamente in altri rami delle arti figurative e si ricordano le sue fantasiose scene per L’amore dei tre Re e per l’Excelsior alla Scala di Milano (1915).Nella scultura, è opera del Mancini la tomba monumentale per il maestro Campanini nel cimitero di Parma. Tra i suoi saggi nel campo dell’illustrazione del libro si ricordano La Festa del grano di F.Salvatori (1909) e Rosamunda di S.Benelli (1912), i cui disegni manifestano echi secessionisti.Nel 1930 fu chiamato a ricoprire la cattedra di composizione architettonica prima all’Accademia di Brera e poi nel Politecnico di Milano.
FONTI E BIBL.: A.Gantier, Le salon, in Architecture 22, 1904; M.Lago, G.Mancini, in La Tribuna 9 dicembre 1909; L.Lago, L’architettura di G.Mancini, Milano, 1909; Enciclopedia Italiana, Appendice I, 1938, 816; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 90; Dizionario degli Illustratori, 1990, II, 32 e 41.
MANCINI GIUSEPPE, vedi MANCINI GIAN GIUSEPPE
MANCINOTTI BENEDETTO
Parma 1799
Monaco cassinense e segretario durante il 1799 del Governo Provvisorio di Arezzo, fu estensore di molti proclami e della gazzetta Digitus Dei est hic.Religione, Lealtà, Costanza (Arezzo, 20 maggio-16 settembre 1799), foglio di propaganda dello stesso governo aretino.Il giornaletto, di cui alcuni numeri sono conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze e presso la Biblioteca Comunale di Arezzo, riportò i proclami del Governo, i testi delle capitolazioni delle diverse città toscane e molte notizie di cronaca. Il Mancinotti fu anche autore dell’opuscolo L’insurrezione aretina del 1799 (s.l. e s.d. ma Arezzo, 1799). Un certo numero di introduzioni apparse nella gazzetta furono ristampate in Raccolta di varie interessanti produzioni pubblicate in Arezzo all’epoca della celebre insurrezione dell’anno MDCCXCIX (Arezzo, per Caterina Loddi e figlio Bellotti, 1799).Nell’opuscolo sono contenuti anche tre sonetti in lode del Mancinotti.
FONTI E BIBL.: G.Turi, Viva Maria. La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze, 1969, con ampia bibliografia; Storia del Giornalismo, VIII, 1980, 572.
MANCOLO MICHELE, vedi MANZOLO MICHELE
MANDRIO ANGELO
Parma 1564
P.Zani menziona un’opera del Mandrio sotto il portico del mercato delle granaglie sopra la porta dov’è il magazzino o deposito de’ grani rimasti invenduti. Il 16 maggio 1564 il Mandrio venne incaricato di dipingere l’immagine dell’Adorazione dei Magi sulla torre del Comune (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ordinazioni Comunali, 1564, c. 75), per cui il 18 dicembre 1564 venne pagato 17 scudi d’oro (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ordinazioni, c.215 e Ragioneria, Ordini e mandati 1563-1566).
FONTI E BIBL.: P.Zani, vol XII, 1822, 280-281 e 286; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol.IV, c. 183; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 335.
MANDRIO BERNARDINO
-Parma 1569/1583
Sacerdote, fu cantore nella chiesa della Steccata in Parma dal 22 giugno 1565 al 16 marzo 1568.Dalla Steccata passò alla Cattedrale di Parma, ove fu eletto il 2agosto 1568, come consorziale.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel sec.XVI, 25; Benefit et Benefitiat.Elenchus, fol.362 (Archivio di Stato in Parma); N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 19.
MANDRIO CRISTOFORO
ante 1539-Parma 1570 c.
Sacerdote, fu cantore nella chiesa della Steccata in Parma (1539-1544).Dalla Steccata passò alla Cattedrale di Parma, come consorziale, il 6 agosto 1548.Fu sostituito, forse perché morto, il 26 marzo 1570.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel sec.XVI, 8; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 14.
MANDRIO GABRIELE
Parma 1570
Pittore attivo nell’anno 1570.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XII, 1822, 281.
MANELLI, vedi MANNELLI
MANEVOLI GIORGIO
Parma 7 maggio 1881-Parma 1955 c.
Figlio di Carlo e Maria Teresa Fernandez. Il padre era titolare di una drogheria situata a Parma all’angolo tra piazza Garibaldi e via Farini. Il Manevoli non seguì la professione del padre e nel 1911 si arruolò nella Croce Rossa Italiana (settore militare, equiparato al Corpo della Sanità militare dell’Esercito) e partì volontario nella guerra per l’occupazione della Libia. Assegnato a un ospedale da campo, si distinse per il comportamento esemplare, lo spirito patriottico e le capacità dimostrate nel servizio. Per tali meriti conseguì il grado di maresciallo e varie ricompense militari e altre proprie della Croce Rossa Italiana. Tornato in patria, partecipò in seguito alla prima guerra mondiale, sempre nei ranghi della Croce Rossa Italiana, conseguì il grado di maresciallo capo e fu decorato di varie onorificenze al merito. Alla fine della guerra entrò a far parte del personale del Genio Civile e poi dell’Ufficio idrografico in Parma. Partecipò, fino alla fine dei suoi giorni, all’attività benefica della Croce Rossa Italiana in Parma, della quale fu un autorevole rappresentante.
FONTI E BIBL.: G. Erluison, notizie manoscritte.
MANFREDI BIANCA
Parma 1916-Parma 8 luglio 1999
Figlia di Edmondo, ragioniere e cassiere degli Ospedali riuniti, e di Antonietta Laviosa, maestra elementare, forte temperamento religioso, di origini piacentine, con ascendenze illustri. Il nonno Giacomo Laviosa fu docente di Filosofia, mentre la nonna era del ceppo dei Rasori (lo scultore Alberico e il medico Giovanni). Il padre aveva avviato i cinque figli, quattro femmine e un maschio, all’insegnamento e alla medicina: Margherita maestra, Franco medico, Elsa maestra e poi insegnante di lettere e filosofia, Guglielmo insegnante di storia, arte e lettere. La Manfredi fu prima maestra e poi si laureò in matematica all’Università di Bologna nel 1941 con una tesi sulla Risoluzione di alcune equazioni e derivate parziali totalmente lineari, che discusse con il professor Antonio Mambriani e che le aprì le porte dell’Ateneo di Parma alla Facoltà di scienze come ordinario di meccanica razionale, assistente del professor Sestini. Dotata di una preparazione scientifica singolare, testimoniata da trentacinque pubblicazioni, per quasi un quarto di secolo, fu l’animatrice della Rivista di Matematica. Fu insegnante di padre Spagnolo, fondatore con madre Bottego delle Missionarie di Maria, e di questa Congregazione seguì la nascita e gli esordi. La sua salma fu tumulata nella zona del cimitero della Villetta riservata ai benemeriti dell’Università di Parma. L’elogio funebre fu tenuto dal professor Gian Battista Rizza.
FONTI E BIBL.: C. Drapkind, in Gazzetta di Parma 10 luglio 1999, 8.
MANFREDI ERCOLE
Parma 23 gennaio 1874-Parma 8 dicembre 1966
Dell’Oltretorrente di Parma visse tutte le vicissitudini, dai grandi scioperi alle barricare, animato da una vena patriottica che lo spinse a partecipare ai momenti più significativi della vita italiana.Di animo generosissimo, fu anche poeta.Delle sue poesie, qualche cosa è rimasto, anche se una raccolta completa delle stesse non c’è.Vennero pubblicate in fogli volanti, che il Manfredi distribuiva a qualche mendicante della Ghiaia che le leggeva ad alta voce in piazza della Steccata per cederle per pochi centesimi.Tra le non poche composizioni del Manfredi, Bocchialini ricorda (Dialetto vivo) una gustosa satira di sapore strettamente parmigiano scritta per l’abbattimento del bettoliano colonnato della Ghiaia.
FONTI E BIBL.: J.Bocchialini, Dialetto vivo, 1944, 109; Al Pont ad Mez 2 1991, 41.
MANFREDI FRANCESCO
Solignano-Bodrez 15 maggio 1917
Caporale Maggiore del Reggimento Alpini, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Alla testa della sua squadra, si slanciava arditamente contro l’appostamento di una mitragliatrice, per imposessarsene, finché cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale, Dispensa 26a, 1918; Decorati al valore, 1964, 119.
MANFREDI LODOVICO
Guastalla XVI secolo-Parma post 1638
Frate minore, si dedicò esclusivamente alla musica sacra.Fu autore delle seguenti composizioni (pubblicate a Venezia): Il 1° libro di Concerti ecclesiastici a 2, 3, 4, 6 v., con una Messa a 5 concertata con il Basso cont. per sonar nell’org.(1620), Dulcisona cantica ad Dei et suae immaculatae genitricis honorem unica v. concinenda suauissimis modulis op.2 (1633), Concerti ecclesiastici a 1, 2, 3, 4 et 5 v. di F.L.M.Minore Osservante Libro 2° op.3 (1638) e un mottetto (rimasto manoscritto).
FONTI E BIBL.: Dizionario Musicisti, UTET, 1986, IV, 608.
MANFREDI LUDOVICO, vedi MANFREDI LODOVICO
MANFREDI MANFREDO
Parma-897/898
Forse capostipite della grande famiglia comitale di Parma, è nominato in una carta del 3 settembre 873 come figlio di un Viligone.Seguì, dopo la caduta di Guidone, il re Arnolfo, dal quale (secondo Ermanno Contratto) ebbe la dignità del governo di Lombardia oltre il Po.I cronisti narrano che, fedele al re Arnolfo, dal quale era stato favorito, allorché la Dieta di Pavia invitò l’imperatore Lamberto a venire in Italia, questi trovò nel Manfredi un acerrimo oppositore, che non lo volle riconoscere e lo obbligò a sostenere un assedio di sei mesi per impadronirsi di Milano.L’Imperatore si vendicò col farlo decapitare e facendo abbacinare un suo figlio e il genero, mentre un altro figlio si salvò solo perché bambino.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Storia della città di Parma, Parma, 1792-1795; P.Bonoli, Istorie della città di Forlì, Forlì, 1661; C. Dionisotti, Le famiglie celebri medioevali, Torino, 1887; S.Marchesi, Supplementoistorico dell’antica città di Forlì, Forlì, 1678; S.Pivano, Le famiglie comitali di Parma dal secoloIX all’XI, in Archivio Storico per le Province Parmensi XXII bis 1922; C.Argegni, Condottieri, 1937, 192.
MANFREDI ORESTILLA
Zibello luglio 1825-
Mezzosoprano.Dacci scrive della Manfredi: Ricoverata nell’Ospizio delle Mendicanti, studiò canto nella Scuola di musica nel 1836. Percorse una discreta carriera.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MANFREDINI ANTONIO
-Parma 12 marzo 1914
Maggiore, fece le campagne risorgimentali del 1860, 1861, 1866 e 1870.
FONTI E BIBL.: Il Presente 13 marzo 1914, n. 70; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 412.
MANFREDINI MARIO
Parma 29 ottobre 1870-Monte Roite 12 ottobre 1916
Figlio di Antonio e Adele Piastra, maggiore del 71° Reggimento Fanteria, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Dopo un furioso attacco nemico, ricevuto sulla linea di fuoco l’ordine di contrattaccare, con giovanile entusiasmo messosi alla testa delle proprie truppe, occupava le posizioni avversarie.Nel combattimento del giorno successivo, ferito a morte cadeva gloriosamente sul campo.Fu sepolto a Malgafieno.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 149; Decorati al valore, 1964, 91.
MANFREDO
Parma 936
Fu Conte di Parma nell’anno 936.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 561.
MANGANELLI EMILIO
Noceto 1 aprile 1888-7 dicembre 1915
Figlio di Erminio e Delcisa Politi.Fu soldato nel 111° Reggimento Fanteria.Morì in seguito a ferite riportate in eroico combattimento.
FONTI E BIBL.: Caduti di Noceto, 1924, 36.
MANGANELLI PIETRO
Zibello 1831
Fu arrestato durante i moti del 1831.Processato l’11 giugno dello stesso anno, fu rilasciato per mancanza di prove, ma fu sottoposto ad alcuni precetti.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 184.
MANGHI AMADEO, vedi MANGHI AMEDEO
MANGHI AMEDEO
Parma 24 marzo 1784-post 1831
Fratello di Luigi. Fu volontario al servizio del Regno d’Italia il 1° febbraio 1804.Divenne Aiutante Sottufficiale il 1°luglio 1813.Passò al servizio di Parma il 5ottobre 1814 e venne promosso Alfiere del Reggimento Maria Luigia il 1° gennaio 1817.Nel 1831, quando era già tenente pensionato, fu tra i più attivi partecipanti ai moti avvenuti in Parma: costui fu uno di quelli che mostraronsi più caldi nella rivolta ed i di lui rapporti colle persone che più marcatamente la promossero danno fondata opinione che abbia fatto parte di cospiratori. È opinione generale che nella di costui casa e coll’opera delle di lui sorelle pensionate da S. M. si fabbricassero coccarde nei giorni 11 e 12 febbraio.Fu colpito da mandato d’arresto.Figurò nell’elenco degli inquisiti.
FONTI E BIBL.: A.Del Prato, L’anno 1831, 1919, XXI; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 188.
MANGHI ENRICO
Vigheffio 1890-New York 1941
Studiò canto (baritono) nel Conservatorio musicale di Parma. Al termine degli studi in Italia fu ingaggiato dalla Opera Company di New York, creata da Oscar Hammerstein, compagnia che in quell’epoca (1912) godeva fama di essere la migliore degli Stati Uniti. Il Manghi cantò all’Accademia di Musica (denominazione specifica dell’Opera House) prendendo parte a repertori italiani, francesi e tedeschi. Numerosi furono i ruoli di rilevante interesse da lui rivestiti: basti citare quello di Wolfram von Eschenbach nel Tannhauser wagneriano. Sebbene la Hammerstein Company fosse da più parti giudicata superiore alla stessa Metropolitan Opera, fu per lei giocoforza soccombere a quest’ultima. In tale nuova situazione, il Manghi passò ad altre imprese teatrali, come la San Carlo Opera e la Fortunato Gallo Opera, venendo, infine, richiesto dalla Metropolitan Opera. Durante gli anni Venti collaborò con Arthur Lorie della Ravinia Opera, per portare la Metropolitan in tournée nei centri del vastissimo Midwest americano. Detti incontri musicali su vasta scala si rinnovarono puntualmente nelle stagioni estive dell’intero periodo compreso fino alla grande crisi del 1929. Legato alla propria terra d’origine, il Manghi seppe esaltarne lo spirito e le tradizioni. Nel corso degli anni Trenta partecipò ai diffusissimi programmi radiofonici detti di Brioschi. Scelse di eseguire una selezione di canzoni popolari dell’Emilia, comprendente anche la cantata dal titolo Gli scarriolanti. Insieme a lui si produssero, nel medesimo programma, altri valenti cantanti parmigiani residenti negli Stati Uniti, come Orazio Alfieri. L’attività artistica del Manghi, corista e comprimario presso la Metropolitan Opera di New York, si protrasse fino alla morte. Il Manghi viene anche ricordato per il soccorso prestato a Enrico Caruso nel corso di uno spettacolo. Caruso aveva raggiunto da qualche anno un successo mondiale, quando, nel 1920, sul palcoscenico della Metropolitan Opera Company di New York, venne colto da improvvisa emorragia. Fu questa la prima avvisaglia del male che non soltanto troncò la sua mirabile carriera artistica, ma meno di un anno dopo ne provocò la prematura scomparsa. Il primo ad assistere Caruso fu il Manghi, il quale tentò di frenare l’impressionante emorragia servendosi della sciarpa da contadino del proprio costume, nel mentre il resto del cast e gli spettatori restavano pietrificati. Come detto, dopo essere stato operato per sette volte ai polmoni, Caruso morì a soli 48 anni.
FONTI E BIBL.: P.Tomasi, in Gazzetta di Parma 1 novembre 1999, 27.
MANGHI FRANCESCO
Campegine 6 aprile 1818-Parma 6 luglio 1881
Figlio di Lorenzo e di Gultrude Giovanardi.Possidente e commerciante di vino in borgo San Giovanni 13 a Parma, si dedicò alla fotografia all’inizio degli anni Sessanta rilevando lo studio di Giovanni Clemente Rusca in strada San Michele 198, nel momento in cui questi si trasferì a Piacenza. Vedovo di Emilia Borra, nel 1866 non risulta più fotografo (Matricola della Camera di commercio di Parma).
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 131.
MANGHI GIOVANNI Parma 1750/1771 Fu negoziante in Parma e conduttore di un opificio di drappi rasi (1750-1771).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 561.
MANGHI LUIGI
Parma 1785 c.-post 1831
Fratello di Amedeo. Esattore delle contribuzioni dirette del Comune di Parma, nel 1821 e 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari. Prese parte attiva anche ai moti del 1831: aveva relazioni e rapporti strettissimi con Berghini, Bergamini e Cordero compromessi nella rivolta. Giunto era costui recentemente da Parigi e godeva già opinione d’appartenere nell’anno 1821 alla setta dei Carbonari. Nella sera del 13 febbraio alcune persone armate si trovavano nella di lui casa già predisposte e le di lui sorelle favorite da S.M. fabbricavano coccarde prima della rivolta. Figurò nell’elenco degli inquisiti.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 189-190.
MANGHI LUIGI
-Parma novembre/dicembre 1858
Già organista onorario della chiesa della Steccata di Parma, fin dal 1843, venne eletto il 23 ottobre 1848 in sostituzione di Michele Savi, defunto. La capacità del Manghi venne attestata da Giovanni Zurlini, valente organista della chiesa di San Giuseppe di Parma, con lettera del 27 aprile 1843. Morì alla fine dell’anno 1858, come si deduce dall’avere l’Amministrazione nominato provvisoriamente Pietro Morinari, organista, il 13 gennaio 1859.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, Capsula 36, Organisti e maestri di cappella, Mandati 1816, Giornale di riscossione e pagamento 1826-1832; Archivio della Fabbriceria del Duomo, Mandati dal 1808 al 1831; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 247.
MANGI GIUSEPPE
Soragna 29 settembre 1648-Fontevivo 6 aprile 1723
Entrato nel convento dei Cappuccini di Cesena (18 settembre 1665), venne ordinato sacerdote il 18 settembre 1666, incominciando poi a occupare cariche e titoli che lo portarono ai vertici dell’Ordine stesso e tale da essere considerato splendore del secol suo.Fu infatti annalista (1683), lettore di filosofia a Piacenza e a Parma, guardiano (a Parma e a Piacenza), fabbriciere, custode generale (1711), Ministro Provinciale della Lombardia nel 1700, 1702 e 1706, Definitore (1693, 1697 e 1705), Consultore Generale nel 1709 e infine Definitore Generale in Roma nel 1712. Ebbe fama di grande oratore, dotato d’ingegno non comune: chiamato a predicare e a risolvere situazioni anche difficili, ne ebbe sempre elogi e lusinghieri apprezzamenti dimostrando più volte tratti di generosa e sensibile umanità.Nel 1692 predicò la quaresima a Novellara con particolare soddisfazione di quel Conte, che avrebbe voluto dare alle stampe molte prediche del Mangi, ma egli non acconsentì, se non per il panegirico di San Francesco di Paola. Confidente del duca di Parma Ranuccio Farnese, ebbe da questo incarichi di particolari missioni e altre ne svolse con successo su mandato dei suoi Superiori.Uomo di studio al quale tutti i rami dello scibile furono familiari, profondo conoscitore delle lingue antiche e particolarmente versato in quella ebraica, lasciò saggi della propria erudizione, oltre che nei diversi discorsi (elegantissimi secondo lo stile del tempo e stampati nelle varie città ove furono recitati), in alcune opere biografiche che bene evidenziano una preparazione culturale ragguardevole: Breve ragguaglio della nascita, vita e morte del P.Bonaventura da Modona capuccino (Parma, Eredi Rosati, 1693), La voce di Dio.Discorso sagro in lode di San Francesco di Paola (Guastalla e Parma, A.Pazzoni e P.Monti, 1693), Memorie del venerabile servo di Dio P.Francesco da Bagnone cappuccino, descritte ed esposte alla imitazione de’ posteri (Parma, Eredi Rosati, 1703).Morì nel convento di Fontevivo.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 933; G.M.Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 472; F.da Mareto, Bibliografia cappuccini, 1951, 266; F.da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 221; B.Colombi, Soragna.Feudo e Comune, 1986, II, 290.
MANGI MICHELANGELO Soragna 1580-Firenze 20 luglio 1623
Il 18 maggio 1603 entrò nei Cappuccini e fece la professione religiosa il 21 maggio 1604. Per la sua eloquenza ebbe fama di predicatore assai considerato e da più parti richiesto.Nell’Ordine ricoprì le cariche di Guardiano, Maestro di novizi e Definitore.Fu uomo di grande fede e non comuni virtù claustrali; per i suoi meriti gli venne anche fatto un ritratto, un tempo nel convento di Piacenza e poi disperso, con l’iscrizione: Pater Michaelangelus a Soranea Cappuccinus concionator insignis, sanctimoniae vir.Obiit Florentiae anno Domini 1623 die vigesima Julii.A lui si attribuì, dopo la morte avvenuta a Firenze, una miracolosa guarigione che ebbe come protagonista il priore della chiesa di Carzeto.
FONTI E BIBL.: Olgiati, Ann., III/II, 206-213; Mussini, Memorie storiche, I, 127; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 422; B.Colombi, Soragna.Feudo e Comune, 1986, II, 295.
MANGIATERRA, vedi CAMINATA GIACOMO
MANGIAVACCA MARTINO
Busseto XV secolo
Fu dottore in ambo le leggi.
FONTI E BIBL.: Pico, Appendice, 1642, 33.
MANGOT FILIPPO
-Parma 17 febbraio 1800
Educato al Collegio Lalatta di Parma a spese del duca, fu impiegato di Corte come maestro di musica e dal 1778 ricevette una rendita di 1644 lire fino alla morte. Il 13 luglio 1800 venne accordata una pensione annua di 1200 lire alla vedova Teresa, pensione che il 17 marzo 1802 continuò a essere elargita a favore della sorella Filippa e della figlia Anna, nubili (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti).
FONTI E BIBL.: H.Bédarida; G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
MANGOT GIACOMO SIMONE, vedi MANGOT JACQUES-SIMON
MANGOT JACQUES-SIMON
Lione primi decenni del XVIII secolo-Parma 6 marzo 1791
Figlio di un musicista.Come oboista fu alla Corte di Versailles (de la Grande Ecurie) e poi direttore di teatro in parecchie città della Francia meridionale.Dal 1749 al 1756 esercitò nella città natale tutte le forme della sua arte: fu direttore e capo d’orchestra dell’Accademia di Belle Arti, alla morte di Grenet, e compose dei mottetti a grande orchestra.Sposò Madeleine Castand che lo rese padre di tre figli prima di venire a Parma nel 1756.L’anno dopo Filippo di Borbone, con suo decreto, lo nominò direttore del Concerto ducale di camera di Parma con l’obbligo di fare ciò che gli sarà ordinato per la musica del teatro e la ispezione del medesimo.Il trattamento che gli fu accordato, decorrente dal 1° maggio 1756, fu di 16 mila lire parmigiane, ridotte (a causa delle non più dilazionabili economie di Corte) dal 1° aprile 1766 a 6 mila lire di soldo e 4mila di pensione.Con decreto sovrano del 28 dicembre 1755 furono levate dal suo assegno annuo 3 mila lire, come pensione a favore di sua figlia Agata.Ebbe anche un figlio, Filippo, che fu educato nel collegio Lalatta. Nella seconda metà del Settecento dominava la scena musicale europea Jean Philibert Rameau e la Corte di Parma si tenne assiduamente al corrente della produzione francese e specialmente di quella del grande compositore.Ciò si dovette al Mangot, attraverso la sorella (moglie del Rameau), che a partire dal 1761 inviò al Mangot copia delle musiche del celebre compositore suo marito.Il Mangot fece così conoscere a Parma le opere del grande musicista francese e di altri ancora, come sta a indicare la corrispondenza tra lui e il Martini e come appare chiaramente dal bel manoscritto di 144 fogli che si conserva alla Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna, che contiene monologhi, ariette piccole, arie graziose, canti, duetti caratteristici e canti con cori che il Mangot fece copiare dalle opere di Rameau, Francoeur, Rebel de Mondouville e Destouches.Il Mangot compose vari mottetti con grande orchestra e musica strumentale e di teatro.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Ruolo, A, 1, fol.129; F.Vatielli, Lettere di Musicisti, Pesaro 1917, estratto dalla Cronaca Musicale agosto-dicembre 1916 e gennaio-aprile 1917; L. Vallas, Jacques Simon Mangot, in Revue de Musicologie agosto 1924, 123-126; H. Bédarida, Parme et la France, de 1748 a 1789, Paris, 1928, 488 e seguenti; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 201; N.Pelicelli, Musicisti in Parma nel secolo XVIII, in Note d’Archivio 1934; Dizionario Musicisti, Utet, 1986, IV, 611-612.
MANICARDI ARMANDO
Parma 1900/1918
Fu un pioniere dell’aviazione parmigiana.Fu decorato di medaglia d’argento al valore militare.
FONTI E BIBL.: M.Cobianchi, Pionieri dell’aviazione, 1943.
MANICARDI MARIO
Parma 1911-1937
Figlio di Turrino e di Alberta Tassi. Capomanipolo della 751a Bandera Temeraria, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di plotone, alla testa di pochi uomini, incurante della superiorità numerica dell’avversario, e di numerosi carri armati russi, si lanciava all’assalto di munitissima posizione, conquistandola e volgendo in fuga i numerosi difensori(Monte Mesuce, 20 agosto 1937).
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.
MANICARDI VINCENZO
Rubiera 14 febbraio 1825-Reggio Emilia 20ottobre 1901
Entrò giovanissimo nel Seminario arcivescovile di Modena, dove fu preposto, ancora prima della sacra ordinazione, all’insegnamento di logica e metafisica. Consacrato sacerdote sulla fine del 1847, venne nominato nell’autunno dell’anno successivo rettore del Seminario di Finale Emilia e contemporaneamente professore di filosofia.Si prodigò per dieci anni nell’educazione e formazione dei futuri sacerdoti contribuendo ad accrescere il prestigio dell’istituto, che, per suo impulso, divenne uno dei centri più attivi di cultura della provincia.Creato nel 1858 prevosto di Sant’Adriano in Spilamberto, governò per oltre vent’anni quell’importante parrocchia, curando tra l’altro a proprie spese l’erezione di una decorosa canonica contigua alla chiesa.Il 19 settembre 1879 la Santa Sede lo elevò alla dignità episcopale destinandolo a reggere la cattedra di Borgo San Donnino, rimasta vacante per la promozione di Gaetano Camillo Guindani alla sede vescovile di Bergamo.Prese possesso della Diocesi il 1°febbraio 1880, iniziando un’azione pastorale complessa e multiforme.Il ministero del Manicardi, quale traspare dalle numerose notificazioni e dalle lettere pastorali, fu teso a dare incremento alla vita cristiana, ammonendo i fedeli sui pericoli derivanti dall’inosservanza dei precetti evangelici e denunciando apertamente gli intrighi dei nemici di Cristo.Lo stesso giorno della sua consacrazione, inviando da Roma una lettera di saluto alla Diocesi, raccomandò ai suoi figli spirituali di custodire il tesoro prezioso della fede, ponendoli in guardia contro le insidie del tempo.Questi concetti ribadì nella successiva pastorale, nella quale, trattando il tema dell’ubbidienza, si soffermò sulla figura del Pontefice.Agli inizi del 1881 iniziò la sacra visita pastorale, condotta tra non poche difficoltà per l’ostilità e l’ostruzionismo palesato dagli elementi anticlericali durante la permanenza del Manicardi nelle varie parrocchie.Il Manicardi promosse pellegrinaggi ai santuari mariani e alla tomba di San Donnino, missioni e predicazioni in tutta la Diocesi, caldeggiò l’opera della Dottrina Cristiana e dette impulso all’opera dei Congressi Cattolici.Il movimento cattolico diocesano ebbe inizio e incitamento da lui: già in una lettera dell’11 maggio 1881 invitò il clero a promuovere la costituzione di Circoli, di Comitati e di Società per raccogliere sotto la bandiera della Chiesa buoni laici i quali si interessassero alla causa del clero, ne sostenessero l’influenza, lo aiutassero a mantenere il culto nel dovuto decoro ed infine propagassero le devozioni, favorissero l’educazione cristiana dei fanciuli e coltivassero le vocazioni ecclesiastiche.Per il Seminario ebbe cure assidue, ben consapevole della necessità di procurare un maggior numero di sacerdoti, e sollecitò i parroci a procurare chierici, provvedendo, il 15 luglio 1882, a emanare un regolamento per l’accettazione dei giovani.Nei giorni 5, 6 e 7 giugno 1883 celebrò il sinodo, considerato un monumento di sapienza sia per la sicura dottrina teologica e morale che per le prescrizioni disciplinari in esso contenute.Mancando la Diocesi di istituti cattolici per l’istruzione e l’assistenza, provvide che si portassero a Borgo San Donnino le suore di Sant’Anna nell’Ospedale civile e le Dame Orsoline nel Collegio dell’Angelo. Procurò inoltre l’oratorio festivo, la Congregazione delle Figlie di Maria e l’Educandato per le giovani di condizione civile.Sostenne infine la stampa contribuendo efficacemente alla diffusione de Il Movimento Cattolico.Il Manicardi condannò apertamente il liberalismo, i fautori del divorzio e il nascente socialismo.Fu uno scrupoloso amministratore del sacro patrimonio, cui le leggi eversive degli anni 1866-1867 avevano inferto un durissimo colpo.Nel 1884 istituì la commissione diocesana sui beni ecclesiastici e gli oneri pii, pubblicandone il 18 febbraio di quell’anno il relativo statuto per una retta amministrazione dei primi e per l’esatto adempimento dei secondi.Della scrupolosa osservanza di tali disposizioni volle sincerarsi personalmente nel corso della seconda visita pastorale, che iniziò nell’ottobre successivo.La Santa Sede ne riconobbe i meriti promuovendolo, nel concistoro del 7 giugno 1886, alla sede episcopale di Reggio Emilia.La Diocesi vide in quegli anni le prime organizzazioni cattoliche, preparate dalla oscura fatica di G.Turrini, e i primi comitati parrocchiali presieduti da G.Scapinelli, attraversare una fase di stanca, proprio quando il movimento socialista prampoliniano, superata la stagione anarcoide de Lo Scamiciato, si avviava a darsi nuovi programmi e una strategia.Nella nuova sede il Manicardi diede maggiore alacrità alle opere cattoliche con solenni e plenarie adunanze dei vari comitati, fondò l’Associazione di Maria Ausiliatrice per il soccorso dei chierici poveri e per sollevare i seminari ridotti allo stremo, istituì una scuola di religione per gli studenti nel Palazzo vescovile, visitò inoltre la Diocesi ed emanò decreti per la disciplina del clero e del popolo.Fu merito del Manicardi aver preparato le condizioni per un rilancio diocesano dell’Organizzazione Cattolica e per una lettura e per una traduzione nei fatti della Rerum Novarum.Già col sinodo del 1894 egli colmò un vuoto che durava da due secoli, sostenne poi una stampa diocesana affetta da cronica debolezza e aiutò le prime opere economico-sociali a superare la fase del velleitarismo.Il congresso diocesano del 1897 e la lettera pastorale Clero e DC del 1901 bastano a testimoniare il respiro della sua linea pastorale. Fu l’anima delle feste solenni che la città e l’intera Diocesi celebrarono in onore della Madonna della Ghiara negli anni 1890 e 1896, che culminarono con l’incoronazione della Vergine taumaturga nella ricorrenza del terzo centenario del primo miracolo. Poco prima della morte approvò, il 9 gennaio 1901, le costituzioni del Capitolo della Cattedrale, da lui rivedute e rinnovate.La sua salma fu inumata nella Cattedrale di Reggio Emilia in un sepolcro sul quale venne in seguito murato un medaglione ricordo in marmo.
FONTI E BIBL.: Rigorose note biografiche sono contenute in G.Saccani, I vescovi di Reggio Emilia - Cronotassi, Reggio Emilia, 1902, 158-161; per una ricostruzione delle vicende politico-religiose entro le quali si colloca l’episcopato del Manicardi, cfr. S. Chiesi, Ultimo ’800 a Reggio Emilia, Reggio Emilia 1971, 77-206, passim; il materiale documentaristico conservato presso l’Archivio della Curia vescovile è citato nell’opera di S.Spreafico, Dalla Polis religiosa alla Ecclesia cristiana.La Chiesa di Reggio Emilia tra antichi e nuovi regimi, II, Il contro-Stato socialcattolico, Cappelli, Bologna, 1982; S.Spreafico, in Dizionario storico del Movimento cattolico, III/2, 1984, 499; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 241-244.
MANINI ANTONIO
Parma seconda metà del XVII secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XII, 1822, 295; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 173.
MANINI BRUNO
Parma 1927-Parma 27 gennaio 1995
Frequentò l’Istituto d’arte Toschi di Parma e poi studiò scultura con Dossena, che gli insegnò l’arte delle imitazioni bizantine ed etrusche.Cominciò a dipingere nel dopoguerra, specializzandosi nel bianco e nero, e si impiegò come grafico presso la ditta Zafferri.Numerose furono le sue partecipazioni a mostre (con l’Associazione artisti parmensi) e concorsi, tra cui il Premio Suzzara, la Biennale del fanciullo a Parma, e altri ancora a Bari, Campobasso, Sant’Ilario, Gonzaga, Castelnovo ne’ Monti, Correggio e Modena, ottenendo spesso vittorie e riconoscimenti sulla base di una pittura fresca e immediata, caratterizzata da un colore personale, giocato spesso sulle gradazioni del viola. Scoprì la luce nel bianco e nero, una luce così modulata e costruttiva da creare l’idea del colore anche dove di colore non vi era neppure l’ombra. Sono tagli improvvisi, paesaggi illuminati da lampi, figure-vegetazione segmentate dalla costruzione sempre tesa del disegno-colore.Soggetti semplici, essenziali, scomposti mentalmente e ricostruiti in ritmi, dopo essere stati spogliati di ogni caratteristica dispersiva.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Gazzetta di Parma 28 gennaio 1995, 9.
MANINI GIULIO, vedi MANINI GIUSEPPE
MANINI GIUSEPPE
Carobbio 1866-1918
Fu poeta dialettale, autore di rime trovadoriche di saggezza, con qualche analogia col Galaverna per la maniera satirica semplice e didascalica.
FONTI E BIBL.: J.Bocchialini, Dialetto vivo, 1944, 119; F.da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 327.
MANINI LUIGI
Palanzano 10 maggio 1812 - Parma 24 febbraio 1872
Figlio di Giuseppe.Ricco proprietario, fu violinista per diletto.Conobbe la musica ma ignorò l’armonia e il contrappunto (Alcari). Rimangono del Manini, raccolte dal Basetti, parecchie monferrine e furlane: tutte denotano un certo gusto.Caratteristica è la Marcia funebre scritta in morte del duca Carlo di Borbone, che venne suonata dal Manini adoperando una chiave per sordina e accompagnata da alcune parole.
FONTI E BIBL.: A.Micheli, Valli Cavalieri, 1915, 300; C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 122.
MANINI MATTEO
Parma 1794
Si ritirò nel 1794 dalle guardie ducali di Parma col grado di tenente.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
MANINI ODOARDO
San Secondo Parmense 1878-Parma 1929
Fu uno dei primi missionari saveriani in Cina (1899) al seguito di Francesco Fogolla.Dopo qualche tempo rientrò in patria e passò al servizio della Diocesi.Quella prima missione saveriana fu certamente un fallimento e si concluse in pochi anni con la morte, per stenti e patimenti, del padre Caio Rastelli di Fontanellato e il rientro in Italia (1902), dopo molte fortunose vicende, del Manini.Il Manini tornò estremamente provato e cambiato nel carattere.Abbandonò quasi subito la Pia Società per farsi prete secolare.Andò poi a convivere, in un’altra città, more uxorio, con una sua cugina.Il volume del saveriano Augusto Luca, Nella Cina dei Boxers. La prima Missione Saveriana (Editrice Emi, Bologna, 1994) riprende in considerazione quei gravi avvenimenti di inizio secolo dandone una versione oggettiva e purgata da ogni alone di leggenda e di mito. Si rivaluta inoltre la figura del Manini, che per la sua vicenda sentimentale era stato volutamente dimenticato cercando perfino di cancellarne le tracce.Eppure il Manini si coprì di molti meriti.Si documentò sulla rivoluzione dei Boxers e sulla persecuzione dei cristiani, pubblicando anche un libro, Episodi della rivoluzione cinese del 1900 (Tipografia Rossi-Ubaldi, Parma, 1901; per questo lavoro gli si fece l’appunto di essere stato pressapochista e di aver lasciato lavorare la fantasia, tanto più che l’inesattezza dei nomi di persone e di luoghi rende impossibile una ricostruzione esatta degli avvenimenti).Inoltre il Manini fu di fatto il fondatore del Museo Cinese di Parma.Nonostante il trambusto e il terrore degli anni del suo soggiorno cinese, riuscì a raccogliere e a imballare molte casse di capolavori antichi che, ritornando, portò al suo Istituto.Nel pericolo, si propose come stratega e difese con ogni mezzo (anche con le armi) le Missioni e il popolo cristiano.Dopo che l’intervento degli Europei ebbe ragione dei Boxers, fu il Manini a trattare con le autorità governative per ottenere la liquidazione dei danni.Ebbe inoltre il pietoso incarico della raccolta e della ricomposizione delle ossa dei morti ai quali si fecero poi solenni esequie: un lavoro lungo e ingrato, al quale gli indigeni non vollero mai collaborare.Il Luca non manca di segnalare come il Manini si fosse dato anche all’arte medica e forse perfino con troppo entusiasmo perché per essa trascurò in parte la vita di comunità, le pratiche del culto e lo studio della lingua cinese.Anche monsignor Conforti, dopo il rientro del Manini, dovette notare la frenesia con cui portava avanti la sua attività, a scapito del raccoglimento e della preghiera, e lo invitò, come testimonia il Luca, a un buon corso di esercizi spirituali presso i gesuiti di Mantova.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 327; Gazzetta di Parma 14 novembre 1994, 5.
MANLIO ASTERIO
Parma 9 gennaio 1548-Casalmaggiore 1630 c.
Nacque (ultimogenito, gemello della sorella Sedimia Alessandra) dal celebre poeta e grammatico Niccolò e da Caterina.Fu battezzato l’11 gennaio ed ebbe come padrino il famoso stampatore Seth Viotti.Educato dal padre alle buone lettere, si pose, ancora giovanetto al servizio della famiglia Torelli.Fu in Francia con monsignor Francesco Torelli, abate di Lesat, presso il quale stette cinque anni, come egli stesso narra nella Dedicatoria premessa alla sua Esposizione su la Orazione di Tullio Pro Archia.In seguito il Manlio fu al servizio di Pomponio Torelli, conte di Montechiarugolo e fratello di Francesco.Il 25 giugno 1571, in Torchiara, fece da sottonotaio al fratello Ottavio quando questi rogò il testamento di Sforza da Santafiora.Fu eccellente umanista in Parma e tenne scuola pubblica come il padre.Poi fu chiamato a insegnare a Casalmaggiore, terra a quei dì assai nobile ed ora città, ove ebbe numerosissimi alunni.In quel tempo fu invitato a Roma a recitarvi varie orazioni, dato che egli fu anche un rinomato oratore.In Parma pronunziò (1593) una orazione funebre in morte del duca Alessandro Farnese e nel 1602 tenne un discorso sulla restaurazione della pubblica Università. Anche altre volte parlò in pubblico e sempre con universale applauso.La sua opera principale è il Commento alle Satire di Persio Flacco (Parma, 1621).Fu assai stimato da Costantino Bellotti, da cui fu detto Asterius Manlius Oratorum nostri seculi nemini secundus, ut ejus jam editae Orationes testantur.Fu suo grande amico Giacopo Vezzano da Reggio, tra le cui Epistole latine ve ne sono quattro encomiastiche dirette al Manlio.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 325; Aurea Parma 2 febbraio 1958, 110.
MANLIO NICCOLO'
Parma ante 1490-post 1548
Ebbe fama di essere il più eccellente grammatico e umanista dei suoi tempi.Già nel 1510 era noto come poeta.Nel 1533 un suo breve endecasillabo fu aggiunto all’orazione De laudibus Parmae del Donato. Poco dopo prese in moglie Caterina, dalla quale, tra il 1537 e il 1548, ebbe diversi figli.Fu pubblico professore di Belle Lettere nello Studio di Parma, con titolo di Maestro.Celebrò con epigrammi latini diversi personaggi insigni del suo tempo (tra gli altri, il Parmigianino, Bertrando Rossi e Bernardino Donato).Nella Bibass="MsoNormal">
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 48; Aurea Parma 2-3 1957, 107, e 1 1959, 14-15.
MANLIO NICOLO'
Parma 1625/1630
Fu Sopraintendente alle carceri della Rocchetta di Parma all’epoca della peste del 1630.Nell’Archivio di Stato di Parma è conservata una lettera di Ottavio Farnese, detenuto nella Rocchetta, che si raccomanda al Manlio.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 523.
MANLIO NICOLÒ, vedi anche MANLIO NICCOLÒ
MANNELLI COSTANTINO
Tivoli o Roma 1627 c.-Parma post 1691
Figlio di Francesco e di Maddalena.Fu, assieme al padre, sopranista e poi suonatore di violone nella chiesa della Steccata a Parma dal 28 aprile 1645 al novembre 1691. Come contralto figura tra i musici della Cattedrale di Parma fin dalla Pasqua del 1646 e spesse volte in altre funzioni straordinarie.Si esibì, forse per la prima volta, nella parte di Amore, accanto alla madre, nella Delia di Francesco Mannelli, a Bologna, nel 1640.
FONTI E BIBL.: G.Radiciotti, L’arte musicale in Tivoli, nei secoli XVI, XVII e XVIII, Tivoli, 1921; R.Haas, Die Music des Barocks, Potsdam, 1932; N.Pelicelli, Musicisti in Parma nel secoloXVII, in Noted’Archivio 1932-1933, 98; S.T. Worsthorne, Venetin Opera in the Seventeenth Century, Oxford, 1954; L.Montalto, Un mecenate in Roma barocca, Firenze, 1955; A.Liess, Materialien zur römischen Musikgeschichte, in AMI, 1957; K.Wessely-Kropik, Beiträge zur Lebensgeschichte von Costantino Mannelli, in StMw, 1960; P.Kast, Biographische Notizen zu Römischen Musikern des 17. Jahrhunderts, in Analecta Musicologica 1963; P.L. Petrobelli, Francesco Mannelli Documenti e osservazioni, in Chigiana 1967; E.Ferrari Barassi, La Luciata di Francesco Mannelli, in Quadrivium 1970; A. Iesuè, in Dizionario musicisti, UTET, 1996, IV, 617.
MANNELLI MADDALENA
Roma 1606 c.-Parma 11 ottobre 1680
Sposatasi con Francesco Mannelli a Roma nel 1626, fu celebre cantante e interpretò le opere del marito (tra cui L’Andromeda nel primo spettacolo a pagamento al teatro San Cassiano di Venezia, 1637) e curò la pubblicazione delle sue composizioni (Venezia, Gardano, 1636).Dal 1627 al 1629 fu a Tivoli.Sempre seguendo il marito, passò poi a Roma, da dove, nel 1637, si trasferì a Venezia e in seguito a Bologna.In quest’ultima città si esibì nel 1640, assieme al figlio debuttante Costantino, nella Delia.Nel 1642 si portò a Parma, dove dal 1° aprile 1645 e fino alla morte rimase al servizio della Corte Farnese.
FONTI E BIBL.: G.Radiciotti, L’arte musicale in Tivoli, 2a edizione, Tivoli, 1921; N.Pelicelli, Musicisti in Parma nel secoloXVII, in Noted’Archivio 1932; A.Yorke-Long, Music at Court, Londra, 1954; L.Montalto, Un mecenate in Roma barocca, Firenze, 1955; A.Liess, Materialien zur römischen Musikgeschichte, in AMI, Kassel-Basilea, 1957; H.Wessely-Kropik, Beiträge zur Lebensgeschichte von Costantino Mannelli, in StMw, Lipsia, 1960; R.Giazotto, Quattro secoli di storia dell’accademia di Santa Cecilia, Milano, 1971; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 97; Enciclopedia della musica, 4, 1974, 108; Dizionario della musica e dei musicisti, IV, 1986, 616.
MANNINI ANTONIO, vedi MANINI ANTONIO
MANSUELLI GIUSEPPE
Parma 20 maggio 1777-Parma 13 maggio 1846
Sposò nel 1796 Luigia Allodi.Fu in servizio dal 1° gennaio al 1° agosto 1835 alla Corte di Maria Luigia d’Austria come garzone di cucina.Nel 1846 gli fu dimezzato lo stipendio per malattia cronica.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 311.
MANSUELLI PIETRO
Parma 20 agosto 1779-19 novembre 1839
Domestico, sposò nel 1802 Lucia Turchi, dalla quale ebbe quattro figli.Fu in servizio dal 20 aprile 1816 al 1° maggio 1817 alla Corte di Maria Luigia d’Austria come garzone di cucina.In disponibilità di servizio dal 1° luglio 1831.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 311-312.
MANSUETO GRAZIELLA, vedi ZECCA GRAZIELLA
MANTEGARI ANNA
Borgo Taro 1916-Pradella di Borgo Taro gennaio 1945
Venne uccisa dai nazi-fascisti perché sorpresa in località Pradella in tempo di coprifuoco.Con Angela Ruggeri, uccisa a Caffaraccia, si può inserire tra i partigiani caduti in combattimento in conseguenza dell’ultimo rastrellamento invernale del 1945 (1a Brigata Julia).Sottoposte ad azione avvolgente nemica, condotta a vasto raggio da reparti nazi-fascisti, le formazioni partigiane dell’Ovest Cisa superarono nel gelido inverno 1944-1945 una durissima e decisiva prova.La ricostruzione storiografica di Leonardo Tarantini (La Resistenza armata nel Parmense) evidenza come, attraverso due massicce puntate dalla Liguria e dall’Alto Parmense, il nemico intendesse chiudere ogni possibile varco alle spalle dei partigiani, per poi stringerli in una morsa senza scampo. Durante la prima decade del gennaio 1945 le formazioni partigiane dell’Ovest Cisa si difesero con strenuo coraggio dall’attacco concentrico.Ingente fu anche il prezzo pagato dalla popolazione civile: 18 furono le vittime della strage del Dordia a Varano Melegari.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 17.
MANTEGARI GIUSEPPE
Casale di Tornolo 1900-Parma 25 aprile 1964
Si fece religioso da giovane e volle restare nell’umile condizione di fratello laico e questuante.Altri componenti della sua famiglia, profondamente religiosa e di antiche tradizioni, vestirono l’abito francescano: Giacomo, Lino e Romualdo.Si portò nel convento dell’Annunziata di Parma nel 1925, un anno dopo la morte di Lino Maupas.Il Mantegari ne continuò l’opera benefica e caritativa con una dedizione e con una costanza che destarono stupore e meraviglia.Usciva alla questua giornaliera di buon mattino, col suo calesse tirato prima da un asinello e poi da un mulo, oppure andava in bicicletta, raggiungendo distanze enormi.Portava in convento grano, patate, cipolle, uova, vino, formaggi e fieno: in quegli anni nel convento dell’Annunziata a Parma dimoravano trenta chierici studenti di liceo oltre alla consueta comunità religiosa.Ma soprattutto il Mantegari donò la buona parola, il consiglio da amico, la raccomandazione e la preghiera accostando francescanamente la gente di ogni estrazione e di ogni condizione.
FONTI E BIBL.: S.Raffi Lusardi, Un saio d’amore: prassi esistenziale di Giuseppe Mantegari, francescano, Parma, Silva, 1970; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 648; T.Lombardi, in Gazzetta di Parma 4 marzo 1984.
MANTEGARI PIETRO ALBERTO
Tornolo 1760-Piacenza 1825
Fu canonico della collegiata di Sant’Antonino di Piacenza, segretario del vescovo Gregorio Cerati e cappellano onorario dell’arciduchessa Maria Luigia d’Austria.Con testamento olografo del 12 gennaio 1804, il Cerati lo nominò suo erede fiduciario coll’obbligo di aprire un ritiro per i preti poveri della Diocesi piacentina.Il Mantegari acquistò infatti il convento e l’annessa chiesa di Santa Teresa, aprendo nel 1820 il pio ritiro Cerati, secondo le intenzioni del testatore. Il Mantegari morì nell’ospizio da lui stesso aperto.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 265-266.
MANTEGAZZA LAURA
Parma 1719/1726
Sposò il nobile Fulvio Pescatori e unitamente al consorte fu decorata con un titolo marchionale per concessione del duca Francesco Farnese (23 luglio 1726). La Mantegazza e il marito furono particolarmente legati alla Corte farnesiana, per conto della quale la Mantegazza risiedette in Spagna al seguito della regina Elisabetta Farnese. Oltre a essere stata aia di Elisabetta Farnese, ne fu una delle più intime confidenti. Per il particolare rapporto che la legava alla Regina, la Mantegazza ebbe non poca parte nella politica internazionale del tempo: svolse infatti un ruolo preminente nella fitta rete di intrighi orditi dal duca Francesco Farnese, che portarono all’allontanamento del cardinale Alberoni dalla Corte di Madrid. Si disse che la Mantegazza fosse stata la prima a screditare e a porre in cattiva luce l’Alberoni (1719) a causa di pettegolezzi di donne dovuti ai suoi cattivi rapporti con Camilla Bergamaschi, che assieme al figlio don Giuseppe viveva presso il cardinale e del quale era una protetta. Quale che sia la verità storica sull’allontanamento dell’Alberoni, è certo che la Mantegazza e il marito Fulvio Pescatori in particolare, ne trassero vantaggi, quali la nobilitazione e il titolo marchionale di cui si è detto.
FONTI E BIBL.: M.De Meo, in Gazzetta di Parma 2 novembre 1999, 13.
MANTELLI ADRIANO
Cortile San Martino 1913-Firenze 6 maggio 1995
Figlio di Massimino, imprenditore edile, e di Valentina, commerciante, visse l’infanzia nel quartiere di San Leonardo e frequentò l’Istituto Toschi di Parma. Attratto fin da giovanissimo dalla passione per il volo, si portava in bicicletta fino a Cantù per frequentare le lezioni della locale scuola di volo a vela, dove si diplomò, progettando, a soli diciannoveanni, il suo primo aliante.Entrato in aeronautica come sottotentene di complemento, si distinse nell’aviazione da caccia nella guerra di Spagna, tanto da ricevere la Aureada spagnola e due medaglie d’argento al valor militare, con le seguenti motivazioni: Volontario di una missione di guerra combattuta per un supremo ideale, affrontava arditosamente le più ardue prove, dando costante esempio di sereno sprezzo del pericolo e di alto valore (Cielo di Spagna, 12 aprile 1937); Nel corso di una rischiosa missione per la quale erasi offerto volontario, affrontava arditosamente le più ardue prove, dimostrando sempre esemplare valore e sereno spirito di sacrificio (Cielo di Spagna, agosto-dicembre 1938). Nel 1939, promosso ufficiale effettivo, venne chiamato come collaudatore del Centro sperimentale di Guidonia, dove rimase fino al 1942, riscuotendo l’ammirazione di Mussolini.Nel 1941 a Napoli, dove collaudò aerei da combattimento, costruì il suo primo aereo leggero, l’AM-6.Dopo la parentesi dell’adesione alla Repubblica Sociale (che gli costò un periodo di epurazione dall’aeronautica), nel 1947 il Mantelli realizzò, con mezzi di fortuna, il primo aereo italiano del dopoguerra, l’innovativo AM-8, cui seguirono i biposto AM-9 e AM-10 e, realizzato in Argentina dove si era momentaneamente trasferito, l’AM-11.Nel frattempo, dopo aver detenuto dal 1937 al 1939 il titolo nazionale di volo a vela, dal 1937 al 1954 il Mantelli ritoccò ventisette primati nazionali e si classificò ai primi posti in molte competizioni internazionali.Fu il Mantelli che nel dopoguerra, quando l’aeroporto di Parma era ormai stato destinato a diventare terreno agricolo, decollò da una striscia di terreno risparmiata dal solco degli aratri e, con le sue acrobazie, convinse il sottosegretario alla Difesa, Brusasca, a salvare la pista di Parma.Nel 1948, reintegrato nell’esercito, al Mantelli fu affidato il comando del centro militare di volo a vela.Nel 1964, con la sua ultima creatura, il biposto leggero AM-12, dette all’Italia il primato internazionale di altezza e sempre quell’anno gli fu conferita la medaglia fondazione Luise Bleriot, la massima onorificenza della Federazione aeronautica internazionale.Un suo prototipo si trova esposto nel museo aeronautico di Vigna di Valle.Il Mantelli cercò di avvicinare i giovani alla passione per il volo promuovendo ovunque scuole e corsi, pratici e teorici, di cultura aeronautica. Fu stroncato per un arresto cardiaco su un treno che da Roma, dove viveva da molti anni, lo stava portando a Varese per un raduno dell’Associazione pionieri del volo.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Eroismo dei legionari, 1940; Gazzetta di Parma 9 maggio 1995, 10.
MANTELLI LUIGI
Salsomaggiore XIX/XX secolo
Detto Bellacanna, fu eccentrico fotografo ambulante.Operò facendosi accompagnare da un asinello con un biroccio carico di attrezzature fotografiche.Svuotato del materiale, il calesse veniva utilizzato dal Mantelli per fotografare il cliente.Millantò, nella pubblicità, di possedere studi, oltre che a Salsomaggiore, anche a Nizza, al Cairo e a Buenos Aires.La figlia Maria fu a sua volta fotografa e collaborò col marito, Bruno Orighi, fin verso il 1920.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 203.
MANTOVANI ALESSANDRO
Parma XVIII secolo
Fu liutaio generico attivo in Parma nel XVIII secolo. Mentre il Valdrighi scrive che agì nella seconda metà dell’Ottocento, il Vannes afferma aver agito nel secolo precedente.Buon liutaio, seguì il modello di Stradivari. I suoi strumenti hanno una bella sonorità e la vernice a olio è di un bel rosso brillante.
FONTI E BIBL.: G.De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885, 57; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MANTOVANI BIAGIO
Luzzara 10 luglio 1823-post 1883
Repubblicano, negoziante e maestro di musica, fu liutaio restauratore attivo a Parma negli anni 1850-1883.Nel 1870 su di lui fu inviato il seguente rapporto di polizia alla Questura di Parma: Egli è stato in Crimea nel 1855 come maestro di musica e come farmacista.Ritornatene si recò nel 1857 a Langhirano come maestro di musica, ed ebbe sempre stretta relazione con noto Faustino Tanara.In casa sua tiene sempre riunioni di giovanotti del paese ove egli diffonde principi e consigli sovversivi, ed eccita i suoi adepti a combattere il governo.Non ha beni di fortuna, vive della sua professione e di un minuto commercio.
FONTI E BIBL.: G.De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885, 57; C.Melli, Langhirano nell’Ottocento, 1987, 57.
MANTOVANI GIUSEPPE
Parma 1 dicembre 1859-1942
Figlio di Paolo ed Erminia Gabbi. Fondò e sviluppò una fabbrica situata nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Parma per la fabbricazione di busti per signore, dando inizio a un’attività che vide occupate nell’azienda oltre 300 operaie.I suoi prodotti vennero esportati in Europa e nell’ Americhe con un successo commerciale che si esaurì irrimediabilmente con l’abbandono di questo prodotto per il nascere di nuove mode.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 402.
MANTOVANI GIUSEPPE
Parma 1899/1917
Aspirante ufficiale della 1a Compagnia nella prima guerra mondiale, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Con slancio e arditezza conduceva il suo reparto alla conquista di posizioni occupate dal nemico, ricacciandolo, e manteneva con grande fermezza, sotto violento fuoco di mitragliatrice, le posizioni conquistate, permettendo ad un battaglione di ritirarsi ordinatamente (San Giovanni-Ponte di Meduna, 7 novembre 1917).
FONTI E BIBL.: Libro d’oro Reggimento Granatieri, 1922, 214.
MANTOVANI GLICERIO Fornovo 1840-Parma 18 giugno 1898 A diciannove anni fece parte del Comitato dei dodici (che nel 1859 a Parma tenne corrispondenza segreta col Piemonte), dei quali fu capo Francesco Scaramuzza. Poco tempo dopo, insieme con alcuni amici, fondò un giornale liberale, l’Amico dell’Operaio.Ma poi si dedicò completamente agli studi e nel 1864 si laureò ingegnere architetto, entrando in seguito nello studio di Spreafichi.Nel 1865 sostenne l’esame per poter occupare la cattedra di Fisica e Chimica nell’Istituto d’Agronomia di Parma.Fu dapprima assistente alla cattedra di fisica per quindici anni e nell’anno scolastico 1891-1892 tenne la supplenza dell’insegnamento, essendo morto il Pigorini.Dal 1896 in poi occupò il posto di aggiunto presso l’Osservatorio meteorologico, per il quale compilò un riassunto completo delle osservazioni fatte negli ultimi quarant’anni. Scrisse un’opera Sui metodi da seguirsi nella soluzione dei problemi di geometria.
FONTI E BIBL.: A.Pariset, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1905, 64; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 412; G.Pighini, Storia di Parma, 1965, 164-165.
MANTOVANI LODOVICO
Parma 25 dicembre 1846-Parma 19 gennaio 1913
Studiò a partire dal 1859 violino come alunno interno alla Regia Scuola di musica di Parma, diplomandosi nel 1866. Dopo aver esercitato brillantemente la professione, il 3 marzo 1873 fu nominato insegnante di violino nella Scuola di musica di Parma e l’8 ottobre 1875 secondo maestro di violino e viola, posto che tenne fino al 16 ottobre 1904. Nel 1878 fu nominato direttore del concerto musicale della Società dei Reduci delle Patrie Battaglie. Grande didatta, diplomò tra gli altri Romano Romanini, Ferruccio Cattellani ed Enrico Polo.Fu per molti anni violino di spalla al Teatro Regio di Parma e diresse molte opere al Teatro Reinach.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 122-123; G.N.Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 100; Dietro il sipario, 1986, 296.
MANTOVANI MARIO
Parma 17 gennaio 1888-Como 20 settembre 1972
Di famiglia benestante, laureato in Giurisprudenza, aderì nel 1920 al Partito Nazionale Fascista.Nel 1922 prese la cittadinanza di Fiume per poter divorziare, visto il divieto della legislazione italiana.Pianista dilettante, fu membro della Commissione teatrale del Teatro Regio di Parma dal 1921 al 1924 e presidente della Corale Euterpe.Nel corso degli anni Venti e Trenta divenne dirigente del Partito Nazionale Fascista parmense.Dal 24 dicembre 1926 al 1939 ricoprì la carica di podestà di Parma e in questa veste fu uno degli animatori del risanamento politico e urbanistico dei borghi dell’Oltretorrente: tale progetto diede luogo alla creazione ai margini della città dei ghetti popolari che, per la loro forma, presero il nome di capannoni. Sempre nella carica di podestà aiutò l’Accademia di canto corale annessa al Conservatorio di Parma (fondata nel 1928 da Luigi Passerini, Bonfiglio Galvani, Giuseppe Dovara e Dante Minardi) e fondò la scuola comunale di liuteria diretta da Gaetano Sgarabotto.Nel marzo 1934, attraverso il secondo plebiscito del regime mussoliniano, entrò come deputato nel Gran Consiglio del fascismo.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 123; Enciclopedia di Parma, 1998, 433.
MANTOVANI NINO Zibello 18 giugno 1885-Borgo San Donnino 20 febbraio 1920 Compì gli studi nel Seminario diocesano di Borgo San Donnino e fu ordinato sacerdote il 30 novembre 1908 dal vescovo Leonida Mapelli.Laureatosi in sacra teologia presso il Collegio Teologico di Parma, fu preposto in Seminario all’insegnamento di questa materia, di filosofia e belle lettere.Nel frattempo svolse intensa attività nell’Azione Cattolica diocesana, collaborando con Guglielmo Laurini e con Luigi Masnini all’organizzazione, in particolare, del movimento giovanile.A questo intento il Mantovani si dedicò con entusiasmo, tenendo anche cicli di conferenze in ogni centro della Diocesi.Fu, infatti, valente oratore, dalla parola vibrante e avvincente.Alla morte del canonico Sincero Badini, avvenuta nell’ottobre 1918, successe a questi nella direzione de Il Risveglio (del quale già da qualche anno era capo redattore), conservando al settimanale diocesano un’impronta battagliera e patriottica.Mentre era in procinto di laurearsi a Roma in filosofia, di cui nel settembre 1917 aveva ottenuto la licenza di insegnamento, una polmonite, contratta durante una delle sue tante peregrinazioni nella Diocesi, ne causò in pochi giorni la morte a soli trentaquattro anni di età.La sua salma fu tumulata nella cappella dei canonici nel cimitero urbano di Borgo San Donnino.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 245-246.
MANTOVANI PASQUALE
Parma prima metà del XIX secolo
Pittore e incisore in rame, attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 190.
MANTOVANI ROBERTO
Parma 27 marzo 1852-Parigi post 1930
Restato orfano di padre in giovane età, fu avviato allo studio della musica da Pietro Bellati, sacerdote degli Ospizi Civili di Parma, presso il quale la madre era a servizio come perpetua.Allievo interno nella classe del Del Majno, conseguì ottimi risultati, al punto che fu scelto per far parte dell’orchestranell’allestimento dell’Aida curato personalmente da Giuseppe Verdi al Teatro Regio di Parma.Il Mantovani si diplomò nel 1872. Da una lettera autobiografica che si trova nell’Archivio Storico Diplomatico della Farnesina di Roma, risulta che completò l’istruzione da autodidatta, sentendosi portato alle scienze esatte e alle lingue straniere.Nel frattempo intraprese la carriera di professore d’orchestra suonando in diversi teatri: nel 1877, con una compagnia lirica, si recò da Algeri nell’isola Mauritius prima e poi in quella di Réunion, sempre nell’Oceano Indiano.L’isola godeva di grande prosperità e probabilmente in quell’occasione si dettero degli spettacoli d’opera per festeggiare l’inizio dei lavori del traforo della galleria ferroviaria sotto il monte Saint-Denis, la più lunga del mondo.Fermatosi nell’isola, diresse la locale scuola di musica, insegnandovi il violino.Nel 1880 sposò la figlia di un facoltoso farmacista, dalla quale ebbe tre figlie.Nel frattempo il Mantovani iniziò le sue ricerche scientifiche, che portarono a successive pubblicazioni, e nel 1882 diventò membro della Società Geografica Italiana.Nel 1884 il paleontologo Pigorini, che era intento all’ampliamento del museo etnografico di Roma, gli chiese di fornirgli oggetti della cultura indigena. Nel 1886, dato che già ne svolgeva le mansioni, ottenne la nomina a console italiano nell’isola, nomina che venne ratificata dalla Francia l’anno seguente.Facendo parte della Societé des Sciences et Arts di Réunion, in quella sede nel 1888 espose il suo progetto di riforma del calendario, che prevedeva mesi di cento giorni e anni di mille giorni, al fine di ottenere un tempo universale svincolato dalla periodicità dell’orbita terrestre.L’anno dopo pubblicò il primo lavoro di risonanza, quello sulla dilatazione terrestre.La situazione economica dell’isola era nel frattempo diventata disastrosa, per cui nel luglio 1893 dovette trasferirsi per dare lezioni di musica a Port Louis e due anni dopo a Quatres Bornes, sempre nelle isole Mauritius.Per la sua attività artistica, nel 1896 effettuò diversi viaggi in Francia e forse in Inghilterra, stabilendosi infine a Saint-Servan, una frazione di Saint-Malo.Il Ministero degli Esteri italiano, dopo averlo invitato a riprendere il suo posto di console, probabilmente anche infastidito dalle sue proposte originali, lo invitò a rassegnare le dimissioni, cosa che il Mantovani fece l’11 luglio 1900. A Saint-Servan diede lezioni di musica e concerti e proseguì nei suoi studi sulla dilatazione terrestre.Nel 1910 probabilmente rientrò per qualche tempo a Réunion, che viveva una ripresa economica delle piantagioni di canne da zucchero, giunta all’apogeo durante la prima guerra mondiale.Nel 1920 scrisse un lavoro dal titolo Metodo dei metodi, ovvero il segreto di Paganini.In un articolo sul Piccolo di Parma del 14 aprile 1920, Spartaco Copertini spiegò questo metodo in termini assai elogiativi.Un suo lavoro in francese, probabilmente l’ultimo, fu pubblicato dalla tipografia Ferrari di Parma nel 1930.Nel 1924 si trasferì a Parigi, dove acquistò un intero palazzo.Diventò socio della Societé Geologique Française, mentre i suoi lavori di geologia e paleontologia iniziarono a ricevere attenzione mondiale.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 123; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 90; G.N. Vetro, in Gazzetta di Parma 21 ottobre 1996, 5.
MANTUSETI FRANCESCO
Parma 1775/1777
Cornista. Nel registro tenuto da Giacomo Puccini, maestro della Cappella Palatina di Lucca, risulta tra gli strumentisti invitati per la festa di Santa Croce del 1775. Fece parte del P.mo Coro e fu retribuito con 25 lire. La città indicata per la provenienza è Parma e risulta giunto assieme a Giulio Paër. Il giudizio espresso dal maestro fu B.mo ebbe poco ma poco. Vi si recò anche nel 1776: ricevette 20 lire e il giudizio fu ancora Buonis.mo. Stesso lusinghiero giudizio si ripeté l’anno seguente, in cui fu retribuito con 35 lire.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MANUEL, vedi NAZZARI FRANCESCO
MANZANI PAOLO
Parma 1699/1716
Fu suonatore di violino alla Cattedrale di Parma dal 25 dicembre 1699 e almeno fino al 22 giugno 1716.Fu, quale suonatore in occasione di solennità, anche alla chiesa della Steccata di Parma, come per la festa della Annunciazione del 1701.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 172.
MANZANI PIER PAOLO, vedi MANZANI PIETRO PAOLO
MANZANI PIETRO PAOLO
Parma-Parma 1702
Fu dottore collegiato in Teologia, sacerdote professo, lettore, Reggente degli Studi nel Convento di Parma di Santa Maria del Quartiere; Provinciale, Definitore generale ed Esaminatore generale dell’Ordine francescano.Scrisse un Corso di filosofia, materia di cui fu a lungo insegnante nel suo convento.Pare che questo corso fosse uno dei suoi primi lavori.Certo assai posteriore è la dedica latina che il Manzani pose ai Centum Consilia Francisci Bordoni (1689) per il marchese Giulio Dalla Rosa, vicario del vescovo Saladini.Nel 1692, stimolato dagli avversari del Bacchini, pubblicò in lingua latina un nuovo giornale letterario, quasi in continuazione di quello de’ Letterati compilato dal Bacchini, che aveva cessato di pubblicarlo in Parma col volume dell’anno 1690 e che stava per dare inizio a una seconda serie del giornale in Modena.Il Manzani lo intitolò Synopsis Biblica alias Diarium literatorum Parmense.Il Bacchini, temendo di qualche fine storto (Affò, a f.362 del tomo 5°), scrisse nel suo Giornale del 1692 che notissimo gli era il valor dell’autore della Synopsis Biblica, ben capace di emendare le sue debolezze.Ma il Manzani già nel primo numero della Synopsis protestò di non esser fuori a tal fine, bensì per confermare piuttosto i giudizj di lui.Nella prefazione il Manzani si giustifica del fatto di porsi in concorrenza con il Giornale de’ letterati del Bacchini, che elogia ampiamente, con la considerazione, forse un po’ presuntuosa, che il suo periodico avrebbe potuto giovare a chi Oltralpe non conosceva bene la lingua italiana (opportunamente sono in gran maggioranza stampati in Italia i libri che recensisce). Contrariamente a quanto farebbe pensare il titolo, il periodico non tratta solo di religione ma anche di altre materie, tra cui, con particolare larghezza, la medicina e la matermatica.Oltre alle recensioni non mancano alcuni articoli originali e notizie sull’attività delle accademie italiane. Dopo i dodici fascicoli usciti nel 1692 e i due apparsi nel 1693 la pubblicazione cessò. Sembra però che qualche tempo dopo ne siano stati pubblicati saltuariamente alcuni altri numeri: il Pezzana vide un foglio volante, impresso dagli stessi stampatori Pazzoni e Monti, datato Parmae 1695, nella stessa forma e coi medesimi carattri della Synopsis, avente il titolo Synopsis Biblica Parmensis (comincia con questo preambolo: Et juvat identidem Biblicae Synopsis Parmensis vocem audiri, ne Scriptoris calamus omnino fractus credatur; esto enim cumulatis, tum adversae valetudinis, tum domesticae curae, tum aliorum casuum incommodis videatur obtusus; non tamen desperandum profitemur, quin auspicato iterum labore actuatur ad Literariae Reipublicae commodum; ut, si Literatorum diarium invidus Libitinae ictus abstulit, noster utcumque labor resarciat jacturam).Dopo la lettura di Filosofia il Manzani passò a quella di Teologia scolastica nello stesso Convento.Nella Biblioteca Palatina di Parma sono conservate le lezioni che egli dettò ai suoi discepoli.Il Manzani fu teologo assai reputato, ma professò anche le Matematiche (In Mathematicis professor, et executor) e fu perito in Astronomia.Scrisse versi e pubblicò parecchi opuscoli letterari.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 912-914; E.Ranzini, Origine e sviluppo dei periodici di cultura, 1981, 34.
MANZANO PIETRO PAOLO, vedi MANZANI PIETRO PAOLO
MANZI DONNINO
Parma seconda metà del XV secolo
Orefice attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 232.
MANZINI ANGELO
Parma 23 giugno 1839-Parma 1 luglio 1908
Nacque da Antonio ed Eurosia Clerici. Appena ventenne prese parte alla campagna di guerra del 1859 insieme al fratello Luigi (G.Sitti, Epigrafi parmensi del risorgimento italiano).Prima dell’arruolamento il Manzini fece il calzolaio.Risulta anche tra i volontari del 1860-1861.Fu decorato di due medaglie d’argento: la prima è quella dell’Unità d’Italia con l’effigie di Vittorio Emanuele II di Savoja (sul nastrino sono state aggiunte due sbarrette, pure in argento con foglie di alloro, recanti le date 1859 e 1860-1861), la seconda è quella della campagna d’Italia, con l’immagine di Napoleone III e sul retro l’indicazione delle località di Montebello, Palestro, Turbigo, Magenta, Marignano e Solferino.Al termine di queste campagne, il Manzini fu tamburino della Guardia Nazionale di stanza a Parma, alloggiata nell’ex convento dei Servi e in via di smobilitazione.Ne approfittò sul finire del 1862 per chiedere l’ammissione al corpo delle guardie comunali di Parma.Il 31 dicembre la giunta prese in esame le domande e presentò le sue conclusioni il 12 gennaio 1863 al consiglio comunale, che accolse l’istanza del Manzini.Secondo i suoi discendenti, il servizio del Manzini presso il corpo delle guardie comunali nei primi tempi fu saltuario: infatti lasciò spesso Parma per seguire Garibaldi.Dal Sitti non risulta però che abbia partecipato ad altre campagne.Pare comunque sia stato anche in America e poi in Francia, probabilmente nella sfortunata campagna dei Vosgi del 1870, che vide molti altri Parmigiani a fianco dell’Eroe dei due mondi, anche in posizione di rilievo, come Faustino Tanara e Luigi Musini.Il Manzini, benché più giovane di quasi trentatré anni, richiamava nella figura l’eroe nizzardo: una somiglianza quasi perfetta, che fu sfruttata in diverse occasioni.Secondo il Marezza, durante la sua visita a Parma del 30 marzo - 2 aprile 1862, Garibaldi fu ritratto dal pittore Giovanni Gaibazzi col contorno dei suoi fedelissimi parmigiani.In questo quadro fu il Manzini a posare al posto dell’Eroe.In effetti, come hanno scritto tra gli altri Adelvaldo Credali su Aurea Parma, Manlio Mora su Parma per l’Arte, Ferruccio Botti ed Ettore Carrà sulla Gazzetta di Parma, il soggiorno di Garibaldi a Parma fu brevissimo e assai intenso di impegni, tale da impedire una sia pur fugace posa.Di quel periodo resta del Manzini un’altra medaglia, sempre d’argento, dell’Unità d’Italia, forse soltanto commemorativa, con l’effigie di Umberto I di Savoja e le date 1848 e 1870, e la medaglia d’oro dei garibaldini.Oltre alle decorazioni militari, che comunque furono concesse al Manzini per la sola partecipazione alle varie campagne, senza che risultino particolari atti di valore o ferite, il Manzini ne ebbe diverse civili, guadagnate dal suo posto di guardia comunale, con pronti gesti di coraggio e di altruismo.Il 7 marzo 1889, con Regio Decreto, gli venne conferita la medaglia d’argento per avere addì 6 marzo 1879 in Parma salvato, con manifesto rischio della propria vita un individuo gettandosi nella peschiera del giardino pubblico, con proposito di perirvi annegato. Il 12 gennaio 1881 il Manzini venne nominato vice-brigadiere e l’11 dicembre dell’anno successivo meritò un solenne encomio da parte della Regia Prefettura per avere contribuito con molta oculatezza a constatare l’identità d’una persona spenditrice di biglietti falsi.Ancora un encomio, questa volta del Municipio, nel 1883 gli fu assegnato per avere tenuto un lodevole contegno nel fatto avvenuto la notte del 17 ottobre, in cui furono arrestate quattro persone pregiudicate, che dopo di avere commessa un’aggressione si rivoltarono a detto agente.Si trattò di un agguato teso da quattro banditi ai danni di un uomo di fiducia dei marchesi Marchi, avvenuto proprio dvanti all’omonimo palazzo.Il portavalori, cui era stata affidata un’ingente somma di denaro, fu sbalzato da cavallo.Alle sue grida accorse il Manzini che sventò la rapina ma rimase seriamente ferito alla schiena dai colpi di mazza infertigli dai malviventi.L’ultimo encomio è del 1884 per essersi efficacemente adoperato ad identificare gli autori di atti di vandalismo commessi in Parma nella notte del 18 al 19 maggio.A conferirglielo fu l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza.Rimane infine un’attestazione di pubblica benemerenza per l’opera da lui prestata durante l’epidemia colerica del 1884.Il 31 agosto 1891, dietro sua domanda, il Manzini venne collocato a riposo, con 564 lire e 70 centesimi di pensione annua.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, in Al Pont ad Mez 2/3 1975, 18-20.
MANZINI BRUNO
Parma 1926-Langhirano 25 agosto 1944
Figlio di Tito.Fu decorato di medaglia d’argento al valor militare alla memoria.Appena diciottenne, fu ucciso nella battaglia di Langhirano, a poca distanza dal luogo dove caddero i suoi due cugini, Marcello e Gino Zaccarini, anch’essi dell’Oltretorrente.
FONTI E BIBL.: P.Tomasi, in Gazzetta di Parma 4 gennaio 1996, 11.
MANZINI EGIDIO ETTORE GIUSEPPE
Parma 13 dicembre 1880-Parma 30 gennaio 1953
Figlio di Pietro e Maria Luigia Celestina Gonzaga, coi fratelli Giuseppe e Gino imparò l’arte paterna del mestiere della lavorazione del rame nella bottega artigiana sita in borgo Santo Spirito n. 5 a Parma. Dopo la morte del padre (1901) proseguì l’attività di ramaio (come società di fatto: ditta artigiana a nome di Manzini Egidio sin dal 1880, bottega condotta dal padre Pietro). Assieme ai fratelli, il Manzini fu il primo a Parma a costruire le bolle in rame lavorate a mano per la concentrazione del pomodoro. In seguito il Manzini sciolse la società di fatto e si mise in proprio, coadiuvato da due operai e dai figli Giovanni e Mario. La ditta divenne molto fiorente ed ebbe varie commissioni da diversi industriali del pomodoro. Si trasferì nella nuova sede di via Spezia n. 24 e lì rimase sino alla cessazione nel 1945. Ripartì poi con la denominazione di Manzini Egidio & Figli e operò sino all’anno 1951. Il Manzini esercitò anche la professione di suonatore di flicorno e di tromba, fu amico della famiglia Toscanini e fu uno di quelli che alla sera si recavano ai quattro punti cardinali della città di Parma e che salendo sulla torre di una chiesa intonavano le note chiamandosi tra di loro e dando la buona sera ai cittadini. Morì dopo una lunga malattia in conseguenza di una trombosi.
FONTI E BIBL.: P. Manzini, notizie manoscritte.
MANZINI ERCOLE
Bologna-Borgo San Donnino 20 dicembre 1579
Architetto militare attivo nella seconda metà del XVI secolo. In Borgo San Donnino fabbricò le mura della città la terza volta che furono riedificate, come si legge in Valerio Brioschi e Ascanio Fagiuoli nella vita di San Donnino: Hercole Manzini Bologna. Ingegnero che è stato inventore, e il primo a disegnare, e dare cominciamento alla pianta di questa muraglia, che ha ritirata e aggradita questa fortezza, dove ne ha conosciuto il bisogno, è quello in affetto che l’a ridotta in perfezione, e datole le belle fortezze che i quella oggidì si vedono. Nella Lettera commonitoria di Adelfo Fidenzio, stampata in Parma l’anno 1781, si legge che nella Cattedrale di Borgo San Donnino vi è il sepolcro del Manzini, con la seguente iscrizione: Herculi Mangino architetco celeberrimo maenior Burgi d. Donini a. p. lapide de edificator mater maestissima. f. benemerito p. d. XX. decembris. MCLXXIX.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane IV, 185.
MANZINI ETTORE
Parma 1901-Parma 23 novembre 1990
Figlio di Tito.Cominciò a lavorare all’età di sedici anni: un breve intermezzo nello stabilimento di Secondo Baratta a Battipaglia (lavorazione del pomodoro) e poi a fianco del padre Tito e dei fratelli Manlio, Bruno e Sante nella Tito Manzini & figli, prima in viale Mentana (1922) e poi in via Tonale (1930), specializzata in macchine per la lavorazione del pomodoro.Nell’azienda, Manlio si occupò della commercializzazione, Bruno della produzione, Sante dell’amministrazione e il Manzini dell’installazione e dei montaggi.Le ordinazioni arrivarono sempre più significative e prima dello scoppio della seconda guerra mondiale la ditta piazzò la sua produzione, oltre che in molti altri paesi dell’Africa, Europa e America, anche in Urss. Neanche i bombardamenti del 1944, che colpirono e distrussero la fabbrica di via Tonale, fermarono completamente l’attività, ripresa, in emergenza, in un vecchio fabbricato della zona di Pilastro.Finita la guerra, la Manzini risorse in via Tonale e attorno agli anni Cinquanta occupava già circa 300 dipendenti.Con il passare degli anni, mentre la ditta allargava sempre più il mercato, vennero a mancare il padre e i fratelli, cosicché il Manzini si ritrovò solo a gestire l’azienda. Nel 1981, a 80 anni, si ritirò a vita privata, mentre l’azienda continuava il suo cammino nella nuova sede di via Paradigna, dove si era trasferita dalla fine degli anni Settanta.Col passaggio al Gruppo Sasib (De Benedetti), avvenuto nel 1985, il Manzini mantenne solo una quota azionaria.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 novembre 1990, 4; Cento anni di associazionismo, 1997, 402.
MANZINI GIOVANNNI PIERINO CELESTINO
Parma 4 dicembre 1905-Parma 18 gennaio 1986
Figlio primogenito di Egidio e Angela Benassi, imparò giovanissimo l’arte della lavorazione del rame e dell’idraulica. Oltre al lavoro con il padre, per erudirsi maggiormente nell’ambito della meccanica si iscrisse all’Università Popolare alla scuola di disegno e frequentò il corso per macchinisti conduttori di caldaie a vapore. Inoltre alla sera si recava presso lo stabilimento di Plinio Rossi per fare esperienza nella concentrazione sotto vuoto del pomodoro. Nel 1931 sperimentò il primo concentratore in doppio effetto, che poi applicò nella concentrazione sotto vuoto nel campo delle conserve di pomodoro e altri generi alimentari. Collaborò con Gianni Robuschi, costruttore di pompe, all’invenzione del primo condensatore semibarometrico, che brevettò a nome del padre Egidio (1936). Negli anni Cinquanta fu suo collaboratore l’ingegnere Bruno Darecchio. Dalla loro collaborazione nacquero diversi progetti, sperimentati presso la società Erba di Ozzano Taro: tra gli altri, un prototipo di un condensatore di nuovo concetto altamente rivoluzionario, che fu applicato a un concentratore per la concentrazione del latte da ridurre in polvere, riducendo di un terzo il tempo di lavorazione e migliorando la qualità del prodotto concentrato, e un canditore per frutta completamente automatico e sotto vuoto. Presso l’Istituto farmaceutico di Milano costruirono impianti in argento puro per la produzione della vitamina C acido ascorbico sintetico e della vitamina B e un concentratore per la concentrazione sotto vuoto con una temperatura di ebollizione a 11° C. L’ultima collaborazione col Darecchio portò alla progettazione del primo concentratore a stadi multipli in continuo. Nel 1966, in conseguenza di un incidente procuratosi durante il lavoro, il Manzini subì un trauma alla colonna vertebrale e di conseguenza smise la sua attività, passando ai figli l’officina meccanica.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 26 gennaio 1986.
