GATELLI - GIORDANI
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore quadraturista attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 103.
Parma 21 agosto 1911-Mare di Villasimius 8 aprile 1943
Figlio di Sabino e di Palmira Cordiviola. Laureatosi a Parma nel 1936, allo scoppio della seconda guerra mondiale riuscì così a farsi assegnare alla Marina e a imbarcarsi sul cacciatorpediniere Da Mosto con il grado di capitano, quale medico di bordo. Prese parte alla violenta campagna militare per il Canale di Sicilia e quindi, avuta una licenza, rientrò a Parma. Richiamato a Trieste per essere imbarcato, gli giunse la notizia che tutti i compagni del Da Mosto erano tragicamente periti: il cacciatorpediniere, mentre era diretto verso il porto triestino, era stato infatti affondato. Nessun uomo dell’equipaggio si salvò. Assegnato all’Andrea Doria, nel corso di un bombardamento, mentre prestava le cure ad alcuni feriti, rimase colpito a una gamba. Fu ricoverato per un periodo di convalescenza, dopo cinquantatre mesi di servizio sul mare, nell’ospedale Sicilia a Taranto. Una volta dimesso, venne mandato sulla nave ausiliaria Loredan, che prestava servizio tra Civitavecchia e Olbia e Civitavecchia e Cagliari. Nell’aprile del 1943, mentre la nave era in vista delle coste della Sardegna, fu affondata da un sommergibile inglese. Metà dell’equipaggio riuscì a mettersi in salvo, ma il Gatta vi trovò eroica morte. Alla sua memoria fu concessa la medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Ufficiale medico di elevate doti professionali, imbarcato su unità di scorta gravemente colpita da un siluro, infondeva al personale fiducia e coraggio ed incurante della propria incolumità, accorreva presso un gruppo di feriti per portare loro il suo soccorso materiale e morale. Mentre l’unità affondava rapidamente egli, respinte le esortazioni dei camerati che lo invitavano a salvarsi sull’ultima imbarcazione calata in mare, rimaneva sulla nave nell’assolvimento del suo compito generoso ed umano. Scoppiata la Santabarbara, veniva travolto con l’unità nell’esplosione e con essa scompariva: luminoso esempio di abnegazione e di elevate virtù militari.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 5 luglio 1963, 4; Decorati al valore, 1964, 88.
GATTATICO GUGLIELMO, vedi GUGLIELMO DA GATTATICO
Parma 1571c.-
Pittore ancora attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 153.
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore miniatore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 104.
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 105.
GATTI EVARISTO, vedi GATTI GIOVANNI
Parma prima metà del XVII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 154.
Parma 1597-Parma 1651
Figlio di Antonio. Fu pittore della Corte ducale col prevalente incarico di eseguire copie dal Correggio e per tale motivo fu inviato dal duca Odoardo Farnese a Modena nel 1625. Ebbe una cultura tardo manieristica di estrazione correggesca, quale quella circolante nei centri di Parma e Cremona. A. Quintavalle nel catalogo della Pinacoteca di Parma dà notizia di un inventario dei quadri del Palazzo del Giardino di Parma dove gli vengono assegnati alcuni ritratti farnesiani e copie dal Correggio, poi dispersi, e registra le seguenti opere ancora in sito: Mosè, Aronne (parti di una medesima lunetta, pubblicati nel catalogo Arte in Emilia, Modena, 1960) e la Madonna in trono col Bambino e i santi Basilio e Bernardo da Chiaravalle tra angeli (1648). Il Corna ne rammenta un dipinto, non meglio identificato, per i Benedettini di Asti. Già dagli antichi storiografi è posta in rilievo la povertà delle sue doti. Infatti egli fu un fiacco continuatore delle forme correggesche con uno sfumato carbonoso e atonico (Quintavalle).
FONTI E BIBL.: I. Affò, Il parmigiano servitore di Piazza, Parma, 1794; P.A. Corna, Dizionario della storia dell’Arte in Italia, Piacenza, 1930, I; A.O. Quintavalle, La Galleria di Parma, Roma, 1939; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1045; Ticozzi, Dizionario degli architetti, II, 1831, 149; U. Thieme-F. Becker, volume XIII, 1920; A. Ghidiglia Quintavalle, Tesori nascosti della Galleria di Parma, catalogo, Parma, 1968; Dizionario Bolaffi Pittori, V, 1974, 298.
Borgo San Donnino 1731/1769
Falegname, eseguì dal 1731 al 1769 lavori nel Palazzo comunale di Borgo San Donnino e nel 1742 i due altari laterali dei Santi Caterina e Antonio nella parrocchiale di Parola.
FONTI E BIBL.: Schede in Soprintendenza Belle Arti di Parma, Parola; Il mobile a Parma, 1983, 257.
Parma 1866
Furiere, fu decorato con medaglia d’argento al valore militare dopo la battaglia di Bezzecca del 21 luglio 1866.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
Borgo Taro 10 marzo 1880-Modena 22 novembre 1939
Frate cappuccino, compì a Borgo San Donnino la vestizione (2 maggio 1895), la professione solenne (3 maggio 1896) e vi fu fatto sacerdote (20 dicembre 1902). Fu predicatore, lettore di dogmatica e storia ecclesiastica, esaminatore dei novizi, guardiano a Parma e Piacenza, benemerito direttore e commissario francescano, operoso archivista provinciale, per molti anni cappellano curato nel Policlinico di Modena, definitore (1937) e segretario provinciale. Fu inoltre diligente cultore di memorie storiche e autore di apprezzate pubblicazioni. Fu pure socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria di Modena (1932).
FONTI E BIBL.: L’ospedale di Modena e la sua parrocchia, Parma, Officina Grafica Fresching, 1928; Casati, Scrittori cattolici, 1928, 34; F. da Mareto, Biblioteca cappuccini, 1951, 239; Cappuccini a Parma, 1961, 25; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 659.
Parma XVIII/XIX secolo
Incisore, fu tra gli allievi dello Studio Toschi.
FONTI E BIBL.: P. Martini-G. Capacchi, Incisione a Parma, 1969.
Borghetto di Noceto 20 febbraio 1891-Borghetto di Noceto 26 aprile 1976
Nato da famiglia contadina, studiò all’istituto d’arte di Parma (allievo di Cecrope Barilli e del nocetano Paolo Baratta). Poi si perfezionò a Torino alla scuola di Giacomo Grosso, ritrattista famoso e insegnante all’Accademia Albertina della capitale piemontese. Scoppiata la guerra 1915-1918 partì per il fronte e poi finì prigioniero prima in Germania e poi in Ungheria: le sue capacità pittoriche e la sua abilità nel ritrarre lo aiutarono a vivere meglio di altri. Tornato a casa, spirito irrequieto ribollente di ardori, cercò nutrimento altrove per la propria passione. Ritornò, così, pittore in Ungheria e poi in Romania. Fu cantore solitario, con il pennello, di cavalli, zingare e giovani magiare. Dopo alcuni anni rientrò a Borghetto di Noceto, ma subitò ripartì in cerca di nuovi spazi e di nuovi colori: si spostò lungo i passi alpini, per diversi anni, ad alimentare lo spirito irrequieto e la passione che gli bruciava dentro. Poi, finalmente, in età matura (non si sposò mai) ritornò definitivamente a Borghetto di Noceto. Espose alla Promotrice torinese nel 1928 e alla Mostra degli animali a Roma nel 1930. Oltreché animalista, fu delicato paesista, soprattutto di soggetti invernali. Fece anche ritratti, caldi paesaggi, nature morte e nevicate: filari di gelsi innevati, sponde di canali bianche con quell’acqua limpida e trasparente che sembra scivolare e cantare sul flusso sottile, bianchi, profondi e vivi silenzi che il Gatti seppe descrivere col pennello. E poi il lavoro dei campi: buoi schiumanti di sudore, contadini stanchi ed eroici che all’Avemaria lasciano gli attrezzi, si inginocchiano e si segnano per istanti di fede e di speranza. Dopo aver conosciuto un crescente successo, a 85 anni d’età, poiché il suo corpo stava arrendendosi agli assalti del tempo mentre la sua mente restava implacabilmente lucida, si suicidò con un colpo di rivoltella, seduto al cavalletto del suo studio. Nel 1991 si tenne nell’Auditorium dell’ex convento delle Orsoline di Fidenza una mostra antologica dedicata al Gatti.
FONTI E BIBL.: A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1403; G. Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 295-296; Gazzetta di Parma 16 aprile 1991, 17; G. Mellini, in Gazzetta di Parma 23 giugno 1990, 16, e 16 luglio 1994, 17.
Parma 1831
Detto Pattan. Fu inquisito come uno dei disarmatori della truppa e dei principali facinorosi durante i moti del 1831. Fu arrestato e processato e nel settembre 1831 venne messo in libertà, assoggettato però ad alcuni precetti (sorvegliato come sospetto).
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 172.
Parma XVII/XVIII secolo
Fu pittore e architetto operante nella seconda metà del XVII secolo e agli inizi del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, IX, 1821, 314.
Roccabianca 1888-Pecinka o Faiti Kriba 2 novembre 1916
Figlio di Giulio e di Liduina Pasini. Militare di 3a categoria perché orfano di padre, fu arruolato il 1 giugno 1915 e assegnato al 44° reggimento fanteria. Dopo quattordici mesi di trincea, combattendo più volte, rimase ferito alla presa di Gorizia nell’agosto del 1916 e fu ricoverato all’ospedale di Lecco. Fu poi assegnato al 73° fanteria della brigata Lombardia e il 30 ottobre 1916 partì una seconda volta per il fronte. Il 2 novembre rimase disperso durante l’epica battaglia che ebbe luogo sui monti Pecinka e Faiti Kriba. Il suo comandante annunciò al Comune di Roccabianca che il Gatti era caduto sul campo di battaglia, combattendo eroicamente.
FONTI E BIBL.: Combattenti di Roccabianca, 1923, 30.
Parma 25 aprile 1860- Parma 1 novembre 1930
Figlio di Luigi e Anna Barbacini. Fu per quarantadue anni custode del Conservatorio di Parma e godette la stima e l’amicizia di illustri musicisti che passarono per l’Istituto: da Bottesini a Boito, da Zanella a Dacci, da Toscanini a Pizzetti. Toscanini non dimenticò mai il Gatti, che l’aveva conosciuto fanciullo, e in una delle sue rare visite a Parma sostò appositamente al Conservatorio per salutarlo.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 78.
GATTOMAMMONE, vedi PISANI UGOLINO
GAUFRIDO GIACOMO o JACOPO, vedi JAUFRÉ JACQUES
Traversetolo 1045/1053
Figlio di Giovanni. Fu Canonico negli anni 1045-1053.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 411.
Colorno 23 ottobre 1897-post 1945
Figlio di Edoardo e Paolina Scaravelli. Emigrò in data imprecisabile in Francia (fu segnalato sul Bollettino delle ricerche, Supplemento dei sovversivi), dove esercitò il mestiere di segantino. In Spagna si arruolò nel novembre 1936 nel Battaglione Garibaldi, combattendo sul fronte di Teruel. Nel febbraio 1937 rimase ferito ad Arganda. Nel novembre successivo usufruì di una licenza in Francia, rientrando in Spagna nel febbraio 1938. Partecipò alle battaglie sul fronte dell’Ebro nella Batteria di artiglieria Matteotti. Uscito dalla Spagna nel febbraio 1939, fu internato nei campi francesi di Saint-Cyprien e Gurs. Venne poi deportato in Germania dove rimase sino alla conclusione della seconda guerra mondiale.
FONTI E BIBL.: L. Arbizzani, Antifascisti in Spagna, 1980, 77; A. Lopez, Battaglione Garibaldi, 1990, 27.
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, IX, 1821, 320.
Parma XVII secolo
Pittore attivo nel XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 163, e VI, 125.
Parma -post 1481
Fonditore di campane attivo nella seconda metà del XV secolo. Nel 1453 fuse per la torre civica del Comune di Parma il campanone, detto de tertiis o campanella d’allarme, perché doveva suonare solo in caso di guerra. Crollata la torre nel 1606, la campana fu rimontata sulla torre del palazzo del governatore tra il 1709 e il 1760. Vi è inciso Leonardus de Cavazapo de Parma fecit e il nome dei dodici anziani del Comune. Vi erano inoltre rappresentati in rilievo dei santi. Nello stesso anno fornì quella della chiesa di Santa Maria di Bardone e dovette fare causa per essere pagato. L’anno successivo fuse per il monastero di San Giovanni di Parma la campana chiamata la rubiginosa. Questa, rottasi nel 1760, fu rifusa. Nel 1481 fornì la chiesa di Sant’Uldarico di Parma di una campana, che si ruppe nel 1780.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 188; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Parma seconda metà del XV secolo
Fonditore di campane attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 188.
Parma 17 marzo 1846-Parma 3 aprile 1914
Di professione fabbro-ferraio, fu scritturato quale corista (basso) in varie stagioni teatrali.
FONTI E BIBL.: Dietro il sipario, 1986, 286.
GAVIUS LALUS, vedi SALLUSTIUS LALUS
Parma 70/100 d.C.
Di condizione incerta, VIvir Augustalis, dedicante di un cippo a Q. Octavius L.f. M. a L. Octavius Q. f. Festus, Iusta e liberti. Gavius, nomen di origine etrusca, è documentato in una seconda epigrafe parmense e a Veleia. È molto comune in tutta la Cisalpina e in particolare a Verona, dove la gens Gavia è da annoverare tra le dominanti del periodo giulioclaudio. Ionicus è cognomen grecanico, diffuso dappertutto, documentato a Parma in questo solo caso.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 99.
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Dedicante di un cippo sepolcrale a Q. Modius Q. f. Pol. Amomus, pretoriano originario di Parma, di cui si definisce amicus: si può supporre che anche Gavius Severus provenisse dalla stessa città. La gens Gavia, diffusissima in Cisalpina, fu presente anche a Parma. Anche Severus è cognomen assai diffuso in Italia e nei territori celtici e presente a Parma in due testimonianze epigrafiche.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 101.
GAZA GIOVANNI GIACOMO, vedi GAZI GIOVANNI GIACOMO
Parma 3 marzo 1555-post 1599
Figlio di Andrea e Isabella. Si dilettò della poesia latina e in misura minore di quella in volgare. Due suoi epigrammi sono nella raccolta (1577) in morte di Maria di Portogallo, moglie di Alessandro Farnese. Appartenne all’Accademia degli Innominati, di cui nel 1581 fu vicesegretario. Compose un sonetto per le nozze di Margherita Aldobrandini col Duca Ranuccio Farnese (1599).
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1958, 111, e 3/4 1959, 192-193; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 486.
Piacenza 26 agosto 1787-Parma 2 novembre 1857
Figlio di Carlo e Anna Dossena, ricevette la prima educazione al collegio Clementino di Roma, ove si recò nel 1794 al seguito dello zio paterno, Bonaventura Gazzola, che fu consacrato vescovo di Cervia nel giugno del 1795. Dopo aver frequentato le università di Bologna e di Pavia, dove nel 1813 conseguì il titolo di dottore ingegnere architetto, nel 1814 tornò a Roma e, l’anno seguente, sposò Sofia Bertucci di Parma. La sua permanenza a Roma non si protrasse a lungo. Nel 1817 presentò le sei tavole con Tempio cattolico per servire da parrocchia per il saggio scolastico all’Accademia di San Luca, dove si conservano. Nel luglio dello stesso anno il Gazola è documentato a Montefiascone, dove tornò a lavorare anche in seguito. L’iniziale attività del Gazola è sufficientemente documentata sia per quanto attiene le opere di Piacenza, dove inizialmente risiedette ricoprendo l’incarico di cancelliere dei cavamenti, sia per quanto concerne il lungo soggiorno a Parma presso la Corte di Maria Luigia d’Austria. Prima prova progettuale del Gazola può ritenersi il disegno per il palazzo di Giustizia, presentato e premiato al concorso bandito nel 1817 dall’Accademia parmense (presso l’archivio della quale si conserva), che due anni dopo l’accolse tra i soci onorari. Dai disegni del Gazola emergono componenti rinascimentali, palladiane e romane, nonché un purismo geometrico che lo sollecita a impiegare un linguaggio colto e austero. Nel 1821, a Parma, collaborò ai lavori per il teatro Regio progettato da Nicolò Bettoli. Elaborò inoltre disegni di porte e barriere cittadine, tra le quali porta di Santa Croce. Nel 1823, a Piacenza, curò l’arredo del salotto di compagnia nell’appartamento che il conte Ludovico Marazzani Visconti Terzi abitava nel palazzo di via Chiapponi (Coccioli Mastroviti, 1994, pp. 80 s.) e negli stessi anni (1822-1823) realizzò il teatro di Castel San Giovanni, che venne eretto nell’ex convento delle benedettine e inaugurato nel 1825 (l’opera andò distrutta ed è nota solo attraverso il progetto). Tra il 1825 e la metà del secolo si scalano gli anni della più feconda attività del Gazola. Nel 1826 concluse la ristrutturazione del casino dei Boschi, residenza della duchessa Maria Luigia d’Austria (Dalla Turca, 1979). Nello stesso anno elaborò il progetto per la facciata della chiesa di Ognissanti in una esibita citazione dalla romana chiesa di San Pantaleo (1806) di G. Valadier. Con questo intervento il Gazola mostra di avere acquisito da un lato la formula neoclassica, siglata dall’insistenza sulla semplicità e sulla chiarezza dei volumi, dall’altro esibisce alcuni partiti architettonici che sono una costante delle sue opere successive. Il riferimento è alla finestra termale che, in dimensioni ridotte, ripropose nell’ordine inferiore di villa Levi-Tedeschi (1828), nelle immediate vicinanze della città, lungo la via Emilia, e al di sopra delle finestre del partito centrale in palazzo Carmi, a Parma: questo edificio neoclassico, che prospetta sull’attuale strada Farini, presenta tre ordini di finestre, di dimensioni ridotte quelle dell’ultimo ordine. La superficie centrale timpanata è ritmata dall’alternanza di aperture e di paraste e all’interno uno scalone a due rampe, in un vano coperto a botte, conduce al piano nobile. Nel 1828 la duchessa Maria Luigia d’Austria commissionò al Gazola la costruzione di una villa che fu residenza dei suoi figli: il casino del Ferlaro, completato nel 1832. Al 1834 risalgono i primi disegni per la riduzione della scalinata antistante la Cattedrale di Piacenza, di cui si occupò anche nel 1835 e 1836. Il motivo dello scalone coperto a botte fu riproposto nell’ampliamento di palazzo Landi di Chiavenna a Piacenza (1834): presso l’archivio privato della famiglia si conserva l’intero corpus dei progetti, che bene visualizzano le scelte progettuali intraprese dal Gazola sulla scorta delle mutate esigenze dell’abitare. L’aristocrazia piacentina, che nel corso dei primi decenni dell’Ottocento amava conferire nuova veste decorativa alla dimora urbana in linea con la nuova funzionalità, più volte fece appello alle capacità esibite dal Gazola in questo specifico settore. Dopo i marchesi Landi di Chiavenna, nel 1837 i conti Scotti di San Giorgio della Scala gli commissionarono il progetto di ristrutturazione di quella parte del loro palazzo che si affaccia su piazza del Teatro. Il Gazola fornì pure il disegno di una giardiniera per la terrazza del medesimo edificio (Coccioli Mastroviti, 1994, pp. 89 s.), anticipando più approfonditi studi sul tema del giardino cosiddetto all’inglese. Nel 1839, infatti, elaborò il progetto per il ridisegno del parco della rocca che questa famiglia possedeva a San Giorgio Piacentino. Il suo progetto, redatto all’insegna della nuova moda all’inglese che a quelle date andava diffondendosi anche nei giardini delle residenze suburbane, non venne realizzato. Il conte Federico Scotti gli preferì il milanese Ambrogio Rossi, al quale si devono anche le numerose fabrique progettate per il parco. In Val di Trebbia, non lungi da Grazzano Visconti, il Gazola progettò la residenza suburbana per la cantante Benedetta Rosmunda Pisaroni. La villa, con pianta a blocco e due fronti assai simili, ha enfatizzato il partito centrale con timpano, scandito da paraste di ordine ionico. Nonostante i numerosi impegni a Parma, molti dei quali a fianco di Bettoli, primo architetto di Corte, il Gazola lavorò dunque spesso per la città natale. Suoi sono i disegni per la sagrestia superiore della Cattedrale di Piacenza (1837 e 1839), per l’altare dell’Addolorata (già nel braccio sinistro del transetto della medesima chiesa e poi parzialmente conservato nella parrocchiale di San Martino al Nure, ove fu trasferito all’inizio del Novecento dopo i distruttivi interventi di restauro agli altari; Cassanelli, pp. 153 s.) e per l’arredo ligneo della sagrestia terrena. Di grande interesse si rivelano inoltre i progetti per la facciata del Duomo di Montefiascone, che il Gazola eseguì nel giugno del 1839. Nel cantiere di Santa Margherita il Gazola fu chiamato in quell’anno, ma il problema del completamento della facciata era avvertito da tempo, ossia da quando lo zio del Gazola, Bonaventura Gazzola, già amministratore apostolico della Diocesi di Montefiascone e Corneto (1814), fu consacrato cardinale nel 1824: a conferma di ciò, è la nota relativa alla tipologia dell’erigenda facciata che il Gazola diede alle stampe nello stesso anno. I tempi di costruzione della Cattedrale si dilatarono sia per problemi economici sia per fattori di carattere urbanistico. Nel corpus degli elaborati grafici, sicuro interesse rivela quello della facciata che, nell’esibito purismo architettonico, dichiara come il Gazola tendesse a privilegiare volumi chiari e nitide stereometrie per un linguaggio aggiornato, ma mai completamente innovatore. Sono facilmente decriptabili, infatti, i rimandi alla tradizione cinquecentesca, declinati con il rigore e la regolarità della volumetria cui non è estranea la conoscenza delle opere romane di G. Valadier, mentre l’estrema cura del dettaglio lo avvicina a certe soluzioni proposte da Lotario Tomba, l’architetto del neoclassico a Piacenza, al quale il Gazola si rivela stilisticamente più prossimo. Il nome del Gazola ricorre in numerose perizie di lavori, per la ricostruzione oppure l’ampliamento di chiese, cimiteri, teatri e ospedali e per lavori ai locali dell’Accademia parmense, di cui si conserva una dettagliata documentazione. Numerose sono anche le perizie stilate per l’arredo del palazzo ducale di Parma. Tra i principali interventi condotti nel settore dell’ornato cittadino, si ricordano almeno quelli per la creazione di un attico in palazzo Maestri, al numero 168 di strada San Michele, e per un nuovo prospetto di palazzo Giordani su piazza della Steccata al numero 36. Si segnalano inoltre, per la qualità dell’intervento proposto, i progetti del 1843 per il Museo di storia naturale, inserito nel complesso universitario annesso alla chiesa di San Rocco. Dopo l’allontanamento dei gesuiti dal Ducato di Parma e Piacenza, la trasformazione del collegio di San Rocco in sede universitaria fu la testimonianza eloquente dell’attuazione della costituzione dei Nuovi Regi Studi emanata dai Borbone. La documentazione, riunita nella Raccolta Sanseverini, presso l’Archivio di Stato di Parma, visualizza l’assetto del complesso sul volgere del Settecento, mentre la documentazione cartografica successiva, prodotta nel periodo luigino e borbonico, attesta l’avvenuta riunificazione degli Studi all’interno del palazzo. Tra le innovazioni più importanti, oltre all’apertura di nuove aule e laboratori, è la creazione del Museo di storia naturale, previsto a sud-ovest del complesso. Le tavole del progetto (Archivio di Stato di Parma, Fondo mappe e disegni), nelle quali il Gazola fornì precise indicazioni anche per gli arredi che risultano tipologicamente differenziati, e la documentazione successiva, consentono la ricostruzione cronologica dei singoli interventi realizzati. Significativo sia per l’allestimento sia per la concezione a esso sottesa, il progetto del Gazola conferì nuova destinazione d’uso a questi ambienti, di cui ridisegnò l’architettura interna senza tuttavia alterare la fisionomia esterna (Giandebiaggi). Allo stesso anno risalgono gli elaborati (anch’essi conservati presso l’Archivio di Stato di Parma) per l’orto botanico su strada dei Genovesi, ma i numerosi interventi di modifica subiti in seguito dall’edificio rendono impossibile definire con sicurezza se i prospetti illustrati dal Gazola rispecchiassero la realtà o non fossero invece un’ipotesi di progetto. La sua estesa e diversificata attività progettuale non gli impedì, pur risiedendo a Parma, di mantenere contatti con la committenza piacentina. Si occupò della ristrutturazione della cappella funeraria del marchese Bernardino Mandelli, nella chiesa dei domenicani di San Giovanni in Canale a Piacenza (1843), quindi progettò la ristrutturazione del foro Boario di quella città, posto su via Beverora (1850). In qualità di architetto di Corte, a Parma si occupò dei lavori all’interno del palazzo ducale (1851) e dell’appartamento di Carlo di Borbone, nel palazzo della Riserva su strada Santa Barbara. Fu proprio a seguito di questo incarico che si recò a Venezia e a Trieste, quindi a Padova ove acquistò tappezzerie per il nuovo appartamento del sovrano. Attivo per l’Ordine costantiniano di San Giorgio, l’11 maggio 1855 il Gazola fu nominato membro della commissione d’ornato per gli edifici del medesimo Ordine, carica già ricoperta dal Bettoli scomparso l’anno prima. Intensa fu anche l’attività accademica, nell’ambito della quale venne impegnato a esaminare numerosi progetti. Fu proprio a causa del moltiplicarsi degli incarichi e degli impegni che a partire dall’ottobre 1856 al Gazola si affiancò l’architetto Antonio Soncini, incaricato di sostituirlo nell’attività didattica. In quegli anni (1856-1857) il Gazola ritornò al tema del teatro, seppure con un intervento piuttosto marginale, allorché fornì i disegni relativi alle quinte del teatro Regio e alla porta della platea, con i gigli borbonici. Quindi, nell’ottobre del 1857, inviò i disegni per il foyer del teatro Municipale di Piacenza, eretto nel 1804 su progetto di Lotario Tomba. Sempre nel 1857, ma su sollecitazione del fratello don Lorenzo, abbozzò un disegno per il monumento dell’Immacolata che avrebbe dovuto sorgere in piazza Duomo a Piacenza. Nello stesso periodo partecipò attivamente anche al dibattito sul restauro del palazzo Gotico della sua città natale, che coinvolse le principali autorità cittadine intorno alla metà dell’Ottocento. Inviò alla Municipalità alcuni progetti relativi al restauro del fronte del palazzo, che però non ebbero seguito.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Gazzetta di Parma 12 novembre 1857; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, Genova, 1877, 184; L. Mensi, Dizionario biografico piacentino, Piacenza, 1899, 202; E. Nasalli Rocca, Ville settecentesche del Piacentino, in La Strenna Piacentina IV 1924, 50; L. Galli, Il teatro Comunitativo di Piacenza, Piacenza, 1958, 14; L. Tagliaferri, Il duomo di Piacenza, Piacenza, 1964, 63; L. Gambara, Ville parmensi, Parma, 1966, 52-54, 263-276, 489; L. Gambara-M. Pellegri-M. De Grazia, Palazzi e casate di Parma, Parma, 1971, 297, 304; G. Fiori, Architetti, scultori e artisti minori piacentini, in Bollettino Storico Piacentino LXVI 1971, 64 s.; F. Arisi, La donazione Anguissola al Museo civico di Piacenza, Piacenza, 1974, 60; P. Marconi-A. Cipriani-E. Valeriani, I disegni di architettura dell’Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, I, Roma, 1974, 73; P. Volpini-A. Ballarotto, Montefiascone nei suoi monumenti, Roma, 1974, 25-28; G. Di Gropello, La rocca di San Giorgio Piacentino, in Bollettino Storico Piacentino LXXI 1975, 84; L. Tagliaferri, Il duomo prima dei restauri del ‘900, in Il duomo di Piacenza (1122-1972), Piacenza, 1975, 97-99; G. Canali-V. Savi, Parma neoclassica, in Parma la città storica, a cura di V. Banzola, Milano, 1978, 245; G. Breccola-M. Mari, Montefiascone, Montefiascone, 1979, 300; F. Dalla Turca, Parchi e residenze extraurbane dei duchi di Parma, Parma, 1979, 42, 48; A.M. Matteucci, Palazzi di Piacenza dal barocco al neoclassico, Torino, 1979, 56, 253; G. Bertini, Architettura, in Le regge disperse, Colorno, 1981, 81; M.L. Hotz, Mobili, in Le regge disperse, Colorno, 1981, 28 s., 142-148; L. Grandinetti, La chiesa di Ognissanti in Capo di Ponte a Parma, Parma, 1982; 25-30; D. Rabitti, Castel San Giovanni, la Società Filarmonica, in M. Conati-M. Pavarani, Orchestre sinfoniche dell’Emilia Romagna, Bologna 1982, 171; G. Cirillo-G. Godi, Il mobile a Parma fra barocco e romanticismo 1600-1860, Parma, 1983, 225; A. Coccioli Mastroviti, Un architetto piacentino fra neoclassicismo e romanticismo: Paolo Gazola (1787-1857), in Bollettino Storico Piacentino LXXVIII 1983, 170-191 (con fonti d’archivio e bibliografia); A. Coccioli Mastroviti, Un architetto piacentino alla corte di Parma, Paolo Gazola, in Aurea Parma LXVII-LXVIII 1983-1984, 301-310; A. Coccioli Mastroviti, in Gotico, neogotico, ipergotico. Architettura e arti figurative a Piacenza 1856-1919, a cura di M. Dezzi Bardeschi, Bologna, 1984, 322; R. Cassanelli, in Gotico, Neogotico, Ipergotico, Bologna, 1984, 153 s.; A. Coccioli Mastroviti, Paolo Gazola alla luce di nuovi documenti, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 4, XXXVII 1985, 85-100; A. Musiari, Neoclassicismo senza modelli, Parma, 1986, 143, 265; A. Musiari-A. Coccioli Mastroviti, Classicismo e purismo nell’opera di Paolo Gazola: la facciata di S. Margherita a Montefiascone, in Arte e accademia, 1989, 97-120; A. Coccioli Mastroviti, Architettura e territorio nell’Emilia occidentale, in Gli architetti del pubblico a Reggio Emilia, a cura di M. Pigozzi, Bologna, 1990, 199-203, 207, 293 s.; P. Giandebiaggi, I disegni dell’architettura universitaria, Parma, 1990, 39-41, 44 s., 119-121, 130; A.M. Matteucci-C.E. Manfredi-A. Coccioli Mastroviti, Ville piacentine, Piacenza, 1991, ad indicem; A. Soncini, Paolo Gazola. Progetto per il teatro già collegio dei nobili, in G. Cirillo-G. Godi, I disegni della Biblioteca Palatina di Parma, Parma, 1991, XLIV, 281; A. Coccioli Mastroviti, Committenti e artisti per il decoro degli interni, in Bollettino Storico Piacentino LXXXVII 1992, 216, 228; C. Mambriani, L’Accademia di belle arti di Parma, in L’architettura nelle accademie riformate. Atti, a cura G. Ricci, Milano, 1992, 184; Maria Luigia donna e sovrana, Parma, 1992, 35 s., 101 e passim; Disegni per la residenza. Testimonianze nell’Archivio di Stato di Piacenza, a cura di A. Coccioli Mastroviti, Piacenza, 1994, 39-41, 46, 66-70, 80 s., 89-91; A. Coccioli Mastroviti, L’architettura del Settecento e il palazzo del marchese Filippo Douglas Scotti di Vigoleno, in Il palazzo della prefettura di Piacenza, a cura di F. Arisi, Piacenza, 1995, 74, 84-86, 95, 115; L. Buratti-F. De Leva-N. Onida, I disegni dei principali architetti neoclassici in Italia: regesto. Seconda parte, in Il disegno di architettura, 1997, 15 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 307; A. Coccioli Mastroviti, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII, 1999, 751-753.