MANZINI MANLIO
Parma 16 aprile 1900-1961
Figlio di Tito e Amelia Cantoni. Iniziò nel 1919, con il padre Tito e i fratelli Ettore, Bruno e Sante, l’attività delle Officine meccaniche Tito Manzini & figli.Il Manzini si interessò dei rapporti con la clientela.Morto il padre nel 1929, diresse l’azienda fino al 1958, quando lo colse un male inarrestabile.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 191.
MANZINI RENZO
Parma 4 agosto 1917-Parma 22 novembre 1960
Figlio di Egidio, ramaio, e di Angela Benassi. Diplomato all’Istituto d’arte Paolo Toschi di Parma, frequentò (1940) l’Accademia di Brera a Milano sotto il maestro Carpi.Tra gli allievi preferiti di Paolo Baratta, partecipò a varie collettive sino allo scoppio della seconda guerra mondiale.Conseguì successi in Italia e all’estero, specie in Francia, e con il cognato Odoardo Gherardi nel periodo di chiusura dell’Istituto Toschi (1930-1936) affrescò sale di castelli per conto delle Belle Arti francesi. Negli stessi anni partecipò, sempre in Francia, a diversi concorsi e vinse il Premio Perrè nel 1937 a Parigi, ricevendo lusinghiere critiche dai critici francesi. Durante il periodo di frequenza all’Istituto Toschi e all’Accademia di Brera, partecipò alle Littoriali di Venezia con varie opere di grandi dimensioni con tecnica dell’affresco. Sempre nel 1936 espose la Famiglia rurale e nel 1933 un dipinto di notevoli dimensioni con tecnica mista affresco-olio, dal titolo Fuga in Egitto. Prima della seconda guerra mondiale affrescò Villa Bezzi in Parma, nel 1950 Villa Giovanardi a Basilicanova e nel 1958 il portale della chiesa di San Lorenzo in Parma. Iscrittosi alla scuola allievi ufficiali, finì in prima linea.Rimase tre giorni a Salerno sotto il bombardamento della flotta anglo-americana.Prigioniero dei nazisti, venne inviato a Vipiteno. Tornato a Parma, non riuscì a imporsi come pittore e diventò ramaio.Morì in un incidente stradale.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 191.
MANZINI TITO
Parma 1877-1929
Insieme al padre fu il fondatore dell’omonima attività, una piccola officina meccanica per la costruzione di macchine adibite alla lavorazione del pomodoro.All’inizio degli anni Venti, divenuta Tito Manzini & figli, si insediò in viale Mentana 94 a Parma.Alla morte del Manzini, subentrarono i figli Manlio, Bruno, Sante ed Ettore, trasferendo la sede in via Trento 39 e suddividendosi i vari compiti aziendali.Nella nuova fabbrica di via Tonale, nel 1948, al Manzini venne dedicata una targa parietale in bronzo, opera dello scultore Pietro Carnerini, nella quale l’artista celebra, in toni misurati, l’operosità dell’uomo e la civiltà contadina caratteristica della terra parmense.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 191.
MANZOLINI o MANZOLINO, vedi MANZOLO MICHELE
MANZOLO MICHELE
Parma 1476/1482
Detto Manzolino.Svolse la sua attività di tipografo sembra esclusivamente in Treviso, dove si recò verso il 1476.Fu emulo non indegno di Gherardo da Lisa, Ermanno Liechtenstein e Bernardo da Colonia.Il primo volume da lui stampato nella città veneta fu un Comento sopra la logica di Paolo Veneto, del faentino Bianchelli, dove appare soltanto il suo nome in carattere gotico, senz’altre indicazioni di luogo né di data.Il secondo libro, un Comento di frate Francesco Mairone dell’Ordine dei Minori, reca invece, dopo il finit: Anno salutes nostrae MCCCCLXXVI per magistrum Michaelem Manzolo de Parma.Sempre degli inizi del 1476 è una Summa theologica, Pars tertia di San Tommaso d’Aquino. Il Manzolo pubblicò tra l’altro, nel 1478, un Abaco, ritenuto il secondo libro di aritmetica dato alle stampe.Altre edizioni seguirono negli anni successivi e particolarmente nel 1480, che segnò il massimo dell’attività della sua officina.Fu assistito nel lavoro da dotti teologi e filosofi e da Girolamo Bologni, poeta e giureconsulto, che gli consigliò l’uso di caratteri romani e che spesso ne illustrò con epigrammi le pubblicazioni.La sua ultima edizione sembra sia stata l’Historia delli nobilissimi amanti Paris et Vienna, uscita nel 1482.Gli si attribuiscono comunemente da 24 a 30 edizioni circa (21 a Treviso e 3 a Venezia; adoperò sei tipi: due romani, due gotici e due greci).Tre di esse, il De medicinis simplicibus di J.Dondis, un Orazio e un Prisciano, impresse in Venezia nel 1481, sono probabilmente da considerarsi opera di altri tipografi che stamparono per lui.
FONTI E BIBL.: D.M.Federici, Memorie trevigiane sulla tipografia del secolo XV, Venezia, 1805; J.Bernardi, M.Manzolo e l’arte della stampa, in L’Arte della Stampa 1871; A.Serena, La cultura umanistica a Treviso nel secolo XV, Venezia, 1912; Catalogue of books printed in the XVth century now in the British Museum, parte V-VI, Londra, 1924-1930; Editori e stampatori italiani del Quattrocento.Note bio-bibliografiche, Milano, 1929; I.Affò, Memorie degli scrittori, III, 1791, XXXIX; Bertieri, Editori, 1929, 83-84; Dizionario UTET, VIII, 1958, 257-258; A.Ciavarella, Storia della tipografia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1967, 253; Enciclopedia della stampa, 1969, 198.
MANZONO PAOLO, vedi MANZANI PIETRO PAOLO
MANZOTTI ERCOLE
Montecchio 1807-Parma 28 marzo 1869
Figlio di Giovanni.Fu dottore teologo e cavaliere costantiniano.A lungo preposto alle scuole pubbliche, fu esaminatore prosinodale, arciprete della Basilica Cattedrale di Parma e consigliere e ministro con funzioni di vicario del vescovo Giovanni Neuschel.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 133.
MAPELLI LEONIDA
Milano 12 gennaio 1862-Borgo San Donnino 21 febbraio 1915
Ebbe i natali nella parrocchia milanese di Sant’Eustorgio da Alfonso e da Teresa Corsico Piccolini.Il padre, impiegato nel Municipio della metropoli lombarda, partecipò volontario alla campagna risorgimentale del 1848-1849 e si rese benemerito verso la Chiesa per l’intensa attività spiegata nelle associazioni cattoliche: fu infatti tra i primi iscritti al Pio sodalizio dei padri cristiani e all’associazione di San Vincenzo de’ Paoli, ricoprendo inoltre per molti anni l’incarico di Segretario del Circolo di San Giuseppe.Il Mapelli entrò undicenne nel Seminario del Duomo di Milano, dove compì gli studi che completò poi in quello Maggiore.Non ancora sacerdote, fu preposto all’insegnamento di religione nel Collegio Rotondi di Gorla Minore e in seguito, essendosi abilitato a Pavia, si dedicò per ventun anni all’insegnamento della lingua italiana.A testimoniare la fama aquisita come letterato e precettore stanno le Letture moderne, pregevole antologia con la quale si propose di curare l’educazione, oltre che l’istruzione, dei giovani lettori, e un opuscolo dal titolo Nozioni dei diritti e dei doveri dei cittadini, in due distinte edizioni per giovanetti e per giovanette.Nel frattempo si dedicò alla predicazione percorrendo la vasta Diocesi di Milano per diffondere la dottrina cattolica.Nel 1903 fu chiamato alla cura dell’importante parrocchia di Sesto Calende.Si eresse, con la parola e con l’azione, a difensore dei diritti dei lavoratori, componendo vertenze nelle quali altri si erano inutilmente provati e riuscendo in molti casi a ottenere per gli operai una più equa retribuzione e una riduzione delle ore lavorative e lottò contro ogni sopruso, propugnatore instancabile dell’idea secondo la quale la Chiesa è madre di civiltà e di progresso.Il Mapelli istituì una lega femminile del lavoro, sostenendo a Sesto Calende, nel 1905, lo sciopero dello stabilimento Bogni: sovvenne personalmente per oltre un mese alle necessità di duecento operaie e ottenne alla fine per esse un nuovo e più conveniente patto di lavoro.Intervenne poi nella lotta sindacale tra gli operai della Cooperativa Vetraria e quelli della Vetreria Sant’Anna, riuscendo a comporre la vertenza.Diresse lo sciopero delle filatrici e lo condusse in porto.Nella circostanza del rinnovo del patto colonico, ottenne per le 65 famiglie che conducevano in affitto le proprietà terriere dell’Ospedale Civile milanese la riduzione del quindici per ento sul canone di locazione, l’abolizione di tutte le appendici e l’obbligo dei trasporti gratuiti.Allorché fallì l’Istituto Racheli, raccolse quaranta fanciulli orfani, figli di carcerati, provvedendo con i propri mezzi al loro sostentamento in attesa di trovare per essi una nuova sistemazione.Nel marzo 1906, per l’apertura della Cooperativa Bottiglieri italiani in Sesto Calende, il Mapelli, nonostante la natura socialista dell’istituzione, offrì ghiaia al solo prezzo di scavo e gratuitamente la sabbia che aveva raccolto per l’erezione di una nuova chiesa parrocchiale (che egli poi costruì nel centro del paese).Nell’ottobre 1907, dopo quattro anni di parrocchialità, il papa Pio X lo creò vescovo di Borgo San Donnino.Consacrato nel Duomo di Milano il 6 gennaio 1908 dal cardinale arcivescovo Andrea Ferrari, assistito dal vescovo di Parma Conforti e dall’ausiliare dello stesso Ferrari, monsignor Mauri, il 12 seguente prese congedo dalla sua parrocchia.A Borgo San Donnino compì il solenne ingresso il 6 giugno successivo.Di quel giorno è la sua prima lettera pastorale, nella quale si soffermò sulla divina missione del vescovo, palesando il desiderio di lavorare e di sacrificarsi per i nuovi figli spirituali.Trattando della questione sociale, a quel tempo assai dibattuta, rilevò come senza la dottrina e la morale di Cristo non fosse possibile ottenere giustizia, fratellanza, libertà e benessere economico.Il 3agosto dello stesso anno 1908 il Mapelli indisse la visita pastorale, che aprì l’11 ottobre successivo.Nella stessa lettera rese edotto il clero dell’istituzione di un Comitato di vigilanza per impedire la diffusione, specie tra i sacerdoti, degli errori derivanti dal cosiddetto modernismo.All’Azione Cattolica si prodigò con dedizione senza riserve, portandola a un alto grado di efficienza.Fu nell’educazione e formazione cristiana della gioventù che si rivelò in special modo l’opera del Mapelli.Una fioritura di iniziative contrassegnò la sua attività in questo campo: sorsero in tutta la Diocesi scuole di religione, circoli e oratori, associazioni e comitati.Nelle visite e nelle lettere pastorali, nei discorsi e negli interventi durante adunanze, il Mapelli incessantemente raccomandò l’organizzazione del laicato cattolico nelle forme e nei modi voluti dal Papa, con chiarezza di idee ma soprattutto con senso pratico e dinamico.Sempre nell’ambito dell’educazione della gioventù va segnalata l’istituzione in tutte le parrocchie della Lega dei Padri di Famiglia e della Pia Unione delle Madri Cattoliche per la difesa della fede e della morale nei giovani.Il 23 luglio 1909 ne emise gli statuti e contemporaneamente, annunciando la costituzione del comitato diocesano dell’Unione Donne Cattoliche d’Italia, impartì disposizioni perché in ogni parrocchia ne fosse fondata una sezione. Per la formazione religiosa delle giovani e per la loro istruzione nel ricamo e nel cucito, chiamò a Borgo San Donnino, a Busseto e a Soarza le suore Canossiane.Dette inoltre vigoroso impulso all’insegnamento della dottrina cristiana e alla diffusione de Il Risveglio e de L’Avvenire d’Italia. In Seminario riordinò gli studi e gli ambienti.Promosse il decoro del tempio, lo splendore delle sacre funzioni e i pellegrinaggi diocesani ed extra-diocesani, procurò al popolo sacre missioni predicate da valenti oratori ed egli stesso passò da una parrocchia all’altra a predicare la parola divina. Organizzò a Borgo San Donnino tre Convegni Eucaristici negli anni 1912, 1913 e 1914.Curò in città l’erezione del Salone San Donnino perché le associazioni cattoliche potessero adunarvisi nei loro convegni.Fu appunto nel nuovo locale che si radunarono nelle giornate del 2 e 3 maggio 1914 i giovani Cattolici Emiliani nel terzo loro grande Congresso, che fu illustrato dall’intervento del cardinale Pietro Maffi, dei vescovi di Parma, Guido Maria Conforti, e di Reggio Emilia, Edoardo Brettoni, di Paolo Pericoli, presidente nazionale delle Associazioni giovanili cattoliche, e dell’onorevole Giuseppe Micheli.Il Mapelli provvide di nuovi e più decorosi locali la Curia vescovile, di altri arricchì l’episcopio, nel quale apportò anche importanti restauri e rinnovò i vasti ambienti della villa di Campolasso, adibita a villeggiatura estiva per i seminaristi e per il corpo insegnante.Nella Cattedrale, il cui decoro ebbe molto a cuore, fece eseguire restauri artistici, dotando inoltre il tempio dell’organo liturgico. Eresse la nuova parrocchia di Villa Diversi, promosse la fondazione della chiesa dei padri Cappuccini di Salsomaggiore, intervenendo il 2 aprile 1914 alla solenne cerimonia di posa della prima pietra.In quello stesso anno istituì la Pia Unione per gli infermi e gli agonizzanti.Le questioni religiose e sociali furono dal Mapelli trattate nelle numerose lettere pastorali.Quella per la Quaresima 1909 ebbe per titolo Andiamo all’Eucaristia.A essa seguirono Dopo la sacra Visita Pastorale (1910), L’educazione dei figli (1911), Santifichiamo la festa (1912), Le cause del malcostume (1914) e Il rispetto dell’Autorità (1915).Accanto a queste, scritte in occasione della Quaresima, è opportuno ricordare quelle suggerite da circostanze particolari, come la lettera Sull’Azione Cattolica (1912), che, con le notificazioni al clero, rappresentano un copioso corredo all’attività del Mapelli.Visitò due volte la Diocesi e indisse la terza sacra visita per il 28 febbraio 1915 ma la morte lo colse prima di poterla iniziare.Tra i suoi principali atti di pastorale va annoverata la celebrazione del sinodo diocesano: lo tenne con grande solennità nei giorni 20, 21 e 22 settembre 1910 presenti un centinaio di sacerdoti, profondendo nel sacro codice leggi per la disciplina della Diocesi.La rilassatezza dei costumi offrì al Mapelli lo spunto alla terza pastorale del 1914, nella quale si sofferò diffusamente sulle cause del malcostume, richiamando i fedeli a una vita più castigata e a una più intensa pratica cristiana.Rimase celebre anche l’agitazione contro la minacciata introduzione in Italia del divorzio, nel corso della quale il Mapelli si schierò in prima fila, indirizzando ai membri del Parlamento una lettera aperta la cui importanza fu rilevata da larga parte della stampa.Considerando l’opportunità di imprimere all’Azione Cattolica un maggior sviluppo e una maggiore agilità, con decreto 10gennaio 1914 sciolse la direzione diocesana, che si era rivelata scarsamente funzionale, nominando un incaricato a presiedere e dirigere ciascun ramo, attribuendo a esso la facoltà di fondare associazioni e istituzioni per guidarle secondo le direttive pontificie in unione e dipendenza dalle Unioni centrali e loro presidenti.Agli incaricati impose l’obbligo di rendergli personalmente conto del loro operato e di quello delle associazioni e istituzioni da loro dipendenti. Sofferente da tempo di angina pectoris, mentre si trovava nella cappella privata dell’episcopio a celebrarvi la messa, dopo la comunione un improvviso malore lo costrinse a ritirarsi immediatamente nei suoi appartamenti, dove poco dopo spirò.Migliaia di persone si avvicendarono a visitare la salma, esposta nella cappella interna del palazzo vescovile.Nella Cattedrale, gremita di folla, Guido Maria Conforti, arcivescovo di Parma, evocò la figura del Mapelli.Quindi, dopo l’assoluzione al tumulo, le spoglie del Mapelli furono accompagnate al cimitero per essere inumate nella Cappella dei vescovi.Ma anch’esse, con quelle degli antecessori Basetti, Buscarini, Tescari e Terroni, ebbero poi più degna sepoltura nella cripta del Duomo, dove monsignor Giuseppe Fabbrucci volle fossero traslate il 27 settembre 1928, nel corso di una solenne cerimonia.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 246-254.
MARACCHI GIROLAMO
Berceto 1622
Fu astrologo famoso e ricercato.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 565.g
MARADINI ARTEMIO
Borgo San Donnino 1894/1912
Soldato dell’11° Reggimento bersaglieri, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Combattè valorosamente finché cadde ferito (Sidi - Alì, 14 luglio 1912).
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’Impero, 1937.
MARAFFI PAOLO
Collecchio 1564
Fu canonico della pieve di Collecchio e detentore di un beneficio ecclesiastico, forse nel luogo che si chiamava Maraffa (Descrizione Ecclesiastica di Cristoforo Della Torre del 1564).
FONTI E BIBL.: U.Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MARALDI PIETRO
Monte Palerio-Collecchio post 1354
Fu canonico della pieve di Collecchio (Estimo dell’anno 1354).
FONTI E BIBL.: U.Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MARANELLO, vedi GRASSI SIMONE
MARANI ANSELMO, vedi MARANO ANSELMO
MARANI ANTEO
1581 c.-Parma 7 luglio 1626
Figlio di Costantino.Fu apprendista di Erasmo Viotti.Quest’ultimo, considerandolo quello che gli dava il maggior affidamento di continuare degnamente l’arte dei suoi antenati, lo dichiarò suo erede universale.Il Marani fu dal testatore obbligato ad assumere il cognome Viotti e con esso a continuare la sua arte, volendo prendere moglie, a sceglierla parmigiana, imporre al primo figlio che gli fosse nato il nome di Seth e al secondo quello di Erasmo, sotto pena di essere privato dell’eredità.Inoltre gli fu vietato di acquistare a titolo oneroso bona aliqua stabilia in loco Salodii nec alibi in dominio Veneto.Quest’ultima condizione fa supporre che i Marani fossero veneti d’origine, tanto più che il Marani possedeva beni nel Veronese: il testatore volle evitare che potessero abbandonare un giorno Parma e l’arte per il luogo nativo.Il Marani accettò la cospicua eredità con beneficio d’inventario, il quale fu fatto compilare dall’uditore civile di Parma a rogito del notaio Cagnolati (il prezioso documento si conserva: Inventarium solemne confectum per magn.Antheum de Viottis de bonis remansis in hereditate dom.Erasmi senioris de Viottis, 5 novembre 1611; ms.Parmense, 1056, copia semplice coeva, Biblioteca Palatina di Parma).Questo informa esattamente sui beni stabili e mobili di Erasmo Viotti, sui terreni e case possedute, sulle sue cartiere, sugli attrezzi ivi esistenti, sulla libreria della piazza maggiore cogli annessi magazzini, sui depositi di carta specificandone la qualità e il peso, sui singoli libri e il numero di esemplari, con il loro sesto, contenuti nei vari depositi, sui torchi e caratteri posseduti dalla stamperia sita nella casa di Santo Stefano, sugli arnesi della legatoria annessa, sui mobili e quadri.L’inventario può essere utile guida per il compilatore degli annali della stamperia Viotti, potendo il nome dell’autore e il sesto aiutare a distinguere in esso le opere stampate da Antonio, da Seth e da Erasmo (le quali sempre difettano della data di stampa nell’inventario).È interessante notare che vi sono anche elencati i libri rimasti in un magazzino a Pontremoli, colà lasciati per occasion della fiera.Si comprende agevolmente come i Viotti di consueto si recassero per le fiere annuali nei paesi vicini, ove esponevano in vendita la loro merce.Il Marani fu degno della fiducia in lui riposta dal suo benefattore e mantenne la grande reputazione a cui era salita la stamperia ereditata.Ampliò il suo negozio da libraio comprando dalla Ducal Camera di Parma per 16 mila lire imperiali un’altra bottega contigua a quella già posseduta nell’angolo del palazzo dell’Auditore delle cause criminali posto sulla Piazza Maggiore.Il Marani lasciò per testamento, rogato due giorni prima del decesso, eredi universali i due figli Seth ed Erasmo, l’uno di diciannove anni e l’altro di undici, ai quali raccomandò di continuare l’arte.
FONTI E BIBL.: G.Drei, I Viotti, 1925, 30-32; Dizionario editori musicali, 1958, 167; T.Marcheselli, Strade di Parma, III, 1990, 213; Al Pont ad Mez, 1996, 16.
MARANO ANDREA
Parma 1267
Nell’anno 1267 fu il quarto Capitano del Popolo di Parma: Item Dominus Andreas de Marano Civis Parmae fuit quartus Capitaneus Populi Parmae (Chron.Parm., RerumItalicarum Scriptores, tomo IX).
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 100.
MARANO ANSELMO
Parma ante 1276-Parma 1322 c.
Di famiglia patrizia, fu alunno del Monastero di San Giovanni Evangelista in Parma, di cui divenne abate dal 1303 al 1322.Nel 1276 fu lettore nel priorato di San Giacomo in Capoponte a Parma.Eccelse in entrambe le leggi.Appoggiò il vescovo Obizzo Sanvitale e compose dissidi e lotte interne alla città tra Giberto da Correggio e Guglielmo Rossi.Ma quando prevalse la fazione dei ghibellini, fu costretto ad andarsene in esilio (1295).Ritornò a Parma il 13 febbraio 1308 ma, rinnovatesi le lotte intestine contro Gianquirico e Giovanni Sanvitale e accusato di molti reati presso il Legato del papa Bertrando dal Poggetto, il Marano fu imprigionato nel 1322 nelle carceri del vescovo, dove, tra crudeli torture, non molto tempo dopo terminò i suoi giorni.Nella chiesa di San Giovanni Evangelista istituì due benefici sacerdotali nell’anno 1317.
FONTI E BIBL.: G.M.Allodi, Serie cronologica dei vescovi, I, 1856, 604 e 622; M.Zappata, Corollarium abbatum, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 91-92.
MARANO ARMANO, vedi MARANO ERMANNO
MARANO BERNARDO Parma-Genova 1286
Canonico della Cattedrale di Parma, poi abate dei benedettini nel Monastero di San Siro di Genova, il 6settembre 1276 fu nominato Arcivescovo di Genova.Secondo l’Affò e altri autori, era ancora in vita, sempre che si tratti dello stesso personaggio, nell’anno 1307.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 100; A.Schiavi, Diocesi Parma, 1940, 270.
MARANO CIRSACCO
Parma-Bologna post 1255
Fu Abate di Nonantola, carica cui rinunziò nell’anno 1247 perché decrepito.Il Marano fu amico di Tancredo Pallavicino, abate del Monastero di San Giovanni Evangelista di Parma, col quale nel 1252 coabitò in Bologna (Sarti, De claris Archigymn.Bonon.Prof., tomo I, parte II, 78).Viveva ancora nell’anno 1255.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 99.
MARANO ERMANNO
Parma 1339/1344
Fu Vicario di Trento per le cose spirituali negli anni 1339, 1340 e 1341.Si può leggere una sua solenne testimonianza nei Monumenti della Chiesa di Aquileja, scritti da padre de Rubeis (pagina 901).Beltrando, patriarca, nel 1339 celebrò in detta città un Concilio provinciale per restaurare la disciplina ecclesiastica e in esso, per il Vescovo di Trento, sedette Hermannus de Parma, Procurator Nicolai Tridentini.Di lui danno pure notizia due documenti del 1340, contenuti nel Codice Wanghiano.Il primo è del 1° gennaio, col quale Marco Marcobruno di Castelbarco confessa al vescovo principe Nicolò che la giurisdizione di Castel Biseno (Castri et Castellantiae Biseni) apparteneva alla Chiesa Tridentina.A esso intervenne Hermannus de Marino de Parma jurisperitus Vicarius.Lo si trova ancora presente all’atto del 26 febbraio, col quale Federico di Castelbarco, caduto in disgrazia del vescovo Nicolò per vari eccessi commessi, rassegnò nelle mani del medesimo la giurisdizione di tutta la valle Lagarina e specialmente le pievi di Gardumo, Mori, Adelno, Garniga e le castellanze di Gresta, Nomesino e Albano, praesentibus Hermanno de Parma in spiritualibus, Francisco de Arecio in temporalibus jurisperitis Vicariis Domini Episcopi.In un atto del 1341 è detto venerabilis vir D.Armanus de Marano Clericus Parmensis, jurisperitus in spiritualibus, Vicarius gener.Rev. in Christo Patris D.Nicolai Episc.Tridentini.Nell’anno 1344 il Marano fu Vicario in Brescia, giacché nei cataloghi Vicariorum generalium sedis Brixiae, stampati nel 1658, a pagina 137 si legge: an. 1344, Armanus de Marrhano Parmensis Canonicus Tridentinus.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Storia di Parma, I, 1837, Appendice, 55.
MARANO GILIOLO
Parma 1278
Giudice, nell’anno 1278 fu eletto per un semestre Podestà di Parma in nome del Re: Dominus Giliolus de Marano de Parma Judex, fuit electus in Potestatem Reginum pro sex mensibus (Memoriale Potestatum Regii, Rerum Ital., tomo VIII, col.1444; Salimbene, Cronica).
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 99.
MARANO SALVO
Parma seconda metà del XV secolo
Scrisse due Quistioni di Diritto Canonico, che si trovano nel codice CCCCXIX della Biblioteca della Cattedrale di Lucca.È un manoscritto cartaceo in folio della fine del XV secolo e appartenne a Felino Sandeo.Ivi il Marano è detto D.Salvus de Marrano de Parma.Tutto fa credere che il Sandeo abbia proficuamente utilizzato gli scritti del Marano.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 453.
MARANO TEDISIO, vedi MARANO TEDIZIO
MARANO TEDIZIO
Parma 1316
Nipote di Bernardo, gli successe nel Vescovado di Genova l’anno 1316.
FONTI E BIBL.: F.Bordoni, Thesaurus Ecclesiae Parmensis, 1671, 212.
MARASINI CHERUBINO, vedi MARASINI POMPEO
-MARASINI ETTORE Roma 28 novembre 1867 Seguì G. Lorenzo Basetti nella campagna risorgimentale del 1867 in qualità di ordinanza.Nel combattimento del 3 novembre rimase ferito e morì nell’Ospedale di Roma.
FONTI E BIBL.: G.Micheli, In memoria di G.L. Basetti, Parma, Zerbini 1908; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 412.
MARASINI GUIDO
Sorbolo 1884-Milano 1951
Nato da famiglia di modeste condizioni economiche, creò dal nulla una vasta e poderosa attività di affari.Da giovane entrò nel giornalismo e scrisse di argomenti seconomici e finanziari. La sua fortuna nel mondo degli affari ebbe inizio coll’avvento del fascismo.Cominciò ad affermarsi nel commercio del carbone e poi si dedicò all’agricoltura, che ebbe in lui un neofita appassionato e un tecnico competente.La sua azienda agricola di Sorbolo, ove il Marasini impiegò mezzi moderni e razionali, fu additata per anni, anche fuori della provincia, come un insuperato modello del genere.Guida e maestro degli agricoltori parmensi, patrocinò la realizzazione della Casa dell’agricoltore.Morì in seguito alle ferite riportate in un incidente automobilistico.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 90.
MARASINI POMPEO
Brescia 1707-Badia di Torrechiara o Parma 3 agosto 1777
Nato da Flaminio, del piccolo patriziato cittadino, e dalla nobildonna Apollonia Calini.Si presentò al monastero di San Giovanni Evangelista in Parma per vestir Monaco il 9 aprile 1726, alla vigilia della professione del fratello Flaminio.La presenza del fratello, inviato a Parma (dove si trattenne sino al 1733) dai superiori della comunità di Santa Eufemia di Brescia a nome della quale il 12 aprile pronunciò i voti monastici, può giustificare il diretto ingresso del Marasini in San Giovanni, pur contando la sua città natale due monasteri benedettini della stessa congregazione.Esaminato e accettato dai superiori, vestì la tonaca in Capitolo la sera del 26 aprile col nome di Cherubino, iniziando sotto la guida di Angelo Maria Bolsi l’anno di noviziato, conclusosi con la solenne professione pronunciata il 28 aprile 1727.Seguirono gli anni di preparazione al sacerdozio durante i quali il Marasini, studente di filosofia e di teologia, ricoprì i primi incarichi, in quell’articolato ordinamento che regola la vita della famiglia monastica ripartendo i più minuti compiti tra i vari suoi membri, quale addetto prima all’infermeria e quindi alla foresteria.Ricevuti i quattro ordini minori dall’abate Basilio Spiga (1728) e promosso al suddiaconato e al diaconato dal vescovo di Parma Marazzani (1732), finalmente il 28 ottobre 1733 fu ordinato sacerdote dal vescovo di Crema, Calini.Gli anni successivi videro il Marasini portarsi a Brescia e di là raggiungere il monastero di Ragusa in Dalmazia, per assumerne l’amministrazione in qualità di cellerario.L’assenza da Parma, interrotta da una breve parentesi (1737) in cui lo si ritrova sagrista in San Giovanni, si protrasse per circa sei anni.Rientrato definitivamente nella comunità di San Giovanni nel luglio del 1740 e ricoperti gli uffici di concellerario e di procuratore, nel 1745 fu aggregato alla famiglia di Torchiara, da prima quale economo e in seguito, a partire dal 1748, quale rettore.Nello stesso anno gli fu conferito il titolo di Priore di Santa Lucia di Corcagnano.La Badia foranea di Torrechiara, destinata a luogo di villeggiatura del monastero cittadino che la affollava in occasione delle periodiche ricreazioni, ospitò abitualmente una piccola comunità di monaci, spesso anziani o bisognosi di aria pura, affidata alle cure del rettore e di un economo che assicuravano l’ufficiatura della cappella e l’amministrazione delle proprietà.Il Marasini, nella quiete del piccolo chiostro affacciato sul greto della Parma, maturò la passione per la poesia, fregiandosi, secondo la moda, del nome arcadico di Brescillo Ferinte.Dopo un temporaneo ritorno in San Giovanni, nel 1760 rientrò alla Badia di Torrechiara, dove rimase, di nuovo in veste di rettore, fino alla morte che lo colse all’età di 70 anni.
FONTI E BIBL.: Libro nel quale si registrano il Convento, gli Officiali, e le altre determinazioni del Monastero di S. Giovanni Vangelista di Parma; gli avvisi soliti darsi in Capitolo ogn’anno dal R.mo P.re Abbate, i Decreti del Capitolo Generale, e della Dieta, ed altri particolari del R.mo P.Presidente ed iniziati rispettivamente negli anni 1698, 1732 e 1766, in Archivio di Stato di Parma, Conventi, S.Giovanni Evangelista, busta 201; C.Camorali, Cherubino Marasini da Brescia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1973, 177-198.
MARASTONI ALDO
Guastalla 12 dicembre 1924-Parma 28 aprile 1984
Il Marastoni trascorse gli anni dell’adolescenza e della sua formazione nel Seminario Maggiore di Parma.Il 22 giugno 1947 fu ordinato sacerdote.Iniziò con entusiasmo l’esercizio del ministero eucaristico e, nel contempo, prese a frequentare l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove si laureò in lettere nel 1951 discutendo una tesi in letteratura latina sulle Silvae di P.Papinio Stazio.Relatore fu Benedetto Riposati, con il quale collaborò nel medesimo Ateneo, dapprima come assistente volontario, poi dal 1956 al 1958, come incaricato, e, dalla fondazione, presso il Centro di Studi Varroniani di Rieti.Negli studi filologici e umanistici, il Marastoni si distinse per preparazione e rigore critico.Proseguì la ricerca e nel febbraio del 1953 ottenne il diploma di perfezionamento in Filologia e Antichità Classiche e nel 1962 conseguì la libera docenza in letteratura latina, confermata nel 1967.Dell’intenso lavoro di quegli anni restano gli scritti Nonnulla de P.Papini Stati Silvarum editionibus (in Aevum 30 1956, 354-362) e Per una nuova interpretazione di Stazio poeta delle Selve (in Aevum 31 1957, 393-414, e 32 1958, 1-37), propedeutici all’edizione critica delle Silvae (Lipsia, 1961), ma pure finissima e geniale rilettura di un autore dotto che fonde nella sua poesia la realtà quotidiana e la preziosità di pensiero.Quell’edizione del 1961 fu riveduta e ampliata: ne risultò un’opera ancora più esatta, P.Papini Stati Silvae, recensuit Aldus Marastoni, editio stereotypa correctior adiecto fragmento carminis De bello Germanico (Lipsiae, in aedibus Teubnerii, 1970) che fu preceduta da Der Dichter Statius (in Das Altertum 15 1969, 220-237).All’attività scientifica il Marastoni affiancò l’insegnamento.Lo ebbero docente l’Apostolico Istituto di Castelnuovo Fogliani dal 1956 al 1968 e il Seminario Maggiore di Parma dal 1951 al 1964.All’Università di Parma tenne l’incarico di lingua e letteratura latina nella facoltà di Magistero dal 1964 al 1969.Nel novembre del 1969 passò all’Università Cattolcia di Milano e vi rimase quale professore associato di letteratura latina nella facoltà di Lettere e Filosofia fino al 1984. L’impegno didattico non andò disgiunto dal suo apostolato: in Seminario seguì e indirizzò la crescita intellettuale e personale dei seminaristi, all’Università predicò una ricerca della verità condotta tra fides e intellectum, indicando un modello di sapere e di cultura a misura d’uomo.Nel 1971, stampato a Padova, vide la luce il testo dell’Adversus Valentinianos di Tertulliano da lui curato.Il libello era rimasto all’edizione di Emilio Kroymann del 1906 e mancava del corredo di studi specifici.Il Marastoni, come era sua prassi consueta, portò l’indagine al cuore dell’argomento, lo inquadrò nell’ambito della gnosi cristiana e della tradizione del pensiero occidentale, analizzò il disegno espositivo, il piano concettuale e le questioni lessicali e affrontò problemi filosofici, teologici e letterari.Nel 1974, ancora per i tipi della casa editrice Teubner di Lipsia, pubblicò l’edizione critica dell’Achilleis di Stazio.In quel medesimo anno le discipline filologiche e letterarie si arricchirono del contributo pregevolissimo della Bibliografia Varroniana, a cura di Benedetto Riposati e del Marastoni (Milano, 1974), un repertorio che è, per certi aspetti, una storia della fortuna di M.Terenzio Varrone negli ultimi quattro secoli, completo di tutti gli scritti sull’autore reatino, dall’invenzione della stampa alle ricerche successive.Nella Presentazione (pagina 8), B.Riposati così scrive: Al prof.Marastoni ho riservata la prima parte della raccolta, quella che va dall’età degli incunaboli al 1550.Campo, questo, assai oscuro ed irto di difficoltà, che il Marastoni, mettendo a profitto la sua dottrina e la sua rara competenza in materia, è riuscito ad illuminare di chiara luce e a dare un’anima e un corpo, con distinta fisionomia, alle confuse e affastellate notizie varroniane del periodo.Una cultura vastissima, innestata sulla conoscenza della filosofia, delle scienze umane e di tutte le discipline ausiliarie degli studi classici, dalla papirologia alla paleografia, al diritto, costituì il sustrato della sua produzione scientifica (quasi cento titoli), contraddistinta da una esigenza costante di perfezione e raffinatezza.Costruì edizioni nitide e impeccabili nelle quali la critica del testo, aliena da ogni forma di filologismo ipercritico, diventa approfondimento dell’autore e della sua opera.Questa direttiva di ricerca lo portò a considerare in una prospettiva umanistica la filologia, della quale vide l’attualità come scienza viva e perenne siccome vivo e perenne è il mondo ch’essa ha illustrato, custodito e salvato. La sua interpretazione del mondo classico si fece più impegnativa, originale e incisiva, in quanto volta a cogliere la continuità tra passato e presente e a scoprire la realtà autentica dell’uomo, il senso dell’essere e il dramma dell’esistenza.La specificità della sua lettura consistette nel ripercorrere il cammino spirituale dell’uomo inserito nella storia e nel circoscrivere l’ambito di autonomia decisionale della creatura per scoprirne il valore e la dignità.Nella cultura il Marastoni rintraccia l’impronta dell’uomo e nell’uomo, non importa se cristiano o pagano, il segno tangibile di Dio.Fu questa l’ottica sapienziale sempre presente nella sua opera scientifica quale parte sostanziale.La si scorge, forse più evidente che altrove, nel suo commento ai Dialoghi di Seneca (Milano, 1979).Questi scritti sono rivisitati e ritradotti alla luce di nuovi e potenti rilievi concettuali cosicché la vitalità del pensiero senecano ne esce rafforzata e le ragioni ultime di quel filosofare vengono ricondotte, all’interno di un discorso missionario, alla definizione di una antropologia, di una psicologia e di una morale che consentono all’io di verificare il proprio ruolo e la dimensione etica dell’agire.E non si deve dimenticare che l’indagine sull’essere umano immerso nel fluire della storia con il suo fardello di contraddizioni, il guadagno del vivere, la provvisorietà che offusca le opere e i giorni, il dialogo tra l’uomo e Dio nel mistero del trascendente e la morte come ultimo quesito esistenziale furono le tematiche cardinali sottese al suo insegnamento.Il 24 giugno 1964, il Marastoni fu insignito del titolo di Canonico Onorario della Basilica Cattedrale di Parma quale segno della riconoscenza della Diocesi per l’insegnamento che da quattordici anni imparte magistralmente nel nostro Seminario Maggiore, per l’assistenza culturale che ha sempre prestato alle Nostre Associazioni Universitarie di Azione Cattolica, per la collaborazione che dà nel ministero pastorale al Parroco di San Michele dell’Arco, per l’onore che riflette sul Nostro Clero col suo insegnamento nella Università Cattolica del Sacro Cuore e nell’Apostolico Istituto di Castelnuovo Fogliani e colla Libera Docenza in Letteratura Latina da Lui conseguita brillantemente.Al patrimonio culturale parmense dedicò diversi studi: Il frammento dantesco della Biblioteca del Seminario Maggiore di Parma (in Studi Danteschi 43 1966, 239-261), Stefano Corallo, editore di Stazio (in Archivio Storico per le Province Parmensi 18 1966, 267-274), La poesia latina di Sestio Bercetese (in Archivio Storico per le Province Parmensi 19 1967, 131-143), L’orazione ciceroniana pro Ligario tradotta da L.A. Pagnini (in Archivio Storico per le Province Parmensi 22 1970, 1-30) eLo stampatore parmense di San Gerolamo, in Aurea Parma 59 1975, 1-8. Si devono ricordare pure i suoi ultimi studi, segnatamente quelli su Apuleio, rimasti interrotti, e un suo interesse particolare: lo studio della Sacra Sindone.Il Marastoni scoprì sul Santo Lino scritte latine e lettere ebraiche, prese in esame la problematica relativa avviando un’analisi cui fu supporto la sua competenza nel campo dell’esegesi neotestamentaria e la sua esperienza di interprete di letterature antiche (A.Marastoni, Tracce di scritte sulla S.Sindone di Torino, in Sindon 29 1980, 9-12; Le scritte sulla S.Sindone: lettura e relativa problematica, in La Sindone, scienza e fede.Atti del II Convegno Nazionale di Sindonologia, Bologna, 1983, 161-164).Fu membro attivo della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi e apprezzato collaboratore dell’Archivio Storico e di Aurea Parma.
FONTI E BIBL.: M.G.Bajoni, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1984, 39-45; Aurea Parma 2/3 1984, 89-90.
MARAZO SILVIO, vedi MARAZZI SILVIO
MARAZZANI CAMILLO
Piacenza 20 marzo 1682-Parma 12 agosto 1760
Figlio del conte Gianfrancesco e della marchesa Fulvia Soresini Vidoni, il cui padre fu grande di Spagna.Venne educato nel Seminario Romano.Fece una difesa di teologia e la dedicò al pontefice Clemente XI.Questo Papa lo dichiarò Referendario dell’una e dell’altra segnatura, governatore della città di Terni e poi della Provincia Sabina.Non aveva ancora compiuto il trentesimo anno, che il 20 marzo 1711 fu promosso al Vescovado di Parma, vacante per la rinunzia dell’Olgiati, e il 7 giugno fu consacrato da Clemente XI.In tale occasione fu creato Prelato domestico e assistente al soglio pontificio.Fece il suo solenne ingresso in Parma il 6 dicembre 1711.Elesse suo vicario Francesco Monacelli. Il 22 maggio 1712 il Marazzani aprì la visita pastorale in Cattedrale.Nell’ambito dei preparativi per le nozze tra Elisabetta Farnese e Filippo di Borbone, re di Spagna, il 14 settembre 1714 il cardinale Gozzadini giunse al ponte d’Enza dove si incontrò col duca Francesco Maria Farnese. Entrambi andarono alla Certosa, dove si era preparato l’alloggio per il Cardinale e la sua corte.Il 15, giorno destinato al solenne ingresso, nel luogo dove la strada maestra viene attraversata da una strada che va al monte, e dall’altra parte va alla Certosa, fu preparato un ampio recinto adorno di arazzi e coperto di tela a difesa del sole, con eretto nel mezzo un trono con baldacchino ricoperto di velluto cremisi, ove sedeva il cardinale.Il Marazzani, apparato in piviale col Capitolo in cappa, e tutto il Clero secolare e regolare, venne a incontrarlo.Poi arrivò a cavallo il Duca accompagnando il cardinale Acquaviva e il principe Antonio Farnese.Il corteo si incamminò per la strada di San Michele, sino alla piazza, quindi alla strada Santa Lucia e al Duomo.Il 16 settembre 1714 il cardinale legato fu ricevuto in Duomo dal Marazzani in abito di Prelato e dal Capitolo in cappa.Finito il Credo, si lessero i mandati per lo sposalizio per procura.Dopo la messa il legato presentò la Rosa d’oro alla Regina.Si cantò il Te Deum e dopo i convitati col cardinale andarono al Palazzo Ducale.Il 18 settembre il Marazzani fece sapere al Capitolo che la Regina voleva dare un contrassegno del suo affetto alla Chiesa di Parma facendole dono della Rosa d’oro.Il 21 la Rosa d’oro fu donata al Marazzani, il quale la consegnò al Capitolo (ne fece rogito il 17 ottobre 1714 il cancelliere vescovile Giuseppe Tosi).Il 29 ottobre 1714 il Marazzani nominò due esaminatori prosinodali: Alessandro Graziani, suo uditore, e il Badia.Il Marazzani, trovandosi in Roma, scrisse il 22 febbraio 1719 una lettera al Capitolo e un’altra al Venerando Consorzio, congratulandosi con entrambi perché avevano con sollecitudine procurato un buon servizio nella Cattedrale di Parma: si riferisce all’accordo stabilito tra il Capitolo e il Consorzio per poter dire il Vespro prima della predica in tempo di Quaresima. Il 14 agosto 1727 si cantò il Te Deum in Duomo per l’assunzione al trono del nuovo duca Antonio Farnese e per le sue nozze, stabilite con la principessa Enrichetta d’Este, terza figlia del duca di Modena Rinaldo.Il giorno seguente il Marazzani fece Pontificale, col suono di tutte le campane.Il 14 novembre del medesimo anno benedisse in Duomo lo stendardo di San Pellegrino Laziosi, dell’Ordine dei Servi di Maria,canonizzato da papa Benedetto XIII. Vi intervenne anche il Comune.Si fece la processione, che uscì dalla porta maggiore, andò alla strada Santa Lucia, alla piazza, poi per la strada San Michele, a Sant’Antonio e alla chiesa dei Serviti superbamente ornata, nella quale si collocò la sacra immagine dinanzi l’altare del Trono.Poi, cantato il Te Deum, il Marazzani diede la benedizione con accompagnamento di musica sontuosa. Il 20 luglio 1728 Enrichetta d’Este fece il suo ingresso in Parma.Il Marazzani, preceduto dal clero secolare, Capitolo, Consorzio e Seminario è seguito dall’anzianato di Reggimento, andò processionalmente fuori di porta.Giunto alla chiesina e approssimandosi la sposa, il Marazzani le andò incontro e la ricevette in chiesa.Gli sposi si inginocchiarono, fu cantata l’antifona ista est speciosa, il Marazzani diede a baciare la croce e, dette le consuete orazioni, complimentò la sposa.Portatosi il corteo alla Cattedrale, la sposa, fermatasi sulla porta, ricevette l’acqua santa dal Marazzani.Gli sposi si inginocchiarono nello stalletto coperto di broccato bianco davanti all’altare maggiore.Il Marazzani in cornu epistolae recitò alcune orazioni, andò al proprio baldacchino dinanzi ai principi, intonò il Te Deum e poi diede la pastorale benedizione.Indi, spogliatosi degli abiti pontificali, accompagnò sino alla porta gli sposi, che, montati in carrozza, andarono a Corte. Il 20 gennaio 1730 morì il duca Antonio Farnese, che, supposta incinta le vedova Enrichetta d’Este, lasciò erede la prole nascitura e la dichiarò reggente dello Stato con l’assistenza del Marazzani, del conte Odoardo Anviti, segretario del Duca, del conte Dal Verme, intendente di Corte, del conte Artaserse Bajardi e del conte Giacomo Antonio Sanvitale, gran contestabile dell’Ordine Costantiniano.Il 26 febbraio 1731 si fece in Duomo un secondo funerale per il duca Antonio Farnese a spese del Marazzani, delCapitolo e del Consorzio.Il 13 novembre del medesimo anno il Marazzani nominò esaminatori sinodali Giuseppe Bazzani, prevosto di Sant’Andrea, e Alberto Malpeli, lettore di Teologia.Il 28 giugno 1735 morì il conte canonico Ottavio Galla: la sua prebenda fu data dal Marazzani (30 giugno) al conte Corrado Tarasconi.Il 28 febbraio 1736 il Marazzani elesse Giudice sinodale Giuseppe Maria Casapini.In quel tempo era in uso suonare la maggiore delle campane del Duomo, il bajone, 294 volte l’anno e molto a lungo.Il Marazzani fece stabilire dal Capitolo che si suonasse solo 117 volte l’anno e solo un quarto d’ora per volta.Il 18 luglio 1744 considerando l’eccessivo calore che si creava nel sotterraneo in occasione di funzioni solenni, fece fare due grandi aperture nel volto, chiuse con due inferriate, e questo a sue spese. Il 28 dicembre 1745 celebrò in Cattedrale la sua prima messa il conte Francesco Bajardi, canonico coadiutore del marchese Alessandro Verugoli nella prebenda di San Martino di Sinzano, coll’intervento di tutto il Capitolo, del Marazzani, dei guardacoro e dei seminaristi. Il 16 marzo 1748 nominò quattro esaminatori prosinodali: il conte canonico e prevosto Girolamo Bajardi, il consorziale Alessandro Pisani, dottore del collegio dei giudici, abate di San Marcellino e prevosto di San Nicolò, Francesco Bertolini, prevosto delBattistero, Alberto Malpeli, consorziale, mansionario, uditore delle cause nella Curia e protonotario Apostolico.Il 21 maggio del medesimo anno, il Marazzani accordò il permesso di abbreviare la processione del terzo giorno delle Rogazioni.Il 15 settembre 1748 morì la duchessa Dorotea Sofia di Neoburg, vedova in seconde nozze del duca Francesco Farnese.Gli impartì l’assoluzione in articulo mortis il mansionario Alberto Malpeli, quale delegato del Marazzani, impegnato nella visita pastorale.Nel giugno del 1750 papa Benedetto XIV impose un sussidio ecclesiastico sopra le rendite dei benefici della Diocesi di Parma: il 6 luglio il Marazzani deputò l’arcidiacono Francesco Pettorelli e il canonico Camillo Stavoli a determinare la tassa che doveva spettare a ciascun ecclesiastico e nominò tesoriere il conte e canonico Giovanni Cerati, prevosto della parrocchiale di San Pietro.Il 20 gennaio nacque Ferdinando di Borbone, primogenito del duca Filippo.Due giorni dopo i rappresentanti del Comune di Parma assistettero al Te Deum in Duomo, il Capitolo esternò al Sovrano le sue congratulazioni e il bambino fu battezzato dal Marazzani nella cappella reale.Il 13 febbraio 1752 nominò due esaminatori prosinodali: l’avvocato Bertoncelli, dottore in sacra teologia, e Francesco Astori, dottore di teologia e rettore della chiesa parrocchiale di Sant’Apollinare.Il 29 novembre 1753 (rogito del notaio e cancelliere della Curia vescovile Antonio Campagna) i canonici, dietro licenza ottenuta dal Marazzani, fecero aprire il reliquiario di San Bernardo dall’Orefice Barbieri, per pulirlo.Il Marazzani (12 dicembre 1753), facendo uso della facoltà concessagli dal Papa, sostituì l’altare dello Sposalizio della Beata Vergine sotto confessione all’altare di Sant’Agata.Non essendosi potuto mantenere l’uso del Panegirico per la scarsezza degli Oratori, il Marazzani, dietro istanza del Capitolo, commutò quest’onere in altre spese per ornamento della cappella di San Bernardo, tendenti all’ampliamento del suo culto.Nel 1755 la congregazione delMonte di pietà ricorse al Papa per ottenere la facoltà di ritenere ogni anno in aumento di capitale gli avanzi che si ricavavano dagli interessi dei prestiti, che, secondo la bolla d’erezione di papa Innocenzo VIII, dovevano distribuirsi in elemosine ai poveri.La congregazione dei Cardinali rimise al Marazzani la supplica, con facoltà di concedere la grazia implorata per un decennio, ed egli concesse detta facoltà ai conservatori e presidenti del Monte di pietà con decreto del 7 settembre 1756 (rogito di Francesco Rosati, notaio e vicecancelliere vescovile). Il 22 luglio 1757 elesse l’avvocato Tommaso Bertolotti esaminatore prosinodale in luogo del defunto Astori.L’8agosto 1760 il Marazzani, gravemente infermo, ricevette il sacro viatico, in forma privata.Il 12, essendo ormai in punto di morte, il Capitolo stimò prudente eleggere l’economo della mensa e del Vicedomo.Il Marazzani fu preconizzato Cardinale e lo sarebbe probabilmente divenuto se non avesse avuto contraria la Corte di Spagna a causa del suo operato al tempo della Reggenza, avendo permesso che le truppe imperiali entrassero in Parma e in Piacenza e prendessero a nome di Carlo il possesso dei Ducati.Perciò nella promozione dei ventotto Cardinali fatta da papa Benedetto XIV nel 1740 il Marazzani fu depennato, e al suo posto fu eletto un altro piacentino: Francesco Landi, arcivescovo di Benevento.Alcuni storici affermano anche che nel conclave tenuto in Roma per l’elezione del nuovo papa (fu poi eletto Benedetto XIV), non riuscendo i cardinali ad accordarsi, convennero a un certo punto di nominare il vescovo più anziano, che era appunto il Marazzani.Ma anche in questa occasione il nome del Marazzani avrebbe trovato una drastica chiusura dall’ambasciatore della Corte spagnola. Il Marazzani fu il primo vescovo che celebrò in Cattedrale la festa di Sant’Ilario con decorosa pompa.Lasciò per testamento tremila scudi romani in contanti da distribuire ai poveri attraverso il sacro Monte di pietà.Lasciò al Capitolo quattordici incisioni in rame, due delle quali più grandi, di Giacomo Giovannini, bolognese, perché ne fosse ornata la stanza in cui si raduna il Capitolo, avvertendo li signori canonici pro tempore a non permetterne la stampa acciò non venghino a perdere con essa la memoria e dell’autore, e del donatore. Fu sepolto nella cappella di Sant’Agata dalla parte del Vangelo, ove gli fu posta un’iscrizione.
FONTI E BIBL.: G.M.Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, II, 1856, 334-378; L.Mensi, Dizionario biografico dei piacentini, 1899, 268; A.Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 242.
MARAZZANI VISCONTI CAMILLO, vedi MARAZZANI CAMILLO
MARAZZI ASCANIO
San Secondo 1582 c.-Novellara 2 febbraio 1640
Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1579 all’età di circa diciassette anni.Completato il noviziato, studiò Retorica, che poi insegnò per molti anni nel Collegio di Mantova.In seguito studiò Filosofia e Teologia, fermandosi alcuni mesi a Padova.Fu poi chiamato a Roma dal padre generale Acquaviva, che lo affiancò al maestro dei novizi di Roma, il nobile Fabio Fabi.Nell’anno 1599 fu trasferito a Novellara come Maestro dei novizi e come insegnante di Retorica: vi rimase trent’anni.Per la sua erudizione, fu promosso al grado di Professo dei quattro voti.In età avanzata fu a lungo travagliato da infermità e specialmente dal mal di pietra. Negli ultimi anni di vita, per la sua decrepitezza, fu alleggerito degli incarichi di governo e di insegnamento. Morì, per un ulteriore attacco di mal di pietra, nella Casa di Probazione di Novellara.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 92-96.
MARAZZI BARTOLOMEO
Parma 23 maggio 1670-Borgo San Donnino 27 febbraio 1729
Figlio di Giovanni e Francesca. Frate cappuccino, compì la professione solenne a Carpi il 15 febbraio 1688.Fu sacerdote di egregie virtù, corifeo dei conventi per la sua buona voce, nemicissimo dell’ozio.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 154.
MARAZZI ETTORE
Parma 1 luglio 1878-post 1943
Dall’Arma di Cavalleria (Maresciallo del 23° Cavalleggeri) passò nel 1908 Capo motorista a Cascina Malpensa e conseguì il brevetto di pilota civile a Taliedo il 30 giugno 1912 e quello militare a San Francesco alCampo il 30 luglio1913.Fu istruttore alla Malpensa nel 1914 e 1915.Battè il record d’altezza con apparecchio Caproni salendo a 5000 metri con 1000 chilogrammi di carico di collaudo.Partecipò alla guerra contro l’Austria e fu comandante della 1a Squadriglia da bombardamento.Fu promosso Capitano per meriti eccezionali e decorato di medaglia d’argento e di bronzo al valor militare. Fu un pioniere del’Aeronautica Italiana.
FONTI E BIBL.: E.Grossi, Eroi e pionieri dell’ala, 1934, 165; M.Cobianchi, Pionieri dell’aviazione, 1943, 434.
MARAZZI GIUSEPPE, vedi BOSCHI PAOLO
MARAZZI SILVIO
Cremona 1577/1581
Religioso, visse probabilmente a Parma, come testimonia la dedica al Marchese di Soragna, membro della nobiltà locale, premessa al Primo libro de’ madrigali a tre voci. Fu autore delle seguenti composizioni: Il primo libro de’ madrigli a tre voci(Parma, 1577), Motecta quinque vocum liber primus (Venezia, 1581) e altri mottetti in raccolte a stampa e manoscritte dell’epoca.
FONTI E BIBL.: Dizionario musica e musicisti UTET, Appendice, 1990, 516.
MARAZZO, vedi MARAZZI
MARAZZOLI MARCO
Parma 1602 c.-Roma 26 gennaio 1662
Cantore nel Duomo di Parma e virtuoso d’arpa, formatosi alla scuola del Teatro della Pilotta, fu allievo di G.Allegri.Nel 1637 si trasferì a Roma ed entrò al servizio dei Barberini in qualità di virtuoso d’arpa.Nello stesso anno (23 maggio) per interessamento del cardinale Antonio Barberini, fu accolto nella cappella pontificia come tenore soprannumerario, passando poi al ruolo definitivo nel marzo 1640. Fu quindi musicista di camera della regina Cristina di Svezia ma si dedicò soprattutto all’attività teatrale trascurando ogni altro servizio.Al 1639 rimonta la sua collaborazioneal dramma Chi soffre speri che, già apparso sulle scene del teatro Barberini nel 1637 con la musica di V.Mazzocchi, aveva seguito le tendenze innovatrici di Rospigliosi e di Bernini.Aderendo al genere spettacolare di tali rappresentazioni, il Marazzoli aggiunse, realizzandola con un concertato, la scena pseudo-realistica della fiera di Farfa, tipico esempio di aristocratica deformazione satirica della vita quotidiana in funzione antinomica di risalto al più eroico mondo dei protagonisti (la rappresentazione è celebre anche per la partecipazione di Salvator Rosa nei panni di Coviello e per la presenza di Milton tra gli spettatori). Fu a Ferrara dal 7 luglio 1640 al febbraio 1641 per la rappresentazione del suo dramma, l’Amore trionfante dello sdegno, fatto rappresentare dai Bentivoglio in occasione delle nozze Martinengo-Bonelli (ripresapoi nella stagione successiva per festeggiare una visita del principe Taddeo Barberini). Dopo una breve permanenza a Roma, il 16 novembre 1641 il Marazzoli tornò a Ferrara con una compagnia di cantanti assunti per il nuovo Carnevale.Per interessamento di Grimani, si recò poi a Venezia a curare l’allestimento di Eco e Narciso immortalati (30 gennaio 1642, librettodi O.Persiani, già musicataa Roma da F.Vitali per le scene del Teatro dei Santi Giovanni e Paolo, ma rimaneggiato dal Marazzoli che aveva criticato la musica conforme e mottetti) e della sua nuova festa teatrale Gli Amori di Giasone e d’Isifile. A Ferrara, il Marazzoli pose poi in musica Le Pretensioni del Tebro e del Po, introduzione a un torneo combattuto il 4 marzo 1642 nella corte ducale, in onore di Taddeo Barberini. Nel 1642 seguì i Barberini durante la guerra di Castro contro Odoardo Farnese. Nel 1643, a Roma, il Marazzoli entrò in contatto con Elpidio Benedetti, segretario del cardinale Mazzarino, che scritturava una compagnia di musici per la Francia.Il 28 novembre 1643, insieme alla cantante L.Baroni e ad altri musici, il Marazzoli si trasferì in Francia con l’incarico di allestire rappresentazioni alla Corte di Luigi XIV.Nella sala di Palais Royal, il 28 febbraio 1645 fu rappresentata una commedia musicale (interpretata, tra gli altri, da Jacopo e Atto Melani e da Anna Francesca Costa) che Prunières identifica nella pastorale Nicandro e Fileno e ritiene fosse musicata dal Marazzoli.Questo soggiorno in Francia gli fruttò una pensione, da parte del governo francese, di 1000 livres l’anno.Tornato a Roma il 28 giugno 1645, divenne compositore ufficiale della corte pontificia e papa Urbano VIII gli conferì la carica di bussolante (addetto alla custodia degli appartamenti pontifici).Attivo alla Vallicelliana, al Santissimo Crocifisso e a Santa Maria Maggiore, di cui godette un beneficio, fu anche al servizio dei Chigi, per i quali, oltre che per i Barberini, compose numerose cantate.Intanto, riaperto il teatro Barberini, il Marazzoli musicò nuovi testi di Rospigliosi: nel 1653, in occasione delle nozze di Maffeo Barberini con Olimpia Giustiniani, Dal male il bene in collaborazione con A.M.Abbatini, nel 1654 L’Armi e gli amori, commedia di soggetto spagnolo, e infine nel 1656, in occasione dei festeggiamenti per Cristina di Svezia (per i quali fu ripresa anche Dal male il bene), La Vita humana ovvero Il Trionfo della pietà, replicata più volte fino al 1658.Nel 1657 il Marazzoli inviò in Francia le musiche per L’Amore malato che, intercalato con 10 entrées di Lulli, fu cantato e danzato, il 17 gennaio, nella grande sala del Louvre. Insieme con V.Mazzocchi e A.M.Abbatini, il Marazzoli dette un apporto determinante all’evoluzione del teatro lirico romano: furono questi autori a introdurre l’elemento comico, il recitativo secco e i finali concertati.Frutto di collaborazione sono le due opere più rappresentative del Marazzoli: Chi soffre speri (con V.Mazzocchi) e Dal male il bene (con A.M.Abbatini).Dal male il bene, inserendosi nell’ormai collaudato filone spagnolesco, rappresenta la nascita vera e propria dell’opera comica, rafforzando musicalmente quelle espressioni di comicità che appaiono qui assai più progredite rispetto a quelle di Chi soffre speri.Il recitativo, più fluido, più scorrevole, ha già chiaramente i caratteri di quello che in seguito verrà chiamato recitativo secco.Nell’opera è sfoggio di una grande varietà di forme nelle arie: tra queste notiamo la forma semplice AB, la cosiddetta aria del Seicento ABB, la forma a rondò, nonché quella che sarebbe stata sfruttata verso la fine del secolo XVII, cioè l’aria col da capo o ABA.Si nota una tendenza crescente verso l’esibizionismo vocale se non addirittura verso il virtuosismo.I metri ternari sono riservati quasi esclusivamente alle arie di stampo lirico, mentre prevale l’uso dei metri binari per le melodie meno sentimentali. Ogni atto termina con un insieme.Un vero e proprio finale crea quel clima di massima espansione del discorso musicale che annuncia la conclusione dell’opera.Nessun altro musicista dell’ambiente romano della metà del secolo XVII aderì più profondamente del Marazzoli ai gusti e alla sensibilità dell’epoca.Il Marazzoli ricercò su vie del tutto nuove una individuazione drammatica stilizzata che lo condusse, nell’ambito della sua produzione teatreale, dalle iniziali raffinatezze dei recitativi dell’Amore trionfante dello sdegno, dove riaffiora ancora la preziosa elaborazione propria della sua educazione manieristica, a un gusto sempre più disinvolto per gli aggruppamenti vocale e le scene d’insieme.In lui si avvicendano gli aspetti più antitetici del Barocco: da una parte l’allucinante fantasia delle celebrazioni devozionali controriformistiche che, pur rallentando l’azione allegorico-morale del Trionfo della pietà, l’arricchisce di suggestivi aspetti timbrici e di una particolare fluidità cromatica, dall’altra la commedia barberiniana, cui il Marazzoli diede il contributo di preziose novità formali ed espressive, quali i finali d’insieme e il recitativo a tutti concertato. Ma l’essenza più intima della musica del Marazzoli fu la tendenza continua a un’evasione contemplativa che, pur articolandosi su una materia austera e passionale, anticipò tuttavia l’Arcadia e il Settecento musicale. Gli oratori in lingua italiana del Marazzoli (composti presumibilmente negli anni 1639-1640) sono forse i più antichi oratori in lingua italiana che siano pervenuti.Essi rappresentano una fase intermedia dello sviluppo di questa forma musicale da Anerio a Carissimi.I recitativi, drammatici e del tutto originali, sono tra le cose migliori nel genere, paragonabili ai recitativi monteverdiani.Nei cori la struttura polifonica raccoglie il carattere epico di Anerio e quello più realistico di Stefano Landi, andando al di là dello stile omogeneo di Carissimi per l’inventiva ritmica e armonica.I9 volumi di cantate, con e senza strumenti, la maggior parte delle quali composta per i principi Chigi e per la dimora di papa Alessandro VII a Castel Gandolfo, sono tra le cose più interessanti del Marazzoli, offrendosi come ponte di collegamento tra la rivoluzione musicale barocca di Monteverdi e l’epoca aurea di A. Scarlatti. Il Marazzoli fu autore delle seguenti composizioni: opere teatrali, Chi soffre speri, commedia in collaborazione con V.Mazzocchi (libretto G.Rospigliosi; Roma, 1639: rielaborazione con l’aggiunta di tre intermezzi de Il Falcone, Roma, 1637), Amore trionfante dello sdegno (Ferrara, 1641-1642), Gli amori di Giasone e d’Isifile (O.Persiani; Venezia, 1642), Le pretensioni del Tebro e del Po (testo di Ascanio Pio di Savoja; Ferrara, 1642), Armida (Ferrara, 1642), Capriccio (Roma, 1643), Il Sant’Eustachio (Roma, 1643), Il giudizio della ragione tra la beltà e l’affetto (F.Buti; Parigi, 1644), Dal male il bene, in collaborazione con A.M.Abbatini (G.Rospigliosi, da No siempre lo peor es cierto di Calderòn; Roma, 1653), Le armi e gli amori (G.Rospigliosi, da No siempre lo peor es cierto di Calderòn; Roma, 1654), La vita umana over Il trionfo della pietà (G.Rospigliosi, da No siempre lo peor es cierto di Calderòn; Roma, 1656; dedicata a Cristina di Svezia), Amore malato (Buti; Parigi, 1657); oratori, San Tommaso a 5 voci e Per il giorno della Resurrettione a 6 voci; cantate, Elena invecchiata per due soprani e continuo e Brama la libertà per soprano e continuo.Sono rimasti manoscritti: dialoghi spirituali (oratori), Erat quidem languidus a 9 voci, Venit Jesus a 11 voci, Erat quidam languens Lazarus a 10 voci, O mestissime Jesu a 11 voci, Erat fames in terra Canaan a 5 voci (tutti per doppio coro e strumentoconcertante) e Homo erat pater familias a 9 voci, Poiché Maria dal suo virgineo seno a 6 voci, Qual nume onnipotente a 6 voci, Ecco il gran re dei regi a 6 voci, Udito abbiam Gesù a 6 voci (tutti per coro e continuo); inoltre, mottetti concertati, madrigali spirituali e profani, 9 volumidi cantate (arie, ariette) per complessive 358 composizioni (su testi di S.Baldini, L.Orsini, G.Rospigliosi, A.Abati, G.Pannesio, G.Lotti, D.Benigni, M.Costa e altri).Gli è anche attribuito, in alternativa con Luigi Rossi, un Oratorio di Santa Caterina.
FONTI E BIBL.: A.Ademollo; I teatri di Roma nel secolo XVII, Roma, 1888; R.Rolland, Histoire de l’Opéra en Europe avant Lully et Scarlatti, Parigi, 1895; H.Goldschmidt, Studien zue Geschichte der italienischen Oper im 17. Jahrhundert, Lipsia, 1901; G.Pasquetti, L’Oratorio Musicale in Italia, Firenze, 1906, A.Salza, Drammi inediti di G.Rospigliosi poi Clemente X, in Rivista Musicale Italiana, 1907; H.Pruniéres, L’opéra italien en France avant Lully, Parigi, 1913; U.Rolandi, La prima Commedia musicale rappresentata a Roma nel 1639, in Nuova Antologia 1927; N.Pelicelli, Musicisti in Parma, in Noted’Archivio 1933; H.Pruniéres, Les musiciens du Cardinal Antonio Barberini, in Mélanges de Musicologie offert à M.Lionel de la Laurencie, Parigi, 1933; F.Liuzzi, L’opera del genio italiano all’estero. Imusicisti in Francia, Roma, 1946, 290; U.Rolandi, Il libretto per musica attraverso i tempi, Roma, 1951; P.Capponi, M.Marazzoli e l’oratorio Cristo e i Farisei, in Accademia Musicale Chigiana 1953; A.Ghislanzoni, L.Rossi, Milano-Roma, 1954; S.Reiner, Collaboration in Chi soffre speri, in MR 1961; O.Mischiati, Per la storia dell’Oratorio a Bologna, in Collectanea Historiae Musicae, III, Firenze, 1963; P.Kast, Biographische Notizen zu römischen Musikern des 17. Jahrhunderts, in Analecta Musicologica I 1963; N.Pirrotta, Early Opera and Aria, in New Looks at Italian Opera. Essays in Honor of Donald J.Grout, Ithaca, New York, 1968; W.Witzenmann, Autographe M.Marazzolis in der Bibilioteca Vaticana, in Analecta Musicologica VII 1969 e IX 1970; F.Testi, La Musica Italiana del Seicento, 2 voll., Milano, 1970-1972; R.Giazotto, Quattro secoli di storia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Milano, 1970; T.D.Culley, Jasuits and Music, Roma, 1970; W. Witzenmann, Die römische Barokoper La vita humana ovvero Il trionfo della pietà, in Analecta Musicologica XV 1975; W. Witzenmann, Zum Oratorienstil bei D.Mazzocchi un M.Marazzoli, in Analecta Musicologica XIX 1979; Storia dell’Opera, diretta da A.Basso, 6 voll.Torino, 1977; H.E. Smither, A History of the Oratorio, I, Chapel Hill, 1977; Dizionario UTET, VIII, 1958, 283; Enciclopedia spettacolo, VII, 1960, 88-89; Dizionario Ricordi, 1976, 412; C.Gallico, Le capitali della musica, 1985, 78; A.Iesuè, in Dizionario Musicisti UTET, 1986, IV, 625-626; Dizionario opera lirica, 1991, 521.
MARAZZUOLI MARCO, vedi MARAZZOLI MARCO
MARBINI CLAUDIO
Parma 1866
Bersagliere, fu decorato con medaglia d’argento al valor militare dopo la battaglia di Custoza (24 giugno 1866).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
MARCA MASSIMILIANO
Parma 13 ottobre 1784-Parma 2 febbraio 1863
Figlio del conte Antonio e della contessa Clotilde Chassignon.Educato nel Collegio di Santa Caterina di Parma, sposò nel 1804 la contessa Anna Cantoni di Mantova. Fu cavaliere beneficiario Costantiniano nella Corte parmense, per quaranta anni addetto alle udienze, ciamberlano, gentiluomo di camera e membro della commissione teatrale.Fu decorato di medaglia d’oro per i meriti verso la Patria.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 102; Gazzetta di Parma 5 marzo 1863.
MARCANTI PIETRO, vedi MERCANTI PIETRO
MARCANTONIO, vedi MARCHI ANTONIO
MARCANTONIO DA CARPI, vedi GROSSI MARCANTONIO
MARCELLI FRANCESCO, vedi MAURELLI GIUSEPPE APOLLONIO FRANCESCO
MARCELLINI BARTOLOMEO
Collecchio 1826/1855
Capitano delle truppe ducali di Parma, l’11 aprile 1848 fece parte dell’Anzianato di Parma che nominò il Governo provvisorio.Durante l’epidemia di colera del 1855, nella sua proprietà, posta nei pressi di Collecchio in direzione di Sala, fu installato un lazzaretto per i contagiati.Insieme al fratello Francesco si batté per evitare tale installazione ma senza esito.Fu consigliere anziano del Comune di Collecchio nell’anno 1826. Nel 1848 acquistò da Antonio Ortalli un podere a nord della strada Bergamino di Madregolo.
FONTI E BIBL.: Almanacco di corte per l’anno 1852, Parma, 1852; F.Udeschini, D.Reverberi, Parma dai Farnesi a Vittorio Emanuele II; U.Delsante, Collecchio, strutture rurali e vita contadina, Parma, 1982, 159; Malacoda 9 1986, 47-48.
MARCELLINI GIUSEPPE
Collecchio 28 marzo 1885-Parma 24 settembre 1958
Si laureò in ingegneria industriale al Politecnico di Torino e partecipò alla prima guerra mondiale quale capitano del Genio ferrovieri.Fu un profondo conoscitore dell’archeologia parmense.Quando si scavavano trincee per lo sviluppo d’impianti sotterranei o si smuoveva il terreno per gettarvi le fondamenta di nuove costruzioni, il Marcellini si portava presso gli scavi nell’attesa che il piccone facesse affiorare le vestigia dei tempi remoti.Così, attraverso la scoperta di mosaici, di ruderi e di frammenti antichi, ricostruì con sicurezza i lineamenti di Parma romana e gotica, segnò i limiti della città antica, lo svolgersi delle vie e l’ampiezza delle insulae.Dimostrò vivo interessamento nell’occasione della scoperta dei mosaici paleo-cristiani in Piazza del Duomo (poi collocati nella cripta del Duomo).Il suo progetto di conservare in loco gli elementi scoperti, per quanto non accolto, fu certamente innovativo e geniale.La sua passione archeologica si rivolse soprattutto a due grandi edifici romani: il Teatro e l’Anfiteatro.Esistono nel Museo d’Antichità di Parma le piante di tali edifici, eseguite diligentemente dal Marcellini sulla scorta degli studi ottocenteschi e propri.Anche le lapidi che il Comitato parmense Per l’Arte collocò a ricordo dell’ubicazione dei due grandiosi monumenti romani furono disegnate dal Marcellini.Partecipò all’intensa attività artistica e culturale del Comitato parmense Per l’Arte, di cui fu per molti anni consigliere.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 26 settembre 1958, 3; F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 650; Parma nell’Arte 1 1959, 65-66.
MARCELLINI MAURILIO
Collecchio 1826/1842
Ufficiale urbano, ebbe qualche parte nei moti del 1831.Così lo definiscono i rapporti di polizia: Fu molto imprudente e caldo propagatore di massime sediziose.Comandò vari distaccamenti e figurò tra i trurbolenti del giorno 10 marzo.Umo effeminato e che si è mostrato partitante e di sentimenti liberali sebbene dal processo non siano risultati qualificati aggravi contro di lui. Fu consigliere anziano del Comune di Collecchio tra il 1828 e il 1842, assessore del podestà nel 1829, deputato d’acque e strade tra il 1826 e il 1832.Il 5 marzo 1827 si aggiudicò l’asta per la vendita della terra marna tratta dalla vecchia strada della chiesa di Collecchio, in solido con Pietro Pavesi.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo,Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 191; Malacoda 9 1986, 48.
MARCELLINI MAURIZIO, vedi MARCELLINI MAURILIO
MARCELLINO DA BARDI
Bardi-13 gennaio 1630
Frate laico cappuccino, morì vittima del contagio assistendo i colpiti dalla peste.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 270.
MARCELLO DA PARMA, vedi GRUPPINI GAETANO GIUSEPPE ISIDORO
MARCHELLI DOMENICO
Parma 1812-Firenze 13 giugno 1874
Prese parte ai moti del 1831 e fu inquisito come disarmatore dei Dragoni.Da giovane cantò (basso) più che altro come dilettante. Debuttò il 28 luglio 1837 al Teatro Regio di Parma: oltre all’opera La Nina pazza di Antonio Coppola, venne eseguito il duetto del secondo atto della Lucia di Lammermoor dal tenore Manfredi e dal dilettante basso Domenico Marchelli ed un terzetto posto in musica dal maestro Sanelli nel quale cantarono la prima donna; il primo tenore e il suddetto Marchelli.I quali pezzi furono salutati da applausi e venne fatta replicare la stretta d’ambedue. Il Marchelli fu poi in altri teatri di prim’ordine: nel 1838 al Comunale di Bologna nella Ifigenia d’Asti di Luigi Casamorata, nel 1840-1841 alla Scala di Milano per le undici repliche del Torquato Tasso di Donizetti, nel 1842-1843 al Real Teatro Carolino di Palermo e, nella stagione dell’estate 1846, al Municipale di Piacenza nella Maria di Rohan di Donizetti e nella Cantante di Gualtiero Sanelli.Dall’anno 1847 il Marchelli si dedicò all’impresariato teatrale e, fino al 1870, tenne spesso (1847, 1849-1850, 1852-1853, 1856-1857, 1865-1866 e 1869-1870) l’appalto del Teatro Regio di Parma, nel quale presentò spettacoli di prim’ordine, compatibilmente con la misera dotazione di cui il teatro era fornito.Fu impresario anche per alcuni teatri di Torino e di Firenze: quando decedette, la stampa fiorentina fu concorde nel rimpiangere in luila perla degli impresari.Fu anche un mecenate: il tenore Franchini di Reggio Emilia dovette al Marchelli la carriera.Fu infatti quest’ultimo a farlo studiare e ad avviarlo per la strada dell’arte.
FONTI E BIBL.: P.Bettòli; P.E.Ferrari; Papi; Tiby; Tintori; Trezzini; Cronologia del Teatro Regio di Parma; C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 124-125; M.Ferrarini, Impresari teatrali, 1950, 63-64; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 185; G.N.Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 28 novembre 1982, 3.
MARCHENI GIUSEPPE, vedi MARCHESI GIUSEPPE
MARCHESELLI ALESSIO
San Secondo 12 marzo 1662-Piacenza 22 gennaio 1731
Figlio e di Alessio e di Camilla Raineri.Coltivò la poesia e appartenne alla colonia Trebbiense col nome arcadico di Gereto.Si diede poi alla medicina (fu allievo di Pompeo Sacco), alla teologia e alla giurisprudenza, nelle quali facoltà fu laureato.Per i meriti acquisiti nel curare il duca Francesco Maria Farnese, fu dichiarato nobile assieme al fratello Ippolito.Ottenne la prepositura di Sant’Andrea di Piacenza.Venduti quindi i beni che possedeva in San Secondo, ne acquistò nel Piacentino e si fabbricò un bel casino nelle colline di Ancarano, per trascorrervi il periodo estivo.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memore degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 19-20; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 353.
MARCHESELLI ENEA
Parma XX secolo
Fu console della Famija Pramzana in Pakistan, in Uganda e in altre terre africane.Ebbe un notevole dinamismo operativo, che ne fece un dirigente aziendale brillante e capace.Con la sua fervida attività, specie a Kampala, si guadagnò la stima delle autorità del posto e della popolazione.Per questo, venne nominato vice console d’Italia, insignito della Stella al merito della Solidarietà, Cavaliere di San Gregorio Magno, Commendatore al merito della Repubblica Italiana e Maestro del Lavoro.
FONTI E BIBL.: R.Piazza, 50 anni Famija Pramzana, 1997, 37.
MARCHESELLI IPPOLITO
SanSecondo 1663 c.-post 1719
Figlio di Alessio e di Camilla Raineri.Nel 1704 fu nominato castellano di Montechiarugolo e con patente ducale del 22 gennaio 1719 fu creato colonnello del Ponte dell’Olio.Fu poi commissario delle cacce ducali.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 353.
MARCHESELLI MARIA, vedi HOTZ MARIA LUISA
MARCHESELLI STEFANO
San Secondo o Piacenza seconda metà del XVIII secolo
Gesuita, visse nella seconda metà del XVIII secolo.Si dedicò alle lettere e tradusse in versi sciolti La Scaccheide di Gerolamo Vida. Fu inoltre autore di vari opuscoli inediti, tra i quali uno dal titolo Contezza del Giardino d’orazione.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 353; Collectanea Franciscana 41 1971, 7; R.Lasagni, Bibliografia Parmigiana, 1991, 200.
MARCHESI AGOSTINO Parma 4 maggio 1810-Parma 6 febbraio 1867
Figlio di Luigi e di Maria Malerba.Fu allievo di Paolo Toschi e professore nell’Accademia di Belle Arti di Parma.Collaborò con altri all’opera intrapresa dal Toschi per la riproduzione degli affreschi del Correggio e del Parmigianino.Incise alcuni rami per la Galleria Pitti del Bardi e per la Galleria Reale di Torino del D’Azeglio.Altre sue note stampe sono: Agar e Ismaele e Bianca Cappello (incise per la Società d’incoraggiamento di Firenze), La Vergine (dallo Schedoni, per Luisa Maria Teresa di Borbone duchessa di Parma) e Ritratto di A. Allegri detto il Correggio (1855).
FONTI E BIBL.: P.Martini, L’Arte dell’Incisione in Parma, 1873, 21; Gazzetta di Parma 1867, n. 30; E. Scarabelli Zunti, Memorie e Documenti di Belle Arti parmigiane, ms.nel Museo di Parma, vol. 10; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 235-236; Malaspina, Guida di Parma, 1869, 174; C.Ricci, La Regia Galleria di Parma, 1896; A.Melani, Nell’arte e nella vita, Milano, 1904, 276; L.Callari, Storia dell’arte contemporanea italiana, Roma, 1909;L.Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporenei, Milano, 1955; Rassegna d’Arte XVII 1917, 64 e 66; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, 1930; Arte incisione a Parma, 1969, 53; A.M.Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1972, 1862; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 169.
MARCHESI ANTONIO
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831, per cui fu inquisito con la seguente motivazione: Disarmatore della truppa, feccia di plebe sorvegliato per delitti commessi e condanne sofferte, quindi capacissimo a delinquere.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 185.
MARCHESI ANTONIO
Parma 12 maggio 1819-Parma agosto 1876
Figlio di Luigi e Angela Montagna. Sacerdote, fu Consorziale e Cerimoniere vescovile in Parma.Erudito in materia dei riti sacri, venne consultato anche da altre diocesi.Per molti anni, a nome del Venerando Consorzio, compose il Calendario ecclesiastico.Fu assai stimato dai vescovi Felice Cantimorri e Domenico Maria Villa.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1880, 28.
MARCHESI CARLO
Parma 3 maggio 1855-Parma 12 gennaio 1928
Figlio di Napoleone e Giovanna Quarantelli, calligrafo, di famiglia proveniente dalla Bassa parmense.Fu dapprima impiegato all’Università di Parma e agli Ospizi Civili, poi redattore del Corriere di Parma.Legò il suo nome al noto Caffè Marchesi, che egli ideò e aprì in Parma nel 1894, commissionando a Paolo Baratta l’ornamento della volta.L’apertura del caffè, cui poi il Marchesi aggiunse una sala e un bar, colmò una lacuna e segnò per Parma un vero e proprio avvenimento.Il caffè, che conobbe periodi di grande splendore e una notevole popolarità, fu condotto dal Marchesi fino al 1913.Nel 1892 riordinò l’antico albergo dell’Aquila nera, allora il più vicino alla stazione, trasformandolo nell’Albergo Marchesi.Fondò quindi, assieme a poche altri, la Casa di cura di Ramiola.Acquistò poi gli orti dei Linati sullo Stradone, destinando l’area alla costruzione di villini, ed eresse infine il palazzo all’angolo tra via Melloni e via Garibaldi.Come presidente del Monte di Pietà (dal 1911 al 1914) il Marchesi iniziò l’esperimento di credito bancario e, assieme a Decimo Alpi, chiese l’appalto dell’Esattoria comunale, trionfando sulle infinite difficoltà che si opponevano all’attuazione di un simile progetto, non ultima la mancanza di mezzi per la prescritta cauzione, la quale venne infatti originariamente stimata con titoli prestati da Giacomo Bassani.Il Marchesi fu anche consigliere comunale di Parma, sedendo sui banchi dei liberali democratici.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 90-91.