1903-Parma 5 ottobre 1959
Sarta di professione, fu una delle figure più pungenti e spassose del teatro dialettale parmigiano. Per trent’anni vestì, sulle ribalte di città e provincia, personaggi sorridenti di popolane dalla lingua sciolta e la battuta bruciante. La Gazza, malgrado la lunga routine che aveva raffinato verve e mimica dei suoi personaggi, volle sempre modulare figurine di secondo piano, guizzanti e simpaticissime: fu ricordata soprattutto come la Marianna di Al fiol dla serva. Quel personaggio lo tenne a battesimo nel 1929, la sera del debutto. Aveva allora ventisei anni, ma accettò con entusiasmo il ruolo di fantesca maliziosa e trafficona che porta nelle pareti di casa le allegre voci raccolte in quella grande ribalta che è piazza della Ghiaia. Nei panni un poco larghi di popolana anziana si trovò a suo agio. Collezionò così una interminabile galleria di personaggi che vivevano ai margini del nodo della trama, che spendevano le loro battute con noncuranza, solleticando invece il sorriso degli spettatori. Per il teatro dialettale ebbe sempre una grande passione. Il suo entusiasmo non andò calando negli anni, anzi, quando il vernacolo sembrò essere tradito dai giovani, ella si diede da fare e, con la Magnanini e Lanfranchi, cercò un rilancio, attirando attori giovani nelle vecchie compagnie dalla malcerta esistenza. Pur avendo a lungo militato con Montacchini, si presentò per la prima volta al pubblico nella compagnia dei fratelli Clerici. Con loro partecipò alla lunga tournèe intrapresa da Italo e Giulio attraverso varie città d’Italia. Legata da amicizia con Emilia Magnanini la seguì, nei primi anni della seconda guerra mondiale, nella compagnia di Lanfranchi e Montacchini, dove rimase sino all’ultima comparsa, avvenuta nel 1958 al Teato Italia e alla Pergola.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 ottobre 1959, 4.
GAZZA GIANNI, vedi GAZZA GIOVANNI
Malandriano 16 aprile 1893-Parma 21 luglio 1977
Entrò diciassettenne nell’Istituto Saveriano di Parma. Prima di prestare il servizio militare in qualità di tenente di sanità a Parma, emise nel 1915 i primi voti religiosi e dopo la prima guerra mondiale, nel giugno del 1919, divenne sacerdote. Dal 1921 al 1937 fu missionario in Cina, ove tra l’altro fu rettore del seminario della diocesi di Chengchow e in seguito (dal 1931 al 1937) superiore religioso delle due missioni affidate ai saveriani. Richiamato in patria, fu dapprima maestro dei novizi e poi, durante la seconda guerra mondiale, parroco nella chiesa del Sacro Cuore in Parma. Quando nel 1946 fu possibile convocare a Parma anche alcuni missionari della Cina per il Capitolo generale, egli fu eletto superiore generale dei Saveriani, carica che ricoprì fino al 1956. Furono gli anni più fervidi della sua vita e quelli che posero le basi dello sviluppo della congregazione saveriana. Erano i tempi difficili della ricostruzione e, tuttavia, in quel giro di anni furono aperti tredici nuovi istituti in Italia e avviate fondazioni negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Brasile e nel Messico. Nel frattempo il numero dei saveriani era più che raddoppiato. Inoltre si resero disponibili per altri campi di apostolato anche missionari espulsi dalla Cina di Mao con provvedimento generale del 1° maggio 1954. Il Gazza avviò allora le nuove missioni saveriane del Giappone, della Sierra Leone, del Pakistan Orientale e del Brasile. Scaduto il suo mandato, fu per dieci anni di nuovo maestro dei novizi e poi laborioso archivista presso la direzione generale di Roma, fino a quando l’immobilità delle gambe provocata da un’affezione alla colonna vertebrale lo costrinse a dividere il tempo tra il letto e la carrozzella.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 263; Gazzetta di Parma 23 luglio 1977, 4.
Parma 19 luglio 1924-Parma 6 dicembre 1998
Figlio di Luigi e Gemma Alessandrini. Frequentò il Collegio Salesiano di Parma. Entrato nell’Istituto dei Saveriani il 24 settembre 1939, vi compi la quinta classe ginnasiale e il Liceo, dopo la professione religiosa dell’8 settembre 1942. Frequentò la teologia nel Seminario di Parma dal 1945 al 1949. Fu consacrato sacerdote il 29 giugno 1949. Per anni si occupò della stampa missionaria e in particolare di quello che poi si chiamò Centro Educazione alla Mondialità. Partì per il Brasile il 21 gennaio 1957, diventando due anni dopo rettore del seminario di Juagapità. Fu eletto vescovo di Abaetetuba do Tocantins, nel Nord del Brasile, il 12 novembre 1962, consacrato ad Aparicida l’8 dicembre 1962. Al Concilio Vaticano II fece un importante intervento a proposito del decreto sulle missioni. Rientrato in Amazzonia, vi rimase fino al settembre del 1966. Fu Superiore Generale dell’Istituto Saveriano dal 13 settembre 1966 all’11 agosto 1977. Il 27 ottobre 1981 fu trasferito alla sede di Anversa, incarico che tenne per dodici anni, fino a quando cominciò a manifestarsi il male che lo condusse a morte: nel maggio 1992, costretto dalla malattia (un tumore per cui fu più volte operato), presentò al Papa le sue dimissioni e rientrò a Parma. Nonostante le sofferenze, nel 1996 volle tornare in Amazzonia e per alcuni mesi sembrò che la vita di missione l’avesse fatto rinascere. rientrato definitivamente a Parma, prolungò il suo impegno missionario attraverso articoli e libri (l’ultimo: Frammenti di Amazzonia).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 12 gennaio 1984, 9; Il seminario di Parma, 1986, 124; Gazzetta di Parma 8 dicembre 1998, 10.
Parma ante 1893-post 1927
Ebbe un’intensa attività come costruttore, commerciante, accordatore e riparatore di organi: il laboratorio aveva sede in un locale del palazzo Fainardi in via Cairoli. Nel 1903 ampliò i Serassi (1788) della chiesa di San Bartolomeo a Parma, restaurò quello di San Vitale, inaugurato il 3 maggio 1913 con un concerto di Guglielmo Mattioli di Bologna e quello di San Secondo nel 1927, oltre a vari altri interventi in città e provincia (realizzò l’organo della chiesa di Santa Croce di Fontanellato).
FONTI E BIBL.: Gli anni del Liberty, 1993, 156; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Lesignano di Palmia 1893/1911
Soldato del 20° Reggimento fanteria, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Benchè ferito rimase al suo posto di combattimento (Tobruk, 22 dicembre 1911).
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’impero, 1937.
Brescello 24 dicembre 1841-Sorbolo 14 novembre 1922
Figlio di Angelo e Lucia Cafarra. Appartenne al 1° Reggimento Bersaglieri dal 20 novembre 1861 al 12 agosto 1871. Fece la campagna del 1866 per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia. Abitò e fu sepolto a Sorbolo.
FONTI E BIBL.: M. Clivio, Dal Risorgimento nazionale alle conquiste sociali, 1984, 67.
Bardi 1859
Avvocato, consigliere della Suprema Corte di revisione, fu deputato all’assemblea dei rappresentanti del popolo delle provincie parmensi il 4 settembre 1859 per il collegio di Bardi. Ebbe poi otto voti per l’elezione a presidente di detta assemblea.
FONTI E BIBL.: Assemblea del Risorgimento, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941,162.
Parma 1448
Fu calligrafo di professione. Scrisse un missale per la precettoria di Sant’Antonio viennese della terra di Mirandola, del quale miniò le iniziali e forse anche qualche carta Damiano de Moille nell’anno 1448. Non sembra sia lo stesso Azzone Gazzi, cittadino oriundo di Parma esercente il notariato nel 1451 in Castelnuovo d’Enza e ricordato dal Pezzana nel tomo III della Storia di Parma a pagina 61 e nell’Appendice a pagina 6.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 28.
Parma 1824
Musicista, rifugiato politico, riparò a Bruxelles tra il febbraio e il marzo 1824, diretto a Lovanio.
FONTI E BIBL.: S. Carbone, Rifugiati italiani in Francia, 1962.
Bardi 1594
Dottore in leggi, fu giudice di collegio nel 1594. Fu poi governatore di Busseto e di Cortemaggiore e auditore di Ruota in Toscana. Nella Biblioteca Palatina di Parma si conserva manoscritta la sua opera Annotationes ad decreta et statuta Placentiae.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 200.
GAZZOLA PAOLO, vedi GAZOLA PAOLO
GAZZUOLI LUIGIA o LUISA, vedi BOCCABADATI LUIGIA
Parma 1036/1057
Collega di Dragone, fu maestro di Filosofia nello Studio, arciprete capitolare e canonico.
FONTI E BIBL.: G. Drei; U. Gualazzini; F. Rizzi, Professori, 1953, 10, 45.
Fontanelle 1922-post 1971
Operaio, militante comunista, per la sua attività antifascista fu confinato per cinque anni nelle Isole Tremiti. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione. Organizzatore della Resistenza nel Parmense, fu comandante di battaglione della 12a Brigata Garibaldi.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della Resistenza e dell’antifascismo, II, 1971, 500.
Parma 17 gennaio 1883-post 1931
Nell’anno 1903 si diplomò nel Conservatorio di Parma in oboe. Fu insegnante di tale strumento nella Scuola municipale di musica di Modena.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 101.
Busseto 11 gennaio 1797-Parma 7 giugno 1862
Fu allievo di Giuseppe Bertoluzzi e Giacomo Smith. Studiò pittura a Parma e insegnò poi a lungo in quell’Accademia di Belle Arti, dove ebbe tra gli altri a discepoli Giacopelli e Magnani. Tra i molti suoi lavori, degni tutti di considerazione, vanno ricordati i disegni che ornano a Parma le sale della civica Biblioteca e del Museo d’Antichità e gli ornati che si ammirano nel Teatro Regio, in alcune sale dell’ex Palazzo Ducale e nelle chiese di Santa Maria Maddalena e della Santissima Trinità. Eseguì dipinti nel Santuario di Fontanellato e lasciò pregevoli opere a Guastalla, a Pontremoli e in altre località (realizzò il Teatro di Fiorenzuola assieme a Giacomo Giacopelli e a Vincenzo Bertolotti: fu inaugurato l’8 ottobre 1853). Poco prima che la morte lo cogliesse a Parma, dove abitualmente risiedette, fu incaricato dall’autorità comunale bussetana di allestire i cartoni per gli ornati al Teatro Verdi, lavoro da lui iniziato e che altri provvidero a ultimare. Della sua produzione grafica rimane solo l’acquerello giovanile (1818) con Paesaggio e la tomba allegorica di Angelo Mazza, nella Galleria Nazionale di Parma.
FONTI E BIBL.: C. Malaspina, Guida di Parma, 1869; N. Pelicelli, Guida di Parma, 1910; E. Seletti, La città di Busseto, 1883; Rassegna d’arte 6 1906; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, 1920, XIII; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1417; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 180; Dizionario Bolaffi pittori, V, 1974, 313.
Parma 1831
Durante i moti del 1831, assieme a Lanfranco Campanini, provvide a disarmare la truppa (13 febbraio). Una volta soffocata la rivolta, per evitare il carcere, fuggì prima in Spagna e poi, forse, in Francia.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 170.
Parma 6 novembre 1847-Parma 9 maggio 1899
Figlio di Pietro e Amalia Agadi. Avvocato, fu rappresentante della Giunta Municipale nella stagione teatrale del Teatro Regio di Parma del Carnevale 1887-1888.
FONTI E BIBL.: Dietro il sipario, 1986, 286.
1961-Parma 31 luglio 1991
Appassionato naturalista sin dagli anni giovanili, quando già frequentava assiduamente le uscite del Gruppo Naturalistico del Club Alpino Italiano di Parma, divenne poi un esperto competente di ornitologia. Dottore in scienze naturali, ottenne premi e riconoscimenti internazionali per la sua prestigiosa attività di ricercatore. Morì, giovanissimo, in circostanze tragiche: precipitò dal tetto di un edificio mentre era intento a valutare la massiccia presenza di colonie di storni nel piazzale della stazione ferroviaria.
FONTI E BIBL.: A. De Marchi, Guida naturalistica, 1997, 360.
Parma 1831
Fu tra gli inquisiti di Stato in seguito ai moti del 1831.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 413.
Parma II/III secolo d.C.
Morta a diciannove anni, libera, filia carissima di Publius e di Prima, che le dedicò un’epigrafe, perduta, databile alla media età imperiale, nella quale si fa menzione anche all’offerta di statua odoramenta per quattromila sesterzi. Geminia è nomen assai diffuso dappertutto, ma documentato sporadicamente in Cispadana. Maxima è cognomen latino comunissimo, caratteristico di uomini e donne liberi.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 101.
Parma seconda metà del XVII secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 126.
Vicofertile 4 agosto 1916-Napoli 24 luglio 1988
Fu valoroso pilota durante gli ultimi combattimenti in Africa Orientale, dove, per meriti operativi, venne decorato di medaglia d’argento al valor militare e della Croce di guerra, meritandosi numerosi altri encomi. Verso gli anni Cinquanta, dopo un’ininterrotta carriera, venne incaricato di organizzare e condurre il corso di preparazione per allievi operatori radar, presso il Reparto Dat della III Regione Aerea di Bari, e in quella circostanza manifestò tutte le sue capacità tecniche e didattiche. Per diversi anni mantenne la direzione del settore con i gradi di ufficiale superiore, sino ad acquisire quello di generale di Brigata Aerea, a seguito della sua assegnazione al Comando Nato. Alla sua morte, la salma fu tumulata nel piccolo cimitero del villaggio della consorte, Vizzola di Fornovo di Taro.
FONTI E BIBL.: S. Pasini, in Gazzetta di Parma 9 ottobre 1996, 5.
Parma ante 1629-Parma 27 agosto 1690
Professò nel 1629 e fu benedettino del Cenobio di Bobbio. Fu abate del monastero di San Giovanni Evangelista in Parma dal 1677 al 1682 e dal 1689 al 1690. Scrisse un libro sulle Regole del Canto Piano, edito in Parma nel 1682.
FONTI E BIBL.: A. Galletti, Monastero di San Giovanni Evangelista, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 68.
ante 369-Brescello 25 agosto 399
Perdurando lo scisma nella città di Parma con la presenza di Urbano o di altro vescovo scismatico a lui succeduto, il vescovo di Milano Ambrogio vi inviò Genesio. Non in città, ove non poteva trovarsi a causa della presenza del vescovo scismatico, ma nel suo territorio, a Brescello. Ritenendo per certo che Brescello fosse luogo distinto ma non città e che fosse parte del territorio distrettuale della città di Parma e d’altra parte ricordando che solo col consenso del Papa o almeno del Metropolita poteva distaccarsi dal distretto della città una zona per l’erezione di un vescovado, dovrà ammettersi allora che un fatto estraneo e occasionale abbia determinato la presenza di un vescovo a Brescello, ove lo si trova soltanto dalla fine del quarto secolo e sino al 451 circa. Il fatto non può essere che quello che a Parma si trovava un vescovo deposto e scismatico, che muoveva il popolo in suo favore. Il metropolita gli contrappose a Brescello un vescovo cattolico, Genesio, dopo la condanna del vescovo Urbano, avvenuta probabilmente nel 369. Ambrogio, forse verso il 374, mandò a Parma Genesio, allo stesso modo che il Papa, dopo la condanna di Aussenzio, aveva inviato Filastrio a Milano. Non potendo, per l’agitazione popolare provocata da Urbano, rimanere in Parma, Genesio si ritirò a Brescello. Malcisi afferma che Genesio venne a morire due anni dopo la morte di Ambrogio, cioè nel 399. Di Genesio parlano il Muratori e il Tiraboschi, però notizie più precise di lui sono date dall’Affò nella sua illustrazione di un antico piombo borgiano, stampata a Parma nel 1790. Quando infatti fu fatta una nuova invenzione delle reliquie di Genesio a Brescello nel 1563 fu trovata entro l’urna una lamina di piombo, che fu inviata a Roma nel 1566 e di là passo nel museo borgiano di Velletri. Da un lato della lamina si legge: Sancti Genesii templvm qvicvmque venitis fvndite corde preces nostri sacer o miserere omne malvm vestrum precibus solvet deus eius nam corpvs totvm iacet eivs hic tvmvlatvm. Da questa iscrizione è evidente che il tumulo conteneva il corpo di Genesio. Ma che Genesio fosse vescovo e che la sua festa si celebrasse il 25 agosto si ricava dalla seguente iscrizione: In hoc venerabili loco condita sunt gloriosa ossa beati Genesii cuius quondam urbis episcopi cuius festivitas celebratur octavo Kalendas Septembrium. Un’iscrizione scritta con caratteri del XIV secolo attesta che Genesio fu propriamente vescovo di Brescello: MCCCLV die XXVIII Aprilis ego Ambrosius de Velate abbas Monasterii Sancti Genesii de Bersillo reperi corpus. Il monastero di San Genesio, di cui fu abate Ambrogio da Velate, venne innalzato nel X secolo da Attone, figlio di Sigefredo, signore di Reggio e Modena. Mentre Attone cingeva Brescello di mura, si scoprì infatti l’anello pastorale di Genesio e una lamina di bronzo con la scritta: Hic titulus est venerabilis Genesii huius Briscellensis urbis episcopi.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 36-40.
-Cagli 1439 o 1440
Fu Canonico della Cattedrale di Parma nel 1426. Il 27 dicembre 1429 fu creato vescovo di Cagli e Pergola. Unì i monasteri di San Pietro e di Santa Cecilia, entrambi dell’Ordine Benedettino, e fece erigere la torre della Cattedrale di Cagli.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, I, 1856, 704; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 271.
GENESIO GIOVANNI, vedi QUAGLIA GIOVANNI GENESIO
GENEXO, vedi DE LUCA SALOMONE
Parma 1480
Umanista dallo spirito satirico, a fianco di poesie in lode della Vergine, compose satire contro i vizi della gente. Visse anche a Roma e a Napoli e disse male dei luoghi ove fu.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1958, 174.
Mattaleto 4 ottobre 1752-Parma 4 dicembre 1797
Nacque da Giuseppe e Giacoma, molto probabilmente piccoli possidenti del luogo. Compiuto il breve ciclo scolastico della scuola elementare locale, venne inviato a Parma, non è certo se per mezzo dei sacrifici dei parenti o per sussidi e appoggi ottenuti, e lì potè completare quegli studi che gli ottennero la laurea in Medicina, conseguita, pare con molta lode, nel 1776. Continuando nello studio e nell’esercizio pratico della sua professione, salì ben presto in fama di medico dotto e di acuto anatomico (A. Pezzana). Titolare della cattedra di Anatomia era a quei tempi Michele Girardi, amico dello Spallanzani e illustratore delle Tavole del Santorini. Il Gennari fu suo discepolo e suo collaboratore ed ebbe per il maestro stima e venerazione. Tanta riconoscenza gli venne dalla cordiale ospitalità avuta dal Girardi nella sua scuola, onde gli fu permesso di trarre profitto nei due anni 1773-1774 di un gran numero di cadaveri che gli servirono soprattutto per i suoi studi sul cervello. Durante i primi anni di esercizio le strettezze e le difficoltà finanziarie del Gennari pare non fossero poche. La famiglia non potè venirgli in aiuto poichè, come risulta dagli atti di nascita esistenti nella chiesa di Mattaleto, i genitori del Gennari ebbero altri undici figli: nove femmine e due maschi. Il Gennari invocò allora un sussidio che, anche per interposizione di persone autorevoli, gli venne concesso dal duca Ferdinando di Borbone a mezzo del Magistero degli Studi nel 1783, colla motivazione seguente: Il Dottor Collegiato Francesco Gennari implorante nell’annessa supplica una sovvenzione della R.. Munificenza, è uno dei migliori allievi in medicina che usciti siano dalla restaurata Università. L’operetta anatomica, che Egli pubblicò l’anno scorso mostra la sua profonda cognizione in sì fatta materia e quanto di sè prometta hanno concordemente indicato più giornali letterarii che quella produzione commentarono copiosamente. Ciò non fu evidentemente sufficiente, perché in una lettera diretta a Gian Battista Bodoni il 13 settembre 1788 così si espresse: Se Ella potesse indurre il generoso d’Apra a scrivere una lettera a mio pro al S. Marchese Matellara accio mi ottenesse o il piccol soldo annesso al mio impiego oppure l’assistenza del S. Infante per fare il viaggio di Francia e d’Inghilterra io mi riputerei felice assai. In altra lettera diretta al Bodoni del 1 novembre 1788, mentre questi si trovava a Roma, appare il vivo desiderio di visitare altre scuole: Lo stesso S.r Conte Camuti mi ha suggerito che avendo egli proposto alla Corte di spedire alcuni giovani a viaggiare, cioé: Bosani, Gasperotti e Rubini, avrebbe desiderato che io fossi il quarto. Questo veramente sarebbe unico mezzo onde indenizzarmi delle malefatte apportate al mio decoro così mi ha consigliato di supplicare a parte cercando un sussidio in vista dei servizii prestati gratis per il corso di 5 anni agli Ospedali militari del Castello. E nella minuta di una supplica indirizzata al duca Ferdinando di Borbone, posteriore al 1783, si legge: ma essendo innato negli uomini il desiderio di acquistare nuove cognizioni quindi è che ad inoltrarsi maggiormente nei misteri dell’arte sua egli riputerebbe ora utilissimo una peregrinazione medica. Dalle poche e scarse memorie che si hanno sul conto del Gennari, è probabile che egli non potesse adempiere a questo desiderio e si rassegnasse da quel momento all’esercizio pratico quale libero professionista in Parma come medico dell’Ospedale della Misericordia e come Sanitario delle Truppe del Presidio Ducale. Fino a quell’epoca (1788) il Gennari si trovò in condizioni finanziarie tutt’altro che floride, sia perché non aveva ancora esteso l’esercizio professionale sia perché assorbito nello studio dell’anatomia. Da quel momento cominciò una nuova fase coronata da successi e trionfi professionali ma seminata anche da una serie non interrotta di sciagure e miserie morali. La vita del Gennari fu infatti di continuo travagliata. Nel primo periodo dall’angustia dei mezzi, poi dall’accentuarsi del suo carattere facilmente irritabile e sospettoso e dalla passione per il gioco d’azzardo e finalmente dalle condizioni di salute. Come medico pratico ebbe ottima clientela e i guadagni furono buoni, ma il Gennari dilapidò quasi ogni suo avere nel gioco d’azzardo. Il suo temperamento strano e bizzarro, che gli alienò gran parte degli amici nel momento di maggior bisogno, una strana indole, resa ancora più acre dalla vita stentata, dalle aspirazioni insoddisfatte e dal vedere forse non abbastanza compresa la sua opera, giudicata ottima da pubblicazioni periodiche del tempo, appare già attraverso l’epistolario al Bodoni, ove l’idea fissa della persecuzione risalta chiaramente. Il Pezzana, pare non da documenti ma da relazioni verbali avute probabilmente anche da conoscenti del Gennari stesso, afferma che egli soggiacque a una lunga malattia che è lecito supporre fosse una tubercolosi polmonare. Fu certamente quello il periodo più triste della sua breve esistenza, sia per la natura del male che lo logorava sia per l’ozio forzato a cui fu costretto per lungo tempo, cui si aggiungeva l’umiliante miseria che lo aveva ridotto a fare assegnamento sulla pietà dei pochi amici affezionati rimasti (tra i quali Giovanni Giovanetti), i quali provvidero anche alla tumulazione del Gennari. La chiesa di San Silvestro, nella quale venne inumato, fu distrutta nel 1800. L’opera scientifica del Gennari è affidata a un modesto volume edito nel 1782 coi tipi bodoniani e che porta per titolo Francisci Gennari parmensis Medicinae Doctoris collegiati De peculiari structura cerebri nonullisque ejus morbi. È scritto in buon latino ed è diviso in XLIX capitoli. La parte veramente originale, quella che vale tutta l’opera, è contenuta nel capitolo XLVI De tertia quadam cerebri substantia. Questo lavoro fu a suo tempo celebrato tra i più importanti, alla pari delle opere di scienzati del livello di Haller, Sommering, Malpighi, Vicq d’Azir e Monro.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 1833, 642; Aurea Parma 1 1927, 35-39; C. Melli, Langhirano nella storia, 1980, 50.
Collecchio 16 giugno 1921-Sirte 6 dicembre 1942
Visse con la famiglia a Vicofertile. Giocatore nella squadra di calcio del Parma nella stagione 1941-1942, fu Caporale carrista e morì in combattimento nel corso della seconda guerra mondiale.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, III, 1990, 251.
Parma 29 settembre 1912-Barracas 16 luglio 1938
Figlio di Filippo. Vice Caposquadra dell’851° Battaglione Vampa, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di squadra fucilieri, sotto l’intenso fuoco delle artmi nemiche, incurante del pericolo, si preoccupava di mantenere l’ordine e la coesione tra i suoi uomini. Ferito a morte, pur rendendosi conto della gravità delle sue condizioni, era esempio di serenità e stoicismo.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1941, Dispensa 10a, 614; Decorati al valore, 1964, 88.
Parma 1910-1991
Diplomato al Conservatorio di Musica di Parma, fu maestro di contrabbasso al Teatro Regio di Parma, al Teatro alla Scala e alla Rai a Milano dal 1936 al 1974. Suonò nelle più famose orchestre italiane e nei più celebri teatri del mondo. Scrisse anche parecchie poesie dialettali, alcune delle quali furono pubblicate negli anni tra il 1950 e il 1980 su riviste come Al pont ad Mez o sulla Gazzetta di Parma, di cui il Gennari Daneri fu collaboratore esterno con articoli su ricerche originali e studi inediti su personaggi di Parma legati all’ambito musicale: Martini, Pizzetti, Boito, G. Bottesini, Vernizzi, Votto, Patané, Migliavacca, Campanini e Päer. Pubblicò anche articoli su personaggi storici come Bottego e Rondizzoni, eroe dell’indipendenza cilena e peruviana. Il Gennari Daneri si espresse tra l’altro in appassionate diatribe su Toscanini, il Sessantotto e sul monumento a Verdi. Ebbe amici fraterni Alvarosi, professore di oboe, Giuseppe Fulgoni, prima viola alla Rai, G. Sommi, primo contrabbasso, Nidi e Franzosi.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 26 agosto 1996, 5.
Parma 26 marzo 1893-Meclenci 9 maggio 1917
Figlio di Giacomo (o Enrico) ed Enrica Mamoli. Tenente del 61° Reggimento Fanteria, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di una mezza compagnia, che costituiva la prima ondata di attacco, con mirabile slancio giunse primo sotto i reticolati nemici. Ferito ad una gamba, non volle essere allontanato e seguitò ad incitare i suoi soldati, finché cadde colpito nuovamente a morte.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1920, 126; Decorati al valore, 1964, 88.
Parma 27 aprile 1920-Cuviolo 28 ottobre 1944
Figlio di Gaetano. Tenente del 14° Reparto Salmeria Cavalleria Guide, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Ufficiale già distintosi per alto senso del dovere nel periodo della lotta clandestina, al giungere delle truppe alleate nella zona, chiedeva di venire immediatamente impiegato presso unità operanti. Assegnato ad un reparto salmerie, nel corso di numerosi servizi di rifornimento nelle immediate adiacenze delle prime linee, dimostrava di possedere elevate doti di perizia e di sereno sprezzo del pericolo. Cadeva colpito a morte durante un violento bombardamento avversario, mentre con generoso gesto si prodigava per portare soccorso ai propri uomini.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 89; Caduti Resitenza, 1970, 113.
Piacenza 1808-1865 o 1876
Maestro d’intaglio nell’Accademia di Belle Arti di Parma, nel 1835 applicò ornati a sedili per la Corte di Parma e nel 1843 effettuò un intaglio commissionatogli da Maria Luigia d’Austria per la sua collezione. Nel 1849 fu attivo presso la Corte borbonica di Parma.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 157; Enciclopedia di Parma, 1998, 373.
GENOCCHI GIACOMO, vedi GENOCCHI GAETANO
Parma XV secolo
Fu medico famoso.
FONTI E BIBL.: G. Pighini, Storia a Parma, 1965, 101.
Parma ante 1459-Parma post 1493
Fu allievo del veronese Guarino. Studiò inizialmente lettere greche e latine, oratoria e poetica, poi scienze fisiche e mediche, in cui ottenne la laurea nel 1459. Nello Studio universitario di Parma insegnò Filosofia (1478). Fu medico di personaggi distinti e della comunità religiosa di San Giovanni Evangelista. Nell’anno 1482 fu Anziano nella Squadra Rossa del Comune di Parma. Curò anche il canonico regolare Matteo Bosso, portatosi a Parma a predicare, col quale strinse amicizia e dal quale fu incoraggiato a drasi alla vita religiosa. Il Genovesi entrò infatti successivamente tra i canonici regolari.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1791, III, 21-22; Pico, Appendice, 1642, 164; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 184-185; U. Gualazzini, in Corpus Statutorum, CLII, n. 31; Aurea Parma 3 1951, 187, e 1 1953, 7.
GENTE GIBERTO, vedi DELLA GENTE GIBERTO
Genova 1680/1681
Appartenente all’Ordine dei Predicatori, fu eletto vescovo di Parma da papa Innocenzo XI il 7 marzo 1680. Tale elezione però non ebbe effetto per il rifiuto costantemente opposto dal duca Ranuccio Farnese. Fu nominato Arcivescovo di Genova nel 1681.
FONTI E BIBL.: A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 241.
GENTILI SPIRITO, vedi SPICIOTTI GIACOMO ANTONIO
GERALDO ARALDI GOCCI, vedi ARALDI GERALDO
GERARDINO DI BORGO SAN DONNINO, vedi GERARDO DA BORGO SAN DONNINO
Borgo San Donnino 1193/1197
Fu Prevosto di Borgo San Donnino negli anni 1193-1197.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 415.
GERARDO ARCILLI, vedi ARCILLI GERARDO
GERARDO CIMANI, vedi CIMANI GERARDO
Borgo San Donnino primi decenni XIII secolo-Parigi 1276
Il Laurini afferma che, giovanetto, Gerardo vestì l’abito di San Francesco, ma l’Affò sostiene che egli abbracciò l’ordine dei frati Minori già adulto, dopo aver pubblicamente insegnato grammatica in Sicilia. Verso il 1247 abitò nel convento di Provins in Francia con fra’ Bartolomeo Guiscolo, seguace estremista del gioachinismo. Gerardo, per le doti di intelligenza e di amore allo studio, attirò su di sè l’attenzione dei superiori, i quali decisero di inviarlo a Parigi (1248) perché in quella capitale egli potesse completare la propria sacra erudizione, specialmente teologica. L’aspettativa dei superiori non andò delusa e ne è prova il fatto che Gerardo, dopo altri quattro anni di studio, fu nominato lettore di teologia alla Sorbona e ottenne la facoltà di predicare e confessare. In quel periodo i libri non assorbirono interamente l’attività di Gerardo, il quale, suggestionato, come detto, da un gruppo di teologi seguaci del gioachinismo, tra i quali primeggiava Ugo de Digne, partecipò con esaltazione a quel movimento, che, alimentato dalle profezie del suo banditore, Giovanni dei Gioachini detto da Fiore, si era diffuso nel XIII secolo in numerosi centri conventuali d’Italia e dell’estero. Per conoscere e valutare nella giusta misura la figura di Gerardo è necessario collocarlo nell’epoca in cui visse, allorchè il mondo religioso era pervaso da misticismo e gli animi agitati da vaste correnti spirituali. Erano i tempi delle Crociate e le moltitudini, stanche di guerre e conquistate dai fulgidi esempi di fede offerti da Antonio di Padova e da Francesco d’Assisi, si volgevano all’ideale dell’umana perfezione, mentre le strade d’Italia erano percorse da migliaia di flagellanti, i quali, coperti di sacco e scalzi, si facevano frustare nelle pubbliche vie confessando ad alta voce le proprie colpe. In Calabria Gioachino da Fiore, reduce dalla Terra Santa ed entrato tra i Cistercensi della Sambucina, si diede alla predicazione invocando la riforma dei costumi e predicendo giorni tristissimi al mondo cristiano. Asceta e mistico, teologo ed esegeta, la sua dottrina palesa un insieme di fede e profezia. Valendosi della dizione oscura dell’Apocalisse e interpretandone i versetti, ne scrisse un commento che incontrò larga diffusione, contribuendo profondamente a turbare le coscienze. L’esegesi di questo religioso spinse all’inverosimile l’interpretazione allegorica, che è infatti alla base del sistema gioachimista. Nel Commento egli pretese di ricavare predizioni dalla lettura dei libri sacri e siccome talune di queste si avverarono il suo nome e la sua dottrina apparvero alle masse circonfusi di mistero e di paura. Così molti lo venerarono come un santo e, prestando fede incondizionata ai fatti vaticinati, si formarono la convinzione che fossero imminenti la nascita dell’anticristo e la fine del mondo con il conseguente giudizio universale. Imbevuto di tali idee, Gerardo se ne fece fanatico assertore. Nonostante Gioachino da Fiore, convinto di eresia dall’autorità ecclesiastica, avesse abiurato i suoi libri e le sue dottrine, Gerardo determinò di scrivere un’opera intesa a provare come il Vecchio e il Nuovo Testamento non fossero stati sino ad allora sufficienti a guidare l’uomo verso la vera perfezione e che quelle dottrine, ormai superate, dovessero essere sostituite da altre capaci di imprimere negli uomini un ordine perfetto di vita santa nel cristianesimo. Nacque così il libro In Evangelium Aeternum, seu quosdam Libros Abbatis Joachim Introductorius, meglio noto con il titolo semplificato di Vangelo Eterno. Secondo le affermazioni del cronista contemporaneo fra Salimbene de Adam, dell’Affò, di Cesare Cantù e del Feller, egli ne sarebbe il vero autore, quantunque il Tocco, trattando dell’eresia nel Medio Evo, attribuisca a Gerardo la sola collaborazione (l’aggiunta delle note e, forse, anche l’introduzione, le quali formano la parte più originale e importante dell’opera). In sostanza Gerardo si fece continuatore della dottrina di Gioachino da Fiore in una concezione, tuttavia, più audace e rivoluzionaria, giungendo a proclamare che gli scritti del monaco cistercense si identificavano con il testo dell’Evangelo eterno e aggiungendo che la nuova legge sullo Spirito Santo avrebbe seguito e cancellato quella del Figlio. L’opera, divulgata nel 1254, produsse a Parigi e altrove enorme scandalo. L’opinione pubblica si gettò avidamente sulla pubblicazione e le ripercussioni contro Gerardo si ebbero innanzi tutto all’Università, che lo estromise dall’insegnamento. Il vescovo di Parigi, procuratosi copia del libro, la inviò a papa Innocenzo IV perché la giudicasse. Senonchè, per l’improvvisa morte del Pontefice, la pratica fu momentaneamente accantonata. Fu ripresa in esame dal successore Alessandro IV, il quale da Anagni, con sue lettere del novembre 1255 dirette allo stesso vescovo, pose all’indice il libro e scomunicò Gerardo, impartendo inoltre disposizioni affinchè questi fosse incarcerato. Nel frattempo i superiori dell’Ordine dei Minori privarono Gerardo di ogni facoltà e lo rimandarono in Sicilia. Il Vangelo eterno, oltre a ispirare satire talvolta feroci nei confronti dei Predicatori e dei Minori, offrì l’appiglio a Guglielmo di Sant’Amore per sfogare in un libro lo sdegno verso gli ordini religiosi che professavano mendicità, sostenendo che il tenore di vita dei loro appartenenti era contrario al Vangelo. È questa anche la ragione per cui papa Alessandro IV, nelle lettere del novembre 1255, esortò il vescovo di Parigi a regolarsi in modo che nessuna infamia avesse a ricadere sui frati Minori. Il libro di Gerardo fu proscritto ed esposto nell’atrio di Notre Dame e contemporaneamente si determinò per legge che nessun libro di religiosi potesse essere posto in circolazione senza il preventivo nulla-osta delle autorità superiori. Salimbene de Adam, che fu in rapporti di amicizia con Gerardo, scrive nella Cronaca dell’onestà di carattere e della costumatezza della persona, soggiungendo che la protervia nelle sue opinioni era tale da eclissare però ogni virtù. E, riferendosi al libro, lo definisce frivolo e pieno di cose degne di riso. Del Vangelo eterno non esiste più copia. Tuttavia l’Affò riproduce gli errori rimarcati da Ermanno Cordero, domenicano, nel suo Cronico. Lo storiografo ritiene che non tutte le proposizioni fossero state inserite nell’opera da Gerardo, sostenendo che le più scandalose furono aggiunte nelle schede volanti da malevoli per aggravare il delitto. Sarebbe priva di fondamento la notizia, diffusa da apologisti e da chiosatori di memorie locali, secondo la quale sul Vangelo eterno avrebbe meditato a lungo Renan nelle indagini storico-critiche condotte sul pensiero cristiano e religioso in rapporto alle varie fasi della civiltà per trarne materia contro la fede e i suoi maggiori istituti. Ciò perchè del libro, come detto, non vi è più traccia da secoli essendo rapidamente scomparse dalla circolazione le poche copie trascritte su pergamena. Similmente non è degna di credito l’asserzione che gli enciclopedisti francesi e i filosofi tedeschi avrebbero nel XVIII secolo attinto all’opera di Gerardo. Nonostante l’adozione dei severi provvedimeni, Gerardo non intese rinunciare alle sue idee, che confermò anzi con ostinazione a Bonaventura, ministro generale, allorchè questi, che risiedeva a Parigi, lo richiamò all’obbedienza sperando forse che egli ritrattasse quanto aveva con calore sostenuto. Nel 1258 venne citato e processato a Parigi. Ritenuto pazzo, morì in carcere più che mai risoluto nel sostenere le sue opinioni.
FONTI E BIBL.: H. Denifle, in Archiv für Litteratur und Kirchen-Geschichte I, 49-142; F. Tocco, Studi francescani, Napoli, 1909, 191 e seguenti; G. Bondatti, Gioachinismo e Francescanesimo nel Dugento, Porziuncola, 1924, 63-85 e seguenti; H. Denifle, Chartularium Univ. Parisiensis, Parigi, 1889, I, 297 e seguenti; Enciclopedia Italiana, XVI, 1932, 654; L. Oliger, Lex. für Theol. und Kirche IV, col. 416, V, col. 449; Enciclopedia ecclesiastica, III, 1948, 517-518; O. Holder-Egger (a cura di), Cronica fratris Salimbene de Adam Ordinis Minorum, in MGH, Scriptores, XXXII, 236-238, 460-462; Angelo da Chiarino, Historia septem tribulationum, a cura di F. Ehrle, in Archiv f. Liter. u. Kirchengeschichte 2 1886, 238-284; F. Ehrle, Das Evangelium aeternum und die Commission zu Anagni, in Archiv f. Liter. u. Kirchengeschichte I 1885, 57-70; Gratien de Paris, Historie de la fondation des Frères Minerus, Parigi, 1928, 210; Enciclopedia Cattolica, VI, 1951, 85; Dizionario ecclesiastico, II, 1955, 54; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina , 1961, 162-166; G. Pighini, Storia di Parma, 1965; Stanislao da Campagnola, in L’Angelo del sesto sigillo e l’Alter Christus, Roma, 1971, 157-162.
Parma 1318/1324
Figlio di Bonpietro, secondo l’Alidosi (Li Dottori forestieri, 28) lesse Filosofia naturale dal 1318 al 1324 presso lo Studio di Bologna. A quanto sembra , il suo insegnamento, che non usciva dal commentario, gli procurò una notevole fama. Eletto nel 1318 con lo stipendio di cento bolognini, nel 1321 lo si trova incarcerato per debiti. Il Gerardozzi, in seguito a sua istanza, fu poi liberato dal Consiglio del Popolo, che gli accordò il beneficio di non essere molestato dai creditori per un anno.
FONTI E BIBL.: Zaccagnini, La vita dei maestri e degli scolari nello studio di Bologna, Genève, 1926, 165; Zaccagnini, in Studi e Memorie per la Storia dell’Università di Bologna, vol. V, 172; R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 6 1929, 4-5.
Parma 1753
Fu musico della Cattedrale di Parma il 22 aprile 1753.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
Parma 25 giugno 1880-post 1938
Nato da Torquato e Maddalena Venturini. Calzolaio, comunista, ricercato dall’Organizzazione di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo, espatriò in epoca imprecisabile in Francia, stabilendosi a Parigi. Nell’ottobre 1936 fu in Spagna dove si arruolò nel Battaglione Garibaldi. Combattente sul fronte di Madrid nell’inverno 1936-1937, fu poi addetto al Servizio di intendenza. Formatasi la Brigata Garibaldi, fu inquadrato nel secondo Battaglione come addetto alla cucina. Uscì dalla Spagna sul finire del 1938.
FONTI E BIBL.: L. Arbizzani, Antifascisti in Spagna, 1980, 77; A. Lopez, Battaglione Garibaldi, 1990, 27.
Coltaro 1923 c.-Parma 13 gennaio 1999
Figlio di Arnaldo, commericante di legname specializzato in pioppi. Il Gerbella si indirizzò fin da giovane negli studi in agricoltura: conseguì il diploma di perito agrario nell’immediato anteguerra nel prestigioso istituto agrario di Cremona, all’avanguardia in Italia. In seguito si iscrisse all’Università di Perugia, laureandosi nel 1948 in scienze agrarie. A quel punto, chiamato dallo zio Primo Moschini, docente di composizione al conservatorio di Caracas, emigrò in Venezuela, dove rimase sino al 1960. Durante gli anni trascorsi nel paese sudamericano, il Gerbella fu prima dipendente del ministero dell’Agricoltura e quindi docente di tecniche di conservazione del suolo all’Università di Merida. Tra l’altro, grazie alla sua particolare competenza, fu chiamato anche a partecipare in qualità di consulente alla costruzione del tratto venezuelano della strada Panamericana. Rientrato in Italia per motivi familiari nel 1960, il Gerbella acquistò un’azienda agricola nella frazione Isola Jesus, in Comune di Sissa, il cui sviluppo curò personalmente. Uno sviluppo mirato in particolare alla pioppicoltura, settore nel quale il Gerbella portò significative innovazioni. Proprio a seguito della sua attività instancabile e al passo coi tempi, venne eletto alla presidenza dell’Associazione italiana pioppicoltori, incarico che ricoprì per diversi anni. Fu inoltre membro delle commissioni regionali per l’agricoltura e per la difesa del suolo. Nel 1997 gli fu conferito il premio Parma per l’agricoltura da parte dell’Associazione nazionale dei giovani agricoltori affiliata alla Confagricoltura, della quale il Gerbella fece parte, con la seguente motivazione: Per l’impegno costante profuso nell’affrontare i problemi del controllo del territorio e dello sviluppo imprenditoriale delle aziende agricole e forestali di cui è stato punto di riferimento a livello provinciale, regionale e nazionale. Tra gli altri riconoscimenti che furono conferiti al Gerbella per la sua attività, va segnalato il diploma con benemerenza per l’attività accademica che gli venne rilasciato dall’Università di Merida al momento del suo rientro in patria.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 gennaio 1999, 8.
Parma 22 giugno 1850-Parma 20 settembre 1929
Studiò corno con Raniero Cacciamani e contrabbasso alla Regia Scuola di Musica di Parma dal 1860 e si diplomò con la lode in corno nel 1869. Iniziò subito la carriera come professore d’orchestra, diventando uno dei più ricercati per la sua valentia. Fu primo corno per diversi anni al Cairo e in altre orchestre. Alla prima dell’Aida nella capitale egiziana suonò, assieme ad Augusto Franzoni, per indicazione dello stesso Verdi. Dopo due anni di servizio volontario e di supplenze, nel 1884 fu nominato titolare della classe di solfeggio nella Regia Scuola di musica di Parma, posto che occupò per quarant’anni. Scrisse Solfeggi progressivi cantati e parlati, edito da Fantuzzi di Milano. Per la sua indiscussa autorità, per mezzo secolo fu un dominatore della scena musicale parmense. Nel 1881 iniziò la carriera di direttore di coro sia al Teatro Regio che al Reinach, posti che tenne fino al 1913 e che riprese al Teatro Regio dal 1924 al 1926. In questa attività raggiunse vette altissime e fu chiamato anche in altri teatri: Reggio Emilia (1888), Firenze (per la prima di Asrael di Franchetti), Bergamo (per il centenario donizettiano, 1897), Bologna (per il Faust di Schumann, 1892 e 1895) e Pisa (chiamato urgentemente da Toscanini, 1894). Si dedicò anche con successo alla direzione d’orchestra (tra l’altro sostituì Toscanini a Bergamo durante le celebrazioni donizettiane, 1897). Dal 28 marzo 1877, per quattordici anni, fu insegnante della Società Parmense di Canto Corale, per dodici anni nel riformatorio Garibaldi, come pure al Collegio Maria Luigia, all’Orfanotrofio Vittorio Emanuele e al Convitto di Santa Cecilia. Si conoscono soltanto tre sue composizioni per pianoforte: Palmina, polka brillante (Milano, Vismara), La mezzanotte del nove agosto 1873, polka brillante (Genova, Gasparini) e Un giro di valzer a Salsomaggiore, 10 agosto 1879 (Milano, Vismara). Ebbe molti eccellenti allievi, tra i quali Arturo Toscanini, Gaetano Bavagnoli, Ildebrando Pizzetti, Del Campos, Polo e Tansini.
FONTI E BIBL.: C. Schmidl, Dizionario universale musicisti, 3, 1938, 343; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 78-79; G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 133-134; Dietro il sipario, 1986, 286; Banda della Guardia Nazionale, 1993, 94-95.
Parma 1819/1837
Fu falegname al servizio della Cote ducale di Parma. Nel 1819 realizzò tavolini di noce e portacatini con guarnizioni di ottone in Palazzo ducale. Nel 1829-1830 lavorò al Casino del Ferlaro, diretto dal Gazola. Nel 1837 è ricordato per la costruzione di mobili vari e manutenzioni a Corte.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Casa e Corte di Maria Luigia d’Austria, buste 8, 11, 240; Il mobile a Parma, 1983, 263.
Felino-Mauthausen 8 marzo 1945
Fu deportato politico. Morì in campo di concentramento.
FONTI E BIBL.: Ufficio Toponomastica del Comune di Felino.
Parma 28 febbraio 1850-Piacenza 25 agosto 1915
Secondogenito di Giuseppe Luigia Minardi, nacque in strada al Duomo 12. Il padre conduceva una rivendita di vino e latte al piano terreno della stessa casa. All’età di dici anni frequentò la Reale Accademia di Belle Arti di Parma. Sposò poi, giovanissimo, Gemma Melley. La coppia perdette, in tenerissima età, ben tre figli: sopravvisse solo Dante (1882), fotografo anch’egli. L’inizio dell’attivita fotografica vera e propria, con un salotto di seconda categoria (subito chiuso), fu attorno al 1870, dopo qualche anno di utile apprendistato probabilmente alle dipendenze di Carlo Antonietti, di cui diventò socio negli anni 1878-1879. Quando il Gerboni si associò ad Antonietti, quest’ultimo era già apprezzato nome della fotografia parmigiana (fin dagli anni Sessanta). Il divario professionale tra i due era tuttavia forte e prudentemente il più anziano e affermato fotografo optò dapprima per una dizione generica: Antonietti Carlo & C., successivamente trasformata (certo in seguito alle buone prove del Gerboni) in C. Antonietti & Gerboni, borgo della Macina 21 - borgo al Leon d’Oro. Ma di lì a poco, tra il 1882 e il 1883, Antonietti si ritirò definitivamente e il Gerboni si trasferì nella bottega lasciata da Oreste Ajolfi, a sua volta ritiratosi nel 1883: borgo Bondiola 15, Stabilimento Fotografico Nazionale, Gerboni Emilio, Parma. Nel 1887, all’Esposizione Industriale e Scientifica di Parma, il Gerboni ottenne una medaglia d’argento. Cessò l’attività in Parma il 31 dicembre 1890, dopo aver esercitato anche a Piacenza con un Premiato Stabilimento in via San Raimondo 104. Il Gerboni, che durante il periodo trascorso con Antonietti venne aiutato anche dal fratello Egisto, in venti anni di attività non si disco stò molto da una normale routine fotografica.
FONTI E BIBL.: R. Rosati, Fotografi, 1990, 165.
Gaione 17 maggio 1895-Firenze 8 dicembre 1918
Figlio di Abramo e Francesca Bonati. Muratore, fu Caporale nel 3° Artiglieria da Montagna. Partecipò fin da principio alla prima guerra mondiale, combattendo valorosamente. In un assalto a una trincea nemica fu ferito leggermente. Dopo tre giorni di riposo ritornò in trincea, ma poco dopo, sorpreso da forte febbre, fu trasportato a Firenze, dove morì per bronco polmonite. Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare.
FONTI E BIBL.: Coruzzi, Caduti di Vigatto, 124, 28.
GERETO, vedi MARCHESELLI ALESSIO
Parma 1710
Pittore copista attivo nell’anno 1710.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, IX, 1821, 350.
Piacenza-Parma 7 luglio 1630
Soprano castrato. Il 5 luglio 1609 fu nominato cantore nella Cappella Corale della Steccata e nel dicembre 1616 ottenne un beneficio in Duomo, che conservò fino alla morte. Nel 1627, assieme ad Amalia Tramballi, pose nel Duomo di Parma una lapide con iscrizione commemorativa del musicista Guglielmo Dillen.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
GERMINAZZI GIOVANNI, vedi GERMINIAZZI GIOVANNI
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831 e in seguito alla repressione della rivolta fu inquisito perché riconosciuto altro dei disarmatori della truppa, feccia di popolo, vegliato per delitti commessi e condanne sofferte, quindi capacissimo a delinquere.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 173.
Felino-maggio 1944
Fu valoroso partigiano, morto in combattimento.
FONTI E BIBL.: Ufficio Toponomastica del Comune di Felino.
-Parma 30 gennaio 1907
Fu prode soldato dell’indipendenza italiana. Fece le campagne del 1859, 1860 e 1866, raggiungendo il grado di tenente colonnello.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1 febbraio 1907, n . 31; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915,130.
Compiano 15 novembre 1829-Roma 31 luglio 1882
Nato da distinta famiglia originaria di Castell’Arquato, si laureò in legge all’Università di Parma a soli vent’anni, entrando poi nella magistratura del Ducato di Parma. Nel 1859 il governo provvisorio lo scelse in qualità di segretario. Alle elezioni dell’assemblea costituente dello stesso anno fu eletto a rappresentare il nativo collegio di Compiano. Alternò poi la carriera della magistratura con l’insegnamento universitario: fu infatti professore di diritto pubblico nell’Università di Parma, sostituto procuratore generale alla Corte d’Appello di Bologna (1861) e referendario al Consiglio di Stato (1862). Fece parte della commissione per la compilazione dei codici civile e di procedura civile istituita nel 1865. In quello stesso anno fu nominato prefetto, prima di Ascoli Piceno e poi di Salerno. Nel 1868 il Gerra, nominato consigliere di Stato, ricoperse in un momento difficilissimo la carica di segretario generale del Ministero dell’Interno. Fu pure deputato per tre legislature: nella X (1867) e nell’XI (1870) rappresentò il collegio di Foligno, nella XII (1874) fu eletto in tre collegi (Parma, Foligno e Piacenza), ma optò per quello di Piacenza. Nel 1870, annessa Roma all’Italia, fu commissario civile a fianco del generale Cadorna e rimase nella nuova capitale in qualità di consigliere di luogotenenza presso il generale La Marmora. Dal 1873 al 1875 fu ancora segretario generale del Ministero dell’Interno, suscitando col suo operato le proteste del partito democratico e dei repubblicani che il Gerra, liberale conservatore, fieramente osteggiava. Nel 1875 assunse il delicato incarico di prefetto di Palermo. Mutato l’indirizzo politico con la caduta della Destra, il Gerra ritornò al più tranquillo ambiente del Consiglio di Stato (1868) ove rimase fino al termine della sua esistenza. Appartenne prima alla Sezione dell’Interno, poi a quella delle finanze. In aggiunta alle ordinarie funzioni di consigliere, presiedè per più anni la Commissione centrale per le imposte, fu nel Consiglio sulle miniere e giudice supplente al Tribunale supremo di Guerra. Fu insignito della Commenda dell’Ordine della Corona d’Italia.
FONTI E BIBL.: T. Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880, 419; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 203-204; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni, 1890, 507; A. Pariset, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Parma, Battei, 1905, 43-45; Dizionario del Risorgimento Nazionale, diretto da M. Rosi, Milano, Vallardi, 1933, III, 212; D. Galati, Gli uomini del mio tempo, Bologna, 1882; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1941, II, 25; G. Mischi, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 130; R. Lasagni, Bibliografia parmigiana, 1991, 175.
Salsomaggiore 1894/1912
Soldato del 4° Reggimento bersaglieri, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Volontariamente si presentava per far parte di una pattuglia di combattimento e si spingeva nelle boscaglie dalle quali proveniva il fuoco di fucileria nemica (Peitos, 16 maggio 1912).
FONTI E BIBL.: G. Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’impero, 1937.
Colorno 31 agosto 1832-18 marzo 1886
Fu allievo del Collegio Alberoni di Piacenza. Divenne poi sacerdote e fu aggregato alla congregazione delle missioni, dove esercitò per dieci anni l’importante ufficio di direttore. Tenne con molta lode per otto anni la scuola di teologia morale e di polemica e fu anche maestro di sacra eloquenza, fornito di fine gusto letterario.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 204.
-Firenze 14 aprile 1894
Fece la campagna militare di Novara nel 1849 riportandone due ferite. Nel 1859 si aggregò alle truppe del Piemonte nel Corpo Real Navi e partecipò alla battaglia di Lissa. Raggiunse il grado di Colonnello.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 16 aprile 1894, n. 104; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 409.
Tizzano 5 luglio 1921-Sesta Inferiore 18 ottobre 1944
Figlio di Giovanni. Il Gervasi, partigiano appartenente al comando di polizia della zona Est-Cisa, affrontò insieme con i compagni di lotta Enzo Gandolfi e Settimio Manenti i tedeschi lungo la strada della centrale di Bosco e in quell’occasione fu orribilmente ferito. Pur colpito a morte, si trascinò fino al borgo di Sesta Inferiore, ove trovò un primo precario ricovero nella lettiera di una stalla. Successivamente una coppia di contadini del posto, i coniugi Paride Cecchi e Diva Carenini, si accorsero della tragedia del Gervasi e, sfidando i rischi del momento, lo ospitarono nella loro casa. Il Gervasi fu amorevolmente curato e assistito, ma le premure della famiglia Cecchi e di altre persone di Sesta non riuscirono a salvarlo: spirò tra atroci tormenti. Il Gervasi fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Fino dall’inizio si dedicava attivamente al movimento di resistenza collaborando alla organizzazione delle prime formazioni armate della zona e partecipando quindi con queste ad azioni di guerra. Nel corso dell’attacco condotto di sorpresa da preponderanti forze nazi-fasciste contro la sede operativa del Comando Unico Est Cisa, dove egli prestava servizio di polizia, sosteneva impavido durissimi combattimenti. Caduto il Comandante Unico ed altri comandanti e partigiani, egli benchè ferito continuava nella tenace resistenza, finchè colpito da una raffica di fuoco, trovava anche egli morte gloriosa sul campo.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 122; Caduti resistenza, 1970, 77; Gazzetta di Parma 15 ottobre 1989, 26.
Parma XV/XVI secolo
Addottorato in leggi, fu Dottore dei Canoni. Visse tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI.
FONTI E BIBL.: Pico, Appendice, 1642, 34.