MARCHESI ERMANNO
Guastalla 28 ottobre 1894-Parma 13 agosto 1971
Studiò violino con Mario Corti diplomandosi nel 1914 al Conservatorio di musica di Parma.Dopo la prima guerra mondiale, suonò nell’orchestra dell’Augusteo di Roma, dove conobbe Toscanini che lo scritturò per la tournée americana dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano (1920-1921).Fece parte dell’orchestra d’archi dei solisti italiani diretta da Antonio Guarnieri.Nel 1925 fu nominato maestro della Scuola di strumenti ad arco del Comune di Guastalla. Vincitore di concorso nazionale per l’insegnamento, fu docente di violino al Conservatorio di Parma dal 1938 al 1965, dando vita a una fiorente scuola.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 138; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARCHESI ETTORE
Parma 4 marzo 1889-1972
Figlio di Carlo ed Ester Carboni.Nel 1924 assunse la guida della Fornace Parmense Laterizi, fondata dal padre unitamente al socio Giuseppe Pagano nel 1909: un complesso articolato su tre stabilimenti (Parma, Noceto e Traversetolo), che vide occupate complessivamente oltre 600 persone.Nell’immediato dopoguerra si attivò per primo nella produzione di piccole componenti prefabbricate per solai e per pareti divisorie.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 402.
MARCHESI FRANCESCO
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore d’ornati attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 129.
MARCHESI FRANCESCO
Parma 1780/1790
Falegname, verso il 1785 firmò un cassettone a ribalta (in collezione privata).
ONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 262
MARCHESI GIOVANNI Parma seconda metà del XVI secolo
Pittore attivo nella seconda metà delXVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, IV 186.
MARCHESI GIOVANNI
Parma 1646/1670
Incisore attivo in Parma tra il 1646 e il 1670.
FONTI E BIBL.: P.Martini-G.Capacchi, Arte incisione in Parma, 1969.
MARCHESI GIOVANNI
Parma-post 1792
Fu oboista nella banda della Reale Sovrana di Parma e nel 1783 suonò nell’orchestra dell’Accademia Filarmonica di Parma. Il 19 novembre 1785 venne ammesso nella Reale Orchestra in qualità di secondo oboe senza paga fino alla prima vacanza di posto (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti). Indicato come Marchesi padre, nell’agosto 1792 suonò nell’orchestra del Collegio dei Nobili, che eseguì un Concertone di Giuseppe Colla (Archivio di Stato di Parma, Computisteria borbonica, b. 376 b).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MARCHESI GIROLAMO
Parma 1580
Pittore attivo nell’anno 1580.
FONTI E BIBL.: Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XIII, 1822, 13.
MARCHESI GIUSEPPE
Parma seconda metà del XVII secolo
Orefice attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie diBelle Arti parmigiane, VI, 176.
MARCHESI GIUSEPPE
Parma 1792/1804
Oboista. Indicato come Marchesi figlio, nell’agosto 1792 suonò assieme al padre nell’orchestra del Collegio dei Nobili di Parma. Indicato erroneamente come Marcheni, suonò nell’orchestra del Teatro di Reggio Emilia nella stagione di Fiera 1794 e in quella di Carnevale e fiera 1795. Era qualificato dell’Infanta di Parma e pertanto suonava nell’orchestra di Corte, quantomeno come aggiunto. Il 25 dicembre 1797 venne nominato professore di oboe nel Suo Reale Concerto. Nella stagione di Fiera 1804 fu il II oboe nell’orchestra che inaugurò il Nuovo Teatro di Piacenza (Archivio di Stato di Parma, Spettacoli e Teatri 1802-1806, b. 6).
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARCHESI GIUSEPPE, vedi anche BOLSI GIACOMO
MARCHESI LUIGI FELICE
Fontanelle 6 novembre 1825-Parma 3 agosto 1862
Figlio di Francesco e Maria Rosa Formentini. Il padre era nativo di Sissa, mentre la madre proveniva da San Secondo.E a San Secondo la famiglia dovette risiedere subito dopo il matrimonio: qui nacque infatti il primogenito, Napoleone.Trasferitasi successivamente a Fontanelle, dove il padre, maestro di classe infima nelle scuole inferiori, insegnava probabilmente nell’antico edificio comunale prospiciente la chiesa di San Martino, la famiglia Marchesi andò accrescendosi di altre due unità: Luigi Felice e Giuseppe.A Fontanelle i Marchesi rimasero probabilmente fino allo scadere del terzo decennio dell’Ottocento: l’ultimo figlio, Cesare, risulta infatti nato nel Comune di Busseto nel 1831. Nel 1833 la famiglia emigrò a Parma, dove il padre fu maestro delle scuole Primarie nel quartiere della Steccata.Nello Specchio Numerico della Popolazione giusta il Censimento fatto nel mese di gennaio 1834 la famiglia Marchesi risulta risiedere in Strada Maestra di San Francesco al n. 175. Da qui, mutando ancora dimora, passò in borgo Bondiola 39 e successivamente in borgo del Cappello 11. La presenza del Marchesi, di attitudine discreta, tra gli alunni della Scuola di Paese retta da Giuseppe Boccaccio nell’anno scolastico 1837-1838 fissa al settembre del 1837 un preciso termine ante quem per l’iscrizione dello stesso all’Accademia di Belle Arti di Parma. La notizia trova avallo nella supplica presentata dal padre alla duchessa Maria Luigia d’Austria intesa a ottenere un sussidio mensuale in favore del Marchesi. La richiesta rimase tuttavia senza esito, forse anche per il franco parere del direttore, Paolo Toschi, che nella lettera di risposta alla richiesta di informazioni indirizzatagli dal presidente dell’Interno, finalizzata a verificare se sussistessero i requisiti per la concessione del sussidio, riferisce che il Marchesi, affatto principiante, risultava frequentare l’Accademia non più di un’ora al giorno per le altre scuole che deve seguire e come fosse perciò impossibile il potere presagire nulla di positivo intorno alle sue disposizioni per l’arte da lui intrapresa.Non è emersa evidenza di una presenza del Marchesi in Accademia anteriore al 1837, tuttavia la testimonianza resa l’8 luglio 1848 dal Toschi, intesa a certificare la frequenza alla scuola di Paesaggio pel corso di 12 anni potrebbe suggerire una verosimile anticipazione.In ogni modo, per tutto l’anno scolastico 1837-1838 il Marchesi si dimostrò assiduo alla scuola e di buona condotta morale, lavorando con molto profitto all’acquerello, tanto da essere definito di molta attitudine l’anno seguente in cui già risulta progredire molto ad olio.Nell’ottobre del 1839 il Marchesi avanzò nuovamente richiesta di un sussudio e questa volta fu caldamente raccomandato dal suo direttore, che ne aveva intuito il talento precocissimo, alla protezione del Governo.L’istanza fu accolta speditamente e il nome del Marchesi, definito dal maestro Boccaccio diligente, costumato, di moltissime speranze, compare per la prima volta nell’elenco degli aventi diritto al sussidio mensile di lire 13 e centesimi 33 a partire dal gennaio 1840. L’aiuto del Governo non gli venne meno neppure negli anni a seguire, come documentano i mandati di pagamento tratti dalla Cassa del Tesoro dello Stato, che lo vedono tra i titolari fino al dicembre 1846.Nella primavera del 1841, poco più che quindicenne, il Marchesi partecipò all’annuale Esposizione di quadri di Artisti del Paese nelle sale del Ducale Palazzo del Giardino, con cinque quadretti che lo segnalarono all’interesse del mercato dell’arte e forse alla benevolenza della Sovrana, che nel febbraio del 1842 gli assegnò la prima di una serie di commissioni che si susseguirono con regolarità fino al 1847: una Rocca di Torrechiara che gli venne pagata 150 lire, grazie ai buoni uffici del Toschi, che superò con la consueta destrezza l’empasse determinato dalle perplessità dell’intendente della Casa Ducale, Giovan Battista Challiot, alquanto insoddisfatto del quadretto non eseguito con quella finitezza di lavoro e quella cura che si dovrebbero attendere in una Commissione Sovrana. Il 1845 fu un anno cruciale per il percorso formativo del Marchesi: partecipò per la prima volta all’Esposizione delle opere degli Artisti e dei Dilettanti dell’Accademia di Belle Arti di Milano presentando un Interno di sagrestia che rivela la sua precoce tendenza alla poetica degli interni e mostra ormai avviato il lavoro di formazione della propria identità e di sganciamento dal vedutismo romantico impreziosito dalle più sottili alchimie della maniera del maestro Boccaccio.Nella seduta straordinaria del 6 marzo il corpo accademico deliberò di assegnargli un premio d’incoraggiamento di 24 lire per un non meglio identificato Paese dipinto a olio di sua invenzione quanto è alla parte principale, ma ne’ particolari preso dal vero. Nel maggio il corpo accademico raccomandò alla sovrana clemenza il Marchesi affinché fosse esentato dalla leva militare di quell’anno, in considerazione sia del fatto che, a norma dell’articolo 96 del Regolamento di leva del 1820, gli alunni distinti da un premio assegnato dall’Accademia non erano più soggetti alla coscrizione, sia della bella disposizione naturale, della costumatezza e costanza nello studio dimostrate dal Marchesi.Una serie di successive testimonianze documentarie, se costituiscono un’ulteriore conferma del favore personale del direttore (che non mancò di adoperarsi presso il presidente dell’Interno, l’intendente della Casa Ducale e lo stesso Bombelles pur di consentire al Marchesi la prosecuzione degli studi), deludono riguardo all’esito finale dell’intricata vicenda, che parrebbe risolversi favorevolmente per il Marchesi, stante la lettera di ringraziamento indirizzata dal Toschi al Gran Maggiordomo della Corte e della Casa Ducale in data 29 maggio 1845, sebbene l’assenza del Marchesi nel 1846 dall’elenco degli alunni della scuola di Paese e il fatto che il suo nome non venga depennato dal Giornale di leva dell’anno 1846 non manchino di suscitare qualche perplessità.Il 1847 si riassume nella vittoria, ex aequo con Erminio Fanti, del Gran Premio annuale di Paese, non assegnato nel 1846, e nelle polemiche che ne accompagnarono lo svolgimento e l’assegnazione.Il 1luglio il Marchesi, Erminio Fanti e Alberto Pasini furono ammessi alla prima prova del concorso, ma solo i primi due, con votazione a maggioranza del corpo accademico, furono giudicati idonei a sostenere anche la seconda e definitiva.Immediata fu la reazione del fratello maggiore di Pasini, Antonio, vicesegretario dell’Accademia, che, avanzando accuse di presunte irregolarità, aprì una polemica destinata ad arroventare gli animi per tutto il luglio di quell’anno.Nella seduta del 9 ottobre 1847 ambedue i lavori presentati furono ritenuti meritevoli e il corpo accademico suggerì di dividere il premio tra i due concorrenti.La proposta, giudicata inammissibile dal presidente del Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, fu modificata in senso riduttivo, facendo estrarre a sorte al più giovane dei due (cioè al Marchesi) il nome del vincitore per quell’anno, mentre l’escluso avrebbe ottenuto il primo dei successivi concorsi che avesse a rimaner voto.La sorte non favorì il Marchesi, e Fanti (con il quale la rivalità nel tempo si accentuò) partì per Roma.La delusione, resa più frustrante dalla prolungata attesa e appena temperata dalla commissione di un quadro raffigurante I funerali delle vittime del 20 maggio 1848 assegnatagli nel giugno dal governo provvisorio, dovette essere per il Marchesi cocente e forse non fu estranea alla decisione improvvisa (e assolutamente insospettabile in una personalità apparentemente disciplinatissima e intelligentemente compenetrata di opportuno realismo) di partire al seguito dell’armata italiana di Carlo Alberto di Savoja.In una concitata lettera del 5 luglio dal campo di battaglia di Sona presso Custoza (dove tra il 23 e il 27 luglio le forze italiane vennero travolte dalle armate austriache del Radetzky) il Marchesi manifesta a Paolo Toschi il desiderio di divenire pittore di battaglie per fissare sulla carta le fasi salienti del combattimento e chiede al direttore di giovargli, come ha sempre fatto, procurandogli i certificati relativi alla condotta sia militare che artistica necessari a ottenere un posto di pittore al seguito dell’armata stessa, giusta le promesse del generale di divisione.Il Toschi, forse anche per il comune interesse politico, si attivò immediatamente e l’8 luglio poté inviare al Marchesi un certificato che attestava come egli avesse pel corso di 12 anni frequentata, in qualità di alunno la Scuola di Paesaggio di codesta Reale Accademia, ove ha sempre studiato con molta assiduità, e con grande profitto, facendo nell’arte progressi tali da dare di sé le più belle speranze, e mantenendo pure una condotta irreprensibile.La fine ingloriosa della prima guerra d’Indipendenza troncò bruscamente la partecipazione del Marchesi all’epopea risorgimentale e ne rintuzzò acerbamente i sogni eroici.Rientrato a Parma, i grandi rivolgimenti e le inevitabili incertezze seguite al recente conflitto, all’abdicazione di Carlo di Savoja in favore del figlio e alla destituzione per cattiva condotta politica di Paolo Toschi da direttore dell’Accademia, dovettero provarlo dolorosamente e il silenzio delle fonti documentarie sul 1849, interrotto solo dalle note di pagamento in quattro rate del prezzo assegnatogli per il quadro a suo tempo commissionato dal governo provvisorio (il cui compromettente soggetto grondante notazioni patriottiche venne prudentemente mutato nell’Interno del Duomo al tempo della divina predica, più consono alle predilezioni del Marchesi e ligio alle convenzioni che il mutato clima politico imponeva), può valere in tal senso come testimonianza di uno stato d’animo di penosa incertezza e di frustrante delusione nei confronti delle attese ambiziose che l’universale riconoscimento delle sue capacità pittoriche e il successo delle sue prime prove avevano nel tempo alimentato.Giunto all’agosto del 1850 (e forse spronato dal Toschi, riammesso in carica il 31 luglio) il Marchesi si decise a indirizzare una supplica al duca Carlo di Borbone affinché, essendo rimasto senza vincitori, nel 1849, il concorso per l’assegnazione del Gran Premio di Scultura, gli concedesse il beneficio a suo tempo meritato, giusta la deliberazione del corpo accademico del 9 dicembre 1847.La supplica fu accolta e con sovrano decreto del 17 settembre 1850 il Duca assegnò al Marchesi il gran premio annuale del 1849, consentendogli di recarsi tosto a Roma e dimorarvi per diciotto mesi al fine di continuare colà i propri studj. Dichiaratosi disposto a partire immediatamente, il Marchesi ottenne anche una commendatizia per il marchese di San Giuliano Galiati incaricato d’affari presso la Santa Sede, mercé i buoni uffici del Toschi, che non volendolo lasciare senza un valevole appoggio e protezione, ne perorò la causa a Parma presso Enrico Salati, presidente del Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, e a Roma presso Jean Victor Schnetz, direttore dell’Accademia di Francia, pregandolo de lui donner quelque conseil, et lui permettre de visiter quelque fois l’Ecole et les ouvrages des pensionnaires. Il 2 novembre il Marchesi istituì quali suoi procuratori speciali per la riscossione dei sei mandati trimestrali relativi al pagamento della pensione di 2500 lire, elargita ai vincitori dell’annuale Gran Premio, il padre Francesco e il fratello Napoleone.Il 4 novembre partì per Roma, dove giunse nei primi giorni di dicembre: una sua lettera autografa (in collezione privata) del 13 dicembre notifica infatti il suo arrivo nell’Urbe a un destinatario non esplicitato ma sicuramente da identificarsi con Paolo Toschi, guida costante e interlocutore privilegiato durante l’intero suo percorso formativo.L’entusiasmo manifestato in questa occasione dal Marchesi è evidente:Questa terra sembra fatta per chi studia le belle arti e non è da meravigliarsi se qui si concentrino migliaia e migliaia d’artisti di tutte le nazioni.Il tempo stabilito perché io qui apprenda nel arte è breve; posso però accertare V.S. ch’io l’occuperò con tutte le mie forze onde approfittarne e che la mia mente è sempre fissa in quest’unico pensiero e nella volontà di provarlo co’ fatti.Ora sono di già occupato, abbenché la stagione non lo permetta molto; di giorno vado copiando qualche veduta d’interno ed alla sera alla scuola dilettevole dei costumi. Messaggio che conferma, ancora una volta, la nativa precoce tendenza alla rappresentazione di interni, interpretati in chiave suggestivamente descrittiva e con acuta sensibilità luministica.Il soggiorno romano cadde, in questo senso, al momento giusto, nel pieno della ricerca espressiva e dello sviluppo stilistico del Marchesi, desideroso di affacciarsi alla ribalta internazionale dell’arte e di valorizzare, con esperienze figurative più illustri e moderne di quelle che poteva offrire Parma, la disciplinata preparazione tecnica a cui aveva consacrato fin dalla prima adolescenza tempo ed energie. Le ulteriori, rade testimonianze epistolari, se deludono ancora una volta riguardo alle frequentazioni artistiche e alle amicizie personali con altri pittori, su cui non si ha alcuna notizia certa (confermando l’immagine di un artista un po’ appartato, ma non isolato e tale soltanto per naturale ritrosia e per la dedizione assoluta allo studio del vero), non mancano infatti di porre in ulteriore evidenza come egli, proprio durante i mesi romani, andò aderendo con sempre maggiore decisione alla poetica degli interni.Dei tre studi inviati a Parma quale primo saggio di pensione secondo i regolamenti accademici, due rappresentano scorci di chiese e chiostri, Portico gotico di San Giovanni in Laterano e Interno di Santa Maria del Popolo, e uno solo Foro romano o Campo Vaccino, propone con studiata abilità scenografica la consueta veduta di rovine iscritta in un paesaggio atto a evocare sentimenti sublimi, secondo la tradizione paesaggistica imperante.Il prescritto studio di campagna, una Veduta di Tivoli ovvero Gli acquedotti di Nerone, fu realizzato (complice la cattiva stagione) solo nell’estate e ultimato durante i primi mesi del 1852, secondo la pratica usuale di elaborare nella tranquillità dello studio l’esperienza dell’attimo fuggente scaturita da un’osservazione diretta non ancora filtrata dalla riflessione attenta e sofisticata del linguaggio formale.Mentre appunto era intento a perfezionare il secondo saggio da inviare all’Accademia di Parma, lo raggiunse la notizia della scomparsa di Giuseppe Boccaccio, venuto a morte dopo lunga e penosa malattia il 5 febbraio 1852. L’evento cadde in un momento decisivo dello sviluppo stilistico del Marchesi, ormai conscio della propria peculiare identità e impaziente di trovare una sua strada, come trapela, pur nel debito conformismo dello stile epistolare, dall’euforia delle sei lettere inviate dal soggiorno romano.Di ciò dovette certamente essere consapevole anche la famiglia, ansiosa di vedere confermate le promesse della sua talentosa precocità da un corrispettivo economico adeguato agli sforzi sostenuti durante i molti anni di studi. Di fatto, a doversi considerare risolutivo (almeno nel senso di sollecitare il favore del corpo accademico, già peraltro più che bendisposto nei confronti del Marchesi, e di prevenire abilmente la concorrenza di altri pericolosi pretendenti) fu proprio l’intervento tempestivo del padre che, solo sei giorni dopo la morte del Boccaccio, supplicò il Sovrano, nella sua qualità di procuratore speciale del figlio impegnato da sedici mesi nell’Urbe ad eseguire i saggi prescritti dai Regolamenti, di volerlo designare alla cattedra di Paese, testè resasi vacante.Nella successiva tornata del 18 febbraio, gli accademici dichiararono infatti concordemente di stimar essi di un tal favore degnissimo l’Alunno, del quale conoscono il merito a bastanza: ma riserbarsi a un’affermazione definitiva così per la regola, come per afforzar sempre più sì fatto lor sentimento colla vista del 2° Saggio. L’arrivo del quadro in Accademia, giudicato una imitazione dal vero eseguita con tutta l’avvedutezza del modo.Belle le tinte, grandiose le forme, vaga la frasca, ottimo lo stile, giudiziosa la scelta, sgombrò il campo da ogni indecisione e convinse definitivamente il corpo accademico essere il Marchesi assai abile ne’ diversi generi di paesaggio e di prospettiva sì ad olio che ad acquerello e perciò degnissimo di succeder qui per la Scuola di Paesaggio al Professor Boccaccio.Nella medesima adunanza gli accademici deliberarono conseguentemente di respingere l’istanza avanzata dall’antico competitore del Marchesi, Erminio Fanti, che a sua volta aveva chiesto di essere designato alla cattedra di Paesaggio, decisione che non mancò di accentuare la manifesta ostilità di quest’ultimo, ferito nell’orgoglio dall’ascesa del Marchesi, minore di quattro anni.Le deliberazioni accademiche vennero ratificate dal sovrano decreto del 19 maggio 1852 che nominò il Marchesi Professore Maestro della Scuola di Paese, con stipendio annuo di lire 800.Nel giugno il Marchesi, ancora a Roma, prestò il prescritto giuramento di fedeltà al duca Carlo di Borbone nelle mani del marchese di San Giuliano Galiati.Aureolato dal successo del suo ultimo saggio di paese e dalla recente nomina che lo collocava d’un colpo dalla posizione di allievo a quella di maestro, il Marchesi vide soddisfatta anche la richiesta a suo tempo avanzata, tra un coacervo di timide scuse e professioni di umiltà, di poter godere per almeno qualche semestre del gran premio annuale del 1851, nel caso in cui esso non fosse stato assegnato.Un sovrano decreto del 12 luglio 1851 assegnò infatti un terzo della somma destinata al gran premio del 1851, rimasto senza vincitori, al Marchesi e due terzi ad Agostino Ferrarini, con l’obbligo però, riguardo al primo, di continuare sua dimora in Roma sino a tutto il prossimo novembre, e quanto al secondo, in Firenze a tutto l’ottobre.Gli studi presentati nel dicembre, a conclusione del soggiorno biennale nell’Urbe, in numero certamente superiore a quanto si poteva aspettare e così laudabilmente varii nel subietto come nel modo, non fecero che confermare il prestigio del Marchesi e convinsero il corpo accademico di non aver peccato, nei suoi confronti, di eccessiva benevolenza.Conclusa così felicemente l’esperienza romana, certo determinante nel lavoro di formazione del proprio gusto e nell’affermazione della propria individualità, il Marchesi rientrò a Parma probabilmente nel dicembre del 1852. Nei dieci anni che seguirono la sua vita scorse quieta e appartata, divisa tra la famiglia (nel gennaio del 1853 sposò Carolina Buathier de Mongeot che gli diede quattro figli), l’insegnamento (che istillò in tutta una generazione di giovani artisti: Antonio Rossi, Giuseppe Giacopelli, Guido Carmignani, Settimio Fanti, fino ai più giovani Enrico Prati, Adelchi Venturini, Camillo Scaramuzza, Giuseppe Isola e Salvatore Marchesi, per citare solo alcuni tra i tanti) e la continuità instancabile dell’impegno creativo (la poesia intensa e malinconica dei vecchi borghi della città, dove scorreva una vita minuta, stentata e misera, e l’emozione sottile dei soggetti conventuali, ma soprattutto quella commossa sensibilità cromatica e luministica che costituì la cifra rilevante della tradizione internista locale), specialmente prolifico e felice negli ultimi sei anni di vita, confortato dal positivo riscontro che i suoi lavori ottenevano ai consueti appuntamenti espositivi delle cosiddette Società Promotrici delle Belle Arti.Anche a Parma, nel 1852, si era costituita la Società d’Incoraggiamento agli artisti degli Stati parmensi e il Marchesi vi esordì nel 1854, presentando Un ameno laghetto o Campagna di Roma con gruppo di alberi e piccola cascata d’acqua, subito giudicato meritevole di premio-acquisto e sorteggiato tra i sottoscrittori.È la prima di una serie di fortunate partecipazioni, che andarono susseguendosi con regolarità fino al 1860, distinte dalla selezione di quasi tutti i dipinti presentati per l’estrazione-premio.Per provarsi presso un pubblico più vasto e affacciarsi a una dimensione dell’arte meno provinciale di quella che poteva offrire una piccola città, nel 1854 il Marchesi espose il suo Interno di Santa Maria del Popolo in Roma alla Promotrice di Torino, attiva fin dal 1842.Pur non essendo emersa evidenza di una accoglienza favorevole di questo lavoro, la sua costante presenza a Torino negli anni successivi fino al 1862, l’acquisto di alcune opere da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, andate poi a incrementare la dotazione della Galleria d’Arte Moderna, e l’incarico ottenuto dal Municipio di Torino nel luglio del 1862 di prender parte col suo valente pennello alla formazione di un Album da presentare alla quindicenne principessa Maria Pia di Savoja nell’occasione del matrimonio con Luiz re di Portogallo, raffigurando l’interno della chiesa della Beata Vergine della Consolata in Torino, incoraggiano a ritenere che essa possa aver ottenuto un riscontro positivo o comunque tale da influenzare favorevolmente il Marchesi che andava ormai consolidando la propria fama anche fuori dai confini del Ducato. Nel 1856 egli tornò infatti a presenziare, dopo dieci anni di assenza, all’appuntamento artistico di Brera, esponendo due pezzi di bravura di gran tono, gli interni del Duomo di Parma e della Sagrestia di San Giovanni Evangelista, certo non senza promettenti conseguenze, che dovettero persuaderlo a inviarvi regolarmente i suoi poetici interni fino al 1862, con la sola eccezione del 1859, per le contingenze politiche legate alla seconda guerra d’Indipendenza.A partire dal 1857 la sua sempre più stringente vocazione alla pittura d’interni, premiata ormai da un prestigio non più soltanto locale, toccò i vertici di una splendida maturità: in quell’anno le sue opere fecero spicco alle mostre d’arte di Milano e Torino e dei sei quadri inviati alla consueta esposizione della Società d’Incoraggiamento ben cinque furono destinati al premio-acquisto. Ma in quello stesso anno, alla fine dell’estate, si profilarono i primi sintomi, forse ignorati o sottovalutati, della malattia che cinque anni dopo lo avrebbe condotto prematuramente alla tomba.Il 2 ottobre scrive infatti al segretario della Società d’Incoraggiamento, cui si era rivolto per conoscere l’esito della selezione finalizzata al sorteggio, di essere inchiodato a letto da tanti giorni per febbri.Il successivo 3 novembre fu costretto a informare Michele Lopez, vicepresidente dell’Accademia, che atteso lo stato di salute ancora malfermo non avrebbe potuto riprendere l’insegnamento accademico, nel quale fu chiamato a sostituirlo Erminio Fanti. Eppure, dopo quel primo campanello d’allarme, il ritmo della vita riprese come prima, quieto, modesto e silenzioso, mentre il lavoro pittorico, omogeneo e ininterrotto, sempre più andò affinando quella qualità, così scelta e filtrata dal vero, che non tollerava inquadrature precise tra influenze e rapporti. Tra il 1857 e il 1859 il Marchesi si avventurò alle esposizioni di altri due grandi centri culturali, Firenze e Genova, alle cui Promotrici fu presente negli anni a seguire con invii quasi annuali.Nel 1861 fu la volta della grande Esposizione nazionale di Firenze (cui concorsero tanti artisti di talento, inebriati dall’ambizioso progetto di un’arte nazionale che superasse le diverse declinazioni regionali), organizzata nell’autunno da un’apposita Commissione Reale per celebrare l’Unità.Il Marchesi vi partecipò con cinque dei suoi più celebri interni, più l’ormai datata Veduta degli acquedotti di Nerone perché, a suo dire, ben rappresentava la nostra scuola italiana, e un Cortile rustico dipinto in quell’estate.L’esperienza di Firenze dovette essere sotto ogni aspetto inebriante, e non solo per la medaglia con cui fu distinto per il suo Interno della Sagrestia di San Giovanni Evangelista, unica opera a essere premiata tra quelle parmensi presentate nella classe XXIII di Pittura.A Firenze imparò infatti a conoscere e a gustare la avanzate ricerche chiaroscurali della grande civiltà della macchia, rappresentata soprattutto da Odoardo Borrani, il più noto dei macchiaioli presenti dopo la sdegnosa diserzione degli esponenti più avanzati, ma certo anche gli effetti di luce e la vivezza dei toni della scuola dei coloristi capitanata da Domenico Morelli, che Enrico Manfredini, estensore degli atti ufficiali dell’esposizione, profetizzava destinata a risollevare le sorti di un’arte capace di rispecchiare la raggiunta Unità. Ma soprattutto dovette guardre con interesse i due raffinati Interni di San Miniato di Giuseppe Abbati, uno degli artisti che appunto a Firenze oppose il gran rifiuto alla medaglia assegnatagli dalla commissione per aderire alla macchia e dare così avvio al famoso studio dei bianchi all’aperto, in chiostri soleggiati o tra gli orti di Pergentina alle porte di Firenze.L’incontro con Abbati, in cui il Marchesi dovette vedere non solo un collega cui lo avvicinava la comune vocazione internista ma un protagonista di quell’eroica avventura risorgimentale alla quale anch’egli, per breve momento, aveva partecipato (reduce dalla campagna garibaldina, durante la quale aveva perduto l’occhio destro, il pittore napoletano aveva rifiutato con fierezza la medaglia al valore), è concordemente ricordato da tutte le ricostruzioni biografiche sulla scorta della notizia riferita per la prima volta da Pietro Martini in occasione della commemorazione ufficiale del Marchesi tenutasi nella tornata del 6 agosto 1862 e gli si attribuisce il merito di averlo spinto a sciogliersi definitivamente dalla cristallina finitezza accademica e a percorrere con maggior decisione quella via a un più moderno realismo, inteso come autentica e individuale espressione del confronto con il reale, che andava trionfando a Parigi e nei maggiori centri culturali della penisola.Una volta rientrato a Parma, egli tradusse in pittura le preziose novità conosciute a Firenze in due bei brani di straordinario e poetico realismo, il Chiostro del soppresso monastero di San Quintino in due vedute, in cui la luce che inonda il cortile, screziando il pavimento di riflessi, ritmando di improvvisi lucori le colonne di pietra, accendendo di splendori inattesi la candida camiciola del bimbo o la veste turchina della donna al pozzo, non è luce romantica né impressionista, è una luce naturale, pulviscolare e palpitante, che pur nella pienezza dell’ora assolata, colta con acuta certezza d’occhio, non perde la consueta delicatezza e trasparenza, in una raffinata, equilibratissima mediazione tra stilemi del vedutismo romantico e soluzioni macchiaiole.Questo stile così fresco e sonante, ottenuto con l’efficace equilibrio di colore, forma e stesura pittorica di altissima qualità, sembrò aprire la strada a una nuova, ispirata poesia internista.Ma su quella soglia, ricca di splendide promesse, il suo discorso, come quello di tanti altri enfant prodige, fu bruscamente interrotto.Il Marchesi morì infatti a soli trentasette anni, nel 1862 (anno che si era aperto all’insegna del successo, con la nomina a socio onorario della Reale Accademia di Milano e la selezione di cinque dei suoi più celebri interni, ritenuti a ragione senza contrasto nel loro genere, per l’Esposizione Universale di Londra), dopo tre giorni di fierissima malattia, di tisi nella casa di borgo San Giovanni numero 14.
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MARCHESI MARIO
Parma 25 marzo 1862-Milano 7 agosto 1933
Figlio del musicista Bartolomeo, suonatore di violoncello nel trio ambulante di Migliavacca, e di Lucia Ceccherini. Il Marchesi potè usufruire di una borsa di studio quale figlio di musicista come alunno al Conservatorio di Parma.Poiché allora lo strumento da suonare non veniva scelto dall’alunno ma dalla commissione preposta a tali accettazioni, il Marchesi venne avviato allo studio del clarino. Si diplomò nel 1880 a Parma maestro di clarino, ma già prima del compimento degli studi sostituì il suo insegnante sia presso il Conservatorio che nell’orchestra del Teatro Regio.Fu poi (1887) per molti anni primo clarinetto e insegnante nella scuola civica musicale del Comune di Parma. Il cieco Migliavacca, conosciuto il Marchesi, divenuto maestro e professore, volle ricevere migliori insegnamenti nel suonare il violino.Il Marchesi fece sentire al pianoforte al Migliavacca dei motivi appena abbozzati di sue composizioni, tra i quali la famosa Mazurca, alla quale il Migliavacca portò quelle variazioni che la resero celebre ovunque.Così altre composizioni del Marchesi entrarono nel repertorio del Migliavacca e alla morte del violinista, nel 1901, il Marchesi acconsentì che tali composizioni divenissero eredità legittima della famiglia Migliavacca.Partecipò, specialmente nel 1888, a serate musicali d’intrattenimento in casa del conte Stefano Sanvitale, ove si adunava tutta la nobiltà parmense.Il Marchesi fu ancora istruttore dei cori a Casalmaggiore nella stagione lirica diretta dal maestro Eraclio Gerbella, poi a Lisbona nel 1898 come primo clarino nell’orchestra del Teatro Reale e membro di commissione d’esame a Parma per strumenti a fiato.In quel tempo Toscanini, che dirigeva orchestre e stagioni di grido nelle maggiori nazioni, non era contento dei suggeritori che si alternavano nella buca dei vari palcoscenici: persone senza una base musicale e che si limitavano a suggerire le parole come a semplici attori di prosa, sanza curarsi del tempo, degli attacchi e della musica.Toscanini, sempre alla ricerca della perfezione nell’esecuzione delle musiche e degli spettacoli da lui diretti, pensò che al posto del suggeritore, il cui nome non figurava nemmeno sui manifesti teatrali, avrebbe coadiuvato meglio gli artisti e il direttore d’orchestra un vero maestro suggeritore, con diploma di Conservatorio di musica, chiamato poi maestro rammentatore.Invitò dunque il Marchesi, il quale, lasciato l’insegnamento, lo raggiunse nel 1901 al Teatro alla Scala di Milano e iniziò la sua carriera di maestro rammentatore, comparendo, per la prima volta nella storia della lirica, tale nuova qualifica nei cartelloni teatrali, vicino ai nomi del direttore d’orchestra e del maestro dei cori.Il Marchesi rimase alla Scala sino al 1908 e poi, per ventidue anni, viaggiò con Toscanini nelle due Americhe, stabilendosi definitivamente al Metropolitan di New York dopo un breve periodo al Colon di Buenos Aires. Negli ultimi giorni di malattia prima del decesso gli fu accanto l’amico Arturo Toscanini.Fu sepolto a Viggiù, nei pressi di Varese.
FONTI E BIBL.: C.Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, 3, 1938, 504; T.Mazzieri, in Gazzetta di Parma 24 novembre 1958, 3.
MARCHESI SALVATORE
Parma 2 febbraio 1852-Parma 27 marzo 1926
Nato da Napoleone e Giovanna Quarantelli, crebbe in un ambiente legato alle professioni artistiche e in rapporto con i pittori parmensi operanti alla metà del XIX secolo.Il lavoro di calligrafo del padre e soprattutto la figura di pittore ormai affermato dello zio Luigi Marchesi prepararono un ambiente ideale per indirizzare il Marchesi verso gli studi artistici e così l’Accademia di Belle Arti diParma fu il naturale punto di partenza per la sua carriera scolastica.Nel Ruolo degli alunni 1861 si trova il Marchesi, di soli undici anni, iscritto a frequentare i corsi di Ornato elementare e Architettura elementare.Il percorso scolastico sembra essere stato regolare, anche se nel secondo anno (1863-1864) il Marchesi passò a frequentare la Scuola di Paesaggio.Si tratta di un cambiamento importante poiché pone il proseguimento degli studi sotto la guida di Guido Carmignani che, nominato insegnante di quella materia nel 1862, dopo un soggiorno di studi a Parigi, aveva portato nell’ambiente dell’accademismo tardo romantio ancora vivo a Parma una forte carica di novità.L’insegnamento del Carmignani, artista sinceramente interessato alle problematiche del vero e attento osservatore della campagna parmense e della città, che studiò talvolta con l’ausilio di riprese fotografiche, prevedeva, dopo un primo periodo speso copiando le tavole illustrate di testi didattici sul disegno di paesaggio, una lunga fase di esercizio svolto dal vero all’aria aperta.Negli anni trascorsi a scuola il Marchesi ricevette anche alcuni riconoscimenti ufficiali, annotati nel Ruolo degli alunni: un premio di seconda classe in paese nell’anno scolastico 1865-1866, un premio in prospettiva l’anno seguente e infine, nell’anno 1867-1868, quello di paesaggio superiore.Prima ancora di concludere gli studi, il Marchesi si presentò al pubblico nell’Esposizione organizzata dalla Società Promotrice di Parma nel 1866 con l’opera Mulino di Santo Spirito a Parma, probabilmente la stessa che gli aveva procurato il premio scolastico.Si tratta infatti di un angolo della città molto amato dai pittori parmensi della generazione del Marchesi e che forse rientrava tra i luoghi suggeriti dal Carmignani agli allievi per le esercitazioni dal vero.Il Marchesi si serve di una pennellata liscia e di un colore caldo dai toni ambrati, in un’opera ancora scolastica che tuttavia anima inaspettatamente in piccoli grumi di colore nella vegetazione o nelle pennellate rapide che abbozzano la figurina dell’uomo seduto per terra.Nel 1869 due sue opere vennero premiate all’esposizione della Società d’Incoraggiamento di Parma:Madonna e via della morte in Parma e Una via di Susa. Una stimolante occasione, soprattutto per aggiornarsi sulle novità artistiche nell’Italia unita, si presentò al Marchesi con la Prima Esposizione Nazionale di Belle Arti tenutasi a Parma nel 1870: in essa furono infatti ben rappresentate tutte le diverse scuole regionali.Parallelamente all’esposizione, si tenne il primo Congresso Artistico Italiano che discusse anche le funzioni delle accademie rivedendone i programmi d’insegnamento e cercando di individuare i modi per promuovere il lavoro degli artisti attraverso l’infittirsi di appuntamenti espositivi di carattere nazionale.Proprio mentre all’esposizione si ricordava anche la personalità dello zio Luigi Marchesi, alla cui memoria venne intitolato un Diploma d’oro (uno dei premi da assegnare agli artisti partecipanti alla manifestazione), il Marchesi si presentò al pubblico con quattro dipinti: Un portico rustico presso Parma, Una cucina, La via dei sarti a Susa e Un cortile nel già Convento di San Giovanni. I soli titoli delle opere mostrano come gli interessi del Marchesi fossero tutti puntati verso un repertorio tradizionalmente consolidato a Parma e abbastanza consueto nell’ambito degli allievi delCarmignani.A esempio, Un cortile nel già Convento di San Giovanni presenta ancora affinità con opere di tema analogo come il chiostro di San Quintino (già caro a Luigi Marchesi), ripreso da Giuseppe Ferrarini e da Antonio Rossi, Il Marchesi però forza i contrasti di luce e ombra vivacizzando la piccola opera con la rapidità della stesura pittorica.La carriera del Marchesi non dovette però prospettarsi semplice se nelle sue scelte si individua precocemente la volontà, forse dettata da motivi contingenti, di costruirsi parallelamente una carriera di insegnante.La progressiva trasformazione di molte accademie in istituti d’arte, la scomparsa dei premi e dei soggiorni di formazione per gli artisti e la parallela diffusione di scuole per operai e scuole tecniche in cui veniva insegnato il disegno, promettevano buone opportunità d’impiego, tanto che il Marchesi ottenne nel 1874 la patente all’insegnamento del disegno industriale.Negli anni 1868-1870 frequentò le scuole serali per adulti prestandosi, nel 1869, a sostituire temporaneamente l’insegnante coadiutore di disegno e ornato e nell’anno seguente venne nominato egli stesso assistente.Per l’anno accademico 1871-1872 ricevette invece l’incarico a Roma di assistente alla cattedra universitaria di Geometria descrittiva, tenuta dal parmigiano Guido Dalla Rosa.Con due opere eseguite durante questo soggiorno romano il Marchesi prese parte per la prima volta all’esposizione di Brera a Milano nel 1872: le tele, non reperibili, raffiguravano un Interno del Chiostro di Santo Stefano Rotondo in Roma e un Interno della Chiesa di San Giovanni in Laterano in Roma.Di minore impegno sul piano della complessità prospettica ma assegnabile a questo soggiorno romano è la Veduta delColosseo, efficace nella resa veristica e pregevole negli accordi cromatici.Ma è soprattutto importante notare che con i due interni di chiese romane il Marchesi cominciò a puntare la propria attenzione definitivamente sul genere dell’interno.Già durante gli anni della formazione scolastica, ma soprattutto dopo il rientro a Parma da Roma, prese avvio un rapporto di collaborazione, che si trasformò presto in amicizia, tra il Marchesi e il professor Stanislao Vecchi, insegnante presso l’Università di Parma di Geometria Proiettiva e Descrittiva e membro dell’Accademia parmense, di cui fu anche segretario.Il Vecchi fu profondamente interessato, in senso positivista, al rapporto tra arte e scienza, in favore di una visione della scienza (soprattutto quella matematica, cui attiene anche la prospettiva) quale supporto essenziale alle arti, come ben dimostra il suo discorso inaugurale per l’apertura dell’anno accademico dell’Università di Parma del 1885-1886. Fu nella frequentazione con il Vecchi e sotto il suo attento insegnamento che il Marchesi consolidò la sua abilità nel disegno prospettico, riuscendo anche a ottenere commissioni dall’Università di Parma, come quella di due disegni per il laboratorio di chimica nel 1873 e ancora, nel 1875, di nove cartoni per macchine fisiche.Nello stesso 1875 egli propose la propria candidatura, sostenuta da Guido Dalla Rosa, sindaco di Parma, e Francesco Scaramuzza, direttore dell’Accademia di Belle Arti, per l’assegnazione del posto di professore di prospettiva nell’Accademia di Venezia, senza però ottenere l’incarico.Nel 1877 vinse invece il concorso per insegnare presso l’Istituto Tecnico di Foggia, ma in questo caso fu lo stesso Marchesi a rinunciare all’incarico, non trovando di proprio gusto quella città.L’interesse per lo studio della prospettiva era ormai primario, e, tralasciati i temi di paesaggio, gli interni diventarono il soggetto prediletto della sua pittura.Agli anni Settanta si datano anche i primi successi di critica e l’inizio di una partecipazione quasi costante alle esposizioni in molte città italiane.L’interno del coro della chiesa di San Giovanni a Parma, inviato, insieme a due tele raffiguranti l’Interno della Regia Pinacoteca di Parma, alla seconda Esposizione di Brera nel 1873, non solo suscitò le lodi della critica concittadina ma entrò in lizza per l’assegnazione del premio Principe Umberto, classificandosi al secondo posto.L’opera ricevette un entusiastico sostegno critico da parte di Camillo Boito sulle pagine della Nuova Antologia.La pittura di interno era stata ben rappresentata all’Esposizione del 1870, soprattutto da artisti napoletani, e le navate delle chiese cittadine erano state talvolta dipinte anche da Guido Carmignani (probabilmente alla metà degli anni Settanta si datano un Interno della chiesa della Steccata e due vedute della Cattedrale di Parma), ma il vero punto di riferimento per il Marchesi fu in quel momento l’opera dello zio Luigi Marchesi.Tale rapporto si può scorgere nell’attenzione naturalistica e nell’adesione alla serena ambientazione borghese ravvisabile in opere come Interno della Pinacoteca di Parma o, con un’aderenza compositiva strettissima, in tele quali Sotterraneo del Duomo di Parma, che pure ripropone un tema assai caro ai pittori della città, come dimostra ulteriormente una tela di Giacopelli.Il valore di internista delMarchesi venne confermato alla mostra di Brera del 1875 quando esposeL’interno della Sagrestia nobile della chiesa della Madonna della Steccata.La grande tela era già stata presentata per due giorni, con grande apprezzamento da parte dei concittadini, in una sala dell’Università di Parma unitamente al disegno preparatorio: il Marchesi la scelse poi per rappresentarlo l’anno seguente all’Esposizione Universale di Filadelfia, ottenendone anche una medaglia di riconoscimento.Con un Interno del Coro della Chiesa di San Giovanni in Parmaprese invece parte all’Esposizione Universale di Parigi del 1878.La pittura di paesaggio è ormai completamente assente e le opere di questi anni raffigurano esclusivamente interni di chiese e sagrestie di Parma, di cui si riconoscono precisamente le antiche navate, le volte affrescate, gli intarsi dei cori, i grandi armadi secenteschi e i mobili che in molti casi si conservano negli stessi luoghi.Il Marchesi si costruì poi un repertorio di suppellettili liturgiche (candelieri, turiboli, braceri, osservati quasi con l’occhio esperto e appassionato di un antiquario) che abitano costantemente le tele di questo periodo.Tuttavia questi elementi diventarono il necessario fondale per una nuova lettura dell’interno: non più soltanto la precisa e rigorosa ripresa prospettica delle architetture e l’affettuosa indagine sulla vita quotidiana, ma il racconto si spinge ora in una direzione più marcatamente sentimentale e talvolta aneddotica.La pittura del Marchesi è poi sorprendentemente capace di ricreare gli effetti della luce che penetra delicata o con taglienti lame di sole nelle chiese e sagrestie, riscattando dalla penombra gli antichi mobili, i cori intarsiati o scivolando veloce sulle geometrie marmoree dei pavimenti.L’indiscutibile qualità di una materia pittorica preziosa e variata nel tocco completa poi il miracolo di rendere credibili questi spazi, per i quali il Marchesi cerca punti di vista sempre nuovi e mai convenzionali.In tale senso opere quali Prime note, presentata con successo all’Esposizione Generale Italiana di Torino nel 1884, o In sagrestia uniscono alla descrizione minuziosa dell’interno (soprattutto nella precisione degli intagli e delle tarsie lignee rese vive dalla luce calda che fa vibrare le superfici) spunti tematici di carattere quasi letterario o talvolta bozzettistico.Forse più di ogni altra opera, I bibliofili (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, inv.n. 1003) segna questo momento di passaggio e parallelo distacco dall’opera dello zio: nell’ampia sagrestia della chiesa di San Giovanni, sotto la volta affrescata dalle grottesche cinquecentesche del Cesariano, non si trovano più il sacerdote e i chierici pronti per la messa coma nell’opera analoga di Luigi Marchesi, ma di anziani sacerdoti e chierichetti affaccendati intorno ad antichi codici.A tele di grande impegno come quest’ultima si alternano quadri di sapore più intimo come In sacrestia o Scalea del Duomo di Parma.Sempre di più la scelta del punto di vista, che spesso riduce la monumentalità degli ambienti, è indice del progressivo discostarsi dai modelli dello zio e porta il Marchesi a esiti del tutto personali, misurabili a esempio in Riflessi di sole, in cui la tela è quasi interamente occupata dalla figura del sagrestano assorto nella lettura.Tra il 1881 e il 1886 il Marchesi si trasferì a Brescia, accettando l’incarico di insegnante di Disegno industriale e Macchine nella locale Scuola di Disegno per Arti e Mestieri.Pur continuando a dipingere anche in questi anni interni di Parma, egli visitò le chiese e i chiostri bresciani, traendone spunto per alcune tele come documenta il titolo di una delle opere presentate all’esposizione di Roma del 1883: Chiostro del monastero di San Pietro a Brescia. La fama del Marchesi era ormai consolidata, ma parallelamente egli si era conquistato una solida reputazione di insegnante.Le conoscenze di prospettiva e l’esperienza didattica accumulata in questi anni confluirono così quasi naturalmente in un trattato dal titolo Principi fondamentali di prospettiva lineare esposti con nuovo metodo che ha per iscopo di condurre l’artista sul vero, pubblicato a Parma dall’editore Battei nel 1886.Il volume, per quanto estremamente tecnico nell’esporre i procedimenti operativi, lascia trasparire sin dal titolo e dalla citazione da Pietro Estense posta in apertura, la fiducia sincera del Marchesi nella relazione tra gli strumenti della matematica e la necessità dell’arte di riprodurre la realtà.Non casualmente la pubblicazione dell’opera segna la chiusura della prima fase della vita e della carriera artistica del Marchesi.Nel 1886 ottenne infatti, con merito e stima della commissione esaminatrice, la cattedra di Prospettiva presso l’Istituto d’Arte di Palermo, città nella quale si stabilì.Da Palermo il Marchesi mandò nel 1887 un quadro, intitolato Solitudine, che raffigura l’interno della sagrestia di San Giovanni a Parma alla mostra della Società d’Incoraggiamento.Si tratta probabilmente di un lavoro che il Marchesi non aveva ancora terminato prima del proprio trasferimento a Palermo e che veramente segna il raggiungimento più alto della sua prima maturità, nella perizia assoluta dell’impianto spaziale, nella raffinatezza della gamma cromatica che ricrea con assoluta fedeltà l’atmosfera di quieta penombra della sagrestia, violata appena dal sole che invade la cappella sul fondo, e nella suggestione intimistica del tema.Il Marchesi visse a Palermo trentasei anni, che coincisero con la stagione più feconda della sua attività, sia accademica che artistica.Il capoluogo siciliano entrò nei suoi orizzonti nel 1884, quando il 22 novembre uscì un avviso di concorso bandito dal Ministero dell’Istruzione Pubblica per la nomina, presso il Regio Istituto di Belle Arti di quella città, degli insegnanti di geometria, figura, plastica delle figure, ornato e plastica, prospettiva ed elementi di architettura, mosaico e letteratura e storia dell’arte.Il Marchesi, che viveva e insegnava a Brescia con incarichi annuali e un modesto stipendio, presentò la domanda per concorrere alla cattedra di Prospettiva ed elementi di Architettura, allegando a essa solo un rotolo ed una cartellina, e a marzo del 1885 superò le prove con il massimo punteggio.La comunicazione dell’esito del concorso e del parere positivo espresso dalla Commissione Permanente del Ministero della Pubblica Istruzione gli giunse tramite un biglietto del 4 marzo 1885 firmato dal celebre scultore Giulio Monteverde suo affezionato amico e ammiratore.A questa seguì poi il decreto di nomina a decorrere dal 1° gennaio 1886. Il Marchesi fu nominato per un biennio, trascorso il quale sarebbe stato confermato stabilmente.Ricevette anche l’incarico di insegnareDisegno di macchiene ed elementi di cinematica, che mantenne fino a tutto il 1890.Contemporaneamente insegnò Disegno alle scuole professionali del Real Albergo delle Povere, sempre a Palermo.Pertanto, nonostante non avesse ottenuto l’ambita cattedra di Prospettiva al concorso all’Accademia di Belle Arti di Milano, si può dire che il Marchesi avesse raggiunto la stabilità economica e importanti traguardi professionali che avrebbero dovuto gratificarlo.Sembra invece che provasse una certa insofferenza nei confronti della realtà palermitana.Uno stato d’animo forse collegato al difficile rapporto con alcuni colleghi, che gli derivava dal fatto di essere sotto l’ala protettiva dell’onorevole Pietro Lanza di Scalea, appartenente, come lui, alla massoneria.Prova di questa insofferenza è la lettera mesta assai che il Marchesi scrisse, nello stesso 1886, all’amico bresciano Teodoro Pertusati, nella quale accenna alla perduta tranquillità. Uno dei motivi che aumentarono il grave disagio del Marchesi fu la pesante atmosfera che si respirava nel Reale Istituto di Belle Arti, conseguenza della biasimevole condotta del direttore Valenti.Da varie lettere dei docenti (non ultime, due del Marchesi del 14 e del 29 settembre 1889) nonché dalla relazione stilata dal provveditore agli Studi e inviata al Prefetto della provincia il 24 gennaio 1890, si deduce infatti che Valenti non assolveva in maniera corretta al suo dovere di direttore.Gli vennero contestate irregolarità nella conduzione degli esami e inopportune pressioni a favore di Vincenzo Pitini-Piraino durante le votazioni per eleggere il nuovo direttore.In quell’occasione il Marchesi (stimato un artista valente perché persona colta, garbata, assennata, retta e non avente altre preoccupazioni e sostenuto sempre dall’autorevole Principe di Scalea) arrivò al ballottaggio, risultando sconfitto a causa del mancato appoggio di alcuni colleghi contrari all’elezione di un non siciliano.Il malessere che procurava al Marchesi il soggiorno palermitano lo spinse a scrivere alMinistro della Pubblica Istruzione: I quattro anni di mia dimora qui, a Palermo, mi procurarono disgraziatamente sull’ambiente dove sono costretto a vivere, tanti disinganni e tanta amara esperienza, come s’io fossi cresciuto venti anni in età.Nella stessa lettera chiede di essere trasferito in un’altra città, cosi da riacquistare la quiete. La richiesta non venne esaudita sia per la mancanza delle condizioni necessarie sia perché non si voleva privare l’Istituto di un egregio insegnante.Lo stato psicologico del Marchesi dovette gradatamente migliorare grazie anche ai successivi cambi di direttore nell’Istituto di Belle Arti e alle riforme che in esso furono attuate.Nel 1890, su proposta del Ministero della Pubblica Istruzione, il Marchesi ricevette uno dei più alti titoli onorifici dell’epoca, la nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.Nel frattempo ottenne l’incarico di insegnante di Disegno geometrico e Disegno architettonico e prospettico presso la Scuola d’Arte applicata all’industria di Palermo, che mantenne dal 1893 al 1906, in concomitanza con l’insegnamento al Reale Istituto di Belle Arti.Subito dopo la temporanea soppressione di questa scuola, il Marchesi richiese alla Reale Accademia di Belle Arti di Milano di subentrare nel prestigioso posto lasciato vacante dal professore Carlo Ferrario.Il consiglio dei professori preferì però assegnare la cattedra per concorso in modo da permettere a un insegnante locale di ottenere l’incarico dopo molti anni di insegnamento con la qualifica di aggiunto. La scuola d’arte applicata all’industria riprese quattro anni dopo e il Marchesi si vide riconosciuto il diritto di conservare il posto ad personam di professore ordinario di Disegno geometrico, Architettura e Prospettiva, cosicché nel 1912 potè riprendere servizio in quella Scuola. Nello stesso anno partecipò al concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione per un posto di professore aggiunto di Prospettiva al Reale Istituto di Roma, superandolo a pieni voti.Ma il Marchesi, prima ancora di prendere servizio a Roma, cambiò idea e decise di ritornare a Palermo tanto era l’attaccamento che sentiva per i suoi alunni.Il 30 novembre 1913, pertanto, venne nuovamente accolto dal personale e dagli alunni della Reale Scuola d’arte applicata con grande contentezza.Continuò a insegnare ancora per quasi un altro decennio, quando nel 1920, data l’avanzata età, diede le dimissioni dall’incarico di insegnante alla Scuola d’arte applicata all’Industria e, nel 1922, ricevette la notizia che il Ministero aveva disposto il suo collocamenteo a riposo a decorrere dal 16 febbraio dello stesso anno. Così, all’età di settant’anni il Marchesi, come lui stesso scrisse al barone Francesco Colnago, lasciò con molto dispiacere Palermo, città alla quale si sentiva legato da affetto filiale, per trasferirsi a Parma vicino ai parenti.Prima di partire ricevette numerose attestazioni di stima e di affetto, come la medaglia d’oro da parte dei suoi allievi palermitani del Reale Istituto di Belle Arti in occasione del suo settantesimo compleanno e il titolo di socio onorario dell’Associazione Giovani Artisti siciliani.Doveva essere già lontanoda Palermo prima della fine dell’anno, se la cartolina con gli auguri natalizi di trentacinque ex allievi indirizzata al suo domicilio di Parma (via XXII luglio 55) reca la data del 18 dicembre 1922. Nel 1924 il Marchesi ricevette la comunicazione da parte di Ernesto Basile che il Ministero aveva dato corso al decreto con il quale egli venne poi nominato Professore Emerito dell’Istituto di Belle Arti di Palermo per le speciali benemerenze acquisite nell’insegnamento. La fama raggiunta e la stabilità acquisita da lungo tempo non frenarono però la sua instancabile necessità di lavorare.Con una passione analoga a quella degli anni giovanili, il Marchesi ritornò nella Sagrestia di San Giovanni e tra gli stalli del coro.L’amore per questi luoghi si coglie appieno in Lettura sacra, ambientato nella cappella Ravacaldi della cripta del Duomo, in cui il Marchesi non trascura alcun particolare del grande affresco con l’Annunciazione e i donatori inginocchiati in preghiera.Ma anche la sagrestia dei Consorziali, la cripta del Duomo e la sagrestia di San Giovanni ritornano in opere piene di vivacità esecutiva.A quest’ultima fase si datano anche numerosi acquerelli: alcuni ritratti, come quello di Teresa Giovanardi Corradi Cervi, e molti degli scorci di esterni di chiese cittadine o dei chiostri del convento di San Giovanni Evangelista.E anche i paesaggi, che avevano fatto nuovamente la loro comparsa negli anni palermitani, continuarono a interessare il Marchesi, soprattutto la collina parmense della villeggiatura insieme agli interni delle chiese della campagna.Tutto questo lavoro, frutto di una vivace e operosa vecchiaia, venne presentato dal Marchesi ai propri concittadini in una mostra personale tenutasi nel 1925, parallelamente all’esposizione triennale della Società d’Incoraggiamento.Una parte fondamentale nella sua attività di insegnante, così come in quella di pittore, ebbe la riflessione sulle problematiche inerenti la prospettiva.Facendo tesoro della lezione dei suoi maestri di Parma e del proficuo periodo di assistentato all’Università di Roma accanto al marchese Guido Dalla Rosa, professore di Geometria proiettica e descrittiva, nonché della sua esperienza artistica, scrisse due manuali di prospettiva.Il suo scopo fu quello di rispondere alle esigenze degli artisti meno portati ad accostarsi a studi su tale argomento, dal carattere troppo speculativo.Il primo manuale, di non vaste dimensioni, si intitola Principi Fondamentali di Prospettiva lineare esposti con nuovo metodo che ha per iscopo di condurre l’artista sul vero e fu dato alla stampa nel 1886.Il Marchesi ritiene, come lui stesso scrive nella prefazione, che si possa perseguire questo obiettivo facendo conoscere all’artista la relazione che corre fra l’unità metrica vera e quella prospettica, costituente il principio fondamentale al quale è appoggiata tutta l’applicazione della prospettiva.Di più alto spessore è invece il secondo volume, Prospettiva lineare pratica per gli artisti con 23 tavole doppie a rilievo, edito a Milano nel 1902. In esso il Marchesi affrontò ancora più da vicino le tematiche, fornendo nella seconda parte i metodi (come quello della misurazione delle immagini) per regolare facilmente le prospettive sul vero con grande vantaggio dell’artista, specialmente nei casi quand’egli non può, con mezzi pratici, disegnare direttamente sul Vero per insufficienza di spazio.Il linguaggio usato vuole essere il più semplice possibile affinché le discipline prospettiche, polarizzate sopra tutto fra i giovani cultori dell’arte in principio di carriera, non sieno più di esclusivo patrimonio dello scienziato o dello specialista mentr’esse sono tanta parte dell’Arte. I principi esposti nei manuali sono gli stessi che costituivano la base delle sue lezioni al Reale Istituto di Belle Arti di Palermo, come è possibile ricavare da uno dei programmi della sua disciplina.Da quest’ultimo, inoltre, si desume che una parte del corso da lui tenuto riguardò la teoria delle ombre e fornì tutte le conoscenze teoriche utili per rendere palpabile in un dipinto la percezione della luce.Spaziò infatti dalle proiezioni del raggio luminoso a 45° colla linea di terra all’ombra di un punto e di una retta in tutte le direzioni sopra una superficie verticale convessa o concava, dall’ombra di un circolo disposto verticalmente ed orizzontalmente all’ombra propria e portata di una piramide, dei triglifi, dei medaglioni, dei frontoni, dei capitelli, delle basi, dei piedistalli.Fondamentali furono questi insegnamenti per i suoi allievi palermitani, quali a esempio Salvatore Maddalena, che sembra copiare quasi pedissequamente il Marchesi in un Interno di San Matteo (a Palazzo Comitini), e Pietro De Francisco, che imparò da lui la puntualità e la fluidità del segno, il rilievo della figura umana nel chiaroscuro e nello scorsio, la volumetria degli oggetti, il pacato diffondersi della luce negli interni.Questi elementi, perfettamente assimilati dal Marchesi, emergono in modo evidente nella sua pittura che continuò a guardare al vero, anche a contatto con l’accattivante stile liberty che si diffuse ampiamente nella Palermo fin de siècle.La dedizione all’insegnamento non distolse il Marchesi dall’attiva partecipazione alla vita artistica dell’epoca in un ambiente, come quello palermitano, ricco di vivaci fermenti culturali e nuovi stimoli creativi.Dopo il trasferimento a Palermo, il primo appuntamento al quale presenziò fu l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano del 1886: una mostra, quella milanese, alla quale partecipò assiduamente fin dal 1872 e che costituì per lui un vero e proprio trampolino di lancio.Questa volta espose solo un’opera, che tuttavia aveva un significato molto particolare.Il soggetto, infatti, si discosta dagli interni chiesastici dipinti nel periodo parmense e ritrae uno dei massimi esempi dell’architettura arabo-normanna che il Marchesi si accingeva a scoprire a Palermo.Il dipinto, che per l’occasione fu intitolato La pace del Chiostro, raffigura due monaci benedettini assorti in meditazione nell’esclusivo spazio del chiostro dell’Abbazia benedettina di Monreale.Si tratta di un topos spesso ricorrente nella pittura siciliana dell’Ottocento ed emblematico dell’interesse crescente del Marchesi verso i monumenti medievali simboli patriottici dell’identità nazionale alla cui riscoperta era interessato, in prima fila, il nuovo stato italiano.Rispetto alle precedenti, suggestionate dall’interpretazione poetica di un ambiente chiuso di Luigi Marchesi e caratterizzate dal prevalere di tonalità brune di fondo, quest’opera mostra gli interessanti esiti dell’attento studio dal vero in una architettura aperta e ricca di particolari decorativi dal diverso materiale costitutivo, come è il chiostro di Monreale, e di quella ricerca costante di nuovi esperimenti luministici che spinse il Marchesi a scegliere sempre ardite inquadrature e complicati tagli compositivi.Le figure, ridotte quasi a sagome nere, sono un pretesto per sottolineare i contrasti chiaroscurali e il rispetto dei rapporti proporzionali tra l’elemento umano e quello architettonico, infondendo così materialità allo spazio. L’inedito punto di vista, inoltre, dal quale riprende la veduta pone in primo piano la suggestiva fontana angolare di reminescenza araba e mette in evidenza la lunga fila di colonnine binate impreziosite da capitelli scolpiti e da decorazioni musive.Il dipinto fu esposto successivamente a Venezia nel 1887 e presentato a Palermo nel 1888, accanto all’Interno della Zisa, alla I Mostra organizzata dalla Società Promotrice di Belle Arti nei locali della ex chiesa dei Sett’Angeli.Questa mostra segnò il suo primo impatto con il pubblico palermitano, che gli tributò un discreto successo.A testimoniare i riscontri positivi ottenuti dal Marchesi, una recensione pubblicata su un quotidiano dell’epoca lo definì un artista provetto, padrone delle linee e della tavolozza che conosce tutti i segreti degli effetti pittorici e sa trarne profitto a suo talento.Da quel momento la sua partecipazione alle esposizioni palermitane si fece abbastanza assidua e crebbe anche l’interesse della pubblicistica locale verso la sua pittura.Nel 1889 intervenne alla II mostra della Società Promotrice, allestita in un padiglione di legno a Piazza Marina, esponendo nuovamente I Bibliofili e l’Interno della Zisa accanto a un’opera, non ancora conosciuta dal pubblico, intitolata In coro.Già allora faceva parte del Circolo Artistico di Palermo, un’associazione che organizzava quasi ogni anno mostre artistiche, concorsi con premi di incoraggiamento e, in alcune sale appositamente allestite nella propria sede, corsi di studio dal vero e del costume.Fu proprio in seno al Circolo artistico che venne istituita la Società Promotrice di Belle Arti, alla quale si deve l’organizzazione, dopo quelle del 1888 e 1889, di svariate altre esposizioni a Palermo, in cui è documentata dalla cronaca dell’epoca la partecipazione dello stesso Marchesi.Una delle più importanti iniziative di cui il Circolo artistico di Palermo si fece sostenitore fu l’Esposizione Nazionale del 1891.La rassegna, che rappresentava una vetrina economico-culturale dell’intera società palermitana, sul piano dell’arte si rivelò un’importante occasione di confronto tra i numerosissimi artisti presenti e tra indirizzi espressivi diversi.Il Marchesi presentò tre opere tra le più interessanti della sua produzione palermitana: A Santa Maria di Gesù, che coniuga felicemente un perfetto fondale paesaggistico di sapore lojaconesco con la presenza dell’aneddoto, Monaca in coro, caratterizzata da nuovi e suggestivi effetti di luce localizzata, e Musaicista, ambientata nella Cappella Palatina di Palermo, che più degli altri suscitò l’interesse della critica contempranea tanto da essere illustrato nella cronaca della stessa esposizione.Il dipinto fu celebrato per la finezza squisita con cui vennero riprodotti i mosaici della cupola: i più minuti particolari furono curati con una scrupolosità che deve essere costata all’artista molti e molti mesi di lungo assiduo e paziente lavoro.Nel 1913 il Marchesi fu eletto Presidente del Collegio delle Arti Figurative del Circolo Artistico.Insieme al pittore Giuseppe Gambino e allo scultore Mario Rutelli, inoltre, fece parte fino al 1904 della Commissione speciale che presiedette i corsi di studio dal vero e di studio del costume. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale fu impegnato, insieme agli altri soci del Circolo, in iniziative artistiche finalizzate a un aiuto economico per i soldati.Tra queste la Mostra del Ventaglio Patriottico, inaugurata il 29 agosto 1915 negli ampi saloni della sede del Circolo, in cui il Marchesi, insieme con l’architetto Francesco Paolo Rivas e il pittore Luigi Di Giovanni, fece parte della commissione di ordinamento. Il Marchesi espose in questa occasione un ventaglio reso con quella acuta osservazione del vero, con quella probità di disegno e di colore che sono consuete di tutte le opere del valoroso artista.L’opera, acquistata dalla Cassa di Risparmio di Palermo, aveva per tema il sacro monumento di San Giusto e la venerabile fila degli acquedotti romani idealmente congiunti dalla curva dell’arcobaleno e quasi avvicinati a esprimere l’unità della patria.Al mezzo una donna formosa intreccia ghirlande per i prodi che a questo sogno, nutrito per cinquant’anni nei nostri cuori, daranno compimento.Nel frattempo il Marchesi proseguì a esporre in numerose rassegne palermitane: nel 1890 fu presente alla III Promotrice con un quadro dal titolo La quiete, alla Mostra Regionale di Belle Arti del 1894 espose la Scalinata del Duomo di Parma, la Cappella del Crocifisso e tre acquerelli, a quella del 1896 Ritocchi, alla VI Esposizione della Promotrice del 1899 presentò due Interni di sacrestia e alla VII Promotrice del 1900 propose Lontano successore.Ancora, il Marchesi partecipò alla Mostra di bozzetti del 1909 con alcuni paesaggi di tinte assai scure e di poca vita, alla Pro Patria Ars del 1917 con sei tele (Il sagrestano, Il ritorno dalla Camera di Consiglio, Poco Fuoco, Dolore, Il padre guardiano e Il portiere del Convento) e alla Mostra permanente di Belle Arti del 1921, un anno prima del suo ritorno a Parma, con altre opere non citate dalle fonti. Da un rapido esame di queste opere emerge sempre, al di là della descrizione fedele della realtà, un gusto particolare dell’inquadratura, del taglio compositivo o dell’impostazione del soggetto.Spesso, infatti, nell’ambito della produzione del Marchesi, uno stesso soggetto è rappresentato in maniera differente: muta di volta in volta il modo di riprenderlo, abbassando più o meno il punto di vista, variando l’angolazione o ricorrendo a qualche espediente compositivo, come quello abbastanza frequente della porta semiaperta.Si confrontino a esempio i tre dipinti raffiguranti l’interno della chiesa di San Francesco Saverio o le diverse scene ambientate nel coro superiore della chiesa di Santa degli Angeli di Palermo, detta la Gancia.Il punto di vista molto ribassato e il taglio spiccatamente orizzontale nei primi due interni di San Francesco Saverio (uno dei quali fu pubblicato da Saviotti con il titolo Il Cieco) creano l’illusione di una maggiore spazialità dell’ambiente e, nello stesso tempo, di una più vasta profondità di campo.Completamente diversa è invece l’altra opera, esposta per la prima volta a Palermo nel 1894 col titolo Cappella del Crocifisso, dall’inquadratura più ravvicinata e dal taglio verticale dell’immagine, in cui il Marchesi sembra attratto dal particolare effetto di luce che mette in risalto il realismo del Cristo scolpito e l’acceso colore della tunica del chierico.Durante la permanenza a Palermo, il Marchesi continuò, anche nel corso dei primi decenni del Novecento, a inviare le sue opere alle esposizioni che si svolgevano nelle altre città italiane, nonché all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. In particolare, abbastanza costante fu la sua partecipazione alle importanti mostre di Firenze, di Milano, di Torino e di Roma, come documentano sia i cataloghi dell’esposizioni, sia alcuni articoli sulle principali riviste specializzate dell’epoca.La scelta dei soggetti rimase ancorata agli interni di ambienti religiosi palermitani, proposti talvolta con nuovi e suggestivi titoli: il dipinto dal titolo Ritocchi, illustrato su Natura ed Arte, raffigura a esempio uno degli ambienti del Convento della Gancia di Palermo.Dal punto di vista compositivo la luce, che con la sua forza scrutatrice guidava il Marchesi nella puntuale osservazione del vero, costituì sempre l’elemento chiave delle sue opere.Il linguaggio pittorico, suggestionato dagli esempi siciliani di Lojacono e di De Maria, si evolse verso una maggiore fluidità e rapidità impressionistica, accentuata da tocchi vibranti di colore intrisi di luce.Tuttavia il legame con l’ambiente artistico siciliano (rappresentato, oltre che da Lojacono e De Maria, anche da quella schiera di pittori-decoratori che si muoveva attorno a Ernesto Basile, interprete del gusto liberty allora dominante) non condizionò che marginalmente lo stile del Marchesi.Egli infatti, si inserì in quel contesto, come rilevò il suo allievo palermitano Pietro De Francisco, aprendo una via nuova all’ambiente siciliano: gli interni così pieni di carattere, chiese, sacrestie, chiostri, diversi peraltro da quelli, già noti, di provenienza napoletana.Un’ultima notazione va fatta sugli acquerelli del Marchesi, tra i quali il Pierrot con chitarra, l’Antiquario e il Nudo femminile rintracciati in collezioni private, che mostrano una assoluta padronanza della tecnica e una notevole facilità descrittiva.Questi ultimi sono da ascrivere in gran parte al periodo siciliano e da collocare nell’ambito dello studio dal vero (che comprendeva anche il nudo) e del costume promosso dal Circolo Artistico di Palermo.
FONTI E BIBL.: Catalogo delle opere esposte, 1870, 54, 56, 58; Gazzetta di Parma 1, 3, 16 e 30 settembre 1873; P.Bettoli, 19 agosto 1874; Gazzetta di Parma 23 ottobre 1874; B., in Gazzetta di Parma 19 e 20 settembre 1875; Gazzetta di Parma 18 agosto, 7 e 16 settembre 1875; P.Martini, 23 agosto 1875; Il Presente 22 febbraio 1875; Il Presente 22 settembre 1875; A.Rondani, 4 agosto 1875; A.C., in Gazzetta di Parma 1876; Il Presente 17 marzo 1876; B.,in Gazzetta di Parma 20 agosto 1878; L. Pigorini, 25 novembre 1879; Il Presente 16 dicembre 1879; Esposizione Nazionale in Milano, 1881, 82; A.Ferrarini, 1882, 16; Il Presente 28 settembre 1887; Z.,in Gazzetta di Parma 1887; Il Presente 5 aprile 1888; Corriere di Parma 17 maggio e 30 giugno 1889; R.De Croddi, 1893, 372; P., in Gazzetta di Parma 1893; Parma Giovane 12 novembre 1893, 366; C.Ricci, 1896, 173, 385, 393; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. X, 85-86; O.Boni, 1905; A.De Gubernatis, 1906, 278; A.Alessandri, 1907, 14-22; L.Cellari, 1909, 385-386; A.Alessandri, 1910, 62-63; G.Gatti, 1925, 126; A.Corna, 1930, 343; N.Pelicelli, in U. Thieme-F. Becker, 1930, v. XXIV, 64; Inventario dei manoscritti della Galleria Nazionale, 1938, 260; A.Sorrentino, in Enciclopedia Treccani, 1934, v. XXII, 241; G.Copertini, 1936, 67-68; A.M.Comanducci, 1945, v. II, 437; G.Allegri Tassoni, 1952, 61; Parma per l’Arte II 1952, 98, 101, 102; E.Bénézit, 1955, v.V, 768; U.Galetti, 1961, 189; G.Copertini, 10 novembre 1962, 3; R.Allegri, 1963, 49; F.Arisi, 1967, 265; G.Saviotti, S.Marchesi, in Aurea Parma X 1926, 18-22; Cronache d’Arte III 1926, 206 e seguenti; Aurea Parma 2 1936, 67-68; G.Copertini, Le mostre postume di Alberto Pasini e di Salvatore Marchesi all’esposizione di Busseto, in Aurea Parma 1926, 307; G.Melli, Salvatore Marchesi (cenno necrologico), in Aurea Parma 1926, 160; Città di Busseto, Settembre 1926 - Mostra d’Arte (catalogo delle opere esposte con un cenno biografico su Salvatore Marchesi), Parma, Fresching, 1926, 23, 29, 41, 42; Parma per l’Arte 2 1952, 101-104; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 91-92; G.Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 114-117; De Gubernatis, Dizionario artisti italiani viventi, 1889; In memoria di Salvatore Marchesi pittore internista, Parma, senza data; Natura ed Arte 8 1894-1895, 441 e seguenti; Galetti e Camesasca, Enciclopedia pittura italiana, Milano, 1951, II, 1556; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1863; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1556; A.O.Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939; G.Copertini e R.Allegri, Mostra retrospettiva di Salvatore Marchesi, catalogo, Parma, 1952, 5, 6, 10, 13; A.M.Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni, volume III, Milano, 1962; G.Godi, Mecenatistmo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’800, catalogo della mostra, Colorno, 1974, 117-118; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi dei pittori, VII, 1975, 172; Grandi di Parma, 1991, 70; M.Sacchelli, in Gazzetta di Parma 7settembre 1998, 13; Luigi e Salvatore Marchesi, 1998, 43-52 e 55-67.
MARCHESI SCIPIO
Parma 22 ottobre 1896-
Figlio di Enrico e Celestina Parizzi.Il suo nome compare sul Bollettino delle ricerche. Supplemento dei sovversivi.In Spagna fu nei servizi ausiliari di una non meglio precisata formazione antifranchista.Fu rimpatriato in Francia sul finire del 1938.
FONTI E BIBL.: L.Arbizzani, Antifascisti in Spagna, 1980, 94.
MARCHESI VITTORIO
Parma seconda metà del XVI secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IV, 186.
MARCHESI VITTORIO
Parma 1714
Pittore attivo nell’anno 1714, forse sacerdote.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XIII, 1822, 14.
MARCHESI ASCANIO -Calvi di Capua 1580
Canonico della Cattedrale di Parma nel 1562, fu nominato Vescovo titolare Majorense in Palestina (18 aprile 1567).Fu trasferito alla Diocesi di Calvi di Capua il 23 settembre 1575.Fu suffraganeo del cardinale Alessandro Sforza, vescovo di Parma.
FONTI E BIBL.: A.Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 272.
MARCHESINI GIOVANNI, vedi MARCHESI GIOVANNI
MARCHESINI LUIGI-Parma 4 agosto 1893
Fu volontario e combatté giovanissimo nel 1860-1861 per l’Indipendenza nazionale.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 agosto 1893, n.215; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1815, 412.
MARCHETTI ANGELO
Parma 1 ottobre 1896-Aschac 17 marzo 1918
Figlio di Enrico e Carolina Pasquali.Macellaio, fu caporale nel 78° Reggimento Fanteria.Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare.Fu ferito sul Carso e fatto prigioniero il 23 ottobre 1917 mentre era ricoverato nell’Ospedale da Campo n.53. Morì poi nell’Ospedale di Aschach.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 150.
MARCHETTI ANTONIO
Berceto 4 luglio 1708-Piacenza 24 dicembre 1746
Frate cappuccino.Compì a Guastalla la vestizione (5 dicembre 1726) e la professione solenne (5 dicembre 1727).Fu predicatore e ospedaliere.Morì per malattia contratta durante l’assistenza agli infermi.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 721.
MARCHETTI ATTILIO
Collecchio 1915-Parma 2 febbraio 1999
Barbiere, fu anche pittore e scultore dilettante che fece della sua arte una rappresentazione degli aspetti del territorio collecchiese.Ne uscirono casolari, ambienti agresti e fluviali di grande bellezza, resi con colori tenui, quasi romantici, che fanno di ogni quadro una vera e propria poesia e che dimostrano l’amore che il Marchetti ebbe per la sua terra.Partecipò a numerose mostre collettive e concorsi a Parma, Casalmaggiore, Sant’Ilario, Suzzara, Berceto, Fornovo Taro, Borgo Val di Taro, Bardi, Varano de’ Melegari, Montechiarugolo, Traversetolo e Collecchio, ottenendo ovunque consensi e anche primi premi.Collecchio nel settembre del 1990 volle tributargli un omaggio organizzando, nell’ambito del della fiera di settembre, una sua personale al centro culturale di Oppiano, grazie all’interessamento della sezione di Italia Nostra. Anche radici vecchie raccolte nel greto del fiume, legni fossilizzati rinvenuti in Taro, materiale vario ritrovato lungo il suo peregrinare per il Collecchiese, nelle sue mani diventavano figure di notevole bellezza, per di più uccelli.Gli ultimi anni della sua vita, minato nella vista, li passò a organizzare voluminosi dossier di appunti di storia locale su Collecchio, principalmente, ma anche su Parma e sui comuni della provincia: si tratta di cartoline d’epoca, documenti e fotografie.
FONTI E BIBL.: G.F.C., in Gazzetta di Parma 23 febbraio 1999, 24.
MARCHETTI DOMENICO
Montechiarugolo 1831
Fu tra i propagatori della rivolta del 1831.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 185.
MARCHETTI IGNAZIO DOMENICO GIOVANNI
Parma 4 agosto 1715-1800
Figlio di Giacomo e Francesca Calani. Fu intagliatore in legno e conduttore della bottega ducale.Del Marchetti si ricordano: 1761 progetto non eseguito per la porta d’ingresso in San Pietro Apostolo, 1764-1765 lavori vari a Corte, 1768 ornati per gli scaffali della Biblioteca Palatina, 1769 (anno in cui iniziò a godere della pensione ducale) due consoles, 1771-1772 ornati delle cantorie, cornici e candelieri cartaglorie, 1773 tronetto processionale nell’oratorio di Copermio, 1774 ornati della cantoria e dell’organo nell’oratorio dell’Annunziata, una poltrona e due sedie in San Liborio a Colorno, 1775-1777 ornati del coro e del leggio, in collaborazione col piacentino Giovanni Prati, ornati delle ancone, altari laterali, ancona maggiore, candelieri e porte d’ingresso, in collaborazione col Prati, in San Liborio a Colorno (nel 1777 la pensione venne commutata in stipendio regolare), 1779 cornici per ritratti ducali, ornati del pulpito in San Liborio a Colorno, 1785 ornati del portone d’ingresso nell’Ospedale della Misericordia, 1786 ornati dell’altare della Beata Orsolina de’ Veneri in San Quintino, 1788 perizia del baldacchino di Francesco Galli in San Giacomo a Soragna, intaglio della cassa d’organo nella Santissima Trinità dei Rossi, 1792 ornati del colo, baldacchino grande, placche portacero in San Liborio a Colorno, in collaborazione con Carlo Giannetti e coi piacentini Francesco Tassi, Antonio Canavesi e Nicola Ferrari, 1793 ornati degli armadi in sagrestia in San Liborio a Colorno, 1794 due consoles scolpite per la Corte, ornati delle tribune e dell’ancona nell’oratorio della Rocca di Sala.Nel 1796 si mise a riposo.
FONTI E BIBL.: Colombi, 1975, 56; G.Bertini, 1975, 219-224; E.Bezzi, 1978, 114; G.Cirillo-G.Godi, L’Arte, 1979, 190-191; Il mobile a Parma, 1983, 259-260.
MARCHETTI PAOLO
Montechiarugolo 1831
Fu tra i propagatori della rivolta del 1831.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 185.
MARCHETTI PIETRO
Parma XIX secolo-post 1934
Fu insegnante, collaboratore de La Voce dei Maestri e, nel 1924, presidente del Consiglio di direzione delle scuole elementari di Parma.In tale veste redasse, nel gennaio 1924, la relazione Opere patriottiche e filantropiche, che è anche un rapporto sull’istruzione elementare del tempo.Nel 1934 scrisse una breve storia degli asili d’infanzia (Vicende storiche dei nostri asili d’infanzia, Edizione del Comune, Parma).
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 436.
MARCHETTI ROBERTO
Borgo San Donnino 1901/1921
Fu sindaco di Borgo San Donnino nell’anno 1921.
FONTI E BIBL.: G.Laurini, Borgo San Donnino e i suoi capi civili, 1927.
MARCHETTI TULLIO
Borgo San Donnino 1923-Fidenza 7 ottobre 1989
Sindaco di Fidenza alla metà degli anni Sessanta, amante della musica, va ricordato come artefice della riapertura del locale Teatro Magnani.A Fidenza organizzò stagioni liriche di ottimo livello e lanciò cantanti poi diventati famosi (Fiorenza Cossotto, Pietro Cappuccilli). Decaduto dalla carica, continuò a organizzare concerti lirici nel territorio. Fu anche presidente degli Amici di Verdi di Busseto. La società degli amici della musica di Fidenza porta il suo nome.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 436; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARCHI ANTONIO
Pieve Ottoville 10 ottobre 1809-Parma 12 gennaio 1882
Nacque nella magnifica villa di famiglia da Giovanni Battista, facoltoso proprietario terriero, e da Cecilia Stefanini.La famiglia, per quanto risiedesse da tempo a Pieve Ottoville, ottenne già nella prima metà del Settecento il brevetto di cittadinanza parmense.Il Marchi svolse le funzioni di appaltatore ducale per la difesa degli argini del Po.Dotato di spirito di iniziativa, impiantò una filanda nei pressi della villa da lui acquistata dagli eredi dei conti Leni.La villa era quasi in rovina e il Marchi non solo provvide a farla restaurare ma la fece anche affrescare affidandone l’incarico a Girolamo Magnani.Dotato di spirito d’iniziativa, in breve il Marchi divenne, come lo definiscono gli atti pubblici del tempo, grande imprenditore di opere pubbliche, aggiudicandosi ben presto molte tra le commesse pubbliche più importanti del Ducato, quali l’arginatura del Po, la costruzione di strade e ponti, fino alla realizzazione, in epoca più tarda, della ferrovia Piacenza-Bologna.Eccellente uomo d’affari, seppe acquisire un cospicuo patrimonio immobiliare acquistando molti terreni adiacenti alle mura della città, il palazzo di Parma, il castello di Montechiarugolo e diverse aziende agricole che condusse direttamente applicando nuove e ardite tecniche di coltivazione.Prese parte ai moti del 1831 e combatté a Fiorenzuola militando in quella colonna che tentò di realizzare un collegamento attraverso l’Appennino con le truppe del generale Zucchi.Alla caduta del Ducato, ospitò il generale Garibaldi che, proprio dal palco numero 12 del Teatro Regio di Parma, di proprietà del Marchi, arringò la folla degli spettatori che lo acclamava.Da uomo colto e amante del bello, arricchì le proprie dimore di importanti collezioni d’arte, molte delle quali provenienti dalla liquidazione dei beni dei Palazzi ducali.Brillante nella conversazione e nella vita sociale, seppe circondarsi di stima, intrattenendo rapporti amichevoli con i più eminenti uomini del tempo. Fu grande amico del Magnani, che ospitò spesso a Montechiarugolo e al quale commissionò la decorazione di alcuni soffitti, la prospettiva del cortile del palazzo di Parma e alcuni salotti della villa di Pieve Ottoville.In tarda età, afflitto da una grave forma di paralisi, amò fare lunghe passeggiate in carrozza.Sposò Orsola Musiari, dalla quale ebbe dieci figli.Quando il Marchi morì, la sua bara fu portata a braccia dai suoi contadini da Parma al camposanto di Pieve Ottoville.
FONTI E BIBL.: A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 332; Strade di Zibello, 1991, 24.
MARCHI ANTONIO
Parma10 dicembre 1873-Parma 1 marzo 1933
Figlio di Virginio ed Emilia De Luchi. Ingegnere, di distinta famiglia parmigiana, fu Sindaco di Montechiarugolo per un decennio e consigliere e assessore del Comune di Parma nel quadriennio 1906-1910.Fu inoltre membro della Commissione Reale per l’amministrazione della Provincia, membro dell’Istituto nazionale Umberto I di Savoja e della Regia Deputazione di Storia Patria. Nel 1908, in occasione del terremoto di Messina e Reggio Calabria, diresse una squadra di soccorso, meritandosi una menzione onorevole.Letterato, collaborò a giornali e a riviste pubblicando vari studi storici di argomento parmigiano, primo tra tutti, per la sua importanza storica, quello che rivendica a Montechiarugolo il primo fatto d’arme dell’indipendenza italiana (4 ottobre 1796), comparso nel 1923 su Aurea Parma.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1933, 80; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 92.
MARCHI ANTONIO
Parma 1912-1980
Amministratore delegato di importanti aziende, raffinato cultore di studi parmensi e bibliografo, fu redattore capo della rivista Aurea Parma durante la direzione Scotti-Squarcia (1950-1963).
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 436.
MARCHI ANTONIO
Parma 1923-2003
Regista, produttore cinematografico e poi industriale, fondatore, con il fratello Virginio, dell'industra di gelati Tanara. La sua atività cinematografica si svolge tra il 1946 ed il 1957, attraverso la realizzazione di numerosi documentari, la fondazione della rivista "La critica cinematografica". nel 1954 realizza il suo unico lungometraggio Donne e soldati, diretto da Luigi Malerba.
FONTI E BIBL.: M. Grasso, Cinema primo amore. Storia del regista Antonio Marchi, 2010
[MR, 29.2.2010]
MARCHI FEDERICO
Coloredo 23 febbraio 1862-Roma 13 gennaio 1931
Frate cappuccino laico.Compì a Borgo San Donnino la vestizione (16 dicembre 1892) e la professione solenne (18 dicembre 1893).Già nel secolo muratore capomastro, fu utilissimo nella sua arte in provincia e in Roma, zelante del decoro della casa del Signore.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 65.
MARCHI GIORGIO
Parma 1918-Monte Bregianit 30 gennaio 1941
Figlio di Vittorio.Sottotenente di complemento del 7° Alpini, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Di notte, durante un improvviso assalto nemico, si lanciava per primo al contrassalto.Benché ferito da schegge di bombe a mano persisteva nell’azione.Il mattino successivo si portava all’attacco e, mentre guidava con l’esempio il proprio plotone sotto una munita ed aspra posizione nemica, suggellava con l’estremo sacrificio il suo atto eroico.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale, 1949, Dispensa 17a, 2993; Decorati al valore, 1964, 92.
MARCHI GIOVANNI
Parma 2 gennaio 1875-Parma 11 dicembre 1938
Architetto, appassionato cultore delle arti belle, fu per parecchi anni (1924-1929) presidente dell’Ars Lyrica di Parma, che ebbe in lui, più che un dirigente, un mecenate.L’Ars Lyrica tenne per qualche tempo la gestione del Teatro Regio di Parma e il Marchi fu in grado di allestire importanti stagioni liriche.Direttore per sette anni dell’Istituto d’Arte di Parma, diede un buon impulso alla scuola.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 125; Aurea Parma 1 1939, 36; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 92.
MARCHI MARCO
Parma 1831/1848
Medico.Servì sotto il generale Zucchi.Si battè a Rimini e si ritirò poi ad Ancona, da dove rimpatriò.Partecipò ai moti del 1831 e fu inquisito.Fu perciò costretto ad abbandonare Parma e forse raggiunse Varsavia.Fece parte del Consiglio comunale di Parma a partire dal 21 marzo 1848.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 180; U.A.Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 12.
MARCHI ROSA
Parma 1767/1770
Nel 1770 era allieva della Reale Scuola di Ballo di Parma. Nella stagione 1767-1768 una omonima (forse la stessa Marchi) ballò al Teatro Regio di Torino in Il trionfo di Clelia e Il Creso.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
MARCHI SANTE
Guastalla-1837
Funzionario dello Stato, fu implicato nei moti carbonari del 1821 e fu condannato al carcere.Scontata la pena, perse impiego e denaro.Il governo di Maria Luigia d’Austria gli offerse di riprendere nuovamente il suo ufficio ma egli rifiutò per tener fede ai suoi principi e alla sua dignità.
FONTI E BIBL.: A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 366.
MARCHI SERAFINO
Pieve Ottoville 1801-
Dal 1821 studiò violino con Antonio Bertholemieux e nel 1825 si presentò all’esame per essere nominato aspirante della Ducale Orchestra di Parma: il giudizio fu che doveva ancora studiare. Nel 1826 partecipò per la seconda volta all’esame con il medesimo esito (Biblioteca del Conservatorio di Parma, Archivio della Ducale Orchestra).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
MARCHI TEODOSIO
Pieve Ottoville 17 ottobre 1875-Parma 20 aprile 1956
Si laureò in giurisprudenza presso l’Ateneo di Parma nel dicembre del 1898.Il primo periodo della vita del Marchi corrisponde all’età umbertina.Fu il periodo transitorio del neonato Regno d’Italia, che affrontò le prime difficoltà della politica internazionale, sperimentò la bontà o l’insufficienza di certi istituti pubblici, che erano stati elaborati come strumento di governo o di politica, ebbe le prime e spesso serie esperienze nel campo sociale e che si concluse tragicamente a Monza.Le opere giovanili del Marchi risentono seriamente del momento politico in cui nacquero e delle dirette osservazioni che egli potè trarre dal quotidiano contatto con la realtà.Dopo un biennio di insegnamento della statistica all’Università di Urbino, si orientò decisamente verso il diritto pubblico che in quegli anni veniva, sotto un certo aspetto, formandosi, data l’ancora scarsa esperienza costituzionale italiana e la necessità di interpretazione delle norme dello Statuto Albertino e delle molteplici leggi aventi carattere costituzionale o amministrativo che erano state emanate in quegli anni.Le ricerche condotte dal Marchi sulla distinzione tra atti politici e atti amministrativi e l’opportunità di distinguere l’aspetto politico da quello giuridico dei provvedimenti di scioglimento di un consiglio comunale o provinciale, stanno chiaramente a testimoniare l’ansia di ricerca che lo animò, desideroso di delimitare in due distinte sfere di azione e di competenza la politicità e la legittimità degli atti di governo.E dopo che il Giolitti venne incontro alle aspirazioni di coloro che indicavano tra le mansioni dello Stato moderno anche l’esercizio di atti calmieratori e anti-monopolistici e fece emanare la legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, il Marchi esaminò al lume dei principi generali del diritto costituzionale le norme di attuazione di tale legge trovando che alcune di esse erano palesemente anticostituzionali e quindi illegittime, perché il loro dettato e il loro spirito valicavano i limiti del principio che attraverso una norma regolamentare non si può modificare una legge o aggiungere all’ordinamento giuridico vigente elementi nuovi e integrativi, che vogliono una diretta ed esplicita enunciazione del legislatore.Sua preoccupazione costante fu sempre quella di far sì che il diritto non vivesse avulso dalla realtà della vita e trovasse nella vita non soltanto la sua ragione di essere e la sua possibilità di applicarsi ma anche i limiti stessi della sua applicazione.Nel 1906 divenne, per vittoria in regolare concorso, ordinario nella cattedra di diritto costituzionale nel Regio Istituto Cesare Alfieri di Firenze e tenne quell’insegnamento con alta dignità.Non è privo di importanza il fatto che il Marchi abbia avuto la sua vittoria per l’insegnamento del diritto costituzionale in un Istituto di scienze politiche, l’unico che allora esistesse in Italia. Gli si riconobbe palesemente, così, il merito di avere posto al centro dell’attenzione dei giuristi problemi di natura squisitamente politica, intendendo il termine nella sua accezione più nobile, e la politica come sintesi del comportamento sociale dell’uomo.Dedito completamente allo studio e non assorbito da impegni professionali, il Marchi nel 1911 diede alle stampe il frutto di sue profonde meditazioni su delicati argomenti di diritto pubblico, argomenti che aveva studiato per incarico di Vittorio Emanuele Orlando, già allora maestro indiscusso in materie pubblicistiche.Tali sue meditazioni vertono sul concetto di legislazione formale e sulla sanzione regia e i rapporti tra il capo delloStato e le Camere.Si era in un momento di particolare travaglio politico: urgevano concessioni di ordine sociale, specie in materia elettorale, per poter liberamente attuare quel programma politico di carattere internazionale che mirava a spezzare l’accerchiamento dell’Italia nel Mediterraneo e che si concluse con la occupazione della Libia e della Cirenaica.I rapporti, quindi, tra il Sovrano costituzionale e il Parlamento divennero ancora più delicati dopo la concessione del suffragio universale e la sostanziale trasformazione della rappresentanza politica alla quale con tale atto si diede adito.E il Marchi, liberale convinto, nato e formato nell’atmosfera immediatamente post-risorgimentale, avvertì subito che poteva non soltanto essere in atto la trasformazione ma anche la crisi della rappresentanza politica.E, infatti, dettò un suo saggio in questo senso, apparso nel 1913, che è degno di considerazione. Chiamato alle armi durante la prima guerra mondiale, sospese per qualche anno le sue ricerche scientifiche e organizzò tuttavia, pur nelle difficoltà molteplici del suo servizio di ufficiale, una interessante raccolta di materiale storico giuridico che gli consentì, a vittoria conseguita, una rapida ripresa del lavoro.Passato da Firenze a Cagliari, alla cattedra di diritto costituzionale della facoltà di giurisprudenza di quella Università, e di là allo stesso insegnamento presso l’Ateneo di Macerata, avvertì subito la necessità di portare le sue indagini su argomenti che avessero anche attinenza con il momento e trattò con grande dottrina delle luogotenenze generali (1848-1915) nel diritto costituzionale italiano, cercando di dar veste di sistema alla legislazione esistente nell’ordinamento italiano, relativa a quel singolare istituto che era appunto sorto per la necessità di sollevare il Capo dello Stato da certe funzioni nei momenti in cui la sua opera doveva essere assorbita in più gravi e specifiche cure, come la condotta di una guerra.E a tale lavoro, che vide la luce nel 1918, ne seguì un altro, apprezzatissimo, sulle luogotenenze regionali nell’ordinamento costituzionale amministrativo italiano all’epoca delle annessioni della Toscana e delle province napoletane e siciliane, di Roma e province romane.In questi volumi è ancora possibile rintracciare elementi utili allo studio del decentramento amministrativo e regionale.Il Marchi, quando nel 1924 fu trasferito a Parma alla cattedra che mantenne con onore per ben ventisei anni, aveva già al suo attivo una buona produzione scientifica, importante più per contenuto che per numero di lavori.Si può dire che, salvo l’opera fondamentale da lui scrittta su gli uffici locali nell’amministrazione dello Stato apparsa nel 1932, in cui pose in luce una serie di gravi problemi di diritto positivo riflettenti gli organi periferici dell’amministrazione statale, la sua produzione parmense fu quasi tutta a carattere storico.Anche le sue lezioni, raccolte nel 1934 in volume, furono permeate di informazioni, di valutazioni e di osservazioni che traevano la loro origine dallo sforzo di giustificare storicamente certe forme costituzionali che si erano venute formando al di fuori di schemi precostituiti.Il Marchi ben intese che i giorni del riscatto italiano non soltanto furono ricchi di passioni e nobili di sacrifici ma anche offrirono campo alle più varie esperienze costituzionali.La storia italiana fu, spesso, banco di prova per saggiare la validità di certe idee e la bontà di certi provvedimenti e per stabilire i nuovi limiti di liceità agli atti umani che la coscienza liberale suggeriva e consentiva: per questo dedicò studi fondamentali a temi attinenti il Risorgimento.Scrittore misurato e acuto, ebbe uno stile nitido e controllatissimo.Alcuni suoi lavori storici, quale quello dedicato a Un duca, una reggenza, una costituzione del 1848, in cui ampiamente tratta del Ducato di Parma e Piacenza in quell’anno, sono dei veri modelli nel loro genere.L’occhio del giurista si rivela nell’abilità delMarchi a giungere subito all’assenza delle cose.Il particolare erudito o l’aneddoto compiacente non lo distolsero mai da una metodica e approfondita analisi dei fenomeni, esaminati alla luce della più sicura documentazione storica e della più recente dottrina giuridica.Il suo liberalismo, conquistato attraverso una maturazione profonda di idee e di concetti, non gli consentì di abdicare a certi convincimenti che erano frutto di studio e di esperienza.Tuttavia nel periodo del fascismo egli fu anche stimatissimo da chi sapeva quale fosse l’altezza dei suoi sentimenti e la nobiltà del suo animo.E per quanto fosse stato uno dei sottoscrittori al manifesto di intellettuali lanciato da Benedetto Croce, tuttavia ebbe il rispetto anche da parte degli avversari politici. Chiamatolo a collaborare all’Enciclopedia italiana, GiovanniGentile, che ne era il direttore, affidò a lui nel 1938 la stesura di voci importantissime e Mariano D’Amelio, per il Nuovo Digesto italiano, nel 1939, la redazione di due voci di estrema delicatezza dati il tempo e gli indirizzi, Gerarchia e Politica, sapendo che la dirittura del Marchi non avrebbe deflesso da una rigida linea dottrinale e da una valutazione squisitamente morale dei difficili temi.Il Marchi fu anche autore di saggi importanti, tra i quali due vanno ricordati.Essi apparvero nel 1949, uno su Il Capo dello Stato nella nuova costituzione italiana e l’altro su Il Governo nel nostro vigente ordinamento statuale, saggi che stese per incarico di Piero Calamandrei.Fu rettore dell’Università di Parma dal 1945 al 1950, in momenti difficili, nei quali cercò di essere sopra la mischia e di dire sempre una parola serena e pacificatrice, superando ostacoli di ogni genere.Per dieci anni fu pure presidente della Società parmense di Lettura e Conversazione, cui dette vigoroso sviluppo, ricoprendo in pari tempo l’incarico di presidente della giunta esecutiva dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, di presidente della Società dei Concerti di Parma e di presidente (1947-1949) del Rotary Club. Fu socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, ma nel 1935 ne venne estromesso per motivi politici.Nel 1945 vi ritornò e, succedendo al Micheli, dal 1949 fino alla morte ne fu presidente.
FONTI E BIBL.: U.Gualazzini, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1956, 23-30; Aurea Parma 2 1956, 79-81; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 92-93; Parma per l’Arte 1 1957, 40-41; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 255; Palazzi e casate di Parma, 1971, 220; P.Panni, in Gazzetta di Parma 3 maggio 1996, 22.
MARCHI VIRGILIO
Parma 1909/1929
Scenografo.Realizzò le scene per l’Enrico IVdi Pirandello.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 568.
MARCHI VIRGINIO
Parma 1912-Montechiarugolo 1 aprile 1980
Uomo di vasti e profondi interessi culturali, collezionista raffinato di oper d’arte, di libri, di stampe e di manoscritti (fu tra l’altro uno dei più validi organizzatori del convegno stendhaliano del 1950 e di quello sul Neorealismo cinematografico del 1953), il Marchi fu anche una figura di primo piano nel campo imprenditoriale parmense.Nel 1968, con l’acquisizione dell’azienda da parte dalla multinazionale Grace, assunse la responsabilità diretta della guida della Tanara, fondata e sviluppata dal fratello Antonio nel 1952, elevandola al livello di impresa nazionale, sino a portarla, dopo l’acquisizione da parte della S.M.E., al ruolo di azienda leader del settore gelatiero.Trasformatasi successivamente in Igea e quindi in Italgel, il Marchi divenne di quest’ultima prima Consigliere Delegato e poi Presidente.Dopo essere stato per molti anni redattore di Aurea Parma, all’epoca della direzione Scotti-Squarcia, e aver dedicato a essa alcune interessanti ed erudite ricerche su alcuni temi della cultura parmense (prediletti gli furono Grapaldo, Stendhal e il poeta Callegari) ricoprì per diverso tempo la carica di Presidente del Comitato promotore della rivista stessa.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 1 1980, 106; Cento anni di associazionismo, 1997, 403.
MARCHIANI TARQUINIO
Fontanellato 16 marzo 1912-Salsomaggiore Terme 8 gennaio 1963
Camicia Nera della 180a Legione, 2a Divisione Camice Nere 28 Ottobre, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Combattendo con ardore e sprezzo del pericolo, rimaneva ferito.Ai compagni accorsi per soccorrerlo, rivolgeva parole d’incitamento a proseguire nella lotta, dimostrando serenità ed alto spirito militare (Quasquazzè, Uork Amba, 27 febbraio 1936).
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G.Sitti, Glorie alla conquista dell’impero, 1937.
MARCHIATI CARLO, vedi MACCHIATI CARLO
MARCHINI LUIGI
Sidolo 22 dicembre 1921-Parma 19 settembre 1980
Terminati gli studi liceali nel 1940, si iscrisse alla facoltà di Medicina di Parma ma dovette quasi subito interrompere gli studi per il richiamo alle armi.Divenuto sottotenente al corso allievi ufficiali, tornò l’anno dopo all’Università dove, con Flaminio Musa e Giuseppe Pellegri, si avvicinò all’organizzazione clandestina comunista.Nel 1943 si occupò del collegamento con i gruppi partigiani della montagna, divenendo nell’aprile del 1944 comandante della 12a brigata Garibaldi Parma, l’unica del Parmense.Aiutato dall’amico Musa, la brigata Garibaldi riuscì il 10 giugno 1944 a sferrare l’attacco decisivo alle guernigioni fasciste della Valceno, costringendole alla resa e facendo divenire la vallata la prima zona libera dell’Italia del Nord.Il 29 aprile 1945 partecipò, alla guida della 135a Brigata M.Betti, divisione Garibaldi Val Ceno (della quale fu comandante dal dicembre 1944, alla Sacca di Fornovo.Al Marchini venne conferita la medaglia d’argento al valor militare per la sua attività partigiana.Finita la guerra, si laureò in medicina e iniziò la sua carriera a Bardi, dimostrando grande umanità e dedizione al lavoro.Trasferitosi a Parma, nel 1960 fu consigliere provinciale del Partito Comunista Italiano e assessore all’Agricoltura e montagna.Passò successivamente al Partito Socialista di Unità Proletaria e fu candidato sia al Consiglio comunale di Parma sia al Consiglio provinciale, dove entrò come consigliere.Rieletto nel 1970, sempre per il Partito Socialista di Unità Proletaria, tornò a ricoprire l’incarico di assessore.Con la scomparsa del Partito Socialista di Unità Proletaria, il Marchini rientrò nelle file del Partito comunista, per il quale fu nuovamente eletto consigliere provinciale nel 1975.In quell’occasione si presentò anche candidato al Consiglio regionale e nel 1976 subentrò all’onorevoleFausto Bocchi, eletto alla Camera dei deputati. Nel 1980 fu eletto ancora una volta sia come consigliere comunale a Parma che come consigliere provinciale ma la morte lo colse d’improvviso, all’età di 59 anni.Fu sepolto nel cimitero di Sidolo.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della Resistenza e dell’Antifascismo, III, 1976, 533; Gazzetta di Parma 20 settembre 1980, 4; Gazzetta di Parma 12 ottobre 1995, 29.
MARCHINI MARCO
Borgo Taro 1819 c.-30 marzo 1877
Allievo del Collegio Alberoni di Piacenza, ne uscì sacerdote, destinato parroco in una parrocchia del vicariato di Bedonia.Per riconosciuti meriti scientifici fu scelto professore di teologia dogmatica nel Seminario di Bedonia, e in seguito elevato alla carica di rettore del Seminario stesso.Brillante conferenziere e predicatore valente, lasciò manoscritte molte lezioni di morale, che si conservano nel Seminario di Bedonia.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 270-271.
MARCHINI MARIANNA
Borgo Taro-post 1812
Fu educata nel convento delle monache di San Paolo in Borgo Taro, dove ebbe quale maestro di musica il Gervasoni.Studiò pianoforte e quindi si applicò alla musica vocale (contralto).Divenne un’ottima cantante dilettante e tenne nella sua casa frequenti accademie musicali.
FONTI E BIBL.: C.Gervasoni, Nuova teoria di musica, 1812, 270-271.
MARCHINI CAMIA FRANCESCO
Borgo Taro 28 febbraio 1891-Roma 28 febbraio 1960
Discendente di una delle più antiche e stimate famiglie di Borgo Taro, rimasto in giovanissima età, insieme con una sorella, orfano di entrambi i genitori, passò a Bologna gli anni della giovinezza, compiendovi gli studi sino alla laurea in giurisprudenza.Più tardi si laureò anche in farmacia.Fu allievo ai corsi di istruzione teologica tenuti dal cardinale Svampa, che ebbe a prediligerlo per essere stato tra i primi studenti a promuovere e ad attuare la FUCI emiliana.Vennero quindi gli anni della prima guerra mondiale, cui partecipò in qualità di soldato nell’artiglieria alpina prima e di ufficiale di artiglieria da campagna dopo.Fin dal sorgere del movimento di don Sturzo fu tra i promotori del Partito Popolare, per il quale fu sindaco di Borgo Taro dal 1920 sino all’avvento del fascismo. Durante il ventennio fascista non si occupò di politica: si dedicò ad attività agricole e industriali, interessandosi allo stesso tempo attivamente della vita dell’Azione Cattolica (nella quale fu presidente dell’Unione uomini e membro della Giunta diocesana) e promuovendo lo sviluppo di opere assistenziali quali le Conferenze di San Vicenzo.La Resistenza segnò per il Marchini Camia il ritorno nel mondo della politica: fu ispettore provinciale delle forze della lotta di Liberazione e in seguito, a guerra finita, consigliere provinciale e ancora sindaco di Borgo Val di Taro.La sua carriera parlamentare ebbe inizio nel 1948, allorché, designato all’unanimità candidato della Democrazia Cristiana per il collegio di Borgo Val di Taro-Salsomaggiore, venne eletto senatore riuscendo primo dei senatori del suo partito nella circoscrizione Emilia-Romagna. Morto il senatoreMicheli e, successivamente, l’onorevoleValenti, dal 1949 al 1953 rimase solo in Parlamento a rappresentare la provincia di Parma per l’elettorato democristiano.Al termine della sua prima legislatura, ben 43224 elettori gli rinnovarono la loro fiducia chiamandolo a ricoprire per altri cinque anni una carica che seppe tenere con passione e umiltà, con la sola preoccupazione di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni cui erano rivolti i suoi interessi.Nel 1958 fu rieletto senatore, sempre per il collegio Borgo Val di Taro-Salsomaggiore Terme.Dal 1956 divise i suoi impegni di parlamenteare con quelli di sindaco del Comune di Valmozzola, per il quale realizzò numerose opere.Tra le cariche che il Marchini Camia occupò, oltre a quelle ricordate, va segnalata quella di commissario alla Stazione sperimentale per l’industria delle conserve e di componente della 4a commissione Difesa.Morì per collasso cardiaco in seguito al riacutizzarsi di una epatite.Fu sepolto a Borgo Val di Taro.
FONTI E BIBL.: Scomparsa del senatore Marchini Camia, in Gazzetta di Parma 29 febbraio 1960, 4; Onoranze funebri a Borgotaro, in Gazzetta di Parma 3 marzo 1960, 7; F.Vietta, Il senatore Marchini Camia, in Gazzetta di Parma 2 marzo 1960, 3; F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 651.
MARCHINO
Parma 1711
Fu musico della Cattedrale di Parma il 3 maggio 1711.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
MARCHIO' GIOVANNI
Sissa 3 luglio 1897-Parma 19 maggio 1919
Frequentò la scuola tecnica di Colorno e a Parma l’istituto tecnico.Aveva appena in iziato gli studi d’ingegneria, quando, sul finire dell’anno 1916, venne chiamato alle armi.Uscito dall’Accademia militare di Torino col grado di aspirante, si fece apprezzare come tenente del 28° Reggimento di artiglieria da campagna.Combatté valorosamente sul Kovacik, sul Merzli nel luglio del 1917 e aSanta Lucia di Tolmino.Nell’ottobre del 1917 fu coinvolto nella generale ritirata e ancora combatté con grende valore sul Grappa, in Val Sugana e in Val Giudicaria.Conclusosi il conflitto e tornato, al principio del 1919, a Parma per proseguire gli studi universitari, il Marchiò fu sopraffatto in breve tempo da una malattia contratta in guerra.Gli fu conferita l’8 dicembre 1919 la laurea a titolo d’onore.
FONTI E BIBL.: Caduti Università parmense, 1920, 90.
MARCHIO' PRIMO
Pieve Ottoville 1898-Avenza 25 novembre 1970
Noto antifascista, nel 1923 improvvisamente lasciò Pieve Ottoville.Emigrato in Francia, fu espulso per ben tre volte per le sue idee chiaramente anarchiche.Trasferitosi in Tunisia, fu in seguito rimandato in Francia.Quando scoppiò la guerra civile in Spagna, il Marchiò si arruolò nelle brigate internazionali (nelle cui file conobbe Luigi Longo).Terminata la guerra in Spagna, non si sa dove abbia vissuto.In piena seconda guerra mondiale si trovò con le truppe americane nel Sud della penisola italiana. Col nome di battaglia di Marco, venne paracadutato nel nord Italia, da dove diede notizie al comando delle forze anglo-americane sui movimenti delle truppe tedesche.A guerra finita si stabilì ad Avenza.I suoi quattro fratelli, residenti a Pieve Ottoville, non ebbero più sue notizie dal 1923 e lo ritennero morto.Solo nel 1967, casualmente seppero dell’esistenza in vita del Marchiò.Riuscirono a convincerlo a ritornare a Pieve Ottoville, dove infatti visse per qualche anno facendo l’imbianchino.Ma successivamente abbandonò il paese per riportarsi ad Avenza, dove la morte lo colse poi improvvisamente.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 dicembre 1970, 10.
MARCHIONE
Parma seconda metà del XV secolo
Orefice attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti eMemorie di Belle Arti parmigiane, II, 235.
MARCIANO ORTENSIO
Busseto 1562/1563
Nel 1562-1563 tenne la lettura straordinaria del Decreto all’Università di Bologna.
FONTI E BIBL.: R.Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 236.
MARCIA
Parma II/III secolo d.C.
Figlia di Marcus.Libera, probabile dedicante di un’epigrafe, assai frammentaria, databile alla media età imperiale, rinvenuta a pochi chilometri a ovest di Parma. Il nomenmanca probabilmente solo della prima lettera (anche la a è tuttavia vagamente intuibile), che può essere integrata con una L oppure una M, e quindi potrebbe essere letto Larcia o Marcia, entrambe gentes notissime e documentate nel mondo romano. Larcius, nomen di probabile origine etrusca, si riscontra in Italia, tranne che nelle zone settentrionali: nella regio VIII questo ne sarebbe infatti un rarissimo esempio.Marcius è invece nomen più diffuso, caratteristico soprattutto dell’Italia meridionale ma ben documentato anche in Cisalpina: nella regio VIII risulta frequentissimo.Appare quindi forse più probabile questa seconda lettura.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 121.
MARCO
Borgo San Donnino 1162/1196
Resse la Chiesa di Borgo San Donnino dal 1162 al 1196.Ottenne l’arcipretura da Federico Barbarossa.Intruso e scismatico, non sono note le vicende della sua vita dopo il suo allontanamento dalla Chiesa borghigiana.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 23.
MARCO, vedi anche BERTOZZI DANIELE E PONTIROL BATTISTI MARCO
MARCO DA BEDUZZO, vedi UGHETTI ARTEMIO
MARCO DA BUSSETO, vedi BUSSETO MARCOGIOVANNI
MARCO DELL’ARPA, vedi MARAZZOLA MARCO
MARCO GIOVANNI, vedi BUSSETO MARCO GIOVANNI
MARCONALDI PIETRO
Collecchio 1493
Canonico, fu investito di un beneficio ecclesiastico nel territorio collecchiese (Regestum Vetus, 1493).
FONTI E BIBL.: U.Delsante, Dizionario Collecchiese, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MARCONI ERCOLE
Montechiarugolo 1826/1831
Sacerdote.Durante i moti del 1831 fu tra i propagatori della rivolta in Montechiarugolo.Fu inquisito e processato.Il Marconi fu parroco di Montechiarugolo dal 1826.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 185.
MARCONI GIOVANNI BATTISTA
Parma seconda metà del XVII secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti, VI, 179.
MARCONI STERLINA
Carnevala di Medesano 1905-Fontanelle 3 dicembre 1998
Frequentò le scuole elementari a Felegara.Nel 1917 entrò nel collegio di San Paolo a Parma, da dove uscì nel 1923 con il diploma di maestra.Rimase in collegio per un anno come assistente di studio, frequentando nel contempo un corso di latino e di pittura.Nel 1924 iniziò il tirocinio delle supplenze scolastiche a Roccalanzona, a Santa Lucia, a Sant’Andrea Bagni e a Medesano.Fu poi insegnante al collegio Buon Pastore di Parma e nel 1924 a Sant’Ilario, quindi a Paradigna e poi a Mariano di Pellegrino.Ritornò poi a insegnare a Medesano, a Terenzo e di nuovo nel 1940 a Mariano, dove rimase fino al 1947, quando si sposò con Michele Dabicco, capitano di marina.Si trasferì poi con il marito a Bari, dove insegnò nelle scuole della parte vecchia della città fino al 1959, quando, dopo oltre trent’anni di servizio, per motivi di salute fu costretta a rientrare a Medesano.La Marconi fu una promotrice di diverse iniziative benefiche e uno dei soci fondatori della Casa di Riposo Bruno Patrioli di Medesano.Amante della poesia, coltivata per una vita, volle raccogliere quarantatrè delle sue più significative composizioni in un opuscolo dal titolo Semplici Versi. L’opuscolo uscì dopo la sua morte, curato da Giorgio Ferrari e Davide Rossi.
FONTI E BIBL.: R.C., in Gazzetta di Parma 10 dicembre 1998, 21.
MARCOTTI PIETRO
Parma 1912-post 1937
Figlio di Giuseppe e di Giuseppa Itrina. Camicia nera dell’851a Bandera Vampa, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: In una dura giornata di combattimento, avuto ferito il comandante la propria squadra ed un porta munizioni, si offriva volontariamente con sereno sprezzo del pericolo al trasporto di essi.Ritornava quindi al suo posto di combattimento e sotto violento e preciso fuoco nemico riorganizzava la squadra e la guidava con alto spirito al combattimento (Zona Soncillo, quota 960, 14 agosto 1937).
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.
MARCUCCI POLTRI GIAN PIERO
Bibbiena 10 ottobre 1869-Tobruk 22 dicembre 1911
Marchese, nato da nobile famiglia di patrioti.Entrato nel 1887 alla Scuola militare di Modena, due anni dopo conseguì la nomina a Sottotenente, assegnato al comando del 6° Reggimento Fanteria.Promosso Tenente e poi Capitano nel 1905, venne trasferito al 61° Reggimento Fanteria di stanza a Forlì.Inviato a Parma, dopo breve permanenza alla scuola di guerra, seppe conquistarsi generali simpatie e fama di ufficiale colto, intelligente e studiosissimo.Collaborò assiduamente alla Rivista Militare Italiana e alla Rivista di Cavalleria.Notevole, tra gli altri, è un suo studio critico sul Battaglione Universitario alla battaglia di Curtatone e Montanara e la storia della Brigata Sicilia. Laciò Parma il 30 ottobre 1911, destinato al Comando di una sezione mitragliatrici aggregata al 20° Reggimento Fanteria.Trovò eroica fine in combattimento a Tobruk: Enver Bey, avendo saputo che sulla collina a sud-ovest di Tobruk gli italiani stavano costruendo opere di fortificazioni per una batteria da 149 mm., volle attaccare il reparto adibito a quei lavori campali.Stimò quel punto poco provvisto di difesa e vi lanciò contro 1200 beduini insieme a poche decine di regolari turchi.Ma il colonnello Orgera, comandante del 20° Reggimento Fanteria e della piazzaforte, aveva disposto a protezione della batteria da 149 alcune compagnie fucilieri, i cui avamposti diedero l’allarme alla guarnigione di Tobruk dell’avanzata del nemico.Furono queste compagnie fucilieri, rinforzate dalla sezione mitragliatrici del Marcucci Poltri, che si sacrificarono sul posto in difesa dei pezzi di artiglieria e della linea, permettendo alle forze che intanto accorrevano da Tobruk di arginare dapprima l’avversario e poi di respingerlo. L’azione di fuoco durò sei ore.Sul finire del combattimento, quando le truppe accorrenti erano già arrivate nella posizione e stavano per lanciarsi al contrattacco, il Marcucci Poltri, che sparava da più ore, essendo ormai morti e feriti i soldati della sua sezione, cadde sulla propria mitragliatrice (Bollettino Ufficiale del Ministero della Guerra 1912). Accanto al Marcucci Poltri caddero i parmigiani Secondo Barusi, Giovanni Chiesa e Pietro Del Campo, tutti decorati di medaglia d’argento al valor militare. Alla memoria del Marcucci Poltri venne concessa la medaglia d’oro al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di due sezioni mitragliatrici, improvvisamente attaccato, con ostinata difesa diede tempo ad altre truppe di armarsi e ricacciare il nemico.Morì accanto ad una mitragliatricer che personalmente sparava.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’Impero, 1937, 149-151.
MARDI GABRIELE
Parma prima metà del XVIsecolo
Pittore attivo nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, III, 258.
MARELLI, vedi MONTAGNANI PIERO
MARENGHI AUSONIO, vedi PIAGNOLI AGIDE
MARENGHI CARLO
Parma 1846/1859
Professò all’Università di Parma Lingua Greca e Letteratura Greca e Latina (1854).Insegnava ancora nel 1859, anche come delegato all’insegnamento della Letteratura Italiana.Lasciò i seguenti scritti: La cognazione delle lettere greche e latine(Parma, 1855), Della nuova Poesia (Parma, 1857), Dell’arte greca e latina (Parma, 1859).Fu in corrispondenza col Pezzana.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Filze Università, n. 592; Annuari dell’Universitàper il 1854-1855 e segg.; F.Rizzi, Professori, 1953, 119.
MARENGHI DOMENICO
Soragna 1473 c.-Parma 4 agosto 1523
Figlio di Pietro.Detto Riccio da Parma, fu uno dei tredici soldati che nel 1503, sfidando e vincendo nei pressi di Barletta altrettanti cavalieri francesi, difesero l’onore italiano e delle patrie armi.Quantunque da talune parti si sia tentato di mettere in dubbio l’origine soragnese dello stesso, sta di fatto che atti e testimonianze più che attendibili concordano nell’attribuire a Soragna il privilegio di avergli dato i natali.Diverse circostanze fanno ritenere che alla battaglia delTaro presso Fornovo (6 luglio 1495) il Marenghi si trovasse a fianco del padre (che vi morì).Chiamato poi Domenico del Rizo o, più comunemente, Riccio da Parma, fu uomo avvezzo all’uso delle armi e già nel 1500 è indicato con l’aggettivo di strenuo, a sottolineare i suoi acquisiti meriti militari.Caduto Ludovico il Moro prigioniero del Re di Francia e dispersa l’armata nella quale si trovava, il Marenghi passò al soldo del romano Prospero Colonna che stava radunando milizie per sostenere le ragioni di Ferdinando il Cattolico sul Regno di Napoli, preteso da Ludovico XII.Il Marenghi dettò un primo testamento il 10 febbraio 1500 al notaio Luigi Banzola (nel quale dispose suo erede universale il ventre della moglie Giovanna di Guglielmino Pallavicino, dei marchesi di Pellegrino), prima di partire per la guerra, dove poi si distinse, nel Regno di Napoli. Proprio mentre si trovava sotto questa nuova bandiera venne scelto dal gran Consalvo, comandante delle armate spagnole, a far parte dei 13 campioni italiani che il 13 febbraio 1503 furono protagonisti e vincitori di quella disfida di Barletta che umiliò la prepotenza e l’arroganza francese.Va anche aggiunto che la cronaca contemporanea non mancò di sottolineare lo specifico suo valore durante lo scontro stesso: Rotte le lanze missono mane, a li stocchi et mazze.Dismontato Rizo da Parma a piede, dette di mane ad uno spedo, facendo cosse da non credere contra i Galli. Il 17 aprile 1507, mutate le circostanze familiari e volendo andare agli stipendi del Re di Francia contro i Genovesi, il Marenghi rinnovò le sue ultime volontà (rogatore Domenico Ambanelli, notaio parmigiano) istituendo suo erede il figlio Annibale, nato in quel lasso di tempo dalla Pallavicino. Il Marenghi fu poi al servizio del marchese di Mantova Francesco Gonzaga e come tale fu più volte capitano di fanti per conto dello stesso. Si distinse infine, e questa può essere definita la pagina più bella della sua vita di armigero, nella difesa della città di Parma assediata dalle truppe francesi e veneziane (21 dicembre 1521), quando venne posto a presidio del bastione della Stradella insieme al siciliano Francesco Salamone, a Giambattista Smeraldi, al Frate da Coltaro e alle genti loro assegnate.In tale occasione (la testimonianza del governatore della città e storico fiorentino Francesco Guicciardini è inequivocabile) il comportamento del Marenghi fu eroico, tanto che di lì a poco, allontanati definitivamente dalla città i Francesi, il Consiglio degli Anziani con voto unanime gli assegnò una generosa pensione vitalizia motivandola con un lusinghiero attestato al suo valore: Strenue et alacriter in propulsandis hostibus a menibus dictae civitatis Parmae se gesserit ceterosque cives parmenses et alios ad menia ipsa pugantes viriliter et audacer ad pugnam ipsam hortatus fuerit, ut eius exhortationibus et opera alii in pelendis hostibus a menibus predictis effecti fuerint audatiores.Dopo essersi ritirato a vita privata, morì in Parma, probabilmente vittima del morbo contagioso che si sviluppò in quel tempo in città.Il Marenghi ebbe in Parma casa propria e terreni nella villa di Samboseto, dove il 4 giugno 1520 vendette una pezza di terra lavoria, il luogo detto la Vadura, allo strenuo Giovan Angelo de Soldatis.Di quel denaro il Marenghi si servì per pagare la dote della figlia Lodovica, sposa a Giammarco Marchesini da Correggio.Ebbe un’altra figlia, maritata ad Antonio Viotti, della famiglia dei tipografi. Per onorarne la memoria il Comune di Parma nel 1882 intitolò a lui una via e altrettanto fece quello di Soragna col dedicare al suo nome le scuole elementari del capoluogo e la piazzetta attigua a piazza Garibaldi, mentre in seguito a una pubblica sottoscrizione fu collocata nel 1888 una lapide marmorea con la seguente iscrizione: Soragna ricorda con orgoglio Domenico di Pietro de’ Marenghi detto Riccio da Parma che illustrò questa terra nella celebre disfida di Barletta 13 febbraio 1503 tra i tredici campioni che al cospetto di Francia e Spagna vincitori alzarono il patriottico grido viva l’Italia vivano gli Italiani 1888. Il Marenghi ebbe come fratelli Cristoforo e Giovanni Francesco, quest’ultimo detto Soragnino.
FONTI E BIBL.: Cronaca parmigiana, nel Vero Diario, pubblicato dal Carmignani, Parma, 1835; N.F.Faraglia, Ettore e la famiglia Fieramosca, Napoli, 1883; E.Scarabelli Zunti, Riccio da Parma, Milano, 1884; C.Argegni, Condottieri, 1937, 42; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani, 1877, 332-334, e 1880, 182; B.Colombi, Soragna, Feudo e Comune, 1986, II, 298-300.
MARENGHI PIETRO
Soragna ante 1441-Fornovo 6 luglio 1495
Figlio di Cristoforo.Detto Riccio da Soragna. Nel 1466 ottenne dai fratelli Ludovico e Pallavicino dei marchesi Pallavicino di Busseto, parte in dono e parte a titolo oneroso, 75 biolche di terreno boschivo nella zona di Cortemaggiore.Militò in quel tempo come socio d’armi col celebre capitano di ventura Bartolomeo Colleoni, dal quale, verso il 1468, si allontanò per passare dapprima al soldo di Roberto Sanseverino, signore di Colorno, e poi dello stesso duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, con la qualifica di squadrerius, preposto a una squadra di soldati.Sotto le insegne sforzesche, fu mandato nel 1482 alla custodia della città di Reggio, insidiata dai Rossi e dai Torelli di Parma, e durante uno scontro armato venne fatto prigioniero e rinchiuso nella rocca di Montecchio.Di li a poco, tornato libero, riprese la vita delle armi e nel 1487 fu al campo di Pescocostanzo.Molto probabilmente morì nella battaglia del Taro presso Fornovo.
FONTI E BIBL.: C.Argegni, Condottieri, 1937, 42; B.Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, 298.
MARENGHI PIETRO
Parma 1838/1851
Canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1838, fu poi fatto Prevosto di Fontanellato nel 1851.
FONTI E BIBL.: Martini, Archivio Capitolare della Cattedrale, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1911, 134.
MARENGHI PIO Parma seconda metà del XIX secolo
Fante, volontario, fu decorato con medaglia d’argento al valor militare dopo la battaglia di Levico, perchéprima di dichiararsi ferito attese quattro ore dalla fine dello scontro.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
MARENGHI VITTORIO
Cella di Costamezzana 21 marzo 1803-
Garzone di cucina, sposò nel 1831 Giuseppina Calestani, dalla quale ebbe due figli.Fu in servizio alla Corte di Maria Luigia d’Austria come garzone di cucina (1836) e sottoaiutante di cucina (1840).
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 312.
MARENZIO M.
Parma 1590
Fu cantante (basso) della Cattedrale di Parma nell’anno 1590.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
MARGARITA o MARGHERITA D’ABSBURGO o D’AUSTRIA o FARNESE o DI PARMA, vedi ABSBURGO MARGARETE
MARGHERITA ALDOBRANDINI o FARNESE, vedi ALDOBRANDINI MARGHERITA
MARGHERITA DA CANTIGA, vedi ANTONIAZZI MARGHERITA
MARGHERITA FARNESE o GONZAGA, vedi FARNESE MARGHERITA
MARGINI UGO
Parma 1883-1966
Ancora ragazzo, nel 1895 entrò come garzone nella cartoleria Ermenegildo Tomasi, per poi subentrare come proprietario della ditta nel 1911.La sua cartoleria divenne notissima a Parma.Si ritirò nel 1961, cedendola al figlio Dante.Appassionato di ippica, fu inoltre conosciuto negli ambienti colombofili, dove vinse numerose gare.Amò anche la musica lirica.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Dizionario parmigiani, 1997, 194.
MARGOTTI GIULIO
Colorno 1560 c.-post 1611
Fratello del cardinale Lanfranco.Laureato in legge, fu Canonico della Cattedrale di Parma.Si trasferì a Roma nel 1608 al seguito del fratelo.Morì quasi certamente dopo Lanfranco.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 75.
MARGOTTI LANFRANCO
Colorno 30 settembre 1559-Roma 30 novembre 1611
Si portò a Roma verso il 1585 al servizio del cardinale Filippo Sega, che seguì più tardi (1589) in Francia quando il Sega vi fu inviato come legato del papa Innocenzo IX.Accortosi però che il Sega stimava maggiormente l’altro suo segretario (e nipote), Giambattista Agucchia, il Margotti rientrò a Roma, passando al servizio del cardinale Cinzio Aldobrandini, di cui presto diventò segretario.Fu poi promosso da papa Clemente VIII, che nel 1604 gli conferì anche l’abbazia di Zara, al chiericato di camera, al protonotariato apostolico e alla sua segreteria particolare.In queste cariche il Margotti fu poi confermato da papa Paolo V, che lo stimò particolarmente, tanto che il 4 novembre 1608 lo elesse Cardinale.Il Margotti ebbe prima il titolo di San Calisto e poi quello di San Pietro in Vincoli.Il 26 gennaio 1609 fu nominato Vescovo di Viterbo, senza peraltro dover abbandonare la Corte papale a Roma, essendogli stata concessa l’autorizzazione di governare per mezzo di vicari.Secondo Jano Nicio Eritreo (Pinacotheca, parte I, 126), il Margotti profuse moltissimo denaro nel gioco d’azzardo e morì a causa di una pustola natagli in un braccio, mentre il Pico e Vittorio Rossi affermano che il Margotti morì non senza sospetto di veleno. Fu sepolto nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, in un sontuoso monumento decorato dal pittore Domenico Zampieri, e col seguente epitaffio: Lanfranco Margotio parmensi S.R.E. Presb. Card. Tit. S. Pet. ad Vinc. qvi duor. pontiff. maxx. Clem. VIII et Pauli V negociis cum orbis principibus summa prudentia stiloq. aptissimo candidissimoque pertractatis in eoque unus omnem aetate sua laudem promeritus a Paulo V. in Sac. Cardd. Coll. cooptatus prius vitae quam gloriae cursum visus est obiisse. Octavius Margotius Fr. M. P. vixit an. LII men. II obiit ann. MDCXI prid. kal. decemb. Scrissero ancora del Margotti il Vittorelli, l’Ughelli e l’Eggs.Dopo la sua morte, fu dato alle stampe il volume Lettere del Cardinal Lanfranco Margotti, scritte per lo più in tempo di Paolo V, a nome del Cardinal Borghese, raccolte, e pubblicate da Pietro de Magistris de Calderola(in Roma, nella Stamperia Camerale, 1627; in Venezia, 1633, appresso Marco Ginammi).Sono precedute da una lettera di Lelio Guidicioni al cardinale Borghese.L’Eritreo ne diede il seguente giudizio: Licet sine multis litteris, in scribendis tamen epistolis longe doctissimorum hominum industriae anteivit.Etenim rem, de qua scibendum esset videbat acute, explicabat dilucide, sententias adhibebat illustres, quaeque non tam haberent venustatem, quam dignitatem ac pondus.Verba erant non illa quidem elegantissimo sermone, sed quae rem maxime explicarent.Omnia scribendi genera noverat, eoque utebatur quod cum ejus, qui scriberet, eorumque ad quos scribebatur personis congrueret.L’Eggs (Purpura docta, lib. V, 253) afferma che il Margotti scrisse anche poesie toscane.
FONTI E BIBL.: I.Affo, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, V, 1797, 3-7; Colorno, Memorie storiche, 1800, 80-83; L.Barbieri, Parmigiani Cardinali, 1894, 10-11; A.Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 272; G.Gonizzi, Il Card. Lanfranco Margotti, in Gazzetta di Parma 21 agosto 1968.
MARGOTTI LUIGI
Faenza 1813-Parma 1872
Conte, si stabilì a Parma.Fu incisore in rame dello studio di incisione nell’Accademia di Belle Arti di Parma.Fu attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto,Indice, 1967, 571.
MARI ELVIRA
Ferrara 15 novembre 1887-post 1942
Studiò musica e canto (mezzosoprano) con A.Borghi e debuttò a Sanremo nel 1910 quale Azucena nel Trovatore.Dopo aver cantato nello stesso anno al Teatro La Fenice di Venezia, intraprese una tournée nell’America del Nord e la continuò in quella del Sud per una serie di rappresentazioni al Coliseo di Buenos Aires.Rientrata in Italia, si produsse nel 1913-1914 al Costanzi di Roma e al Donizzetti di Bergamo Cantò poi di nuovo a Buenos Ayres e finalmente, nel 1916, al Teatro alla Scala di Milano, cogliendo grandi successi e divenendo una delle cantanti predilette da Toscanini.Raggiunse nel 1921 l’apice della carriera artistica con l’interpretazione del personaggio di Quickly in Falstaff, nel quale non ebbe rivali.Nel frattempo si era fatta applaudire a Firenze, Barcellona, Madrid, Napoli, Pesaro e Roma, prescelta da Zandonai e Pedrollo a prima interprete de La via della finestra (1919) e L’uomo che ride (1920).Nel 1925 presentò alla Scala I cavalieri di Ekebù di Zandonai, seguita da Il diavolo nel campanile di Lualdi.Si produsse in seguito al Costanzi e al Reale di Roma, al Regio di Torino, al Gaîté-Lirique di Parigi, alla Fenice di Venezia, a Ginevra, Vienna,Berlino, Londra, Buenos Aires e di nuovo nei principali teatri d’Italia: alla Scala, al Costanzi di Roma, al Municipale di Bologna, alla Pergola di Firenze, ancora alla Scala, dove nel 1939 colse un grande successo nella Debora e Jaele di Pizzetti, al Teatro delle Arti in Roma e a Trieste, prima interprete nel 1942 di Fior di Maria del Bianchi. Ovunque dette prova di non comuni doti sceniche e interpretative e della versatilità del suo temperamento, che non conobbe limiti di repertorio: dal Trovatore all’Aida, da Suor Angelica a Fiamma, da Hansel e Gretel a Elettra.Al suo talento fu affidata la presentazione di opere nuovissime (tra cui, oltre a quelle citate, Abul di A.Nepomuceno, 1913, e Canossa di Malipiero, 1914) e l’esumazione di opere quali Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi (1929), L’italiana a Londra di Cimarosa (1929), Il matrimonio di Musorgskij (1941). Fu cantante drammatica per eccellenza, portata a ciò dalla particolarità della voce, non dotata di speciali attrattive quanto a purezza e patosità di timbro ma voluminosa e robusta, e dal temperamento artistico, che la sospinse a prediligere personaggi dal linguaggio crudo e tagliente: la strega in Hansel e Gretel, Ulrica nel Ballo in maschera, Ortruda nel Lohengrin, Azucena nel Trovatore e Preziosilla nella Forza del destino furono da lei rese sulla scena con tale vigore interpretativo e incisività di fraseggio da farne, oltre che un’eletta cantante, un’attrice tragica di prim’ordine.Ma il suo talento, sorretto dalle risorse di una voce ricca di colore e calore, la rese pressochè insostituibile anche in quelle parti che richiedevano particolare sensibilità ed espressività (Laura in Gioconda, Carlotta nel Werther, Amneris in Aida), vis comica scenica e vocale (Quickly in Falstaff, Margherita in Hansel e Gretel) o incisività ed efficacia nel declamato di talune opere moderne (Debora e Jaele di Pizzetti, Fiamma di Respighi). Nel corso delle sue peregrinazioni artistiche s’imbattè nel violinista bussetano Umberto Casazza, che sposò e dal quale ebbe un solo figlio, Girolamo, perito in un incidente aviatorio.La morte, qualche anno dopo, anche del marito, che la seguì sempre ovunque e con il quale era solita trascorrere a Busseto i periodi di riposo, la trasse nel più profondo sconforto. Ritiratasi delle scene, si dedicò all’insegnamento dapprima al Liceo musicale Rossini di Pesaro, quindi al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Endciclopedia diocesana fidentina, 1961, 101-103.
MARI IDA
Fraore 18 dicembre 1892-Parma 22 maggio 1981
Si trasferì con la famiglia a Pontetaro nel 1912, dove il padre continuò a fare il sorvegliante di ferrovia. A Pontetaro cominciò a frequentare l’oratorio femminile nell’asilo di Noceto, dove imparò a ricamare, a stare coi bambini e a vivere in associazione. Ebbe modo di perfezionarsi presso le Suore Orsoline di Parma. Accanto a una sempre più intensa vita spirituale, andò maturando una sensibilità e attenzione ai piccoli e ai poveri, per i quali avrebbe poi speso più di sessant’anni della sua vita.Nel 1913, con l’aiuto di Giovanni Caminati, parroco di Fontevivo, da cui dipendeva l’Oratorio del Sacro Cuore di Pontetaro, diede inizio alla sua opera, fondando una scuola materna.La sua dedizione disinteressata e senza risparmio verso i bambini più piccoli e più poveri fu totale. Terminato il logorante servizio della scuola materna, andava a visitare i malati in casa o in ospedale e si prestava come infermiera domiciliare. L’impegno verso il prossimo lo espletò anche nel catechismo ai ragazzi, nel sostegno all’Azione Cattolica e in altre attività formative. Una testimonianza significativa della sua esperienza spirituale che fu a fondamento del suo attivismo è la serie di ventotto lettere scritte all’amica e collaboratrice Dina Bilzi, che furono pubblicate in occasione della traslazione dei resti mortali della Mari dalla tomba di famiglia di Noceto nell’Oratorio Sacro Cuore di Pontetaro (1° marzo 1998). Due sono gli atteggiamenti costanti e permanenti che emergono da tutte queste lettere: un amore ardente per Gesù Cristo, da cui si sentì interiormente attratta e a cui si donò totalmente, e un instancabile amore per il prossimo, in special modo per i bambini, al fine di educarli e formarli. Quandò le forze cominciarono a declinare, affidò la sua opera alle suore Luigine.Morì nella casa di cura Piccole Figlie.
FONTI E BIBL.: G. Ranieri, in Gazzetta di Parma 24 febbraio 1998, 5.
MARI LODOVICO
San Pancrazio Parmense 24 maggio 1885-27 maggio 1917
Figlio di Pietro ed Ernesta Accorsi.Soldato nel 13° Reggimento Fanteria, durante la prima guerra mondiale morì combattendo eroicamente.
FONTI E BIBL.: Caduta di Noceto, 1924, 37.
MARIA AMALIA D’ABSBURGO o D’AUSTRIA o DI LORENA o BORBONE, vedi ABSBURGO LORENA MARIA AMALIE
MARIA CATERINA DA PIACENZA
Piacenza-Parma post 1775
Fu clarissa cappuccina in Parma.
FONTI E BIBL.: Per la solenne professione nel monastero delle RR.MM. Cappuccine della Madre Suor Maria Caterina da Piacenza.Ragionamento Sacro, Parma, Stamperia Reale, 1775; F.da Mareto, Le Cappuccine, 1970, 290.
MARIA LUIGIA o MARIA LUISA D’ABSBURGO o D’ASBURGO o D’AUSTRIA o BOMBELLES o BONAPARTE o NEIPPERG, vedi ABSBURGO LORENA MARIA LUDOVICA LEOPOLDINE
MARIA LUISA DI BORBONE, vedi BORBONE SPAGNA MARIA LUISA
MARIA LUISA TERESA DI BORBONE, vedi BORBONE PARMA MARIA LUISA TERESA
MARIANELLI ALESSANDRO
Parma 2 ottobre 1792-Parma 16 settembre 1840
Figlio di Luigi e Anna Fava.Fu cavaliere degli ordini San Giuseppe di Toscana e Costantiniano, addetto alla corrispondenza della casa regia di Maria Luigia d’Austria e nella prefettura degli affari pubblici.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 94-95.
MARIANELLI GIOVANNI
Parma 8 febbraio 1799-Parma post 1840
Figlio di Luigi e Anna Fava. Cavaliere, Segretario nella Segreteria di Stato, durante i moti del 1831 fu sottoposto a sorveglianza perché abbenché non appartenesse al ceto militare, fu ciò nullameno a visitare i generali Zucchi e Fontanelli, allorché da Reggio si dirigevano a Milano, ovvero fu il Marianelli presentato a Zucchi per la strada di Parma dal maggiore Crotti.È addebitato di prevaricazione negli affari in grande, in tempo che era in servizio della Corte, ed in politica non è gran fatto sospetto, merita però sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 186.
MARIANI AMALIA
Senigallia 2 marzo 1874-Fidenza 20 ottobre 1951
Consorte dell’industriale Aldo Gramizzi, fu donna di grande carità, assai nota in tutti gli ambienti sociali fidentini per la sua fervida attività volta alle opere di bene, delle quali fu per molti anni dirigente appassionata.Già al tempo della prima guerra mondiale, quale presidente locale della Croce Rossa, svolse intensa opera di assistenza a favore dei feriti che giungevano dal fronte, dei convalescenti e dei soldati di passaggio, recandosi con le sue dame a riceverli per rifocillarli e rincuorarli.Sotto la sua direzione sorsero le prime colonie marine e montane per i giovani fidentini, i refettori scolastici, il primo dispensario per la maternità e l’infanzia e il campo solare e si sviluppò tutta una gamma di iniziative assistenziali per i bisognosi.Frequentò in gioventù il Liceo Musicale G.Rossini di Pesaro sotto la guida di Eleonora Giannuzzi Palazzi, distinguendosi per profitto e ottenendo durante i suoi studi premi speciali dalla presidenza dell’Istituto. Diplomatasi in arpa nell’anno scolastico 1891-1892, si produsse con successo in Italia e all’estero.Suonatrice impareggiabile, dette prestazione gratuita ove venne richiesta, donando poco prima della morte allo stesso Conservatorio la sua preziosa arpa Erard in avorio e oro, unitamente a 130 opere musicali e a un leggio (donazione accettata con delibera del 13 dicembre 1951 dal Consiglio di amministrazione dell’Istituto, che destinò lo strumento alla Scuola di arpa del Connservatorio e le opere alla Biblioteca). Per le benmerenze acquisite nel campo della pubblica beneficenza, fu decorata di medaglia d’oro.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 203-204.
MARIANI CESARE Modena 1885-Parma 1931 Diplomato a Roma in disegno architettonico, fu insegnante in diverse città italiane e da ultimo a Parma.Predilesse l’acquaforte e l’acquatinta, eccellendo nei soggetti architettonici (ottima la sua Veduta della Steccata)
FONTI E BIBL.: Arte incisione a Parma, 1969, 65.
MARIANI GIUSEPPA
Parma 5 marzo 1888-
Figlia di Eugenio e di Virginia Gatti. Il 27 novembre 1907 fu eletta Reginetta d’Oltretorrente di Parma e sfilò su uno splendido carro trainato da sei cavalli bianchi. Tra i doni che le vennero fatti, il sindaco Lusignani le regalò una collana d’oro con brillanti e zaffiri e la Società dei divertimenti cento lire in oro.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 93.
MARIANNI GIUSEPPINA, vedi MARIANI GIUSEPPA
MARIANO DA BORGO SAN DONNINO, vedi SORMANI ANTONIO
MARIMO' BIAGIO
Parma 1621/1623
Fu eletto come musico per sonare et per cantare il 22 gennaio 1621, dietro raccomandazione del duca Ranuccio Farnese. Alla chiesa della Steccata di Parma si trova fino al novembre, ma poi si assentò, ritornandovi nel marzo dell’anno dopo, fermandovisi quasi senza interruzione sino alla fine del 1623.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 89.
MARIMO' CAROLINA
Parma 19 novembre 1867-
Fu scrittrice ricca di cultura scientifica e letteraria. Conquistò, per concorso, una cattedra di pedagogia, in cui diede sempre, in parecchie sedi, prove del suo valore.Nel 1915 insegnò alla Regia Scuola Normale di Trapani.La Marimò fu autrice di lodate pubblicazioni: La Pedagogia nella Divina Commedia, Saggio sul nervosismo e la scuola (assai encomiato dal Mantegazza), Madre e maestra (Parma, Battei, 1875), che fu la sua tesi di diploma e in cui si espone come far procedere nell’opera educativa la famiglia, che si personifica nella madre, e la scuola (ne fa menzione Cesare Curti nella rivista Il Rinascimento 15 1896).
FONTI E BIBL.: C.Villani, Stelle femminili, 1915, 406.
MARIMO'FRANCESCO
Parma 7 maggio 1863-Parma 3 marzo 1926
Figlio di Italo e Leopolda Crescini. Laureatosi a Firenze, insegnò alla Scuola tecnica di Parma e al Collegio Maria Luigia.Perfezionatosi poi presso l’Università di Parma, fu assistente al gabinetto di anatomia e a quello di fisiologia umana.Nel 1904 ottenne la libera docenza in Clinica delle malattie nervose e mentali e si distinse per la serietà dei suoi studi.Oratore facondo e brillante, famossissimo all’Università popolare di Parma ove fu assiduo, diede alle stampe varie opere e collaborò a importanti riviste scientifiche, oltre che alla Gazzetta di Parma, che alla sua morte parlò di lui come di un poeta della scienza.Il Marimò ingaggiò una coraggiosa lotta contro il dilagare dell’alcoolismo.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 93.
MARIMO' GIUSEPPE
Parma 1605/1634
Sacerdote, fu suonatore di trombone alla chiesa della Steccata di Parma dal 1° gennaio 1605 al 31 dicembre 1630.Rieletto subito dopo, fu licenziato il 20 maggio 1633 perché trascurato nell’adempiere al suo servizio.Fu riammesso il 20 gennaio 1634.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 81 e 90.
MARINELLI FRANCESCO
Golese 1891-Kobileck 27 agosto 1917
Figlio di Vincenzo.Agente d’assicurazione, fu Sottotenente del 241° Reggimento Fanteria.Prese parte al combattimento sul Kobileck rimanendovi ferito.Dopo tale fatto scomparve; è da presumersi morto nel combattimento stesso.Fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Aiutante maggiore in seconda, in tutte le azioni fu di valido aiuto al comando, accorrendo ovunque per raccogliere utili informazioni e rendersi esatto conto della situazione, recandosi anche in prima linea nei luoghi più esposti e più battuti per recapitare ordini ed assicurarsi della loro esecuzione.Mentre, poi, sotto il violento fuoco delle mitragliatrici nemiche, ritto in piedi sulla trincea, presso uno sbocco offensivo, incitava con la parola e con l’esempio le ondate all’assalto, veniva colpito alla spalla ed alla testa e, caduto, quasi esanime, pronunciava ancora le parole: Su, bravi ragazzi, abbiamo vinto, avanti, avanti!.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 151; Decorati al valore, 1964, 68.
MARINELLI LUIGI
Parma 1831
Durante i moti del 1831 fece parte del consesso civico di Parma.L’autorità di polizia lo descrive come uomo senza principii, e mezzo balordo.Fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 183.
MARINI ADAH, vedi MARTINI ADAH
MARINI ANTONIO
Colorno 1889-Fontanelle di Roccabianca 1966
Viene avviato alla carriera ecclesiastica, ma la abbandonò per dedicarsi all’agricoltura e all’attività pubblicistica per propagandare le nuove tecniche agricole.Con lo pseudonimo Il Campagnolo redasse per molti anni la pagina dell’agricoltura sulla Gazzetta di Parma.Fu presente in diverse manifestazioni benefiche organizzate nella Bassa.
FONTI E BIBL.: F.eT.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 195.
MARINI CARLOTTA
Parma prima metà del XIX secolo
Fu distinta cantante della prima metà del XIX secolo (non citata dal Fétis).
FONTI E BIBL.: Catalogo autografi e ritratti di musicisti, 1896, 212.
MARINI GIORGIO
Felino-15 agosto 1916
Valoroso Sottotenente, sempre pronto per le imprese più ardue, morì in combattimento.
FONTI E BIBL.: Caduti di Felino, 1919, 7.
MARINO ERMANNO, vedi MARANO ERMANNO
MARINONI CASSANDRA
Milano o Cassano d’Adda 1528 c.-Cremona 19 giugno 1573
Figlia del cavaliere Girolamo, gentiluomo milanese, e di Ippolita dei marchesi Stampa.Sposò il 20 settembre 1548 a Cassano d’Adda Diofebo Meli Lupi marchese di Soragna, stabilendosi così definitivamente nel suo nuovo piccolo feudo, che non di rado, a causa delle assenze del marito impegnato militarmente nelle Fiandre col duca Alessandro Farnese, governò e amministrò con saggezza. Si interessò attivamente della conduzione dei propri beni, notevolmente accresciuti alla morte del padre, e si può dedurre, dalla consistenza delle note contabili, un profilo di dama assai meticolosa negli affari e piuttosto parca nelle spese.La Marinoni ebbe, oltre a un fratello naturale, anche una sorella più giovane, Lucrezia, che nel 1560 sposò, con dispensa del Senato milanese, il conte Giulio Anguissola, nobile piacentino legato ad amicizie violente, dedito al gioco e al divertimento.L’Anguissola pensò presto di venire in possesso del cospicuo patrimonio dotale della moglie, ascendente a ben 20800 scudi d’oro, e, usando i mezzi più sbrigativi, cercò più volte persino di tossicarla, cioè di avvelenarla, prima a Lodi e poi a Piacenza.Da ciò la rottura tra i due e la conseguente separazione: da quel momento Lucrezia Marinoni alternò i suoi soggiorni a casa della madre a Milano, presso la Marinoni a Soragna e nel suo palazzo di Cremona.Il 18 giugno 1573 il conte Anguissola, fingendo di volersi riconciliare con la moglie, riuscì, col tramite di amici, a farsi concedere un colloquio.Ma all’ora stabilita, con una unione d’huomini più di cinquanta, tutti armati de diverse qualità d’armi deffensive et offensive, etiandio con schioppi da ruota, invase la casa ove si trovava la moglie.Raggiunta nella sua stanza, fu colpita con trentadue pugnalate, tredici ne ebbe la Marinoni, che in quei giorni si era recata a farle visita, e uguale sorte sarebbe capitata ai servitori se non fossero stati svelti a fuggire e rinchiudersi in luoghi sicuri: il che pose tanto di spavento non solum a quelli della detta città, ma anche a quelli delle città convicine, che sentendo nominar questo così gravissimo et inaudito eccesso, anchora non si tennero sicuri nelle proprie case.Fuggito da Cremona e riparato a Venezia, il conte Giulio Anguissola venne, in contumacia, condannato alla pena capitale e alla confisca dei suoi beni.Il governatore di Milano il 15 luglio scrisse al Doge per sollecitare il suo interessamento nell’arresto del colpevole e di alcuni suoi amici che erano stati visti nella città lagunare, ma ciò non sortì effetto alcuno.Anzi, molti complici dell’Anguissola, e forse egli stesso, ritornarono presto a Cremona, continuando nella loro attività, sfidando e irridendo persino il bando che Giovanni Francesco Malumbra, giure consulto, giudice del malefitio e luocotenente per l’illustre signor Podestà emise il 5 agosto 1573. In esso si diffidò ognuno di qual grado e conditione si sia dal dare, sotto pena di morte, ospitalità o aiuto ai colpevoli e si ordinò nel contempo di fornire tutte le possibili notizie tendenti alla loro identificazione e catturaperché così è espressa voluntà e ordine di Sua Eccellenza.Diofebo Meli Lupi, dal canto suo, si rivolse direttamente al Re di Spagna per avere soddisfazione dell’offesa ricevuta, chiedendo l’imposizione di una taglia sui colpevoli e l’emissione di un bando mediante cui chi consegnerà il detto conte Giulio vivo habbi per premio scuti duoi millia, et essendo bandito etiam di bando d’animo deliberato, si puossi liberar dal detto bando, et insieme con lui duoi altri simili banditi. Ma il conte Anguissola non fu mai preso: lo si ritrova infatti alcuni anni dopo a Milano, ove si stabilì nelle vicinanze di Porta Romana, intento a trarre prime e seconde di cambio sul banchiere Rinaldo Tetono, segno evidente che nel frattempo tante cose si erano appianate e, col denaro, si erano anche tacitati gli eredi delle defunte sorelle.La Marinoni morì infatti il giorno dopo essere stata colpita.Il suo corpo fu trasportato a Soragna ove le venne data solenne sepoltura.In omaggio alle sue doti e qualità, già verso il 1555 le fu dedicata una medaglia in bronzo incisa da Pier Paolo Galeotti, recante nel diritto la sua effigie con le parole Cassandra Marin Lupi Marchio Sor, e nel rovescio un tempietto di ordine dorico con le parole Formae Pudicitiae.È certamente un’allusione alla sua virtù, anche se non va sottovalutato il fatto che allora, con il conio di queste medaglie, e non senza una punta di adulazione, si usava rendere omaggio alla bellezza e alla pudicizia delle donne nobili.Anche l’Affò si lasciò attrarre in questa trama e, tracciandone un profilo, scrisse che la Marinoni fu così delicata e zelante nella sua pudicizia che, tentata a macchiarla da un cavaliere dalle sue singolari bellezze rapito, sofferse piuttosto la morte che cedere agli impulsi del furibondo amatore.Ma la tesi del delitto passionale, come qualcuno vorrebbe sostenere soltanto per dare più colore all’episodio, non sembra attendibile.Più realisticamente i motivi d’interesse o soltanto la volontà di eliminare un testimone scomodo che sapeva e aveva visto troppo guidarono probabilmente la mano del conte o dei suoi sicari.La Marinoni ebbe solo la sorte di trovarsi a Cremona quando la sorella fu uccisa.Sta di fatto che dove finì la storia cominciò la leggenda: secondo quest’ultima, rimasto l’omicidio impunito, il fantasma inquieto della Marinoni prese ad aggirarsi nella Rocca di Soragna, dando vita a tutta una serie di fantasie.Il fantasma, tra le mura di quel maniero che la vide un giorno ossequiata castellana, trovò il terreno adatto per crearsi una propria fama che, superando l’esame dei mutati costumi, rimase inalterata nei tempi.La tradizione vuole che il fantasma della Marinoni, grigio come la cenere (Donna Cenerina), si aggiri sconsolato nella rocca e faccia sentire la sua presenza soltanto quando sta per avvicinarsi la fine di qualche membro della famiglia Meli Lupi, proprietaria del castello.
FONTI E BIBL.: B.Colomni, in Proposta 2 1973, 15-17.
MARINZONI GIUSEPPE
Collecchio 1687/1752
Fu Arciprete della parrocchia di Collecchio e Vicario foraneo dal 1687 al 1752.I primi documenti parrocchiali di Collecchio sono stati vergati da lui, insieme a una lunga e interessantissima cronaca dei fatti locali del tempo.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MARIO, vedi PARISI DRUSO e VICENZI SANTE
MARIOTTI ANDREA
Parma 1785/1801
Il 3 settembre 1785, come ballerino grottesco, gli venne accordata la patente di virtuoso di Camera di SAR (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti). Nella stagione di autunno 1787 lo si trova autore dei balli al Teatro Zagnoni di Bologna, come pure nel 1789, primavera, al Teatro dell’Accademia degli Erranti di Brescia e nell’autunno al Teatro Obizzi di Padova. Nella stagione di Fiera del 1792 (e ancora in quella del 1801) fu al Teatro di Reggio Emilia: nella prima di queste stagioni si qualificò del Duca di Parma.
FONTI E BIBL.: Fabbri e Verti; Sartori; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MARIOTTI CORINNO
Parma 14 settembre 1827-Torino 3 agosto 1876
Dopo aver studiato musica a Parma con Savazzini e con G.Alinovi e contrappunto a Torino con M.M.Marcello, si stabilì dopo i moti del 1848 a Torino, dove fu attivo come insegnante, compositore e critico musicale, adoperandosi con fervido zelo per la diffusione del canto corale, specie presso la classe operaia.Di gusti alquanto conservatori e oppositore tenace di Wagner e delle tendenze musicali più recenti, collaborò a vari giornali e riviste, tra cui Il Pirata (di cui divenne direttore il 27 settembre 1869), La Gazzetta Musicale, Il Trovatore, L’Espero, La Gazzetta di Torino e La Nuova Torino. Fu autore delle seguenti composizioni: Operette (rappresentate a Torino), I distratti (1871), L’oca (1876) e La batracomiomachia. Pubblicò inoltre varie raccolte di canti popolari a più voci, tra cui Il canzoniere nazionale (sette pezzi), Tesoretto melodico e Primizie meloginniche.
FONTI E BIBL.: G.Depanis, I concerti popolari e il Teatro Regio di Torino, 2 voll., Torino, 1914-1915; D.Sorani, Giuseppe Depanis e la Società dei Concerti.Musica a Torino fra Ottocento e Novecento, Torino, 1988; Dizionario musica e musicisti UTET, Appendice, 1990, 518; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARIOTTI GIOVANNI
Parma 1 maggio 1850-Roma 28 febbraio 1935
Nato da famiglia di tradizioni liberali e laureatosi in legge in giovane età, il Mariotti abbandonò ben presto l’avvocatura per dedicarsi ai suoi studi prediletti: l’archeologia e la paleontologia.Se ne formò in breve tempo una cultura prodigiosa che, accompagnata a un ingegno vivace e fecondo, fece di lui un maestro del settore.A soli ventidue anni, nel 1872, fu eletto socio corrispondente della Regia Deputazione di Storia Patria di Parma, dietro viva raccomandazione di Amadio Ronchini, che aveva conosciuto le doti, già spiccate, di storico e studioso del Mariotti.Egli aveva allora già iniziato la sua opera di studioso come archeologo, essendo allievo nel Museo d’Antichità di Parma sotto la direzione Pigorini dal 1867 al 1875 e benemeritandone al punto di esserne prescelto da Ruggero Bonghi a successore nella direzione del Museo stesso quando Pigorini lo lasciò nel 1875 per raggiungere la sede della sua imperitura attività romana.Il Museo ne trasse un subitaneo beneficio, allargandosi e accrescendosi di nuovi reperti.In quel periodo il Mariotti si fece promotore dell’intensificazione e della valorizzazione degli scavi di Velleja.La sua opera nel Museo (tenne questa carica per quasi sessant’anni, fino al 1933) e i suoi primi scritti di archeologo (particolarmente quello del 1876 sui pugnali di Castione e quello, capitale, pure del 1876, sugli scavi di Velleja) gli valsero subito la piena fiducia dei suoi colleghi di Deputazione, che, alla morte di Pietro Martini, lo scelsero a loro segretario, promovendolo a socio attivo.In questo primo periodo nell’Archivio Storico per le Province Parmensi appare solo il suo scritto del 1882 sul ritrovamento di monete medioevali in Parma.Tutta l’attività dell’Archivio Storico fu da lui guidata e impersonata, pur tra le numerose incombenze dell’attività di uomo politico e di pubblico amministratore.È di quest’epoca la prima stesura del suo scritto sulla strada Francigena di Monte Bardone (1892), anche se allora non pubblicato e venuto in luce solo postumo nel 1940. Quando nel 1895, alla morte del conte Filippo Linati, fu eletto Presidente della Deputazione, tale onore era già ben meritato, se si pensa alla sua attività fino a quel momento di storico e studioso, aumentata dalla magistrale pubblicazione del 1888 sulla storia dell’Università di Parma nel Medioevo.Eletto Presidente, il Mariotti diede grande impulso per quasi quarant’anni a tutta l’attività della Deputazione, colla pubblicazione del Codice Diplomatico Parmense, degli Statuti delle Corporazioni Parmensi, delle Memorie Parmensi per la Storia del Risorgimento, delle Addizioni alle Memorie Storiche di Piacenza di C.Poggiali, oltre alla ricchissima documentazione di scritti originali e recensioni apparsa nei volumi dell’Archivio Storico.Egli stesso concorse a questa documentazione cogli importantissimi scritti, per citarne solo alcuni, sugli oggetti d’arte dei Palazzi Ducali di Parma, Colorno e Sala Baganza (1919), sull’Arco di Parma in Roma (1925), sull’Abbazia di Fontevivo (1927), sull’Università di Parma e i moti del 1831 (1933), non dimenticando i suoi scritti fuori dell’Archivio, quali la Relazione, come Sindaco di Parma, del 1894 sulle opere di risanamento, ricca di notizie storiche e archeologiche, l’altra al Consiglio Comunale sulla chiesa delle Cappuccine (inedita, 1901), lo scritto sull’antica imitazione del Teatro Farnese a Costantinopoli (1912), gli scritti sull’Università di Parma del 1923, quelli sul territorio di Parma dalle origini al presente (1923, 1924 e 1926) e quello sulla Pieve di Santa Maria di Fornovo del 1930. Questa sua multiforme attività di studioso e uomo politico fu premiata coll’estimazione di consessi nazionali ed esteri, che lo ebbero loro ambito membro (tra tutti, l’Istituto Archeologico Germanico e l’Istituto Storico Italiano). La relazione che fece nel 1934 sulla vita della Deputazione di Storia Patria dal 1854 in poi è lo specchio vivo di questa sua grande opera intellettuale che ebbe il coronamento nella sua collaborazione del 1933-1934 alla rivista Crisopoli, cogli scritti su Pietro Bianchi, sulle mura e porte di Parma e soprattutto colla nuova edizione aggiornata del suo scritto su Velleia del 1876.Pubblicò inoltre: Replica degli Ospizi civili di Parma al Ministero della Pubblica Istruzione nella controversia in ordine alla Scuola di musica di Parma (Parma, Battei, 1886), Risposta del Ministero dell’Istruzione Pubblica alla Replica degli Ospizi Civili di Parma ed al parere del Ministero dell’Interno nella controversia sulla legittimità dei provvedimenti emanati in ordine alla R.Scuola di musica in Parma (Roma, Forzani, 1886, e Parma, Ferrari, 1886), Istruzioni intorno all’andamento amministrativo e disciplinare della R.Scuola di Musica in Parma (Parma, Rossi-Ubaldi, 1887), Sulla vendita del Teatro Reinach al m. Cleofonte Campanini.Risposta alMemoriale diretto al Consiglio Comunale dal Sig.Ugo Montanari (Parma, Coop.Parmense, 1912), Commemorazione di Giuseppe Verdi, in occasione della morte di Michele Caputo, fatta il 22 giugno 1928. Nel 1884, nominato commissario della Scuola di musica di Parma, la rese autonoma dall’amministrazione degli Ospizi Civili e ne caldeggiò apertamente la trasformazione in Conservatorio (1888) e poiché occorreva un uomo degno per il posto di direttore, chiese consiglio a Verdi che gli fece il nome di Bottesini. È di quegli anni il suo ingresso nella vita politica.Eletto deputato per la XV legislatura (1882-1886), sedette sui banchi di centro-sinistra. Infatti, in seguito alla morte del deputato Enrico Arisi si procedette a votazioni parziali per la sostituzione il 15 luglio 1883.Mariotti riuscì vincitore con ottomila voti, contro Luigi Musini e Alessandro Tedeschi, che assieme ne raggiunsero solo la metà.Ma non si trovò a suo agio nell’ambiente di Montecitorio e rifiutò ogni successiva candidatura.Nel 1888, con una serie di gagliardi articoli, difese l’Università di Parma e rialzò le sorti del glorioso Ateneo che lo volle professore onorario.Dal 1889 al 1897 fu presidente del Consiglio provinciale di Parma e contemporaneamente, dal 1889 al 1914 (salvo qualche breve interruzione nel 1891-1892, 1895 e 1907-1909), Sindaco della città.Furono venticinque anni di amministrazione decisiva per le sorti di Parma.Il Mariotti risanò e allargò la città, promovendone il rinnovamento edilizio e sociale, iniziò lo sventramento dell’Oltretorrente demolendo i quartieri malsani e vi portò l’acqua potabile, riaprì l’antica porta di San Benedetto ribattezzandola barriera Saffi, diede impulso alla costruzione di case popolari in Parma vecchia e in Parma nuova, innalzò il monumento a Verdi (1913-1920), abbattè il cavalcavia di strada Melloni e via Garibaldi, sostituì il Ponte Verde in legno col ponte Verdi in muratura, restaurò il Teatro Farnese, iniziò il colossale lavoro del Lungoparma, costruì il bagno pubblico (1895), fece spazio al macello, ma anche, seguendo i modelli della cultura urbanistica di fine secolo, si fece promotore dell’abbattimento dell’arco delle antiche mura compreso tra le barriere San Barnaba e Vittorio Emanuele.La distruzione della cintura fortificata portò all’atterramento dei rampari e dei terragli sconvolgendo l’integrità dell’antica struttura urbana. Quale premio a tanta operosità, il 21 novembre 1901 Zanardelli lo fece nominare senatore e del Senato il Mariotti fu, oltre che attivissimo membro (contribuì al lavoro legislativo di oltre un quarantennio, con discorsi e relazioni fondamentali, specie in materia di istruzione, di lavori pubblici e di comunicazioni), anche vicepresidente nella XXVII legislatura, presidente della Giunta del bilancio e promotore e vicepresidente dell’Associazione dei comuni italiani. Fin dalla gioventù il Mariotti praticò l’alpinismo, che lo ebbe appassionato cultore (fu anche presidente del Club Alpino Italiano di Parma) fino a tarda età.