Milano 4 novembre 1762-Borgo Taro 4 giugno 1819
Nacque da una agiata famiglia di mercanti di preziosi (il padre si chiamava Antonio). Terzo maschio di undici figli, la sua vocazione venne affidata a un pedagogo religioso. Fu appunto in occasione di una funzione religiosa che il Gervasoni, ancora bambino, scoprì, attraverso la voce dell’organo, la sua propensione alla musica. Col consenso dei genitori, poté dedicarsi fin dalla giovane età allo studio di vari strumenti quali il cembalo, l’organo, il salterio, l’arciliuto e il violino. Il padre, secondo uno schema tradizionale, lo orientò però verso una carriera economicamente più sicura, facendogli iniziare gli studi di ingegneria, con notevole profitto nella fisica e nella matematica. Ma la morte improvvisa del genitore lo indusse ad abbandonare tali studi. Dopo varie peripezie, tra le quali un soggiorno a Napoli per il perfezionamento musicale, seguirono la sua amicizia col violinista Fioroni e il fidanzamento con quella che fu la compagna della sua vita, Maria Bini, sua allieva nelle lezioni private che fu costretto a impartire perché le finanze paterne non lo sostenevano più. Stava già progettando una sua emigrazione in Cina, dove numerosi professori italiani avevano fatto fortuna, quando il conte Niccolò Visconti gli procurò un incontro che causò una svolta definitiva e risolutiva per la sua esistenza. La Comunità di Borgo Taro, dopo la scomparsa di Ignazio Guelfi di Borgo San Donnino, sacerdote che aveva accompagnato più che dignitosamente i vari servizi liturgici delle principali chiese di Borgo Taro, componendo, come era suo dovere, mottetti e suonate, e la successiva rinuncia del maestro di Cappella don Vincenzo Baruffaldi di Viadana, si trovò sguarnita di un valido organista per le chiese di Sant’Antonino, San Domenico e San Rocco. La Comunità diede incarico a Domenico Fenaroli di ricercare un organista da assumere in qualità di maestro di Cappella della chiesa di Sant’Antonino. Nel Registro dei Convocati del 5 settembre 1789 si legge: Il Sig. Console d’intelligenza anche dei signori deputati alla ricerca di un organista, partecipa ai sigg. Convocati di aver accettato per organista di questa nostra Chiesa Matrice di Sant’Antonino il Sig. Carlo Gervasoni Milanese per questo munito di vari attestati di celebri professori. Nello stesso anno, all’età di ventisei anni, il Gervasoni giunse a Borgo Taro e già il giorno seguente il suo arrivo si esibì insieme a un gruppo di filarmonici in alcuni concerti di sua composizione alla presenza del duca Fogliani, in quei giorni ospite a Borgo Taro. Incontrò subito la simpatia e la stima dei nobili, che divennero poi suoi mecenati, come i Picenardi, gli Stradelli e i Marchini, così come della gente comune. Nel 1807 la Società italiana di Scienze, Belle lettere e Arti lo nominò membro della sezione musicale insieme a Paisiello, Zingarelli, Cannetti, Minoia, P. Martini, Buccioni e Santucci. Il Gervasoni fu autore delle seguenti opere: La scuola della musica in tre parti divisa (Piacenza, 1800, in due volumi), Carteggio musicale di Carlo Gervasoni con diversi suoi amici professori e maestri di cappella, in cui si dimostra l’utilità della Scuola della musica, si propongono e si sciolgono alcuni dubbi alla medesima Scuola relativi (Milano, 1804), Nuova teoria di musica, ricavata dall’odierna pratica, ossia metodo sicuro e facile in pratica per ben apprendere la musica. A cui si fanno precedere varie notizie storico-musicali (Parma, 1812).
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, I nostri fasti musicali, 85; P.E. Ferrrari, Gli spettacoli, 95; R. Eitner, Quellen-Lexikon, vol. IV, 213; Gazzetta di Milano 18 luglio 1819; Gazzetta di Parma 27 luglio 1814; G. Gaspari, Catalogo, vol. 1, 148, 219, 220, 289; Musicologi Italiani; Catalogo di San Marco, Venezia, 173; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 239; A. Beccarelli, Carlo Gervasoni, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1985, 411-420; Dizionario Musicisti UTET, 1986, III, 173.
GESUIT o GESUITA, vedi MELCHIORRI FERDINANDO
Parma ante 1605-1661
Professò nel 1605 e fu abate del monastero di San Giovanni Evangelista di Parma dal 1644 al 1649.
FONTI E BIBL.: A. Galletti, Monastero di San Giovanni Evangelista, in Archvio Storico per le Province Parmensi 1980, 68.
Soragna 6 gennaio 1871-Roma 11 giugno 1951
Figlia di Giuseppe e Giuseppina Dughetti. Entrata nel Conservatorio di Parma nel 1889, ne uscì quattro anni dopo con il diploma di canto e pianoforte. Dotata di una bella voce da soprano leggero, esordì nel 1893 al Teatro comunale di Mondovì con la Sonnambula, ottenendo subito un lusinghiero successo. Negli anni seguenti fu chiamata a cantare nei teatri di Alessandria (Lucia di Lammermoor, 1895), di Forlì (Rigoletto, 1896) e di Bologna (Don Pasquale, 1898). Nel settembre 1895, per la riapertura del teatro di San Secondo Parmense, nella Traviata, nel finale del primo atto e in tutto il quarto ebbe dei momenti di efficacia da trascinare il pubblico. Si hanno ancora notizie di lei nel 1897 a Oneglia nella Mignon e a Fano nel Rigoletto. Nel 1902 fu ancora a Parma, richiesta dal direttore del Conservatorio, Tebaldini, per eseguire la composizione per a solo di Ildebrando Pizzetti Canzone a Maggio. Continuò per altri anni la sua carriera tra unanimi consensi sia di pubblico che di critica. Si trasferì a Roma nel 1905, rimanendo sempre nel mondo artistico e musicale: insegnò canto e pianoforte fino a tarda età.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 102; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 26 settembre 1982, 3; B. Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, II, 289.
Parma ante 1783-post 1823
Accordatore e costruttore di cembali. Nel 1792 fu retribuito dal Collegio dei Nobili con 63 lire per tutte le accordature di due gran piano e forte, ed un altro piccolo, durante le prove e le rappresentazioni (Archivio Storico di Parma, Computisteria borbonica, b. 524). Nel 1783 era altro accordatore dell’Accademia Filarmonica di Parma. Nel 1785 aprì a Parma una piccola fabbrica di spinette e cembali all’usanza di Vienna, coadiuvato dai figli Giambattista, Camillo e Giuseppe, quest’ultimo deceduto in giovane età.
FONTI E BIBL.: G. De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
-Parma 9 giugno 1888
Figlio di Giambattista, costruttore di pianoforti. Sciolta la società con Berzioli, la fabbrica fiorì diretta dal Gherardi, che si mise in società con Felice Giordani, già dipendente di Berzioli, e la ditta prese il nome di Gherardi e Giordani. Nel 1875 la fabbrica cessò la produzione.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Brescia 1919-Mediterraneo 10 agosto 1943
Figlio di Giovanni Battista. Tenente di Vascello, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Ufficiale in seconda e successivamente comandante di sommergibile, impiegato senza riposo in numerose missioni di guerra in acque aspramente contese dall’avversario, nel terzo anno della guerra 1940-1943 dava il meglio di se stesso perché l’Unità rispondesse in pieno al compito silenzioso e tenace che le era commesso. Dimostrava, in ogni circostanza, tenacia di vittoriosi propositi, perizia e sereno coraggio. Cadeva in combattimento, scomparendo con l’Unità che coraggiosamente aveva guidato in numerose azioni. Il Gherardi risiedette sempre a Parma.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 136, 7 aprile 1950; Decorati al valore, 1964, [145].
Parma 1345/1346
Definito dal Rainaldi, nei suoi Annali Ecclesiastici, egregio atleta dalla Religione, era Capitano della città di Smirne il 17 agosto 1346, quando ricevette una lettera di elogio da papa Clemente VI, che scrisse all’Arcivescovo e al domicello parmensi. Mentre Smirne era ancora occupata dai Cristiani, il Gherardi difese la città dall’assalto di Marbassano, principe di Acaja, collaterale dell’imperatore Orcano e gran condottiere dei Turchi. Per quanto Marbassano avesse già riportato una vittoria proprio sui Cristiani di Smirne nel 1345, questa volta fu sconfitto e ucciso in battaglia.
FONTI E BIBL.: L. Grazzi, Viaggiatori, crociati e missionari, 1945, 87 e 102.
GHERARDI BERNARDO, vedi BERNARDI GHERARDO
Parma 1823
Figlio di Antonio. Fabbricatore di spinette e cembali operante in Parma nel 1823.
FONTI E BIBL.: G. De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885.
GHERARDI EDOARDO, vedi GHERARDI ODOARDO
Parma 1833/1842
Fu argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997.
Parma 1831
Fu tra gli inquisiti di Stato in seguito ai moti del 1831.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 419.
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 173.
Parma 1779-Parma 30 maggio 1860
Fabbricatore di spinette e cembali. Nel progetto di riordino della Ducale Orchestra del 1816 viene indicato come accordatore degli istrumenti di corte con una paga annua di 600 franchi e, nel caso dovesse recarsi a Colorno, gli sarebbe stata corrisposta una diaria e il pagamento del viaggio (Archivio di Stato di Parma, Governo Provvisorio e Reggenza, 1816, b. 8). Alla morte del padre Antonio prese la direzione dell’azienda e il Molossi nel Vocabolario topografico (p. 298) scrisse che a Parma di molta perizia di costruire piano-forti si è dimostrato il sig. Battista Gherardi. Nel 1850, messosi in società con Vitale Berzioli, estese la fabbricazione ai pianoforti a coda sul sistema di Vienna e ai verticali sul sistema francese.
FONTI E BIBL.: G. De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Parma 1823
Figlio di Antonio. Fabbricatore di spinette e cembali operante in Parma nel 1823.
FONTI E BIBL.: De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885.
Parma 2 gennaio 1817-Parma 16 agosto 1900
Nato da una famiglia di negozianti (i quali divennero poi lodati costruttori di pianoforti), il Gherardi, compiuti gli studi del corso filosofico, si dedicò alle discipline medico chirurgiche. Dottore in medicina nel 1842 e in chirurgia nel 1846, subito dopo fu prescelto quale chirurgo straordinario nello Spedale maggiore di Parma. Nel 1850 gli fu concesso di fare un corso di patologia chirurgica e nel 1851 ebbe la nomina di sostituto alla cattedra di Operazioni chirurgiche sul cadavere e di Clinica. Andò quindi a Parigi, ove erano i più grandi chirurghi del tempo, per perfezionarsi. Nell’anno 1853 fu nominato clinico chirurgico, succedendo al Rossi, già suo maestro. In Inghilterra Lister aveva allora scoperto il modo di cicatrizzare le ferite senza le suppurazioni e così il Gherardi andò a Londra e a Edimburgo per esaminare e sperimentare il metodo listeriano. Passò poi a compiere altri studi a Parigi, ove Lucas-Championniere era l’apostolo della nuova medicatura. Tornato in Italia, il Gherardi applicò subito i nuovi metodi: a sessant’anni abbandonò la Clinica per dedicarsi completamente all’esercizio della medicina. Lasciato l’insegnamento, fu nominato professore emerito. La sua fibra robustissima gli consentì di fare il medico ancora per ventidue anni.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 45-46.
Parma 8 luglio 1898-Parma 20 marzo 1985
Partecipò alla campagna di guerra 1918. Iscritto all’Accademia di belle arti di Parma nel 1922, conseguì la licenza dei corsi speciali con diploma di merito e menzione onorevole (ebbe a maestri D. de Strobel e P. Baratta). Dal gennaio 1925 al giugno 1940 fu a Parigi. Vinse il concorso per affrescare il castello di Chilly Mazarin. Nel 1926 operò a Lilla, Roubaix, Tourquoing, Saint Quintin, Amiens e Nancy. Collaborò per dieci anni con George De Bas come progettista, cartellonista e bozzettista di scene per teatro e riviste. Nel 1938 e 1939 tenne due mostre personali con il patronato del direttore generale di Belle Arti Gillet e dell’ambasciatore italiano Guariglia. La mietitura, esposta nella mostra alla Libreria Italia venne scelta per il museo del Jeu de Paume di Parigi. A causa delle ostilità franco-italiane essa non ottenne la conferma. L’11 giugno 1940 venne arrestato, internato in campo di concentramento e quindi rimpatriato. In Italia tenne varie mostre personali, tra cui quelle di Como, Varese, Legnano e Verona, partecipando, inoltre, a premi e mostre collettive. Nell’ottobre del 1975 il Gherardi, dopo anni di silenzio, tenne una personale antologica alla galleria Giordani di Parma, una mostra che per i parmigiani fu un’autentica sorpresa: la scoperta di un pittore famoso da cinquant’anni in molte città italiane e a Parigi ma non molto noto proprio nei borghi ove era nato. Delle sue opere si ricordano: Ritratto di Raffaele Guariglia, Ritratto del poeta Fiumi, Susanna al bagno, Purezza (1937, Collezione Mauchair, Parigi), Giovinezza (1937, Collezione Conte della Porta, Bruxelles), Le tre Marie (1937), Dopo il bagno, Fecondità, Ritratto della Principessa Soragna coi bambini (1941), Marianna abbandonata da Teseo, Ritratto dei figli del Marchese de la Tour. La pittura del Gherardi è accurata, ricca di fantasia, caratterizzata da una luce levigata e affascinante, quella luce particolare emiliana evidente anche in Amedeo Bocchi e Carlo Corsi. I suoi temi sono classici: mitologia, paesaggio post-impressionista e ritratto. Soprattutto la permanenza in Francia lasciò una traccia consistente: il Gherardi fu pittore di corte, professionista scrupoloso, capace di stendere raffinate storie senza tempo su enormi tele eseguite su commissione.
FONTI E BIBL.: Bollettino d’Arte II 1908, 113, 398; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, 1920, XIII; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1437; Un artista parmigiano a Parigi, in Aurea Parma 22 1938, 70-71; G. Copertini, Odoardo Gherardi pittore, in Parma per l’Arte 6 1956, 27-30; Due ritratti di bimbi del pittore Gherardi, in Parma per l’Arte 7 1957, 35-36; Nello studio di Odoardo Gherardi, in Parma per l’Arte 8 1958, 143; L. Fiumi, Gherardi, un certosino del pennello, in Gazzetta di Parma 19 ottobre 1959; Lusinghieri riconoscimenti, in Parma per l’Arte 12 1962, 135-136, 137; G. Copertini, Odoardo Gherardi, Parma, Bodoniana, 1963; T. Marcheselli, Cento pittori a Parma, Parma, 1969, 128-129; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 493; T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 21 marzo 1985, 5.
Castelguelfo 4 dicembre 1899-Puro Cielo 11 ottobre 1944
Calzolaio, militante nel Partito comunista dal 1921, nel 1927 fu condannato dal Tribunale speciale a cinque anni di reclusione. Scontata la pena, riprese l’attività clandestina e nel 1937 accorse in Spagna, volontario garibaldino. Con il ritiro delle Brigate Internazionali riparò in Francia, ove venne internato nel campo di Vernet e, dopo l’occupazione tedesca, consegnato alle autorità italiane che lo inviarono al confino nell’isola di Ventotene. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione, nelle file della Resistenza, organizzatore di formazioni partigiane e commissario politico della 36a Brigata Garibaldi Bianconcini. Cadde in combattimento nei pressi di Ravenna.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della Resistenza e dell’antifascismo, II, 1971, 546.
GHERARDINI CLEMENTE, vedi GHERARDINO CLEMENTE
Parma 1547-Parma 21 settembre 1615
Frate carmelitano, è detto da padre Aurelio Ragnino da Crema bonarum omnium artium et scientiarum amator et excultor. Studiò le lettere latine e greche, la retorica e la poesia. Proseguì gli studi con i corsi di Filosofia e di Teologia, che poi insegnò nel Convento di San Martino di Bologna e, dal 1603, in quello di Parma. Fu in Parma nel 1597, delegato dal Sant’Uffizio a rivedere per la stampa le Rime di Giovanni Maria Agacio. L’anno seguente fu nominato definitore generale della sua Congregazione e in seguito fu chiamato a reggere il Convento di Parma. Fu inoltre Reggente degli studi nel Convento di Bologna (1587). Fu più volte Diffinitore in più Capitoli, e predicò con sommo fervore, e molto frutto in Parma, in Mantova, in Ferrara, in Bologna, in Milano. Il Gherardino fu lodato da Pico, Felina, Giambattista Guarguante e Carlo Maria Vaghi.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 310; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 634.
GHERARDINO DA BORGO SAN DONNINO, vedi GERARDO DA BORGO SAN DONNINO
Sacca-post 1393
Nel 1393 fuse la campana detta del Sanctus, la più antica e piccola di tutte, che si trova nella loggia della cupola della Cattedrale di Parma. Serviva per avvisare i campanari che stavano sulla torre quando dovevano suonare a gloria nelle messe solenni o nei pontificali.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti Parmigiane; Barbarossa, Il rintocco della Stella, in Atlante, 17-18.
GHERARDO, vedi CASSIO GHERARDO
GHERARDO DA MODENA, vedi BOCCABADATI GHERARDO
GHERARDO DA PARMA, vedi CANEPARI FRANCESCO ANTONIO MARIA
Parma 1398
Ingegnere e architetto del Comune di Parma, fu chiamato con Zanetto da Fornovo nel 1398 a dare relazione di lavori che erano stati fatti a Castelnuovo oltre Enza, allora nel distretto del Comune di Parma (rogito di Pietro del Sale, del 1398, nell’Archivio Notarile parmense).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 28-29.
Parma 1751/1778
Nell’estate del 1751 firmò un progetto come perito pubblico: si tratta di un ponte da eseguire sul canale Maggiore, corso d’acqua che fu spesso al centro della sua attenzione fino al 1778.
FONTI E BIBL.: P. Zanlari, Tra rilievo e progetto, 1985, 97.
Borgo San Donnino 2 luglio 1839 - Parma 2 luglio 1907
Studiò nel Seminario Maggiore di Parma (si laureò in teologia). Fu nominato Rettore del Seminario di Berceto l’anno 1870 e vi rimase per dodici anni insegnando dapprima teologia dogmatica e morale e poi filosofia razionale. Quindi passò a reggere l’importante parrocchia di Soragna (1882-1884). Fu fatto Canonico Penitenziere maggiore di San Donato (1884) nella Cattedrale di Parma e quando il rettore Andrea Ferrari fu eletto alla Diocesi di Guastalla, il Ghezzi ne raccolse l’eredità della direzione del Seminario di Parma. Fu prelato domestico di papa Leone
FONTI E BIBL.: I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 194; B. Colombi, Soragna: cristiani ed ebrei, 1975, 37-38.
Borgo Taro 22 dicembre 1921-Borgo Val di Taro 2 giugno 1983
Studente, attivo antifascista, dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza parmense, al comando della 2a Brigata Beretta della Divisione Cisa.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della Resistenza e dell’antifiscismo, II, 1971, 546.
Parma-Parma 31 agosto 1991
Noto artista dialettale della Compagnia dei Clerici, fratello del più anziano Franco, fu figura preminente dello stesso genere teatrale, degno di figurare al fianco di Italo e Giulio Clerici e di Montacchini. Il Ghezzi si specializzò in parti comiche, come quella di Telesforo Bartovelli in Stavolta an la bev miga. Certe sue scene mute da ubriaco che passa dalla tristezza al pianto e finisce col gesticolare alla luna, quasi arrestavano il corso della recita, tanta era la comicità espressa dal Ghezzi. Per favorire la ripresa dell’azione scenica interrompendo i battimani e le risate del pubblico il Ghezzi ricorreva a qualche curiosa improvvisazione, come quella di reclinare la testa, come vinto dal sonno. Nel 1945 sposò Jolanda Armenzoni, definita dalla critica specializzata una delle migliori artiste dialettali del teatro italiano, anche perché munita di non comuni doti canore. L’attività del Ghezzi (commesso di tessuti) gli permise di seguire la Compagnia dei Clerici nella serie di spettacoli dedicati alle Forze armate, che si susseguirono in diverse città italiane. Le recite dei Clerici, con repertori in parte italianizzati, mieterono straordinari successi, cui il Ghezzi diede sempre il proprio contributo di maestria.
FONTI E BIBL.: P. Tomasi, in Gazzetta di Parma 1 settembre 1991, 7.
Parma ante 1940-Parma ante 1991
Fratello maggiore di Cesare, il suo nome è legato a una lunghissima attività teatrale. Già affermato attore, lavorò con moltissime compagnie professionali di giro. Si produsse su tutti i palcoscenici dell’Italia settentrionale, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Recitò in lingua, insieme con colleghi affermati, nel repertorio leggero, che era quello più accettato del momento. Poi, ancora assai giovane, fu attratto dal repertorio dialettale, affascinato dalla personalità di Montacchini e dei fratelli Giulio e Italo Clerici. Lavorò con le due compagnie, dando a entrambe un cospicuo contributo di esperienza teatrale. Sposò Bianca Dalla Bella, anch’essa bravissima attrice caratterista. Con i Clerici lavorò su scala professionale in molti teatri, condividendo con loro i sacrifici che immancabilmente comporta questa attività ma anche indimenticabili successi. Il Ghezzi si staccò nettamente da tutti: la sua recitazione fu assai apprezzata dagli stessi colleghi, al punto da chiamarlo, in senso di riconosciuto apprezzamento, il Cimara (riferendosi al grandissimo attore nazionale del tempo).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1 settembre 1991, 7; R. Piazza, 50 anni Famija Pramzana, 1997, 72-73.
ante 1848-Parma 19 settembre 1904
Fu volontario nella prima Colonna Parmense del 1848.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 settembre 1904, n. 260; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 409.
GHIARD LORENZO, vedi GUJARD LAURENT
Parma 6 aprile 1723-Parma 22 settembre 1793
Nacque da Giacomo e Giulia Ferrari, abitanti nella parrocchia di San Pietro. Venne battezzato il giorno seguente coi nomi di Gaetano, Pietro, Francesco e Adamo ed ebbe come padrini Francesco Grandi e Maddalena Meloni in rappresentanza dell’illustrissimo don Carlo Ferrari, Consorziale. Suo padre faceva l’indoratore e doveva guadagnare abbastanza bene, tanto da poter permettersi di far studiare il figlio primogenito Carlo Antonio da medico, mentre il secondo, Giacomo, intraprese il mestiere del padre e lavorò per il teatro e per quelle chiese in cui operò pure il Ghidetti. Non si hanno documenti sui suoi maestri, anche se si può proporre il nome di Pietro Righini, parmigiano, pittore di architettura, allievo del grande Ferdinando Galli Bibiena. Il Righini lavorò con successo nel campo dell’architettura religiosa e civile, nonché per il teatro e per le grandi cerimonie. Fu a Napoli tra il 1737 e il 1739 lasciandovi nel teatro una impronta di eccezionale valore. Per il resto la sua attività si svolse prevalentemente a Parma, per cui è logico ipotizzarlo come maestro del Ghidetti. È invece da respingere decisamente la tesi avanzata da alcuni studiosi di un Ghidetti allievo di Francesco Grassi, essendo quest’ultimo più anziano di un solo anno e a sua volta allievo del Righini. Il Ghidetti si sposò con Angela Giangrandi e dal matrimonio nacquero sei figli, di cui però solamente quattro risultano vivi nel censimento del 1765. La famiglia abitò dietro la chiesa di San Bartolomeo, nell’omonima piazzetta, in una casa di sua proprietà, con a piano terra la bottega. Il primo autorevole successo pubblico il Ghidetti lo riscosse in occasione della grande cerimonia per il battesimo di Ferdinando di Borbone (1751), svoltasi a Parma in autunno, nonostante il futuro duca fosse nato il 20 gennaio. A Parma il compito di disegnare e allestire la macchina per i fuochi dei festeggiamenti venne affidato al Ghidetti con la collaborazione del fuochista Luca Bonani. La macchina fu collocata davanti all’Albergo della Posta, che era unito a Palazzo Rangoni, verso Santa Cristina. per il Carnevale del 1756 vennero allestite le opere La buona figliuola (di Carlo Goldoni, con musica di N. Piccinini), Catone in Utica (di Metastasio, con musica di Bach), Issipile (di Metastasio, con musica del Galuppi). Alla loro realizzazione si trova il Ghidetti, che cominciò a dipingere le scene il 13 novembre 1755 insieme al pittore Antonio Malagodi. Nella stagione seguente il Ghidetti dipinse sia le decorazioni per le tragedie e le opere musicali rappresentate al Teatro Ducale di Parma, sia le nuove decorazioni per il teatro di Colorno, ordinate, come si legge nella nota del 20 luglio di quell’anno, dall’intendente generale Du Tillot. Castore e Polluce (di G. Bernard, tradotta dal Frugoni e musicata dal Rameau) e Titone e l’Aurora (del De la Mare e Voisenon, con musica del Mondoville) sono le opere che furono rappresentate nel 1758. Il Ghidetti dipinse, tra l’altro, l’ingresso dell’Inferno per la prima e due laterali, una fontana, un fondale di mare e il carro dell’Aurora con nuvole per la seconda. Il 1759 fu un anno importante per il Ghidetti, che venne nominato capo pittore teatrale, ricevette l’incarico per completare la scenografia interna di Sant’Antonio Abate di Ferdinando Galli Bibiena e fu chiamato al restauro di San Benedetto. In quest’ultima chiesa eseguì belli ornati, dentro i quali Antonio Bresciani dipinse alcune storie, ma a metà dell’Ottocento il fumo, la polvere e più l’incuria hanno ormai tutto cancellato e guastato, annota lo Scarabelli Zunti, e la chiesa, abbandonata e cadente per vetustà, venne sottoposta a un radicale restauro. Ben più complesso fu l’impegno per il tempio di Sant’Antonio. Il Ghidetti, seguendo le precedenti indicazioni del Galli Bibiena, dovette adeguare l’interno al mutato gusto del tempo, riformando i fori della seconda volta, dipingendo tutti gli ornati e disegnando gli altari e le ancone: un lavoro che durò alcuni anni, in quanto la chiesa venne ultimata e inaugurata nel 1766. Nei mesi precedenti il Ghidetti aveva eseguito delle pitture d’architettura sulla torre dell’orologio in Piazza Grande, in occasione del restauro della stessa, ed era stato pagato 352 lire. le figure erano state invece dipinte dal Bresciani. Sempre nel 1759 si trova il Ghidetti a Colorno, impegnato nel Palazzo Ducale ad affrescare una camera dell’appartamento della Duchessa, eseguendo dei motivi architettonici sotto la direzione del Petitot. Il rinnovato e ingrandito teatro richiese il rifacimento o l’adattamento delle vecchie scene e il 3 maggio 1761 il Ghidetti ricevette 3 zecchini gigliati per avere con un suo aiuto dipinto l’aumento fattosi nella scena rappresentante il Grande Giardino, per renderla servibile sul grande nuovo palco scenario di questo Regio ducal Teatro nell’opera musicale dell’andante primavera e per avere nella maggior parte rinnovato il dipinto vecchio di detta scena. Il lavoro per il teatro si alternò a quello per le chiese. In Sant’Antonio continuò a dipingere fregi e ornati, nei quali vennero inserite le figure del Peroni, mentre ricevette l’incarico da monsignor Pisani, che già seguiva i lavori nel tempio bibienesco, di rinnovare la chiesa di Sant’Uldarico delle monache benedettine cassinesi. Il coro, rifatto nel 1740, venne lasciato immutato: in fondo all’abside si inserì una grande ancona barocca disegnata dallo stesso Ghidetti che per ricchezza e complessità riecheggia quella di San Vitale, dovuta al Righini. Il corpo della chiesa restò delle medesime dimensioni. Il rifacimento andò distrutto, come osservò il Copertini, il precedente soffitto in legno intagliato, risalente al Quattrocento. Nelle pareti laterali del santuario vennero poste due cantorie in legno, ornate di fregi in oro piuttosto pesanti, se paragonati a quelli di poco successivi di Sant’Antonio, più agili e sciolti. Nelle due cappelle laterali più vicine al santuario vennero dipinte le ancone con uno sfondo d’architettura in cui spiccano in primo piano due angioletti dorati. Particolarmente intenso per il Ghidetti fu il 1769, anno in cui si celebrarono le nozze tra il giovane duca Ferdinando di Borbone e l’austriaca Maria Amalia. Nella chiesa parrocchiale di San Paolo, custodita dalle monache benedettine, ad onore di Maria fu dal R. Augusto sovrano Ferdinando fatta costruire adorna o vaga cappella il di cui dipinto venne eseguito da Gaetano Ghidetti: così è scritto in una relazione sulla chiesa (Fondo Moreau de Saint Mery, presso la biblioteca Palatina di Parma). Negli anni seguenti la sua attività si divise tra Parma e Colorno e sovente si trovò a lavorare insieme al Bresciani: quest’ultimo eseguì le figure tra i motivi architettonici e le prospettive realizzate dal Ghidetti. I due, a esempio, nel 1772 affrescarono l’oratorio di Copermio, la cui costruzione era iniziata l’anno precedente su progetto di Pietro Cugini, allievo del Petitot, e per iniziativa di Ferdinando di Borbone. Contemporaneamente lavorarono al casino che stava sorgendo vicino all’oratorio: in una sua nota il Ghidetti afferma di aver dipinto di sua invenzione tre Gallerie, tre Camere nel Apartamento di Madama R., tre Camere nel Apartamento di S.A.R. e altre due Camere che serve al Apartam. di S.A.R. Giuseppe Bertini (in Colorno: una guida) ritiene che una traccia dei dipinti ghidettiani si trovi in alcuni ambienti del secondo piano. Superata la soglia dei cinquant’anni, il Ghidetti ebbe l’onore di entrare tra i docenti dell’Accademia Parmense, che viveva uno dei momenti di maggiore splendore. Nel verbale della sessione del 13 agosto 1774 è scritto: Si è amesso nel numero de’ Professori Consiglieri con voto il Sig. Gaetano Ghidetti pubblico architetto. All’inizio del 1779 il Ghidetti entrò al servizio della Corte, dove già prestava il proprio lavoro dal dicembre del 1764 il fratello Antonio come cirusano de familia con los honores de cirusano dela R. Camara. Il Ghidetti fu nominato con decreto del 1 gennaio 1779 e coll’annuo soldo di 3000 lire coll’espressa condizione ch’egli sia obbligato di fare senz’altra corresponsione tutti i lavori che verrannogli richiesti per Reale Servizio tanto in Parma che in Colorno e ovunque pe’ quali però gli saranno somministrati li occorrenti, come all’ordine di S.E. il Sig. Marchese Maestro d’Azienda che resta in Felino. Il Ghidetti fu poi nominato anche cavaliere e nel 1786 ricevette dal Duca il compito di restaurare in San Quintino la cappella della Beata Orsolina, nella quale dipinse gli ornati alle pareti, mentre nell’ancona venne immessa una pala di Benigno Bossi, che sostituì una del Malosso. Nel 1846 la cappella venne restaurata e alle sue pareti furono posti più tardi (1887) due dipinti di Cecrope Barilli. L’anno precedente aveva diretto i lavori di ristrutturazione di San Bartolomeo, la sua chiesa parrocchiale, ma del suo operato non è facile individuare il segno, se non forse in alcuni ornati o in ancone dipinte con motivi settecenteschi o nel disegno di certi altari. Tra il 1787 e il 1789 si ha notizia della sua presenza attiva a Colorno. La chiesa ducale di San Liborio, disegnata dal Petitot, continuò a essere arricchita dall’apporto dei più prestigiosi artisti della Corte: dal Callani al Baldrighi, al Ferrari, Muzzi, Bossi, Guiard, Sbravati, Pecheux e Bresciani. Il Ghidetti dipinse le quadrature della cappella delle reliquie e successivamente le stanze dell’appartamento nuovo che il Duca si era fatto costruire accanto alla chiesa. A settant’anni il Ghidetti si spense. È da ritenere che negli ultimi mesi di vita fosse ammalato, in quanto dal 21 giugno 1792 non prese più parte alle sedute dell’Accademia. Alla sua morte la vedova ebbe diritto a una pensione annua di 1000 lire, pari a un terzo dello stipendio. Senonché la donna che fece domanda al Duca per ottenere la pensione si chiamava Innocenza Gelati: è dunque da credere che il Ghidetti fosse rimasto vedovo e si fosse risposato.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 186; P.A. Corna, Dizionario, Piacenza, 1930; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1069; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 102; M. Pellegri, Boudard statuario, 1976, 37; Aurea Parma 2 1979, 121-135; P.P. Mendogni, Sant’Antonio Abate, 1979, 74.
Roma 1904-Casalmaggiore 23 marzo 1988
Assieme al marito Armando Quintavalle mise in salvo (1940) nei sotterranei del castello di Torrechiara circa ottomila dipinti delle Gallerie di Piacenza, Parma, Reggio e Modena, impedendo così spoliazioni e sottrazioni da parte degli occupanti tedeschi e distruzioni dovute ai bombardamenti alleati. Negli anni Cinquanta la Ghidiglia pubblicò sulla Gazzetta di Parma gli articoli sui Castelli del Parmense, principalmente quelli di Pier Maria Rossi ma anche quelli medievali, e cominciò il critico recupero di un sistema di eccezionale interesse: praticamente a ogni pezzo sul giornale coincisero nuove scoperte e attribuzioni. Diventarono un volume (1955) fortunatissimo, ma la Ghidiglia, come poi sempre accadde, non volle riprenderlo e svilupparlo in un’opera di più vasta mole. Intanto le fu affidata (1957) la Soprintendenza ai Beni Artistici di Modena e Reggio. La Ghidiglia cominciò un censimento del patrimonio che non ha eguali, a tutti i livelli. Al ben noto Quattrocento della civiltà pittorica modenese riformata da Piero della Francesca e dall’Alberti, la Ghidiglia aggiunse molti importanti testi, cicli interi e poi, soprattutto, valorizzò il Seicento e Settecento della corte estense con contributi eccezionali che vennero pubblicati (una scheda sola per cicli interi o complessi di opere: La Reggia di Sassuolo, per esempio) nei volumi Arte in Emilia (1960-1961, 1962 e 1968). Restauri, schedature e crescita critica si aggiunsero alla reggenza (1960) della Galleria e delle Soprintendenze di Parma e Piacenza. Così, per molti anni i territori settentrionali della regione formarono un vero sistema e l’équipe di Renato Pasqui procedette efficacemente a recuperare la cultura pittorica, dai dipinti duecenteschi ai gotici, dalla cultura quattrocentesca al Cinque e Seicento e oltre. Prima della Ghidiglia, dei suoi libri e saggi, la Scuola di Parma aveva due attori principali e, di fatto, unici sulla scena: Correggio e Parmigianino. A parte i contributi fondamentali dati anche su di loro, cominciò con la Ghidiglia un impegno critico che trasformò questo vecchio panorama. Fu la monografia su Michelangelo Anselmi (1960) che cambiò le prospettive critiche e disegnò la figura di un artista, senese, a Parma attorno al 1516, portatore delle novità della maniera e però mai integrato nell’officina correggesca. Gli studi proseguirono con le ricerche su Rondani e quindi con scoperte eccezionali, cicli pittorici interi come quelli dell’oratorio della Concezione presso San Francesco, pubblicato su Paragone (1958), dipinti e ancora restauri. Poi cominciarono le ricerche sul Correggio e il grande recupero di San Giovanni Evangelista, che diventò anche un libro criticamente determinante (1962) perché mostrò a fondo la giunzione tra lo spazio della civiltà romana e la rinascita al settentrione e, insieme, provò l’umanesimo correggesco e qualificò la sua cultura, aggiungendo altre importantissime attribuzioni all’artista. La Ghidiglia operò restauri e scoperte eccezionali, come l’insieme di Gerolamo Bedoli Mazzola nel refettorio di San Giovanni, e quindi l’impegno sulla seconda generazione dei correggeschi e parmigianineschi, che vide un contributo critico importantissimo su Jacopo Zanguidi detto il Bertoja (1963). Il libro maturò negli anni, fino a che la Ghidiglia risolvette il problema della presenza del Bertoja stesso a Caprarola, la villa farnesiana presso Roma, dove ella passò settimane confrontando le foto e, alla fine, giungendo a conclusioni determinanti. Venne scritto un capitolo nuovo, quello della generazione di mezzo della Scuola di Parma, e altri lo furono su Baglioni (1960 e 1961) e i suoi contemporanei, illustratori addetti ai castelli e dintorni, alle ville e alle chiese di campagna. La Ghidiglia, spinta anche da la Beguin e da Briganti, da Mina Gregori e da Freedberg, oltreché da Roberto Longhi, volle rivedere il discorso critico sul Parmigianino con libri fondamentali sugli affreschi giovanili e quelli della maturità, che pubblicò la casa editrice Silvana di Milano (1968 e 1970) per la Cassa di Risparmio di Parma, che, con nuove attribuzioni, con scoperte (le due ultime cappelle in San Giovanni) e con nuove cronologie, restano modello della ricerca da tutti accettato. Proseguì intanto l’impegno critico: uscì, per la Nuova Italia, un grande libro sui Disegni del Parmigianino (1971), un contributo che integrò e aggiunse nuovi elementi alle pur importanti indagini del Popham. La Ghidiglia si impegnò pure su altri fronti: la interessò la cultura duecentesca e pubblicò i grandi cicli scoperti sulla facciata del Duomo di Reggio Emilia, si interessò alla pittura gotica e ritrovò (1970) a San Lorenzo a Piacenza pitture che coprono una intera chiesa, le fece staccare e le espose a Parma. I contributi della Ghidiglia uscirono a decine, mentre ogni due anni una grande mostra, che occupava le intere Scuderie a Parma oppure l’intero piano basso del Palazzo dei Musei a Modena, documentava le scoperte. Così la critica d’arte italiana scoprì che esiste un importante primo Quattrocento anche nel territorio piacentino, scoprì che esiste una presenza bembesca sempre in quell’area, che la cultura secentesca della riforma carraccesca ha altre valenze e altri testi, che la maniera cremonese dei Malosso e Sojaro ha un peso che decine di nuovi dipinti sconosciuti confermano. La Ghidiglia scrisse inoltre saggi che, usciti su Paragone, su Arte Veneta oppure sul Bollettino d’arte, la rivista del Ministero, cambiarono la storia di intere zone della cultura e che tutti gli studiosi citano. Profuse un impegno incredibile: decine di libri e di saggi, decine di migliaia di schede di opere d’arte, nelle quali spese la sua grande cultura. Instancabile animatrice di iniziative tendenti alla salvaguardia del patrimonio storico e artistico di Parma, contribuì, con volumi notissimi su Parmigianino, su Correggio, sui restauri di dipinti, sculture e oggetti di arti minori dal Duecento all’Ottocento, alla conoscenza allargata dei problemi della cultura nell’Emilia in generale e nella zona di Parma in particolare. Organizzatrice dell’efficiente laboratorio di restauro della Soprintendenza, portò avanti programmi organici di recupero che condussero a una serie di preziosi volumi, dove centinaia di pezzi furono analizzati in maniera esemplare. Contemporaneamente crebbe un gruppo di validi collaboratori e progettò il recupero integrale del Palazzo della Pilotta, ceduto appunto per sua opera dalla Celere a funzioni specificamente culturali. Fu suo il progetto di riordino della Galleria Nazionale, architettonicamente pensato dall’architetto Guido Canali e realizzato dalla Soprintendenza ai Monumenti, in collaborazione con l’architetto Angelo Calvani. Protagonista, a fianco prima del marito e poi direttamente, appunto dal 1960, dell’opera della Soprintendenza, portò avanti impegnativi programmi per la valorizzazione dei beni culturali della città di Parma e provincia. Dopo aver ottenuto la reggenza della Soprintendenza di Firenze (1974) e raggiunto il pensionamento, affrontò nuovi studi dilatando il vasto orizzonte dei suoi interessi di storia dell’arte, sempre sensibile agli avvenimenti legati al progresso e allo sviluppo della città di Parma.
FONTI E BIBL.: Intervista con la soprintendente dr. Ghidiglia Quintavalle, in Gazzetta di Parma 2 dicembre 1970; B. Molossi, Tutela e difesa delle opere d’arte, in Gazzetta di Parma 3 ottobre 1971; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 494; Gazzetta di Parma 23 aprile 1988, 10; G. Capelli, Il Teatro Farnese, 1990, 191.
Parma 4 giugno 1743-
Figlio di un droghiere, Carlo, e di Marianna Bertacca. proprietario di casa con bottega in contrada Codiponte, parrocchia di San Bartolomeo, come risulta dal Registro della popolazione di Parma del 1765, divenne fornitore di Ferdinando di Borbone e uno dei più importanti commercianti di stoffa della città, in relazione con il mercato inglese di Manchester, dove operava la famiglia Booths.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 374.
Parma ante 1745-post 1773
Fu liutaio generico della scuola bolognese. Operò in Parma tra il 1745 e il 1773. Secondo il Vannes, il suo lavoro non è di grande lavoro.
FONTI E BIBL.: G. De Piccolellis, Liutai antichi e moderni, 1885; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Collecchio 1853
Perito geometra, fece eseguire un rilievo alla strada del Bergamino a Madregolo nel 1853.
FONTI E BIBL.: Malacoda 9 1986, 43.
GHIDINI GIACOMO, vedi anche GHIDINI GUSTAVO
Golese 1930-Parma 21 giugno 1995
Appena tredicenne iniziò a lavorare come ragazzo di bottega nel negozio officina di biciclette di Ermes Giuffredi, in via Bixio. Il Ghidini iniziò a correre in bicicletta nel 1947, con l’Unione sportiva italia. Rimasto allievo per due anni, passò poi dilettante e iniziò a cogliere vittorie in diverse occasioni. Nel 1950, sempre con la maglia dell’Unione Sportiva Italia, salì sul podio sette volte. Il 2 settembre 1951, a Varese, conquistò la maglia iridata di campione del mondo. Indossò poi la maglia azzurra e nel 1952 fu selezionato per i giochi olimpici di Helsinki. Ai campionati mondiali che si svolsero nello stesso anno in Lussemburgo fu costretto a ritirarsi per un improvviso malore a metà gara. Il 1953 fu l’anno del passaggio al professionismo con la maglia della Lygle-Atala, con la quale corse il Giro d’Italia. L’anno successivo, dopo essersi guadagnato un terzo posto assoluto al Giro del Marocco, cominciò ad accusare i primi disturbi provocatigli da un’ulcera che, qualche mese più tardi, lo costrinse al ritiro definitivo dall’attività quando aveva da poco compiuto ventiquattro anni. In seguito, oltre alla carriera come dirigente all’interno della Salvarani, il Ghidini aprì un negozio di biciclette in via D’Azeglio, che poi trasferì in piazzale Santa Croce.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 giugno 1995, 7; Parma anni Cinquanta, 1997, 125.
Parma 20 gennaio 1754-Piacenza 23 luglio 1816
Frate cappuccino. Compì a Guastalla la vestizione (13 ottobre 1775) e la professione solenne (13 ottobre 1776). Fu ordinato sacerdote a Piacenza nel 1777. Fu stimato predicatore e ottimo religioso sempre pronto al confessionale e ad assistere i moribondi nell’Ospedale, morto di febbre nosocomiale.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 428.
Soragna 22 luglio 1875-Parma 11 marzo 1965
Figlio del farmacista Lorenzo e di Ersilia Mussi. Si laureò giovanissimo all’Università di Parma in giurisprudenza. Iniziò la carriera di avvocato (fu inizialmente allievo di Agostino Berenini), distinguendosi subito per la dialettica insuperabile e per l’acuto senso dell’udienza. Iscritto al partito socialista dall’età di soli quattordici anni, sempre nella corrente Turati-Prampolini-Matteotti, restò tutta la vita fedele a questi ideali. Nel 1922, all’avvento del fascismo, mentre il Ghidini si trovava a Lerici, il suo studio venne distrutto e bruciato e la sua corrispondenza violata: a Parma, in via Mameli, venne acceso dai fascisti un rogo di mobili e documenti. Il Ghidini non si perdette d’animo e non cessò di lottare nella vita e sui banchi dei tribunali. Nel 1924 difese Aurelio Candian nel noto processo Candian-Lusignani. Nel 1944, davanti al tribunale speciale fascista, difese a Parma l’ammiraglio Inigo Campioni, il quale, nonostante i suoi sforzi, venne poi fucilato con l’ammiraglio Mascherpa. La caduta del fascismo trovò il Ghidini ormai settantenne, ma la sua forza vitale e il suo ingegno erano ancora in pieno vigore. Nel 1945, ancora davanti ai tribunali speciali, partecipò a molti infuocati processi. Fu consigliere comunale di Parma. Nel 1946 fu deputato socialista alla Costituente, membro della Commissione dei 75 e presidente della terza sottocommissione, incaricata di redigere quella parte di Costituzione che si occupa dei rapporti economici. Aderì poi al Partito Socialdemocratico e venne eletto ancora senatore nel 1948. Esercitò la professione di avvocato fino a 81 anni. All’infuori dei suoi discorsi, trascritti nei verbali della Costituente e del Senato, non lasciò nessuno scritto.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 12 marzo 1965, 4; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, II, 289-290; G. Pighini, Storia di Parma, 1965; F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 268; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 309.
Parma 1839/1848
Soprano, esordì in una accademia data nel Teatro Regio di Parma il 31 marzo 1839 e nell’occasione fu ammirata per la sua splendida voce (si esibì in un duetto della Norma e nella cavatina della Gemma di Vergy). Cantò nel Barbiere di Siviglia di Rossini il 17 dicembre 1848. Calcò le scene di diversi teatri.
FONTI E BIBL.: Foglio ufficiale di Parma 18 dicembre 1848; P. Bettoli, I nostri fasti, 86; P.E. Ferrari, Gli Spettacoli, 138, 226; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 278.
Parma 1908-Parma 14 gennaio 1985
Ebbe nel padre Gustavo un esempio di vita e un maestro eccezionalmente preparato nell’insegnamento della professione di avvocato, che nella famiglia Ghidini era tradizione da numerose generazioni. Nel 1930 si laureò in Giurisprudenza all’Università di Parma, dando vita, subito dopo la laurea, a un’attività scientifica e professionale che gli riservò moltissime soddisfazioni e molti riconoscimenti. Sotto la guida del professore Candian, il Ghidini proseguì la sua attività di ricercatore, conseguendo, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, la libera docenza in Diritto commerciale. Fu ammesso prima all’Albo dei procuratori e poi all’Albo degli avvocati (settembre 1939). Allo scoppio delle ostilità, il Ghidini prestò servizio (1942) nell’Esercito con il grado di ufficiale di artiglieria a cavallo. Prese parte alla campagna di Russia e, tornato dal fronte, dopo l’8 settembre 1943, essendosi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale, fu deportato in Germania in campo di concentramento, dove rimase per due anni. A guerra finita, il Ghidini fece ritorno a Parma e riprese immediatamente l’attività scientifica e professionale. Nel 1951 fu libero docente di diritto commerciale, nel 1952 straordinario della stessa materia e il 15 dicembre 1955 professore ordinario (continuò nell’insegnamento fino al 1 novembre 1979, quando venne collocato fuori ruolo, e poi nel novembre 1984 andò in pensione per raggiunti limiti di età). Insegnò anche Diritto del lavoro. Pubblicò una serie di opere di altissimo contenuto scientifico. Il suo lavoro più significativo riguarda il diritto dell’impresa. Pubblicò anche uno studio sulle società personali e un manuale sul diritto del lavoro (giunto alla nona edizione). Proprio questo aggiornamento fu l’ultima fatica del Ghidini. Inoltre pubblicò presso l’editore Einaudi, nel 1947, uno studio sui Lineamenti dell’economia sovietica. Il Ghidini partecipò anche, e attivamente, alla vita politica di Parma. Per qualche anno fu capogruppo in Consiglio comunale del Partito socialista italiano, ma poi fece ritorno nei ranghi del Partito Socialdemocratico, per il quale fu candidato al Parlamento europeo. Durante la guerra fu decorato con due croci al valor militare. Fu insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e nel 1984 della toga d’oro. La salma fu tumulata nel cimitero della Villetta di Parma, nell’arco riservato ai docenti dell’Università di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 16 gennaio 1985, 5; R. Franceschelli, in Studi Parmensi XXXIX 1990, 8-17.
Parma seconda metà del XVII secolo
Boccalaro attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 127.
GHIGHINI GIOVANNI, vedi GHIZZINI GIOVANNI
Calestano 18 luglio 1899-Parma 28 ottobre 1980
Nacque da Beniamino ed Eugenia Ollari. Sindacalista anarchico, militò nelle file degli Arditi del Popolo contro lo squadrismo fascista. Nel 1921 fu in carcere a Venezia, da dove fuggì riuscendo a riparare in Cecoslovacchia. Si trasferì successivamente in Germania, poi in Svizzera e infine in Francia. Sul finire del 1936 entrò in Spagna arruolandosi nella Divisione Ascaso, anarchica. Passato in Francia alla fine del conflitto spagnolo, venne internato nel campo di Vernet-d’Ariège. Rimpatriato dopo l’occupazione tedesca della Francia, venne inviato al confino nell’isola di Ventotene. Durante la lotta di liberazione, fu partigiano a Calestano e membro del locale Comitato di Liberazione Nazionale.
FONTI E BIBL.: L. Arbizzani, Antifascisti in Spagna, 1980, 78.
Parma 18 febbraio 1925-Bettola 15 agosto 1944
Combattente attivo e ardimentoso, partecipò a moltissimi fatti d’arme contro forze nemiche spesso soverchianti, riuscendo sempre a ottenere brillanti risultati e infliggendo ingenti perdite in uomini e materiali. Il 26 e 27 giugno 1944 a Farini d’Olmo, dopo trentasei ore di accaniti e sanguinosi combattimenti contro preponderanti forze nazifasciste, mosse all’assalto contro l’ultima estrema resistenza nemica ponendosi alla testa del suo distaccamento. Per tale eroico comportamento venne promosso Comandante di distaccamento sul campo. Fu decorato di medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
FONTI E BIBL.: F. Ferrari, Al piano scenderem per la battaglia, 1986, 96.
Parma 13 luglio 1818-Parma 30 settembre 1900
Di modesti natali, si laureò con lode nelle scienze matematiche e cominciò la carriera con l’insegnamento privato. Fu successivamente Vice capo e Capo Computista presso il ministro Mistrali, che lo aveva chiamato presso di sè, e in seguito prestò la sua opera presso il ministro Lombardini, già suo professore. Cessato nel 1859 il governo provvisorio, del quale fu Ministro delle Finanze, Farini e Pepoli lo prescelsero per l’impianto della contabilità del governo dell’Emilia. In seguito all’unione dei Ducati di Parma e Modena al Piemonte, fu nominato dal Governo Subalpino Sovraintendente di Finanza in Parma, nella quale carica il Ghinelli rese al Governo italiano il conto definitivo delle finanze dello Stato Parmense. Soppressa la sovraintendenza, continuò la sua opera nella Direzione Generale del Debito Pubblico, prima come Direttore capo di Divisione e poi come Ispettore. Compì l’opera colossale dell’unificazione del debito pubblico di tutti i governi cessati e rese possibile, con un ingegnoso provvedimento, la pronta esecuzione dei ruoli di pagamento della crescente rendita nominativa del 5%, che altrimenti non si sarebbe potuto ottenere regolarmente per i troppi trasporti dall’una all’altra tesoreria dei pagamenti stessi. lasciò un archivio copioso e ordinatissimo, dal quale si possono trarre notizie importanti intorno ai lavori di ragioneria eseguiti dal Ghinelli per lo Stato e per amministrazioni pubbliche e private. Fu assai stimato dal Vegezzi e da Quintino Sella, che, dietro consiglio del Ghinelli, accettò la proposta Luzzatti di dotare il Regno d’Italia delle Casse di Risparmio Postali.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 46-47.
Parma seconda metà del XVII secolo
Sacerdote, fu pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 128.
Bazzano ante 1520-Bazzano 1552
Fu parroco di Bazzano dal 12 gennaio 1520. Si suppone fosse originario di Bazzano in quanto tale cognome risulta molto antico e assai diffuso nel Bazzanese. Del Ghinizzini si sa solo che resse la parrocchia per trentadue anni.
FONTI E BIBL.: F. Barili, Arcipreti di Bazzano, 1976, 13.
GHION GALLI GIORGIO, vedi GHIONI GIORGIO
Parma 1762c.-1810c.
Nacque da Girolamo, chirurgo di Corte, e da Angelica Mantelli. Rimasto orfano del padre in tenera età, la madre sposò poco dopo Antonio Galli, chirurgo di Camera del Duca. Intrapresi gli studi medici e chirurgici, nell’anno 1785 fu addottorato in medicina nell’Università di Parma. Ebbe a promotore Michele Girardi, l’Orazione del quale fu fatta stampare dal Ghioni in Casalmaggiore (per i fratelli Bizzarri, 1785), con dedicatoria italiana del Ghioni al suo maestro e con un codazzo di lodi poetiche. In questa Orazione il Girardi afferma che il Ghioni avea pronto e sagace ingegno, che nelle lettere e nella filosofia avea eguagliati gli studiosissimi de’ condiscepoli e fattovi molto rapidi progressi, che fu abborrente dall’ozio, avido senza fine dello apparare, e che sin dalla prima giovinezza era per singolare inclinazione dell’animo tratto agli studii medici ed alla poesia. A prova del suo valore nella poesia vengono citati parecchi componimenti pubblicati dal Ghioni e in particolare l’ode per il primo incruento sacrifizio di suo fratello Giambattista. Il Ghioni fu inviato verso il 1790, a spese del Governo, a Pavia con l’intendimento che si perfezionasse nella medicina e specialmente nella chirurgia e vi studiasse inoltre la storia naturale sotto Lazzaro Spallanzani. Nel 1798 fu nominato sustituto in sopravvivenza a Guglielmo Levacher per la cattedra di chirurgia e pochi mesi dopo ottenne gli onori di professore. Non ebbe effetto la sopravvivenza poiché il Levacher visse ben più lungamente di lui.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 644-645.
Tornolo 13 maggio 1920-Pelosa 10 luglio 1944
Figlio di Luigi. Partigiano della Divisione Val Taro, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Capo squadra già segnalatosi in precedenti circostanze per slancio ed ardimento notevoli, nel corso di un duro combattimento contro preponderanti forze germaniche, visto cadere un compagno gravemente ferito, sprezzante del pericolo, correva in suo soccorso, ma nel suo generoso tentativo cadeva colpito a morte da una raffica di fuoco. Bell’esempio di fraternità e di altruismo
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 123; Caduti Resistenza, 1970, 78.
Rimale 27 luglio 1807-Borgo San Donnino 19 febbraio 1852
Compì gli studi nel Seminario diocesano di Borgo San Donnino. Ricevuta l’ordinazione al sacerdozio, alternò alle cure del sacro ministero quelle dell’insegnamento di lettere, dapprima nelle pubbliche scuole della città e in seguito nel ginnasio del Seminario. Scrisse un opuscolo dal titolo Controversie archeologiche patrie (Giuseppe Vecchi, Borgo San Donnino, 1843) per provare, in polemica con scrittori bussetani, come in Borgo San Donnino dovesse identificarsi l’antica Fidentia. Esso ispirò a Pietro Seletti un Esame storico-archeologico-critico a confutazione delle asserzioni del Ghiozzi.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 182; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 264.
Parma ante 1619-Parma 25 settembre 1658
Fu frate francescano celebre per dottrina e probità di costumi. Nel 1619 fu lettore in Cortemaggiore assieme ad Angelo Bellacappa, suo concittadino. Il 9 luglio 1632, nel capitolo celebrato nel convento della Santissima Annunciata in Parma fu eletto Ministro Provinciale: Minister provincialis unanimi consensu, nemine prorsus discrepante, electus fuit Adm. R. P. Bonaventura de Parma, Theol. et Concionator generalis. Nel 1634 predicò in Santa Maria del Fiore a Firenze. Sotto il governo del Ghirardani, del Bellacappa e di Francesco Anguissola si fabbricò la parte del chiostro del Convento di Parma con le finestre verso levante, che, cominciata nel 1632, fu completata nel 1648. In qualità di Ministro provinciale il Ghirardani si recò al Capitolo Generale di Toledo (14 maggio 1633) dove fu eletto definitore generale. L’8 novembre 1640 il Ghirardani pose, con grande solennità e concorso di popolo, la prima pietra del nuovo Convento di Torricella, dopo che il vecchio monastero era stato abbandonato perché ormai eroso dalle acque del Po. Nel 1644, essendo il Ghirardani guardiano del luogo, si cominciò a ufficiare la chiesa annessa al nuovo convento (fu completata nel 1647). Il 16 aprile 1653 fu inviato dal duca Ranuccio Farnese quale suo ambasciatore all’imperatore Leopoldo, che nella Quaresima del 1654 nominò il Ghirardani predicatore di corte. Più volte definitore provinciale, del Ghirardani non si conosce che l’opera seguente: La Stella Fatale Panegirico del R.P. Bonaventura Ghirardani di Parma Recitato nella Chiesa dei Carmelitani in Parma celebrandosi la prima volta la solennità del Glorioso Sant’Andrea Corsini il giorno dell’Epifania 1630 (In Parma, MDCXXX, Appresso Seth et Erasmo Viotti).
FONTI E BIBL.: G. Picconi, Uomini illustri francescani, 1894, 308-309; G. Picconi, Ministri e vicari provinciali, 1908, 196-197.
Parma seconda metà del XVII secolo
Intagliatore di legnami attivo nella seconda metà del XVII secolo. Nel 1678 realizzò un letto con testiera su disegno del committente Francesco Spaccini, con cui sorse lite.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 129; Il mobile a Parma, 1983, 255.
GHIRARDELLI o GHIRARDELLI DELFO’ FRANCESCO, vedi DELFO’ GHIRARDELLI FRANCESCO MARIA ANTONIO
GHIRARDI ANTONIO, vedi GHERARDI ANTONIO
Felino-Traversetolo 3 luglio 1944
Fu comandante partigiano di distaccamento. Morì in combattimento.
FONTI E BIBL.: Ufficio Toponomastica del Comune di Parma.
GHIRARDINI BONAVENTURA, vedi GHIRARDANI BONAVENTURA
Parma-post 1595
Frate carmelitano, fu teologo rinomato. insegnò nel collegio di Bologna (vi era nel 1595). Fu inoltre predicatore a Parma, Mantova, Ferrara, Bologna e Milano. Fu più volte definitore (in Capitoli diversi) e priore in Parma.
FONTI E BIBL.: G. Falcone, Cronica carmelitana, 1595, 742.
GHIRARDINI GENESIO, vedi GHIRARDANI GENESIO
Parma-post 1833
Il 18 settembre 1833 cantò (basso) due arie nell’intermezzo di uno spettacolo drammatico al Teatro Ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: Stocchi, 82; G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
Parma XVII secolo
Pittore attivo nel XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 166.
8 giugno 1899-Parma 24 aprile 1945
Molti furono i residenti nell’Oltretorrente di Parma che, alla vigilia della Liberazione, fornirono la loro collaborazione nell’imminenza dello scontro risolutivo con i nazisti e i loro accoliti fascisti. Nei giorni dell’insurrezione popolare, anche il Ghirarduzzi si trovò immerso nel clima di mobilitazione popolare. Morì raggiunto da colpi di arma da fuoco nei pressi della propria abitazione (via d’Azeglio 96). Vi fu sistemata la lapide che reca il seguente testo: Brigata - Parma vecchia - Guerra di liberazione 8.9.1943 - 25.4.1945 - Ghirarduzzi Alfredo 8.6.1899-24.4.1945.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 24 luglio 1985.