FONTI E BIBL.: E.Savino, Nazione operante, 1928, 131; U.Benassi, Giovanni Mariotti, Parma 1919; U.Benassi, Giovanni Mariotti, in Archivio Storico per le Province Parmensi XXII bis 1922 (con bibliografia degli scritti); Enciclopedia italiana, XXII, 1934, 358; S.Sapuppo Zanghi, La XV legislatura italiana, Roma, 1884; T.Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; A.Tortoreto, I parlamentari italiani della XXIII legislatura, Roma, 1910; Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1941, II, 159-160; U.Benassi, in Collezione di Profili di Parmigiani illustri viventi, Parma, 1911; P.Barocelli, G.Mariotti, in Bullettino Paletnologia Italiana 1934, 222, e 1935, 84; Aurea Parma 1935, 51-52, con bibliografia a opera di Giuseppe Sitti; G.Micheli, Giuseppe Verdi, Giovanni Mariotti e il Conservatorio Musicale di Parma, Parma, 1941; G.Monaco, in Gazzetta di Parma 1 giugno 1950 e 14 novembre 1950; G.Monaco, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1949-1950, 32-34; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 94; Gazzetta di Parma 24 gennaio 1962, 4; Palazzi e casate di Parma, 1971, 246-247; G.N.Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 78; U.Benassi, Giovanni Mariotti, Parma, Fresching, 1918; G.Marchesi, Giuseppe Verdi e il Conservatorio di musica di Parma, Parma, Ducale, 1975; Dietro il sipario, 1986, 296; Grandi di Parma, 1991, 75; G.Capelli, in Gazzetta di Parma 25 luglio 1995, 9.
MARIOTTI LUIGI, vedi GALLENGA ANTONIO
MARIOTTI PIETRO
Borgo Taro 21 settembre 1785-post 1831
Figlio di Bartolomeo. Coscritto in Francia il 5 Agosto 1806.Fu promosso Caporale nel 1807, Sottotenente il 23 aprile 1813 e Tenente il 4 giugno 1813.Partecipò alle campagne del 1807 sulle Coste dell’Oceano, del 1808 in Portogallo, del 1809 in Spagna, del 1810 in Portogallo, del 1811 in Spagna, del 1813 in Germania e del 1814 in Francia.Fu all’assedio di Rodrigo in Spagna nel 1810 e a quello di Almeida in Portogallo.Fu ferito da arma da fuoco il 21 maggio 1813 alla battaglia di Bautzen in Sassonia e di lancia alla ritirata di Lipsia il 18 ottobre dello stesso anno.Fu Tenente al seguito nel Reggimento Maria Luigia dal 16 marzo 1816.
FONTI E BIBL.: A.Del Prato, L’anno 1831, 1919, XXI-XXII; E.Loevison, Ufficiali, 1930, 28.
MARMETTI, vedi MARRI
MARMIETTI, vedi MARMITTA
MARMIROLI FRANCESCO
Reggiano-Parma 1940
Fisarmonicista attivo nel territorio parmense, dove svolse la sua attività dal 1920 fino al 1940. Solista di pezzi classici tra i più impegnativi (movimenti della Gazza ladra e da altri noti melodrammi), prolifico compositore di brani melodici d’essai, fu il primo esecutore per fisarmonica dei valzer di Strauss. Fu inoltre il primo fisarmonicista parmigiano a registrare per La voce del padrone. Punta di diamante del mondo della fisarmonica, si rivelò poi un valente insegnante: seppe creare un metodo propedeutico decisamente originale, che diede ottimi frutti e che forgiò importanti talenti. Tra i più noti allievi del Marmiroli, si ricordano i fratelli Bruno e Umberto Allodi, Giacomo e Bruno Stocchi, Gigi Stock, Ennio Tamagnini, Umberto Tombesi, Bruno Montanini, Mirko Baistrocchi, Nino Vaccari e Renato Benelli.
FONTI E BIBL.: R. Ghirardi, in Gazzetta di Parma 22 settembre 1999, 15.
MARMITTA FRANCESCO
Parma 1462/1466-Parma 1504 o 1505
Figlio di Marco, mercante di cera e di lana in relazione con Venezia dove forse allogò il figlio allo studio delle Belle Arti.Dallo Scarabelli si apprende che intorno alla metà del secolo XV il padre e il nonno del Marmitta abitarono nella vicinia di San Bartolomeo della Ghiaia, mentre nel 1504 il Marmitta e il fratello Niccolò, definiti nobili uomini, dimorarono nella vicinia di San Paolo. Fu pittore, miniatore e, secondo il Vasari, anche incisore di gemme imitate dall’antico.Per quanto è dato conoscere diede il meglio della sua arte nel campo della miniatura.La sua formazione avvenne lontano da Parma.D’altra parte in quel periodo l’ambiente culturale parmense era soffocato dalla mancanza di una Signoria locale forte, che potesse sostenere poeti, scrittori e artisti, dal ruolo catalizzatore della Corte milanese (dove al tempo di Ludovico il Moro soggiornò a lungo il letterato parmigiano Andrea Bajardi, autore del Philogyne) e dal boicottaggio attuato dai duchi, sia i Visconti che gli Sforza, nei confronti della locale Università a vantaggio dello Studium di Pavia.Nel campo delle arti figurative si stava trascinando un po’ stancamente l’ultimo gotico interpretato dalla bottega di Bartolino de’Grossi e di suo genero Jacopo Loschi, che avevano affrescato la vasta abside di San Francesco. Determinante per il risveglio culturale fu la pur breve presenza a Parma, tra il 1475 e il 1476, dell’insigne latinista bolognese Filippo Beroaldo che riuscì ad animare l’ambiente e la cui influenza è avvertibile negli scritti in volgare di Giorgio Anselmi, nel Peregrino di Jacopo Caviceo e nel latino di Francesco Maria Grapaldo, singolare figura di poeta, scrittore e ambasciatore, autore di quel De partibus aedium che ebbe una notevole fortuna con ben tredici edizioni e che attraverso la casa descrive la vita quotidiana, con palesi riferimenti a Parma.È il Grapaldo che ha tramandato la fama del Marmitta, come ricorda l’Affò, in quanto ai suoi tempi non conveniva in una cappella domestica una sacra pittura se non era di mano del Temperello o del nostro Francesco Marmitta pittore anch’egli a que’ giorni valente.Altro evento di rilievo fu il ritorno a Parma nel 1490 di Taddeo Ugoleto, dopo aver a lungo diretto la biblioteca di Matteo Corvino, re d’Ungheria, incarico che lo portò a girare l’Europa alla ricerca di codici preziosi e a entrare in contatto coi maggiori umanisti del tempo tra cui Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Angelo Poliziano.L’Ugoleto si associò al fratello Angelo, che gestiva una tipografia e iniziò a pubblicare testi di autori antichi con grande rigore filologico.Il cenacolo umanistico si completava con altri personaggi di spicco, quali Antonio e Francesco Carpesano, Bernardino Dardano, Antonio Bazzano, Gianfrancesco Garimberti e Lorenzo Malaspina.Nella pittura intanto si guardava a Venezia e la lezione di Giovanni Bellini venne assimilata dal Caselli e da Filippo Mazzola, attento pure ai modelli lombardi, mentre l’Araldi si orientò più verso Firenze e Roma.Nel contempo si attuò il rinnovamento urbanistico con la costruzione del nuovo monastero benedettino di San Giovanni, dell’Ospedale, la ristrutturazione dei complessi monastici di San Paolo, San Quintino, Sant’Ulderico, San Sepolcro, Santa Maria dei Servi e il Carmine, il rifacimento di San Pietro, San Benedetto e Ognissanti, il completamento di San Pietro Martire, l’apertura di nuove strade nell’Oltretorrente e la costruzione di botteghe sul Ponte di pietra.Questo vitale e fervido clima culturale trovò il Marmitta quando tornò a Parma (vi è documentato nel 1496). Come miniatore è noto per un codice delle Rime e dei Trionfi del Petrarca della Landesbibliothek di Kassel (Iüng.Palat.IV 4): in una iscrizione a c.9 v. e 10 è celebrato infatti come autore dei minî.Su questa base il Toesca, che si è occupato in più occasioni del Marmitta, gli ha attribuito un foglio già nella collezione Hoepli (poi nella collezione Cini di Venezia), le miniature del Missale Romanum fatto eseguire dal cardinale Domenico della Rovere per la Cattedrale di Torino (nel Museo Civico di Torino, databile 1498-1501) e quelle di un Offiziolo di casa Durazzo (poi nel Museo di Palazzo Bianco a Genova), opere che costituiscono documenti tra i più alti dell’arte della miniatura del Rinascimento italiano.L’iniziale destinazione parmigiana dell’Offiziolo Durazzo, nelle cui pagine purpuree recepì la novità delle grottesche, potrebbe essere avallata dal fatto che un volumetto con identica rilegatura è ritratto dal Parmigianino verso il 1523, quando era ancora a Parma, tra le mani di un ignoto collezionista.Il dipinto, esposto alla National Gallery di Londra, si intitola Ritratto di un collezionista ma in un inventario del 1587 viene indicato come ritratto di un prete e in un altro inventario del 1680 come ritratto con berretta da prete in capo con officio alla sinistra.Gli sono stati inoltre attribuiti (Levi D’Ancona) una miniatura del Fitzwilliam Museum di Cambridge e il libro d’ore Garzoni del Museo Correr di Venezia.Il Marmitta si rivela maestro di fervida immaginazione e di rara fantasia, formatosi nell’ambito della scuola ferrarese, in relazione soprattutto con Ercole Roberti.È stato persino supposto che la Crocifissione a piena pagina dell’Offiziolo della Rovere sia stata esemplata sulla perduta Crocifissione della cappella Garganelli in San Pietro a Bologna. Nelle illustrazioni del più tardo Offiziolo Durazzo, dai fogli colorati di porpora, l’acutezza e la nervosità del tratto si addolciscono un poco, probabilmente per influenza del Francia e delle ultime opere del Costa.La frequente finzione nei fantasiosi e raffinati fregi che incorniciano le pagine di cammei e di gemme antiche conferma l’asserzione del Vasari che il Marmitta si dedicò anche all’intaglio.Prima che pittore fu infatti gioielliere, abilissimo nell’intaglio di gemme e cammei alla maniera degli antichi.Purtroppo nulla di suo rimane e questo campo della sua attività è ricostruibile proprio solo grazie agli intagli e ai gioielli dipinti nei margini delle sue carte miniate.È però l’indizio di un rapporto con le mode antiquarie che coinvolgevano mecenati e umanisti delle principali corti padane e non a caso la vocazione letteraria fu comune a due suoi fratelli, Ludovico e Gellio Bernardino, e a suo figlio Jacopo.Ma è la mentalità stessa del Marmitta miniatore che tradisce la sua consuetudine con la glittica anticheggiante.Tutto vi è raro e pensato, con preziosismi che presuppongono l’apprezzamento di committenti colti e sofisticati.Il velo d’oblio c alato su di lui ha paradossalmente una radice obiettiva.La sua arte spicca elitaria e quasi incompresa nella Parma dell’ultimo Quattrocento ma presuppone un clima culturale sensibile e raffinato, lo stesso che di lì a poco rese possibile la camera dipinta da Corregio per la badessa Giovanna Piacenza e i prodigi del Parmigianino.Il Marmitta visse poco (morì a quarantotto anni) ma dopo aver attraversato esperienze variegate: in un documento del 1495 dichiara di essere stato a lungo lontano da Parma.Poche sono le opere sopravvissute di lui e nei secoli hanno subito una sorta di diaspora.In sostanza il prestigio del Marmitta resta affidato a tre codici straordinari, da annoverare tra i capolavori in assoluto della miniatura rinascimentale. Sono tre codici molto diversi tra loro e testimoniano tre tappe ben distinte della sua maturazione: la formazione nella Bologna dei Bentivoglio, la frequentazione della Curia romana e il rientro a Parma.Nessun manoscritto delle Rime e dei Trionfi di Petrarca può vantare un’illustrazione così ricca e singolare come quello miniato dal Marmitta verso il 1483 per l’umanista bolognese Giacomo Giglio.Il linguaggio immaginoso e le atmosfere infuocate di queste pagine, non senza un’incredibile Apparizione notturna di Laura al Poeta, sono tra le interpretazioni più ispirate del lascito figurativo del grande Ercole de’ Roberti.Di tutt’altro genere, solennemente liturgico e preziosamente anticheggiante, è la decorazione del Messale miniato a Roma per il cardinale Domenico della Rovere. E ancora differente, privatissimo e intarsiato di invenzioni inusitate, è l’Offiziolo purpureo (Biblioteca Berio a Genova), ultimo approdo del Marmitta.Nel corso di un ventennio il Marmitta non rimase mai fermo e ogni volta si dimostra interprete sensibile delle maggiori novità figurative. Ancora scarsamente conosciuta è la sua attività come pittore.Il Longhi gli ha attribuito la Flagellazione di Cristo della Galleria di Edimburgo, che sembra da riferirsi al periodo iniziale.Al periodo più inoltrato del Marmitta, al principio del Cinquecento, il Toesca ha assegnato una pala del Louvre, raffigurante la Madonna in trono col Bambino fra due santi, proveniente dalla chiesa di San Quintino di Parma. Gli sono attribuiti inoltre alcuni disegni: Madonna col Bambino, Sepoltura di Cristo, Fuga in Egitto, Corteo trionfale (nel British Museum di Londra), San Francesco (già nella collezione Oppenheimer di Londra) e Crocifissione al Louvre di Parigi.Morì quasi certamente di peste. Il Pezzana rinvenne e pubblicò il testamento del Marmitta, che, sospettoso della pestilenza che aveva sin da maggio invaso la nostra città, volle provvedere il 20 settembre 1496 per le sue proprietà.Suo erede universale fu designato il fratello Niccolò, con la possibilità che in caso di premorienza senza figli fosse sostituito dall’altro fratello Lodovico.Superato il pericolo della pestilenza, il Marmitta sposò Isabella Canossa, dalla quale ebbe due figli: Jacopo e Lodovico Maria.Da un atto del 26 gennaio 1507 si apprende che il fratello Niccolò, nella sua qualità di tutore dei minorenni fratelli Lodovico Maria e Giacomo, figli ed eredi del defunto padre loro Francesco, restituisce la dote di 1600 lire imperiali alla egregia ed onesta Isabella, figlia di Ser Innocenzo Canossa, vedova di Francesco ed ora passata a nuove nozze con Geronimo de Spagis della vicinia di San Biagio.La data di nascita del Marmitta non è nota.Incrociando tuttavia gli elementi che si ricavano dall’esame comparato della documentazione relativa ai fratelli (da lui menzionati nel testamento del 1496) e dagli atti del Marmitta emersi all’Archivio di Stato di Parma, è stato possibile restringere sensibilmente il campo delle ipotesi.Il 17 giugno 1495 il Marmitta risulta sicuramente maggiorenne, come molto probabilmente maggiorenne era già nel 1491, allorché comprò insieme ai fratelli Niccolò, Gerolamo e Lodovico una casa.Poiché la maggiore età si raggiungeva al compimento del venticinquesimo anno, si può dedurre che il Marmitta non sia nato in epoca successiva al 1466.Nessun Francesco Marmitta figlio di Marco viene però ricordato nei registri del Battistero di Parma che iniziano il 1 marzo 1459, ma che, soprattutto nei primi anni, appaiono molto lacunosi.L’unico fratello di cui si conosce con esattezza la data di nascita è Niccolò, annotato appunto nei registri battesimali sotto il giorno 25 aprile 1459.Già nel 1461, però, Gerolamo risulta maggiorenne e nel 1474 viene detto che da lungo tempo faceva famiglia separata.Un atto del 1469 dimostra poi che a quell’epoca anche Lodovico era sicuramente maggiorenne e sacerdote, mentre di Bernardino, altro fratello del Marmitta, si sa che nel 1485 iniziò a insegnare umanità per conto del Comune.Tenendo presente che il Marmitta si sposò sul finire del 1502, si può concludere che non fosse maggiore né di Gerolamo (nato non oltre il 1436), né di Lodovico (nato non oltre il 1434).Benché Francesco fosse il nome del nonno paterno del Marmitta, si è dunque certi che tale nome non fu riservato al primogenito della casa.E allora, secondo una consuetudine diffusa e seguita dalla famiglia Marmitta anche in altri casi, fu con ogni probabilità dato al primo nato dopo il decesso di costui, in suo ricordo.Gli atti relativi a Francesco Marmitta senior dimostrano che la sua scomparsa risale a un periodo compreso tra il 30 maggio 1459 e il 12 novembre 1460, successivo quindi anche alla nascita di Niccolò, avvenuta, come si è visto, il 25 aprile 1459. Si può ritenere pertanto che la possibile data di nascita del Marmitta sia da situarsi in un periodo successivco al 1459 e più precisamente in uno di quei lassi di tempo in cui, causa parti perdute, i menzionati libri del Battistero tacciono.Poiché le sezioni mancanti di tali registri riguardano l’intero anno 1462 e il periodo che va dall’aprile del 1464 a tutto il 1468, il Marmitta potrebbe essere nato nel 1462 o tra l’aprile 1464 e il 1466.Il 17 giugno 1495 i fratelli maggiori del Marmitta, Lodovico e Gerolamo, cedettero a lui e al fratello Niccolò la loro quota di proprietà di una casa situata nella vicinia di San Paolo, comprata nel 1491 da Cristoforo Mandri.La casa fu acquistata da Lodovico e Gerolamo anche a nome di Niccolò e del Marmitta, allora assenti, e pagata con un acconto di 40 lire imperiali.Nel giro di quattro anni i fratelli Marmitta avrebbero dovuto via via pagare il prezzo intero dell’immobile, 700 lire imperiali, pena la restituzione della casa al venditore, con perdita della caparra e di tutte le spese eventualmente sostenute per migliorare l’immobile.Poiché né Lodovico né Gerolamo furono in grado di saldare la loro parte entro il termine prestabilito del marzo 1496, il Marmitta e Niccolò rilevarono le quote dei fratelli e, una volta finito di pagare il Mandri, furono gli unici proprietari della casa e dei beni mobili in essa contenuti.Nel corso dell’atto Gerolamo e Lodovico evidenziano alcuni aspetti che dimostrano come la cessione ai fratelli minori fosse l’unica via per salvare casa e soldi.Innanzitutto dal momento dell’acquisto in poi erano stati fatti molti miglioramenti, per un valore di circa 200 lire imperiali, pagati con i soldi del Marmitta e Niccolò.Mentre questi erano assenti erano stati inoltre venduti molti beni mobili della casa, il cui valore risultava molto superiore a quello dei beni rimasti in casa.In terzo luogo il Marmitta e Niccolò erano stati lontani da Parma e dintorni per parecchi anni, avevano lavorato in varie parti del mondo guadagnando molti soldi e avevano quindi migliore facoltà di pagare le lire dovute a Cristoforo Mandri (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.B.Bistocchi, f. 530). Il 20 giugno 1495 il Marmitta e il fratello Niccolò, figli del fu Marco, cittadini e abitanti di Parma nella vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola, revocarono i precedenti procuratori e costituirono, oltre ai procuratori del palazzo, loro procuratore in forma equa e speciale il venerabile don Lodovico Marmitta, loro fratello lì presente e accettante (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.B.Bistocchi, f.530). Il 20 settembre 1496, come detto, il Marmitta fece testamento costituendo erede universale il fratello Niccolò e, nel caso Niccolò fosse morto senza prole, il fratello sacerdote Lodovico.Lasciò inoltre 5 soldi imperiali ciascuno ai fratelli Gerolamo, Bernardino, spectabili et sapienti viro, e Jacopo: Vita et mors manu Dei sunt, idcirco attendens et considerans nobilis et egregius vir Francischus de Maremittis filius quondam domini Marci ac civis et habitator civitatis Parme in vicinia S.Pauli pro burgo plazolle, sanus mente et intellectu, licet corpore languens, volens et intendens suum facere et condere testamentum et bona sua ita et taliter disponere et ordinare ne post ejus decessum inordinata set potius ordinata reperiantur suum per nuncupatum, idest sine scriptis, testamentum fecit et composuit in hunc modum et per verba infrascripta videlicet: imprimis namque fecit, instituit et ordinavit ipse Franciscus testator ac esse vluit sibi heredem universalem Nicolaum de Maremittis filius quondam domini Marci predicti et fratrem ispius domini testatoris, quem proprio ore nominavit et expressit in omnibus suis bonis mobilibus et immobillibus ac se moventibus actionibus et rationibus debitorum ubicumque sunt, sint et erunt et inveniri poterunt, salvis tamen semper legatis suis infrascriptis.Item legavit et legat ipse dominus testator quod si ipse Nicolaus decederet sine filiis vel filiabus legiptimis et naturalibus quod dicta ejus hereditas perveniat et pervenire debeat in venerabilem et circumspectum virum dominum Ludovicum de Maremittis filium quondam dicti domini Marci et fratrem ipsius domini testatoris et ipsum eidem Nicolao substituit vulgariter, pupilariter et per fideicomissum.Actum Parme et in domo habitationi supradicti domini testatoris et ejus camera cubicullari sita in vicinia Sancti Pauli pro burgo plazolle. Il 15 gennaio 1500 il Marmitta e il fratello Niccolò pagarono 65 lire e 15 soldi imperiali a maestro Pietro Pegorario per la costruzione della porzione a loro spettante del muro da erigersi attorno all’orto del monastero di San Paolo, così come da accordi presi tra gli abitanti della vicinia di San Paolo e la badessa e come appare da vari atti pubblici.Da altri documenti si sa che Pietro Pegorario era il muratore incaricato dell’esecuzione dell’opera (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A.Del Monte, f. 541).Il 1° marzo 1500 fece testamento Antonia Marmitta, figlia del fu Marco e vedova del fu Francesco Centoni, cittadina e abitante di Parma nella vicinia di San Siro.Antonia Marmitta istituì suoi eredi universali communiter et equaliter don Lodovico e il Marmitta, fratelli della testatrice, in tutti i suoi beni salvo alcuni legati (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A.Del Monte, f. 541).Il 22 maggio 1500 fu compilato l’inventario dei beni ricevuti in eredità dalla defunta Antonia Marmitta, vedova del fu Francesco Centoni, fatto alla presenza dello spettabile Giovanni Marco Valixineria, mediatore di Galeazzo Pallavicino, da Lodovico e dal Marmitta, figli del fu Marco della vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola (Archivio di Stato di Parma, ArchivioNotarile, G.A. Del Monte, f. 541). Il 17 luglio 1500 il venerabile don Lodovico e il Marmitta, fratelli e figli del fu Marco della vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola, eredi della defunta Antonia Marmitta una volta loro sorella, affittarono a maestro Giovanni dell’Organo, figlio del fu Antonio Rivania della vicinia di San Bartolomeo della Ghiara, una casa ereditata da Antonia.Il canone annuo fu stabilito in 24 lire imperiali (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A.Del Monte, f.541).Il 3 agosto 1500 Pietro Domenico Dordoni, cittadino di Piacenza, dimorò a Parma nella casa del Marmitta, situata nella vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola.Così risulta da una atto in cui il Dordoni riceve 200 lire imperiali da Benedetto Colombini, cittadino parmense, cui le aveva prestate nel 1495.Tra i testi del documento redatto a Parmaad banchum mey notari infrascripti situm sub pallatio veteri communitatis Parme, compare anche don Lodovico Marmitta (Archivio di Stato di Parma, ArchivioNotarile, G.A. Del Monte, f. 541). Il 2 novembre 1500 il Marmitta e Niccolò, fratelli e figli del fu Marco della vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola, rilasciarono procura ai procuratori del palazzo per le cause di ordinaria amministrazione, e mandato speciale da parte del Marmitta, in quanto erede a metà della defunta Antonia sua sorella, al fratello don Lodovico per vendere qualunque bene della detta eredità (Archivio di Stato di Parma, ArchivioNotarile, G.A. Del Monte, f. 541).Il 29 settembre 1501 Maddalena di Jacopo confessò di ricevere da Lodovico e dal Marmitta 100 lire imperiali legatele dalla defunta Antonia Marmitta, vedova del fu Francesco Centoni, nel suo ultimo testamento.Per la qual cosa estinse il debito di denaro e masserizie che i due Marmitta avevano con lei (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 541).Il 9 novembre 1501 fu stipulato il contratto con cui Francesco Marmitta prese a bottega il giovane Addonardo Ferri per quattro mesi a partire dalla festa di San Martino (11 novembre 1501).In base al contratto, Addonardo Ferri, con il consenso dello zio paterno, maestro Donino detto degli Addonardi, avrebbe dovuto servire il Marmitta in casa del pittore o dove a quest’ultimo paresse opportuno, circa il mestiere e l’esercizio del disegnare e del dipingere e di tutte le attività a queste collegate.Si segnala tra i testimoni la presenza del pittore Alessandro Araldi: Addonardus de Feriis filius quondam Johannis civis et habitator civitatis Parme et in vicinia Sancti Giervaxii sponte et per se etiam cum mente voluntate consenssu Magistri Donini de Feriis dicti de Addonardis filii quondam Addonardi Antiquioris et de vicinia predicta ac patrui predicti Addonardi Junioris ibi presentis et eidem Addonardo Juniori nepoti suo suam mentem voluntatem et concenssum dantis et prestantis ad dicendum ad dandum et faciendum ac promittendum locationem et ad se obligandum ad omnia et singula infradicta et in hoc presenti instrumento contenta.Et ipse Magister Viro Francisco Doninus cum eo Addonardo Juniori et dictus Addonardus per se recipiens et omni alio meliori modo dederunt concesserunt et locaverunt ac dant concedunt et locant nec non dictus Addonardus Junior dedit concessit et locavit ac dat concedit et locat nobilli viro Francisco de Maremittis filio quondam domini Marci vici et habitatori civitatis Parme in vicinia Sancti Pauli pro burgo plazolle ibi presenti sipulanti et recipienti pro se suisque heredibus et successoribus operas ipsius Addonardi Junioris ad deserviendum ipsi Francisco in domo sua vel alibi prout ipsi Francisco videbitur et placuerit circha misterium et exercitium designandi et pingendi et ab ipsis misterio et exercitio dependentibus usque ad menses quatuor proxime futuros inceptandos in festo Sancti Martini presentis anni et finit uros ut inde sequetur com hiis tamen pactis videlicet: primo quod dictus Magister Doninus teneatur ipsum Addonardum juniorem durante tempore predicto vestire et calzare vestimentis et calzamentis idoneys ex partibus propriis ipsius Magistri Donini.Item quod dictus Franciscus teneatur facere ex partibus cibi et potus ipsi Addonardo Juniori durante locatione presenti et eidem docere bene dilligenter et fideliter uti filio de misterio et exercitio predictis. Item quod si contingeret predictum Magistrum Doninum premori ante complementum presentis locationis quod predictus Addonardus nil ahactenus teneatur stare cum ipso Francisco usque ad commentum predictum si eidem Addonardo non placuerit.Actum Parme et sub pallatio veteri communitatis Parme ad banchum notarile mey notarii infrascripti.Presentibus ibidem magistro Alexandro de Araldis filio quondam Christofori vicinie Sancti Pauli pro burgo anteriori teste asserente se cognoscere partes predictas, Ambroxio de Prioribus filio burgii vicinie sancti Jacobi, Hectore de Zabollis filio quondam domini Angeli vicinie Sancti Alexandri omnibus testi idoneys. Et presente etiam Magistro Antonio de Fagia dicto de Clarinis pro secundo notario (Archivio di Stato di Parma, ArchivioNotarile, G.A. Del Monte, f. 541).Dello stesso giorno è la procura del venerabile don Lodovico Marmitta a suo nome e quale erede della defunta Antonia Marmitta, sua sorella e vedova del fu Francesco Centoni, e anche come rettore dei suoi benefici ecclesiastici a tutti i procuratori del palazzo e inoltre al Marmitta e a Niccolò, suoi fratelli.I testimoni furono gli stessi dell’atto precedente (Archivio di Stato di Parma, ArchivioNotarile, G.A. Del Monte, f. 541).Nello stesso giorno Addonardo Ferri venne messo a bottega dal Marmitta: Actum Parme et sub pallatio veteri communitatis Parme et ad banchum notarile mey notarii infrascripti presentibus ibidem Francisco de Maremittis filio quondam domini Marci vicinie Sancti Pauli pro burgo plazolle, Petro Antonio Zaroto filio domini Marci vicine Sancti Jacobi, Magistro Alexandro de Araldis filio quondam domini Christofori vicinie Sancti Pauli pro burgo anteriori, Antonio de Bellulis filio quondam domini Bartholini vicinie Sancti Sepulchri, Ambroxio de Prioribus filio Georgi vicinie Sancti Jacobi, Andrea de Paganis filio domini Thome vicinie Sancti Baxillidis, Stephano de Becharis filio quondam Benedicti vicinie Sancti Jacobi omnibus testibus idoneys noctis et spetialiter ad predicta habitis vocatis et rogatis ac asserentibus se cognoscere predictum dominum testatorem.Et presente etiam Magistro Antonio de Fagia dicto de Clarinis filio quondam vicinie Sancti Nicolai parmensis pro secundo notario se haec instrumenta subscribere debere Johanne Antonio de Monte rogato et rogandum (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 541).Con testamento del 12 luglio 1502 don Lodovico istituì suo erede universale il Marmitta, suo fratello: Anno millesimo quingentesimo secundo indictione quinta die XIIjulii et post horam primam noctis ipsius diey adveniente die XIIIpredicti mensis.Vita et mors.Idcircho venerabilis et honestus vir dominus dompnus Ludovicus de Maremittis filius quondam domini Marci civis et presbiter parmensis ac habitator civitatis Parme et in vicinia Sancti Pauli pro burgo plazolle sanus mente et intellectu licet corpore languens predicta attendens et considerans ac volens et intendens suum per nuncupatum idest sine scriptis condere testamentum et sua bona taliter disponere et ordinare ne post ejus decessum inordinata permaneant set potius ordinata reperiantur et existant ipsum suum testamentum in hunc modum et formam facere procuravit ac fecit et facit et imprimis namque fecit instituit et legavit atque facit insituit et legat sibi testatori heredem universalem nobillem virum Franciscum de Maremittis fratrem ipsius testatoris, in ipsius domini testatoris bonis omnibus mobillibus et immobillibus iuribus et actionibus quibuscumque ubicumque sunt et inveniri poterunt et erant et inveniri poterant quem Franciscum ore proprio nominavit et nominat ipse dominus Ludovicus testator.Tra i testimoni vi è Virgilio Seccadenari da Bologna, in quel tempo abitante nella casa del Marmitta (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 540). Il 20 dicembre 1502 Pietro Toculi, figlio di Andrea, cittadino e abitante di Parma nella vicinia di San Siro, sindaco e procuratore del capitolo, del convento femminile e del monastero di Sant’Odorico della città di Parma, dichiarò di ricevere dal Marmitta 100 lire imperiali per conto di suor Orsolina Centoni.Si tratta di 100 lire legate a Orsolina da sua madre, la defunta Antonia Marmitta, vedova di Francesco Centoni e sorella del Marmitta (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 540). Al 24 dicembre 1502 data la costituzione da parte di Innocenzo di Beccarino Canossa di una dote di 1600 lire imperiali alla figlia Isabella, quale futura moglie del Marmitta: Anno millesimo quingentesimo secundo indictione quinta di vigesimo quarto mensis decembris.Nobillis vir dominus Inocentius de Canosia filius quondam domini Bacharini civis et habitator civitatis Parme et in vicinia Sancte Trinitatis sponteper se solemniter et legitpime promissit et concessit nobilli viro domino Francisco de Maremittis filio quondam domini Marci civi et habitatori civitatis Parme et in vicinia Sancti Pauli pro burgo plazolle ibi presenti pro se ac etiam nomine spectabilis nobillis et honeste domine Isabele da Canosia filie ipsius domini Innocentii et uxoris ipsi Francesco promisse et eius herendum et cui jus vel casus dedit vel dabit, dicte supra domine Isabelle licet absentis et mihi notario dare solvere numerare et exbursare realiter et com effectu predicto Francisco zenero ipsius domini Inocentii aut heredibus et successoribus libras mille sex centum imperiales nomine et ex causa doctis eiusdem domine Isabelle uxoris omnis promisse predicto Francisco (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G. Leoni, f. 109). Il 3 febbraio 1503 fu fatto un deposito di 50 lire imperiali presso il Marmitta dal cremonese Gisello Maltraneroso, fuoriuscito a Parma, per conto di Raffaele Avogadri presso il quale erano a loro volta state depositate da agenti degli eredi della defunta Dialta Lambertini di Bologna.Questo affinché fossero date a una Clara, già ancella di Dialta, cui quest’ultima le aveva legate in auxilio eam maritandi (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 541).Il 14 marzo 1503 il venerabile don Mattia Ariani, figlio del fu Tommasino, cittadino e presbitero parmense della vicinia di San Salvatore, rettore del beneficio di San Cristoforo fondato nella chiesa parmense di San Giovanni Evangelista, ricevette dal Marmitta, figlio del fu Marco della vicinia di San Paolo dalla parte del borgo della Piazzola, in quanto erede del fratello, il defunto Lodovico, già rettore del detto beneficio e predecessore di Mattia, 22 lire di resto della cifra che aveva pagato per subentrare nel possesso del beneficio (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, P.A. Zarotti, f. 426). Il 29 aprile 1503 il Marmitta testimoniò insieme al fratello Niccolò a un atto degli egregi cittadini parmensi Giovanni Azzoni e Ippolito Tagliaferri: Actum Parme in domo habitationis predicti magistri Lazari de Cassola sita in vicinia Sancti Odorici.Presentibus ibidem egregiis viris domino Nicolao et domino Francisco fratribus de Marmittis filliis quondam domini Marci civibus parmensibus vicinie Sancti Pauli pro burgo plazole (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.B. Bistocchi, f. 528). Il 10 luglio 1503 fu rilasciata quietanza da Clara Marmitta, figlia del fu Marco della vicinia della Santa Trinità, al Marmitta, erede universale della defunta loro sorella Antonia, vedova di Francesco Centoni, per 100 lire imperiali legate a Clara da Antonia nel suo ultimo testamento (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 541). Il 1° ottobre 1503 nacque a Parma il primogenito del Marmitta, Lodovico.Anch’egli pittore, come risulta da documento del 13 febbraio 1526, e intagliatore di cristalli e gemme antiche, come racconta il Vasari, ricorda nel nome lo zio paterno don Lodovico, morto appena l’anno prima: Ludovichus Maria Remigius filius Francisci de Marmittis et nascitur primo et baptizatur tertio octobris.Compares Provistus de la Sale et Ioneus de Miteto et Johannes Franciscus de Bonzagnis et Eugenia deColla et Helisabeta de Balduinis (Archivio di Stato di Parma, Registri del Battistero di Parma, microfilm, II, c. 270v). Provvisto dal Sale era un gioielliere, il Bonzagni un noto incisore di medaglie.Il 16 aprile 1504 Giovanni Antonio del Monte, cittadino parmense della vicinia di San Giovanni dalla parte del borgo di Mezzo, fu procuratore del Marmitta, erede universale del defunto don Lodovico Marmitta, in una complessa vertenza riguardante un beneficio ecclesiastico già tenuto dal fratello.La controparte fu rappresentata da Scipione dalla Rosa e dal fratello Giovanni Francesco, di cui Scipione fu procuratore. Arbitro fu il dottore in legge Gaspare Tagliaferri (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, P.A. Zarotti, f. 426). Il 9 maggio 1504 avvenne il pagamento da parte di Innocenzo di Baccarino Canossa della dote della figlia Isabella al Marmitta, suo marito da quasi un anno e mezzo: Anno millesimo quingentesimo quarto indictione septima dei nono mensis maii.Nobilis vir Franciscus (nec non Nicolaus frater) de Marmitis filius quondam domini Marci civis et habitator civitatis Parme et in vicinia Sancti Pauli pro burgo plazolle, sponte et exacta animi sui scientia et non per erorem juris vel facti ut ipse dicit et professatus fuit per se suosque heredes et successores fuit confessus et in concordia cum provido viro magistro Innocentio de Canosia filio quondam domini Bacarini habitatore civitatis Parme in vicinia Sancte Trinitatis ibi presente ac dante et solvente in doctem pro docte et etiam nomine et causa doctis honeste domine Isabele filie ipsius Inocentii et uxoris predicti Francisci et cognate predicti Nicolay se ab eo dante et solvente habuisse et recepisse libras mille sex centum imperiales. Tra i testimoni, vi furono il gioielliere Provvisto dal Sale e Cesare Zaboli (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, L. Banzola, f. 375). Con la somma appena ricevuta dal suocero quale dote della moglie Isabella Canossa, il Marmitta, insieme al fratello Niccolò, comprò dall’egregio Giovanni Marco Parmenghi, figlio del fu Giovanni, cittadino e abitante di Parma nella vicinia di San Mazzolino, petias terrarum cum domo et aliis hedificis super eis constructis et hedifacatis. Poiché però la dote di Isabella Canossa ammontava a 1600 lire imperiali e il valore delle terre del Parmenghi era di 2000 lire, si rese necessario un fideiussore che anticipasse 400 lire e fungesse da garante del futuro pagamento della cifra da parte dei due Marmitta.Tale persona fu Cesare Zaboli (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 542). Al 23 maggio 1504 data la ricevuta rilasciata da Margherita Marmitta, figlia del fu Marco e moglie di maestro Carlo Fagia detto dei Clarini, al Marmitta di 100 lire imperiali legate aMargherita dalla defunta loro sorella Antonia, e che il Marmitta, in quanto erede universale di quest’ultima, mediante temen pacto quondam domini Ludovici de Marmittis, doveva a Margherita (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 542). Il 4 giugno 1504 Antonio Terzi, figlio del fu Lanzaloto, cittadino e abitante di Parma nella vicinia di Sant’Imerio, in quanto vedovo di Clara un tempo ancella della defunta donna Dialta Lambertini di Bologna, moglie del fu magnifico Lodovico Valerio, ricevette dal Marmitta, presso cui erano state depositate, 50 lire imperiali che Dialta Lambertini aveva legato nel suo ultimo testamento a Clara in occaxione maritandi (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 542). Il 6 giugno 1504 il Marmitta, in quanto erede universale del fratello Lodovico, restituì tramite Giovanni Antonio del Monte terre proventi dei benefici una volta retti dal fratello sacerdote (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, P.A. Zarotti, f. 426). Il 25 ottobre 1504 nacque a Parma il secondogenito del Marmitta, Jacopo, celebre poeta e letterato nella Roma di Filippo Neri: Jacobus filius Francisci de Marmitis nascitur vigintesimo quinto et baptizatur 27 octobris.Compares spectabilis dominus Antonius de Berneriis et Helisabeta de Balduinis (Archivio di Stato di Parma, Registri del Battistero di Parma, microfilm, II, c. 286v). Alla data del 2 giugno 1505 il Marmitta risulta già morto.Lo si desume del testamento del fratello, Niccolò, sano di mente e intelletto ma corpore languens, in cui istituì suoi eredi universali Lodovico Maria e Jacopo, figli del defunto fratello (Archivio di Stato di Parma, Archivio Notarile, G.A. Del Monte, f. 542).
FONTI E BIBL.: G.Vasari, Vite, a cura di G.Milanesi, volume V, Firenze, 1880; P.D’Ancona, Di alcuni codici miniati conservati nelle biblioteche tedesche e austriache, in L’Arte 1907; P.Toesca, Monumenti e studi per la storia della miniatura italiana.La collezione di Ulrico Hoepli, Milano, 1930; R.Longhi, Officina ferrarese, Roma, 1934; P. Toesca, Di un miniatore e pittore emiliano: Francesco Marmitta, in L’Arte 1948; P.Pouncey, Drawings by Francesco Marmitta, in Proporzioni 1950, 111-113; A.Pettorelli, La miniatura a Parma nel Rinascimento: Gian Francesco Maineri-Francesco Marmitta, in Parma per l’Arte 1952; M.Salmi, La miniatura italiana, Milano, 1955; M.Salmi, Pittura e miniatura a Ferrara nel primo Rinascimento, Milano, 1961; M.Levi D’Ancona, Un libro d’ore di Francesco Marmitta da Parma e Martino da Modena al Museo Correr, in Bollettino dei Musei Civici Veneziani 1967; Lopez, 46 e 69; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 238; A.Venturi, Museo Civico di Torino.Alcune miniature, in Le gallerie nazionali italiane, Roma, 1897; P.D’Ancona, La miniature italienne, Parigi-Bruxelles, 1925; L.Baer, in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, vol.XXIV, Lipsia, 1930; R.Longhi, Officina ferrarese, Firenze, 1956; A.Puerari, Boccaccino, Milano, 1957; Dizionario UTET, VIII, 1958, 362; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 219 e 221; Dizionario pittura e pittori, III, 1992, 515; P.P.Medogni, in Gazzetta di Parma 1 dicembre 1995, 5; A.De Marchi, in Gazzetta di Parma 1 dicembre 1995, 5; P.Coghi, in Gazzetta di Parma 4 dicembre 1995, 5; A.Bocchi-A.De Marchi, Francesco Marmitta, Torino, 1996.
MARMITTA GELIO BERNADINO
Parma 1461 c.-Milano 1513 c.
Figlio di Marco.Nel 1486 fu eletto per un anno pubblico lettore di Umanità dalla Comunità di Parma con salario di cento lire imperiali.Nel 1488 fece parte del Consiglio comunitativo che eresse il Monte di Pietà.Nel 1489 fece parte della Squadra correggesca.Poco dopo si portò in Francia, dove fu al servizio del gran cancelliere Guglielmo di Roccaforte, al quale nel 1491 dedicò il suo Comento sopra le Tragedie di Seneca (ristampato nel 1492, 1501 e 1522). Nel 1497 il Marmitta fu in Avignone, dove dedicò al vicelegato pontificio Clemente della Rovere alcune opere di Luciano e altre cose pubblicate per sua cura.Fece ritorno a Milano nel 1507, dove sposò Polissena da Landriano, dalla quale ebbe tre figli.Fece testamento nel 1513.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1791, III, 23-24; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 237; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani VI/2, 1827, 327-328.
MARMITTA GIACOPO, vedi MARMITTA JACOPO
MARMITTA GIROLAMO
Parma 1436 c.-
Figlio di Marco.Nell’anno 1494 fu Anziano di Parma al momento della pubblicazione dello Statuto della Città.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 98.
MARMITTA IACOBO o IACOPO o JACOMO, vedi MARMITTA JACOPO
MARMITTA JACOPO
Parma 25ottobre 1504-Roma 28 dicembre 1561
Figlio di Francesco, di famiglia molto onorata e civile, fu tenuto al battesimo da Antonio Bernieri. Ebbe una buona educazione letteraria, avviandosi quindi alla vita cortigiana. Ottenne servizio presso il cardinale Giovanni Riccio di Montepulciano e in Venezia ebbe l’amicizia dei più dotti intellettuali, quali Domenico Veniero, Lodovico Dolce e Federico Badoaro, che costituirono una Accademia, detta dei Cortesi e poi degli Accesi. Fece nel 1537-1538 un viaggio disastroso in Spagna e per due anni ne risentì nella salute: solo nel 1540 cominciò a ristabilirsi.Nel 1545 fu in Roma col fratello Lodovico Maria, da dove poi tornò a Parma.Gli fu attribuito il poema La guerra di Parma, che è opera invece di Giuseppe Leggiadri Gallani. Al seguito del Riccio, fu nel 1538 ancora a Venezia, dove già aveva dimorato, e dove intrecciò amicizie e relazioni, che poi mantenne per via epistolare, con letterati e artisti, quali il Bembo, l’Aretino, Bernardo Cappello e Ludovico Dolce.Dalla città lagunare si trasferì, sempre al seguito del cardinale, a Roma, dove frequentò Alessandro Farnese, fratello di Ottavio e gran mecenate.La carica di segretario del Riccio portò il Marmitta in diverse località per missioni diplomatiche, tra cui una per comporre la vertenza di Castro.Lungo e importante fu poi il viaggio in Portogallo, alla cui Corte il Riccio fu nominato nunzio pontificio.Così, dal 1544 al 1559 il Marmitta dimorò in Lusitania, venendo a contatto con la cultura locale (la conoscenza della lirica gongorina affiora in alcune sue opere).Tornato a Roma, nel conclave del 1559 ebbe l’onore, quale segretario del cardinale Riccio, di essere tra coloro che concorsero all’elezione di Pio IV, che lo compensò creandolo cavaliere palatino e ornandolo di privilegi. A Roma, sotto l’influsso di Filippo Neri, cangiò la sua vita di buona in migliore e abbandonò le cose terrene, compreso il mestiere di segretario che l’obbligava a scrivere lettere piene di parole oziose, cerimonie e adulazioni.Bernardo Tasso nell’Amadigi (c.100) cantò la trasformazione operatasi nel Marmitta: E il Marmitta gentil, che a Dio rivolto da le cure del Mondo è in tutto sciolto. IlMarmitta frequentò le congregazioni tenute da Filippo Neri nella chiesa di San Girolamo della Carità e ne divenne figlio spirituale. Ne risentì la sua produzione poetica, che, da amorosa e pastorale, si trasformò in spirituale e religiosa.Nell’edizione, uscita postuma nel 1564 per le cure del figlio adottivo Ludovico Spaggi Marmitta, le poesie sono appunto divise in due sezioni: la prima a contenuto mondano, la seconda con un’impronta fortemente devota.Per quanto riguarda l’aspetto stilistico, il Marmitta si rivela attento elaboratore dei canoni bembeschi, da lui interpretati con sentita aderenza al dettato più intimo e genuino della lezione petrarchesca e con un occhio di riguardo ai modelli classici, primo tra tutti Virgilio. Rimatore di innata grazia, più ancora che dell’austera poetica bembiana (che per certo lasciò in lui delle innegabili tracce) il Marmitta pare sentire l’influsso della poesia per musica e danza e degli esempi migliori della stessa tradizione quattrocentesca.Il componimento più noto del suo canzoniere, la canzone Ecco il fiorito aprile, che ilLeopardi accolse nella sua Crestomazia poetica, è la prova di come sappia rendere delicato e sappia rinfrescare, attraverso una sensibile musicalità, un motivo sotto molti aspetti così adusato.Una delle più squisite canzoncine del XVI secolo, la giudicò l’Affò, poiché vi si trova per entro un candore, una rara e tutta greca semplicità di concetti e di stile, che a noi paiono un incanto. Morì tra le braccia di Filippo Neri, a soli 57 anni.Fu sepolto nella chiesa di San Girolamo presso il palazzo Farnese, in Roma, con questa iscrizione: Iacobo Marmittae civi parmensi poeticis stvdiis et pietate insigni morvm svavitate modestia religioneqve omnibvs prvdentia fide et amore Ioanni Riccio cardinali Montis Politiani caro patronvs et svi fac. cvrar. vixit ann. LVII mens. II. Obiit sal. an. MDLXI qvinto kal. ianvarii. Molti letterati lo onorarono e lo ebbero amico: oltre ai già citati, Vittoria Colonna, Girolamo Rossi, il Guidiccioni, Giovanni Della Casa, Annibal Caro, Guglielmo Sirleto, Ottavio Pantagato, Basilio Zanchi, Paolo Manuzio e Giulio Poggiano.I suoi versi compaiono in molte raccolte, come in quella dell’Atanagi, nel Tempio di Giovanna d’Aragona, nelle Rime per L.Colonna, nel tomo II delle Rime raccolte dal Giolito (1558), nella Scelta di Rime di Girolamo Ruscelli (1573), nelle Rime di diversi del Domenichini, in quella Per la morte di Ippolita Gonzaga e in moltissime altre. Anche Pomponio Torelli lo esaltò tra i più eccellenti poeti parmigiani.Del Marmitta rimangono un volume di Rime (Parma, 1564) e uno di Lettere.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 61-68; Ponchiroli, Lirici del Cinquecento, 1957; Aurea Parma 2/3 1957, 106, e 2 1959, 106-107; F.Rizzi, Tra i lirici parmensi del Cinquecento, in Aurea Parma V 1921; C.Pariset, Un buon lirico parmigiano del Cinquecento, in Aurea Parma XXII 1938, 121 sgg.; Dizionario Enciclopedico Letteratura Italiana, 3, 1967, 520; M.Cucchi, Dizionario Poesia, 1983, 207; Storia Civiltà Letteraria, 1993, II, 428-429; Malacoda 62 1995, 29-30.
MARMITTA LELIO BERNARDINO, vedi MARMITTA GELLIO BERNARDINO
MARMITTA LUIGI, vedi MARMITTA LODOVICO MARIA
MARMITTA LODOVICO MARIA REMIGIO
Parma 1 ottobre 1503-1545
Figlio del miniatore Francesco.Fu allievo, secondo il Malvasia, di F.Francia e forse anche di Lorenzo Costa a Bologna e di Alessandro Araldi.In Parma gli è attribuita una Annunciazione con i santi Sebastiano e Caterina (Parma, Pinacoteca Nazionale; quest’opera è però molto più frequentemente assegnata ad A. Araldi) e un affresco rappresentante la Madonna col Bambino sulla facciata del convento di Santa Cristina (perduto).Molto dubbia è pure, data la difficoltà di una ricostruzione stilistica della sua personalità, l’attribuzione di un San Bruno (Londra, National Gallery). Dipinse anche in Duomo e nelle chiese di San Barnaba, Sant’Alessandro e San Bartolomeo (opere scomparse). Oltre che pittore fu anche intagliatore di pietre dure.Da fonti documentarie risulta che nel 1526 dipinse nelPalazzo Vecchio di Parma una Madonna fra i santi Ilario e Luca (perduta).Nel 1545, insieme al fratello Jacopo, fu a Roma, dove, secondo il Vasari, si trattenne molto tempo presso il cardinale Giovanni Salviati lavorando a intagli e a medaglie, contraffatte con abilità dall’antico.Sono ricordati con particolare lode quattro ovali intagliati nel cristallo che decoravano una cassettina d’argento donata a Eleonora de’ Medici e un cammeo con una testa di Socrate.
FONTI E BIBL.: A.P.Giulianelli, Memorie degli intagliatori, 1753, 11 e 42; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, vol.XXIII, 1929, 313 e XXIV, 1930; A.O. Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939; C.Gould, National Gallery catalogue, Londra, 1962; M.Levi d’Ancona, Un libro d’ore di Francesco Marmitta e Martino da Modena al Museo Correr, parte II, in Bollettino dei Musei Civici Veneziani 1967; S.Ticozzi, Dizionario degli architetti, III, 1832, 101; U.Benassi, Storia di Parma, V, 1906, 342; I. Affò, Il Parmigiano servitore di Piazza, Parma, 1794, 115; A. Venturi, Storia, Milano, 1915, VII, 3; A.O. Quintavalle, in Emporium giugno 1935; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1429; N.Clerici Bagozzi, in Dizionario Bolaffi pittori, VI, 1974, 462; A.Pettorelli, La miniatura a Parma nel Rinascimento: Gian Francesco Maineri - Francesco Marmitta, in Parma per l’Arte 1952; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 221; C.G. Malvasia, Felsina pittrice, ed.1841, I, 56; P.Orlandi, 1704, 263; L.Lanzi, Storia pittorica, 1834, IV, 55 e VI, 127; Crowe & Cavalcaselle, Hist. of Paint., 1912, II, 302; P.Donati, Nuova descrizione di Parma, Parma, 1824, 170; P.Martini, Guida di Parma, 1871, 43; M.Lopez, Il Battistero di Parma, Parma, 1865; E.Scarabelli-Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol.III, c.325; C.Ricci,La Regia Galleria di Parma, 1896; Siret Adelphi, Dictionnaire historique, 1848, 357; N.Pelicelli, Guida di Parma, 1910; Catalogo della National Gallery di Londra, 1925; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 354.
MARMITTI, vedi MARMITTA
MAROCCHI ARNALDO
San PancrazioParmense 27 agosto 1906-Parma 29 giugno 1983
Frequentò gli studi nel Seminario diParma e fu ordinato presbitero il 29 giugno 1929.Conseguì la licenza in Teologia presso il Collegio Teologico di Parma nel 1931.Nel luglio 1929, subito dopo l’ordinazione presbiterale, entrò nella Curia vescovile in qualità di addetto alla Cancelleria e poi come vice-cancelliere.Il 28 giugno 1931 fu promosso Cancelliere e ricoprì tale incarico fino al 1° novembre 1968, quando ricevette la nomina ad Archivista.Il vescovo Evasio Colli, dopo il suo ingresso a Parma, scelse il Marocchi come suo segretario particolare, nell’ottobre 1932, mantenendogli il suo incarico in Curia, e gli conservò tale fiducia fino alla morte.Oltre al servizio nella Curia vescovile e quello di segretario del Colli, il Marocchi ricoprì, contemporaneamente, numerosi altri incarichi: viceassistente diocesano della Gioventù Maschile di Azione Cattolica (1929-1935), assistente diocesano dell’Unione Donne di Azione Cattolica (1930-1961), canonico della Collegiata di San Secondo (1930-1932), consorziale della Basilica Cattedrale e dogmano del Battistero (1931-1962), rettore di Santa Lucia (1932-1962, durante il suo servizio fu istituita l’adorazione perpetua), delegato vescovile per l’Apostolato dei Laici (1939-1967), consulente ecclesiastico del CIF, dell’UCAI, dell’UCID e assistente ecclesiastico dei Convegni Maria Cristina e prefetto della chiesa Magistrale della Steccata (1967).Il Marocchi ricevette anche numerosi riconoscimenti: canonico onorario della Basilica Cattedrale (1941), prelato domestico di Sua Santità (1952) e Protonotario Apostolico Soprannumerario ad instar partecipantium (1967).Durante la seconda guerra mondiale intervenne ripetutamente presso il comando germanico per alleviare sofferenze e per evitare tragedie: la sua importante opera mediatrice significò la salvezza per molti civili, anche esponenti della resistenza e del clero, minacciati o imprigionati dai Tedeschi in varie parti della provincia.I suoi interventi furono improntati a tale umanità che i rapporti tra lui e l’aiutante maggiore Albert Junker, trascorsi i momenti bui della guerra, si tradussero in una cordiale e sincera amicizia.Di animo sensibilissimo, fu attento alle manifestazioni culturali di ogni genere e affezionato socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria.Cultore di storia patria e ricercatore puntiglioso, preferì leggere, studiare e conoscere, più che scrivere: infatti sono relativamente pochi i saggi da lui lasciati.Tra essi: L’intervento del Vescovo MonsignorColli per la liberazione dei suoi sacerdoti (1972), La Diocesi di Parma suffraganea di Ravenna (Centro Studi e ricerche sull’antica Provincia Ecclesiastica Ravennate, 1976), Note sulla liberazione di Parma (Aurea Parma 1945), Il Vescovo MonsignorCantimorri nel centenario della scomparsa (Vita Nuova 1° agosto 1970), Il Priorato di Fontanellato (Archivio Storico per le Province Parmensi 1971), Le parrocchie di Parma all’epoca Napoleonica (Archivio Storico per le Province Parmensi 1975) e MonsignorColli e Parma (Pont ad Mez 1971).Inoltre collaborò al catalogo della Mostra documentaria e bibliografica tenuta a Parma per la commemorazione del 9° centenario della morte di San Pier Damiani (1972) e all’opera Santa Maria della Steccata a Parma.
FONTI E BIBL.: E.Dall’Olio, Arnaldo Marocchi, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1983, 47-50; A.Marocchi, Monsignor Evasio Colli, 1987, 7-8.
MAROLI GABRIELE
Parma seconda metà del XVsecolo
Orefice attivo nella seconda metà del XVsecolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 240.
MARONI GIUSEPPE, vedi MORONI GIUSEPPE
MAROTTA FERDINANDO
Parma 23 gennaio 1887-Monte Santo 12 agosto 1916
Figlio di Tommaso e Amelia Serventi.Capitano nel 97° Reggimento Fanteria, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Dava bella prova di coraggio e sprezzo del pericolo nel condurre la compagnia all’assalto, conquistando forti posizioni nemiche.Dirigeva poi con calma ed ardimento la difesa della posizione contro reiterati attacchi nemici.Cadde colpito a morte sul campo.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 153; Decorati al valore, 1964, 92.
MARRANO o MARRHANO, vedi MARANO
MARRI ANTONIO
Busseto-1451
Appartenne a famiglia notabile di Busseto.Fu Canonico della Cattedrale di Cremona e successivamente della Collegiata di Busseto.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256.
MARRI BARTOLOMEO
Busseto 1535
Fu fatto cittadino cremonese.Fu Podestà di Monticelli d’Ongina nell’anno 1535.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256.
MARRI GABRIELE
Busseto-1468
Fu Canonico della Cattedrale di Cremona e successivamente della Collegiata di Busseto.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256.
MARRI GIOVANNI ANDREA
Busseto 1496
Fu medico stimato.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256.
MARRI MATTEO
Busseto-1527
Fu giureconsulto e capitano di giustizia.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256.
MAROCCHI ANTON MARIO
Parma XVI secolo
Scrisse in latino una descrizione di Parma.
FONTI E BIBL.: G.Pighini, Storia di Parma, 1965, 108.
MARTANI ANTONIO
Colorno 7 ottobre 1799-11 agosto 1841
Sposò nel 1833 Catterina Grisendi, dalla quale ebbe un figlio.Fu in servizio alla Corte di Maria Luigia d’Austria dal 1836 come garzone di cucina e dal 1840 come sottoaiutante di cucina.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 312.
MARTELLI DECIMO
Castione de’ Baratti 14 febbraio 1918-Parma 8 febbraio 1993
Ultimo di dieci fratelli, nacque da Antonio, operaio di fornace, e da Filomena. Alla fine degli anni Venti la famiglia, per motivi di lavoro, si trasferì a Basilicanova.Dopo le scuole elementari, fece di tutto per farsi iscrivere all’istituto d’arte Paolo Toschi di Parma, dove ebbe modo di affinare la sua naturale predisposizione per la tecnica dell’acquerello. Infatti il Martelli seguì in particolare i corsi di Aldo Raimondi, uno dei più grandi specialisti italiani nella tecnica dell’acquerello: da lui imparò a stendere il colore con ricchezza di toni e notevole atmosfera. All’esplodere della seconda guerra mondiale il Martelli fu inviato in Grecia e poi in Albania.Dal fronte tornò in patria nel 1943 (passò alcuni mesi in ospedale, evitando la deportazione in Germania dopo l’8 settembre).Tornato a Montechiarugolo nel maggio del 1945, si iscrisse al Partito Comunista Italiano.Dopo alcuni anni di militanza nelle file del sindacato, ilMartelli iniziò la carriera nella federazione di Parma del Partito Comunista Italiano, di cui fu nominato segretario nel 1960 (carica che mantenne per otto anni). Nello stesso periodo venne eletto consigliere provinciale e comunale.In quegli anni il Martelli affittò alcune stanze della residenza Costoncelli ai margini dell’abitato di Castione.Il Martelli ebbe così modo di reimmergersi in quelle atmosfere di nostalgia e di contemplazione della natura che lo riportarono a riprendere in mano con assiduità pennelli e colori.Nel 1968 il Martelli venne eletto deputato al Parlamento (fu rieletto anche nella successiva legislatura). Frequentò artisti come Guttuso, Treccani, Angeli, Vacchi, Manzù e Turchiaro, oltre a diversi critici, e tutti lo incoraggiarono a uscire allo scoperto con i suoi acquerelli e a cimentarsi col pubblico e la critica. Tenne infatti mostre personali a Roma (galleria La Cassapanca, 1973, presentazione di Antonello Trombadori), Firenze (galleria Menghelli, 1974, testi di Ugo Moretti e Antonello Trombadori), Santa Croce sull’Arno (saletta Cristiano Banti, 1974, testi di Antonello Trombadori e Ugo Moretti), Sesto San Giovanni (galleria Germi, 1975, presentazione di Davide Lajolo), Parma (galleria Niccoli, 1976, testi di Ugo Moretti, Davide Lajolo e Antonello Trombadori), Brescia (galleria A.A.B., 1979, presentazione di Guido Stella), Salsomaggiore Terme (salone delle mostre del Grand Hotel Milano, 1979, presentazione di Guido Stella), Parma (galleria Niccoli, 1981, presentazione di Roberto Tassi), Reggio Emilia (palazzo del Capitano del popolo, 1981, presentazione di Roberto Tassi), Parma (galleria Rossi, 1984, testo di Roberto Tassi), Idea paesaggio, acquarelli 1968-1988, a Montecchio Emilia (Castello della Rocca, 1988, con testi di Gianni Cavazzini, Antonello Trombadori, Ugo Moretti, Davide Lajolo, Guido Stella, Roberto Tassi e Glauco Pellegrini).Il Martelli partecipò a varie manifestazioni artistiche, tra le quali quelle dell’Associazione Parmense Artisti (della quale fu consigliere), la Rassegna internazionale del paesaggio a San Marino (1977, premiato con la medaglia d’oro della Legazione del Governo italiano), Acquarelli in Italia oggi (1978, al Teatro Municipale di Reggio Emilia, presentazione di Pier Carlo Santini), Bettona richiama (1983, a Bettona, presentazione di Glauco Pellegrini). La pittura restò per molti anni la seconda attività del Martelli, che ricoprì anche importanti incarichi pubblici in sede locale: dal 1976 al 1980 fu presidente degli Ospedali riuniti, poi fino al 1989 del Consorzio provinciale trasporti.Venne anche chiamato, a cominciare dai primi anni Ottanta, a ricoprire il ruolo di capogruppo consigliare del Partito Comunista Italiano a Traversetolo.
FONTI E BIBL.: È morto Martelli ex deputato del PC, in Gazzetta di Parma 9 febbraio 1993, 8; T.Marcheselli, Martelli: poesia padana dell’acquerello, in Gazzetta di Parma 10 febbraio 1993, 12; M.Reggiani, Omaggio ad un figlio delle dolci colline, in Gazzetta di Parma 7 maggio 1995, 28; F. e T.Marcheselli, Martelli Decimo (1918-1993), in Dizionario dei Parmigiani, 1997, 196-197.
MARTELLINI CARLO
Monchio 6 marzo 1777-Parma 23 febbraio 1855
Frate cappuccino laico, che provava le sue delizie nell’assistere alla Santa Messa e nel visitare il Santissimo Sacramento.Compì a Piacenza la vestizione (25 novembre 1820) e la professione solenne (1 dicembre 1821).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 147.
MARTEN, vedi SANDRINI EVASIO
MARTIGNONI EMILIO
San Martino di Guastalla 23 settembre 1842-Sorbolo 11 gennaio 1926
Figlio di Vincenzo e Anna Mori.Il 17 dicembre 1881 prese residenza nel Comune di Sorbolo, in un primo tempo a Coenzo, quindi a Casaltone e a Sorbolo.Garibaldino, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare.Fu poi guardia campestre del Comune di Sorbolo.Fruì di una pensione militare (comunicazione dell’Intendenza di Finanza di Parma del 17 aprile 1882).
FONTI E BIBL.: M.Clivio, Dal Risorgimento nazionale alle conquiste sociali, 1984, 66.
MARTINATI, vedi MARTINAZZI
MARTINAZZI ANTONIO
Parma 1458 c.-post 1484
Libraio, ricordato nel rogito del notaio Melchiorre Strinati in data 28 agosto 1484, mediante il quale il Martinazzi, detto degli Spada, figlio di altro Antonio, cittadino e abitante di Parma, vendette a Pietro Barbieri, alias de Ferrarini, e ad Andrea Quinzani, al prezzo di 90 lire imperiali, gli utensili, gli oggetti e i libri della sua bottega da cartaro.L’elenco di questi ultimi non comprende che ventuno numeri, diversi dei quali rappresentano opere uguali, forse duplicate per la distinzione che vi è fatta di libri non legati e libri legati e miniati. Per quanto questo inventario sia uno dei più antichi, l’identificazione delle opere non può sempre ritenersi sicura, avendosi per alcune solo il nome dell’autore o solo quello dell’opera ed essendo già numerose nell’anno 1484 le edizioni di non pochi dei libri indicati.Comprende principalmente classici latini e libri scolastici, come comportavano i tempi e l’utile di una modesta bottega da cartaro.
FONTI E BIBL.: A.Del Prato, Librai e biblioteche, 1904, 7.
MARTINAZZI GASPARE
Parma 1481 c.-
Figlio di Antonio e di Bianca Quintrello, detto della Spada.Libraio ricordato in due rogiti del notaio Girolamo Borra, datati entrambi 22 settembre 1497, coi quali, assieme al fratello Simone e col consenso della madre, concesse in affitto a Tedheria Cortesi, vedova di Lazzaro Quinzani, una bottega posta sulla piazza maggiore di Parma livellaria del Comune.In seguito Bianca Quintrello vendette alla stessa tutti i libri, carte e utensili della bottega per duecento lire imperiali, sette denari e tredici soldi.L’inventario dei libri enumera 165 opere stampate, molto varie per la natura della materia che riguardano: prevalgono i libri scolastici e i classici latini, vi sono poi libri legali, libri religiosi e romanzi cavallereschi, tutti in vari e numerosi esemplari.
FONTI E BIBL.: A.Del Prato, Librai e biblioteche, 1904, 7.
MARTINAZZI GIOVANNI
Noceto 19 novembre 1864-
Studiò il contrabbasso, diplomandosi nel giugno 1885.Fece una buona carriera quale professore d’orchestra.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 79.
MARTINAZZI INNOCENZO
Parma 1545
Forse figlio di Simone e discendente di Giovanni, detto de Spadis, documentato nel 1486.Il Martinazzi fu collaboratore di Cesare Baglione e risulta attivo nell’anno 1545.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XVII, 1823, 346; E.Scarabelli-Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol.III, c.370; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 367.
MARTINAZZI SIMONE
Parma 1482-Parma 1546
Figlio di Antonio e di Bianca Quintrello. In un atto notarile del 2 agosto 1508 è ricordato come nobile giovane, in uno del 5 maggio risulta già sposato e in un altro del 22 marzo, sempre dello stesso anno, è registrata la nascita della prima figlia, Maria Bianca, che fu seguita nel 1509 da Barbara e nel 1511 da Jacopo.Dal primo documento citato risulta che il nome del casato era Martinazzi alias de Spatis, in seguito il soprannome prese il sopravvento sul cognome: il Martinazzi stesso firmò Simonis Spadii Opus la pala con la Madonna in trono col Bambino fra i Santi Rocco e Apollonia, datata 1504, già nella collegiata di San Pietro a Parma, poi nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino. Al ristretto catalogo del Martinazzi, che si mosse nell’ambito stilistico del Perugino e del Francia, con accentuazioni pietistiche parallele a Gian Francesco Maineri, sono da aggiungere i due pannelli con i Santi Rocco e Sebastiano, datati 1517, della collezione Baldi, già Vendeghini a Ferrara, parti di un polittico smembrato, e la pala con la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Giovanni Battista, nella chiesa della Steccata di Parma, stilisticamente più tarda (forse del 1520, anche se L.Testi propone la data 1539, anno di consacrazione della chiesa).Secondo il Bertoluzzi l’unica sua tavola si conservava nella chiesa di San Pietro fino agli inizi del XIX secolo, opera che, con un’altra del Caselli raffigurante la Vergine in trono con il Bambino, San Luca, San Giovanni Battista e tre angeli che suonano vari strumenti, fu venduta all’estero. T.Gasparotti, in Postille alla guida del Bertoluzzi, definisce il dipinto descritto dal Bertoluzzi non gran cosa e colorito a tempera. Secondo A. Venturi, il Martinazzi si trovò probabilmente allo studio di Francesco Francia poco dopo il 1500.Infatti nella pala che raffigura la Madonna in trono col Bambino e i Santi Rocco e Apollonia, le somiglianze col probabile maestro sono variamente rilevabili.Così, il San Rocco è memore dello stesso santo dipinto dal Francia nel 1502 e l’attitudine supplichevole di esso è analoga a quella del Battista rappresentato dal maestro (nella Pinacoteca di Bologna).Inoltre, dietro il gruppo della Vergine col figlio si spiega la tenda come nelle ancone Scappi, Manzuoli e Bentivoglio del Francia stesso.Il piccolo Gesù tiene la sinistra sopra un’anca e protende la destra verso l’adoratore, mentre la Madre, col capo lievemente chino, guarda obliquamente tenendo una mano sul petto del Bimbo e ne tocca una coscia con l’altra, così come avviene appunto nella pala del Francia agli Uffizi.Ma, nell’opera berlinese, il Martinazzi doveva essere fresco di studi e sembra ripetere disegni tratti dalle opere del presunto maestro, pur cadendo a gonfiar le gote della Madonna e di Apollonia e a costruir tutto in modo meno saldo, a pitturare in modo meno vivo.Più tardi, perduta la freschezza degli insegnamenti del Francia, il Martinazzi si palesa anche più debole e più vuoto nell’altra pala, dipinta per la Steccata di Parma.Solo nelle figure della Vergine col Figlio che benedice ritto sulle sue ginocchia può ritrovarsi una reminiscenza dell’educazione bolognese, ma nei santi, specialmente nel chiomato e ricciuto Battista, e nei putti musicanti ai piedi del trono, si nota che il pittore si era arreso a forme venute da Venezia a Parma col Temperello (A.Venturi). Dai pochi dipinti noti si intravede una cultura tutta impostata sulla tradizione umbra di Perugino e Raffaello, reinterpretata in Emilia dal Francia e da Lorenzo Costa e assorbita, a Parma, anche dall’Araldi. Secondo lo Janelli, fu maestro di Filippo, Pier Ilario e Michele Mazzola.
FONTI E BIBL.: Lopez, 74, e note 221 e 222; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 427; N.Pelicelli, Guida di Parma, Parma, 1906; A. Venturi, Storia, Milano, 1914, VII, 3; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1573; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, vol.XXXI, 1937; A. Mezzetti, Opere d’arte restaurate a Ferrara, catalogo della mostra, Ferrara, 1964; Dizionario Bolaffi pittori, X, 1975, 320; Ravazzoni, Notizie di artisti parmigiani, ms.1599, presso la Biblioteca Palatina di Parma; G.Bertoluzzi, Nuovissima guida, Parma, 1830, 153-177; G.Ronchini, La Steccata, in Atti e memorie della Deputazione, 1865, I, 205; G.Bode, Die Ausbeute aus den Magazine der Königlichen Gemälde Galerie di Berlino, in Jarhbücker K, Kunstamm, 1887, 2° e 3°; A. Venturi, in Archivio Storico per l’Arte III 1890, 294; L.Testi, Simone Martinazzi, in L’Arte VIII 1905, 367; L.Testi, La Steccata, 1922, 176-178, 254-255; A. Santangelo, Inventario, 1934, 72-73; Santa Maria della Steccata, 1982, 201-202; L.Fornari-Schianchi, in B. Adorni (a cura), Santa Maria della Steccata, 1979, 201-202 (con bibliografia precedente); Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 335-336.
MARTINELLI ENRICO
Parma 1887
Nell’estate del 1887 venne nominato per concorso prima tromba della Banda Comunale di Parma e maestro di tromba nella Scuola di musica annessa. Lasciò il posto poco dopo.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Banda, 1993, 63.
MARTINELLI GIORGIO
-Parma 24 gennaio 1691
Sacerdote, fu cantore, maestro di Cappella e compositore.Fu al servizio del duca di Parma Ranuccio Farnese dal 26 marzo 1673, rimanendo a Corte per quasi diciotto anni.Durante la malattia di Giovanni Battista Chinelli, il Martinelli lo sostituì in Cattedrale nella solennità di Pasqua del 1677 (vi è detto maestro di Cappella, però di fatto fu nominato poco dopo la morte del Chinelli, avvenuta il 15 giugno dello stesso anno).Come maestro di Cappella della Cattedrale è ricordato nei Mandati della Fabbriceria fino a che venne a morire.Nel dramma Amalasanta in Italia, rappresentato nel 1680 al teatro dei Nobili di Parma, sostenne la parte di Sisulfo. Fu autore della seguente composizione: Mottetti e le quattro Antifone della B.V. Maria a due, tre e quattro voci.Musicali Concerti di Giorgio Musico dell’Altezza Serenissima di Ranutio Secondo Duca di Parma, Piacenza.E dallo stesso Consegrati all’Augustissime Glorie della Mede.ma Serenissima Altezza. Opera Prima (In Bologna, per Giacomo Monti, 1676).
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Ruoli farnesiani, 1671-1682 fol.367, 1683-1692, fol.116; Archivio della Fabbriceria della Cattedrale, Mandati 1661-1680, 1681, 1682-1698; G.Gaspari, vol.II, 455; L.Balestrieri, Feste e Spettacoli, 122; R.Eitner, vol.VI, 352; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 115; Dizionario Musicisti, UTET, 1986, IV, 683-684.
MARTINELLI GIOVANNI
Parma 1584/1608
Figlio di Giacomo.Tipografo, ebbe officina a Venezia nella parrocchia di San Damaso ad signum Phoenicis e anche ad signum Jesus.La marca è la Fenice, identica a quella famosa del Giolito, alla quale cambiò solo le iniziali G.M. (Vacc., fig.222; Zapp., fig.546), ma si trova anche l’ostia raggiante (Vacc., fig.223; Zapp., fig.854).Fu associato talora con V. Accolti, talaltra col Bonfadini.Nel 1585 e nel 1586 si trovano due sue opere stampate o edite a Venezia con Bartolomeo Grassi.
FONTI E BIBL.: Masetti, 136; La Tipografia del ’500, 1989, 126.
MARTINELLI GIOVANNI
Parma 1598
Fu orefice in Roma.In un atto del 17 marzo 1598 è detto che il Martinelli aveva bottega al Pellegrino.
FONTI E BIBL.: A.Bertolotti, Artisti parmensi in Roma, 1883, 139.
MARTINELLI LUIGI
Parma 1786/1807
Cantante lirico (basso). Ebbe una carriera di prim’ordine nei maggiori teatri. La prima volta che i libretti lo citano è nel 1786, quando cantò al Teatro Zagnoni di Bologna. Nel Carnevale 1786-1787 fu a Gorizia, poi a Verona (Teatro dell’Accademia Filarmonica), nel Carnevale 1787-1788 a Trieste (Teatro della città), a Venezia (Teatro San Samuele, autunno 1788 e Carnevale 1788-1789), alla Scala di Milano (Quaresima 1791), a Genova (Teatro Sant’Agostino, estate), a Siena nel 1792, nel 1794 a Napoli (Quaresima e Carnevale 1794-1795 al Teatro del Fondo di Separazione), 1796 a Bologna (Pubblico Teatro, primavera) e a Bergamo (Teatro Riccardi, settembre), 1797 ancora nel massimo Teatro di Bologna nella primavera, poi a Venezia al Teatro Venier in San Benedetto in autunno e nel Carnevale 1797-1798 e alla Fenice in autunno e nel Carnevale seguente e nel 1799 a Firenze (Teatro degli Intrepidi detto della Palla a corda). Nel 1801cantò alla Scala di Milano in cinque opere delle stagioni di autunno e di avvento.Vi ritornò nel Carnevale e nella Quaresima 1803 in opere di Mayr, Federici e Fioravanti. Andò poi a Parigi dove raccolse grandissimo plauso con repertorio buffo di Cimarosa e Guglielmi.Fu di nuovo alla Scala nell’autunno 1807.
FONTI E BIBL.: Arnese; Cambiasi; P.Bettoli, Fasti musicali, 1875, 101; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 28 novembre 1982, 3; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARTINELLI MEDARDO
Parma 16 luglio 1849-Parma 1904
Figlio di Vincenzo e Caterina Malmassari. Suonatore ambulante, conosciuto sotto il nomignolo di Formiga (che gli fu affibbiato per l’abbigliamento di colore nero che usava). Il Martinelli passò la sua esistenza di suonatore di cornetta, vagabondando per le vie della città di Parma e per le sagre e i festival della provincia.Privo di un occhio, il Martinelli, che fu nichilista e individualista, stette alquanto tempo in compagnia di altri tre artisti e con costoro formò un apprezzato quartetto di musici.Poi riprese a lavorare da solo facendo echeggiare per molti anni l’Inno di Garibaldi e La Marsigliese, i due pezzi che predilesse in ragione delle sue opinioni politiche.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 94-95.
MARTINI ACHILLE
Borgo Taro 1846-Parma 1865
Appena diciottenne, scrisse brevi canti (tra gli altri Il fior della siepe) di sapore leopardiano.
FONTI E BIBL.: J.Bocchialini, Poeti secondo Ottocento, 1925, 74; Aurea Parma 2 1924, 81.
MARTINI ACHILLE
Traversetolo 14 marzo 1866-
Si diplomò in violino a diciotto anni.Dopo aver esercitato la professione in varie orchestre, divenne insegnante di violino nel Conservatorio di Montevideo in Uruguay, il cui direttore era Camillo Formentini.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 58.
MARTINI ADA, vedi CORBELLINI ADA
MARTINI ADAH
Parma 1865 c.-Tortiano aprile 1945
Figlia del generale Felice e della poetessa Ada Corbellini, morta in giovanissima età nel 1866 quando già aveva fatto parlare di sé il mondo letterario.La Martini fu donna di eletto ingegno e di grande cultura.Il suo romanzo Voci sepolte, d’argomento parmigiano (edito nel 1922, a cura dell’Almanacco della Donna), vinse il concorso Bemporad col premio di 10.000 lire.Sposò OttavioMarini, ispettore generale delle Belle Arti, e risiedette lungamente a Roma.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 1945, 52; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 96.
MARTINI ANTONIO
Parma 1574/1583
In una grida del 2 aprile 1574 viene citato come tubator (trombetto) del Comune di Parma. Risulta ancora in servizio nel 1583.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Banda, 1993, 25.
MARTINI ANTONIO
Parma 23 dicembre 1793-1838
Figlio di Pietro e di Luisa Prudent. Uomo colto e dottissimo, fu Guardia d’Onore del primo impero e Capitano delle Guardie Urbane di Maria Luigia d’Austria.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico deiParmigiani illustri.Appendice, 1880, 110.
MARTINI ANTONIO
Parma 9 agosto 1795-post 1831
Figlio di Pietro e Ludovica Prudent.Impiegato di Finanza, ebbe parte attiva nei moti del 1831 in Parma: fu il primo che si mise alla direzione delle Guardie Nazionali nel giorno 14 febbraio, ma disse esservi stato chiamato dal generale Bianchi, e lo sostenne davanti la Sovrana presente il Generale stesso, che si finse, dicendo che lo aveva fatto per il meglio.Costui era dei più fervidi della causa.Ed era sempre in Castello ad arruolare persone.Chiese la piazza di aiutante maggiore del nuovo reggimento, e si portò all’alloggio dell’in allora aiutante maggiore Bondenari significandogli di propria bocca tale domanda.Per essersi compromesso nella rivolta fu destituito dall’impiego.Successivamente ottenne dalla Presidenza dell’Interno di tenere una scuola privata.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 187.
MARTINI ANTONIO
Parma 13 dicembre 1847-1915
Figlio di Pietro e Chiara Cornazzani. Di illustre famiglia di letterati e di artisti (il padre Pietro, il nonno Antonio e il bisnonno Pietro illustrarono variamente la città diParma), interruppe la carriera d’avvocato per dedicarsi agli studi letterari e umanistici.Uomo di vasta cultura, fu per molti anni bibliotecario del Senato e intimo di uomini politici e letterati.Profondo conoscitore del latino, curò la pubblicazione di varie opere in tale lingua e scrisse una pregevole monografia sul Montenegro che riuscì particolarmente gradita ai sovrani.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 95.