Cortile San Martino 1887-29 luglio 1919
Fu il primo sindaco di ceto proletario di Cortile San Martino. Muratore, socialista, venne eletto sindaco nel luglio del 1914. Sotto la sua amministrazione, Cortile San Martino sviluppò i lavori pubblici e l’assistenza alle categorie più bisognose: risalgono infatti a quel periodo la costruzione di scuole elementari e di strade e l’estensione della rete dell’energia elettrica a servizio della comunità. Il Ghirarduzzi morì a causa di una malattia contratta nella prima guerra mondiale.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 309.
Noceto 1911-1990
Fondò a Noceto la ditta Costruzioni meccaniche Ghirelli, attiva nel settore della progettazione e costruzione di veicoli speciali, tra cui la mobilsega, un mezzo semovente per segare e spaccare la legna da riscaldamento a domicilio. Appassionato di motori, nei primi anni Cinquanta costruì un go-kart e partecipò alle prime gare in piazze e strade di paese. Diede poi vita alla scuderia Ghirel-kart e nel 1958 costruì il kartdromo di Fraore, inaugurato nel 1961 da Umberto Masetti ed Emilio Mendogni (vi gareggiarono poi anche piloti di valore, quali Senna, Piquet, Barilla e Capelli). Nel 1977, per ospitare i mondiali di karting, ampliò la pista a 1160 metri. Il nome del Ghirelli è legato anche a un’altra invenzione che destò notevole interesse e che richiamò a Noceto nel 1965 la stampa di tutto il mondo: Villa Girasole, una costruzione su un perno d’acciaio, con timone e fotocellula che la facevano girare seguendo i raggi solari. L’architetto svizzero Ray Michellod disegnò la casa girevole nelle versioni chalet, classico, moderno e commerciale a uso ristorante.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario parmigiani, 1997, 155.
Parma 1723
Fu suonatore alla Cattedrale di Parma il 28 marzo 1723.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
La Villa di Basilicagoiano 3 ottobre 1891-Milano 22 dicembre 1934
Di umili origini contadine, con tenacia e viva intelligenza, confortato e spronato da Renato Brozzi, riuscì, pur tra innumeri difficoltà, con la sola forza del suo lavoro e la finezza delle sue capacità artistiche, a raggiungere una fama che col passare degli anni andò sempre più affermandosi nel campo dello sbalzo d’arte. Dopo una breve parentesi nella fabbrica di orologi Beccarelli a Vignale, entrò nella fonderia Baldi, dove già operava Renato Brozzi, grande amico e guida preziosa. Con lui imparò i primi rudimenti del disegno, dimostrando le sue abilità, premiate dal proprietario del laboratorio, che lo mandò a sue spese alla scuola di Belle Arti di Parma. Così, a soli quattordici anni, dopo aver intrapreso varie attività manuali (falegname, fabbro, meccanico, muratore), riuscì a frequentare per breve tempo l’Istituto di Belle Arti. Successive puntate, per ragioni di lavoro, a Padova, Milano e Genova, plasmarono e maturarono sempre più il suo carattere e ne affinarono le capacità di estroso artista. Nel 1914 vinse in Roma il Pensionato Nazionale triennale della Scuola della Medaglia ma la parentesi bellica del conflitto 1915-1918 non gli consentì di sfruttare questa opportunità (fu a Roma solo per il primo anno di pensionato). Dopo la prima guerra mondiale aprì uno studio a Parma, in borgo Giacomo Tommasini. Nel 1921 riuscì vincitore di un concorso nazionale quale insegnante nella Scuola Artistica Pietro Selvatico di Padova e più tardi, nel 1928 e sempre per concorso nazionale, venne nominato Maestro alla cattedra di sbalzo dell’Istituto d’Arte di Venezia. Gli anni 1929 e 1930 furono molto fecondi: realizzò diverse opere a sbalzo e a questo periodo appartiene l’importante coppa d’argento Principe di Piemonte. Ma il male già covava e fu costretto ben presto ad abbandonare l’insegnamento. Dopo una convalescenza protrattasi per due anni fu di nuovo al lavoro in Milano (1932), tutto preso da un fervore creativo che non aveva soste. Questa alacre attività ebbe però breve durata: quando ormai la sua esperienza e le sue impareggiabili qualità artistiche erano riuscite ad attirare su di lui e sulle sue opere l’interesse vivo e appassionato di critici e committenti, il Ghiretti venne a mancare, stremato nel fisico, durante un intervento chirurgico. Il Ghiretti rivelò infinite possibilità realizzatrici: dal piccolo oggetto, un monile, uno specchio, una scatola, finemente decorati con agile fantasia e buon gusto, al grande sbalzo in rame con immagini sacre o pagane, di una evocazione figurativa e di una forza plastica veramente non comuni. La dolorosa Pietà o il monumentale Crocifisso spesso attirarono la sua creatività e diede a queste rappresentazioni una vitalità emotiva e una perfezione formale veramente notevoli. Le sue targhette e i suoi piatti hanno un’impronta aristocratica, dovuta alla concezione nuova e garbata dei soggetti e insieme a una mirabile padronanza tecnica. Portato per indole a una gentile stilizzazione delle forme, infuse grazia e leggiadria classica alle sue statuette. Attese anche alla scultura in pieno. La sua opera maggiore è la Pietà, alta due metri, che egli conservò fino all’ultimo nel suo studio. Nel Cimitero monumentale di Milano si trova un Cristo crocifisso grande al naturale e una Lunetta con due angeli in adorazione della Santa Croce (Cappella Invernizzi). Tali opere dimostrano la versatilità del Ghiretti, che dalla minuziosa esecuzione di oggetti piccoli seppe passare senza sforzo alla grande scultura, senza cadere nel difetto, comune a molti cesellatori, di smarrire nella paziente ricerca del particolre l’effetto d’insieme. Lavorò spesso con Lamberto Cusani. Eseguì il basamento del fonte battesimale della chiesa di Vicofertile e, insieme a Renato Brozzi, le formelle della Camera d’Oro del Castello di Torrechiara, ricostruita all’Esposizione di Roma. In occasione dei restauri della chiesa di Vicofertile, progettati e diretti da Lamberto Cusani, eseguì l’altare. Il nudo umano non ebbe segreti per il Ghiretti, che seppe magistralmente rappresentare l’uomo in ogni atteggiamento e piegarne la figura alle esigenze della superficie da occupare e alle eleganze della sua inesausta fantasia.
FONTI E BIBL.: R. Allegri, in Parma nell’Arte 2 1965, 137-138; Aurea Parma 1 1935, 33-34; Gazzetta di Parma 22 luglio 1957, 3; G. Mellini, in Gazzetta di Parma 8 gennaio 1964, 3; F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 269; M. Caffagnini, in Gazzetta di Parma 28 marzo 1984, 5, 16 luglio 1984, 3; Gli anni del Liberty, 1993, 156.
Napoli 1747-Parma 1797
Compiuti gli studi musicali a Napoli al Conservatorio delle Pietà dei Turchini, a diciannove anni fu ammesso alla Corte del duca Ferdinando di Borbone in Parma come violoncellista con l’assegno annuo di 3600 lire di soldo e 2400 lire di pensione (1 aprile 1766). Il Ghiretti ebbe in Parma molti e distinti allievi, tanto in detto strumento quanto nella composizione, contribuendo allo sviluppo musicale della città. lasciò musica manoscritta di vario genere: suonate e capricci per violino, due Messe solenni, delle Litanie e uno Stabat a tre voci (Fètis).
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato in Parma, Ruolo A, 1, fol. 143; F.J. Fétis, Biographie universel de Musiciens, volume III, 474; P. Bettoli, I nostri fasti musicali, 86; P.E. Ferrari, Gli spettacoli in Parma, 325, nota 1; R. Eitnér, Quellen-Lexikon, IV, 226; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 178 e 207.
Parma 1824/1863
Fu argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 85.
Montechiarugolo 1894/1912
Caporale del 26° Reggimento fanteria, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Si distinse per speciale ardimento e noncuranza del pericolo nella difesa notturna di una ridotta attaccata violentemente dagli arabi (Derna, 11-12 febbraio 1912).
FONTI E BIBL.: G. Corradi, G. Sitti, Glorie alla conquista dell’Impero, 1937.
Parma 28 maggio 1828-Bologna 16 gennaio 1893
Figlio di Fedele e Anna Pigorini. Fuggì di casa per arruolarsi giovanissimo tra i volontari e combatté per la libertà d’Italia nei bersaglieri toscani. Divenne poi avvocato.
FONTI E BIBL.: C. Pigorini Beri, in Gazzetta di Parma 22 gennaio 1893, n. 21; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 409.
Trecasali 1794
Figlio di Giuseppe. Fu capitano in ritiro nel 1794.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parmigiano prima metà del XVIII secolo-Castelnovo di Sotto 1803 c.
Fece gli studi sacri ottenendo la laurea in teologia. Nel 1768 fu fatto arciprete di Castelnovo di Sotto, dove acquistò molta autorevolezza, tanto che, avvenute le mutazioni politiche del 1796, nell’ottobre dello stesso anno fu mandato deputato al primo Congresso cispadano e nel dicembre fu eletto nel secondo, ma nell’uno e nell’altro non ebbe alcun ruolo di rilievo. Ritornato alle cure della sua chiesa, morì pochi anni dopo.
FONTI E BIBL.: T. Casini, Deputati Congresso Cispadano, 1897, 178.
Parma 1728
Diresse la salina del Ducato di Parma nell’anno 1728.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parma 1710
Fu promosso capitano delle truppe ducali di Parma nel 1710.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parma 1784/1796
Detto Sprochino. Falegname allievo del Poncet, nel 1784-1796 realizzò dei credenzoni in San Giuseppe, in collaborazione con l’intagliatore Luigi Giarola, su disegno del Brianti e di Luigi Ardenghi. Del Ghisalberti sono anche le porte della chiesa e della sagrestia.
FONTI E BIBL.: Godi, 1979, 3; Il mobile a Parma, 1983, 262.
Noceto 31 agosto 1924-Villa Cadè 9 febbraio 1945
Nacque da Giuseppe e da Corinna Castelli. Negli anni Trenta la famiglia, composta dai genitori, quattro figli e due figlie, si trasferì a Collecchio, dove poi la madre morì. Mentre il padre e i fratelli erano braccianti agricoli, il Ghisolfi, quartogenito e secondo dei maschi, esercitò l’attività di calzolaio. partecipò alla seconda guerra mondiale come soldato di fanteria e dopo l’8 settembre 1943 tornò a casa. Nel settembre del 1944, probabilmente anche per sottrarsi alla leva della Repubblica Sociale, salì in montagna ed entrò a far parte della 31a Brigata Garibaldi, costituitasi in agosto in Val Ceno come filiazione della 12a Brigata Garibaldi. Da partigiano ebbe il nome di Jean Gabin. Col distaccamento Fornaciari della 31a Brigata combatté nei difficili mesi dell’autunno 1944. Durante il rastrellamento di gennaio nella zona Ovest Cisa, nel corso del quale la 31a Brigata subì pesanti perdite, il Ghisolfi venne catturato (probabilmente il giorno 6) e portato nelle carceri di San Francesco a Parma. Da qui fu prelevato con altri prigionieri il 9 febbraio e condotto a Villa Cadè, sulla via Emilia, nel Reggiano, dove insieme ad altri venti patrioti venne fucilato dai Tedeschi in rappresaglia di un attacco subìto alcuni giorni prima. per ordine dei Tedeschi i cadaveri rimasero insepolti per tre giorni.
FONTI E BIBL.: F. Botti, 47; Comitato unitario antifascista di Collecchio, 30° della lotta di Liberazione 1945-1975, Collecchio, 1975; Fortunato Nevicati. Una vita per la libertà, Collecchio, 1973; I caduti della Resistenza di Parma 1921-1945, Parma, 1970, 78; G. Rossetti, Noceto e la sua gente l’altro ieri, Parma, 1977, 274; P. Tomasi, Commemorati i ventuno martiri di Villa Cadè, in Gazzetta di Parma 12 febbraio 1989; P. Tomasi, Ricostruito in tutti i dettagli l’eccidio nazista di 43 anni fa, in Gazzetta di Parma 17 febbraio 1988; Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza, Parma, sezione III, Biografie caduti, il Comune di Collecchio all’Istituto Storico della Resistenza di Parma, 25 ottobre 1966; Archivio Storico Comunale di Collecchio, b. 156, Certificato di presentata domanda di pensione da parte di Giuseppe Ghisolfi con allegato modello M con composizione familiare, 27 luglio 1945, b. 156, Elenco nominativo dei partigiani appartenenti al suddetto Comune, 10 ottobre 1947, b. 157, Estratto dell’atto di nascita di Bruno Ghisolfi, proveniente dal Comune di Noceto, senza data, b. 157, Verbale di irreperibilità redatto dal Comando della 31° Brigata Garibaldi Copelli, 17 luglio 1945; Associazione Nazionale Partigiani Italiani, Scheda personale e Ruolino 12a Brigata Garibaldi; La guerra a Collecchio, 1995, 253-254.
Parma 1704
Fu suonatore di tiorba alla Cattedrale di Parma il 3 maggio 1704.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
Parma 1823/1831
Fu medico del reggimento di Maria Luigia d’Austria e primo medico chirurgo della casa della Sovrana. Nel 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari. Durante i moti del 1831 fu sorvegliato per le sue idee liberali, ma non partecipò attivamente alla sommossa.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 176.
Monticelli d’Ongina 30 novembre 1845-Pieve Ottoville 9 agosto 1910
Compì gli studi nel Seminario diocesano di Borgo San Donnino e fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1868. Nominato il 22 gennaio 1888 arciprete di Pieve ottoville, si dedicò alla cura di quella parrocchia con zelo e dedizione, lasciando traccia duratura della sua attività intelligente e fattiva. Nella collegiata continuò gli importanti restauri intrapresi da un suo predecessore, don Giacomo Remondini, facendo decorare la volta del sacro edificio dal cognato Enrico Terzi, lo stesso che provvide a dipingere le sale della maestosa canonica. Dotò la chiesa di parati e arredi di valore, tra i quali i ricchi damaschi in seta per gli addobbi e un pregevole pallio da usarsi nelle feste più solenni. Istituì un’efficiente schola cantorum e musicale, raccolse intorno a sè le forze migliori della parrocchia per avviarle a militare nella nascente Azione Cattolica, procurò al seminario alcuni giovani che fecero poi onore alla Chiesa borghigiana e caldeggiò la costruzione in Pieve ottoville del primo edificio scolastico e l’installazione di una linea ferrotramviaria per un più rapido collegamento del paese con i centri più importanti della zona, cedendo a tale scopo terreno prebendale. Ebbe una particolare devozione per Santa Lucia, in onore della quale promosse grandi festeggiamenti, fissando inoltre la festa della Santa in settembre. Nel 1909 ricostituì il corpo bandistico di Pieve Ottoville. La sua salma riposa nel cimitero di Pieve Ottoville.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 184-185.
GIACOBINI o GIACOBONI GIORGIO, vedi GIACOBONI PIER GIORGIO
Piacenza ante 1739-1777
Acquafortista e pittore di genere animalista, operò in Parma dal 1739 al 1770.
FONTI E BIBL.: P. Martini-G. Capacchi, Incisione in Parma, 1969; Dizionario enciclopedico dei pittori, V, 1972, 392.
Parma 1831
Durante i moti del 1831 fu tra i disarmatori della truppa. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato senza requisitoria.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 173.
Colorno 28 maggio 1692-Loreto 25 gennaio 1740
Nacque da Giuseppe e Maria Tej. La sua formazione artistica fu parmigiana, perchè infatti il suo primo maestro fu Giovanni Maria Capelli, compositore alla Corte farnesiana, canonico della Cattedrale di Parma, autore di varie opere rappresentate tra il 1692 e il 1723, che gli insegnò il canto, il contrappunto e il clavicembalo. Pare che abbia perfezionato i suoi studi alla scuola di Alessandro Scarlatti a Napoli, dove fu inviato a spese del duca di Parma, Francesco Farnese, che ammirava il talento del Giacomelli. Forse ciò avvenne dopo il 1724, in seguito all’esito trionfale della sua opera Ipermestra. Certo è che mai gli mancò l’appoggio della Corte farnesiana ed ebbe anche la carica di direttore della musica di Francesco Farnese. Si stabilì presto a Piacenza, ove l’8 febbraio 1718 sposò nella chiesa di Sant’Eustachio, Francesca Marchi, oriunda di Parma. Si trasferì poi nella parrocchia di San Fermo, ove risulta elencato negli stati delle anime con il titolo di maestro di cappella (della chiesa della Steccata di Parma, 1719) e dove fino al 1721 furono battezzati numerosi suoi figli, uno dei quali fu tenuto al sacro fonte dalla coppia ducale farnesiana. Si trasferì infine nella parrocchia di San Donnino, ove battezzò altri figli, che ebbero padrini al battesimo molti esponenti della società piacentina e del mondo artistico musicale, tra i quali il famoso virtuoso Carlo Broschi, detto Farinelli. Dal 1724 il Giacomelli fu maestro direttore della musica di Corte. Evidentemente dovette ritenere insufficiente il salario accordatogli perché nel 1726 egli indirizzò una lettera al duca Francesco Farnese per chedere di fargli ottenere il posto di direttore della cappella musicale di San Giovanni in Canale, una delle più importanti della città di Piacenza (tale posto si era reso vaceante per la morte del titolare Antonio Bissoni e comportava uno stipendio di duemila lire annue). Il 26 dicembre dello stesso anno il Duca scrisse al governatore di Piacenza Giuseppe Politi affinché provvedesse a far esaudire il desiderio del Giacomelli. Infatti il 3 gennaio 1727 i rettori della Congregazione di San Giovanni nominarono per atto notarile maestro di cappella il Giacomelli, precisandone gli emolumenti e i compiti. Egli però doveva contemporaneamente provvedere alle necessità del servizio di Corte e i rettori di San Giovanni, consci di ciò, lo autorizzarono ad assentarsi a suo piacimento, purché si provvedesse a un sostituto e fornisse le composizioni. Nel novembre dello stesso anno la congregazione decise di diminuire di un terzo i salari dei musici ma, per desiderio ducale, quello del Giacomelli non fu variato. La cappella musicale giovannea aveva però pochi mezzi e nel 1732 fu definitivamente soppressa, malgrado le istanze della Corte a favore del Giacomelli. I rettori, scusandosi con il Duca, asserirono che solo la mancanza di fondi era la causa di tale decisione e che, se fosse stato possibile, avrebbero preferito mantenere in carica il Giacomelli. Egli però continuò ad abitare a Piacenza almeno fino al 1736. Non è però da escludere che nel frattempo si sia recato anche altrove per fare rappresentare le sue opere. I suoi pretesi soggiorni a Vienna e a Napoli non sono però documentati. Certo è che dal 24 novembre 1738 egli occupò la carica di maestro di cappella della Santa Casa di Loreto e dovette pertanto lasciare definitivamente Piacenza. Il Giacomelli continuò anche a Loreto una intensa attività musicale. Fu certamente un buon operista: il suo stile fu brillante e pieno di rilievo e vivacità e le sue opere ottennero vivo successo in varie città (a Vienna, a Napoli, 1731, a Verona, a Venezia, 1734, e altrove). A Torino nel 1735 fu rappresentato il suo migliore lavoro, Cesare in Egitto, ma dopo un facile e vasto successo iniziale la sua produzione fu poi trascurata e dimenticata, appunto perchè troppo legata ai gusti dell’epoca. Il Giacomelli scrisse anche gli oratori La conversione di Santa Margherita da Cortona e Santa Giuliana Confalonieri, poesia del Torribilini, rappresentato a Genova dai padri Filippini nel 1740. Nella biblioteca di Dresda si conservano una messa kirie, i mottetti Egredimini, Domine, Gloria sicut erat e Quam admirabile e quattordici arie, a Berlino, nella Biblioteca di Stato, le romanze L’amore e la Violetta, al Conservatorio di Milano le arie L’avverso fato e Mio cor, non sospirare, nell’Archivio musicale della Cappella di Loreto le partiture originali e le parti di litanie a quattro voci con organo (in fa maggiore e in re maggiore) e di Magnificat a quattro voci (in fa maggiore). Il Giacomelli scrisse anche dodici arie di concerto per soprano, con basso numerato, e musicò il Salmo VIII, Domine noster, per due tenori e basso (la partitura fu pubblicata a Berlino dal Guttentag). Insegnò anche il canto. Tra i suoi allievi emerse il sopranista Antonio Donnini di Senigallia che, dal 1739 al 1752, fu tra i migliori cantori della cappella lauretana e nel 1752 si stabilì a Berlino.
FONTI E BIBL.: Biografia universale, XXIV, 1825, 180; P.E. Ferrari, Spettacoli drammatico-musicali, 1884, 324; E. De Giovanni, Geminiano Giacomelli: nota di storia musicale piacentina, in Libertà 14 gennaio 1922; C. Anguissola, Il maestro Geminiano Giacomelli, in La Scure 19 novembre 1933; C. Anguissola, Geminiano Giacomelli e Sebastiano Nasolini musicisti piacentini, Piacenza, Porta, 1935; C. Anguissola, Musicisti piacentini: Geminiano Giacomelli, in Strenna Piacentina 1936, 166-169; G. Traglia, Andò a mieter gloria a Loreto un compositore piacentino del Settecento, in Libertà 3 ottobre 1950; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 495; U. Imperatori, Italiani all’estero, 1956, 142; G. Fiori, in Aurea Parma 3 1973, 215-221.
Fiorenzuola d’Arda 1831
Fuglio di Agostino. Durante i moti del 1831 fece parte della spedizione di Fiorenzuola d’Arda. nei processi che seguirono fu definito ozioso e pericoloso.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 173.
Bosco di Corniglio 21 maggio 1595-Firenze 9 gennaio 1682
Nacque da Pier Maria e Lucrezia Giagoli a Casa Giacomi, dove fu subito battezzato a causa delle sue precarie condizioni (funzione ripetuta, in seguito, in parrocchia). Avviato dal padre all’attività pastorizia, dimostrò, tuttavia, spiccate attitudini per la vita contemplativa e singolari virtù soprannaturali. Della sua vita di pastore è rimasta la leggenda della sorgente del Chioso, presso Bosco di Corniglio, che sarebbe sgorgata all’improvviso, dopo un lungo periodo di siccità, quando il giovane Giacomi percosse il terreno con il suo bastone. Seguendo la vocazione, a venticinque anni si trasferì a Parma presso i Carmelitani e poi a Villafranca, come terziario francescano, e quindi a Siena, per il noviziato, come minore osservante presso il convento di San Bernardino di Corte. Nel 1622 prese i voti religiosi assumendo il nome di Ruffino e operò nel convento di San Lucchese ove collaborò col dotto padre Benedetto da Poggibonsi. Successivamente, per la fama della sua santità, fu chiamato al convento di Ognissanti di Firenze. Nel corso della sua vita religiosa, fu consolatore degli afflitti e dei poveri e benefattore dei diseredati ed emarginati. Si spense in odore di santità, i suoi funerali furoni un trionfo e gli oggetti da lui posseduti si trasformarono ben presto in reliquie. Fu sepolto nella cappella del Santo nome di Gesù, presso il Convento di Ognissanti a Firenze. Sul suo sepolcro è incisa la seguente epigrafe: Hic jacet bo.me.f. Ruphinus de nemore Parmae laic. prof. ord. min. de obs. obiit die 9 Jan MDCLXXXII. Il 19 febbraio 1686 si aprì il processo di beatificazione, ripreso solo agli inizi del Novecento. Furono circa un centinaio i miracoli raccolti ed esaminati nei processi fatti dalla Curia Arcivescovile di Firenze e 594 i testimoni firmati con giuramento. Nel 1736 i boscherini, per iniziativa del conterraneo frate Giovanni Malandri, dedicarono due maestà in onore del Giacomi (una sulla casa natale e l’altra nella strada della chiesa, di fronte al portale Malandri) e una terza, a cura di Sante Oppici, fu edificata a Brea.
FONTI E BIBL.: Beato Buralli 1889, 215, 217-220; E. Dall’Olio, Corniglio e la sua valle, 1960, 155-157; B. Quarantelli, in Gazzetta di Parma 14 marzo 1983, 3; Gazzetta di Parma 21 maggio 1995, 28.
Parma 1324
Fu di professione tornitore in legno. Un documento dell’Archivio Governativo di Parma lo dice attivo nell’anno 1324.
FONTI E BIBL.: A. Ronchini, Degli intagliatori in legno, in Atti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia Patria di Modena e Parma 1876; Lopez, 37; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 186; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle arti parmigiane, 1911, 29.
Piacenza-Parma post 1365
Pittore ricordatao in un rogito notarile in data 15 marzo 1365: Franciscetus de Boveriis per se et suos heredes concessit et locavit magistro Icobino de Placentia pictori qui nunc habitat in vicinia Sancti Siri parmensis unam domum posta nella parrocchia di San Siro suddetto per l’annuo fitto di soldi XXV imperiali obbligandosi pagarli entro lo stesso marzo (rogito di Barnaba Aliotti, nell’Archivio dei monaci di San Giovanni Evangelista di Parma).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti Parmigiane, 1911, 33-34.
Ramiano-post 1493
Fu Canonico della pieve di Collecchio, investito di un beneficio ecclesiastico nel territorio della stessa pieve (Regestum Vetus, 1493).
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
Collecchio 1273/1299
Fu Canonico della pieve di Collecchio, come ricordato dal Sinodo Diocesano effettuato nel 1273 dal vescovo di Parma Obizzo Sanvitale. Compare nella stessa carica anche nella Ratio Decimarum del 1299, ove egli si scusa per non essere in grado di pagare la decima di una lira imperiale.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
Parma seconda metà del XV secolo
Fu bombardiere attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 194.
Parma seconda metà del XV secolo
Ricamatore attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 193.
GIACOMO DA COMPIANO, vedi TABURRONI PIETRO MARIA
GIACOMO DA LURAGO, vedi LURAGO GIACOMO
Milano-post 1520
Residente a Parma nel 1520 nella vicinia di Santa Cecilia, fu annoverato nel Liber Equalantiae lancirum per un estimo di lire 100 imperiali (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, c. 117 v.).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol. III, c. 301; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 346.
Parma 1449
Sfuggì al Pezzana e al Lopez, quando scrissero delle arti parmigiane, il nome di questo scultore che operò nella prima metà del XV secolo. Il 14 maggio 1449 i capitani della Libertà di Milano scrissero ai deputati della Veneranda Fabbrica del Duomo di quella città perchè consegnassero allo scultore Giacomo da Parma tanto marmo per il valore di 100 ducati onde erigere un sepolcro al famoso Niccolò Piccinino. Una segreta ragione di Stato impedì l’esecuzione di questo monumento (così si esprime il Franchetti a pagina 88, nota 1, della sua Storia e descrizione del Duomo di Milano), al quale, sembra, avrebbe dovuto lavorare anche Giacomo da Parma.
FONTI E BIBL.: Franchetti, Storia e descrizione del Duomo di Milano, Milano, tipografia De Stefanis, 1821, 88; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 57; Bessone, Scultori e Architetti, 1947, 254.
Parma 1550
Intagliatore all’acquaforte, visse alla metà del XVI secolo. Si ha di lui il Martirio di San Pietro e di San Paolo, dal Parmigianino (in Roma, nel palazzo Panfili), acquaforte eseguita sul gusto di Giacomo Caraglio, al quale è spesso attribuita. Giacomo da Parma appartenne probabilmente alla stessa famiglia di Battista da Parma.
FONTI E BIBL.: G. Gori Gandellini, Notizie degli Intagliatori, III, 1808, 9; A. De Angelis, Notizie degli Intagliatori, XIII, 1814, 30-31; De Boni, Biografie degli artisti, 1840, 749.
GIACOMO DA PARMA, vedi anche MILANI JACOPO e ROBAZI GIACOMO
Ramiano 1341/1354
Fu Arciprete di Corniglio e Vicario Generale del vescovo Ugolino Rossi. Nell’esercizio della sua alta carica compare solo in alcune circostanze: nel 1341 in occasione della fondazione di un beneficio in Cattedrale da parte di Giacomo del Bocheto, sotto l’invocazione di Maria Vergine e San Martino, e nel 1347 quando approvò un’altra fondazione fatta da Giacomina Ferdulinda, figlia di Rolando, sotto il titolo della Beata Vergine e di Santa Cecilia nella chiesa omonima. Ma il nome di Giacomo da Ramiano è soprattutto legato all’istituzione di una cattedra per l’insegnamento della musica al giovane clero. L’8 giugno 1353 il Capitolo della Cattedrale di Parma si riunì nel Palazzo Vescovile per decidere la scelta di un maestro di musica e per la fondazione di una congrua dote che obbligasse in perpetuo anche i successori a istruire nel canto i chierici. Il primo esperto designato fu Nicolò da Carpaneto, che esercitò il suo ufficio dal 1 aprile al 1 luglio e dal 1 ottobre al 1 dicembre. L’atto fu steso dal notaio Ambrogio Naselli e tra i testimoni figura appunto Giacomo da Ramiano, Camerario, Sindaco e Procuratore generale del vescovo Ugolino Rossi. Nel 1354 fu Canonico della pieve di Collecchio.
FONTI E BIBL.: E. Dall’Olio, Cornignio e la sua valle, 1960, 28; U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
San Secondo-post 1523
Cantore e strumentista, dal 1501 fu al servizio della Corte di Mantova. Nel 1523 ottenne una pensione.
FONTI E BIBL.: J. Fenlon, Musicisti e mecenati a Mantova nel ’500, Bologna, Il Mulino, 1992.
Tizzano 1269
Da una lettera di papa Alessandro IV data da Anagni il 3 marzo 1269 (Archivio Capitolare di Parma) risulta che il Papa riservò per il suo servizio un certo numero di canonici della chiesa di Berceto. In tale lettera, diretta all’Abate di San Giovanni di Parma, si dice che Giacomo da Tizzano, canonico della chiesa di Berceto succeduto nella prebenda del canonico Armanno, scrittore del Papa, per autorità apostolica, era appunto uno dei canonici per servizio del Papa: Quaerelam dilecti Filii Jacobi de Tizano canonici ecclesiae de Berceto recepimus, continentem quod licet praebenda quam in eadem ecclesia per mortem Magistri Armanni de Berceto, ipsius Ecclesiae Canonici vacasse dignoscatur eidem Jacobo qui in eccelsia praedicta Apostolica Autoritate receptus ex istit in Canonicum et in fratrem, et est unus da numero per constitutionem nostram in eadem ecclesiae reservato.
FONTI E BIBL.: G. Schianchi, Berceto e i suoi Arcipreti, 1927, 23-24.
GIACOMO ANTONIO DA REGGIO, vedi BAZZI GIOVANNI ANTONIO
GIACOMOTTI GIUSEPPE, vedi GIACOMETTI GIUSEPPE
Parma 1309
Calligrafo, il quale copiò un libro di Giacomo da Vitrì che fa parte della raccolta del Bongarsio, Gesta Dei per Francos: incipit historia ierosolimitana avreviata scripta de mandato Reverendi patris D.ni Rolandi Dei g.ra Laucadensis Episcopi per me Iaconum Conradum de Parma Scriptorem et notarium ipsius D.ni Episcopi, in anno D.ni Millo trecentes.° nono septimae Indictionis. L’Andres fu il primo a dare notizia di questo artista e dopo lui il Pezzana.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Continuazione degli scrittori, tomo VI, parte 2, 271; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 29.
Borgo Taro 15 agosto 1848-San Polo di Piacenza 22 gennaio 1915
Compì gli studi nel Seminario vescovile di Piacenza. Ordinato sacerdote, si trattenne per circa quindici anni nella sua diocesi, fintanto che venne incardinato nella diocesi borghigiana dal vescovo Vincenzo Manicardi. Fu dapprima curato a Samboseto, quindi in seminario vice rettore e professore di filosofia e lettere nel liceo. Annoverato nel capitolo della Cattedrale, rinunciò il 4 luglio 1911 a ogni attività per ritirarsi come semplice sacerdote a Piacenza. Fu autore di alcune opere di carattere storico e biografico, tra le quali San Donnino Martire (Ed. Salesiana, Torino, 1893), Il XVI Centenario di San Donnino Martire. Cronistoria e documenti delle feste celebrate in Borgo San Donnino nell’Ottobre 1893 (Ed. Bertola, Piacenza, 1894), I Vescovi di Borgo San Donnino (Ed. A. Mattioli, Borgo San Donnino, 1903), dedicata a monsignor Pietro Terroni nel giorno del suo ingresso in diocesi, Discorsino funebre in elogio di mons. Carlo Maria Fontana, Vicario Generale di Borgo San Donnino, 26 dicembre 1885 (Tip. Osservatore Cattolico, Milano, 1885), articoli giornalistici e altri opuscoli illustrativi di festività e di celebrazioni.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 185.
Collecchio 1853/1858
Ingegnere civile, eseguì un rilievo alla strada del Bergamino di Madregolo (1853). Acquistò il podere del conte Caimi tra la strada di Fornovo e la strada della Scodogna (1857) e un tratto della strada della Scodogna (1858). Fu consigliere anziano del comune di Collecchio nel 1858.
FONTI E BIBL.: Collecchio e Sala Baganza, lettura d’ambiente; Malacoda 9 1986, 43.
Parma 27 gennaio 1808-Parma 2 aprile 1893
Formatosi alla scuola di Giuseppe Boccaccio, gli successe come scenografo nel Teatro di Parma (tenne questa carica dal 1839 al 1851). Il Giacopelli lavorò in collaborazione con Nicola Aquila (1840 e 1844), altro allievo del Boccaccio, quindi col Magnani (1848). Dal 1857 fu valente insegnante di prospettiva all’Accademia di Belle Arti di Parma e ottimo pittore prospettico. Assieme a Vincenzo Bertolotti e a Giacomo Gelati lavorò alla realizzazione del Teatro di Fiorenzuola d’Arda, inaugurato l’8 ottobre 1853. La sua attività è documentata da poche opere, tra cui Interno del Duomo di Parma durante la benedizione della bandiera della Guardia Nazionale e Atrio della Pilotta in Parma (Parma, Pinacoteca Nazionale) e le prospettive che fanno da sfondo all’altare maggiore nelle chiese di Santa Cristina e di San Rocco. Enrico Prati fu suo allievo.
FONTI E BIBL.: Catalogo R. Galleria di Parma, 1896; N. Pelicelli, Guida di Parma, 1910; A.M. Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1972, 1452; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, volume XIII, 1920; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 103; Aurea Parma 2 1936, 66; G. Copertini, La pittura parmense dell’Ottocento, Milano, 1971, 54-55; Dizionario Bolaffi pittori, V, 1974, 396; V. Gandolfi, Il Teatro Farnese, 1980, 157; Archivio dell’Accademia, Parma, Atti, volume 7, 1857-1863; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, volumi IX e X; Giusto, 1991, 6-7; Città Latente, 1995, 90; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Parma XVIII/XIX secolo
Successe al Tonani nella direzione della Stamperia Carmignani.
FONTI E BIBL.: G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, 1905.
Parma XIX secolo
Fu poeta dialettale di buon valore.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 423.
Parma 24 maggio 1838-Parma 28 aprile 1903
Figlio di Giacomo e anch’egli professore di prospettiva, fu aggiunto di scenografia alla scuola di Girolamo Magnani, che finì praticamente per sostituire, accollandosi progressivamente l’intero onere dei corsi ancora prima di succedergli sia nella cattedra di ornato (1878), poi di prospettiva e quindi di scenografia (1889) all’Accademia di Belle Arti sia nella direzione del Teatro Regio di Parma, carica che lo impegnò dal 1887 al 1902. La stessa enorme e prodigiosa attività del Magnani andrebbe totalmente rivista per rintracciare quanto di essa è dovuta al Giacopelli, suo umile e preziosissimo collaboratore. Se indiscusse rimangono l’abilità e la rapidità impressionistica degli schizzi del più noto artista, non inferiori risultano i bozzetti del Giacopelli, a esempio per la Cavalleria Rusticana o per la Bohème (Parma, Museo del Teatro presso la Biblioteca Comunale), poetica espressione di un realistico superamento di reminescenze ottocentesche, di fondamentale importanza nello sviluppo della moderna scenografia e nella formazione di artisti quali Giuseppe Mentessi, Vittorio Rota e Giuseppe Carmignani, che crebbero alla sua scuola. Lavorò nei maggiori teatri: fu in Portogallo, a Costantinopoli, alla Scala di Milano e al San Carlo di Napoli. Del suo lungo e apprezzabile lavoro rimangono solo pochi bozzetti (pare che tutte le altre scene siano state distrutte pochi mesi prima della morte dello stesso Giacopelli). Non minore fascino dei bozzetti rivelano alcuni preziosi studi d’interni come l’olio Cortile del convento di San Giovanni Evangelista a Parma (Parma, Pinacoteca Nazionale) o la suggestiva tela La cripta del Duomo di Parma (Parma, raccolta privata), nei quali gli effetti scenografici dei tagli, dei timbri luminosi e le figurette accennate per rapidi tocchi di pennello denunciano un completo superamento dei modi paterni, statici e privi di ogni animazione. Nella pittura di esterni poi, come in Fiancata del Duomo di Parma (Parma, Pinacoteca Nazionale), l’espressione del Giacopelli è spoglia delle spigolosità proprie dei prospettici. Nel 1859 combattè come volontario a San Martino. Nel 1866 partecipò alla mostra della Società di Incoraggiamento con il Cortile del convento di San Giovanni Evangelista che venne vinto dalla Pinacoteca di Parma. L’anno seguente presentò invece a Bologna l’Interno del chiostro dei Domenicani a Caltanisetta. Nel 1870 espose alla mostra nazionale parmense il Sotterraneo della Cattedrale di Parma e il Vestibolo del Teatro Farnese e parte del contiguo cortile della Pilotta, partecipando poi come membro al Primo Congresso Artistico, ottenendo, tra l’altro la patente di maestro di disegno.
FONTI E BIBL.: Atti delle Regie Accademie, 1867, 24; Catalogo delle opere esposte, 1870, 52; Atti ufficiali, 1871, 3; L. Pigorini, Atti, 1879, 12; A. Ferrarini, 1882, 16, nota 55; L., in Gazzetta di Parma 7 marzo 1888; C. Ricci, 1896, 385; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, volume X, 72; S. Visco, 1928; Inventario dei manoscritti dell’Istituto P. Toschi, volume II, n. 6115; A. Pettorelli, 1939, 136; G. Allegri Tassoni, 1941, 61; E. Bénézit, 1955, volume IV, 236; G. Copertini, in Gazzetta di Parma 7 dicembre 1967, 6; Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 86; U. Beseghi, in La Democrazia 29 aprile 1903, n. 33; A. Rondani, in Gazzetta di Parma 30 aprile 1903, n. 118; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 106; C. Alcari, Parma nella musica, 1931,103; G. Allegri Tassoni, Catalogo della Mostra dell’Accademia Parmense, Parma, 1952, 40-45; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 79; G. Allegri Tassoni, La scenografia, in teatri di Parma dal Farnese al Regio, Parma, 1969, 229; G. Copertini, La pittura parmense dell’Ottocento, Milano, 1971, 56 e 58-59; A.M. Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1972, 1452; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi pittori, V, 1974, 396-397; Dietro il sipario, 1986, 286; M. Sacchelli, in Gazzetta di Parma 16 settembre 1996, 5.
Berceto seconda metà del XIV secolo
Fu frate e nono compagno, come lo definisce Fra Salimbene, di Giovanni Buralli, generale dei Francescani. Giacopino fu di onesta e santa vita, buon predicatore e fornito di forte voce. Fu Guardiano del Convento di Rimini (Fra Salimbene) detto dei Conventuali, fondato da Francesco
FONTI E BIBL.: G. Schianchi, Berceto e i suoi Arcipreti, 1927, 25-26.
GIACOPO DA PARMA, vedi ROBAZI GIACOMO
Salsomaggiore 14 settembre 1911-Milano 28 marzo 1961
Conseguì il brevetto di pilota su apparecchio Aviatick all’Aerocentro da Turismo di Milano nel giugno 1932. Appassionato sportman dell’automobilismo, si dedicò poi all’aviazione da turismo e agli studi relativi di aeronautica.
FONTI E BIBL.: E. Grossi, Eroi e pionieri dell’aria, 1934, 131.
Parma 7 agosto 1878-post 1920
Figlio di Napoleone e Giuseppa Tommasini. Violoncellista, oltre a suonare nel quartetto paterno e in teatro, negli anni Venti fece parte del complesso che, diretto da Edna Watry, musicava i film muti al cinema Orfeo di Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Parma 1533
Fu cantore nella chiesa della Steccata in Parma nell’anno 1533.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 13.
Parma 1869 c.-1957
Figlio di Napoleone e Giuseppa Tommasini, fu per quarant’anni violinista al Teatro alla Scala di Milano. Andò in pensione per limiti di età nel 1956.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Parma 20 gennaio 1843-Borgo San Donnino 23 agosto 1921
Appartenente ad agiata famiglia borghigiana, proprietaria di beni stabili in Siccomonte, ebbe i natali a Parma, dove il padre risedette provvisoriamente in qualità di funzionario del Governo ducale. A Parma frequentò il Conservatorio musicale, diplomandosi maestro di violino, strumento che aveva studiato con Domenico De Giovanni, ed entrando nel complesso orchestrale del Teatro Regio. Poi si arruolò nelle file garibaldine e partecipò alle campagne del 1860, 1861 e 1866. Congedato, rientrò in famiglia, ristabilitasi a Borgo San Donnino, e ivi riprese l’attività musicale. Nel 1873 si trasferì nuovamente a Parma, che lasciò alcuni dopo per fissare definitivamente la propria dimora a Borgo San Donnino, avendo vinto nel marzo 1884 il concorso bandito dal Comune per il posto di maestro della Scuola di musica e di direttore dell’orchestra e della banda cittadina, che per suo impulso si classificarono poi tra i migliori complessi orchestrali della provincia. Si dedicò anche alla composizione e all’insegnamento: tra i suoi allievi ebbe Giuseppe Baroni e i figli Donnino e Giovanni, quest’ultimo per un quarantennio professore di violino al Teatro alla Scala di Milano e per vari anni sotto la direzione di Arturo Toscanini. Le sue opere, composte per un’orchestra dell’organico di quella del Comune di Borgo San Donnino, ossia per un sestetto d’archi e altrettanti strumenti a fiato, furono rappresentate con successo a Parma e a Borgo San Donnino, il cui Comune ne conserva i manoscritti. Esse sono costituite dai quattro melodrammi giocosi in tre atti rappresentati al Teatro Reinach di Parma negli anni 1879-1880, Il cacciatore d’Africa o La pelle del leone (1879), Lo zio d’America (1880), Thamar e L’ultima notte di Carnevale (1880), da La fata di Benevento, fiaba musicale in tre atti, e da La scommessa, scherzo musicale in un atto. Compose pure una sinfonia dal titolo Don Chisciotte, un preludio sinfonico, due valzer, una polka e una romanza. Nel dicembre 1895 le misure restrittive attuate dal commissario regio del Comune, Tabanelli, per sanare le finanze municipali, condussero alla soppressione dell’orchestra del teatro e dell’insegnamento degli strumenti ad arco, onde il Gialdi dovette ritenere la sola direzione della banda e della Scuola di musica per il restante ramo di insegnamento. La costituzione nel 1902, per iniziativa del maestro Baroni, di un nuovo complesso bandistico intitolato a Giovanni Rossi, nel quale entrarono i migliori elementi della banda cittadina, indusse il Gialdi a concordare nel 1906 con l’allievo la fusione dei due complessi in uno solo, che tenne alto il prestigio della banda municipale borghigiana. Un anno dopo, il 23 giugno 1907, ottenne dal Comune di essere collocato a riposo perché sofferente di gravi disturbi del sistema nervoso e circolatorio e anche per le gravi condizioni della vista. Ridotto in uno stato di cecità quasi totale, rinunciò da allora all’attività che tanto l’appassionava, ritirandosi nella sua abilitazione a Borgo San Donnino a trascorrervi gli ultimi anni di vita.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 79; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 185-187; Dizionario musicisti UTET, 1986, III, 188.
Parma 1887/1940
Intagliatore. Eseguì i mobili e le suppellettili della Camera d’Oro di Torrechiara (1910-1911) e degli arredi del Castello di Gabiano Monferrato.
FONTI E BIBL.: Gli anni del Liberty, 1993, 156.
Parma 1650-Cremona 1720
Dai vecchi storiografi è citato come cremonese ma il Lanzi e il Grasselli assicurano che fu oriundo parmigiano, domiciliato a Cremona, dove rimase fino alla morte. Il Lanzi rammenta pure che lo Zaist lo annovera nella scuola cremonese come celebre dipintore di fiori, che era solito disporre anche in tavoli coperti, di tappeti, e quivi pure collocò istrumenti di suono e libri e carte da giuoco, il tutto con una verità e con tanto buone tinte, ch’egli da tenui cose ha tratta non tenue fama. Nel Museo civico di Cremona e nel Palazzo comunale della stessa città sono conservate sue opere. In alcuni particolari di queste nature morte (piatto di biscotti, panneggio) appare un po’ più di richiamo fiammingo di quanto non sia in altri seguaci del Baschenis (Delogu). Mentre i pochi biografi che si occupano del Gialdisi concordano nel dirlo attivo ancora intorno al 1720, uno dei dipinti del Museo civico cremonese reca la data del 1645. Le opere del Gialdisi furono sovente attribuite al Baschenis stesso, dal quale il Gialdisi desunse non pochi caratteri. Si muove in una area di gusto quasi artigianale che sembra trasferire certi motivi del Fieravino negli schemi della bottega del Baschenis.
FONTI E BIBL.: G.B. Zaist, Notizie istoriche de’pittori cremonesi, Cremona, 1774; L. Lanzi, Storia pittorica, Milano, 1821; G. Grasselli, Abecedario biografico dei pitttori cremonesi, Milano, 1827; S. Ticozzi, Dizionario degli Architetti, II, 1831, 173; G. Delogu, Pittori minori liguri lombardi e piemontesi del Seicento e del Settecento, Venezia, 1931; L. Angelini, I Baschenis, Bergamo, 1943, 1945; U. Thieme-F. Becker, volume XIII, 1920; S.H. Pavière, A Dictionary of Flower, Fruit and Still-life painters, Leigh-on-Sea, 1962; Dizionario Bolaffi pittori, V, 1974, 397; Enciclopedia pittura italiana, II, 1950, 1088.
Parma seconda metà del XV secolo
Ricamatore attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 263.
GIAMBATTISTA DA BORGO SAN DONNINO, vedi GODI GIOVANNI BATTISTA
GIAMBERNARDO, vedi GIOVANNI BERNARDO
Parma 1662/1680
Fu eletto Abate della chiesa di San Sepolcro in Parma per quattro volte: 1662-1664, 1665-1667, 1674-1676 e 1677-1680.
FONTI E BIBL.: V. Soncini, Chiesa di San Sepolcro, 1932, 91.
Parma 1766
Nel 1766 fu medico condotto a Borgo Taro.
FONTI E BIBL.: U.A. Pini, Vecchi medici, 1960, 30.
GIAMMARCO DA BUSSETO, vidi BUSSETO MARCO GIOVANNI
GIAMPAOLO DA PARMA, vedi ZURLINI ANTONIO
GIAMPEPE SATURNINO, vedi MONTANARI GIUSEPPE
Parma 1922-Parma 14 novembre 1985
Chiamato alle armi nella seconda guerra mondiale, si fece onore come combattente riportando anche una ferita, abbastanza grave, a un occhio. Diplomatosi come insegnante elementare, insegnò nei primi anni nelle scuole di Parma. Durante il periodo trascorso sotto le armi, a prezzo di sacrifici riuscì a laurearsi in scienze coloniali presso l’Università di Napoli. Dopo la guerra tornò all’insegnamento presso le scuole elementari per passare poi alle scuole medie come insegnante di francese. Fin da giovane il Giampietri fu un innamorato del teatro. Infatti debutto col teatro universitario, dove per molti anni si mise in luce per le sue spiccate doti interpretative. Dopo questa esperienza di teatro in lingua, passò, anima e corpo, al teatro dialettale, dove trovò la sua collocazione artistica ideale, specie per la sua eccezionale comunicativa. E proprio come autorevole esponente della Compagnia dialettale della Famija pramzana, nella quale recitò per dieci anni, ebbe le migliori soddisfazioni. Fu un caratterista di talento. Sono ricordate soprattutto le sue interpretazioni come prete di campagna oppure come anziano gaudente.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 16 novembre 1985, 5.
GIANANTONIO DA REGGIO, vedi BAZZI GIOVANNI ANTONIO
GIANBERNARDO DA CORNAZZANO, vedi CORNAZZANO GIOVANNI BERNARDO
Coltaro 1904-Parma 1974
Si diplomò all’Accademia di Brera a Milano (allievo di Aldo Carpi e amico di Carlo Corvi e Renato Vernizzi), dove conseguì il premio Bozzi-Caimi per il ritratto. Nel 1930 partecipò alla Mostra internazionale di Monza: due tappeti da gioco, da lui disegnati ed esposti, sono riprodotti nel volume di C.A. Felice Arte decorativa 1930 all’Esposizione di Monza. Partecipò alla 1a e 2a Mostra regionale sindacale a Bologna e Forlì e alla 1a Mostra d’arte del Sindacato provinciale di Parma. Eseguì decorazioni figurative alla 1a Mostra dell’artigianato emiliano-romagnolo di Parma. Partecipò a concorsi per cartelloni pubblicitari e copertine di riviste, conseguendo premi. Insegnò tempera e xilografia ai propri alunni del ginnasio Maria Luigia. Dal 1958 insegnò figura all’Istituto d’arte di Parma. Il Giandebiaggi fu anche collaboratore della Gazzetta di Parma.
FONTI E BIBL. F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 157.
GIANDEMARIA ANTONIO, vedi ZANDEMARIA ANTONIO
Parma 1480
Fu creato nel 1480 Cavaliere di San Giovanni.
FONTI E BIBL. L. Araldi, L’Italia nobile, 1722.
Parma 1575-Parma 12 settembre 1645
Nacque da Tiberio, abitante nei pressi della chiesa di San Salvatore. Tenuto al fonte battesimale dal principe Alessandro Farnese, divenne dottore espertissimo in ambo le leggi (1603), Lettore all’Università di Parma, Priore del Collegio dei Giudici e membro dell’Ordine dei Decurioni. Patrocinò cause poderose e fu nominato Consigliere ducale nonché Presidente di cause civili a Piacenza. Scrisse l’opera storico-politica Pubblici moti di Guerra e privati Maneggi per le Ragioni del Ducato di Castro e ancora cinque volumi di Responsi e Allegazioni. Sposò Elisa Ceretoli, dalla quale ebbe Ranuccio, Tiberio e Giulio. Fu sepolto nel Duomo di Parma con il seguente epitaffio: Ill.mo d. Francisco Ziandemariae nob. patric. parmen. I.V.D. hvmanae divinaeq. philosoph. peritiss. a iuvene legvm pvblice professori mox avreis elvcvbrationibvs vndiqve vvlgatis celeberrimo Placentiae civilibvs cavsis avditori tvm vero in excel. ivstitiae senat. consiliario a ser.mo Ranvccio delecto insignes eivs virtvtes popvlis deplorantibvs obiit anno MDCXLV prid. id. sept. aetatis svae LXX atqve hoc illi monvmentvm amoris et mortis Ranvccivs Tiberivs et Ivlivs memores filii.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 67-68; Aurea Parma 2 1956, 145; Palazzi e casate di Parma, 1971, 440.
Parma 1635/1681
Scrisse Publici Moti di Guerra e privati Maneggi d’Accordo Per le Ragioni del Ducato di Castro e Ronciglione. Istoria del Conte Francesco Giandemaria Parmigiano (ms. in folio del XVII secolo). È dedicato dal Giandemaria al re Luigi XIV in data di Parma 1 giugno 1681. Ha 552 facce, senza contare l’indice amplissimo e i preliminari. Copre il periodo dall’anno 1635 al 1668, toccando, in principio, della guerra del duca Odoardo Farnese contro i Barberini.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 714.
GIANDEMARIA FRANCESCO, vedi anche ZANDEMARIA FRANCESCO
GIANDEMARIA GHERARDO, vedi ZANDEMARIA GHERARDO
GIANDEMARIA GIACOMO, vedi GIANDEMARIA JACOPO
GIANDEMARIA GIAMBATTISTA, vedi ZANDEMARIA GIAN BATTISTA
Parma 1512/1518
Nel 1512 il Giandemaria, capitano appartenente alla fazione dei Rossi, fece parte dell’ambascieria parmigiana a papa Giulio II, che lo creò cavaliere (1518). Fu poi Commisario di Salsomaggiore e riuscì ad aumentare di un quarto la produzione del prezioso sale (Rizzi). Occupò inoltre vari e notevoli uffici pubblici.
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 440.
Parma 1601 c.-Parma 1630
Nacque da Francesco e da Elisa dei conti Ceretoli. Fu Lettore di Medicina all’Università di Parma e, quale dotto medico, venne consultato con altri onde fornire consigli e direttive sulla peste del 1630, che si era propagata largamente anche in terra parmigiana (E. Casa). Assistendo gli appestati, contrasse il morbo e ne morì.
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 441.
Parma-Piacenza 5 aprile 1681
Marchese, Canonico, Vicario generale in Parma e consigliere del duca Ranuccio Farnese per la Dettatura e Segnatura (1652), fu eletto Vescovo di Piacenza il 9 novembre 1654 da papa Innocenzo X. Prese possesso della Chiesa piacentina il 12 marzo 1655. Sotto il suo governo fu fabbricata la chiesa di San Girolamo e l’Ospizio delle Preservate e furono soppressi i frati Gesuati. Tenne un Sinodo nel maggio del 1677, che fu pubblicato coi tipi Bazachi (ne fu promotore il canonico Pier Maria Campi). Lasciò cospicui doni alla Cattedrale di Piacenza. Il suo cadavere ebbe sepoltura nella chiesa di San Rocco in Parma.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 252-253; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 460; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 272.
GIANDEMARIA GIUSEPPE, vedi anche ZANDEMARIA GIUSEPPE
GIANDEMARIA IACOPO, vedi GIANDEMARIA JACOPO
Parma 11 novembre 1638-Ancona 1692 o 1693
Nacque dal conte Papiniano e dalla marchesa Giulia Pallavicino. Gli fu padrino di battesimo il duca Odoardo Farnese. Dopo buoni saggi in Lettere, il Giandemaria si volse alle leggi civili, vi si laureò e fu aggregato al Collegio dei Giudici di Parma. Compose poesie latine e scrisse svariate opere letterarie, politiche e storiche. Appartenne all’Accademia denominata degli Infecondi di Roma. Entrato poi in prelatura, attese alla riforma dei frati conventuali di San Francesco e del Monastero femminile di Santa Chiara. Al servizio dei papi in vari governi, fu vice-legato di Bologna (1673). Resse Ascoli, Foligno e Camerino, liberandole da ladri e banditi, e infine Perugia e la Marca di Ancona. Da papa Innocenzo XI fu nominato Referendrio dell’una e dell’altra Segnatura e poi inviato come Governatore a Frosinone, Alatri, Anagni, Ferentino, Veroli e Terracina. Ebbe inoltre il titolo di Commissario Apostolico e Visitatore delle province di Campania e Maremma. Nel 1668 passò a Forlì, dove restaurò il Palazzo Comunale e strinse amicizia con Gaddo Gaddi. Fu accolto tra gli accademici Filergiti di Forlì e tra i Concordi di Ravenna. Inviato come Governatore a San Severino, ne fece compilare e stampare gli statuti (Macerata, 1672). Scrisse opere di varia erudizione, tra le quali Dedicatoria e prefazione alle Osservazioni della lingua italiana del Cinonio (Selva, Forlì, 1685) e Riflessioni sopra la Costituzione LXXXVIII d’Alessandro VII (Pazzoni e Monti, Parma, 1693). Nel 1688 i religiosi del Terz’Ordine di Parma dedicarono al Giandemaria le Opere postume del padre Bordoni e Vincenzo Giobbi Fortebracci la sua Lettera istorico genealogica della famiglia Fortebracci da Montone.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 250-251; Aurea Parma 2 1956, 145; G. Vitaletti, La Poetica Tempe di Jacopo Zandemaria, letterato piacentino del XVII secolo, in Bollettino Storico Piacentino 18 1923, 151-165; G. Vitaletti, La Poetica Tempe di Zanobio Arcadamia, in Bibliofilia 27 1925-1926, 91-99, 146-162; Palazzi casate di Parma, 1971, 441; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1160; Letteratura italiana, I, 1990, 888.
GIANDEMARIA LODOVICO, vedi ZANDEMARIA LODOVICO
-Roma 1662
Marchese, da Ranuccio Farnese fu inviato come Residente presso papa Innocenzo X ai primi di dicembre dell’anno 1650, onde mutare le male inclinazioni del Papa verso la Casa Farnese. Era fratello di Giuseppe, che nel 1653 fu promosso al Vescovado di Piacenza, e zio di Francesco.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 714.
Parma 1540-post 1592
Figlio di Giulio. Fu al servizio del duca Alessandro Farnese in Fiandra, donde ritornò a Parma nel 1592. Fu poi Tesoriere ducale e tra i deputati sopraintendenti alle fortificazioni della città, nonché deputato sulle vettovaglie.
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 440.
GIANDEMARIA, vedi anche ZANDEMARIA
Parma prima metà del XVI secolo
Architetto militare attivo nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, III, 107.
Monchio 29 marzo 1923-Parma 19 marzo 1987
Si laureò in medicina e veterinaria all’Università di Parma. Una rapida e brillante carriera lo portò a diventare, giovanissimo, ordinario di microbiologia e immunologia. A questo importante incarico il Gianelli dedicò la propria vita, tra la stima dei colleghi e l’apprezzamento degli studenti. Il Gianelli fu direttore dell’Istituto di microbiologia della facoltà di Veterinaria e titolare degli insegnamenti di microbiologia generale e microbiologia degli alimenti. La sua intensa attività di docente fu strettamente legata alla ricerca, agli studi e alle pubblicazioni scientifiche. Tra le altre cose fu membro della Società italiana di scienze veterinarie, direttore del comitato di redazione degli annali della facoltà di veterinaria e direttore della biblioteca di facoltà. Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il Gianelli si distinse a livello nazionale e internazionale nel campo della batteriologia, abbracciandone, negli anni, tutti i molteplici aspetti.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 marzo 1987, 4.
Roccabianca 2 maggio 1896-Parma 9 marzo 1976
Studiò contrabbasso al Conservatorio di Parma con Antonio Conti e Vito Allegri, studi che furono interrotti dalla prima guerra mondiale, cui partecipò come ufficiale combattente. Si diplomò nel 1920 e, mentre studiava composizione, fu maestro sostituto al Teatro Regio di Parma. Dedicatosi alla professione orchestrale, fu primo contrabbasso alla Scala di Milano, al Teatro Regio di Torino, alla Rai, al Regio di Parma e all’Arena di Verona. Fu attivo anche come solista e componenete di complessi di musica da camera in Italia, Svizzera, Olanda, Francia e Tunisia. Nel 1940 fu nominato insegnante di contrabbasso al Conservatorio di musica di Parma. Andò in pensione nel 1966. Compose 16 Studi di tecnica, un Concerto fantasia e un Preludio per contrabbasso ed effettuò trascrizioni, revisioni e riduzioni. Dalla sua scuola uscirono: Riccardo Simonazzi, Sante Robuschi, Giovanni Zanardi, Werther Lepidi, Umberto Ferrari, Gino Ferrari (per 40 anni professore d'orchesta al Maggio Musicale Fiorentino) e Mario Prati.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998 ,377.