MARTINI ARTURO
Parma 1894-2 gennaio 1967
Il Martini fu allievo dell’architetto Costa e si dedicò per tutta la vita alla collaborazione con numerosi ingegneri diParma nella stesura di progetti di grandi fabbricati e ville.Disegnatore tecnico valentissimo, appassionato di motori, fu uno dei primi componenti dell’Associazione parmense motociclisti.Si dedicò anche all’aeronautica e fu tra i primi a compiere voli su aliante, partendo dal campo Natale Palli.Fu anche ottimo pittore.Progettò per l’amico pittore Proferio Grossi una villa a Guardasone di Traversetolo, pregevole opera di architettura che il Martini non ebbe la soddisfazione di vedere ultimata.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 2 febbraio 1967, 5.
MARTINI BIAGIO EPAMINONDA MARIA
Parma 3 febbraio 1761-Parma 26 agosto 1840
Studiò all’Accademia di Parma sotto la guida di Gaetano Callani e di Pietro Melchiorre Ferrari, ottimo disegnatore ed efficace colorista. Si aggiudicò nel 1781 un premio per il disegno di nudo, replicando nel 1787 con il disegno a chiaroscuro raffigurante Perseo armato da Pallade, Mercurio e Plutone.Nel 1788, a 27 anni, dipinse il Diogene, una pittura da maestro provetto (P.Martini, 1862, 18). Nel 1790 si aggiudicò il secondo premio al concorso accademico di pittura con Dedalo mette le ali ad Icaro, opera poi dispersa. Nel 1791 vinse il concorso accademico con il saggio pittorico La morte di Socrate, che gli valse il pensionato a Roma.Tale composizione rivela una certa indipendenza stilistica dal suo maestro: i personaggi sono delineati con sicurezza, il colore è caldo e forte e il dramma sincemente rivissuto.Da Roma, per documentare la propria attività, il Martini mandò l’opera La nascita di Gesù (nella quale ha presente Pompeo Batoni), ma, ritornato a Parma, si lasciò prendere dall’atmosfera locale correggesca indulgendo a forme neoclassiche non completamente conformi al proprio temperamento artistico.La prima vera affermazione del Martini fu il Diogene (nella Galleria Nazionale di Parma), opera equilibrata, serena, di una monumentale semplicità, che il Martini stesso donò all’Accademia nel 1795.Per la sua nomina a professore aggiunto di pittura, donò poi il Ritratto della figlia vestita di rosso. Poco dopo l’Accademia borbonica venne chiusa per motivi politici, ma il Martini ritornò al suo posto d’insegnante nel 1803 alla riapertura dell’istituzione sotto l’egida napoleonica. Delle molte composizioni religiose, spesso manierate, che si trovano presso gallerie e privati, sono da segnalare la Madonna eseguita nel 1803-1805 per il Duomo di Borgo San Donnino, il Martirio dei Santi Gervaso e Protaso (1815) per la chiesa dell’Annunciata di Parma e la Deposizione (1840) per la chiesa dei Cappuccini di Borgo Santa Caterina (il cui bozzetto è in Pinacoteca di Parma). Tutte composizioni che rivelano nel Martini predilezione per le forme grandiose.Altri saggi e composizioni (come sottolinea il Copertini), quali l’Incontro di Carlo V con il papa Paolo III in Busseto (1827, dipinto per Maria Luigia d’Austria) e i Funerali di Carlo V, cui assiste lo stesso imperatore, nulla aggiungono ai suoi meriti. Opera, invece, decisamente espressiva e spontanea è l’Autoritratto, un pastello su carta conservato sempre in Pinacoteca a Parma. Vi fu un periodo (1800-1815) in cui fu considerato in Parma il miglior pittore vivente e i giovani gli dimostravano una ammirazione commovente, rivolgendogli a stampa entusiastiche dedicatorie. Nel 1816 fu inviato a Milano per riconoscere le opere che dovevano ritornare a Parma, da dove erano state trafugate da Napoleone Bonaparte. Il campo nel quale il Martini eccelse fu quello del disegno.Moltissime sono le sue opere grafiche.Fornì eleganti disegni alla Società parmigiana dei pittori-incisori ad acquerello (ne fecero parte Antonio Isac, Claudio Linati, Tommaso Gasparotti e Vincenzo Raggio), sorta a Parma nel 1806 sotto la direzione di Paolo Toschi e chiusa nel 1809 alla partenza di questi per Parigi. Lavorò in modo discontinuo, ma sino alla fine della sua vita continuò a disegnare e a dipingere piccole composizioni caratterizzate da un’atmosfera tra il Parmigianino e il Correggio. Disegnatore talvolta lezioso in soggetti molto spregiudicati, abilissimo imitatore del Parmigianino e prospettico di buona scuola nelle sue vedute, quando innesta a tardive reminiscenze settecentesche qualche larvata anticipazione romantica, va ricordato per il disegno Piazza del Duomo a Parma (Parma, Pinacoteca Nazionale). Coltivò l’intaglio in rame e disegnò composizioni per l’incisione ad acquatinta dei discepoli.Si conosce una sola sua stampa a bulino (c.1810).Sposò la pittrice Costanza Baldrighi. Già professore di pittura nell’Accademia borbonica e francese, ricoprì uguale incarico sotto il governo di Maria Luigia d’Austria, con il grado di primo pittore di corte.Ebbe molti allievi (tra i quali, Paolo Toschi), che gli dimostrarono sincera ammirazione.Fu anche cavaliere dell’Ordine Costantiniano diSan Giorgio (1840).Morì in seguito a una indigestione di cocomero.
FONTI E BIBL.: Vedi la descrizione del suo quadro Santissimi Gervaso e Protaso, in Gazzetta di Parma 3 gennaio 1816, 4; quella de L’incontro di Paolo III con Carlo V, in Gazzetta di Parma 1827, 339, e Gazzetta di Parma 1850, 123, 126 e 151 per quanto attiene alla Deposizione; L.Molossi, Vocabolario topografico, 1834, 42; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 242 e 523; P.A. Corna, Dizionario, Piacenza, 1930, II, 351; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1575; G.Copertini, Pittori dell’Ottocento, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1954, 151-154; G.Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 9-10 e 12; P.Martini, L’Arte dell’Incisione in Parma, 1873, 15-16; Documenti riguardanti il pittore Biagio Martini con note e minute autografe, manoscritto nella Biblioteca Palatina di Parma; L.Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1912; Accademia di Belle Arti di Parma, ms. disegni del nudo, ms. disegni a chiaroscuro,ms. quadri premiati; A. Piazza Allodi, 1816, 56; C.Corsini, 1816, 28; Ms.G.B.Fontana; P.Donati, 1824, 112, 135; G.Bertoluzzi, 1830, 11; A. Pezzana, 1833, v.7, 283-287; Gazzetta di Parma 15 aprile 1840, 126; G.Platestainer, 1840; G.N., in La Lettura 1844, 174; E.Scorticati, 1844, 111; G.Bacchi, 1847, 111; P.Grazioli, 1847, 60-70; C.Malaspina, 1851, 87-92; G.M. Allodi, 1896, II, 216; P.Martini, 1862, 17-18; G.Campari, 1866; C.Malaspina, 1869, 73-77-174; P.Martini, 1871, 84, 130, 137; P.Grazioli, 1877, 35; A. Ferrarini, 1882, 7; L.Battei, 1887, 23; P.Grazioli, 1887, 159; E.Scarabelli-Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v.VIII,191; E.Scarabelli Zunti, Chiese e conventi, v.I, 21, 44, 118; N.Pelicelli, 1906, 138-139, 153; L.Testi, 1907, 67; L.Testi, 1912, 67; G.Battelli, 1924, 159; N.Pelicelli, in U.Thieme-F.Becker, 1930, v.XXIV, 176; A. Santangelo, 1934, 12-13, 57, 227-228; A. Pettorelli, 1939, 115; Bénédite-Fogolari-Pischel-Fraschini, 1945, I, 140; A.M.Comanducci, 1945, v.II, 452; M.Pellegri, 1954, 59; Stanislaoda Campagnola, 1960, 197, 204; M.Leoni, Illustrazione di un quadro del professor Biagio Martini, Parma, 1840; C.Ricci, La Regia Galleria di Parma, Parma, 1896, 178-179, 182, 249, 261; A.O. Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939, 241-242, 287; I.Petrolini, Museo Glauco Lombardi, catalogo, Parma, 1972, 40; G.Godi, Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’800, catalogo della mostra, Colorno, 1974, 16; G.L.Marini, in Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 234; Arte a Parma, 1979, 197 e 213; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 1 febbraio 1988; Disegni antichi, 1988, 90; Marchi, Figure del Ducato, 1991, 272; Aurea Parma 3 1993, 244-245; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 20 settembre 1996, 5.
MARTINI BIANCA
Parma 1888-
Fu concertista di buon valore.Esordì all’età di tredici anni (1901).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 579.
MARTINI CARLO
Parma ante 1820-post 1859
Fu pittore figurista, attivo nella seconda metà del XIXsecolo.Fu inoltre miniatore e raccoglitore di notizie riguardanti le chiese, gli stemmi e le opere d’arte di Parma.Sul Censore Universale dei Teatri (n.73 del 12 settembre 1832, 292) si legge: Una società rappresentata dal sig.Carlo Martini ha eretto nella città di Parma, Borgo San Giovanni n.13, un nuovo magazzino di vestimenti teatrali che ha cominciato ad entrare in attività con giorno 15 del passato agosto. Questo magazzino, oltre all’essere col suo aprimento abbondantemente fornito di riflessibili capitali in ogni genere di simili vestimenti, assume anche l’incombenza per la fattura di qualunque altra speciale ordinazione, promettendone la pronta ed accurata esecuzione in rigor di costume, sceltezza di stoffe, esattezza di lavoro, ricchezza, eleganza, buon gusto di assortimento e la più discreta ragionevolezza dei prezzi. Nel 1824 presentò domanda al Comune per essere autorizzato a esibire il suo edifizio di marionette nella sala dell’edifizio detto de’ Crociferi. Nel 1835 ricevette la nomina a disegnatore onorario dei costumi teatrali del Teatro Ducale di Parma, mentre nel 1837 risulta anche come pittore di scene. Nel 1839 disegnò i costumi per il ballo dato il 19 ottobre in occasione del ritorno della Duchessa dai bagni di Ischl e fornì anche in seguito i costumi in alcune occasioni in cui gli impresari non provvedevano per le stagioni a Milano o a Firenze dal Lanari. Sempre nel 1839 prestò la sua opera di figurista al Teatro di Reggio Emilia per le opere Elena da Feltre di Mercadante e Lucia di Lammermoor di Donizetti. Nel 1844 chiese di essere nominato direttore artistico dei figurini, vestiario, attrezzi ecc. e fornì i figurini per i costumi dei Lombardi. Probabilmente fu nominato disegnatore teatrale in ruolo nel 1849, in quanto dal 1850 fu retribuito con la paga annua di lire 450 da liquidarsi in dodicesimi: la circostanza è confermata dal fatto che si trovano i suoi giuramenti ai sovrani nel 1854 (Carlo di Borbone) e nel 1859 a Vittorio Emanule di Savoja. Il 2 ottobre 1855 fu nominato vice ispettore del Teatro Regio.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Voci ducato, in Gazzetta di Parma 28 novembre 1982, 3; F. da Mareto, Indice, 1967, 579; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MARTINI CINZIO
Parma ante 1545-1568
Canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1545, fu poi Protonotario Apostolico.
FONTI E BIBL.: M.Martini, Archivio Capitolare della Cattedrale, in Archivio Storico per le Province Parmensi, 1911, 128.
MARTINI COSTANZA, vedi BALDRIGHI COSTANZA
MARTINI EFREM
ante 1848-Parma 29 gennaio 1902
Maggiore, fu soldato valoroso nelle guerre d’indipendenza dal 1848 al 1866.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 2 febbraio 1902, n. 32; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 82.
MARTINI FELICE
Marore 12 luglio 1825-
Figlio di Antonio e di Ignazia Maria Raineri, fu Generale del Genio e Comandante territoriale a Torino (1880).
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri. Appendice, 1880, 110.
MARTINI FELICE
Parma 16 aprile 1852-1931
Figlio di Pietro e Chiara Cornazzani. Il Martini si trasferì per gli studi superiori a Pisa, dove ebbe a maestri il D’Ancona, il Comparetti e il Teza e dove si laureò nel 1874, per passare poi all’Università di Vienna per assistere alle lezioni del famoso romanista Adolfo Mussafia. Insegnò lettere italiane nell’Istituto Tecnico Leonardo da Vinci di Roma e storia della letteratura italiana all’Università di Roma, ove ebbe anche a supplire, nel 1904, il De Gubernatis. Traduttore di Heine e dei classici latini (tra cui L’asino d’oro di Apuleio nell’edizione integrale per i Classici del ridere di Formiggini), pubblicò saggi su Catullo (Caio Valerio Catullo, 1880), Virgilio e altri scrittori antichi, sul Boccaccio (L’Ameto di Messer Giovanni Boccaccio, 1876), su Heine (Heine e Zendrini, 1879-1885), un commento alla Divina Commedia, nonché una versione in endecasillabi sciolti, in gran parte inedita, dei tre libri De Partu Virginis del Sannazaro e varie opere scolastiche, antologie e manuali.Collaborò assiduamente a L’Emilia, la rivista stampata da Guido Torrigiani, cui collaborarono anche Domenico Oliva e Agostino Berenini.Il Martini scrisse egli stesso versi, sparsi per riviste e periodici, eleganti e forbiti.
FONTI E BIBL.: T.Rovito, Dizionario letterati e giornalisti, 1907, 163; Aurea Parma 3 1924, 134-135; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 95.
MARTINI FILIPPO INNOCENZO
Parma 27 dicembre 1551-Parma 26 giugno 1623
Nato, secondogenito, da Antonio Maria (figlio di Filippo) e Lucia della vicinia di San Michele in Canale (registri battesimali del Battistero di Parma, 29 dicembre 1551). Fu attivo a Parma tra il 1575 e il 1623.Secondo il Bertoluzzi avrebbe dipinto l’interno degli sportelli dei reliquiari nella sagrestia di San Giovanni Evangelista (attribuiti a Michelangelo Anselmi da A. Ghidiglia Quintavalle). Il 13 giugno 1574 il Martini, abitante nella vicinia di Sant’Antonino, fu testimone a un testamento (Archivio di Stato di Parma, Rogito di Ottavio Manlio). Il 27 giugno 1585 il Martini fu pagato per aver dipinto la parete sopra l’organo in Cattedrale (Liber solutionum 1579 per totum 1585, Fabricae Ecclesiae Maioris Parmae).Dipinse un Crocifisso nell’abside sopra il ciborio del Duomo, detto il Paradiso, poi perduto.Nel 1587 fu incaricato di accomodare l’ancona esistente presso la sagrestia dei Consorziali (Libro dell’entrata e uscita della Fabbrica della Chiesa Maggiore di Parma, 31 gennaio 1587). All’11 luglio 1588 risalgono i patti tra il monastero di San Giovanni Evangelista e il Martini per la realizzazione degli affreschi nel presbiterio della chiesa. Il programma iconografico riportato nel documento prevede affreschi nelle volte e nelle ale (pareti) fino a terra con angeli entro triangoli e figure dipinte sulle pareti sopra gli organi.Sulle pareti del presbiterio, nella parte inferiore, sono invece previste scene della vita di San Giovanni Evangelista dal cornicione di pietra in giù, dividendo le ali in 4 quadri, cioè in ogni ala compariranno due quadri dal detto cornicione in giù fino alle porte del santuario. Attorno agli occhi del santuario che sono nelle lunette dipingerà ornamento secondo quanto gli sarà ordinato dagli agenti del monastero, senza togliere nella volta i fregi.Nei triangoli farà uno sfondrato con un putto dentro.Dai due quadri fino a terra dipingerà quello che verrà stabilito.Il Martini s’impegna a non muovere quelli frisi, cioè i fregi della volta affrescati dal Correggio.I patti prevedono che se il primo quadro dipinto non sarà approvato dai monaci, esso dovrà essere ridipinto a spese del Martini.Nel caso in cui il Martini non fosse intenzionato a ridipingere il quadro, non verrà pagato per niente.Il Martini si obbliga a usare colori fini e a lavorare con diligenza, senza assumere altre commissioni.Il monastero mette a disposizione i ponteggi e le muraglie stabilite et accomodate e si impegna a pagare 300 scudi: 150 a metà dell’opera e 150 alla fine, mentre il Martini si obbliga a terminare l’opera entro due anni (Archivio di Stato di Parma, rogito di Pirro Azzoni).L.Testi ipotizza che siano del Martini pure le finte architetture affrescate tra le pilastrate e la cassa dell’organo (1585). Nel settembre 1588 il Martini fu pagato per aver miniato con stemmi due privilegi di cittadinanza per il marchese Camillo Malaspina e Nestore Pigna (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ordinazioni Comunali per l’anno 1588). Il 10 agosto 1588 gli affreschi del Tinti nella chiesa delle Cappuccine furono giudicati dal Martini e da Pomponio Allegri su incarico delle stesse monache.Tra la primavera e l’estate del 1592 il Martini dipinse sull’arco del Duomo verso San Francesco una Santa e un Santo Vescovo, venendone pagato, il 24luglio, 63 lire e 18 soldi (Libro di entrata e uscita della Fabbrica della Chiesa maggiore). In seguito dipinse con Pomponio Allegri quattordici quadri raffiguranti Imprese del duca per il catafalco di Alessandro Farnese (Archivio di Stato di Parma, Mastri, cc.229 e 322, 31ottobre 1593).Nel 1595 venne pagato dalla Corte farnesiana per sedici quadri e un ritratto (Archivio di Stato di Parma, Mastro 1595-1596). Eseguì poi un ritratto del duca Ranuccio Farnese per mandare a Madonna d’Urbino (Archivio di Stato di Parma, Mastri, cc.125 e 145, 31 marzo 1595). Nel 1595 eseguì per i Farnese piccoli dipinti, non identificati, per i quali fu pagato il 25 settembre 1601 (Archivio di Stato di Parma, Mastri, cc.54 e 227). Nel 1599 dipinse tre piccoli stemmi applicati alle candele della ceriola, offerte ai duchi dai Fabbriceri della Cattedrale, per i quali fu pagato 3 libre imperiali e 12 soldi.Nel 1600 dipinse per le monache di San Paolo insieme a Bartolomeo Schedoni e maestro Bernardino (forse il Bui) (Archivio di Stato di Parma, Archivio di San Paolo, filza V).Nel 1602 dipinse due stemmi sopra vasi d’argento per il Comune. Al 1606 risale la pala d’altare della cappella di Sant’Ilario in Santa Maria della Steccata (Archivio della Steccata, Ordinazioni, libro 3°, 1605-1612, c.98, 9 giugno 1606).Il 18 marzo 1607 il Martini, confratello della Compagnia del Santo Crocifisso di Parma, fu presente alla convocazione della Compagnia stessa in cui venne stabilita l’erezione a Parma di una chiesa e di un convento per le cappuccine (Archivio di Stato di Parma, Collegi e Confraternite di Parma). Il 19 maggio 1607 il Martini fu testimone a un atto notarile (Archivio di Stato di Parma, rogito del notaio Gio. Girolamo Dolzani).Il 20 novembre 1609 messer Viotti consegnò al Martini 43.918 lire (la somma era stata a sua volta consegnata al Viotti dai Cerati quando gli vendettero la cappella presso la chiesa dei Padri Serviti).Nel 1612 dipinse il catafalco della regina di Spagna.Il 31 maggio 1614 il Martini è citato in un rogito mediante il quale prese in affitto per sette anni un fondo posto in Praticello, di biolche 55, per l’annua somma di lire 865 e soldi 18 (Archivio di Stato di Parma, rogito di Antonio Faelli). Nel 1616 il Martini, abitante nella vicinia di San Paolo, fu pagato 280 lire e 3 soldi (Copia del compartito del 1616, c.244).Nell’Inventario di Beni confiscati il 9 maggio 1622 a Antonio Moschini già bargello di Parma (Archivio di Stato di Parma) compaiono i seguenti dipinti del Martini: un quadro con San Giovanni con cornice di noce, alto braccia 1 e mezza, largo 1 braccio e tre dita, un quadro con San Giovanni con agnellino, alto braccia 1 e mezza, largo 1braccio e 5 dita con cornice nera, un quadro con San Paolo, con cornice nera, alto 1 braccio quarte tre e mezza, largo 1 braccio e mezza, e mezza quarta, un quadro con San Girolamo con cornice nera, alto 1 braccio e tre quarte e largo 1 braccio e una quarta e mezzo, quattro quadri senza cornice dello stesso formato alti 1 braccio e un quarto, larghi 1 braccio e tre quarti, raffiguranti Cleopatra, Erodiade con la testa di San Giovanni Battista in mano, Erodiade con la testa di San Giovanni Battista nel bacile, Davide con la testa di Golia in mano, un quadro con San Carlo con cornice nera, alto 1 braccio e mezzo, largo 1 braccio e mezza quarta. Pur mancando supporti documentari, sono stati attribuiti al Martini anche gli affreschi della sagrestia di San Giovanni Evangelista, databili 1616, e gli affreschi della camera nuziale del castello dei Torelli a Montechiarugolo, illustranti le imprese della casata. Esistono alcune stampe incise su disegno del Martini: una da Matteo Greuter e un’altra da Oliviero Gatti.Una di esse raffigura la Regina di Saba alla vista del Re Salomone (con l’iscrizione: Vicisti famam virtutibus-Innoc.Martini parm. inv. - M. Greuter sculp., Raccolta Ortalli n.3358 nella Biblioteca Palatina di Parma), l’altra Ercole che uccide l’Idra.Il Martini sposò verso il 1585 una non meglio identificata Virginia, dalla quale ebbe due figli: FrancescoMaria e Antonio Benedetto.Fu sepolto nella chiesa di San Pietro Martire (poi distrutta).
FONTI E BIBL.: S.Ticozzi, Dizionario degli architetti, II, 1831, 407; Nagler-Andresen, Monogr., IV, 1871, Heinec., Dizionario, 1778; Pelliccioni, Incisori, 1949, 110; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexicon, vol.XXIV, 1930, 177; A. Ghidiglia Quintavalle, I castelli del Parmense, Parma, 1955; P.Martini-G.Capacchi, Arte incisione in Parma; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 238; Archivio della Steccata, Libro dei conti; S.Ticozzi, Dizionario dei pittori, Milano, 1816, vol.II, 26 (cita per primo la presenza del Martini alla Steccata); G.Bertoluzzi, Nuovissima Guida, 1830, 39 (con attribuzioni ad Alessandro Mazzola); L.Testi, La Steccata, Parma, 1922, 182-183; N.Pelicelli, Un pittore dimenticato, Innocenzo Martini, in Aurea Parma 1927, 132-139; A. Santangelo, Inventario, 1934, 70; A. Ghidiglia Quintavalle, in Tesori d’arte Cristiana, La Steccata, 1965, 19; Santa Maria della Steccata, 1982, 202; Corriere di Parma 2 1989, 92-94; Discorso intorno alla pittura (in M.Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le Belle Arti, serie seconda, Bologna, 1841); I.Marsigli, 55 e ss.; n.52; C.Malaspina, Nuova guida di Parma, 1869, 174; N.Pelicelli, Guida di Parma, 1910; G.Bertoluzzi, Guida di Parma, 124 e 136; P.Zani, vol.XIII, 82; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol.IV, cc.187, 190e 191; G.Bertini,La Galleria, 278; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 336-339.
MARTINI FRANCESCO GIUSEPPE
Parma 5 maggio 1805-Parma 27 aprile 1873
Fu inizialmente litografo e calcografo, allievo del Toschi.In litografia, eseguì una numerosa serie di ritratti (F.Hayez, F.Puccinotti, P.Toschi, Bartolini, C.Bonaparte), stampata a Firenze dalla Litografia Ballagny, e il ritratto di O.F.Mossotti (da C.E.Liverati;Litografia Vincenzo Batelli e C., Firenze).Eseguì inoltre le calcografie Veduta di Civita Castellana (incisione su acciaio), Tempio di Vesta a Roma, Veduta di Campo Vaccino a Roma (Martini inc.).Lasciò presto l’arte per la giurisprudenza. Nel 1829 fu Cancelliere provvisorio di Pretura a Parma e nel 1832 ricoprì la stessa carica a Borgo Taro.Nel 1833 fu Pretore di 2a classe a Soragna e nel 1834 a Bardi.Nel 1836 fu nominato Pretore di 1a classe a Bettola e nel 1837 Commissario Superiore della Polizia Generale a Piacenza.Nel 1839 ebbe la stessa carica a Parma.Nello stesso anno fu promosso vice procuratore Ducale presso il Tribunale Civile e Criminale di Piacenza e poi trasferito con uguale carica a Parma.Nel 1843 fu nominato Giudice presso il Tribunale Civile e Criminale di Parma, nel 1844 fu designato Giudice per la liquidazione del patrimonio Serventi e nello stesso anno Giudice processante a Parma.Nel 1845 fu Presidente del Tribunale Civile e Criminale di Borgo Taro e nel 1847 Procuratore Ducale presso quello di Piacenza.Nello stesso anno fu Presidente del Tribunale di Piacenza.Nel 1848 riportò un encomio per diversi procedimenti criminali da lui condotti e nel 1850 ebbe la seconda nomina a Presidente del Tribunale di Piacenza.Nel 1854 fu Presidente della Corte Regia di Piacenza.Nel 1856 fu posto in disponibilità di servizio e nello stesso anno fu distinto colla nomina di Consigliere diStato Onorario.Il Martini scrisse anche lodatissimi versi, tra cui l’ode intitolata Alla Memoria di Maria Luigia d’Austria, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, nel XXV anniversario della sua morte; omaggio di un antico magistrato parmense (Parma, Tip.M. Adorni alias Carmignani, 1872).
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1880, 107-110; L.Ozzola, La Litografia italiana, Roma, 1929; P. Arrigoni e A. Bertarelli, Piante e vedute di Roma, Milano, 1939, nn.1887, 3433, 5000; L.Servolini, Dizionario Incisori, 1955, 501; Arte incisione a Parma, 1969, 54.
MARTINI GABRIELE
Piacenza 1398 c.-Parma 1468/1473
Figlio di Manfredino.Dal 1449 al maggio 1467 fu ingegnere del Comune di Parma. È ricordato in diversi atti notarili e in documenti del Comune di Parma: 20 maggio 1432, Maestro Gabriele de Martinis figlio di Maestro Manfredino, e Maestro Francesco de Calzavachis ambos magistros a muro et lignamine eletti a peritare lo stato ed il valore di una casa della chiesa parrocchiale di San Giorgio in Parma (rogito di Gherardo Mastagi, Archivio Notarile di Parma); 5 marzo 1445, testimoni Maestro Gabriele de Martini figlio di Maestro Manfredino della vic.a di San Barnaba, e Gherardo de Fatulis (rogito di Gherardo Mastagi, Archivio Notarile di Parma); 23 ottobre 1450, Maestro Gabriele figlio di Maestro Manfredino de’ Martini da Piacenza magister a muro da al figlio suo Giacomo che la accetta, la onesta Riccadonna di Maestro Antonio Bertolotti di Parma come sua sposa con una dote di 175 lire d’imperiali (rogito di Gaspare Zampironi, Archivio Notarile di Parma); 5 agosto 1455, testimoni Giacomo de’ Martinis figlio di Maestro Gabriele della vic.a di San Barnaba e Antonio Pilacurte f. q. Giovanni della vic.a di San Giacomo in Co di ponte ambi maestri muratori (rogito di Gherardo Mastagi, Archivio Notarile di Parma); 28 febbraio 1458, item datos M.° Gabrielli de Martinis civi parme qui de mandato Mag.ci D.ni Commissarii ivit Mediolanum pro certa informatione danda Ill.mo d.no nostro pro Navillio fiendo in parmen.in qua andata stetit occupatus diebus viiij, itu, mora et redditu comput. cum uno equo in ratione sold. xvi in die pro se et equo capit. libr. xj. sold.iiij de quibus detrahantur libr. viij quas mutuo recepit super ipsa andata, restat de necto per bulletam factam die ultimo februarii (a carte 103 del Liber rationum Cô.is et Navilii, Archivio Comunale di Parma);28 febbraio 1460, a maestro Gabriele de Martinis Ingegnere del Comune di Parma, per due mesi di suo salario, ciè Gennaio e Febbraio (a carte 52 del Liber rationum Cô.is 1460, Archivio Comunale di Parma; si trova poi pagato per l’intero anno).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Storia di Parma, III, 18, 281-282; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 43.
MARTINI GIACOMO
Parma o Piacenza 1424 c.-Parma post 1474
Figlio di Gabriele. Ingegnere, sposò il 23 ottobre 1450 Riccadonna Bertolotti. È ricordato in diversi rogiti notarili: 23 gennaio 1468, Maestro Gherardo Fatuli e Maestro Giacomo Martini entrambi muratori et peritos in arte et misterio fabricationis domorum sono invitati dai Conti Lodovico e Cristoforo Valeri a stimare una loro casa indivisa posta nella vicinia di San Sepolcro, quale voleva esso Conte Lodovico acquistare tutta per se (rogito di Lodovico Sacca, Archivio Notarile di Parma); 26 aprile 1474, Giacomo Zalli della vic.a di San Barnaba affitta a Maestro Giacomo de Martinis muratore f. q.Gabriele de Martinis ab.e in Parma nella vic.a suddetta una pezza di terra lavoria posta nella villa di San Donnino presso Parma per 10 lire annue imp.i.Da altro atto dello stesso giorno Pietro Agolanti f. q. Giovanni e D. Isabella di q.m Pietro da Rivalta moglie del defunto ricordato maestro Gabriele de Martini ricevono da M.° Giacomo e da Pietro figlio di altro Pietro de Martini e tutti della ricordata vic.a di San Barnaba lire 134, s.11 imp.i quale prezzo ritratto dalla vendita di una casa, fatta da questi ultimi; onde l’Agolanti e la Isabella li tengono in deposito, cioè a prestito, coll’obbligo di restituirli ad ogni richiesta dei depositanti (rogito di Pietro del Bono, in Archivio Notarile di Parma);Pietro figlio d’altro Pietro era nipote di Giacomo Martini, che aveva avuto per moglie Riccadonna de Bertolotti, premorta al suocero Gabriele Martini; 26 aprile 1474, Maestro Giacomo de Martini muratore figlio del fu M.°Gabriele citt.° di Parma della vic.a di San Barnaba curatore del nipote suo minorenne Pietro Martini figlio di altro Pietro già morto che era fratello del ricordato M.°Gabriele.M.° Giacomo Martini aveva una figlia di nome Giovanna maritata con Giacomo di q.m Bertolino Zalli, che ebbe dalla moglie sua Riccadonna Bertolotti essa pure defunta.Donna Isabella di q. Pietro da Rivalta era la moglie di M.°Gabriele e conviveva col figliastro Giacomo (rogito di Pietro del Bono, Archivio Notarile di Parma).
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 43-44.
MARTINI GIACOMO
Parma 6 luglio 1785-Parigi 1849
Figlio di Francesco e di Cristina Musi.Di famiglia agiata, compì studi regolari e giunse a ottenere la laurea. Benché fosse guardia d’onore di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma, nell’autunno del 1818 si fece iscrivere alla chiesa di Reggio dei sublimi maestri perfetti (sètta che fu costituita nei ducati di Modena e di Parma e Piacenza collo scopo di mutare la forma del governo assoluto in monarchico costituzionale o repubblicano).Tornato a Parma, si diede a diffondere i principi della carboneria, sì che l’anno seguente fondò nella città natale una chiesa di cui fu eletto saggio col nome sociale di Dione.Fu in corrispondenza colla chiesa centrale di Torino e con quelle degli stati limitrofi a Parma.Nel luglio del 1820 intervenne, col conte Claudio Linati, a un convegno tenuto a Reggio per discutere l’organizzazione di una rivolta negli stati di Parma, di Modena e nelle Legazioni.Nell’agosto dello stesso anno, col conte Linati e con Giuseppe Musi, si recò a Bologna e a Forlì per stabilire il piano d’insurrezione.Nel 1821, scoppiata la rivolta in Piemonte, il Martini sostenne la necessità della sollevazione dei liberali estensi per agevolare il movimento rivoluzionario diParma.Fu denunciato, con altri liberali parmensi, da Francesco d’Este, duca di Modena, a Maria Luigia d’Austria (lettera del 17 aprile 1822). Il 24 aprile 1822la Corte di Parma ordinò l’imprigionamento dei principali carbonari e tra questi il Martini, ritenuto maggiormente colpevole perché guardia d’onore della Duchessa.Fu anche accusato di essere tra coloro che avevano fatto distribuire alle truppe ungheresi, di passaggio per Napoli, un proclama per incitarle a non battersi contro gli Italiani. Il Martini, che era subito fuggito verso i monti del Parmense, fu arrestato.Con sentenza del 29 aprile 1823, la commissione mista condannò il Martini a dieci anni di carcere e alla degradazione da guardia d’onore per avere fatto parte di società segrete cospiratrici e attentato, quindi, alla sicurezza dello Stato.Contro tale sentenza il procuratore Caderini ricorse al supremo tribunale di revisione che, per cospirazione o complotto, condannò a morte il Martini.La duchessa Maria Luigia d’Austria commutò la pena in venti anni di carcere.In base a un trattato concluso tra il governo parmense e quello sardo, i condannati alla galera scontavano la pena nelle carceri di Genova o della Sardegna: il Martini entrò in quello di Genova il 23 giugno 1823.Fu poi imbarcato, il 5 settembre successivo, alla volta di Cagliari e in quel bagno penale rimase circa dieci mesi.Da lì fu rinchiuso nel forte di Fenestrelle sino a che, avendo Maria Luigia d’Austria il 20 agosto 1825 offerto ai condannati di scontare la rimanente pena, diminuita di tre anni, nel forte di Compiano o di recarsi in esilio, il Martini scelse l’esilio.Dimorò prima a Londra e poi a Parigi. Perduto tutto il suo patrimonio, si ridusse a vivere in miseria, facendo i mestieri più umili. Ottenne poi un modesto impiego nella sezione delle stampe della Biblioteca Richelieu di Parigi. Le sofferenze causategli dalla grande miseria in cui visse nell’esilio finirono per alterare la sua mente.
FONTI E BIBL.: A. Vannucci, I martiri della libertà italiana, Milano, Bortolotti e C., 1880; E.Casa, ICarbonari Parmigiani e Guastallesi cospiratori nel 1821 e la Duchessa Maria Luigia Imperiale, Parma, Tip.Rossi-Ubaldi, 1904, 249-253; M.Lupo Gentile, Il Dottor Giacomo Martini carbonaro ed esule parmigiano, in Il Risorgimento Italiano VI1910; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 412; I.Bellini, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 511; A. Giussani, Un martire del ventuno poco noto (Giuseppe Ferrari di Borgoforte), in La Lombardia nel Risorgimento Italiano gennaio 1928; F.Ercole, Martiri, 1939, 232; Ercole, Uomini Politici, 1941, 265; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 368.
MARTINI GIUSEPPE
Parma 27 agosto 1758-Parma 8 novembre 1844
Fratello di Biagio.Il padre del Martini era caffettiere in Pescheria vecchia a Parma. Allievo di Pietro Melchiorre Ferrari e di Benigno Bossi presso l’Accademia di Belle Arti di Parma, il Martini partecipò al concorso accademico del 1779 nella classe Disegno di composizione, riportandone molte lodi.Nel 1781 fu vincitore del premio, sempre per la classe Disegno di composizione.In occasione dei funerali per la morte del duca Ferdinando di Borbone, fatti celebrare dal Comune di Parma il 15 dicembre 1802, il Martini fu chiamato a dipingere a chiaro scuro colore di bronzo i bassi rilievi del basamento della macchina funebre eretta nel tempio della Steccata sopra disegno del bravo Donnino Ferrari.Due anni dopo, nella sessione accademica del 9 magio 1804, fu nominato Accademico d’Onore, unitamente ai pittori Albasi e Lorenzo Ferrari.Trascorso poco più di un anno (5 giugno 1805), il Martini fu nominato professore aggiunto, avendo presentato al concorso di quell’anno, come morceaux de reception, un dipinto con Testa di Filosofo.Nella Exposition publique des produits des arts et manifactures del novembre 1811 presentò il quadro Il Paradiso, appena finito per la chiesa di Ognissanti: gli apprezzamenti non furono tutti positivi.Il segretario dell’Accademia, Pietro De Lama, scrisse nel 1814 al ministro conte Filippo Magawly Cerati de Calry che accordare al Martini l’incarico, da lui richiesto, di restauratore dei dipinti dell’Accademia sarebbe stato un vero attentato contro i diritti dell’Accademia giacché avrebbe cercato di spogliare la stessa del diritto di suffragio.Propose, invece, il De Lama che venisse nominato restauratore dei dipinti il Savazzini e che il Martini fosse incaricato quale ristauratore degli a fresco dei palazzi della città.La cosa non andò come il De Lama desiderava, tanto che il Martini venne incaricato, con Decreto del 17 marzo 1816, di collaborare col direttore dell’Accademia nell’opera di eventuale restauro dei dipinti che erano stati da poco restituiti dalla Francia al Ducato dopo le sottrazioni napoleoniche di vent’anni prima.Nel piano di riorganizzazione dell’Accademia, con Decreto sovrano, il Martini venne nominato, su proposta del Magawly, Professore coll’annuo stipendio di lire 3000, ossia Franchi 713,57.Il Martini creò molti problemi al direttore dell’Accademia, Francesco Paulucci Calboli, che lo ritenne uno dei professori più litigiosi e turbolenti, capace di suscitare con ciarle e menzogne la divisione negli animi de’ professori poco per natura disposti alla quiete.Giovanni Copertini definisce il Martini permaloso ed attaccabrighe, nemico mortale del direttore De Calboli Paulucci e più pronto a menar la lingua che a maneggiare il pennello. Ben poche, a dire il vero, sono le opere conosciute del Martini.Oltre al quadro di Ognissanti, il Donati, nel 1824, cita una copia, da lui eseguita nel 1805, di un dipinto, andato perduto, di Sisto Badalocchio presso la chiesa di San Quintino. Altro quadro a lui commissionato fin dal 1824 ed esposto solo nel 1834 è un San Pasquale con altri Santi collocato in una delle cappelle laterali della chiesa di San Pietro d’Alcantara, che non riscosse molti consensi. Nella primavera del 1804il teatro Ducale di Parma fu ridipinto e decorato di un nuovo sipario da Giuseppe Marchesi, architetto e pittore bergamasco, e il Martini ne dipinse le figure. Nel 1838 fu l’autore del sipario del riedificato Teatro di Reggiolo.Il Martini fu maestro di Giovanni Tebaldi.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Guida di Parma, 1906; Negri, Il parmigiano istruito, VIII, 84; Malaspina, Guida di Parma, 1869; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, 1930; C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 126; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1914; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 238; V.Banzola, in La Cesa di Sant 1997, 26-28.
MARTINI GIUSEPPE
Parma 28 gennaio 1861-1932
Figlio di Pietro e Chiara Cornazzani.Medico colto e studioso, all’amore per la scienza (di cui sono prova gli scritti lasciati), aggiunse una rara bontà, trasformando la sua professione in un vero apostolato.Il Martini ebbe una felice predilezione per il disegno e per la musica e pubblicò un volume di versi.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 95-96.
MARTINI GIUSEPPE, vedi anche MARTINI FRANCESCO GIUSEPPE
MARTINI GUGLIELMO
Parma seconda metà del XVIII secolo
Disegnatore topografo, fu attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 192.
MARTINI INNOCENZO, vedi MARTINI FILIPPO INNOCENZO
MARTINI MARTINO
Parma 21 novembre 1848-Parma 6 gennaio 1910
Nacque da Pietro, cultore di storia civile, letteraria e artistica, e da Chiara Cornazzani. Fu un predicatore di grande forza e convinzione: popolarissimo e conteso dai fedeli delle varie parrocchie di Parma, portò la sua parola in tutte le chiese della città, in tutti i paesi della provincia e in molte città di fuori.Dottore in teologia, membro del Collegio teologico e canonico decano della Cattedrale di Parma dal 1875, ebbe nel 1900l’ufficio di archivista del Capitolo, che tenne fino alla morte con grande amore e cura.Pubblicò una Vita di monsignor Fr.F.Cantimorri Vescovo di Parma (Parma, 1895) e lasciò manoscritti i Cenni storici sull’origine dell’Archivio Capitolare (editi poi in Archivio Storico per le Province Parmensi 1911). Dal marzo 1908 fu socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria di Parma.
FONTI E BIBL.: U.Benassi, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1911, 234; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 96.
MARTINI PIERO, vedi MARTINI PIETRO
MARTINI PIETRO Marore 25 giugno 1818-Parma 15ottobre 1877
Nacque da ragguardevoli genitori: il padre Antonio, uomo colto e dottissimo, fu guardia d’onore del primo impero e capitano delle Guardie urbane di Maria Luigia d’Austria duchessa di Parma, la madre era figlia di Luigi Rainieri, primo presidente del Tribunale di Revisione.A vent’anni il Martini rimase orfano del padre. Sin da giovane mostrò grande amore per la letteratura: infatti, terminato il corso filosofico ed essendosi iscritto alla Facoltà di Medicina, presto l’abbandonò per passare a quella di Lettere. Fu autore dei libretti Dirce, musica di Achille Peri (Reggio Emilia, Fiera del 1843), Ermengarda, musica di Gualtiero Sanelli (Milano, Teatro alla Scala, 10 novembre 1844), La Sirena di Normandia, in collaborazione con Errico Carreglia, per musica di Pietro Torrigiani (Napoli, Teatro San Carlo, 20 gennaio 1846) e Luisa Strozzi, musica di Gualtiero Sanelli (Parma, Teatro Ducale, 27 maggio 1846). Questi melodrammi richiamarono sulla sua opera l’attenzione di Giuseppe Verdi, col quale tuttavia non gli fu possibile accordarsi per scrivere libretti da musicare solo perché non volle sacrificare il proprio sentimento artistico alle esigenze della scena d’allora. Dal novembre 1845 al dicembre 1850 tenne il posto di Segretario della Ducale Biblioteca di Parma.Ottenuto poi il titolo di Segretario emerito, passò all’Intendenza dell’Ordine Costantiniano, della quale fu Consigliere Segretario.Nel febbraio del 1852 fu nominato Direttore della Regia Tipografia e della Gazzetta Ufficiale degli Stati Parmensi.Nella redazione di questo foglio si distinse per le sue rassegne politiche e teatrali, delle quali fu fatta una ristampa a parte. Il Martini, anche a motivo del suo ufficio, si occupò d’arte contemporanea con equilibrio e relativa freschezza d’impressioni, seppure nel quadro di una critica accademica e contenutista.Preciso biografo di artisti della sua terra, tracciò le linee di una storia della Scuola parmense delle arti belle e gli artisti delle provincie di Parma e Piacenza dal 1777 al 1862 (Parma, 1862), utilissima per quel periodo di splendore in cui Parma fu unita per tanti rapporti alla Francia.Della città di Parma compilò una informata guida artistica (Parma, 1871). Il 27 dicembre 1857 fu addetto al ministero degli affari esteri e il 30 dello stesso mese e anno (cessato l’ufficio di Direttore della Tipografia e della Gazzetta) venne nominato Segretario della Regia Accademia di Belle Arti e professore di storia artistica e di estetica, succedendo a Michele Leoni.In pari tempo fu nominato Consigliere Segretario della Società d’Incoraggiamento agli artisti.Nel settembre del 1858 fu eletto vice presidente del Congresso internazionale tenuto a Bruxelles per la proprietà artistica e letteraria.In quella occasione pronunciò diversi discorsi, contenuti nelle raccolte dagli Atti di quel Congresso.Il Congresso internazionale di Statistica che si tenne a Firenze lo chiamò ad assumere le funzioni di Segretario. Quale relatore della Deputazione Parmense di Storia Patria, pubblicò importanti scritti.Pubblicò inoltre le lezioni agli studenti di Belle Arti (Parma, Pietro Grazioli, 1868). Il Martini fu a Ravenna nel 1865, quando si celebrò il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri e in quella occasione lesse un discorso.La pubblicazione più importante del Martini e che gli acquistò maggiore considerazione in campo letterario e artistico, fu quella degli Studi intorno al Correggio, stampati la prima volta in Parma nel 1865 dalla Tipografia Carmignani e poi nel 1871 dalla Tipografia Grazioli.Tutti i giornali dell’Emilia-Romagna e parecchi di altre regioni ne pubblicarono accurate recensioni.Nel 1869 fu rappresentante al 4° centenario della nascita di Machiavelli per le presidenze delle Accademie dell’Emilia, dell’Accademia di Belle Arti di Parma e della Deputazione Storica di Parma.Fu promotore e Segretario generale del Primo Congresso artistico italiano, tenuto inParma nel settembre 1870.Nel settembre del 1872 venne all’unanimità eletto Presidente generale del 2° Congresso Artistico in Milano. Fu cavaliere dell’Ordine Costantiniano, dell’Ordine del Merito sotto il titolo di San Lodovico e dei Santi Maurizio e Lazzaro e Ufficiale della Corona d’Italia.Fu per due volte Sindaco diPoviglio e per tre volte Consigliere Provinciale a Parma.Fu inoltre vice presidente degli Asili Infantili in Parma, socio dell’Accademia Valdarno al Poggio, dell’Accademia di Belle Arti in Firenze, di quella di Brera in Milano, dell’Aretina di scienze, lettere e arti, della Ligustica di Genova, dell’Albertina di Torino, della Provinciale di Ravenna, di quella del Progresso in Palajolo di Sicilia, della Florimontana di Monteleone, della Colombaria di Firenze, della Deputazione di Storia patria per Toscana, le Marche e l’Umbria, dell’Accademia di Modica, dell’Assenella di Storia patria in Palermo, dell’Accademia Raffaello in Urbino, della Società italiana di storia e d’Archeologia, della Società per l’emancipazione delle donne, dell’Accademia Chirurgica di Vicenza, della Società di Belle Arti in Ferrara, del Circolo promotore degli operai di Rieti e dell’Ateneo di Brescia.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri. Appendice, Parma, 1880, 110-116; E.Bocchia, La drammatica a Parma, 1913, 220; Aurea Parma 11924, 7-8; C.Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, 3, 1938, 515; S.Lodovici, Critici d’arte, 1942, 227; Parma.Vicende e protagonisti, 1978, II, 192.
MARTINI PIETRO ANTONIO GAETANO
Trecasali 9 luglio 1738-Parma 2 aprile 1797
Figlio di Antonio e di Teresa Bussolati, nacque nella villa di campagna della famiglia.Il padre volle che fosse ribattezzato in Parma con ogni formalità per conservare intatto il diritto di cittadinanza. Compiuti gli studi grammaticali e filosofici, fu costretto dal padre a passare allo studio della Giurisprudenza. Essendo palesemente infruttuose le lezioni di diritto, fattisi mediatori alcuni amici del padre, questi alla fine acconsentì che il Martini si desse al disegno sotto gli insegnamenti dell’abate Peroni.Due anni dopo passò alla scuola di Giuseppe Baldrighi, che lo indirizzò all’intaglio in rame, dove ebbe maestro Benigno Bossi, famoso intagliatore d’acquaforte. Dopo aver frequentato un corso di matematica col Belgrado, nel 1761 riportò il premio del Nudo dall’Accademia di Parma e vinse quello di Composizione l’anno successivo (era allora discepolo del Baldrighi). Mandato a Veleja a disegnare i reperti archeologici che man mano vi si disotterravano, disegnò altresì una veduta di Veleja, una festa campestre data in onore di Filippo di Borbone allorché visitò quegli scavi e la pianta di tutto quello che era stato sino ad allora scoperto. Alcuni di questi disegni, tra i quali quello di una bellissima statua senza capo, sotto cui scrisse di proprio pugno Statua d’eccellente Artefice greco, trovata negli Scavi di Veleja, e disegnata nel 1765 da Pietro Martini Parmigiano, fanno parte di un volume intitolato Antichità Velejati. Allo studio dell’intaglio il Martini congiunse quello dell’architettura e della prospettiva alla scuola del Petitot.Ebbe diverse commissioni dal Du Tillot (che a partire dal 1767 gli assegnò uno stipendio annuo di 500 franchi) e verso il 1769 fu inviato a Parigi, raccomandato al celebre Le Bas, primo intagliatore in rame del Re, diventando ben presto uno dei suoi principali collaboratori, tanto che ebbe il compito di eseguire ad acquaforte le incisioni che poi venivano completate a bulino dal capobottega. Il Martini vi rimase due anni, perfezionandosi nell’intaglio e avendo modo di conoscere i migliori artisti dell’epoca.Due anni dopo, uscito dallo studio del Le Bas, si accinse a lavorare per proprio conto.Caduto il Du Tillot, il nuovo ministro De Llano lo richiamò a Parma.Ma quando il Martini seppe che non sarebbe stata mantenuta la promessa di farlo professore d’intaglio in rame nell’Accademia di Parma e di pagargli i lavori che gli sarebbero stati ordinati, rinunciò all’assegno ducale e rimase a Parigi.Fu di nuovo a Parma nel gennaio-febbraio1773, poi visitò Firenze, Roma e Napoli e in luglio rientrò a Parigi.Negli anni seguenti fu in Olanda e più volte in Inghilterra.Intagliò nel 1787 l’Esposizione della Sala di Londra, che è una delle sue opere più famose.Il 14 giugno 1786 l’Accademia delle Belle Arti di Parma lo acclamò Professore Accademico e il 20 marzo 1792 gli inviò a Parigi una medaglia d’oro in ricompensa di due suoi intagli: Il Ponte delle Sfingi e La veduta della Città d’Avignone.Nell’anno 1791 viaggiò in Germania, visitò le principali città d’Italia e, passato ancora l’inverno in Parma, rientrò a Parigi la primavera seguente.Coinvolto nei moti rivoluzionari dell’agosto e settembre, il Martini decise di abbandonare la Francia: ottenuto un salvocondotto, attraverso la Svizzera rientrò a Parma, ove giunse nello stesso anno 1792. A Parma sposò Luigia Prudent, dalla quale ebbe due figli.Comperò poi un piccolo podere sui colli parmigiani, dividendo il suo tempo tra le cure campestri, l’ordinamento della sua collezione di libri sceltissimi, di disegni e di ogni sorta d’intagli, la compilazione del Catalogo Storico delle Stampe prese dai dipinti o dai disegni de’ migliori maestri d’ogni scuola e qualche nuovo lavoro d’intaglio.Morì in conseguenza di una colica. Dopo la sua morte fu scritto in sua lode da Giuseppe Parini un epigramma (a f.243 del 3° volume delle opere del Parini, 1802) che si pubblicò sotto il ritratto del Martini intagliato da Francesco Rosaspina e disegnato dal Moreau. L’amico Carlo Goldoni, parlando dell’edizione delle Opere del Metastasio, così ricorda il Martini: Cette superbe édition est décorée de tous les agrémens de la Typographie.Il y a des gravures précieuses; on y admire entr’autres un Polyphème de Bartolozzi, et dans plusieurs estampes l’excellence du crayon et du burin de M.Martini.C’est un des meilleurs élèves de M. le Bas; c’est un Parmesan très-honnête, très-sage, très-instruit, c’est un Artiste qui fait honeur à la Nation Italienne.G.F.Galeani Napione definì ilMartini famoso incisore Italiano. In fronte al primo volume del suo Catalogo Storico, che è il solo compiuto, il Martini pose (come già aveva promesso nelProspetto pubblicato, senza il suo nome e senza luogo e anno, dalla Stamperia Reale di Parma nell’aprile del 1796) una rapida Storia della Calcografia presa dalla sua origine fino a’ giorni nostri. Questo volume, conservato in manoscritto nella Biblioteca Palatina di Parma, contiene tutta la scuola fiorentina e senese. Della sua vasta produzione si ricordano la Sacra Famiglia da Rembrandt, la Morte del generale Montcalm da Watteau, le tavole per l’opera di J.M.Moreau le jeune Monument du costume physique et moral de la fin du XVIII siècle (1789), il cui testo è attribuito a Retif de La Bretonne, e le vedute della serie di Joseph Vernet, voluta da Luigi XV, Les ports de France (1761-1783), incise all’acquaforte in collaborazione con C.N.Cochin il giovane. Collaborò col Basan a diverse raccolte (Du cabinet de Monsieur Poullain, 1781, Du cabinet de M.le Duc de Choiseul, 1771).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 373-380; Ticozzi, Dizionario degli architetti, II, 1831, 406-407; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 242-245; Bodoni celebrato a Parma, 1963, 145; Arte incisione a Parma, 1969, 40; L.Delteil, Manuel de l’amateur d’estampes du XVIII siècle, Parigi, 1910; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, vol.XXIV, 1930; G.Moschini, Dell’incisione in Venezia, Venezia, 1924; A. Calabi, La gravure italienne au XVIII siècle, Parigi, 1931, P. Arrigoni e A. Bertarelli, Le Stampe Storiche conservate nella Raccolta del Castello Sforzesco, catalogo, Milano, 1932; G.Morazzoni, Il libro illustrato italiano del ’700, Milano, 1943; A. Petrucci, Gli incisori dal secolo XV al secolo XIX, Roma, 1958; J. Adhemar, La gravure originale au XVIII siècle, Parigi, 1963; Dizionario Bolaffi Pittori, VII, 1975, 239; Huber-Rost, 1799, IV, 232-234; P.Zani, 1819, I/13, 83; Basan, 1809, II, 22; A.De Angelis, 1813, XII, 159-160; Bryan, 1816, II, 114-115; Joubert, 1821, II, 255-256; Heller, 1823, 426; Nagler, 1835, VIII, 369; De Boni, 1840, 621; Le Blanc, 1854, II, 611-612; P.Martini,La scuola parmense delle belle arti e gli artisti della provincia di Parma e Piacenza dal 1777 al 1862, Parma, 1862; Arte a Parma, 1979, 359.
MARTINI RENZO
Traversetolo 1 luglio 1897-Parma 2 gennaio 1979
Figlio di Giuseppe.Erede di famiglia di artisti e studiosi, il Martini compì a Parma gli studi musicali insieme a quelli classici (liceo Romagnosi) e universitari.Chiamato alle armi in ancor giovanissima età, frequentò l’Accademia militare di Torino e, uscitone ufficiale, partecipò alla prima guerra mondiale combattendo, salvo un breve periodo al corso di aviazione a Centocelle, nell’artiglieria da montagna. Al fronte fu ferito e si meritò due decorazioni al valor militare (medaglia d’argento e di bronzo) e la croce di cavaliere di Vittorio Veneto.Congedato, si dedicò alla musica sotto la guida del maestro Arnaldo Furlotti (composizione).Ebbe a maestri anche Corti-Anelli per il pianoforte e Gerbella e Ricci per il canto corale. Dal 1923al 1924 diresse la Scuola Musicale G.Verdi di Parma e dal 1925 al 1927 la Scuola Musicale PierLuigida Palestrina.Fondò e diresse l’Orchestra Sinfonica della Città di Reggio Emilia.Fu inoltre direttore (1950) delPiccolo Teatro Lirico della Città di Parma. Fu per due anni, chiamato dal direttore Gontrano Molossi, critico musicale della Gazzetta di Parma e collaborò, come musicologo, a varie riviste d’arte (La difesa Artistica, La Grande Orma). Fondò e diresse l’orchestra da camera Antonio Bazzini.Fu anche un insegnante di valore.Fecondo e sensibile compositore, il Martini lasciò un’ampia produzione musicale, che spazia dall’opera lirica al balletto, alle composizioni per canto, cori, pianoforte e orchestra: opere teatrali, Raggio di sole (libretto G. Adami, Brescia, 1954), Il finto Anichino (A. Landini), Il cavaliere senza nome, Il tenente Franz (B.Piatti);balletti, Serenata d’aprile (1929), Viola d’amore, Un giro di Valzer; per orchestra, Soste in Val d’Enza, Danze di sagra, Serenata d’aprile, suite dal balletto, Valzer triste nell’aria, Serenata per archi, Sinfonietta, Tema e variazioni, Sogni del tempo lontano per pianoforte, Tre storielle della vecchia fattoria per violino (anche per violino e pianoforte), Il ruscello per viola (anche per violoncello e pianoforte e per viola e pianoforte), L’ospite offesa e Il gendarme dalle calze rosse per violoncello (anche per violoncello e pianoforte); musica da camera, quartetto, Giochi di bimbi sul sagrato, Sonatina e altro per violino e pianoforte; inoltre, composizioni per arpa e per due arpe, pezzi per organo, pezzi per pianoforte (una raccolta di preludi, Marionette), pezzi per duepianoforti; liriche (anche con orchestra) e cori maschili; trascrizioni e revisioni di composizioni di Schumann, Mendelssohn, O.Vecchi, F.Chopin e F.Paër. La sua produzione musicale è caratterizzata da freschezza e serenità gioiosa e sognante, sorrette da sicura eleganza e da profonda cultura.Direttore d’orchestra esperto e sensibilissimo, il Martini diresse nelle principali città italiane e all’estero opere e concerti, cogliendo ovunque prestigiosi successi. Alla passione per la musica ilMartini accomunò l’amore per la letteratura: fu poeta e scrittore brillante, che seppe tradurre negli scritti la stessa armonia delle sue note strumentali e canore.Tra i suoi libri vanno ricordati Bel tempo andato, Locanda delle sette note, Ricordi di un musicista (Magenta, 1959), Variazioni sul melodramma (Magenta, 1962), Vita di un musicista parmense, Intermezzi verdiani, Lezioni di grammatica musicale antica e moderna. Socio e sostenitore dell’Istituto del Nastro azzurro, il Martini compose l’Inno del nastro azzurro.Fu insignito dell’Ordine di cavaliere al merito della Repubblica.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 11979, 92; G.Marchesi, Renzo Martini.Qualche memoria, Parma, 1981; Dizionario Musicisti, UTET, 1986, IV, 689; Gazzetta di Parma 4 gennaio 1979, 5.
MARTINI UMBERTO
Traversetolo 2 maggio 1908-Hauzien 29 febbraio 1936
Nato da Virginio e da Gesuina Chierici.Volontario nella 2a Divisione Camicie Nere 28 Ottobre (180a Legione, 180° Battaglione), nel combattimento dei Roccioni di Debra Amba (seconda battaglia del Tembien) del 28 febbraio 1936 rimase gravemente ferito.Trasportato a Hauzien, nell’Ospedale da campo n.215, vi morì il giorno seguente.Venne sepolto nel Cimitero Medaglia d’oro Padre Giuliani al Passo Uarieu.Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare con la seguente motivazione: In combattimento dava ripetute prove di ardimento e coraggio finché cadeva sul campo.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’Impero, 1937, 250; Decorati al valore, 1964, 126.
MARTINI VALERIO Parma giugno/dicembre 1930-Parma 12 maggio 1995
Nacque da una famiglia di agiate condizioni: il nonno era stato gerente titolare di ufficio postale, la nonna e la madre, entrambe insegnanti, potevano vantare segnalati meriti nel campo didattico (in particolare la nonna, poetessa e cultrice di lettere latine e greche).Dal padre, il Martini ereditò la predisposizione al disegno.Dopo aver frequentato gli istituti La Salle e Toschi a Parma, il Martini svolse attività di insegnante e istruttore presso diverse autoscuole, fino a rendersi indipendente come titolare di autoscuola.Ma non smise mai di applicarsi davanti al cavalletto, interessandosi pure di modellistica aerea e nautica e di altri aspetti del disegno tecnico e di animazione.Ebbe un momento di notorietà quando alcune sue vignette, schizzate in fregio e trasmesse ad amici di New York, vennero di proposito inoltrate agli studi di Walt Disney. Questi, avendo subito intuito le genuine qualità del Martini, lo invitò in California.Ma il Martini, sia allora che in seguito per altre occasioni di lavoro che avrebbero necessariamente richiesto il trasferimento in grandi centri, non volle abbandonare Parma. Sul piano artistico ottenne significativi riconoscimenti dalla critica, grazie alla mostra intitolata Parma di ieri: ambiente e personaggi, voluta principalmente da amici ed estimatori.In tale occasione Gianni Cavazzini scrisse sulla Gazzetta di Parma: Gli acquerelli di Martini assumono il significato di testimonianza d’un passato sempre conteso fra realtà e fantasia, sempre aperto alle domande sul presente.Il Martini, con le sue interessanti illustrazioni grafiche, fu anche un valido collaboratore della Gazzetta di Parma, di Parma Bell’Arma, di riviste e periodici.
FONTI E BIBL.: P.Tomasi, in Gazzetta di Parma 17 maggio 1995, 18.
MARTIN LOPEZ FRANCESCO MARIA
Parma 2 agosto 1772-Parma 22ottobre 1822
Nell’Archivio di Stato di Parma si conserva del Martin Lopez il progetto preliminare (Cirillo-Godi, 1984, p.155, f. a p.164) del Monumento funebre di Ferdinando di Borbone eretto nell’Abbazia di Fontevivo, datato 1803, che fu donato da suo nipote il 12 maggio 1871, dopo essere stato esposto in Accademia nel 1862 (G.B.Janelli, 1877, 499).Risulta privo del parato di fondo con lesene e architrave, mentre nella parte alta mostra decorazioni diverse, al centro un’urna nuda altrettanto diversa, su di un basamento più alto, e ai lati due vasi pure diversi e più bassi. Un altro progetto (nella Biblioteca Palatina di Parma) venne invece realizzato compiutamente, a cura del marchese Cesare Ventura entro l’8 ottobre 1804 con marmi provenienti da Colorno, se si esclude il particolare dei due bassorilievi con Virtù nell’architrave a sinistra.La Palatina possiede pure uno schizzo con le misure (ms. Parm.3715, fasc.3, n.13), che fu di proprietà di Emilio Bertoluzzi e nel 1840 passò a Gaetano Negri. Sull’impresa architettonica si conserva una memoria di Pietro De Lama (ms.1805 in Biblioteca Palatina): l’avello erettogli per ordine del Re Lodovico I d’Etruria suo figlio sul disegno, e colla direzione del Sig.Francesco Lopez è eseguito con somma precisione e gusto, e fa fede che anche fra noi si maneggia maestrevolmente sì lo scalpello, che il cisello, singolarmente quando si è diretto da persone capaci. È tutto di marmo statuario Carrarese colli fondi di Bardiglio, e costanze critiche lo hanno vietato.Preso però insieme non fa tutto l’effetto, che pareva dover produrre sembrando un poco tozzo a chi non riflette che rappresenta un edificio sotterraneo. Il Martin Lopez, allievo del petitotiano Luigi Feneulle, partecipò nel 1792 al concorso per il Progetto d’Architettura in Accademia (lettera autografa del 4 giugno 1792in archivio privato) e praticò la professione non a tempo pieno, alternandola con un’attività commerciale. Quale ricompensa per il Monumento funebre a Ferdinando di Borbone, il Martin Lopez ebbe duecento francesconi e un orologio d’oro.
FONTI E BIBL.: De Lama, 1811, ediz.1986, 205; Mantelli, 1830-1867, f.o 137 ve.; Mantelli, 1830-1867, v.3, f.o 344, v.6, f.o 214; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 499; G. Cirillo-G. Godi, 1984, 155; A.Musiari, 1986, 254, nota 249; Disegni della Biblioteca Palatina, 1991, 259.
MARTINO Parma 1049 Fu Canonico e Arciprete della Cattedrale di Parma nell’anno 1049.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 580.
MARTINO
Berceto 1212
Magister Martinus è ricordato in una pergamena originale del 7 settembre 1212, vista dall’Affò nella Rocca di San Secondo (I. Affò, Storia di Parma, Vol.III, 7, nota b), nella quale si dice che il vescovo Obizzo, a istanza del Maestro Martino arciprete di Berceto, assolve gli abitanti di Casacca e Pagazzano dal concorrere alle fazioni per il risarcimento della Rocca di Pietramogolana, presente tra gli altri Simone, dottore di Leggi (rogito di Bernardo, notaio imperiale). Al tempo in cui probabilmente era ancora arciprete Martino, lo stato della Pieve di Berceto, secondo il Rotolo delle decime (1230) del vescovo Grazia, era il seguente: la chiesa di Berceto pagava di decime più di ogni altra chiesa della Diocesi e quanto la stessa Cattedrale di Parma (31libbre di Parma) e il territorio di essa abbracciava le cappelle di Fugazzolo, Casaselvatica, Piolo, Castellonchio, Casacca, Pagazzano, Lozzola, Bergotto, Pietra di Barcio, Pietra Mugolana, l’Ospizio di Roncallio e l’Ospizio della Cisa.
FONTI E BIBL.: G.Schianchi, Berceto e i suoi arcipreti, 1927, 19-21.
MARTINO
Berceto 1251
È ricordato in una pergamena dell’Archivio Capitolare di Parma del 30 giugno 1251, dove si legge che Martino, arciprete della pieve di Berceto, e i canonici di essa Bendidio, maestro Gherardo e Benedetto, vista la lettera apostolica sopra la conferma del canonicato della stessa pieve in forza della quale Nantelmino, figlio di Guglielmo di Castroparado, sotto certa forma ne era stato investito da Alberto, vescovo piacentino, con speciale mandato del Papa, e vista l’altra lettera, diretta all’arciprete di Parma, di ammissione e conferma del suddetto Nantelmino, lo accettarono col bacio di pace quale canonico e fratello della stessa pieve.Furono presenti all’atto il venerabile padre Alberto, eletto parmense, il maestro Martino,prevosto di Parma e cappellano del Papa, Guittone, arciprete di Cusignano, e molti altri (rogito di Pietro da Castelnovo, notaio del Sacro Palazzo in Berceto, nel chiostro della pieve).
FONTI E BIBL.: G.Schianchi, Berceto e i suoi arcipreti, 1927, 21-22.
MARTINO
Parma 1519
Fu pittore in Roma.Il 5 gennaio 1519 è ricordato in un pagamento per aver dipinto alcune stanze nei palazzi vaticani.
FONTI E BIBL.: A.Bertolotti, Artisti parmensi in Roma, 1883, 88.
MARTINO DA COLORNO
Colorno seconda metà del XII secolo-Parma novembre/dicembre 1243
Di stirpe non molto chiara, come attesta Fra Salimbene, fin dal 1216 fu canonico, massaro e tesoriere della Cattedrale di Parma (pagava per il beneficio goduto 11libbre parmigiane di decime).Già compreso dal 1211 tra i dottori e pubblici professori della scuola di Parma, insegnò Diritto canonico e fu universalmente stimato per la sua dottrina.Godette di grande fama anche presso il vescovo Obizzo: come suo giudice, sentenziò nel 1222sopra i confini e le competenze tra le pievi di San Pancrazio e di Castelnuovo. La fama del Martino si estese anche fuori di Parma e difatti lo stesso pontefice Gregorio IX (con sua lettera del 5 settembre 1227) lo invitò a recarsi presso il vescovo di Modena perché, essendo state fatte nei tempi passati vendite, donazioni e infeudazioni dai vescovi predecessori senza il consenso del Capitolo, si adoperasse per far ritornare legittimamente in proprietà dello stesso i beni venduti, donati e infeudati.Il 3 novembre 1229il prevosto della Cattedrale di Parma e l’arciprete Ruggiero della chiesa di Fornovo fecero un compromesso per terminare una lite vertente intorno alla chiesa di Qualatola, obbligandosi di stare alla decisione del Martino, canonico di Parma, e di Enrico di San Nicolò. Morto il vescovo Gregorio, insorse la vecchia contesa dei Vicedomini pretendenti la custodia del palazzo vescovile, mentre Tancredi Pallavicino, abate del monastero di San Giovanni, il prevosto diBorgo San Donnino e altri beneficiati mossero lite per avere voce nell’elezione. Allora il prevosto e il Capitolo di Parma si rivolsero a Gregorio IX perché intervenisse.Con sua lettera da Viterbo del 19 maggio 1237 il Papa invitò il vescovo Alberto di Modena a convocare e a udire le parti.Ma nel frattempo, il Capitolo e l’abate di San Giovanni si accordarono per eleggere a nuovo vescovo il Martino. Non è dato sapere il mese e il giorno preciso dell’elezione del Martino ma è certo che il 13 di novembre era già eletto poiché in tal giorno confermò al Capitolo della Cattedrale i diritti antichi sopra i benefici, le persone, le chiese e i dipendenti e circa la soppressione, la scomunica e l’assoluzione dei suoi dipendenti. Il 14 gennaio 1238 il Martino non era più semplice Eletto bensì Vescovo e in quel giorno acquistò a favore della Mensa vescovile una pezza di terra di 33 biolche posta nelle pertinenze di Colorno dai fratelli Ugo e Vernaco, figli di Manglaroto, al prezzo di 6 lire di Parma per bifolca. Prima cura del Martino fu quella di prendere in mano l’amministrazione dei beni del Palazzo vescovile.Subito chiamò a sé, il 31 gennaio 1238, alcuni Borghigiani perché riconoscessero i beni feudali ricevuti dal vescovo Grazia e alla presenza dei suoi canonici, come si richiedeva dalle ordinazioni pontifice, li investì del feudo, cioè delle decime di tutte le terre e possedimenti nelle pertinenze di Borgo San Donnino e di Bargone, promettendo essi, come vassalli e dopo aver prestato giuramento, di dare annualmente nella festa di Tutti i Santi quattro staia di sale, due di Salso e due di Cervia.Lo stesso giorno Guglielmo dell’Ospedale di Borgo San Donnino giurò fedeltà al Martino per aver ricevuto in feudo certe terre, dopo averle rassegnate nelle mani del nuovo Vescovo. Il 14 febbraio 1238 nel palazzo vescovile frate Pietro rassegnò la rettoria e l’amministrazione della casa e chiesa di San Francesco, tanto delle cose temporali quanto delle spirituali, nelle mani del Martino che, accettando, assolse e diede licenza a frate Pietro di passare ad altro luogo e ad altra religione.Con altro atto dello stesso giorno Iacopo, massaro dell’Ospedale e chiesa di San Francesco e i frati tutti, colla licenza del Martino, concessero a frate Pietro la chiesa di Santa Maria Maddalena, posta nel pievato di Basilicanova, insieme a tutti i diritti spirituali e i diritti delle decime e delle decimazioni sulle terre vendute a Sopramoggio, con l’onere di una libbra di cera nuova. Qualche mese dopo (21 maggio 1238), alla presenza del Martino, Sopramoggio cedette alla chiesa di Santa Maria Maddalena e a frate Pietro le cinque pezze di terra che aveva acquistato dai frati di San Francesco, dotando la chiesa stessa di tutte le possessioni sopradette e riservando per sé e per i suoi eredi il giuspatronato, per modo che a lui e ai suoi successori spettasse di presentare il rettore.A tutte queste disposizioni il Martino diede il suo consenso. Il 4 aprile 1238 il Martino acquistò privatamente tre pezze di terra nelle pertinenze di Colorno e di Sanguigna da Arlotto, mansionario della Cattedrale di Parma, e l’11 di maggio Ugone Grilli di Casaltone e Berta, sua moglie, fecerunt finem et refutationem al Martino e al Palazzo vescovile di due pezze di terra poste nella giurisdizione di Colorno.Parimenti il 6 giugno il Martino diede in usufrutto ad Andrea Benze, per 29 anni, le terre che possedeva il palazzo vescovile, insieme alle decime, in quel di Poviglio, coll’onere di una libra di cera nuova da pagarsi nell’ottava di Santa Maria d’agosto.Come pure, il 29 luglio dello stesso anno, concesse a Filippo, prete, il frutto delle decime per 29 anni delle terre poste nella parrocchia del Castellaro, coll’obbligo per sé e i suoi successori di dare due libre di cera nuova nell’ottava di Maria Assunta (15 agosto).L’imperatore Federico II, disceso in Italia e portatosi nel Regno di Sicilia per liberarla dai Saraceni, oppresse e spogliò le chiese, impedì l’elezione dei vescovi e degli abati imprigionando coloro che ne difendevano i diritti, come pure i sostenitori dei diritti della Sede Apostolica. Il pontefice Gregorio IX richiamò l’attenzione dell’Imperatore sopra gli abusi commessi e a tal fine incaricò il vescovo Ermanno di Würzburg, Landolfo di Worms, Giacomo di Vercelli e il Martino, come suoi delegati, di recarsi presso l’Imperatore per ammonirlo dei gravami imposti alle chiese d’Italia e più specialmente di Sicilia. I quattro vescovi si portarono a Cremona, ove si trovava l’Imperatore, hesitantes si monita nostra patienter acciperet, aggiungendo che, dopo la lettura dei capitoli di accusa, l’Imperatore in admirabili devotione et insperata humilitate se monitis nostris pronum exhibuit inclinata imperialis audientia dignitatis. Le risposte imperiali ai diversi quesiti furono rese note dai delegati in presenza di molti vescovi, abati e frati dell’Ordine dei Predicatori e dei Minori, se ad unionem et pacem paratum ostendendo, e dichiararono sub fido, testimonio tenore praesentium l’esito dell’ambasceria. Niente affatto convinto dall’atteggiamento dilatorio tenuto dall’Imperatore e pensando d’altra parte che il tardare sarebbe stato di grave danno alla Chiesa e alle città d’Italia e specialmente della Lombardia, il 20 marzo 1239 papa Gregorio IX lanciò contro di lui la scomunica ob causas ibidim seriatim expressas, che, con qualche aggiunta, sono le stesse che, come monito, gli erano state presentate sino dal 28ottobre 1238 dai vescovi di Würzburg, Worms, Vercelli e Parma, sciogliendo in pari tempo dall’ubbidienza coloro i quali gli avevano giurato fedeltà. Federico II nel gennaio 1239 si trovò presso Parma e in tale occasione confermò a favore dei suoi fedeli di Avignone tutte le loro consuetudini e usi e li ricevette sotto la sua protezione, con qualche riserva a favore dell’Impero.Tra i testimoni che sottoscrissero il rescritto imperiale vi fu il Martino.Il 12 novembre 1239 Crisopola Sablaneti di Giarola chiese tutela amministrativa per il figlio Giacobino al Martino, il quale diede cum decreto suam auctoritatem.Il 7 gennaio 1240 ricevette il giuramento di fede da Matteo e Ugo da Enzola, quali vassalli del palazzo vescovile, già investiti dal vescovo Obizzo.Il 4 gennaio concesse in locazione per 29 anni certe terre del Palazzo vescovile nelle pertinenze di Campegine ai fratelli Giovanni e Bartolomeo di Guido Arlotto con l’onere di due libbre di cera all’anno.Il 6 febbraio il Martino, Vescovo di Parma e Conte, diede in locazione per 29 anni a Giacomino de Crovata, che dimorava a Campegine, le decime e il jus decimationis dei frutti di tutte le terre possedute in Campegine, con l’onere di una libbra di cera all’anno nell’ottava di Santa Maria Assunta. Altra locazione concesse il 6 giugno per 29 anni interi a Uberto e Obizzo di Curado Scarpa per le decime, il diritto di decimazione e ogni sovvenzione di tutte le terre poste in xixano di Monte Salso per sei soldi parmigiani da pagarsi nell’ottava di Santa Maria di Agosto.Finalmente il 9 luglio, pure per 29 anni, diede in affitto una pezza di terra di diritto del Palazzo vescovile presso il castello di Fugazzolo, con l’obbligo di dare una mina di frumento col colmo, bello e senza frode in pena duplicata, a certo Augusto nell’ottava di Santa Maria d’Agosto.Dopo la solenne scomunica lanciata da Gregorio IX, alcune città italiane cominciarono a parteggiare per i guelfi (Bologna, Venezia, Ravenna e la Marca trevigiana) e il Papa il 9 agosto 1240, da Grotta Ferrata, invitò tutti i vescovi cattolici a portarsi a Roma, ove intendeva tenere un Concilio.Tra i vescovi invitati personalmente, si trova il Martino. Il 15 ottobre dello stesso anno GregorioIX si rivolse ancora ai vescovi cattolici affermando che, quantunque l’imperatore Federico incutesse timore e vietasse colla forza ai prelati di recarsi presso la Santa Sede, facessero quanto era in loro potere di trovarsi a Roma nella Festa di Pasqua del 1241.Anche in questa occasione il Martino fu invitato direttamente. Il 1° dicembre 1240 il Martino diede in locazione per 29 anni ai fratelli Giovanni e Frogerio quattro biolche di terra in Poviglio e in affitto le decime, i frutti delle decime e i diritti di decimazione della stessa terra, coll’obbligo di pagare come affitto una libbra di cera nuova per il Santo Natale.In una vertenza tra il Martino e i conti Platoni venne eletto giudice Guglielmo degli Egidi, il quale il 23 febbraio 1241 decise che le 50 libbre imperiali versate al vescovo Obizzo erano state date come garanzia per l’investitura di Pietra Mogolana e che perciò il Martino era tenuto a restituirle.Sinibaldo Fieschi, già canonico della Cattedrale di Parma, venne creato pontefice col titolo di Innocenzo IV nel giugno 1243. A conoscenza delle cose parmensi, rimproverò il Martino e lo sospese dall’amministrazione delle cose sacre per la troppa prodigalità e perché dilapidava i beni della sua Chiesa (da Anagni, 15ottobre 1243). Quasi certamente il Fieschi volle riferirsi al fatto che il Martino, vessato da liti interminabili col Comune di Parma, aveva preferito ratificare l’avvenuta usurpazione di molti beni del Vescovado. È tradizione che il Martino, afflitto per tale solenne rimprovero ricevuto dal Pontefice, ne morisse di dolore: Item eodem anno (1243) Episcopus Martinus Parmensis obiit.Fu sepolto, come afferma il da Erba, nella Cattedrale di Parma.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 77-80; Colorno.Memorie storiche, 1800, 70-71; N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 206-215.
MARTINO DA PARMA, vedi CASALODI MARTINO
MARTINO CASALOLDO, vedi CASALODI MARTINO
MARTINO CINZIO, vedi MARTINI CINZIO
MARUBBI LUIGI
Terenzo 1896 c.-post 1938
Figlio di Esiodo e di Maria Bercelli.Caposquadra del 5° Reggimento Camicie Nere, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Slanciandosi avanti coraggiosamente in testa alla propria squadra, la trascinava con l’esempio all’assalto di munitissime posizioni nemiche.Rimasto gravemente ferito, continuava fino all’esaurimento delle forze, ad incitare i propri dipendenti ed incoraggiare numerosi camerati feriti, rifiutando energicamente le prime cure, per non distrarre energie dalla lotta.Fulgido esempio di alto senso del dovere e di provata fede fascista (Alcaniz, 19 marzo 1938).
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.
MARUBBI PAOLO
Pellegrino Parmense 1917-Zona di Popowka 20 gennaio 1943
Figlio di Giuseppe, Tenente del 2° Alpini, Battaglione Borgo San Dalmazzo, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di compagnia di provato valore, già decorato di medaglia di bronzo al valor militare, instancabilmente si prodigava per mantenere salda la compattezza del suo reparto in aspre azioni di ripiegamento.Durante un cruento attacco contro preponderanti forze nemiche, dava prova di non comune coraggio e di sprezzo del pericolo.Ferito, rifiutava ogni cura, non abbandonava il suo posto di comando e persisteva nella lotta impari con audacia indomita alla testa dei suoi valorosi alpini.Sopraffatto, rimaneva disperso.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1950, Dispensa 1a, 98; Decorati al valore, 1964, 104.
MARUBBI RENZO
Terenzo 1922-Seleni Jar 16 gennaio 1943
Figlio di Luigi. Alpino dell’8° Alpini, Battaglione Gemona, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Porta arma tiratore, posto a difesa di un tratto di caposaldo fortemente difeso da armi automatiche, ferito durante un attacco nemico portato con forze soverchianti, rifiutava di essere medicato e continuava la lotta incitando i compagni con l’esempio e con la parola.Colpito mortalmente da una scheggia, cadeva sull’arma già bagnata del suo sangue.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1947, Dispensa 29a, 3004; Decorati al valore, 1964, 122.
MARUSI GIUSEPPE
Parma seconda metà del XIXsecolo
Pittore di storia, fu attivo nella seconda metà del XIXsecolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, X, 103.
MARUSI TERENZIANO
Vigheffio 8 ottobre 1868-post 1931
Fu allievo del Conservatorio di Parma, ove nel 1893 si diplomò in composizione.Studiò privatamente il pianoforte sotto la guida di Italo Azzoni e organo con Guglielmo Mattioli, conseguendo poi il diploma in questo strumento nel 1913nel Liceo musicale di Bologna.Diresse per vari anni le funzioni servite da musiche corali del Duomo di Parma e della chiesa Magistrale della Steccata di Parma, passando quindi a dirigere la cappella musicale di Gallarate che tenne per sei anni.Poi per altri tre anni fu alla Basilica Prepositurale di San Vittore a Varese e quindi, in qualità di vice direttore, alla cappella musicale del Duomo di Milano.Si dedicò specialmente alla composizione di musica sacra, corale e madrigalistica, componendo anche una Messa da requiem a otto parti reali col Dies irae per intero.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 128.
MARVISI PIETRO
Gavazzoli di Noceto 1866
Contadino.Fante decorato con medaglia d’argento al valore militare dopo la battaglia di Custoza, con la seguente motivazione: S.M.il re ha conferito la medaglia d’argento al valor militare, con l’annesso soprassoldo di lire cento annue, al soldato Marvisi Pietro perché, quantunque ferito, continuò a combattere animando gli altri.Custoza 24 giugno 1866.
FONTI E BIBL.: G.Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 303.
MARZAROLI ALESSANDRO
Parma 8 gennaio 1868-Parma 4 gennaio 1951
Figlio di Cristoforo, ereditò dal padre, del quale rimase orfano a soli tre anni, l’amore per le belle arti: fu infatti scultore reputato e valente pittore.Compì gli studi alla Scuola di Belle Arti di Parma, dove ebbe come maestro Agostino Ferrarini, licenziandosi con le migliori votazioni e ottenendo in seguito il conferimento ad honorem del titolo di professore, a riconoscimento del particolare valore e significato della sua produzione artistica.Vinto nel 1913 a Roma il concorso per l’insegnamento di plastica, ottenne il posto alla stessa Scuola parmense di Belle Arti e fu stimato professore per ventisette anni, pur continuando a dedicarsi all’attività artistica, eseguendo un rilevante numero di opere di scultura. Tra le sculture eseguite per Parma sono da ricordare le figure poste agli angoli del Salone delle Poste, il Busto di Pellegrino De Strobel (Università), il Monumento ai Caduti di Adua (Portico del Municipio), il busto in gesso di Cesare Battisti, opera spiritualmente intensa, e soprattutto la singolare figura di Filippo Corridoni colpito a morte collocata sul basamento del Monumento ideato dall’architetto Monguidi nel 1927.Fu pure impiegato nell’opera grandiosa del Monumento nazionale a Verdi: alcune statue (Traviata, Alzira e Masnadieri) furono da lui modellate sulla scorta dei bozzetti dello Ximenes. Nel cimitero di Parma realizzò il Monumento della Famiglia Bocchi, quello della Famiglia Calvi, il Busto al patriota Pecchioni, il Monumento Varoli e l’Edicola dedicata a Tito Manzini, a Colorno il monumento della Vittoria, a Sala Baganza il monumento ai Caduti, a Salsomaggiore il medaglione dedicato a Edoardo Porro e a La Spezia varie statue che decorano palazzi della città.Spirito sinceramente democratico e amante della libertà, saldo nelle sue idee e nei suoi principî, non volle mai piegarsi al fascismo e per questa ragione fu boicottato nella sua attività artistica.Molte sue opere in bronzo furono distrutte al tempo della seconda guerra mondiale per farne ordigni bellici e altre gli furono sottratte con pretesti da persone le quali profittarono della sua buona fede e della grave infermità visiva che lo colpì negli ultimi anni di vita.Non inferiore al padre nell’arte plastica, nella quale manifestò ingegno vigoroso e fine sentimento, si formò alla scuola dei classici e le sue opere sono degne di ammirazione per forza espressiva, finezza di modellato, equilibrio e armonia delle parti. Il Marzaroli derivò dal maestro Ferrarini la freschezza e la sicurezza del plasticare e insieme il gusto di un modellato tondeggiante e morbido, di declinante ispirazione romantica.Ma nella sua vita artistica vi fu a un tratto un’evoluzione verso altre forme plastiche più ricche e varie.La comparsa in Parma del dinamico scultore siciliano E.Ximenes determinò, e non solo nel Marzaroli, un indirizzo estetico nuovo, una specie di realismo non immune da una certa nobiltà.Il suo temperamento, per natura classicheggiante, gli impedì di essere travolto dalla furia inesauribile del plasticismo ximeniano.Però lo Ximenes lo trasse fuori dal chiuso ambiente parmense e lo immise nel ciclo più ampio dell’arte nazionale. Lasciato l’inegnamento per raggiunti limiti di età, si dedicò alla pittura e fu autore di numerosi dipinti, prevalentemente paesaggi e vedute di Parma.
FONTI E BIBL.: Parma per l’Arte 2 1951, 90; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 256-257; E.Contini, Prima indagine sul Déco emiliano, in Il liberty in Emilia-Romagna, Bologna, Grafis, 1977; Cristoforo Marzaroli scultore 1836-1871, Introduzione critica di Franco Solmi.Catalogo della mostra, Salsomaggiore, 10-28 giugno 1987; Aurea Parma 3 1987, 267; AlessandroMarzaroli scultore, 1987, 87-88.
MARZAROLI CRISTOFORO
Salsomaggiore 13 marzo 1836-Parma 23 febbraio 1871
Figlio di Luigi, oliaro, e di Giuditta Busani, cucitrice.Di umilissime origini, fece da ragazzo il custode di pecore, modellando dal vero, durante le lunghe soste sui colli salsesi, figure di creta per assecondare la naturale inclinazione alla scultura.Un francese giunto a Salsomaggiore a compiervi esperienze e speculazioni sulle acque saline, Alexandre Adhémar, rimasto colpito dalla singolare attitudine artistica del Marzaroli, lo pose a lavorare in una sua fabbrica di scodelle per assicurargli un migliore trattamento economico e dargli la possibilità di dedicarsi con più impegno e serietà all’attività che gli era congeniale.Ma il suo maggiore estimatore e benefattore il Marzaroli lo ebbe nel farmacista Mariano Pigorini, che si prese cura di lui (divenuto nel frattempo orfano di entrambi i genitori) con l’affetto di un padre ospitandolo nella sua casa e procurandogli un maestro in Giuseppe Barilli.In seguito, per interessamento dello stesso Pigorini, ilMarzaroli potè essere ammesso all’Accademia di Belle Arti di Parma, dove ebbe a maestro il Ferrarini, sotto la cui guida si applicò con metodo al disegno e al modellato.Nel 1857 il Monte di Pietà di Salsomaggiore, al quale il Marzaroli aveva donato una Madonna, copia del Donatello, gli assegnò una pensione annua, mentre un altro suo benefattore fu l’avvocato Lodovico Sozzi, che si associò al Pigorini nel sostenerlo e proteggerlo. Nel 1859 il Marzaroli fu sui campi lombardi a combattere conGaribaldi contro l’Austria. All’Accademia si affermò come uno dei migliori allievi e i suoi meriti furono riconosciuti con l’assegnazione di una medaglia d’oro per una mezza figura al naturale in bassorilievo e di una medaglia d’argento per una statuetta di donna.Un’altra medaglia d’argento gli fu conferita dalla Camera di Commercio e Arti di Parma nel 1863 per una statua in gesso raffigurante il Parmigianino, che con il Cane accosciato e un San Sebastiano va considerata tra i saggi più importanti della sua istruzione accademica.I continui progressi e i saggi impegnativi presentati gli consentirono di recarsi nel 1865 a Firenze quale alunno pensionato dell’Accademia insieme con Cecrope Barilli, cui si legò d’amicizia fraterna.Tornato a Parma pieno di speranze e contratto matrimonio con Alzira Aiolfi, si trovò invece a dover nuovamente lottare contro le dure necessità della vita, finché Pietro Martini, segretario dell’Accademia, lo trasse dalla precaria situazione ottenendogli un lavoro dal conte Luigi Sanvitale, il quale glielo retribuì largamente.Il nobiluomo gli affidò poi, agli inizi del 1868, l’incarico di eseguire un busto della moglie Albertina, da poco deceduta, e la scultura piacque tanto al Sanvitale da indurlo a valersi dell’opera del Marzaroli anche per il Cenotafio di Albertina da collocarsi nella chiesa di San Giovanni Evangelista. In quel periodo, assalito da un violento attacco della tisi che lo minava, fu costretto a una lunga degenza.Ristabilitosi, riprese la propria attività e nel 1870 (1a Esposizione Artistica Nazionale) gli fu conferita la medaglia d’oro per la Nostalgia. Pochi mesi dopo, consumato dal male, si spense a soli 34 anni di età.La sua salma fu inumata a Parma, ma s’ignora in quale punto del cimitero, probabilmente perché le ossa del Marzaroli furono in seguito tolte dall’avello per essere gettate in uno degli ossari comuni.La produzione del Marzaroli, per la brevità della sua vita, fu molto limitata e di lui, oltre alle opere citate, non rimangono che la statua dell’insigne concittadino Giandomenico Romagnosi (1860), esposta all’Università di Parma, un busto del pittore Francesco Scaramuzza (1864), che è proprietà della famiglia Pelizza di Parma, La strega (1866), in dotazione del Museo parmense di Antichità, una Figura di donna (1868), che sovrasta a Parma uno dei basamenti della Barriera Nino Bixio, e il Ritratto del figlio Alessandro, che, inviato nel 1869 all’Esposizione di Parigi e non più restituito, finì col divenire proprietà della famiglia Aiolfi di Roma. La Strega è un esempio eccezionale di realismo esasperato e da sola quest’opera, con quello scavo chiaroscurale che evidenzia e deforma mani, piedi, volto di una vecchia accucciata accanto a umili arnesi di cucina, facendone il simbolo stesso del dolore, della fatica e del tempo inesorabile, vale una consacrazione critica. Suo capolavoro rimane però La Nostalgia (Parma, Museo Nazionale di Antichità), eseguita nel 1864 durante il pensionato a Firenze e raffigurante una giovane donna distesa in atteggiamento pensoso.L’Ismaele nel deserto (rilievo), conservato nell’Istituto d’Arte di Parma, andò distrutto nel bombardamento aereo del 13 maggio 1944.Con Tomaso Bandini e Agostino Ferrarini il Marzaroli forma la triade dei maggiori scultori parmensi dell’Ottocento.Il primo palesò forse più finezza di modellato e il secondo uno stile più deciso ma il Marzaroli li superò quanto a sentimento e altezza d’ispirazione.Fu dei tre, ben osserva il Copertini, lo scultore-poeta: la fantasia lo sorresse e gli fece vagheggiare immagini e atteggiamenti nuovi, di una delicatezza fine e sostenuta, pur indulgendo a un naturalismo che, talvolta, può apparire a prima vista eccessivo. Il Marzaroli rappresentò il romanticismo, cercando un’immediatezza di stile che permettesse la più diretta espressione dei sentimenti, la composizione vibrata e commossa al servizio di una nuova e più carica fantasia.Rimase però sempre ligio alle forme idealizzate della scultura accademica.
FONTI E BIBL.: A. Rondani, Scritti d’arte, Parma, Grazioli, 1874; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 246-247 e 523; C.Pirani, Cristoforo Marzaroli, Tip.Luigi Battei, Parma, 1886; Brunialti, Annuario Biografico Universale, 1887, 265-266; L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 273; G.Copertini, Cristoforo Marzaroli, Salsomaggiore 1954; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 257-260; M.Pellegri, Boudard Statuario, 1976, 173; M.Bonatti, Biografia di un artista, in Cristoforo Marzaroli scultore 1836-1871, Salsomaggiore, 1987, 17-22; A.Pierantoni, Lettera a Cristoforo Marzaroli, in Gazzetta di Parma 8 luglio 1865; P.Martini, D’una statua rappresentante la Nostalgia e d’altri lavori di Cristoforo Marzaroli, in Gazzetta di Parma 10 luglio 1865; Cristoforo Marzaroli, in Gazzetta di Parma 23 febbraio 1871; P.Bettoli, Cristoforo Marzaroli, in Il Nuovo Patriota 7 marzo 1871; P.Martini (a cura di), Il nome di Cristoforo Marzaroli, in Gazzetta di Parma 9 marzo 1871; P.Martini, Cristoforo Marzaroli, in Il Primo Congresso Artistico Italiano Parma, 1871, 291-293; C.Pigorini Beri, Cristoforo Marzaroli.Lettere a Giulio Monteverde, Parma, 1871 (ristampa di articoli pubblicati in Gazzetta di Parma 23-30 marzo 1871); L.Pigorini, Cristoforo Marzaroli, in Gazzetta di Parma 27 febbraio 1871; C.Ricci, La Galleria di Parma, Parma, 1896, 170, 265, 322; C.D.Faroldi, Cristoforo Marzaroli, in L’Avvenire d’Italia 20 gennaio 1939; G.Copertini, Cristoforo Marzaroli lo scultore della Nostalgia, in Archivio Storico per le Province Parmensi IV, 1952, 151-197; E.Contini, Aspetti della scultura liberty in Emilia Romagna, in Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna, 207, 448; P.Ceschi Lavagetto, Cristoforo Marzaroli, scheda in L’abbazia benedettina di S.Giovanni Evangelista a Parma (a cura di B.Adorni), Parma, 1979; M.Bonatti Bacchini, Cristoforo Marzaroli scultore della Nostalgia, in Gazzetta di Parma 17 marzo 1986, 3; M.Bonatti Bacchini, Tra Salso e Parma l’arte dello scultore Marzaroli, in Gazzetta di Parma 4 maggio 1987.
MARZAROLI MANLIO
Parma 1894 c.-ante 1951
Figlio di Alessandro.Fu anch’egli scultore di buon valore.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 582.
MARZIANI GIROLAMO
Busseto 1523/1533
Figlio di Melchiorre, si distinse come giureconsulto, podestà di Borgo San Donnino nel 1523 e auditore generale dello Stato di Busseto nel 1533.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 260.
MARZIANI SIGISMONDO
Busseto-1784
Fu cavallerizzo di campo dell’infante duca di Parma Ferdinando di Borbone.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 260.
MARZOCHI ANNIBALE, vedi MAZZOCCHI ANNIBALE
MARZOLARA MADDALENA, vedi ROSSI MADDALENA
MASARENGO, vedi MASSARENGO GIOVANNI
MASCARETTI ALESSANDRO
Pianello Val Tidone 1827-1871
Fu eletto nel 1859 deputato all’assemblea dei rappresentanti del popolo in elezioni supplettive.Prese parte ai lavori parlamentari intervennendo più volte alle discussioni.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento: Parma, Roma, 1911; F.Ercole, Uomini politici, 1941, 267.
MASCHI ANNIBALE
Parma 1848
Medico, fu volontario nella guerra del 1848 nella 1a Colonna Parmense.
FONTI E BIBL.: U.A.Pini, Medici di Parma nel Risorgimento, 1960.
MASCHI FELICE
Parma seconda metà del XVII secolo
Scultore attivo nella seconda metà del XVIIsecolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 180.
MASCHI LUIGI
Parma 1857
Medico, fu autore di un trattato di anatomia e fisiologia cerebrale pubblicato nel 1857.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Bibliografia generale, I, 1973, 342.
MASCHI PIETRO
Parma 17 luglio 1786-
Nacque da Giuseppe e Fiorita Notari.Intraprese gli studi di medicina e fu allievo di Giacomo Tommasini.Prese parte alle campagne di guerra napoleoniche con il grado di Chirurgien sous aide du 1er Battaillon du 84ème Régiment d’Infanterie de Ligne. Nel 1817 fu nominato chirurgo di Corte della duchessa Maria Luigia d’Austria con uno stipendio annuo di cinquecento lire nuove diParma.Morta la Duchessa e rientrati i Borbone, gli venne rinnovata la patente di primo medico della casa reale di S.A. il Duca di Parma.In occasione del mortale attentato al duca Carlo di Borbone, il 26marzo 1854, fu tra i primi a soccorrerlo prestandogli assistenza fino al momento del decesso.
FONTI E BIBL.: A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 36.
MASI COSIMO
Firenze ante 1547-4 settembre 1600
Nobile fiorentino, con ventiquattro anni di fedele servizio, passato dal grado di paggio a quello di elemosiniere e poi di scudiero, divenne nel 1571 segretario generale del principe Alessandro Farnese. Pietro Fea, riconoscendo che una biografia dell’espugnatore di Anversa non sarebbe stata compiuta senza un accenno al Masi, che fu il suo più attivo, intelligente e autorevole collaboratore, gli dedicò qualche pagina e tra l’altro disse che in Fiandra egli godette la fiducia del suo Signore a tal segno che non soltanto fu depositario di tutti i suoi pensieri più segreti ma adempiva alle funzioni di un vero ufficiale di stato maggiore, aveva mano nell’amministrazione delle finanze, sbrigava da sé buona parte degli affari di stato di minore importanza e talora fu adoperato in negozi gelosi.Tornato a Parma, fu creato nel 1596, in premio della sua opera, conte di San Michele di Tiorre e due anni dopo conte di Felino, feudi che comprendevano ben tredici ville.Ma prima di questi acquisti, il Masi possedette terreni a Panocchia, Arola, Corcagnano e Vigatto e una grande possessione di 300 biolche, denominata Sant’Agata, presso Busseto, che rendeva L.14 la biolca e anche più.Da Laura Costa ebbe nove figli, il primo dei quali fu Giambattista. Gli ultimi anni di vita furono per il Masi pieni di tristezza, perché, carico di debiti, non riuscì a farsi pagare i crediti che vantava verso la Camera Ducale e la Corte di Spagna, perché il figlio Giambattista cominciò a dargli dei dispiaceri e specialmente perché, dopo la morte del duca Alessandro Farnese, il suo successore Ranuccio Farnese, che nello scegliere ministri e consiglieri seguì un criterio particolare, chiamando a sé uomini nuovi e devoti a lui solo, lo lasciò in disparte, dimostrando di non volersi valere della sua esperienza e della sua devozione.La stessa disgrazia toccò al conte Pomponio Torelli: il nuovo Duca non poteva amare dei servitori che ricordavano con rimpianto le virtù dell’antico padrone e, temendone il giudizio, non si fidò di loro.Anche per questa sorte comune, i due si vollero un gran bene (solacium miseri socios habere penantes) e nutrirono l’uno per l’altro la più sincera e alta stima.
FONTI E BIBL.: Crisopoli 5 1934, 392.
MASI GIAMBATTISTA
Parma 1574-Parma 19 maggio 1612
Figlio di Cosimo, conte di Felino, e di Laura Costa. Di pronto ingegno, frequentò lo studio di Roma perfezionandosi nella conoscenza delle leggi, della storia, della fisica e della metafisica.Fu un esperto schermidore e un valente cavallerizzo, suonava assai bene il liuto e s’intese di pittura, lesse molto e scriveva con somma facilità.Scrisse molte lettere a Clelia Torelli, la quale stava rinchiusa nel monastero di Sant’Agostino a compiere la sua educazione in attesa che il padre, il conte Pomponio, la togliesse di là per maritarla.Il Masi l’aveva conosciuta nel 1597 ma la speranza di farla sua sposa era nata nel suo cuore sin da quando, portatosi a Parma dalla Fiandra, l’intese nominare la prima volta: Molt’anni prima ch’io la vedessi fu mio primo pensiero d’haverla per moglie, restandomi poi sempre fisso l’istesso desiderio, sin a tanto ch’io mi scopersi da me stesso nell’animo di mio Padre, che subito volentieri fece dimandarla da Sua Altezza (lettera del 31 dicembre 1602). Il Masi piacque anche al conte Pomponio Torelli e fu l’idolo di Paolo, Pio e Francesco, fratelli di Clelia, che lo volevano sempre con sé.Concorrevano insomma tutte le circostanze favorevoli a rendere certe e prossime le nozze dei due amanti.Ma il Torelli avrebbe voluto, prima di accasare la figlia, trovare un partito conveniente per Pio, per indurlo ad abbandonare una vita troppo libera, inconcludente e piena di pericoli.Così la data delle nozze di Clelia Torelli venne sempre differita e ai due fidanzati non fu consentito altro che vedersi una volta la settimana nel parlatorio del convento e scriversi ogni giorno. Il Masi ricorse però non di rado a qualche ingegnoso inganno per rendere più frequenti i colloqui, che, per la compiacenza della monaca sorvegliante, restavano senza sorveglianza.Le visite a Clelia Torelli erano regolate secondo un diario prestabilito: il sabato toccava al fidanzato, gli altri giorni erano riservati alla famiglia e specialmente al padre.Per tenere impegnato il futuro suocero nell’ora della visita, il Masi lo pregò di permettere che il pittore Cesare Aretusi gli facesse il ritratto, da collocarsi nella più sontuosa sala della rocca di Felino per soddisfazione di Clelia quando fosse divenuta sua moglie.Il Torelli accettò la proposta e così il Masi, messosi d’accordo col pittore, potè andare per qualche tempo in Sant’Agostino anche nei giorni a lui non riservati: Io spero di vederla domani, Vita mia, se lei si contenta, come potrà farsi commodamente, poiché il Sig.Conte suo Padre s’impedisce col Ritratto ch’io ne fo fare dal Aretusi (lettera del 3 novembre 1602).L’epistolario del Masi, un mazzo di circa 150 lettere, si conserva nell’Archivio di Stato di Parma.Esso è interessante specialmente perché vi si trovano nomi, avvenimenti e giudizi che si riferiscono alla vita della città e della Corte di Parma. Una notte del Carnevale dell’anno 1603 il Masi, assieme agli amici Gerolamo Sanvitale, Pio Torelli e marchese Malaspina, col viso bendato da un fazzoletto, entrarono in casa dell’Antonia, una mezzana, e la sfregiarono orribilmente per vendicare un’offesa patita da Leonora Sanvitale. Il 13 aprile 1603il Masi, per istigazione del futuro cognato Paolo, mandò alcuni suoi servitori a rubare nel giardino di Guido Torelli alcuni vasi di fiori.Guido Torelli che, per ragioni d’interessi, era in disaccordo con la famiglia diPomponio Torelli, capì da che parte era venuta l’offesa, denunziò il furto, protestò clamorosamente e ottenne che fossero arrestati e interrogati i servi del Masi. Questi rivelarono il nome del mandante, al quale il duca Ranuccio Farnese ordinò di rimanere sequestrato in casa sino a nuova disposizione, condannandolo a 1500 scudi di multa in caso di disobbedienza. Il sequestro in casa durò fino alla fine di giugno.In questi mesi il Masi continuò a scrivere ogni giorno a Clelia Torelli lamentandosi di essere vittima di una ingiusta e palese persecuzione poiché il castigo è infinitamente più grave del fallo commesso.Il Masi si persuase che il Duca, istigato dal conte Niccolò Cesis, fosse impaziente di colpire i Torelli, cominciando col tormentare il più fido dei loro amici. Al Masi riusciva amaro e intollerabile che si facessero tante stranezze contro di lui per una bagatella ridicolosa di poco momento, ch’ogn’uno se ne maraviglia poiché tra Cavalieri s’usa pigliar cani e vasi di garofali e d’altri fiori, o cose simili, et mai prima si vidde che la giustitia ne facesse dimostrazione per esser galanterie senza guadagno. Niccolò Cesis, che odiava Pomponio Torelli che l’aveva preceduto nella delicata carica di governatore, cioè di direttore dell’educazione del principe Ranuccio Farnese, sperò invano di ottenere dal Masi una confessione che gli desse l’occasione di colpire i Torelli.L’attesa del Masi si sarebbe prolungata indefinitamente, se Pomponio Torelli non avesse suggerito la via migliore per ottenere dal Duca un trattamento più benevolo: fu inviata la contessa Masi in persona a chiedere al Duca il perdono e la liberazione del figlio.Dal Masi si pretese soltanto soddisfazione di parole per il Duca e per il padrone dei vasi rubati. Una multa di 200 scudi, che gli fu inflitta, venne poi condonata. In quei tre mesi di arresto in casa, il Masi ebbe tempo di riflettere, di calmarsi e di proporsi per l’avvenire un sistema di vita più saggio e prudente:Son certo d’uscire dalle sue mani questa volta per haver occasione di ricordarmene con i miei amici per non ci tornar più in eterno (lettera del 16 giugno 1603). Otto anni dopo, il 10 novembre 1611, il Masi ricadde però con alcuni dei suoi amici nelle mani del Duca: coinvolto nella congiura contro Ranuccio Farnese, fu condannato alla pena capitale e giustiziato per mezzo della decapitazione.
FONTI E BIBL.: A. Barilli, in Crisopoli 5 1934, 392-400.
MASI GIAN BATTISTA, vedi MASI GIAMBATTISTA
MASI MARIA VITTORIA
Parma 1589-Parma 1648
Figlia di Cosimo e di Laura Costa. Quando, verso l’anno 1601, la Masi fu affidata per la sua educazione a madre Maddalena Molinari, la comunità delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore esisteva a Parma già da una ventina di anni, ma le costituzioni che la Molinari andava stendendo non erano ancora state ufficialmente approvate.Ritiratasi la Molinari dal governo (1623), le succedette nello stesso anno la Masi, che riuscì a promulgare le costituzioni, malgrado le molte difficoltà sopravvenute.Per questo la Masi è considerata talvolta la fondatrice, talvolta la cofondatrice delle Orsoline di Parma.Ella mise la professione tra le Orsoline nel 1605.
FONTI E BIBL.: Archivio delle Orsoline,Parma; Archivio delle Orsoline, Piacenza; L.Zileri dal Verme, Vittoria dei conti Masi, fondatrice del Collegio di Sant’Orsola di Parma, Venezia, 1891; P.Calliari, in Dizionario Istituti di Perfezione, V, 1978, 1061.
MASI ORESTE
Ravadese 26 dicembre 1870-post 1931
Studiò tromba per due anni (1884-1886) alla Scuola della banda cittadina di Parma e per quattro anni (1886-1890) tromba e armonia nel Regio Conservatorio di Parma.Nel novembre 1897, mentre era direttore della banda della Società Marittima di San Remo, dette degli applauditi concerti a Nizza come solista. Nel 1910 vinse il concorso per l’insegnamento della tromba al Liceo musicale di Bologna. Continuò a suonare in varie orchestre e faceva parte di quella di Bologna in occasione del mancato concerto in onore di Martucci che Toscanini avrebbe dovuto dirigere.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 128; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MASI VITTORIA, vedi MASI MARIA VITTORIA
MASILIO GERARDO BENEDETTO, vedi BENEDETTI MASILIO
MASINI LORENZO
Parma-Parma 1732
Fu avvocato insigne e consigliere ducale in Parma.Professò dapprima Istituzioni di Diritto Criminale e poi Diritto Romano all’Università di Parma.Nel 1716 lo si ricorda come antecedentemente Lettore primario d’ordinaria.Poi giubilato da S. A. S.ma., gli fu lasciato il titolo di Lettore primario con salario.Fu consigliere e Presidente della Serenissima Camera dal 1709 al 1726.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Registro dello Studio, anni 1711-1712, 4, Registro de’ Mandati pagati, 8, Nota dei Dottori Lettori di Legge per l’anno 1716, Ruoli de’ Provigionati, n.25, 460, n.26, 33, n.48, 67; Bolsi, 42, 50; F.Rizzi, Professori, 1953, 62.
MASNINI DE CORNATI LUIGI
Belgioioso 27 luglio 1874-San Vittore di Salsomaggiore 8 gennaio 1935
Compì gli studi nel Seminario diocesano di Borgo San Donnino, dove si distinse per intelligenza e pietà, e fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1898 da monsignor G.B.Tescari. Ancora seminarista, concorse a Borgo San Donnino alla fondazione dell’Oratorio maschile interparrocchiale, manifestando sin da allora quella predilezione per la gioventù che ne fece in Diocesi un apostolo del movimento giovanile cattolico.Nominato il 20 luglio 1901 parroco di Cabriolo, passò il 4luglio 1904 a reggere la parrocchia di San Vittore, nella quale svolse intensa attività pastorale in ogni campo, specialmente in quello dell’Azione Cattolica.Dotato di particolare inclinazione all’agricoltura, vi si applicò con passione, acquistandone benemerenze.La scuola solariana, il cui spirito si era diffuso dal collegio San Benedetto in Parma, rivisse nel Masnini de Cornati: ebbe un elevato entusiasmo per questa materia e una grande fede nel suo avvenire.Fu collaboratore della cattedra ambulante di agricoltura di Parma e di essa valoroso portavoce ed efficace aiuto in ogni manifestazione di propaganda, tenendo in provincia cicli di conferenze tese alla diffusione delle norme tecniche per una migliore conduzione delle aziende agricole e per l’incremento della produzione.In seminario, nel quale ricoprì pure per alcuni anni l’incarico di direttore spirituale, insegnò agricoltura agli alunni di teologia.Questa attività il Masnini De Cornati completò con una serie di dotti articoli, che per un lungo periodo furono ospitati sulle colonne de Il Risveglio e che denotano come la conoscenza che il Masnini de Cornati ebbe della materia non fosse soltanto teorica ma fondata anche sopra una solida esperienza pratica, acquisita sui poderi beneficiari di San Vittore, da lui condotti a modello.Morì dopo lunga malattia.La sua salma fu sepolta nella cappella di famiglia nel cimitero di Belgioioso.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 260-261.
MASNINI DE CORNATI MARIA
Belgioioso 8 dicembre 1878-Belgioioso 24 giugno 1956
Sorella del prevosto Luigi, gli fu al fianco nei molti anni di ministero. Accanto all’attività apostolica del sacerdote, brillò la sua figura di maestra, di educatrice e di dirigente di Azione Cattolica.Dal 1927 al 1933 fu presidente diocesana di Fidenza dell’Unione Donne di Azione Cattolica Italiana e fu pure tra le prime presidenti del Gruppo Donne di Salsomaggiore e del Circolo Gioventù Femminile di Azione Cattolica Italiana, dalla Masnini de Cornati costituito nella parrocchia di San Vittore, dove per oltre quarant’anni fu maestra stimatissima in quella scuola elementare e collaboratrice preziosa del fratello parroco.Ritiratasi negli ultimi anni di vita nella natìa Belgioioso, non dimenticò la Diocesi fidentina: oltre a innumerevoli offerte, nel 1954 donò al Seminario la somma di 100 mila lire per una stanza intestata al fratello e altre 100 mila lire lasciò all’istituto per testamento.Va pure ricordata la donazione del mobilio della stanza del fratello al vescovo Francesco Giberti dopo gli avvenimenti bellici che condussero alla distruzione, per bombardamento aereo, dell’episcopio.Il suo cospicuo patrimonio fu dalla Masnini De Cornati razionalmente suddiviso in una trentina di opere benefiche, per la maggior parte a vantaggio della parrocchia natale.La sua salma fu sepolta accanto a quella del fratello nel cimitero di Belgioioso.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 261-262.
MASNOVO AMATO
Fontanellato 2novembre 1880-Parma 9 agosto 1955
Frequentò tutte le scuole ginnasiali e liceali nel Seminario di Parma. Iniziò gli studi superiori nel 1898 a Roma presso l’Università gregoriana e presso l’Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino, sotto la guida di Lodovico Billot.Conseguite le lauree di teologia e di filosofia, ritornò a Parma nel 1902. Fu ordinato Sacerdote a Parma il 6 giugno 1903, nominato professore di Filosofia e di Tomistica nel Seminario di Parma (1903) e fatto Canonico della Cattedrale nel 1908.Come membro, entrò nel Collegio Teologico.Insegnò nel 1910 Economia Politica e nel 1913 Dogmatica nel Seminario di Parma.Nel 1913 fu nominato Rettore dello stesso Seminario. Fu membro della Societé Thomiste di Parigi e della Pontificia Accademia di San Tommaso in Roma.Partecipò ai consessi nazionali di Filosofia portando il suo contributo di acuto ragionatore.Fu amico stimato dal cardinale Mercier.Alla morte di monsignor G.Conforti (1931) fu nominato Vicario Capitolare.Fu anche Prelato Domestico e Vicario Vescovile per le religiose.Insegnò dal 1921 (anno della fondazione), nell’Università cattolica del Sacro Cuore (di cui fu anche Vice Rettore), storia della filosofia medievale e filosofia teoretica. Questi due campi di ricerca furono per il Masnovo strettamente connessi poiché egli, tomista convinto, ritenne che lo studio dei testi tomistici e dell’ambiente culturale nel quale sbocciarono, giovasse anche alla ricerca della verità in sé. Non credette già il Masnovo che la verità si trovasse tutta racchiusa nei testi di San Tommaso (per lui, cristiano, nessun testo umano poteva certo esaurire la verità) ma che nelle sue opere si trovassero alcuni aspetti fondamentali di quella verità che è accessibile a ogni uomo e che da essi potesse prendere le mosse, non per fermarvisi ma per proseguire il cammino, anche la ricerca successiva.Dei suoi scritti, vanno ricordati: Introduzione alla Somma teologica di San Tommaso (Torino, 1918), Il neotomismo in Italia.Origini e primi sviluppi (Milano, 1923), Problemi di metafisica e di criteriologia (Milano, 1930), Da Guglielmo d’Auvergne a San Tommaso d’Aquino (3 voll.; Milano, 1930-1945), La filosofia verso la religione (Milano, 1941), Sant’Agostino e San Tommaso (Milano, 1942).Collaborò inoltre alla Rivista di Filosofia Neoscolastica.Il Masnovo mostrò efficacemente la validità e l’attualità della teoria scolastica sul fondamento del possibile.Il possibile è il pensabile, ma pensabile rispetto a un Intelletto assoluto che è la fonte stessa della realtà.Sicché ha senso affermare che c’è del possibile oltre al reale solo se si ammette a fondamento della realtà una Intelligenza liberamente creatrice.Per un intelletto finito, poi, come quello umano, che non misura la realtà ma ne è misurato, la conoscenza del possibile non può precedere ma deve seguire la conoscenza dell’attuale.Se così è, la giustificazione del valore della conoscenza non potrà né partire da una considerazione della facoltà conoscitiva, né cominciare col dimostrare il valore delle verità necessarie.Non partire dalla considerazione della facoltà conoscitiva, poiché dimostrare il valore della ragione come facoltà vorrebbe dire dimostrare la possibilità per l’uomo di conoscere il vero. Non cominciare col dimostrare il valore delle verità necessarie, perché le verità necessarie esprimono non la necessità di una esistenza ma la necessità di un nesso tra concetti e per riconoscere il loro valore bisogna anzitutto riconoscere il valore dei concetti sui quali si fondano.Un concetto ha valore quando esprime un ente possibile e per sapere che un ente è possibile l’uomo deve prima conoscerne la realtà attuale (o almeno conoscere la realtà attuale dei suoi costitutivi, se si tratta di una realtà complessa).Bisognerà dunque, per giustificare il valore della conoscenza, cominciare dalle verità di fatto o verità di ordine reale, per usare la terminologia del Masnovo, il quale chiamò questa sua teoria della conoscenza subordinatismo realista, che disse dover essere concreto (cioè giustificare non l’affermazione di una realtà in genere, ma l’affermazione di una realtà determinata) e genetico (dedurre cioè l’affermazione di ogni realtà dalla prima affermazione giustificata).Secondo questa teoria la gnoseologia non è altro che una indagine di procedura in quella medesima sfera in cui la metafisica è indagine di merito, ossia è indagine sul modo di procedere della metafisica.Non essa ma la metafisica ha da dimostrare l’esistenza delle realtà che non siano immediatamente presenti al pensiero. Tra queste sta in primo luogo Dio.Dio infatti non è intuito dal pensiero umano e perciò il problema filosofico di Dio non si può porre nei termini Dio esiste? ma deve invece porsi in questi termini: esiste una realtà che si possa chiamare Dio? Ossia esiste una realtà alla quale si possano attribuire i predicati che la coscienza religiosa attribuisce a Dio? Così posto, il problema si può risolvere solo inferendo dalla realtà sperimentata l’esistenza di un’altra realtà come causa della prima.Il Masnovo quindi si preoccupò di vedere quale fosse la formulazione esatta del principio di causa e si preoccupò di dimostrarne il carattere analitico, per formulare una prova dell’esistenza di Dio non incrinata dalle critiche kantiane.Una tale prova è secondo il Masnovo la prima via tomistica quando sia interpretata esattamente, nel suo schietto significato metafisico.Motus non ha in essa il significato di moto locale ma di divenire in generale.Il principio omne quod movetur ab alio movetur è quindi tradotto dal Masnovo così: ciò che diviene non ha in sé la ragione del suo divenire, dove ragione significa ciò senza cui un ente sarebbe contraddittorio.Dimostrare o piuttosto far vedere con una analisi fenomenologica che il divenire non ha in sé la propria ragion sufficiente o ragion d’essere, equivale a dimostrare che esso in sé e da solo sarebbe contraddittorio e quindi esige, per non essere contraddittorio, l’esistenza di un altro.L’omne quod movetur ab alio movetur è l’esatta formulazione del principio di causalità nel suo significato metafisico (cfr.La filosofia verso la religione).L’ascesa a Dio dal mondo dell’esperienza permette anche di conoscere alcuni attributi di Dio.Ma non basta la conoscenza razionale e filosofica a risolvere il problema del significato della vita umana e del mondo onde realizzare questo significato (in termini agostiniani, cari al Masnovo, problema del quo eundum est e del qua eundum est). Questa insufficienza della filosofia a rispondere a tutti i problemi che l’uomo deve risolvere per dare un orientamento alla sua vita apre la via ad accettare la Rivelazione.Filosofia cristiana non è per il Masnovo una filosofia che introduca nel suo corpus elementi cristiani (la filosofia deve essere ricerca puramente razionale) ma una filosofia che, riconoscendo i suoi limiti, permetta all’uomo di aprirsi alla Rivelazione.Come la filosofia conduca l’uomo ad accettare la Rivelazione il Masnovo vide esemplato in modo tipico in Sant’Agostino, di cui studiò l’itinerario spirituale e in modo particolare l’ascesa a Dio attraverso le verità necessarie.Reagendo poi a inesatte interpretazioni di quello che è stato chiamato agostinismo medievale, il Masnovo mise in luce i punti di convergenza tra Sant’Agostino e San Tommaso.Nella sua opera maggiore sulla filosofia medievale, Da Guglielmo d’Auvergne a San Tommaso d’Aquino, il Masnovo, facendo centro su Guglielmo d’Auvergne, disegnò anche lo svolgimento del pensiero medievale nella prima metà del secolo XIII, mettendo in rilievo l’influsso di Avicenna sul modo di porre il problema di Dio, le reazioni ad Avicenna per quel che riguarda la dottrina della creazione e l’intrecciarsi delle varie correnti della filosofia arabo-ebraica e cristiana.La fecondità del tomismo gli sembrò attestata anche dal sorgere del neotomismo in Italia, nel secolo XIX, argomento al quale dedicò i suoi primi studi mettendo in rilievo per primo l’importanza di Vincenzo Buzzetti come caposcuola del neotomismo in Italia.
FONTI E BIBL.: G.Casati, Scrittori cattolici, 1928, 49; Enciclopedia Ecclesiastica, VI, 1955, 494; Aurea Parma 3 1955, 206; Parma per l’Arte 1 1956, 34-35; Archivio Storico per le Province Parmensi 1957, 32-38; Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 188; M.F. Sciacca, Il secolo XX, II, Milano, 1947; S.Vanni-Rovighi, L’opera di Amato Masnovo, in Rivista di Filosofia Neoscolastica 1956; Dizionario UTET, VIII, 1958, 422; Palazzi e Casate di Parma, 1971, 611; Dizionario Filosofi, 1976, 798-799; Il Seminario di Parma, 1986, 104.
MASNOVO OMERO
Fontanellato 3 settembre 1882-Parma 17 luglio 1951
Fratello di Amato. Terminati gli studi di lettere all’Università di Genova, nel 1909 riuscì tra i vincitori nel concorso speciale a venticinque cattedre di storia e geografia nelle scuole tecniche.Destinato a Catania (1910), venne poi trasferito a Milano (1911), il che gli consentì di conseguire presso l’Università di Genova la laurea in filosofia con la tesi storico-critica sull’Estetica di Benedetto Croce (1912). Conseguì a Parma nel 1910 il diploma di paleografia, diplomatica e dottrina archivistica. Nel maggio 1915 abbandonò la scuola perché richiamato alle armi e vi ritornò solo a guerra finita, nel marzo 1919. Coltivò intanto i prediletti studi storici, che gli valsero la nomina a socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi (1914) e successivamente la nomina a membro della Società Storica Lombarda (1922).Nel 1922partecipò ai concorsi di storia per i licei e gli istituti tecnici, riuscendo primo negli istituti tecnici e secondo nei licei.Dopo vari trasferimenti a Bergamo e Legnano, ottenne di trasferirsi a Parma, presso l’Istituto tecnico Macedonio Melloni, ove insegnò italiano e storia dal 1925 al 1949, e, dopo la nomina a Preside dell’Istituto tecnico di Modena (1950), coronò la quarantennale attività di insegnante colla conseguita presidenza dello stesso Istituto parmense (1951). Svolse una proficua attività scolastica e, quale insegnante, ebbe lusinghieri riconoscimenti, promozioni e incarichi speciali, conseguendo due promozioni per merito distinto (1924 e 1928) e l’iscrizione nel Ruolo d’onore.Nel 1926 conseguì la libera docenza di Storia moderna.Fu per parecchi anni Deputato della Deputazione di Storia Patria e Commissario straordinario del Comitato parmense per la storia del Risorgimento italiano, collaborando assiduamente alle migliori riviste storiografiche italiane e partecipando attivamente a numerosi Congressi.Fu Presidente della Società Dante di Parma dal 1949 al 1951. Fu anche docente di scienze storiche nella facoltà di diritto dell’Università di Parma.Non poche e notevoli sono le sue pubblicazioni che comprovano la sua varia e complessa attività di studioso della storia e della letteratura.Pubblicò lavori sulla storia lombarda, sulla storia parmense, sulla storia ligure, sul Gioberti, sul Petrarca, sul Giordani e sui crociani.Gli studi degni di maggiore considerazione e di maggiore importanza sono quelli che riguardano la storia del Risorgimento.Di rilievo e interessante è il suo lavoro su I moti del 1831 a Parma. In tale sua opera, buona è l’indagine documentaria, qua e là un poco appesantita da elementi di carattere amministrativo.Nell’altro suo lavoro che tratta del Giordani e del suo patriottismo, il Masnovo seppe rendere con misura, esaminando la sua partecipazione ai moti del 1821, del 1831 e del 1848, la fisionomia politica e le direttive patriottiche dello scrittore piacentino.Da ultimo il Masnovo attese a uno studio sul Culto di Dante e L.A. Muratori.
FONTI E BIBL.: A. Credali, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1951 19-20; Parma per l’Arte 1 1952, 30; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 96; Palazzi e Casate di Parma, 1971, 611; Al Pont ad Mez 3 1982, 95; A.Ciavarella, PresidentiDante, 1982.
MASOLA FENANDO
Carignano di Vigatto 1 dicembre 1924-Casola di Tizzano 30 ottobre 1944
Fu partigiano della 3a Brigata Julia, con il nome di battaglia di Lince. Morì durante un combattimento contro i nazi-fascisti.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 41.
MASOLA LUIGI
Parma 1866
Bersagliere, fu decorato con medaglia d’argento al valore militare dopo la battaglia di Custoza (24 giugno 1866).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
MASOLI LUCIO
Collecchio 1929-Parma 1978
Ordinato sacerdote nel 1955, fu parroco a Mozzano fino al 1961.In seguito passò a reggere la parrocchia di Vairo, nell’Alta Val d’Enza, rimanendovi fino al 1974, allorché venne nominato parroco di Vignale di Traversetolo.Si occupò del ripristino di quella chiesa. Appassionato cultore di cose d’arte e di storia, il Masoli aveva già pronto un manoscritto sulla storia del paese di Vairo ma l’opera andò perduta con la sua morte, insieme con diversi documenti di notevole interesse per la ricostruzione del folclore musicale montanaro (canti raccolti da Filippo Basetti).
FONTI E BIBL.: L.Masoli, Maestà montanare, 1981.
MASOLINI GIACOMO ANTONIO, vedi DELLA TORRE GIACOMO ANTONIO
MASON ERCOLE
Cortile San Martino 28 agosto 1878-Parma 1 febbraio 1944
Fu uno dei più forti e più irriducibili combattenti contro il fascismo, fin dai primi anni del suo avvento al potere.Nella lotta non ebbe riserve o titubanze e mai lo misero in timore le minacce.Fu perseguitato per anni e ridotto a miseria.Dopo l’8 settembre settembre 1943 prese parte attiva alla lotta cospirativa fornendo notizie e collaborando alla costituzione delle prime forze partigiane (fu partigiano della 78a Brigata Garibaldi Sap).L’età e le condizioni fisiche non gli permisero di portarsi sui monti ma il Mason svolse attività ininterrotta in Parma, sopportando pericoli gravissimi e forti responsabilità.Fu fucilato dai nazi-fascisti. L’esecuzione sommaria (prima del genere per Parma) venne consumata nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1944 da elementi forse venuti da fuori Parma.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 42; Gazzetta di Parma 1 febbraio 1994.
MASOTTI
Parma 1759
Fu cantore alla Cattedrale di Parma il 14 giugno 1759.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
MASOTTI PAOLA, vedi MEDIOLI PAOLA
MASOTTI TULLIO
Falerone 1866-Milano 1949
Giunse a Parma nel 1907 per collaborare con Alceste De Ambris. Assunse l’incarico di segretario della Federazione giovanile e di vicesegretario della Camera del Lavoro. Stretto collaboratore di De Ambris, quando il 20 giugno 1908 si scatenò la repressione della Polizia, il Masotti riparò a Nizza e poi raggiunse Lugano. A Parma rientrò nel maggio del 1909, dopo l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Assise di Lucca nei confronti dei sindacalisti parmensi accusati di aver tentato, con lo sciopero agrario del 1908, l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato.Con Maia e Saletti, avviò la ricostruzione dell’organismo camerale, del quale assunse la segreteria.La decisa azione svolta contro la guerra di Libia e una serie di iniziative in sostegno delle agitazioni che i lavoratori in varie parti d’Italia avevano ingaggiato procurò un notevole credito alla Camera del Lavoro di Parma.Fu dietro sua iniziativa che nel novembre del 1912 a Modena si costituì l’Unione sindacale italiana, di cui egli assunse la segreteria, incarico che mantenne fino alla crisi interventista.Volontario e combattente con il grado di ufficiale, tornò a Parma e per un breve periodo riprese la segreteria camerale, che poi lasciò per dirigere (1919) un nuovo quotidiano, Il Piccolo, in linea con il combattentismo democratico-progressista. Sensibile alle istanze del primo fascismo, che a Parma aveva trovato adesioni nell’area sindacalista-corridoniana, il Masotti mutò atteggiamento di fronte al rivelarsi della vocazione antiproletaria del nuovo movimento. Focoso e battagliero, il Masotti raccolse attorno a sé un gruppo di giovani (Aroldo Lavagetto, Manlio Leonardi, Spartaco Copertini, Bruno Lunardi, Ferdinando Santi, Giuseppe e Giovanni Silvani) e si battè strenuamente, con polemiche furibonde, contro il fascismo.Nell’agosto del 1922la sua abitazione e la tipografia del Piccolo vennero assalite dalle squadre nere che gli rimproveravano questo mutamento di rotta e la campagna contro Luigi Lusignani.Intorno al 1940 riprese i collegamenti con l’opposizione antifascista, aderì al Partito d’Azione ed entrò nella redazione del giornale Italia Libera.Dopo la dissoluzione di questa formazione, si orientò verso il Partito socialista dei lavoratori italiani, di cui curò le pubblicazioni dell’organo ufficiale Battaglie Sindacali.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 96-97; Enciclopedia di Parma, 1998, 442-443.
MASSA EUGENIO
-Parma 1942
Cittadino adottivo di Parma, colonnello, fu cultore di storia parmense e militare.
FONTI E BIBL.: EugenioMassa, in Giovane Montagna, 15marzo 1942; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 670.
MASSA MARIO
Parma 8 settembre 1899-Fidenza 23 aprile 1959
Compì gli studi a Parma nel Convitto Maria Luigia, palesando già allora la sua innata propensione alla commedia scherzosa nella composizione di scenette e battute comiche, che poi interpretava in accademie per il divertimento dei compagni di collegio. Combattente nella prima guerra mondiale, tornò con una ferita e con una medaglia d’argento al valor militare.Iscrittosi nella facoltà di medicina dell’Ateneo di Parma, si fece subito notare nello scapigliato e irrequieto mondo goliardico per l’esuberanza della sua natura bizzarra e festosa. Allegre e spassose manifestazioni (riviste, commedie farsesche, scherzi musicali) vennero da lui organizzate e presentate con freschezza di spirito e con genialità di trovate. Laureatosi a Parma in medicina e chirurgia, ottenne poco dopo (1927) a Fidenza il posto di medico condotto, professione che esercitò con lode per un trentennio.Scrisse commedie, per lo più dialettali, ispirate all’ambiente parmense e ai suoi personali ricordi giovanili.I suoi lavori teatrali, e non solo quelli tendenti a portare e a far rivivere sulla scena lo spirito e il carattere parmigiano, incontrarono larghi consensi di pubblico e di critica in provincia e altrove.Nella commedia, si impose con opere interpretate dalle migliori compagnie del tempo, tra cui la Paternò-Bitesti la Celli-Decristofaro e Gino Cavalieri. Ottenne i primi successi come commediografo con la Compagnia Capodaglio che gli rappresentò Poveri uomini, questa è per voi! e colla Compagnia De Cristofaro che gli portò sulle scene la commedia Ferragosto.Nel campo operettistico debuttò col Filone d’oro, poi, associandosi al Carbognani, scrisse La Metropolitana e Fiera campionaria, rappresentate a Parma e a Piacenza con ottimo successo.La maggiore attività del Massa si manifestò però nel teatro dialettale ove trasfuse con rara abilità i caratteri salienti del popolo parmigiano.Tri galet e na ciosa, 1930, Crispen dotor, 1934, Un vias a Milan, 1931, Na dmanda ad matrimoni, 1930, La carriera d’un travet, 1932, e molti altri testi furono interpretati in gran parte dai fratelli Chierici e da Alberto Montacchini e per parecchi anni divertirono il pubblico parmense colla loro impareggiabile comicità.Nei riguardi del teatro dialettale il Massa auspicò una trasformazione dal genere esclusivamente burlesco a quello comico-sentimentale. La sua produzione annovera undici commedie (Lo zio va in macchina, Nei sotterranei del dr.Bruckner, Milena, La Contessa Clarinj, Socrate va avanti, Poveri uomini, questa è per voi!, San Giovanni Nepuneméno, Ma il biglietto bisogna pagarlo, Folgore, L’odore dell’arrosto e Serafino padrone di bottega), tre operette (Club dei leoni, Filone d’oro e New York-Traversetolo, tutte per la musica del maestro salsese Leonida Baracchi), un’opera lirica su musica di Giuseppe Baroni (La roccaforte), vari soggetti per rivista (Si comincia col finale, Metropolitania, 1924, Dove abbiassimo giunti, Va al limbo, va!, 1942, Fiera campionaria 1924), una parodia dell’Aida e numerose canzoni, di talune delle quali scrisse parole e musica (Notte d’incantesimo, Addio, Ninì, Un bacetto, Vecchio violino, Miniera e Come farò?), ma per la maggior parte musicate dal Baracchi (L’ortolano, Gioventù, Sinforosa, La borsetta, Contrabbandieri, Pitiquet, Trovare l’onestà, Cittadina, Affari d’oro, Razzomania,La leggenda del Reno, Nino e Nina, Senza amore, Contadina, L’amore a sei cilindri, Nozze d’oro, Amor crudele) e da G.Massera (Prigioniera).Alcune sue canzoni furono incise su disco.Lasciò anche, inedito, un romanzo (Vita di collegio).
FONTI E BIBL.: J.Bocchialini, Dialetto vivo, 1944, 152; N.Musini, in Aurea Parma 1 1959, 48-49; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 262-263.
MASSARENGHI, vedi MASSARENGO
MASSARENGO GIAMBATTISTA, vedi MASSARENGO GIOVANNI BATTISTA
MASSARENGO GIOVANNI BATTISTA
Parma 3 aprile 1569-1596 c.
Fratello di Paola. Studiò e si laureò in Leggi nel Collegio Borromeo a Pavia sotto la protezione del duca Ranuccio Farnese, ma attese con profitto anche alle lingue greca e latina. Avvocato di valore, si portò a Vienna presso la Corte dell’imperatore Rodolfo, ma mentre stava per ritornare in patria, fu da un perfido e scelerato suo servitore crudelmente ucciso e spogliato di tutto ciò che aveva con sé. Fu noto presso i contemporanei come AccademicoInnominato col nome di Pensieroso.Di suo sopravvivono la raccolta 19 canzonette alla napolitana (Venezia, 1591) e un mottetto a otto parti incompleto, Altitonans cunctasque. Alcuni suoi testi per madrigali furono stampati a Pavia nel 1592 da Angelo Peregrino, quindi ripubblicati nel 1594 nel volume di Rime dello stesso Massarengo.Sono note almeno tre edizioni (Pavia, 1586; 3a ed. 1723) delle sue chiose all’Arcadia di Sannazaro.Compose anche gli argomenti della Gerusalemme Liberata.
FONTI E BIBL.: F.S. Quadro, Della storia e della ragione di ogni poesia, Bologna, 1739-1749; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 343; N.Pelicelli, Musicisti in Parma nei secoli XV-XVI, in Note d’Archivio, 1932; Aurea Parma 2 1958, 116; Dizionario musica e musicisti UTET, Appendice 1990, 523.
MASSARENGO PAOLA
Parma 5 agosto 1565-
Compositrice. È rimasto un suo madrigale, Quando spiega, compreso nel primo libro dei Madrigali a 5 voci di Arcangelo Gherardini da Siena (Ferrara, per Vittorio Baldini, 1585).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MASSARI ALESSANDRO
Parma 1815-Piacenza post 1865
Figlio di Stefano e Teresa Gnerri, negli anni Cinquanta venne premiato, probabilmente come pittore, con una medaglia di prima classe.Fu anche fotografo e operò a Piacenza.Nel 1863 annunciò, su un giornale locale: Gran ribasso sul prezzo dei ritratti fotografici.Nello stabilimento fotografico di Alessandro Massari avendosi adottato un nuovo sistema nei lavori fotografici pel quale si ottiene maggior perfezione, facilità ed economia nell’esecuzione dei ritratti. Piacenza, Contrada San Raimondo n.50.Nel 1865 (registri della popolazione piacentina) risulta vedovo e ancora operante in strada San Raimondo 50.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 169.
MASSARI ANTONIO
-Parma 6 agosto 1895
Fu volontario nella 2a Colonna parmense nella campagna risorgimentale del 1848.Perseguitato per le sue idee democratiche, subì con incrollabile fortezza il carcere e le vergate.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 agosto 1896, n. 216; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 412.
MASSARI ELEUTERIO
Parma 7 dicembre 1902-Parma 31 agosto 1944
Figura popolare dell’Oltretorrente di Parma, merciaio ambulante, padre di tre bambine, fu membro di una famiglia invisa al fascismo perché legata ai valori della sinistra.Suo fratello Attilio fu vice-comandante dei Gruppi di Azione Partigiana di Parma, guidati da Eugenio Copelli e, dopo la morte di questi, da Pilade Cremonesi.Il Massari fu barbaramente ucciso dai nazi-fascisti.La vicenda del recupero del cadavere del Massari fu ricostruita da Paolo Tomasi: la mattina del 1° settembre 1944, dopo che la moglie Livia Rossetti aveva riconosciuto i resti del Massari, nei pressi del cimitero transitò un garzone di fabbro con un carretto carico di aste metalliche.La donna girò le stange del carretto, fece cadere il carico e issò il corpo del Massari, trasportandolo nella modesta abitazione di borgo Paglia, attraverso barriera Bixio e via della Salute.Il Massari fu decorato di medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, III, 1990, 91.
MASSARI EMANUELE
Borgo Taro 24 aprile 1841-12 agosto 1861
Contrabbassista. Studiò alla Regia Scuola di musica di Parma dal 1851 al 1859. Uscito dall’istituto, fu scritturato in varie orchestre. Nel 1860, scrive il Dacci, partì volontario alla campagna gloriosa per l’Indipendenza Italiana e colto da lento, ma fatale malore, in causa delle fatiche sofferte, morì.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MASSARI GIAMBATTISTA
Cortile San Martino 1789 c.-post 1840
Fu prima impiegato e poi, dal 1833 al 1840, Segretario comunale di Collecchio.
FONTI E BIBL.: U.Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MASSARI LUIGI
Parma 15 marzo 1831-Parma 1910
Figlio di Antonio e Teresa Arasi. Studiò con Luigi Dall’Argine, iniziando a dodici anni a cantare alle funzioni religiose.Nel 1847 fu aggregato come tenore al coro di Corte e in tale veste partecipò agli uffici funebri per la duchessa Maria Luigia d’Austria.Ebbe una lunga carriera di corista del Teatro Regio di Parma.Conobbe a memoria tutto il repertorio verdiano e si esibì in teatri di tutto il mondo anche come comprimario.Fu a Lisbona, in Egitto per la prima dell’Aida, a Pietroburgo (nelle vesti di Fra Melitone) e a Trebisonda.Possedette una spinetta e con questa diede lezioni di musica e canto. La sua casa, attigua a quella di Toscanini, fu negli anni dal 1860 al 1890 un ritrovo di artisti e centro di passione dell’arte canora dell’Oltretorrente.Fu probabilmente il Massari che consigliò il padre di Toscanini a iscrivere il figlio nel Conservatorio di Parma.Sua figlia, Medea, è ricordata a lungo da Filippo Sacchi nel suo Toscanini come compagna di giochi di Arturo Toscanini.
FONTI E BIBL.: Bianchi, Sacchi; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 97; G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 17; G.N. Vetro, Voci Ducato, in Gazzetta di Parma 28 novembre 1982, 3.
MASSARI STEFANO
Cortile San Martino 18 marzo 1815-Cortile San Martino 14 agosto 1886
Figlio di Giambattista, segretario comunale di Collecchio. Quando era ragazzo faceva ogni giorno a piedi la strada da Collecchio a Parma per andare a scuola. A costo di notevoli sacrifici conseguì la laurea in legge.Esercitò l’avvocatura e per tre anni fu nominato consulente per gli affari degli indigenti e per un anno per gli affari dei pubblici stabilimenti. Sotto la dominazione borbonica, si distinse per la fermezza di carattere e per il patriottismo. Lasciò poi la professione di avvocato per entrare nella magistratura. Andò pretore il 23 maggio 1846 a Soragna, nel 1847 a Traversetolo, nel 1848 a Busseto, nel 1849 a Pontremoli e nel 1850 a Langhirano.Il 20 gennaio 1851 fu nominato Vice Procuratore Regio nel Tribunale Civile e Criminale di Piacenza e nel 1854 passò in quello di Parma, dove, due anni dopo, fu promosso Procuratore.Il 30 giugno 1855 passò quale Vice Procuratore presso la Corte Regia, vi divenne consigliere il 10 ottobre 1856 e quindi consigliere nella Corte Suprema di Revisione il 1°novembre 1859.In quell’anno (decreto del 23 giugno del Governatore Pallieri) fu delegato a operare la riunione della provincia di Pontremoli staccatasi dallo Stato Parmense e a reggere l’Intendenza della provincia stessa.Con decreto 31 agosto 1859 del dittatore Farini, fu nominato Intendente generale della provincia di Parma e con quello del 20 settembre dello stesso anno ebbe la carica di Direttore del Dicastero dell’Interno dell’Amministrazione degli Stati Parmensi.Il 25 gennaio 1860, riunite le Provincie Parmensi a quelle di Bologna e Modena, il Massari, che aveva accettato le varie cariche amministrative (rinunciando agli stipendi relativi) con la condizione di appartenere sempre all’ordine giudiziario, venne chiamato alla Corte Regia Suprema di Revisione diParma, in qualità di ottavo consigliere.Il Massari ebbe anche l’incarico di coadiuvare la Procura Generale, incarico adempiuto per tutto l’anno 1860, essendo stato il titolare (Niccolosi) chiamato dal Governo a far parte delle commissioni legislative istituite in Torino.Il 17 dicembre 1860 divenne consigliere nella Corte d’Appello diParma e nel 1874 Presidente di Sezione in quella di Casale.Nel 1876 fu nominato consigliere alla Corte di Cassazione in Roma e il 21 aprile 1878 Presidente di Sezione della Corte d’Appello di Roma, conservando grado e titolo di consigliere di Corte di Cassazione.L’8 maggio 1879 fu eletto Primo Presidente della Corte d’Appello di Ancona.Su sua richiesta, il 22 gennaio 1882 fu trasferito a Parma.In quella occasione, Zanardelli, ministro di Grazia e Giustizia, gli scrisse un biglietto nel quale tra l’altro dice: per la sua specchiatissima illibatezza ho pegno sicuro non essere argomento di nessun inconveniente o sospetto l’essere Ella stessa di Parma. Fu eletto alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano nella decima legislatura.Sedette al centro-destra ma passò a sinistra il giorno che si volle introdurre la tassa sul macinato e la regìa dei tabacchi. Fu abbastanza assiduo ai lavori parlamentari e qualche volta parlò autorevolmente di questioni giuridiche. Non volle ripresentarsi candidato nella successiva legislatura.Più volte fu nominato consigliere municipale e provinciale di Parma.Famosa fu la lotta che il Massari sostenne, essendo Primo Presidente della Corte di Ancona, contro la magistratura inquirente che voleva invadere il campo dei collegi giudicanti, quasi per ridurli macchines à sentences, come scrisse Pellegrino Rossi. Alcune sue sentenze in materia d’acque (a Casale), in questioni di diritto finanziario e amministrativo (a Roma) e in questioni di diritto comune (ad Ancona e a Parma) rimasero a lungo esempi insuperati.Il Massari godette la stima e l’amicizia degli uomini più illustri del tempo: Auriti, Eula, Zanardelli, Mancini, Sella, Piroli, Agnelli, Bonasi,Orsini, Cabella, Boccardo, Bianchi.Fece parte, con l’Auriti e il Bonasi, del Collegio Arbitrale che decise una grave questione tra il Governo della reggenza tunisina e il conte Bartolozzi De Vandoni. Cavaliere e ufficiale, fu commendatore di più ordini (tra i quali quello del Bey di Tunisi).
FONTI E BIBL.: T.Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880, 541; Gazzetta Piemontese 18 agosto 1886; Secolo 19 e 20 agosto 1886; Gazzetta di Parma 16 agosto 1886; Il Presente 16 agosto 1886; Brunialti, Annuario Biografico Universale, 1887, 129-130; T.Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; A.Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori, 1941, II, 171; A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 65-68; U.Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
MASSAROLA GIOVANNI
Parma 1831
Detto Conte Fulmine.Durante i moti del 1831 fu tra coloro che si distinsero il giorno 13 febbraio nel disarmare la truppa, nell’alzare grida sediziose e nell’inalberare le insegne tricolori.Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato ma non fu arrestato.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 184-185.
MASSAROLI FRANCESCO
Soragna 1775
Intagliatore.Nel 1775 realizzò due candelieri, sei portapalme e una croce nella chiesa di San Giacomo a Soragna.
FONTI E BIBL.: Colombi, 1975, 55; Il mobile a Parma, 1983, 261.
MASSERA GIUSEPPE
Bologna 24 marzo 1912-Parma 12 ottobre 1985
Laureatosi in giurisprudenza (Roma) e in scienze politiche (Padova), studiò privatamente composizione.Nel 1954 si diplomò alla Scuola di Paleografia musicale di Cremona.Insegnò Storia e Filosofia presso ilLiceo scientifico Marconi di Parma, fu poi preside del Liceo classico Romagnosi, insegnò quindi storia della musica al Conservatorio A. Boito di Parma (1956-1965) e dal 1965 alla locale Università, ove fu quindi titolare della cattedra di storia della teoria musicale, istituita presso la Facoltà di Magistero, sino al 1982.Fu inoltre critico musicale della Gazzetta di Parma dal 1955 al 1965.Per il suo 70° compleanno gli venne dedicato il volume Cantabilis harmonia (Milano, 1985). Il Massera recò un apporto decisivo alla musicologia italiana nell’aver individuato le ragioni di coerenza e di sistematicità di una disciplina come la storia della teoria musicale che deve appunto al Massera il suo ufficiale riconoscimento nella gerarchia degli studi universitari italiani.Si pensi alle decisive esplorazioni attorno all’opera di Giorgio Anselmi, di Francesco de Brugis, di Nicola Burzio, agli approfondimenti su Boezio, nonché alla ridefinizione di tutto un lungo percorso teorico, dall’età medioevale fino al XX secolo, che costituì l’asse portante dell’insegnamento svolto per tanti anni dal Massera dalla cattedra dell’Università di Parma, all’istituto di Musicologia, e parallelamente alla Scuola di perfezionamento presso la facoltà di Magistero dell’Università di Bologna.Insegnamento alimentato da un’assiduità di ricerca che è rappresentata dagli undici volumi e dalla cinquantina di saggi lasciati. Il Massera fu autore dei seguenti scritti: La mano musicale perfetta di Francesco de Brugis (Firenze, 1963), Figure e momenti del pensiero teorico musicale nel Quattrocento italiano (Parma, 1966), G.M. Artusi e la seconda prattica monteverdiana (Parma, 1966), Dalla scala pitagorica al temperamento equabile (Bologna, 1972), Severino Boezio e la scienza armonica tra l’antichità e il Medio Evo (Parma, 1976), Lineamenti storici della teoria musicale nell’età moderna dal primo ’400 a tutto il ’700 (Parma, 1977), Lineamenti storici della teoria musicale: dagli inizi dell’età medievale al tramonto dell’Ars Nova trecentesca.Dal romanticismo al positivismo scientifico durante l’Ottocento in Germania (Parma, 1980), Musica inspettiva ed accordatura strumentale nelle Scintille di Lanfranco da Terenzo (in Quadrivium 1964), Dalle imperfezioni alle perfezioni della Moderna Musica (in Monteverdi e il suo tempo, Atti del Congresso, Venezia-Mantova-Cremona, 1968), Precisazioni teoriche nel Cribrum Musicum di Marco Scacchi e Marco Scacchi: dalla polemica antisifertina allo schema formale degli stili musicali (in Primo incontro con la musica italiana in Polonia, Bologna, 1974), Suggestioni teoriche nel Lucidarium di Marchetto da Padova: dai generi alla musica colorata (in A Festschrift for A.Seay, Colorado Springs, 1982), Singolarità di principio e semplicità di ragione nei fondamenti proporzionali dell’armonia consonante: Padre Martini e la ratio perfecta non rivelata e Alessandro Barca: dall’intrinseco abito dell’ascolto alla estrinseca metafisica del piacere (in Quadrivium 1984).Inoltre curò l’edizione di G. Anselmi, De Musica (Firenze, 1961) e N.Burzio, Florum libellus (Firenze, 1975).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 ottobre 1985, 4; Dizionario Musicisti, UTET, 1986, IV, 711.
MASSERA MARCELLINA
Parma 11 aprile 1836-Parma 29 agosto 1915
Nacque da Giovanni e Carlotta Arisi, di famiglia distinta e agiata.Entrò a far parte della Congregazione delle Piccole Figlie dei Santissimi Cuori di Gesù e Maria soltanto nel 1871, anno della morte della confondatrice Anna Micheli, dalla quale apprese una grande fermezza di volontà.La famiglia non era favorevole che si facesse religiosa, tuttavia la Massera frequentò fin dal 1860 la casa di Anna Micheli e più tardi la comunità di Piazzale Sant’Apollonia.Già sufficientemente colta, la Massera completò i suoi studi per volontà del fondatore, Agostino Chieppi, e conseguì il diploma magistrale due anni dopo la sua entrata, nel 1873. La Massera ebbe la direzione spirituale di don Chieppi per trent’anni e trasfuse quello che imparò da lui alle novizie di cui fu maestra dal 1881 al 1900 e alle suore che avvicinò come economa generale, come Prima Assistente della Superiora generale e come Superiora e Direttrice del Convitto delle Artigianelle di SanGiuseppe. Alla morte di A. Melchiorre Zinelli, le succedette nella carica di Superiora generale, il 5 gennaio 1900.Vicino alla Massera si succedettero tre assistenti ecclesiastici, a cui ella portò venerazione e sottomissione: Camillo Bongrani (1900-1902), Ettore Savazzini (1902-1908) e Giuseppe Parma (1908-1915).Con la Massera Superiora Generale, il 30 marzo 1900 la Casa Madre venne trasferita da Borgo delle Colonne in una sede propria, in Piazzale SanGiovanni 3, dove venne anche posto il Noviziato, trasferito da Borgo Bertano. Il suo governo, sapiente e seguito da tutte le consorelle perché segnato dalla carità, registrò momenti ecclesiali di rilevante importanza.Si tennero quattro grandi consigli: il terzo (9 gennaio 1905) in cui venne rieletta Superiora, il quarto (4-7 dicembre 1905) che ebbe come conseguenza il riconoscimento giuridico della Congregazione da parte del vescovo della Diocesi, Francesco Magani, l’8 dicembre 1905, il quinto (6 giugno 1908) per l’elezione della superiora generale, che fu presieduto dal nuovo vescovo di Parma, Guido M.Conforti, e il sesto, che ebbe come oggetto principale il porre le regole del fondatore sulle basi delle norme romane del 28 giugno 1901 sancite dal diritto canonico.Esso ebbe come conseguenza l’approvazione della Costituzione con Decreto vescovile del 27 dicembre 1910 da parte del Conforti. In questo sforzo di consolidare la Congregazione e di favorirne la vitalità propria, la Massera si valse dell’aiuto di suor Eugenia Picco, che col 26 gennaio 1911 fu eletta segretaria generale. A lei affidò compiti delicati sotto la guida di Giuseppe Parma: riordinare le regole e costituzioni abbozzate dal fondatore, fare ulteriori ricerche di documenti, riordinarli e illustrarli per la stesura della biografia del fondatore, organizzare le linee direttive della spiritualità delle Piccole Figlie. Durante il governo della Massera furono consolidate le opere già esistenti e curato in particolare il settore della catechesi e dell’educazione in genere.Il 9 ottobre 1900 venne assunta la direzione dell’Orfanotrofio femminile Meli Lupi di Soragna.Negli anni 1900-1904 le Piccole Figlie vennero incaricate del catechismo in varie parrocchie della città di Parma (Santissima Trinità, Sant’Alessandro, Santa Cristina e San Vitale) e nell’oratorio festivo di Fontevivo.Il 3 novembre 1904 venne assunta la direzione dell’Asilo infantile di Noceto. Il 24 ottobre 1908 si cominciò a prestare il servizio di guardaroba e di cucina nel Seminario Maggiore.L’11 novembre 1909 fu iniziato un laboratorio cooperativo nel Convitto Artigianelle.Nel maggio del 1910 venne aperto un ricreatorio femminile festivo in Borgo Bernabei. Nel settembre del 1910 venne assunta l’assistenza dell’Ospedale civile di Noceto. Quando la Massera, per l’età avanzata, non poté avere più la responsabilità massima dell’Istituto, nel Consiglio generale del 1911 fu eletta, al suo posto, Eugenia Picco. Il 1° giugno 1913 rinnovò solennemente per il 50° di professione i voti in una festa intima davanti a monsignor Conforti, che le conferì il titolo di Madre.
FONTI E BIBL.: F.Teodori, Le Piccole Figlie dei Santissimi Cuori di Gesù e Maria, 1980, 169-170.
MASSERI GABRIELE
ante 1564-Parma dicembre 1622
Sacerdote, fu cantore nella chiesa della Steccata in Parma (15 dicembre 1564-29 febbraio 1572).Diversi anni dopo lo si trova, come consorziale, alla Cattedrale di Parma (6 ottobre 1588).Dopo la sua morte, venne sostituito il 4 gennaio 1623.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel sec.XVI, 25; Benefit. et Benefitiat.Elenchus, fol.219, in Archivio di Stato in Parma; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 21.
MASSERO LEONARDO
Parma 1535-Tournon 25marzo 1571
Fu uno dei primi gesuiti parmigiani.
FONTI E BIBL.: M.Scaduto, Catalogo dei Gesuiti, 1968, 94.
MASSI LUIGI
Parma 1831
Patriota.Prese parte ai moti del 1831.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 585.
MASSINI GIUSEPPE
Zibello 1831
Durante i moti del 1831 fu arrestato come perturbatore e inclinevole al sistema ribelle.Con ordinanza dell’11 giugno 1831 fu rilasciato, ma sottoposto a visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 183.
MASSOLO PAOLO NINO
Mantova 1903-Parma 1964
Si trasferì a Parma in giovane età e iniziò un’intensa attività nel settore delle calzature.Seguendo una tradizione di famiglia, impiantò con il fratello Piero un laboratorio artigianale in via XX Marzo, aprendo nel contempo un negozio in via Pisacane e poi in strada Garibaldi.Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti gli distrussero abitazione, stabilimento e negozio.Con molti sacrifici, riprese l’attività portando in breve tempo la sua industria a un livello di produzione altamente qualificato.Il Massolo fu provetto modellista-creatore e i suoi modelli furono richiesti in Italia e all’estero. Appassionato cinofilo, vinse vari premi nazionali.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 201.
MASTELLARI GAETANO
Bologna 25 febbraio 1822-Parma 28 luglio 1890
Si può considerare il principe dei macchinisti teatrali delXIX secolo.Vero artista creatore nel suo genere, non solamente eccelse per i meravigliosi meccanismi ma si distinse anche per l’ingegnosa carpenteria.Venne spesso invitato per allestire grandiosi spettacoli nei principali teatri italiani ed esteri.Fu l’ideatore e il direttore di questo reparto al Teatro Regio di Parma dal Carnevale 1852-1853 sino a quello 1888-1889 e nel contempo prestò la sua opera anche in altri teatri.Verdi lo volle alla Scala di Milano nel Carnevale del 1874 per la messa in scena dell’Aida: in quella edizione fu molto ammirato l’ingegnoso meccanismo del tempio di Vulcano nel quarto atto.Tornò sul palcoscenico milanese nel Carnevale del 1881 in occasione del ballo Excelsior.Nel maggio 1879 fu a Londra assieme a Gerolamo Magnani per allestire la messa in scena al Her Majesty’s Theatre dell’Aida di Verdi, nella quale trionfò Italo Campanini: fu uno spettacolo che passò alla storia del melodramma in Inghilterra.Sempre assieme alMagnani fu all’Opéra di Parigi in vari periodi dal novembre 1883 al gennaio 1885. Fu, caso più unico che raro per un macchinista teatrale, ricordato nel necrologio dalla Gazzetta Musicale di Milano di Casa Ricordi.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 129; G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 31; Dietro il sipario, 1986, 297.
MASTELLARI LUIGI
Parma 1848 c.-
Forse figlio di Gaetano.Macchinista teatrale, operò al Teatro Ducale di Parma e poi alla Scala di Milano, in cui succedette ai fratelli Luigi e Giacomo Caprara.Modellini teatrali del Mastellari furono ereditati dal macchinista teatrale Carlo Morigi.
FONTI E BIBL.: A.De Angelis, Scenografi, 1938, 240.
MASTINI
Parma 1767
Intagliò una vignetta nell’Orazione funebre recitata in Parma nel 1767 in lode di Elisabetta Farnese regina di Spagna.
FONTI E BIBL.: G.Gori Gandellini, Notizie degli intagliatori, II, 1808, 215; De Boni, Biografia degli artisti, 1840, 626.
MASTRO PRESCIUTTO, vedi BOTTI FERRUCCIO
MATALETO PIER ANTONIO, vedi PIER ANTONIO DA MATTALETO
MATERAZZI ANGIOLA, vedi ISOLA ANGIOLA
MATTALETO PIER ANTONIO, vedi PIER ANTONIO DA MATTALETO
MATTEVELLI GIOVANNI BATTISTA Parma 1831 Compose otto Grandi Studi per flauto solo, dedicati al suo maestro Francesco Raguzzi, Primo flauto della Ducale Accademia di S. M. la Duchessa di Parma (Milano, Lucca, num. ed. 399).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
MATTAVELLI GIUSEPPE
-Parma 15 maggio 1886
Giovanissimo accorse nelle file dell’esercito quando ancora doveva compiersi l’Unità d’Italia.Nominato in seguito Sottotenente dei bersaglieri, si distinse nella campagna militare del 1866.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 maggio 1886, n. 137; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 413.
MATTEI ANGELO
Parma prima metà del XVIsecolo
Maestro d’organo attivo nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, III, 80.
MATTEI GIAN FRANCESCO, vedi MATTHEY GIAN FRANCESCO
MATTEI GIOVANNI FRANCESCO
Parma 20 aprile 1476-Parma giugno 1528
Le notizie che si hanno sul Mattei si riducono a quando il da Erba riferisce nel Compendio: Gioan Francesco de Matthei sacerdote, grammatico et humanista giudiciosissimo che scrisse latino un trattato de l’anno del principio e delle quattro staggioni de l’anno, un trattato de l’origine della famiglia diMatthei, un breviario de tempi del antichità et cose notabili della patria et una cronica di suoi tempi volgare da l’anno 1476 sino al 1527.Precisata dallo stesso cronista la data di nascita, quella di morte fu aggiunta dal da Erba al termine della carta272v del codice.Il Mattei fu quindi contemporaneo dello Smagliati, da cui però non venne nominato.Per quanto riguarda le opere del Mattei, non risulta che sia rimasto altro all’infuori di quanto ricordato nelle due facciate della carta272.Probabilmente la citata Cronica non dovette essere altro che uno di quei brogliacci d’appunti, diffusi in età umanistica, altrimenti chiamati Ricordi, che servivano, tra l’altro, ad annotare notizie personali oppure rapporti di debito e credito verso terzi.Infatti vi si trovano un gran numero di notizie attinenti la vita privata del Mattei o quotazioni del mercato, cui forse questo prete titolare di benefici ecclesiastici (come egli stesso riferisce) fu direttamente interessato.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2/3 1971, 77-78.
MATTEI GIROLAMO
Parma 1671
Erudito e informato delle cose politiche, scrisse una non disprezzabile Genealogia universale di tutti i bellicosissimi Re di Navarra, col suo arbore in fine, nel quale non solo si vedono tutti i Re, che sono stati et hanno regnato in detto Regno, ma ancora tutti i Principi e Principesse di quella Reale Famiglia.Dedicò tale opera alla Maestà di Luigi XIV Re di Francia e di Navarra, facendola stampare in Bologna nel 1671 da Giacomo Monti.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 237-238; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VI/3, 1827, 815-817.
MATTEO JACOPO
Parma 1461/1500
Frate, fu nominato più volte Priore del convento di SanSalvatore di Venezia tra il 1461 e il 1500.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2/3 1971, 78.
MATTEI LODOVICO
Parma 25 giugno 1853-post 1913
Dopo aver studiato dal 1865 al 1866 corno alla Regia Scuola di musica di Parma, si ritirò per iscriversi alla Scuola di musica della banda cittadina, che presentava il vantaggio di essere gratuita, pur avendo gli stessi insegnanti. Terminati gli studi, si arruolò come primo corno in una banda militare, che lasciò per diventare nel maggio 1887 direttore della banda di Bellinzona. Con questo complesso partecipò all’esposizione nazionale di Ginevra (1896), alle feste federali di musica di Sankt Gallen (1897), al concorso mondiale di Monza (1897), al tiro federale di Neuchâtel (1898), ad Aarau (1900) e a Lugano (1903). A Bellinzona insegnò nelle scuole, diresse una corale e divenne famoso come compositore. Nel 1913 compose la marcia ufficiale per la I festa cantonale delle musiche di Bellinzona e la Gazzetta di Parma riportò la notizia di una sua composizione, Sangue slavo.
FONTI E BIBL.: Anesa; Dacci; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MATTEI LUIGI
Corniglio-Vertojba 10 ottobre 1916
Figlio di Giuseppe.Sergente Maggiore d’Artiglieria di Montagna, fu decorato medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Sotto l’intenso fuoco nemico trasportava un pezzo allo scoperto a cento metri dalle trincee avversarie, sostituendo un servente ed esponendosi serenamente al pericolo.Più tardi cadeva ucciso da una granata; mirabile esempio di valore e di alto sentimento del dovere.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 10a, 690; Decorati al Valore, 1964, 37.
MATTEI LUIGIA, vedi MATTHEY LUIGIA
MATTEI TITO
Parma 1845 c.-Londra post 1877
Fu distinto pianista e compositore.Dimorò a Londra e acquistò fama con le sue composizioni per canto e pianoforte, che godettero grande voga in Inghilterra come in Italia.Alla fine di luglio del 1877 il Mattei fece rappresentare quasi privatamente nel teatro di Saint-Georges Hall di Londra la sua opera Maria di Gand, con esito oltremodo felice.
FONTI E BIBL.: P.Bettoli, Fasti musicali, 1875, 188.
MATTEI VITTORIO
Parma 3 dicembre 1862-Parma 1927
Figlio di Pietro e Maria Teresa Federici. Per tutta la vita si adoperò alle opere di pietà e di carità.Come cassiere e amministratore, entrò in quasi tutte le istituzioni benefiche di Parma ed ebbe in custodia la cassa di trentaquattro amministrazioni di beneficenza.Quando anche la Pubblica Assistenza venne affidata alle cure del Mattei, con tre lire e sedici centesimi in cassa e ottocento lire di debiti, il Mattei non si scoraggiò e riportò in pareggio le sorti del benefico ente.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 97.
MATTEI VITTORIO, vedi anche MATTHEY VITTORIO
MATTEIA SABINA
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberta, figlia di C.Matteius [Di]licens e di Parmensia Celerina.Dedicò al padre, insieme alla madre e ai fratelli Matteius Iustus e Matteius Celer, un’epigrafe databile a età imperiale documentata a Parma, ma poi perduta.Il nomen Matteia, frequente a Roma, riporta all’ambiente giudaico.Si trova documentato assai raramente in tutta la Cisalpina, sporadicamente altrove.Sabina è cognomen molto diffuso ovunque e documentato a Parma per altri personaggi.La sua grandissima diffusione ne esclude il valore geografico originario.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 122.
MATTEIUS CAIUS DILICENS
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberto.Dedicatario di un’epigrafe di età imperiale (presenza della formula D.M.) documentata a Parma, ma poi perduta, postagli dalla co<n>iunx carissima Parmensia Celerina e dai figli Matteius Iustus, Matteius Celer e Matteia Sabina.Il nomen Matteius, frequente a Roma, riporta all’ambiente giudaico.Si trova documentato assai raramente in tutta la Cisalpina, sporadicamente altrove. Anche il cognomen, forse ricostruibile in [Di]licens, non è documentato in tutta l’Italia settentrionale.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 123.
MATTEIUS CELER
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberto, figlio di C.Matteius [Di]licens e di Parmensia Celerina.Dedicò, insieme alla madre e ai fratelli Matteius Iustus e Matteia Sabina, un’epigrafe di età imperiale al padre, documentata in Parma, ma poi perduta.Celer, cognomen molto diffuso soprattutto in Italia, ben documentato oltre il Po e presente in Aemilia, è qui derivato da quello della madre.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 123.
MATTEIUS IUSTUS
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberto, figlio di C.Matteius [Di]licens e di Parmensia Celerina e fratello di Matteius Celer e di Matteia Sabina.Pose un’epigrafe di età imperiale al padre, documentata a Parma, ma poi perduta, insieme ai familiari.Iustus, cognomen diffusissimo soprattutto in Italia tra i liberi, è documentato in tutta la Cisalpina con una discreta frequenza.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 124.
MATTEO DA BUSSETO
Busseto fine XV secolo/1505
Lesse Diritto civile nello Studio bolognese dalla fine del XV secolo e fino al 1505.
FONTI E BIBL.: Mazzetti, Repertorio di tutti i professori della famosa Università di Bologna, Bologna, 1847; R.Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 235.
MATTEO DA BUSSETO
Busseto 1509/1524
Fu capitano al servizio di Luigi XII di Francia.Nel 1509 prese parte alla battaglia di Agnadello, dopo la quale ebbe l’incarico di prendere possesso delle città venete di terraferma. A capo di tremila lanzichenecchi marciò verso Padova e Treviso invadendo il Friuli.Costretto dai Veneziani a ritirarsi, perché sorpreso in una sosta presso Padova, passò nel 1524 al servizio di Francesco Sforza, prendendo parte all’impresa di Abbiategrasso, castello che tolse alle milizie di Francia.
FONTI E BIBL.: A. Grumello, Cronaca dal 1467 al 1529, Milano, 1856; E.Seletti, La città di Busseto, Milano, 1883; C.Argegni, Condottieri, 1937, 238.
MATTEO DA PARMA, vedi CAPCASA MATTEO
MATTEY EMILIO Parma-Parma 5 agosto 1854 Liberale, prese parte al moto rivoluzionario del 22luglio 1854 in Parma e perciò venne giustiziato insieme ad altri quattro compagni coinvolti nella rivolta.Ferito in più parti del corpo e con il femore fratturato per essere caduto dal tetto del caffè Bersellini, non reggendosi più in piedi e non potendo neppure essere legato a un albero, fu incatenato a una barella, la quale venne messa in posizione verticale appoggiandola a un cavalletto.In tale modo venne fucilato.
FONTI E BIBL.: F.Ercole, Martiri, 1939, 237.
MATTHEO DA PARMA, vedi CAPCASA MATTEO
MATTHEY GIAN FRANCESCO
Parma-post 1836
Compositore. Nella primavera 1821 musicò il balletto comico La casa degli spiriti, rappresentato da nobili dilettanti al Teatro Sanvitale di Parma. Nel 1826 venne eseguito al Collegio Lalatta un suo Concerto per pianoforte a piena orchestra e il 27 giugno 1838, in una serata a beneficio al Teatro Ducale, fu la volta di una sua Gran Sinfonia per orchestra.
FONTI E BIBL.: P.E. Ferrari; Stocchi, 167; Inventario; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MATTHEY LUIGIA Parma 1827/1848 Soprano, probabilmente parmigiana, la si incontra la prima volta il 12 febbraio 1827, quando cantò a Viterbo per l’Accademia degli Ardenti nel melodramma di Felice Benedettoni Il giubileo della città di Viterbo. Nel 1829 fu ancora nella stessa città al Teatro del Genio nell’Eufemio di Messina del Carafa. Pare che fino al 1841 avesse cantato in Olanda, Belgio e Francia, mentre nell’ottobre 1841 fu al Teatro Carignano di Torino nella Maria Rendez. Nel Carnevale seguente fu prima donna assoluta al Teatro Nuovissimo di Padova nella Gemma di Vergy. La GGM del 22 settembre 1844 riporta che prese parte a un concerto nelle sale del Nobile Casino della Società di Milano in occasione del VI congresso degli scienziati assieme al contrabbassista Bottesini, al flautista Cavallini, al pianista Golinelli e a vari cantanti, tra i quali il basso Marini. Nel Carnevale 1844-1845 fu chiamata al Teatro Municipale di Piacenza al posto di altro soprano che non aveva soddisfatto (Elena da Feltre e Il giuramento di Mercadante) e il 19 aprile 1845 inaugurò il Nuovo Teatro Sociale di Voghera con I lombardi alla prima crociata, Columella e Linda di Chamounix. Nel Carnevale del 1848 fu al Teatro Civico di Cagliari nella Giovanna d’Arco e in Mariano d’Arborea.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
MATTHEY VITTORIO
1768-Parma post 1831
Si trasferì a Parma all’età di un anno, allorché nel 1769 suo padre fu accolto dal duca Ferdinando di Borbone in qualità di professore di Matematica.Nei suoi primi anni il Matthey non dimostrò alcun trasporto per la musica e fu soltanto all’età di diciotto anni che decise di studiare il cembalo sotto la direzione di Carlo Magri. In breve tempo fece grandi progressi.Fu istruito poi nel solfeggio e nell’accompagnamento da Ferdinando Paër e nel contrappunto da Gaspare Ghiretti.La sua frequenza per più anni in casa di Gaetano Grossi, dove molto spesso ebbe modo di far cantare la figlia Rosalinda, contribuì a rendere il Matthey un eccellente suonatore e accompagnatore di pianoforte.Il Matthey compose due cantate per la figlia del Grossi e alcune arie per diverse accademie.Nel 1812 fu maestro di pianoforte in Parma. Dopo il 1826 lo si trova docente di pianoforte al Collegio Lalatta di Parma e con il decreto 10 dicembre 1831 venne confermato nel nuovo Convitto Maria Luigia. Nella Biblioteca del Conservatorio di Parma si trovano i manoscritti della Gran Sinfonia di Haydn ridotta a pianoforte a 4 mani e del Quintetto dell’opera Il Turco in Italia ridotto per pianoforte a 4 mani. Nel 1827 vennero acquistati dalla duchessa di Parma i suoi Scherzi di fantasia sul piano forte sul duetto Va menzogna negli Arabi nelle Gallie di Pacini (Archivio di Stato di Parma Casa e Corte di Maria Luigia, Contabilità).
FONTI E BIBL.: C.Gervasoni, Nuova teoria di musica, 1812, 180-181.
MATTIA DA PARMA, vedi CAMAGNI GIOVANNI MATTIA
MATTIOLI
Parma 1768
Fu cantore alla Cattedrale di Parma il 3 aprile 1768.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
MATTIOLI ALFREDO
Verona 1902-Parma 1965
A soli dodici anni venne notato da Freisa, allenatore del Modena calcio, che lo provò, inserendolo tra gli allievi.Nel 1914 si trasferì a Parma e, dopo aver giocato nel Forte e Braccio, nel 1918 venne portato da Raoul Violi nel Parma calcio.Disputò vari campionati come centravanti e poi venne impiegato come terzino.Dal 1929 giocò per tre anni nella Cremonese e poi ritornò a Parma.Nel 1938 smise di giocare e tre anni dopo assunse la direzione tecnica della squadra del Parma A.S. Fu impiegato comunale a Parma per trentotto anni.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 201-202.
MATTIOLI ANGELO
Parma 13 luglio 1837-
Figlio di Evangelista e Anna Maria Baroncini.Muratore, fu tra i Mille che sbarcarono a Marsala con Garibaldi (11maggio 1860).Fu congedato col grado di caporale.Nel 1864 fu tenuto sotto sorveglianza perché fervente repubblicano.
FONTI E BIBL.: P.D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 142.
MATTIOLI ANGELO
Parma 1906-Parma 1961
Figlio di un pavimentista, ereditò l’arte paterna divenendo un apprezzato artigiano.Nel 1920 debuttò come corista nell’opera Loreley.Lasciato il canto, diventò claqueur al teatro Regio di Parma, dispensando, inoltre, apprezzati consigli tecnici sulla qualità delle voci liriche. Del 1945 è un aneddoto che lo vide protagonista: pagato con un paio di pantaloni per fischiare Renata Tebaldi, li rese poco prima della recita affermando che preferiva vestire di stracci che fischiare una voce come quella. Alla sua morte, lasciò una ricca collezione di foto con dediche di Lauri Volpi, Schipa, Tagliavini, Callas, Tebaldi, Corelli, Bergonzi, Di Stefano e altri cantanti.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 202.
MATTIOLI BRUNO
Parma 26 settembre 1911-post 1976
Operaio, membro dell’organizzazione comunista clandestina, nel 1932 fu condannato a un anno di carcere dal Tribunale speciale.Detenuto a Santa Maria Capua Vetere, successivamente venne confinato per tre anni a Lungro. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza parmense come partigiano combattente nelle formazioni gappiste.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della Resistenza e dell’Antifascismo, III, 1976, 621.
MATTIOLI CARLO Modena 8 maggio 1911-Parma 12luglio 1994 Appena ebbe l’età per reggere i barattoli e per lavare i pennelli, venne assegnato al nonno Carlo perché lo seguisse nel suo lavoro di decoratore. Fu una vera e propria iniziazione alla pittura che si compì nei saloni di silenziose ville di campagna e che si completò con gli studi all’istituto d’arte: prima al Venturi di Modena e quindi al Toschi di Parma.Nel 1925, infatti, il padre Antonio si trasferì in quella che fu poi per il Mattioli la città d’adozione: Parma. Il Mattioli superò il concorso da professore di disegno e, dopo un intermezzo in Istria e in Toscana, ottenne la cattedra a Parma, dove si sposò e prese casa e studio vicino al Duomo. Furono queste le premesse di un’esperienza creativa che attraversò oltre mezzo secolo di storia artistica: dal 1939 al 1991.La chiamata alla pittura fu per il Mattioli un imperativo categorico, un impegno da onorare con l’applicazione di ogni giorno.La nascita del Mattioli pittore avvenne in condizioni ideali: a Parma, in quegli anni, già si rivelava la voce poetica di Attilio Bertolucci e intorno agli anni Quaranta s’incontravano Mario Luzi, Oreste Macrì, Giacinto Spagnoletti e altre personalità destinate a fare la storia della cultura italiana.Il Mattioli intrecciò rapporti anche con Firenze, dove frequentò il cenacolo delle Giubbe Rosse. A Firenze, non a caso, si presentò nel 1943 con la sua prima mostra, alla galleria Il Fiore.Una mostra voluta da Ottone Rosai. In quegli anni il Mattioli avvertì l’importanza di Picasso, senza però diventare un picassiano.Da lui imparò la libertà del segno e il guardare gli antichi con l’occhio e la sensibilità del presente.Ne ammirò ed emulò l’assiduità quotidiana del lavoro, il rigore e il metodo. Il Mattioli si pose, sin dagli inizi della sua carriera di pittore, in una situazione di autentica cultura, da vivere con severo rigore intellettuale, senza niente concedere alle piccole richieste locali.Sin dagli inizi guardò alla realtà solo ed esclusivamente in termini di sensibilità artistica: una realtà da decifrare nei suoi segni più profondi, da tradurre in immagini di lunga durata figurativa.Negli inquieti fermenti del dopoguerra, la voce del Mattioli si manifestò in tutta la sua peculiarità di timbro e di stile: in virtù, soprattutto, di quel segno nero che è indizio di allarme espressivo, di oscura e talvolta revulsiva verità poetica. È per questi valori che il Mattioli, già nel 1956, ricevette il più ambito dei riconoscimenti: il premio internazionale per il disegno alla Biennale di Venezia.Fu un’affermazione che lo collocò entro la ristretta cerchia di quanti producono cultura.Cominciò negli stessi anni il sodalizio ininterrotto tra il Mattioli e i poeti e gli scrittori.Bertolucci scrisse su Mattioli sin dal 1939, poi fu la volta di Mario Luzi, di Raffaele Carrieri, di Giancarlo Vigorelli, di Davide Lajolo, di Giorgio Soavi, di Piero Bigongiari, di Vittorio Sereni, di Cesare Garboli e di Alberico Sala.Prese forma, negli stessi anni, la visione specifica del Mattioli: una visione che si alimenta di urgenze e di tensioni, di un dissidio inesausto tra realtà e memoria.Sul piano critico fu dapprima Roberto Tassi che mise a fuoco con vigile aderenza i caratteri peculiari del linguaggio del Mattioli.Poi furono altre firme prestigiose che convalidarono l’alta qualità di una pittura dispiegata sui grandi cicli della tradizione, il paesaggio, la figura, la natura morta: nel corso degli anni, si aggiunsero via via i nomi di Ragghianti, di Valsecchi, di Micacchi, di Carluccio, di Testori, di Santini, di Quintavalle e di Sgarbi. Alla Biennale di Venezia il Mattioli tornò ancora nel 1968 con una sala dedicata alla natura morta.Due anni dopo Parma lo onorò con la prima e completa antologica alle Scuderie della Pilotta.Fu l’occasione di una verifica ad ampio raggio d’incidenza per il Mattioli e la sua opera: vennero esposti 146 dipinti, eseguiti tra il 1939 e il 1970, 80 disegni tra carboncini, tempere e sanguigne e si completò la rassegna con le sue illustrazioni. Nel saggio d’introduzione al catalogo, Tassi riconosce nel Mattioli la chiara coscienza della grandezza della forza dell’arte e dell’inutilità, anzi impossibilità in lui, di isolarla dalla vita reale.Per sua natura costretto a vedere il mondo e magari a trasformarlo ma solo per renderlo più se stesso, il Mattioli non oltrepassò mai il limite che segna il contatto con il reale.Per questo non cedette alle tentazioni dell’informale, nemmeno negli anni in cui la nuova formula poetica assunse una rilevanza dominante sul piano internazionale: il Mattioli restò fedele a se stesso, alle radici di una cultura che si rigenera nel processo di unione con l’uomo e con la natura. Verso la metà degli anni Settanta, periodo che segnò la sua definitiva consacrazione, il Mattioli si fece viaggiatore in arte: prima in Spagna e poi in Scozia.Dipinse l’intensità del caldo paesaggio spagnolo e i laghi scozzesi.Fu invece ispirato alla Versilia e ai canali di Fiumetto e di Marina di Pietrasanta il ciclo detto delle acque morte, in mostra nel 1978 alla galleria Trentadue a Milano, cui seguì la mostra antologica realizzata nell’estate del 1980 al Museo della Basilica di San Francesco ad Assisi. Nel 1983 il Mattioli decise di donare alla città di Parma un gruppo di 40dipinti e oltre 300 tra disegni e grafiche.Un gesto che trovò riscontro in una grande mostra allestita nelle Scuderie della Pilotta per iniziativa del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università, diretto da Arturo Carlo Quintavalle. La mostra delle Scuderie dilatò la fortuna critica del Mattioli e segnò l’inizio di una serie di esposizioni in spazi pubblici di alto prestigio.Una serie che toccò il suo culmine l’8 maggio 1984 quando s’inaugurò a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, una seconda e più ampia antologica dell’opera del Mattioli: oltre 200 pezzi, tra dipinti, tempere, acquarelli, disegni, libri e taccuini.Il successo della mostra, promossa dalla Olivetti, fu clamoroso e la bibliografia del Mattioli assunse da quel momento dimensioni sterminate.Un consenso che accompagnò il suo itinerario espositivo nelle occasioni più suggestive: dal museo della Basilica di San Francesco ad Assisi ai luoghi di Leopardi a Recanati. Dopo quella mostra prese corpo un ambizioso progetto: pubblicare il diario privato del Mattioli.Nel maggio 1985 uscì il primo volume dedicato alle Ginestre e nell’ottobre dello stesso anno seguì l’evento più atteso: la presentazione degli studi per I Canti leopardiani sui luoghi di Recanati.Il progetto avanzò secondo i piani: nel marzo del 1986 uscì il volume con iPaesaggi a Castrignano, seguirono tra settembre e dicembre il taccuino degli Appunti e l’Appendice sui luoghi, le immagini e gli scritti.Il 1986 fu un anno pieno di nuovi successi: una mostra all’Italsider di Taranto e una mostra di pastelli nel Musée Arthur Rimbaud a Charleville-Mézière nelle Ardenne.Fu un omaggio all’autore delle Illuminations e la stampa francese (con la firma autorevole di Pierre Masteau) individuò il rigore classico e la moderna audacia dell’arte del Mattioli. Ancora si ebbe l’esposizione a ottobre al Palazzo dei Diamanti di Ferrara con la presentazione in catalogo di Enzo Carli che individua la mirabile unità dell’opera del Mattioli e la rigorosa coerenza del suo percorso e poi l’esposizione nel novembre del 1986, presentata da Licigno Magagnato, in Palazzo Te a Mantova con i nudi e le nature morte, dipinti tra il 1961 e il 1971, ancora inediti.L’anno si concluse con l’omaggio della Regione Emilia Romagna: un prezioso volume edito da Analisi e un incontro a Palazzo Marchi a Parma. Nell’occasione fu un altro illustre storico dell’arte, Gian Alberto Dell’Acqua, a delineare il gioco sottile tra passato e presente in Mattioli, come quando, per interpretare il Crocefisso utilizza il legno di un vecchio cassone friulano da cucina. Furono incontri che derivarono da sottese rispondenze di sensibilità e di cultura con il mondo intimo del Mattioli: un mondo che va al di là dei soggetti e dei cicli per porsi nella scabra verità della sua durata espressiva.Le oscure tensioni della materia, le folgorazioni della realtà di natura e gli indizi sopiti della memoria si combinano insieme in un unico crogiuolo immaginativo e si decantano, a ogni svolta del cammino compiuto dal Mattioli, nel precipitato veridico della pura espressione.L’aspirazione a una pittura senza residui, distillata nella rara essenza poetica della forma, continuò a essere il suo traguardo-limite, anche negli ultimi anni di vita.Fu proprio questa tensione inesausta a fare del Mattioli una delle voci più vive della pittura italiana. Negli ultimi tempi si dedicò soprattutto a crocefissi maestosi e imponenti, che ricordano la potenza espressiva di Cimabue e Giotto.I crocefissi sono in quercia o in legno antico e raro, cercato con cura e pazienza inPiemonte o in Alto Adige.Il Mattioli ne donò tre a Parma: uno per la chiesa di Santa Maria del Rosario, uno in San Giovanni e l’ultimo (giugno 1991) in quella della Trasfigurazione.Un altro lo donò alla Basilica di San Miniato al Monte. Già durante la seconda guerra mondiale, con Guanda progettò di illustrare le poesie di Lorca e i Ragionamenti dell’Aretino. Più tardi illustrò la Certosa di Parma e Vanina Vanini di Stendhal, la Venexiana di anonimo del Cinquecento, il Canzoniere del Petrarca e continuò con La pioggia nel pineto di D’Annunzio e gli studi per i Canti di Leopardi.Il lirismo leopardiano si scopre nei Notturni (1972-1980), dove nei paesaggi senza tempo e senza figure, immoti, una piccola luna d’argento porta verso i confini.Le sue pennellate, a volte raggrumate di colori abbrumati, a volte squarciate di bianco oppure solari e primaverili, accompagnano i temi del suo iter artistico: i nudi (1944-1974), le Nature Morte (dal 1963), i ritratti di Bertolucci, Carrà, Longhi, Vigorelli, Morandi, De Chirico, Rosai, Manzù, fino alla nipotina Anna, poi le Vedute di Parma (1964-1974), Dal Cestino di Caravaggio (1967-1974), i Paesaggi (dal 1971), le Aigues mortes (1978-1983), temi che ricorrono pure negli acquerelli, disegni e tecniche miste.
FONTI E BIBL.: O.Macrì, in Artisti italiani del nostro tempo, Bergamo, 1946 (a cura di S.Cairola); Enciclopedia Pittura Italiana, II, 1950, 1622-1623; Arte incisione a Parma, 1969, 65; U.Galetti-E. Camesasca, Enciclopedia pittura italiana, Milano, 1951; Le nature morte di CarloMattioli alla Galleria Bergamini, Milano, novembre 1968 (M.Valsecchi); La Stampa 18 dicembre 1968 e 26marzo 1971 (M.Bernardi); Catalogo personale alla Galleria Dello Scudo, Verona, gennaio 1969; A.M.Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1972, 1956; XXVIIIBiennale di Venezia, catalogo della mostra, Venezia, 1956; P.C.Santini, Carlo Mattioli, catalogo della mostra, Carrara, 1971; Catalogo Nazionale Bolaffi d’Arte moderna, n.10, Torino, 1975; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 292; M.Dall’Acqua, Terza pagina della Gazzetta, 1978, 303-304; Grandi di Parma, 1991, 78; Dizionario Pittura e Pittori, III, 1992, 553-554; Gazzetta di Parma 14luglio 1994, 7; Gazzetta di Parma 8 aprile 1995, 5.
MATTIOLI CELESTE
Traversetolo 1831
Durante i moti del 1831 fu tra i propagatori della rivolta.Fu per questo processato.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 186.
MATTIOLI EUGENIO
Parma 27 aprile 1834-Fornovo di Taro post 1883
Figlio di Ferdinando (medico e possidente) e di Carolina Bertucci.Dal censimento della popolazione del 1857 risulta studente in architettura.Due anni dopo fu volontario garibaldino nella campagna per il Risorgimento italiano.Il 10 febbraio 1862, quando sposò in San Quintino Celestina Elena Romanelli, è detto architetto.La sua attività di pittore-fotografo non può essere definita professionale ma piuttosto amatoriale: la stessa matricola della Camera di Commercio di Parma non lo annovera mai tra i fotografi.L’inizio della sua esperienza fotografica può essere collocato nel periodo 1860-1863.Proprio di quel tempo è l’unica fotografia rintracciabile: quella di Etevoldo Bocelli, farmacista a Colorno e patriota, ritratto dal Mattioli con gusto e buona tecnica.Il Mattioli ebbe tre figli: Cecilia, Arturo e Virginio. Abitò dapprima in borgo del Vescovo 27, poi in borgo Strinato 20.Il 5 aprile 1883 si trasferì con la famiglia a Fornovo di Taro.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 131.
MATTIOLI FERDINANDO
Traversetolo ante 1804-Bardi 24 febbraio 1838
Fu medico condotto in Bardi.Lasciò diversi voluminosi scritti di medicina rimasti inediti.Fu assai stimato e tenuto in grande considerazione da altri insigni medici del tempo: Giacomo Toschi (assieme al quale il Mattioli si laureò), il Brera e il Cristofori.Fu seguace del Rasori.In gioventù scrisse e declamò in pubblico (a Traversetolo e a Parma) versi e componimenti, anche in dialetto parmigiano (questi ultimi ebbero il plauso di Angelo Mazza).Nel 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari e durante i moti del 1831 fu tenuto sotto sorveglianza.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 248-249; O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 190.
MATTIOLI GIOVANNI
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XIII, 1822, 125.
MATTIOLI GIOVANNI, vedi anche MATTIOLI FERDINANDO
MATTIOLI GIULIO
Parma 1633/1635
Sacerdote, cominciò a servire alla Corte di Parma il 1° giugno 1635, ma già alla fine di dicembre dello stesso anno cessò dall’ufficio di cantore (basso).Precedentemente (1° giugno 1633) era stato eletto cantore residente della Cappella della Steccata in Parma.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 94, 133 e 181.
MATTIOLI LINO
Traversetolo 23 agosto 1853-Cincinnati post 1938
Nel 1865 entrò allievo nel Regio Conservatorio di Parma e vi rimase per cinque anni studiando con Carlo Curti il violoncello, il pianoforte, il canto e la composizione.Si diplomò nel 1870 vincendo quattro medaglie, due d’argento e due di bronzo.Uscito dal Conservatorio, intraprese la carriera del violoncellista dando concerti e suonando nelle principali orchestre teatrali e sinfoniche.Dopo aver diretto una stagione d’opera a Calcutta, tornò in Italia e fece parte dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano sotto Franco Faccio e dei concerti del Regio Conservatorio.Nell’ottobre 1883, quando il Teatro Metropolitan di New York iniziò la stagione d’opera, venne scritturato come primo violoncello solista e nel corso della stagione, che durò fino al maggio 1884, stabilì una classe di canto che ottenne grande successo.Dovette presto lasciarne l’insegnamento per coprire il posto di professore di canto e violoncello nel College of Music di Cincinnati, che tenne fino all’anno 1933, ritirandosi dopo mezzo secolo di onoratissimo lavoro.Il Mattioli fu nominato membro dell’American Academy of teachers of singing.Compose varia musica per violoncello e pianoforte, tra cui la rinomata Danse montagnarde (ed.Kistner, Lipsia).
FONTI E BIBL.: C.Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, 3, 1938, 521.
MATTIOLI LORENZO Parma prima metà del XVIII secolo Scultore attivo nella prima metà del XVIIIsecolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 132.
MATTIOLI LUCA
Parma 1505/1545
Sacerdote e maestro di cappella, detto De Observario.Fu dogmano della Cattedrale di Parma sin dal 1505 e rinunciò a tale ufficio nel 1526.Passò dopo qualche tempo alla chiesa della Steccata di Parma come maestro di cappella (1°marzo 1528-febbraio 1533).Lasciata la direzione della cappella della Steccata, ritornò alla Cattedrale, sempre come dogmano, ove restò sino al 1545.Il 6luglio 1545 rinunciò una seconda volta a favore del nipote Andrea.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Benefitiorum nec non Benefitiatorum, Elenchus, 226; N.Pelicelli, La Cappella corale della Steccata nel sec.XVI, 536; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 14.
MATTIOLI LUIGI
San Polo 1811-post 1859
Sacerdote.Fu insegnante di Logica e Metafisica all’Università di Parma dal 1840 al 1859.
FONTI E BIBL.: Note statistico-personali, in Archivio dell’Università di Parma; Almanacco di Corte; F.Rizzi, Clero in cattedra, 1953.
MATTIOLI MARGHERITA
Parma 1687
Figlia di Stefano.Nell’anno 1687 fu immatricolata all’Arte dei Falegnami.
FONTI E BIBL.: Beghini, 1713, 2; Il mobile a Parma, 1983, 256.
MATTTIOLI POMPEO
1823-Parma 3 aprile 1891
Tenente Colonnello dei Bersaglieri nell’Esercito Italiano, fece le campagne risorgimentali del 1848, 1849, 1859, 1860 e 1866.
FONTI E BIBL.: Corriere di Parma 5 aprile 1891, n. 92; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 74.
MATTIOLI SECONDO Traversetolo XIX/XX secolo Fu professore di violoncello.Si esibì in quasi tutti i principali teatri del mondo.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 settembre 1979, 16.
MATURINI ANDREA
-Parma 2 gennaio 1879
Laureato.Patriota fin dalla giovinezza, partecipò a tutte le cospirazioni che ebbero di mira il riscatto dell’Italia.
FONTI E BIBL.: Il Presente 3 gennaio 1879, n. 2; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 413.
MATURINI MATURIO
San Secondo 9 maggio 1847-
Studiò contrabbasso e trombone alla scuola di musica di Parma dal 1860 al 1865.Dopo aver servito per molti anni come trombonista nella banda di un reggimento di cavalleria, fu nominato professore di contrabbasso al Conservatorio Nazionale di Lione.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 130; San Secondo, 1982, 60.
MAUCCI LUIGI
Parma 1887-Buenos Aires 1955
Uomo di lettere ed editore, si trasferì in Argentina nel 1903, dove lavorò per molti anni nell’editoria.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 10 luglio 1989, 3.
MAUPAS ALPINOLO ILDEBRANDO UMBERTO
Spalato 30 agosto 1866-Parma 14 maggio 1924
Nacque da Giovanni e Rosa Marini.Il nonno Sebastiano, francese, ai primi del XIX secolo con le truppe di Napoleone Bonaparte si recò come medico in Dalmazia, dove sposò una spalatina, rimanendovi per sempre.Uno dei figli di Sebastiano, Giovanni, andò a Padova per ragioni di studio e vi conobbe l’attrice Rosa Marini di Avezzano, che diventò poi sua moglie. Dal matrimonio nacquero dieci figli, l’ultimo dei quali fu il Maupas, che fece i suoi studi elementari e ginnasiali a Spalato, poi a Zara, dove si trasferì nel 1879 tutta la sua famiglia. Il 30 settembre 1882 vestì l’abito francescano nel convento di Capodistria della provincia di San Girolamo in Dalmazia, prendendo il nome di Pietro.Dopo il liceo e il noviziato, dimorò nel convento di Kosljun fino al marzo 1885, quando fu dimesso dall’Ordine perché accusato d’insubordinazione dopo essere stato più volte ripreso per aver suonato, in compagnia di un professo di nome Raimondo, un pianoforte in orari non consentiti. In seguito, per qualche tempo, fece servizio nelle guardie di finanza ma, convinto di avere la vocazione religiosa, chiese di poter rientrare nell’Ordine.Il ministro dell’Ordine, Luigi Canali da Parma, lo riammise (1888) e lo inviò nella provincia di Toscana per ripetere il noviziato nel convento di Fucecchio.Alla nuova vestizione religiosa il Maupas prese il nome di Lino.Dopo la professione, emessa il 16 gennaio 1889, fu mandato a Colleviti, presso Pescia, per continuare gli studi.Considerato adatto per le missioni di Albania, venne assegnato il 16 maggio 1889, ancora chierico, a Scutari, dove nel gennaio 1890 ricevette gli ordini minori dall’arcivescovo Pasquale Guerini. Ma a causa di una malattia agli occhi, nel giugno 1890 dovette rientrare in Italia.I medici gli consigliarono di non ritornare in Albania perché quel clima poteva mettergli in pericolo la vista, per cui chiese di rimanere nella provincia di Bologna.Nel convento di Santa Maria delle Grazie presso Rimini si preparò al sacerdozio (vi ricevette nel settembre e novembre gli ordini maggiori da monsignor Chiaruzzi) e il 30 novembre 1890 fu ordinato sacerdote a Forlì dal vescovo Domenico Svampa.Celebrò la sua prima messa l’8 dicembre 1890. Dopo l’ordinazione sacerdotale fu destinato a Rimini, fu a Parma una prima volta nel 1891 per pochi mesi, poi nel 1892 trasferito a Cortemaggiore e infine il 18 giugno 1893 a Parma, dove rimase fino alla morte.A Parma fu cappellano nella parrocchia della Santissima Annunziata (1895-1909), poi cappellano delle carceri (1900) e successivamente, come direttore spirituale dei corrigendi, del riformatorio Lambruschini (1910).Nel 1901 il Maupas ricevette la cittadinanza italiana. Durante il trentennio della sua attività a Parma, il Maupas divenne l’esempio luminoso della carità cristiana, che esercitò verso tutti: poveri, ammalati, abbandonati, carcerati e infelici. Nel 1909 si presentò dinanzi alla Corte d’Assise di Lucca ove si giudicava un gruppo di parmigiani imprigionati per rivolta politica in conseguenza dello sciopero agrario dell’anno precedente: il Maupas rese una testimonianza magistrale, che valse la libertà a tutti. Durante la settimana rossa del giugno 1914, esercitò energica azione moderatrice, riuscendo a impedire irruzioni nelle chiese e condanne di arrestati. All’entrata dell’Italia in guerra (1915) il Maupas venne reclutato come cappellano militare per prestare servizio su un treno ospedale, ma su domanda fu rimandato a Parma. La morte lo colse nel pastificio Barilla, dove si era recato per raccomandare un disoccupato.Già nella vita molti lo ammirarono come nuovo San Francesco.Tutta la città accompagnò al cimitero le sue spoglie mortali, anche in seguito visitate e venerate dai suoi devoti.Nel sepolcro dei Frati Minori fu posta una statua di bronzo e un’altra simile fu collocata (novembre 1947) nel chiostro a lui dedicato entro il cimitero. Una terza statua dedicata al Maupas fu eretta nel 1999 in piazzale Bertozzi. Alla memoria del Maupas fu decretata dal ministero di Grazia e Giustizia (ottobre 1936) la medaglia d’oro con diploma di primo grado al merito della redenzione sociale.Il 25 luglio 1942 fu iniziato presso la Curia vescovile di Parma il processo informativo sulle virtù e miracoli del Maupas e il 22 luglio 1948 ebbe termine.Gli atti processuali vennero trasmessi alla Santa Congregazione dei Riti: il processo per la sua beatificazione fu aperto a Roma il 23 ottobre 1948.
FONTI E BIBL.: G.Ansaldo, Il ministro della buona vita, Milano, 1950; G.Giovanardi, Il servo di Dio p.Lino Maupas O.F.M., apostolo della carità in Parma, in Studi Francescani 22 1950, 45-59, 156-191; T.Cavalli, Lino Maupas, Bologna, 1954; M.Finzi, Un cappellano delle carceri che ho conosciuto, p. Lino Maupas, Firenze, 1955; P.Rossi, L’amico dei poveri, Parma, 1978; Mondrone, I santi ci sono ancora, V, 90-113; Beaudoin, Index processuum beatificationis, 262; Aurea Parma 3 1941, 109-111; C.Cambi, Un francescano, p. Lino Maupas, Parma, 1924; G.C.Guzzo, Padre Lino da Parma, Alba, 1943; L.Di Stolfi, in Enciclopedia Cattolica, VII, 1951, 1390; E.Bevilacqua, I fioretti di frate Lino da Parma, Torino, 1926, 1931; I.Felici, Tra i lupi, Pisa, 1933; Breve biografia del padre Lino da Parma francescano, apostolo della carità, a cura della vicepostulazione, Modena, 1944; Enciclopedia Ecclesiastica, V, 1952, 813; Dizionario Ecclesiastico, II, 1955, 697; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 97-98; Parma Economica 2 1969, 48-53; Parma.Vicende e protagonisti, 1978, III, 143-145; R.Lecchini, Suor Maria Eletta, 1984, 7; B.Pandzic, Bibliotheca Sanctorum, AppendiceI, 1987, 877; A.Grassi-L. Sartorio, Ladro di anime e di pane, Parma, 1989; Grandi di Parma, 1991, 79-80; Parma Club 1 1994, 65-70; Padre Lino e il suo tempo, Parma, 1994.
MAUPAS LINO O PIETRO, vedi MAUPAS ALPINOLO ILDEBRANDO UMBERTO
MAURACE
Varsi 735/762
Scrittore laico di contratti privati, fu attivo in Varsi e nei dintorni tra il 735 e il 762.Di lui rimangono nove documenti originali riguardanti la chiesa di San Pietro della suddetta località.Il Maurace però non fu un notaio al servizio della chiesa stessa.Molto probabilmente egli era lo scrittore più autorevole e stimato della zona e ciò spiega perché a lui si rivolsero per tanti anni e in territorio abbastanza vasto, molti e diversi privati.Il Maurace si qualifica sempre vir clarissimus scriptor e mai notarius.Nel formulario usa formule giuridiche di tradizione romana ma si serve di un latino scorretto e spesso oscuro.La sua scrittura invece (minuscola corsiva notarile del tipo della corsiva nuova) è assai bella, con forme grandi e rotondeggianti. Quanto al sistema di datazione, è interessante notare che il Maurace usa l’indizione bizantina (che ha inizio, cioè, il 1° settembre).
FONTI E BIBL.: L. Schiapparelli, Ricerche e studi sulle carte longobarde.I.Le carte longobarde dell’Archivio Capitolare di Piacenza, in Bullettino dell’Istituto storico italiano 30 1909, 50-51; A.Petrucci, Notarii. Documenti per la storia del notariato italiano, Milano, 1958, 50-51; Il Notariato, 1961, 378.
MAURA LUCENIA, vedi FARNESE MARGHERITA
MAURELI o MAURELIO o MAURELLI FRANCESCO, vedi MAURELLI GIUSEPPE APOLLONIO FRANCESCO
MAURELLI GIUSEPPE APOLLONIO FRANCESCO
Parma 9 febbraio 1679-Mezzano Rondani 21 dicembre 1761
Figlio di Maurello e di Margherita.Coltivò le buone lettere, la giurisprudenza e gli studi sacri.Ottenne il dottorato in ambo le leggi e l’insegnamento nell’Università di Parma prima dei Canoni, poi delle Istituzioni Giustinianee.Il Liberati dice che fu anche laureato in Teologia.Fu fatto Consorziale e Arciprete di Mezzano Superiore deiRondani. Valente poeta in latino e in italiano, fece parte della Colonia Parmense degli Arcadi, nella quale si chiamò Antifate Ornizionio.Il Maurelli acquistò grande rinomanza presso i suoi contemporanei, soprattutto per la traduzione in versi latini di 53 sonetti di Giambattista Zappi e per la Latina aemulatio degli Enimmi di Catone Uticense Lucchese, stampata col riscontro dell’originale in italiano e avente a fronte la traduzione latina.In modo più o meno deciso, Liberati, Paciaudi, Quadrio, I.Affò, F.Negri, L.U.Giordani e A.Pezzana concordano sul fatto che in realtà il Maurelli fu il vero autore degli Enimmi, per i quali utilizzò lo pseudonimo di Catone Uticense Lucchese, e forse anche dei sonetti riportati sotto il nome di Giambattista Zappi.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 70-73.
MAURI, vedi SAVANI PRIMO
MAURI GIOVANNI
Parma 1831
Medico.Durante i moti del 1831, già anziano, fece parte del consesso civico di Parma.Non fu inquisito ma solo sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza perché ritenutouomo savio e di buona condotta.Assistette egli, è vero, al civico consesso, ma ciò devesi attribuire non a mire rivoluzionarie ma pel desiderio del bene della città.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio storico per le province parmensi 1937, 180.
MAURI NINO
Parma 1899-Parma
Volontario nel corpo dei bersaglieri nella prima guerra mondiale, laureato in Chimica e in Chimica farmaceutica nell’Università di Parma, dopo aver esercitato la professione di farmacista per qualche anno, si dedicò, in un suo laboratorio privato ricavato nella serra del giardino della sua abitazione in via Vittorio Emanuele 228, alla ricerca in campo chimico.
In questo laboratorio, interpretando anche le direttive autarchiche del regime fascista in campo economico, realizzò un metodo per l’estrazione della cellulosa dalle bucce di pomodoro, residue dalla fabbricazione del concentrato, produzione tipica dell’agricoltura parmigiana, e arrivò alla produzione del cellophan, materiale allora d’importazione. Il metodo venne brevettato e utilizzato in campo industriale (Montecatini) fino all’avvento dei materiali plastici. Negli anni Trenta passò (ne divenne vice direttore) alla Stazione sperimentale per le conserve alimentari in Parma, dove svolse, oltre i compiti istituzionali, attività di ricerca. In questo periodo compì indagini sulla fermentazione dei prodotti agricoli destinate alla loro conservazione. In tale campo realizzò per primo in Italia la conservazione delle castagne.Sotto la sua direzione la ditta Fabbri di Bologna, della quale era consulente, produsse i marron glacier industriali e in seguito una serie di sciroppi.
FONTI E BIBL.: G. Erluison, notizie manoscritte.
MAURICE ANTONIO, vedi BERTHOLEMIEUX ANTONIO
MAURICUS
Gainago di Torrile I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu di condizione schiavile, contubernalis di Tryphaene (o Tryphaena), pure schiava, cui dedicò un cippo sepolcrale, ritrovato a circa dieci chilometri a nord della città di Parma.Mauricus è cognomen non molto diffuso, documentato assai sporadicamente nelle regioni transpadane e raro in Cispadana, dove si riscontra in pochi altri casi, ma nella forma di Mauricius.Questo cognomen, in entrambe le forme, potrebbe indicare origine africana.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 124.
MAURIZIO, vedi TANZI RICCARDO
MAURIZIO DA PELLEGRINO, vedi RAMELLI GIROLAMO
MAURIZIO DI SANTA TERESA, vedi BAISTROCCHI ANTONIO
-MAURO Cesena post 1613
Proveniente da famiglia di bassa condizione, fu eletto Presidente della Congregazione dei monaci neri di Monte Cassino nell’anno 1607 e in quella occasione volle anche essere fatto Abate del Monastero di San Giovanni Evangelista di Parma, cosa che ottenne nonostante le rimostranze dell’allora abate, Benedetto Ceresa. Ebbe capacità amministrative e fu buon cultore delle lettere.Scrisse a favore della Santa Sede Apostolica durante la controversia tra il pontefice Paolo V e la Repubblica di Venezia.Quando il Ceresa riuscì a essere riammesso in San Giovanni (1613), il Mauro ebbe la Badia di Cesena, ove morì nei primi decennni del Seicento.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 96-97.
MAURO DA BORGO TARO, vedi PAGANUZZI MAURO
MAURO DA SORAGNA, vedi BAISTROCCHI GIACOMO
MAURONER AMADEO Parma 28 ottobre 1786-Parma 8 luglio 1859
Figlio di Giuseppe e Rosa Gatti. Cavaliere.Nel 1808, sotto l’impero francese, quando venne istituito in Parma il Tribunale del commercio, il Mauroner ne fu uno dei primi consiglieri e fu poi Presidente della Camera di commercio.In quella carica, per ripetute elezioni, si mantenne fino agli ultimi giorni di vita. Durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico e fece preparare diverse bandiere e coccarde tricolori.Definito dalla polizia uomo liberale ma savio, fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: B.Cipelli, Cenni biografici, in Supplemento alla Gazzetta di Parma n. 152 del 1859; G.Sitti, Parma nel nome delle sue strade, 1929, 121-122; O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le province parmensi 1937, 183; T.Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 44.
MAURONER AMADIO o AMEDEO, vedi MAURONER AMADEO
MAYA LUIGI
Parma 26 novembre 1799-Parma 30 marzo 1875
Frate cappuccino, fu predicatore instancabile, guardiano e maestro dei novizi, definito martire del confessionale, molto stimato, particolarmente dal Bassetti, vescovo di Borgo San Donnino, e dal Villa, vescovo di Parma.Compì a Piacenza la vestizione (16 settembre 1823) e la professione solenne (19 settembre 1824).
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 209.
MAYER ANGELO Parma ante 1805
Fratello di Francesco.Falegname al servizio di Palazzo Sanvitale.Nell’anno 1805 la vedova Lucrezia venne pagata per vari lavori compiuti dal Mayer, come sedie e canapé.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Carte della famiglia Sanvitale, giornale 1804-1805, vol. 232, 151, 223, 332 e 567; Il mobile a Parma, 1983, 262.
MAYER FRANCESCO
Parma 1805
Fratello di Angelo.Falegname al servizio di Palazzo Sanvitale.Nel 1805 eseguì fiocchi per il cuscino posto nel soffitto della carrozza di papa Pio VII, lavori di manutenzione, lavori a carrozze, un baule, un letto imperiale, una sedia, un canapé e la tappezzatura del Gabinetto di S.E. il P.rone nell’Uffizio.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Carte della famiglia Sanvitale, Giornale 1804-1805, vol. 232, 151, 223, 332 e 567; Il mobile a Parma, 1983, 262.
MAYER LUIGI Parma 1831 Impiegato di Finanza, fu indicato dalla Direzione Generale di Polizia come cooperatore allo scoppio e propagazione della rivolta dell’anno 1831 in Parma.Figurò nell’elenco degli inquisiti con requisitoria d’arresto.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo,Petrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 180.
MAYNER o MAYNERI GIORGIO, vedi MAINERIO GIORGIO
MAZOCCHI ANTON MARIO, vedi MAZZOCCHI ANTONIO MARIO
MAZOCHI MELCHIORRE
Parma 1446
Figlio di Guglielmo e cognato di Antonio e di Giovanni Dallevacche.Fu pellicciaio nella vicinia di Sant’Alessandro in Parma.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 25.
MAZOLI FRANCESCO
Parma 1680
Scultore di figure in marmo attivo nell’anno 1680.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XIII, 1822, 141.
MAZZA ADELINA
Parma 1 novembre 1814-post 1846
Moglie di Giuseppe Mazza, fu distinta artista di canto.Tra il 1835 e il 1846 calcò le scene dei teatri di Napoli, Roma, Trieste e Ferrara e di moltissimi altri teatri di centri minori.
FONTI E BIBL.: P.Bettoli, Fasti musicali, 1875, 103.
MAZZA ALDO
Parma 23 agosto 1890-Parma 26 febbraio 1959
Figlio di Carlo e Adele Baisi. Compì gli studi universitari al Politecnico di Torino laureandosi in ingegneria col massimo dei voti e dimostrando, ancora giovanissimo, le sue non comuni qualità.Ancora studente il Mazza ideò e sperimentò un sistema di radio-trasmissione che ebbe l’onore di essere sottoposto all’esame del professor Augusto Griffith dell’Università di Bologna, nella sua qualità di presidente della commissione permanente consultiva per il servizio radiotelegrafico del Regno (1913).Una volta laureatosi, il Mazza fu assistente al Politecnico di Milano nonché tecnico di valore presso la fabbrica di aeroplani Caproni durante la prima guerra mondiale.Assai noto per studi di grande interesse sia di elettrotecnica come sui gas liquidi, il Mazza si dedicò quindi alla libera professione che esercitò in Parma e provincia con progetti di pozzi, costruzioni civili e opere di bonifica presso il Delta padano.Saltuariamente collaborò alla Gazzetta di Parma con articoli di grande valore tecnico.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 27 febbraio 1959, 4; F.Barili, Tizzano, 1970, 90-92.
MAZZA ANDREA, vedi MAZZA GIUSEPPE ANTONIO MARIA
MAZZA ANGELO
Parma 16 novembre 1741-Parma 11 maggio 1817
Ventiquattresimo e ultimo dei figli di Orazio e di Rosa Benelani.Dopo la morte del padre, nel 1753 entrò in collegio a Reggio dove ebbe a insegnante l’abate Salandri.Nel 1760 pubblicò la sua prima opera, intitolata Propositiones physico-mathematicae, e nel 1761 due sonetti per i padri Zaccaria e Trento, predicatori a Reggio nella Quaresima di quell’anno.Nell’agosto del 1761, su consiglio di Lazzaro Spallanzani, suo professore di fisica e di lingua greca, si recò a Padova per terminare gli studi.Nell’Università di quella città ebbe come insegnanti di lettere Clemente Sibiliato, Melchiorre Cesarotti e Paolo Brazuolo, di filosofia Michele Colombo e Jacopo Stellini e di scienze fisiche Giuseppe Toaldo.Per soddisfare il desiderio dei parenti, studiò per un anno anche giurisprudenza, ma senza convinzione: infatti non conseguì la laurea.Col Cesarotti si legò di profonda amicizia e da lui (il Cesarotti era stato il traduttore dell’Ossian) fu avvviato alla conoscenza della letteratura inglese.A ciò si devono le numerose versioni da quella letteratura effettuate dal Mazza, che tradusse il poema dell’Akenside I piaceri dell’immaginazione (1764), l’Inno al Creatore del Thomson (1771), l’Inno per la pace dell’animo del Parnell (1776) e imitò quasi letteralmente il Potere della musica sul cuore umano del Dryden, La melodia delMason, La cetra del Gray e L’impero universale della musica del Pope. L’importanza di queste traduzioni è assai notevole in quanto, oltre ad attestare gli interessi letterari del Mazza e la sua apertura verso una poesia straniera allora largamente ammirata, hanno una diretta influenza tematico-stilistica, soprattutto per ciò che riguarda il motivo della musica e del suo potere ideale sull’animo umano sulla medesima attività lirica del Mazza: ci si riferisce in particolare all’aspetto più caratteristico di tale attività, quale si rivela nell’ode L’aura armonica, negli sciolti dell’Inno all’armonia, nei sonetti e nelle terzine per Santa Cecilia e in quelli sul Genio, sull’Entusiasmo e sull’Armonia ideale.Durante le vacanze del 1762 pubblicò a Parma il poemetto Per l’Ordine dello Spirito Santo conferito a Ferdinando I.Nel 1765 si recò a Venezia per curare l’edizione del poemetto intitolato Per le felicissime nozze dell’Eccelenze loro il N.U.Marino Zorzi e la N.D.Contarina Barbarigo.In quella città tale opera, da lui composta in dieci giorni soltanto, fu ristampata due giorni dopo le nozze in seguito al successo ottenuto dalla prima edizione, di cui erano già state vendute ottocento copie.AParma invece tale poemetto fu oggetto di aspre critiche.A Venezia fu amico di G.Gozzi, che gli fu largo di consigli. Nel 1767 pubblicò l’Ode sull’Armonia, tratta dal Pope, per la festa di Santa Cecilia. All’inizio del 1768 il Mazza lasciò Padova e ritornò a Parma, dove ottenne dal Du Tillot l’incarico di segretario presso l’Università.Nella primavera del 1769, essendosi attirato le ire (per motivi di gelosia) di un ufficiale, finì in prigione.Nel luglio dello stesso anno la detenzione gli fu commutata in relegazione: così fu costretto ad allontanarsi da Parma.Recatosi a Bologna, divenne amico di Francesco Zanotti e di Appiano Buonafede, ma condusse vita ritirata.In quel periodo sofferse molto, oltre che per il forzato esilio, per alcune calunnie mosse contro di lui dal prete Vincenzo Colla, che tra l’altro era stato amico della sua famiglia e che aveva ricevuto favori da lui.Ritornato a Parma il 10 gennaio 1770, il Mazza fu riconfermato nella carica di segretario dell’Università.Nel 1771 pubblicò gli epitalami La notte e Il talamo, in occasione delle nozze del conte Pietro Paolo Bianchetti con la marchesa Aurelia Monti, l’ode L’aura armonica, gli sciolti Inno all’armonia, il primo Canto per la solennità della Vergine Addolorata e la versione dell’Inno al Creatore.Queste opere gli attrassero l’ammirazione del Metastasio, del Cesarotti e del Bettinelli. Anche Gioacchino Pizzi, appena nominato custode generale dell’Arcadia, gli concesse l’onore, a nome del Saggio Collegio dei XII, di usare l’insegna e le denominazioni pastorali in tutte le sue pubblicazioni (cfr. G.Pizzi, lettera datata Roma, 28 novembre 1772, cass.II).Il Mazza divenne pastore arcade e assunse il nome di Armonide Elideo. Il 31 luglio 1772 fu nominato segretario dell’Accademia Deputazione per le opere teatrali e nell’agosto dello stesso anno professore di lingua greca nell’Università di Parma.Nel 1773 pubblicò la Egloga per la Nascita del R.Principe Ludovico Ereditario di Parma e il secondo Canto per la solennità della Vergine Addolorata (nel 1775, il terzo).Queste tre composizioni poetiche, con la versione latina di Benedetto Del Bene, furono ristampate, oltre alle edizioni intermedie, ancora diciotto anni dopo. Nel 1815 il Mazza pubblicò il quarto canto assieme agli altri tre, privo però della versione latina. Nel 1774 diede alle stampe il poemetto intitolato L’augurio, dedicato ai sovrani di Parma, e le Stanze sdrucciole a Melchior Cesarotti.Attorno al 1775 compose le Odi, originali e riguardanti i vari aspetti della musica.Il 21 novembre 1775, deposto l’abito di abate, si sposò con Caterina Stocchi.Costei fu pastorella d’Arcadia sotto il nome di Laurinda Timbrea.Da lei ebbe tre figli: Jacopo, che morì il 23 febbraio 1778 di diciotto mesi circa, Isotta, che sposò Francesco Ortalli, e Drusilla, che morì dopo alcuni anni di matrimonio con il consigliere Filippo Schizzati.Nel 1776 il Mazza pubblicò le versioni dell’Ode sul tempo del Thomas e dell’Inno alla pace dell’animo.Nel 1777 compose le Terzine per Santa Cecilia.Nel 1785 pubblicò l’epitalamio L’Androgino, in occasione delle nozze del marchese Giuseppe Lalatta con la marchesa Bianca Villani, e la raccolta dei sonetti intitolatiL’eloquenza, Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso, in occasione delle prediche tenute dal padre Luigi Astolfoni nella Cattedrale di Parma.Nel 1786 diede alle stampe la traduzione de Il Cristo tragedia di Coriolano Martirano trasportata in versi toscani e nel 1787 venticinque sonetti morali dedicati ai predicatori Jacopo Belli e Luigi Grossi.Nel 1789 il Mazza si recò con una sua nipote a Padova e a Venezia, ove fu accolto con affetto dai vecchi amici.Nel 1790 ricevette altrettante festose accoglienze in Toscana, ove si era reso famoso per la composizione dei dodici sonetti intitolati Le Facultà umane, dedicati al vescovo di Parma Adeodato Turchi, e sei in occasione della professione dei sacri voti della marchesa Anna Pavesi.Nel 1791 pubblicò sei sonetti intitolati Il convivio delle Vergini.Nel 1792 ne diede alle stampe altri dieci dal titolo I doni dello Spirito Santo e infine nel 1793 pubblicò l’ode Alla Signora Teresa Bandettini che invitò l’autore a comporre per la nascita del secondogenito del Marchese Lanfranco Cortesi l’anno 1793.Nel 1794pubblicò l’ode intitolataL’uguaglianza civile e, sempre nello stesso anno a Firenze, lePoesie dedicate dagli editori alla contessa Marianna Acciaiuoli.Per quanto riguarda la sua attività propriamente poetica, vanno ricordati i poemetti, oltre a quelli già citati, gli epitalami La notte, Il Talamo e le Stanze sopra il pianto della Vergine (1787).La prima edizione delle sue Poesie uscì a Parma, in due volumi, nel 1794, e tra il 1816 e il 1820 comparvero in cinque volumi due edizioni delle sue Opere. Nel 1807 fu nominato dal governo francese Censore del Liceo di Parma.Nel 1811 pubblicò la Grotta Platonica, opera inserita a brani del Giornale del Taro e ristampata l’anno seguente per intero e corredata di note.Quando cessò la dominazione napoleonica, alla quale (come pure alla Rivoluzione francese) si mostrò avverso, nel 1814, all’età di settantatré anni, gli fu dato l’incarico, assieme a Luigi Bolla, Jacopo Tommasini e Giuseppe Bertani, di restaurare l’Università di Parma.Fu anche nominato preside della facoltà di Belle Lettere, pur rimanendo sempre segretario della stessa Università.In quell’anno il Mazza si ammalò: ebbe infatti un primo attacco di paralisi.Dapprima il male regredì, ma in seguito si riacutizzò a tal punto che il Mazza morì. La sua morte suscitò grande cordoglio nell’ambiente universitario.Durante i funerali il conte Jacopo Sanvitale, suo pronipote, pronunciò un’orazione funebre in suo onore e due mesi dopo, a spese degli studenti, fu posto nell’atrio dell’Università un suo busto scolpito da Giambattista Collina. Il Mazza fu uno dei primi a essere sepolto nel nuovo cimitero della Villetta di Parma, completato proprio nel 1817. ebbe a sostenere delle polemiche assai vivaci col Monti (che lo attaccò aspramente nel 1788, in una nota dell’Aristodemo), col Rezzonico, col Napoli Signorelli e, a livello locale, col notaio e podestà di Tizzano Giovanni Battista Fontana. Iniziato alla poesia da C.I.Frugoni, il Mazza restò essenzialmente un frugoniano, anche se presto amò atteggiarsi a emulo del maestro, al quale rimproverava di essere voto di sapere, e si vantò di aprire in Parnaso vie non trite verseggiando di argomenti scientifici e filosofici, soprattutto dell’armonia e dei suoi effetti sugli uomini.I versi originali del Mazza e le sue traduzioni dal greco e specialmente dall’inglese, furono lodatissimi ai suoi tempi ma, salvo rari momenti felici, oscillano tra l’ampollosità e l’astruseria.Le sue cose migliori sono forse alcuni epitalami e canzonette voluttuose, come La notte, imitata dal Carducci.
FONTI E BIBL.: De Tipaldo, Biografie degli Italiani, 8, 1841, 265-269; M.T.Balestrino, Angelo Mazza, Milano-Genova-Roma-Napoli, 1932 (con ricchissima bibliografiadel e sul Mazza); Enciclopedia italiana, XXII, 1934, 643-644; C.Schmidl, Dizionario Universale musicisti, 3, 1938, 523; A.Pezzana, Angelo Mazza. Supplimento alle memorie che di lui si leggono in quelle degli Scrittori parmigiani, in Strenna parmense a benefizio degli asili per l’infanzia, Parma, Rossetti, 1842, 2-10; F.Bellini, Cenni intorno alla vita e alle opere di Angelo Mazza, Parma, Ferrari, 1845; C.Capasso, Studi su Angelo Mazza, Camerino, Savini, 1901; A.F.Rossi, Angelo Mazza e i tempi suoi, Parma, Bianchi e Schianchi, 1905; A.Pigorini, Il poeta dell’armonia (Angelo Mazza parmense), Milano, Pirola, 1930; G.P.Clerici, Di un segreto riguardante il poeta Angelo Mazza, il barone Ferdinando Cornacchia e Pietro Giordani, in Aurea ParmaVIII 1924, 93-97; G.Melli, Rose e spine d’Arcadia, in Archivio Storico per le Province Parmensi vol.XXII bis 1922, 475-482; C.Calcaterra, La mutazione di Angelo Mazza, in Il barocco in Arcadia e altri scritti sul Settecento, Bologna, Zanichelli, 1950, 115-127 (già pubblicato col titolo Risposta a un quesito frugoniano, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino, vol XVIII 1912-1913, 238-252); A.Neri, Angelo Mazza e Vincenzo Monti, in De minimis, Genova, Tipografia Sordomuti, 1890, 130 e sgg. (anche in Giornale Ligustico, 1887); G.Carducci, La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII, in Opere, edizione nazionale, Bologna, Zanichelli, XV, 1936, 196-197 e 204-213; B.Croce, Verseggiatori del grave e del sublime, in La letteratura italiana del Settecento, Bari, Laterza, 1949, 353-356; U.Valente, L’idea dell’infinito, in Rivista letteraria 6, 1935, 22-24; A.Rondani, Iacopo Sanvitale e le sue poesie, in Saggi di critiche letterarie, Firenze, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1881, 102-123 e passim; A.Brianzi, Una satira inedita di Angelo Mazza, Parma Adorni-Ugolotti, 1903; M.T.Balestrino, Versi inediti Angelo Mazza, in Aurea ParmaXIV 1930, 186-190; Lirici del Settecento, 1959, 505-507; Palazzi e casate di Parma, 1971, 125 e 128; Storia Civiltà Letteraria, II, 437; M.Cucchi, Dizionario Poesia, 1983, 210; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 25 aprile 1984; E.Bertana, In Arcadia, Napoli, 1909; C.Dionisotti, Ricordo di Cimante Micenio, in Atti e memorie dell’Arcadia, 1848; F.Ulivi, Settecento minore, in Paragone 1953; A.Vallone, Dal Caffè al Conciliatore, Lucca, 1953; M.Turchi, Per una recente interpretazione di poeti delSettecento parmense, estrattoda Aurea Parma 1955; Dizionario Enciclopedico letteratura italiana, 3, 1967, 555; Dizionario Bompiani autori, 1987, 1465; Aurea Parma 2 1988, 148-150; R.Giordani, Opere scelte di L.U.Giordani, 1988, 346-349.
MAZZA ANGELO MICHELE
Parma-Parma 1726
Fu architetto, pittore e scultore.Lavorò a Roma al servizio del cardinale Ottoboni.Disegnò il bozzetto per un pavimento a mosaico in stile etrusco che venne eseguito a Viterbo nella Casa pubblica del Sigillo dei Signori Conservatori.Nel 1716 fu pittore di teatro a Bologna.Nel Museo d’Arte Industriale di Bologna è conservata una sua Figura allegorica intagliata in legno.
FONTI E BIBL.: U.Thieme-F.Becker, vol.XXIV, 1930; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 301; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 134.
MAZZA ARTURO
Parma 2 novembre 1857-post 1891
Si diplomò nel 1875 alla Regia Scuola di musica di Parma in violino con la lode distinta.Si dedicò alla professione orchestrale, suonando in grandi teatri in Italia e all’estero.Risiedette per molti anni a Tiflis in Georgia. Nel giugno 1891 andò in Brasile con un complesso orchestrale composto per la quasi totalità da Parmigiani per una stagione d’opera diretta da Arnaldo Conti.
FONTI E BIBL.: Dietro il sipario, 1986, 297.
MAZZA CATERINA, vedi STOCCHI CATERINA
MAZZA FRANCESCO Provazzano 19 gennaio 1766-Parma 5 gennaio 1834
Nato da Giovanni e da Maria Magnani.Venne mantenuto alle scuole pubbliche da uno zio, il sacerdote Gianmaria Mazza.Terminati gli studi di base, si applicò alla filosofia, ottenendo presto la lode dei maestri.da Cicerone e Plutarco a Locke e Condillac, il Mazza si creò una solida istruzione, passando poi alla storia.A venticinque anni fu consacrato sacerdote e si addottorò in legge (2 luglio 1791). Diviso tra la religione e le leggi, trovò in Luigi Bolla colui che gli indirizzò i primi passi nell’ambito dell’avvocatura: ottenne con lode la laurea dalle mani di Uberto Giordani e, sotto la guida del presidente Pietro Fainardi, magistrato di grande valore, entrò nella pratica legale. Discusse cause di fronte ai tribunali di Parma e degli Stati limitrofi e fu chiamato a patrocinare il Comune e i principali enti della città (la mensa vescovile, il capitolo della Cattedrale, la Congregazione della Carità, la Casa Ducale e il Patrimonio dello Stato).Fece parte della Commissione per la redazione del Codice Civile. Fu un avvocato particolare: soccorritore dei poveri, consolatore degli afflitti, compassionevole con gli sventurati, sempre nel nome della carità cristiana, senza distinguere opinioni e costumi.Riportò nel foro non poche vittorie che gli procacciarono un’onorevole fama, accresciuta con vari scritti dati alle stampe.Fu per tre volte priore del consiglio di disciplina del collegio degli avvocati. Il 13 luglio 1802 fu nominato professore di istituzioni canoniche all’Università di Parma, per passare il 5 novembre 1821 alla cattedra di diritto civile, che tenne fino al 1831.In quell’anno la facoltà di giurisprudenza venne trasferita a Piacenza: benché richiesto di proseguire l’insegnamento in quella città, non accettò. Con decreto del 9 novembre 1831 del Presidente dell’interno Francesco Cocchi, venne nominato professore emerito.Nel febbraio del 1831 partecipò alle sedute del Congresso civico di Parma per la nomina del Governo provvisorio.Tale comportamento gli costò la sospensione dello stipendio di professore per un mese a opera del ristabilito governo di Maria Luigia d’Austria.Fu cavaliere, consigliere e avvocato consultore dell’Ordine Costantiniano.Del Mazza rimangono diverse allegazioni.
FONTI E BIBL.: Istituto per la Storia dell’Università, Note statistiche del personale universitario 1818, tomo 492, 21; G.Mariotti, L’Università di Parma, 86; per una testimonianza della sua attività universitaria cfr.Osservazioni sulle obbligazioni, in Lezioni di diritto, III; F.Maestri, Elogio del cav.Francesco Mazza con iscrizioni di Luigi Oppici, Parma, Carmigiani, 1834; G.B. Janelli, Mazza don Francesco, in Dizionario biografico dei Parmigiani illustri o benemeriti nelle scienze, nelle lettere e nelle arti o per altra guisa notevoli, Genova, Gaetano Schenone, 1877, 253-254; F.Rizzi, Francesco Mazza, in I professori dell’Università di Parma attraverso i secoli, Parma, Godi, 1953, 103; A.Aliani, Francesco Mazza, in Studi Parmensi XXXI 1982, 222-223; T.Marcheselli, Don Francesco Mazza avvocato caritatevole, in Gazzetta di Parma 20 novembre 1989, 3; E.Grossi, in Gazzetta di Parma 19 novembre 1991; Mazza Francesco, in Enciclopedia di Parma, 1998, 445.
MAZZA FRANCESCO
Parma-post 1816
Il 10 luglio 1816 venne nominato secondo contrabbasso nella Ducale Orchestra di Parma con un assegno annuo di 600 franchi (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti). Nel progetto originario la paga era prevista in 800 franchi: presentò ricorso contro la diminuzione essendo Padre di famiglia, ma l’esposto non venne accettato. Il Governo però dispose che essendo giovane che promette molto, gli sarà fatto sul suo soldo una anticipazione per stare 2 o 3 mesi sotto ad Andreoli a Milano (Archivio di Stato di Parma, Governo Provvisorio e Reggenza, b. 8). Dopo di allora di lui non si hanno altre notizie.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
MAZZA GIOVANNI
Lesignano de’ Bagni 1878-Monte Nero 19 luglio 1915
Figlio di Sante. Alpino del 4° Alpini, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Costante, mirabile esempio di attività, fermezza ed alto senso del dovere, quale comandante di una pattuglia, dimostrava mirabile coraggio e viva intelligenza nel disimpegno del suo difficile mandato.Ferito a morte, dava ad un compagno le notizie raccolte, interessandosi più dell’azione che di se stesso.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1919, Dispensa 103a, 6214; Decorati al valore, 1964, 53.
MAZZA GIROLAMO
Parma prima metà del XVI secolo
Intagliatore in legno attivo nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, III, 431.
MAZZA GIUSEPPE
Parma primi anni del XIX secolo-post 1844
Il 5 febbraio 1825 in una beneficiata al Teatro Ducale di Parma fu eseguita una sua Gran Sinfonia a piena orchestra. Scrisse sette opere in musica: La vigilanza delusa (Torino, 1827), L’albergo incantato (Firenze, 1825; Napoli 1835), Elena e Malvino (Roma, 1835), La dama irlandese (Napoli, 1836), Caterina di Guisa (Treviso, 1838), L’orfanella di Lancia (Milano, 1838) e Leocadia (Zara, 1844).
FONTI E BIBL.: P.Bettoli, Fasti musicali, 1875, 102.
MAZZA GIUSEPPE ANTONIO MARIA
Parma 21 novembre 1724-Parma 23 settembre 1797
Nacque da Orazio e Rosa Benelani.Fu educato per alcuni anni nel Collegio di Reggio.Entrato nella Congregazione Cassinese, professò il 15 ottobre 1741 nel Monastero di San Giovanni Evangelista di Parma, assumendo il nome di Andrea.Compiuti gli studi di filosofia e di divinità (in Padova fu allievo dello Stellini), fu tra i dieci monaci che dalle province italiane della Congregazione furono mandati a Roma per confermarsi nella teologia (insegnata dal celebre P.Bortoletti) e per studiarvi il diritto canonico (nel quale il Mazza ebbe a maestro Gabriele Maria de’ Blasi).Condottosi a Roma nel maggio del 1744, vi rimase quattro anni (gli fu anche affidata la direzione e la custodia della biblioteca del monastero) e ritornò in Parma nel maggio del 1748.Tre anni dopo fu comandato all’insegnamento della teologia, incarico che conservò sino all’anno 1760. Tra i suoi discepoli ebbe uno dei suoi molti fratelli, Giovanni Benedetto, che era stato aggregato allo stesso monastero.Questi sostenne molto lodevolmente nel 1757 una pubblica difesa, le cui tesi a stampa, fattura del Mazza, furono ricordate con molta lode negli Annali letterarii dello Zaccaria.Lasciata provvisoriamente nell’anno 1757 la lettura di teologia, fu nominato Bibliotecario del suo monastero e Segretario dell’abate Lanfranco Gnabbi.Divenuto valente bibliografo, compilò il catalogo della Biblioteca, che era aperta anche al pubblico e che dal Mazza ebbe un migliore ordinamento.Nell’anno 1759 il ministro Du Tillot gli diede l’incarico di apprestare una sontuosa edizione delle Opere di Vittorio Siri, alcune delle quali giacevano inedite nel monastero di San Giovanni Evangelista.Il Mazza vi lavorò quasi tre anni, ma quando tutto era ormai pronto per la stampa il Du Tillot lo avvertì che la cosa non avrebbe avuto seguito per non incontrare lo sdegno della casa di Borbone e che tutte le carte che riguardavano il lavoro sarebbero rimaste presso la Corte. Secondo il Cerati (Elogio del Mazza), il Du Tillot fu indotto a quella risoluzione per il timore di fare cosa spiacevole al duca di Richelieu, carissimo a Luigi XV, dato che il Siri parla molto liberamente del famoso Cardinale. Chiamato a Parma dal Du Tillot il Paciaudi per gettare le fondamenta della Biblioteca Reale, alla fine dell’anno 1762 dal Duca fu data l’incombenza al Mazza di trasferirsi a Milano per trattarvi l’acquisto della libreria Pertusati.Il Mazza riuscì a concordare l’acquisto al prezzo di sedicimila zecchini, ma la vendita fu improvvisamente bloccata, a nome della Corte di Vienna, dal Firmian.Per evitare uno spiacevole incidente diplomatico, il Du Tillot rinunciò all’acquisto e richiamò a Parma (aprile 1763) il Mazza.Il fallito acquisto della Pertusati pesò comunque negativamente sulla considerazione del Paciaudi nei confronti del Mazza, che in un primo tempo avrebbe voluto nominare senz’altro Primo Bibliotecario e che invece (e solo a metà del 1764) fu nominato Pensionato Letterato della R.Corte sino a che si presentasse l’occasione d’impiegarlo onorevolmente nella R.Biblioteca.All’ufficio di Letterato pensionato fu aggiunto quello di inviare gli estratti delle opere più importanti che uscivano in Italia alla Gazzetta letteraria di Francia (o Giornale Europeo), che si pubblicava in Parigi dall’abate Arnaud.Il Mazza adempì a questo incarico sino a che (inizi del 1768) la pubblicazione cessò.Sempre nel 1764, su indicazione del Paciaudi, il Mazza tracciò le prime linee del disegno di un’Accademia scientifica da stabilirsi in Parma (e della quale il Mazza avrebbe dovuto essere il Segretario), che poi non trovò attuazione.Nel 1765 il Deleyre inviò da Parma alla Gazzetta letteraria di Francia una lettera, che vi fu inserita nel marzo dello stesso anno, nella quale rappresentò l’Italia, e specialmente Parma, in uno stato deplorevole d’inerzia e di povertà nel campo delle lettere, delle arti e delle scienze.Ciò spinse il Mazza ad assumere le difese di Parma colla Lettera di un Parmigiano agli eruditi e dotti Autori della Gazzetta Letteraria d’Europa.Lo scritto del Mazza non piacque a’ governanti, ne satisfece i letterati (Pezzana) per le omissioni, le sopravvalutazioni e gli errori che vi erano contenuti. Al principio del 1768, l’aver agevolato la ristampa fuori dal Ducato di un libro pubblicato a Parma per ordine del duca Ferdinando di Borbone, causò al Mazza lo sdegno della Corte.Nello stesso periodo il Mazza ebbe alcuni problemi anche all’interno del Monastero di San Giovanni.nell’ottobre del 1768 fu finalmente nominato aiuto bibliotecario, ma non ottenne alcun titolo onorifico, dovette interamente sottostare alla dipendenza del Paciaudi ed ebbe anche l’obbligo di curare la distribuzione materiale dei libri agli studiosi (quest’ultima incombenza causò tra l’altro al Mazza una pericolosa caduta da una scala che gli procurò lunghe sofferenze).Il deludente trattamento ricevuto, determinò tra il Mazza e il Paciaudi una profonda inimicizia. Nel maggio 1771 il Mazza fu eletto Priore del Monastero di San Giovanni.rimase aiutante bibliotecario fino al 31 agosto 1771 quando, dopo la caduta del Du Tillot, anche il Paciaudi perse il favore del Duca, che lo fece tenere segregato nel suo convento fino alla fine del febbraio 1772.Durante il periodo dell’allontanamento del Paciaudi, la Regia Biblioteca di Parma fu affidata interamente al Mazza, che poi il 28 settembre 1772 fu nominato vice bibliotecario e al quale, con il Paciaudi, fu dato incarico di compilare il catalogo della biblioteca (l’opera fu iniziata ma non portata a termine). Congedatosi il Paciaudi, il 3 maggio 1774 il Mazza fu nominato bibliotecario.Ma nel febbraio 1778 il duca Ferdinando di Borbone richiamò il Paciaudi e il Mazza fu a sua volta congedato con promesse (non mantenute) di nuovi impieghi.Una volta dimesso, il Mazza fu accusato di gravi inadempienze (tra l’altro, di aver sottratto al Museo molte medaglie antiche e alla Biblioteca diversi libri liturgici), da cui si difese con la lunga scrittura intitolata Giustificazioni del Priore D.Andrea Mazza dalle imputazioni intentategli in ordine alla di lui direzione della Biblioteca, e del Museo di S.A.R. Benché il Mazza, attraverso il vescovo di Parma, facesse pervenire al Duca il suo scritto difensivo, non ottenne altro se non una lettera del ministro Sacco vagamente elogiativa del suo operato.Il Duca fece poi scrivere dallo stesso ministro al procuratore generale della Congregazione Cassinese chiedendo che il Mazza fosse promosso a maggiori dignità nel suo Ordine ben dovute al suo merito.Ciò che puntualmente avvenne, poiché nella Dieta capitolare di Monte Cassino del maggio 1779 il Mazza fu innalzato alla dignità di Abate del Monastero di San Giovanni Evangelista, carica che mantenne sino all’anno 1786.Nel 1784 fu eletto Visitatore della Congregazione e in qualità si trovò alla Dieta tenuta in Vicenza nel 1787, anno nel quale fu nominato in Parma Consultore Teologo del Santo Uffizio.Nel 1786 fu eletto Abate delle Grazie presso Castelnuovo Fogliani.Il vescovo Turchi, amico ed estimatore del Mazza, lo nominò Esaminatore sinodale nel 1788.In quell’anno il Mazza scrisse una prima lettera a Girolamo Tiraboschi Intorno l’esiglio di Ovidio, che fu pubblicata nel tomo XL del Giornale dei letterati.Una seconda lettera del Mazza sullo stesso tema vi fu pubblicata l’anno seguente. Il Mazza fu rieletto nel 1792 al governo del Monastero di San Giovanni Evangelista, mentre gli fu preferito, nonostante fosse alla vigilia il favorito, l’abate Carissimi quale presidente della Congregazione Cassinese nel capitolo generale tenuto a Padova.Dal marzo 1797 fu colpito da una grave forma di disfagia, che nel giro di sei mesi ne causò il decesso. Il Mazza ebbe frequenti scambi epistolari con molti dei più insigni letterati dei suoi tempi: Agostino Paradisi, Lazzaro Spallanzani, Adeodato Turchi, col Garatoni, col Dionisi, coll’Affò e soprattutto con Gaetano Marini e col Tiraboschi (il Tiraboschi ebbe dal Mazza una gran quantità di notizie letterarie per la sua Storia della Letteratura Italiana). Nel 1777 il Mazza arricchì della rarissima medaglia d’Itaca il Museo Archeologico di Parma.Il Comune di Parma lo incaricò del soggetto della medaglia che orna la Storia della Città di Parma compilata dall’Affò. Durante il suo secondo governo del Monastero di Parma, il Mazza volle far intagliare in rame da Francesco Rosaspina, secondo i disegni del pittore Giuseppe Turchi, tutti i dipinti del Correggio, a fresco e a olio, che si trovavano allora in Parma.Furono intagliati il San Giovanni Evangelista e la Deposizione della croce, ma la calata dei Francesi in Lombardia fece interrompere l’impresa. Fece anche restaurare le quattro statue del Begarelli che adornano l’ingresso dei chiostri superiori e riordinare l’archivio del Monastero di San Giovanni Evangelista.Il Mazza dedicò diversi studi al Basini e al Bacchini e curò la pubblicazione degli scritti inediti del Galilei e di Benedetto Castelli (1766, in Parma, Carmignani, nel volume quarto della Nuova Raccolta d’autori che trattano del moto delle acque procurata da Jacopo Belgrado).Tra gli Ipocondriaci di Reggio ebbe il nome di Licofrone.Fu anche ascritto nel 1783 all’Accademia Etrusca di Cortona e nel 1788 all’Accademia Palermitana del Buon Gusto.Possedette una ricca biblioteca personale che legò al Monastero di San Giovanni.
FONTI E BIBL.: G.M.Bozzoli, Mazza Andrea, in Biografia degli italiani illustri,Venezia, Alvisopoli, 1838, volume VI, 325; P.Pozzetti, Elogio di Andrea Mazza, Carpi; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova, 1877, 249-250; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 302-314; C.Frati, Bibliotecari, 1934, 341-342; Ministero di agricoltura, industria e commercio.Statistica delle biblioteche.Biblioteche dello Stato delle provincie, vol.I, Roma, 1894, 190; Ministero della Pubblica Istruzione.Notizie storiche, bibliografiche e statistiche delle Biblioteche Governative, Roma, Tipografia Elzeviriana, 1893, 181 (le due relazioni sulla Biblioteca Palatina, contenute in questo volume e nel precedente discordano nei dati e nelle date, ma, soprattutto, è un evidente lapsus l’indicazione di Angelo Mazza invece del fratello Andrea, quale bibliotecario); Dizionario biografico universale,Firenze, Passigli, 1844-1845, volume III, 1038; M.Parenti, Bibliotecari, II, 1959, 236; G.Berti, Atteggiamenti del pensiero nei Ducati di Parma e Piacenza, 1958, I, 104-105; L. Farinelli, Il carteggio Mazza, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 179.
MAZZA LUIGI
Parma 1909-post 1971
Laureato in medicina e chirurgia a Parma nel 1932, fu medico aggiunto di ruolo, medico capo di ruolo presso l’ufficio di igiene del Comune di Parma, ufficiale sanitario incaricato per circa dieci anni, direttore dell’Ospedale Civile di Biella (1954) e dell’Ospedale Maggiore di Bergamo (1955-1971).
FONTI E BIBL.: R.Lasagni, Bibliografiaparmigiana, 1991, 37.
MAZZA MICHELANGELO o MICHELE, vedi MAZZA ANGELO MICHELE
MAZZA PAOLO, vedi MAZZA PIETRO PAOLO
MAZZA PIETRO
Parma 29 aprile 1777-post 1824
Vedutista, disegnò stampe per il piccolo volume Due Carmi di Tommaso Ceva (1818) e fece alcuni disegni per l’opera I principali Monumenti inalzati da S.M.Maria Luigia Duchessa di Parma (Parma, Bodoni, 1824).
FONTI E BIBL.: U.Thieme-F.Becker, vol.XXIV, 1930; Negri, Il Parmigiano istruito, 10, 1851, 78; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1960; Dizionario Bolaffi pittori, VII, 1975, 303.
MAZZA PIETRO PAOLO Provazzano 8 ottobre 1809-Fiorenzuola d’Arda 25 febbraio 1831 Figlio di Sante e Lucia Zucchettini.In seguito alle manifestazioni di piazza del 10 febbraio 1831, la notte del 15 febbraio, accompagnata dal barone Mistrali e dal presidente degli interni F.Cornacchia, scortata dalle truppe e dalla guardia nazionale allora costituitasi, Maria Luigia d’Austria raggiunse Casalmaggiore e di là, attraverso Cremona, Piacenza.Il mattino successivo il consiglio comunale di Parma elesse il Governo Provvisorio.Il 24 febbraio circa 200 guardie nazionali e soldati di linea furono mandati a occupare Fiorenzuola, dove si erano manifestati umori ostili ai liberali.All’alba del 25 una grossa colonna austriaca irruppe nel paese, dove si tentò qualche resistenza.Fu sparata qualche fucilata dalle finestre e si ebbero alcuni morti e feriti dall’una e dall’altra parte. I Parmigiani si opposero come era possibile, davanti a un nemico ben superiore, formato da 400 fanti tedeschi, preceduti da cavalleggeri e dragoni ducali.Non appena gli Austriaci riuscirono ad arrivare alle porte al paese si divisero.Parte di essi accerchiò il borgo, percorrendo la strada di circonvallazione, parte invece percorse la Via Dritta fino alla Porta di Parma.Da questo secondo reparto si staccò un forte gruppo per dirigersi al convento di San Giovanni, nel punto in cui davanti all’oratorio della Beata Vergine di Caravaggio aveva inizio la strada omonima.Il Mazza, giovane operaio che aveva terminato, come garzone fornaio, il lavoro notturno, alla vista degli austriaci lanciò il grido Viva l’Italia!Subito un colpo di baionetta lo atterrò.Ebbe la forza di rialzarsi e di ripetere ancora tra i denti una frase di spregio in dialetto parmigiano (Brutt mus!).I soldati lo accerchiarono di nuovo e lo massacrarono.Il Mazza era detto il Borghigiano perché si era portato ad abitare da Provazzano a Borgo San Donnino e poi a Fiorenzuola come garzone di panettiere.Come risulta dall’archivio parrocchiale di Fiorenzuola (Atti di morte del 1831), non fu permesso alla madre, giunta da Borgo San Donnino, di porgere l’estremo saluto al figlio.Il 20 settembre 1900 fu tenuta una solenne commemorazione di questi avvenimenti e fu scoperta una lapide sulla facciata dell’ex-convento di San Giovanni, con la seguente epigrafe dettata dall’Ottolenghi: XXV febbraio 1831 Tra i prodi della colonna parmense invocanti l’ideale supremo Italia una e libera Bartolomeo Modesti di Monticelli col sangue generoso l’amore alla patria suggellava nel fatidico olocausto di quel giorno precedevalo Paolo Mazza di Provazzano presso queste mura spirato.Ai martiri dimenticati del patrio riscatto Auspicela Società del Tiro a Segno Nazionale settant’anni dopo il sacrificio Consacra, Fiorenzuola 20 settembre 1900.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 luglio 1959, 3.
MAZZA BAISI ALDO, vedi MAZZA ALDO