GIANELLI, vedi anche ZANELLI
Parma 1782/1787
Intagliatore, realizzò nel 1782 quattro bracciali portacero (nella chiesa della Santissima Trinità), nel 1783 due bracciali e sei portapalme e intagli a tre poltrone di Francesco Galli nell’oratorio di Sant’Antonio e nel 1787 intagli al baldacchino del Galli e al lampadario grande in San Giacomo a Soragna.
FONTI E BIBL.: B. Colombi, 1975, 223; G. Godi, in Gazzetta di Parma 7 settembre 1979, 3; Il mobile a Parma, 1983, 261.
GIANETTI, vedi anche ZANETTI
GIANFATTORI CARLO FERRANTE, vedi GIANFATTORI FERDINANDO CARLO
Parma 18 aprile 1578-Roma 9 giugno 1641
Nacque da Giovanni, famiglio di casa Farnese, che gli diede appunto i nomi di due dei suoi padroni, e Claudia Bochi. Più tardi lasciò cadere il cognome paterno, considerandolo plebeo, e assunse in suo luogo il secondo nome: Carlo e Carli sono le sole denominazioni testimoniate presso i contemporanei sino a quando l’importante contributo dell’Affò non chiarì le origini autentiche del Gianfattori. Nel 1591 ottenne la tonsura e due anni dopo gli ordini minori. A Bologna, Padova e Pavia fece studi di filosofia e di legge, laureandosi in diritto civile e canonico, ma trascorse questi anni per lo più a Bologna, allontanandosene verso il 1602-1603 qunado, come segretario, seguì a Roma il cardinale Paolo Sfondrato. Qui si legò all’ambiente che gravitava intorno all’Accademia degli Umoristi, dove espose nel 1605 un Discorso delle rassomiglianze poetiche. Conobbe il Marino e, più tardi, Virginio Cesarini, che gli dedicò l’ode Stolto il volgo. Nel 1608 lo Sfondrato fu destinato al Vescovado di Cremona e portò con sé il Gianfattori, che fu ascritto all’accademia degli Animosi. Restò qui, tranne brevi interruzioni, come un soggiorno a Bellagio nel 1611, per alcuni anni, fino a quando ottenne dallo Sfondrato la sua libertà e un appannaggio. Nei primi mesi del 1612 fu a Bologna, dove pubblicò alcuni brevi scritti encomiastici e apologetici: il Dialogo di Zefiro, Flora, Cupido, Felsina (1612), il Ragguaglio della perdita e ricuperazione della Sacra Benda di Nostra Signora (1613), e la Breve descrizione della festa fatta nella gran sala del signor Podestà l’anno 1615 il dì 2 marzo (1615). Durante il soggiorno bolognese il Gianfattori fu uno dei protagonisti della polemica del 1614 intorno al Marino: in quell’anno pubblicò, collo pseudonimo di conte Andrea dell’Arca, la Essamina intorno alle ragioni del conte Lodovico Tesauro in difesa d’un sonetto del Cavalier Marino. L’opuscolo è una puntigliosa ritorsione polemica nei riguardi del Tesauro, autore dello scritto (Ragioni in difesa d’un sonetto del Cavaliere Marino, Venezia, 1614), che il Gianfattori ritiene non solo pieno di errori ma anche plagio sfacciato della Difesa di Dante del Mazzoni. A ogni citazione del Tesauro fa seguire immediatamente la sua replica critica, in una specie di commento interlineare che si propone di rettificare o deridere le conclusioni dell’avversario. Il Gianfattori sostiene la validità della tradizione e trova dunque vana la novità del Marino. L’idea critica dominante è che solo il verisimile possa essere il fondamento della poesia, perché solo il verisimile può persuadere e regolare gli affetti del lettore. L’operetta del Tesauro pecca contro la grammatica, la retorica, la poetica, la logica, la storia, la favola, l’etica, la cosmografia e l’astrologia: i singoli punti sono partitamente svolti. L’opuscolo è nel suo complesso una incongrua superfetazione su un testo di peso e valore marginali. L’argomentazione vi è tutta indiretta e sfocata ed è sintomatico che l’oggetto stesso della disputa non venga toccato: il Marino è nominato genericamente a pagina 90 e si ha l’impressione che il Gianfattori sia preoccupato di non urtare lo scrittore napoletano, lasciandosi libera, per dir così, una via di uscita. La polemica infatti si accese (ne parla A. Aprosio, Biblioteca aprosiana, Bologna, 1673, 454 e seguenti), con la partecipazione di Francesco Dolci, Francesco Forteguerri, Giovanni Capponi, G.L. Valesio e, ancora, del Tesauro. E sebbene il Gianfattori cercasse di mobilitare gli avversari del Marino, finì col tacere, intimorito dalla virulenza degli antagonisti e soprattutto dalla sottile ipocrisia ricattatoria del Marino stesso: esemplari, per questo, sono due lettere del Marino al Gianfattori, del 22 febbraio e del 24 dicembre 1614 (pubblicate dall’Affò, V, 27 e s. e 33 e s. poi da C. Delcorno, 1963, 103 s., 107 s., e da M. Guglielminetti, in G.B. Marino, Lettere, Torino, 1966, 169 s., 186 s.). Alcune lettere relative alla polemica (sue, dell’Achillini, del Preti, del Pascali, del Grimaldi e del Tassoni, per il quale cfr. A. Tassoni, Lettere, a cura di G. Rossi, II, Bologna, 1910, 204) furono raccolte dal Gianfattori e si leggono nel ms. 269 dell’Ecole de Médicine di Montpellier. Il manoscritto raccoglie anche parte della corrispondenza con G.B. Manzini, R. Campeggi, G.P. Bellori, T. Stigliani e altri. A Bologna, secondo l’Affò, probabilmente brigò per qualche cattedra o ufficio ma senza gran successo, perché tra il 1615 e il 1616 lo si ritrova a Cremona ancora presso il cardinale Sfondrato. Morto questo nel febbraio 1618, il Gianfattori accolse l’invito di papa Paolo V a scrivere la storia della basilica vaticana e a fine settembre 1618 fu di nuovo a Roma. Pur asceso al sacerdozio e protetto dal cardinale Scipione Borghese, nipote del Papa, che alla fine del 1620 gli ottenne un beneficio nella basilica di San Gregorio (e di questo tempo è il Sermo de Deo trino et uno dedicato a Paolo V, recitato nella cappella del Quirinale e pubblicato a Roma senza indicazione di anno), dovette vivere con qualche ristrettezza. Così come sotto il pontificato di Gregorio XV (al quale è dedicato un Sermo de Christo ascendente, anche questo pubblicato a Roma senza data), mentre gli fu vantaggioso il papato di Urbano VIII. Per almeno una ventina d’anni il Gianfattori fu in rapporto con vari artisti (in particolare con Lodovico Carracci). Nell’ambiente romano poté coltivare e incrementare le sue atttività di dilettante, collezionista e intermediario, se non proprio di mercante d’arte. Fu in relazione con uno dei maggiori organizzatori della vita artistica romana, Cassiano Dal Pozzo, e con molti pittori ed ebbe qualche parte nei dibatti intorno alle arti figurative (per la sua ostilità al Bernini si veda S. Fraschetti, Il Bernini, Milano, 1900, 71). Nella Raccolta di lettere sulla pittura scultura ed architettura, I, Roma, 1754, 197-215, 218-240, 244 s., si trovano una lettera del Gianfattori al Lanfranco e numerose al Gianfattori: diciassette di Lodovico Carracci, dieci di Giovanni Lanfranco, altre di Alessandro Tiarini, Giov. L. Valesio, Lavinia Fontana, Simone Vouet, Niccolò Tornioli e Giulio Cesare Procaccini. L’elenco dichiara una netta predilezione per i Bolognesi (e più volte il Gianfattori è nominato da C.C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna, 1678, I, 448 e passim) e particolare per il Lanfranco, al quale commissionò varie opere per la sua collezione e di cui descrisse le pitture della cupola di Sant’Andrea della Valle a Roma (cfr. A. Borzelli, L’Assunta del Lanfranco in Sant’Andrea della Valle giudicata da Ferdinando Carli, Napoli, 1910). Il Gianfattori coltivò in proprio studi attinenti la storiografica artistica. Descrisse anche la basilica vaticana: sono citati nelle fonti un Typus Vaticani Templi (Roma, 1621), che risulta irreperibile, e un Templum Vaticanum expressum (Roma, 1622, che è certo indicazione erronea). L’opera restò inedita (cfr. Pezzana, in continuazione dell’Affò, VI, 396 s.): solo due frammenti furono pubblicati da G. Severano in Memorie sacre delle sette chiese di Roma (Roma, 1630, 268-292). Parte dell’opera è conservata manoscritta nella Biblioteca Vaticana, mss. Vaticano latino 10741-10742 e 10744 (una breve descrizione è data da Ch. Huelsen, Il Circo di Nerone al Vaticano, in Miscellanea Ceriami, Milano, 1910, 266-268). La bibliografia data dall’Affò elenca ben cinquanta scritti inediti: vi si notano discorsi e lezioni accademche, la citata descrizione delle pitture del Lanfranco, iscrizioni ed elogi, una biografia di Paolo V, chiose al De anima aristotelico, scritti politici e morali, poemetti sacri e varie tragedie. Parte di questo materiale (lettere, poesie, il racconto dei suoi disgusti col Marino) passò dalla biblioteca Albani alla biblioteca dell’Ecole de Médecine di Montpellier ed è elencata da G. Mazzatinti in Inventario dei mss. italiani delle biblioteche di Francia (III, Roma, 1888, 67 e s., 81). Il Gianfattori passò gli ultimi anni sempre al servizio dei cardinali Scipione e Pier Maria Borghese.
FONTI E BIBL.: L. Allacci, Apes urbanae, Romae, 1633, 92-96; Iani Nicii Erithraei (G.V. Rossi), Pinacotheca, I, Colonia Agripp., 1645, 240-245; G. Nicodemi, Otto lettere di L. Carracci a don Ferdinando Carli, in Aevum IX 1935, 305-313; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna, 1783, 94; I. Affò-A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma, 1789-1833, V, 21-54, VI, 691-701, 978 s., VII, 22 s., 667; G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano, 1848-1859, I, 81, 214, II, 37, III, 77, 134; J. Dumesnil, Histoire des plus célèbres amateurs italiens, Paris, 1853, 334-402; C. Delcorno, Appunti per l’Epistolario di G.B. Marino, in Studi Secenteschi IV 1963, 101-108; F. Croce, Tre momenti del barocco letterario italiano, Firenze, 1966, 98, 112, 121; F. Haskell, Mecenati e pittori, Firenze, 1966, 199 s.; C. Delcorno, Un avversario del Marino: Ferdinando Carli, in Studi Secenteschi XVI 1975, 69-155; M. Capucci, in Dizionario biografico degli Italiani, XX, 1977, 150-152; E. Bocchia, La drammatica a Parma, 1913, 127-128; Letteratura italiana, I, 1990, 888-889.
GIANFATTORI FERRANTE CARLO, vedi GIANFATTORI FERDINANDO CARLO
GIANFRANCESCO DA BORGO SAN DONNINO, vedi BARONI GIROLAMO e ROVEDI ASCANIO
GIANFRANCESCO DA PARMA, vedi ENZOLA GIANFRANCESCO
GIAN GIACOMO DA PARMA, vedi ZANIACOBO DA PARMA
-Fornovo 6 luglio 1495
Morì in combattimento nel corso della battaglia di Fornovo tra i confederati italiani e Carlo VIII.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 424.
Parma 1580/1600
Notaio, scrisse diversi sonetti nei quali non si ritrovano nè antitesi nè gonfiezze.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 198.
Parma 8 ottobre 1776-post 1831
Figlio di Lorenzo. Nel 1791 fu volontario al servizio di Parma. Nel 1803 ebbe il grado di Caporale (nel 1809 Caporale di Linea Francese) e nel 1813 di Sottotenente e Tenente. Nel 1814 fu congedato dal servizio di Francia e divenne Tenente del Reggimento Maria Luigia di Parma. Partecipò alle campagne di Spagna(1808-1813), di Francia (1814) e di Napoli e di Francia (1815).
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 24.
GIANGUIDI, vedi ZANGUIDI
San Pancrazio Parmense 9 dicembre 1910-Bologna 5 giugno 1986
Diplomato al Conservatorio di musica di Parma in organo (1933), musica corale (1942) e composizione (1942), dal 1939 fu docente di pianoforte complementare nell’Istituto stesso, trasferendosi a quello di Bologna nel 1964. Nel 1939, assieme ad Alfredo Bonora, compilò il Catalogo delle opere musicali delle biblioteche musicali bolognesi dell’Accademia Filarmonica, dell’Ambrosini e dell’Archivio di San Petronio.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
GIAN LUIGI o GIANLUIGI DA PARMA, vedi PARMA GIOVANNI LUIGI e SCAGLIONI RAIMONDO
GIANMARIA DA BUSSETO, vedi BUSSETO GIOVANNI MARIA
Parma 1542
Maestro bombardiere, fu a lungo al servizio della Repubblica veneta. Nel 1542 propose alcune sue invenzioni di artiglieria, tra cui un modo per riattare i pezzi inchiodati, una sistema di artiglieria leggera e un perfezionamento delle lancie a fuoco.
FONTI E BIBL.: Storia dell’artiglieria italiana, I, 544; Malatesta, Armaioli, 1939, 164.
GIANMARIA DA PARMA, vedi anche BOVI BARTOLOMEO
Parma-XIII secolo
Frate francescano, è ricordato da fra Salimbene come compagno di fra Giovanni da Parma: Fu uomo di lettere e buon cantore. Cantava benissimo nel canto melodico, cioè nel canto fratto; e nel canto fermo aveva più arte che voce, perché la voce l’aveva assai debole. Fu buon compositore (Cronica, sequenza 2617).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Colorno 1792
Intagliatore in legno. Nel 1792 collaborò con Ignazio Marchetti per la realizzazione degli ornati del coro, del baldacchino grande e delle placche portacero in San Liborio a Colorno.
FONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 260.
GIANNI, vedi FOCHI GIOVANNI
GIANNINO, vedi COPELLI EUGENIO
GIANNO BERNARDINO, vedi DA JANNO BERNARDINO
Montarsiccio 21 ottobre 1827-12 gennaio 1915
Figlio di una Lusardi di Montarsiccio, fu parroco e insegnante a Comuneglia. Docente tra i più validi del tempo, ebbe diversi riconoscimenti al merito educativo, lasciando tracce indelebili del suo insegnamento cristiano anche con molte pubblicazioni e manoscritti ma principalmente con un originale testo scolastico, La scuola di Comuneglia, che rimase in dotazione alla scuola stessa per molti anni ancora dopo la sua morte. Il testo, frutto di esperienze molto significative, è sudiviso in quattro sezioni di un unico corso e insegna la bella calligrafia tenendo in continuo esercizio la memoria, partendo da una base di vecchi proverbi, molto diffusi in quell’ambiente di antica civiltà contadina, per arrivare alla corrispondenza e alla poesia, vera passione del Giannone. Fin dalla gioventù si appassionò agli studi dei classici, prediligendo il Metastasio, pur ritornando sempre a Leopardi, di cui inserì nel suo testo ben dodici lettere da prendere a modello. Era sua abitudine declamare a memoria versi classici e stendere, sempre in lirica, gli avvenimenti più importanti della vita quotidiana in diari manoscritti rimasti inediti. La scuola diretta dal Giannone ebbe diversi attestati di merito: nel 1864 dal Comitato per i premi di incoraggiamento, nel 1865 con un premio Natoli, nel 1870 dal Comitato Ligure con medaglia di bronzo e biblioteca circolante e nel 1871 dal Ministero con medaglia d’argento. Tra gli altri scritti del Giannone, è un volume sul viaggio alla scoperta di Montarsiccio, terra di origine, in occasione della festa patronale della Madonna delle Grazie a fine agosto dell’anno 1869 in compagnia della madre, della sorella Marietta e dal fratello Luigi: l’opera è composta da tredici liriche, più una sulla gita al Monte Penna in appendice.
FONTI E BIBL.: F. Ferrari, Mito, tradizione, storia, 1983, 81-83.
GIANNOTTO, vedi ZANOTTO
Parma-post 1943
Dal 1° gennaio 1924 fu chiamato a dirigere la banda musicale di Carpi, che contava una cinquantina di esecutori. Insegnò anche nella Scuola comunale di musica, a una trentina di giovani, clarinetto, ottoni e percussioni. Nel 1943, essendo compromesso con il regime fascista, lasciò la città.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
Parma seconda metà del XVII secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 199.
Parma 1902/1927
Architetto, allievo del Mancini, dimostrò nelle sue opere di prediligere in modo speciale lo stile romanico, che interpretò con modernità, con eleganza e con spiccato senso pratico. La bella Villa Gennari (Parma, Viale Campanini) fu iniziata nel 1925 e ultimata l’anno dopo. Tra il 1926 e il 1927 progettò e costruì la Villa Zambernardi sita in Viale Duca Alessandro a Parma.
FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 284.
Fornovo di Taro 1897-Bocchette di Mezzo 25 novembre 1917
Figlio di Giovanni. Alpino dell’8° Alpini, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Bello esempio di valore e di fermeza, comandato di pattuglia ed aggirato dal nemico in forze, con tenacia e fermezza assicurava il ripiegamento del grosso della pattuglia, finché non cadeva da valoroso colpito in fronte.
FONTI E BIBL.: Bolletino Ufficiale, 1919, Dispensa 34a, 2413; Decorati al valore, 1964, 50.
Parma prima metà del XVIII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 111.
Parma 1783/1796
Intagliatore ricordato per i seguenti lavori: 1783 due lampadari in Sant’Antonio, 1788 stimò il baldacchino del Galli in San Giacomo a Soragna, 1795-1797 intagli dei credenzoni in San Giuseppe, verso il 1796 fu interpellato per l’esecuzione dei capitelli all’altare maggiore in Steccata, poi non realizzati.
FONTI E BIBL.: B. Colombi, 1975, 56; Mendogni, 1979, 81; Il mobile a Parma, 1983, 261.
Parma 5 luglio 1886-1953
Figlio di Arealdo e Itala Spaggiari. Fu presidente della Tipografia Bodoniana e dal 1912 editore di Aurea Parma.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 38 1954, 64; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 498.
Parma 1905-1966
Fu impresario di pompe funebri, notissimo in Parma vecchia per l’avviata impresa ma soprattutto perché nel suo negozio gli anziani e i bisognosi andavano a chedere piccoli prestiti per arrivare alla fine del mese. Amante della musica lirica, fu socio della Corale Verdi e socio fondatore e presidente di una società carnascialesca, la Pedroni.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 157.
Parma 24 agosto 1881-Parma 11 giugno 1964
Figlio di Arealdo e Itala Spaggiari. Fu pittore paesaggista di buon livello. Rimase sempre legato alla sua tecnica, alla sua maniera semplice e ai suoi temi preferiti: amò riprodurre scorci del Parco Ducale di Parma nell’alternarsi delle stagioni, aspetti della dolcezza della campagna parmense e, in modo particolare, si appassionò a riprendere le piante, le frasche tenere e lucenti della primavera e l’acqua dei torrenti. La sua scuola furono la natura e l’osservazione diretta dal vero: da scrupoloso autodidatta quale fu, riuscì a fermare sulla tela in modo semplice, felice e sereno la sua personale, elementare visione del mondo, riprodotto con minuzioso e castigato disegno e con una tavolozza morbida e chiara. Partecipò fedelmente alle mostre indette dai vari enti della città di Parma e, su invito, alle Quadriennali romane, conseguendo sempre lusinghieri successi di pubblico e di critica.
FONTI E BIBL.: R. Allegri, in Parma nell’Arte 2 1964, 118; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 498.
Parma 1903-1968
Acquisì nel 1930 l’originaria fornace Armando Marchi, dedita alla produzione di camini e vasi da fiori avviata in San Secondo Parmense nel 1881, e la convertì in attività industriale avente come produzione i materiali laterizi per l’edilizia. Fu lungimirante nell’introduzione di applicazioni tecnologiche avanzate.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 399.
Parma 9 luglio 1743/Parma 30 aprile 1829
Figlio di Felice e Alessandra Fortunati. La prima notizia del Giavarini è una lettera del 9 febbraio 1773 diretta a padre Martini, con la quale gli inviò una Messa che aveva composto. Si legge che gli avevano riferito che il Martini, vista la composizione, l’aveva giudicata orribile e gettata al fuoco: per conoscere se la diceria era vera, gli inviava una nuova copia. Con garbo il Martini rispose che era scritta secondo lo stile in auge per la musica ecclesiastica: gli errori, pertanto, non erano da addebitarsi al Giavarini, bensì allo stile. Il 12 febbraio 1780 (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti) venne nominato sostituto maestro di cappella in caso di impedimento dei maestri Colla e Poncini per le funzioni che si tenevano a San Pietro Martire. Un successivo decreto del 27 febbraio 1782 gli concesse una gratifica di 2000 lire all’anno per i servizi prestati a Corte, soldo di cui godette fino al 30 giugno 1805. Fu organista alla chiesa della Steccata di Parma dal 17 novembre 1791, in sostituzione del Toscani nelle varie solennità celebrate nell’anno e talvolta come maestro di cappella. Successe di fatto come organista e maestro di cappella al Toscani nel 1805 e in tale ufficio lo si trova ancora alla festa di San Giorgio del 1818 e, alla Cattedrale di Parma, come organista dal 19 giugno 1783 alla Pasqua del 1790. Diresse per l’ultima volta nella solennità di San Giorgio, il 23 aprile 1829. Il Giavarini era stato eletto con decreto della duchessa di Parma Maria Luigia d’Austria il 16 giugno 1816. Fu nuovamente maestro di Cappella della Cattedrale di Parma con l’obbligo di dirigere la musica nelle feste solenni e nelle occasioni particolari (nominato il 2 giugno 1808, lo si trova fino al 1831), facendosi sostituire quando era trattenuto dal servizio alla Steccata da Giuseppe Gaiani e da Giuseppe Alinovi. Fu docente al Collegio dei Nobili di Parma fino alla soppressione avvenuta nel 1806.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, Mandati 1791-1818; Archivio della Fabbriceria del Duomo, Mandati 1773-1782, 1783-1791; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 169; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
Sissa 29 dicembre 1921-Parma 9 settembre 1943
Figlio di Ludovico. Carrista del 33° Reggimento Carristi, 433° Battaglione Carri M./15, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Pilota di carro M/15, durante un aspro combattimento contro forze soverchianti tedesche, lanciava arditamente il proprio carro contro una postazione anticarro vicina allo scopo di travolgerla e di eliminare così una seria minaccia ai carri della compagnia che lo seguivano. Colpito da una granata perforante che bloccava un cingolo del carro, precipitava in un torrente e rimaneva schiacciato. Il Giavazzoli risiedette a lungo a Soragna.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 116; Caduti resistenza, 1970, 113.
Colorno 1852-Collecchio 17 luglio 1937
Arruolatosi nei carabinieri, si trasferì poi a Collecchio, essendosi impiegato presso quel Comune come guardia municipale (estate 1895). Iniziato subito il suo lavoro, tutelò l’ordine pubblico in Collecchio fino a pochi anni prima della morte.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
Modena 25 agosto 1890-Fidenza 19 febbraio 1952
Fu il primo degli otto figli di Luigi, modesto commerciante di stoffe che gestiva a Modena un negozietto in via Sant’Eufemia, nelle vicinanze dell’omonima chiesa. Della numerosa prole non sopravvissero che il Giberti e la sorella più giovane Anna: gli altri morirono in tenera età. La sua fanciullezza trascorse in prevalenza tra la casa, la scuola e l’oratorio parrocchiale, affidato alla cura di don Giuseppe Balugani. Il sacerdote prese il Giberti sotto la propria particolare protezione e per alcuni anni lo educò e lo istruì, preparandolo agli esami nel ginnasio del quartiere, dato che le condizioni economiche della famiglia Giberti non permettevano al ragazzo di frequentare i corsi di studio regolari. Fu sempre promosso con ottime votazioni e lo stesso don Balugani, come egli ebbe superato gli esami di licenza, si adoperò perché potesse intraprendere la carriera ecclesiastica. Nell’autunno del 1906 il Giberti vestì l’abito talare, trovando nel seminario diocesano di Modena l’ambiente ideale per lo sviluppo di quelle virtù di cui aveva dato così lusinghiera manifestazione nell’infanzia. Ricevuta l’ordinazione sacerdotale il 6 aprile 1913 dalle mani dell’arcivescovo Ferdinando Bussolari, fu designato a prestare la sua opera quale curato nell’importante chiesa cittadina di San Pietro Apostolo. Dopo alcuni mesi il Bussolari lo destinò, con atto del 18 agosto 1914, all’insegnamento in seminario di fisica, chimica e matematica. Contemporaneamente gli attribuì l’incarico di cappellano della chiesa della Pomposa, che egli ricoprì per diciassette anni. Allo scoppio della prima gurra mondiale il Giberti fu chiamato alle armi e prestò servizio quale cappellano militare per l’intera durata del conflitto. Ottenuto il congedo, riprese il suo posto da professore. Il 18 febbraio 1930 fu nominato direttore spirituale del seminario e l’8 febbraio 1935 rettore. Nel frattempo il pontefice Pio XI gli conferì il titolo di suo prelato domestico. In seguito il Bussolari l’annoverò tra gli esaminatori prosinodali e nel marzo 1939 egli venne pure preposto a dirigere l’Istituto delle Figlie della Provvidenza per le sordomute in Modena. Rimasta vacante la cattedra di Fidenza per la promozione di Mario Vianello alla sede arcivescovile di Perugia, il Giberti, con bolla apostolica 12 maggio 1943, venne destinato a succedere a quel vescovo nel governo della diocesi fidentina. Il 20 giugno di quell’anno fu consacrato nella basilica metropolitana di Modena da monsignor Cesare Boccoleri, assistito dallo stesso arcivescovo di Perugia, Vianello, e dal vescovo di Carpi, Vigilio Federico Dalla Zuanna. Il 15 agosto successivo indirizzò al clero e ai fedeli della Diocesi la prima lettera pastorale. In essa espresse il proprosito di dedicare ogni energia per la salvezza e la santificazione delle anime e, richiamandosi al motto da lui scelto per lo stemma episcopale (Spes mea Deus), si dichiarò fiducioso nell’aiuto di Dio per poter svolgere il programma che si era proposto. L’8 settembre 1943 prese possesso canonico della diocesi nella persona del procuratore canonico Luigi Carra, arciprete del capitolo, e il giorno 11, in forma privata, accompagnato da due soli sacerdoti, giunse a Fidenza. L’ingresso del Giberti avvenne in un momento politicamente difficile. Dopo la proclamazione dell’armistizio chiesto dall’Italia ai governi di Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America, i tedeschi avevano iniziato, con improvvisa e rapida azione, l’occupazione militare del paese e la città di Fidenza viveva ancora sotto l’impressione di tale recente avvenimento. Si era diffusa ovunque un’atmosfera di incertezza e di paura e quella parte di popolazione che il pericolo dei bombardamenti non aveva ancora sospinto a cercare altrove un sicuro rifugio stimò conveniente starsene rinchiusa tra le mura domestiche. Poche persone, di conseguenza, udirono l’omelia che nella mattinata del 12 settembre il Giberti tenne in Duomo nel corso della sua prima messa pontificale. Il 1° marzo 1944 indisse la prima sacra visita pastorale, condotta tra difficoltà di ogni genere e sotto costante pericolo degli attacchi sferrati dagli aviatori alleati. Nei giorni 2 e 13 maggio di quell’anno due furibondi bombardamenti si abbatterono su Fidenza: una pioggia di fuoco investì la città seminando morte e rovina. Tra l’altro, la Cattedrale rimase lesionata e furono distrutti l’episcopio, parte del seminario e l’edificio che ospitava la curia vescovile. Il Giberti, manifestando in una lettera la sua profonda afflizione per le conseguenze luttuose degli indiscriminati bombardamenti, impartì disposizioni ai parroci per la celebrazione in tutta la diocesi di funzioni di suffragio per le vittime. Da allora egli trasferì la propria abitazione nella villa di Campolasso, adibita a villeggiatura estiva per i seminaristi. L’11 luglio 1944, dalla provvisoria residenza, lanciò un appello per una pubblica sottoscrizione a beneficio dei sinistrati, incitando i diocesani che la furia della guerra aveva risparmiato a corrispondere, con generosità e spirito di cristiana solidarietà, alle necessità di chi invece tutto aveva perduto. Poi il conflitto si concluse ed egli potè spiegare con maggiore profitto la sua azione pastorale. Vi era tutto da ricostruire, materialmente e moralmente. Il Giberti intraprese la parte più dura e difficile della sua missione di vescovo. Febbrilmente iniziò le pratiche intese a ottenere dallo Stato il risarcimento dei danni bellici per la ricostruzione del Seminario, cuore della diocesi. Preoccupato per lo scarso numero di chierici, nel luglio 1945 ricostituì l’Opera Vocazioni Ecclesiastiche e contemporaneamente la sezione diocesana della Pontificia Opera di Assistenza, per l’azione caritatevole a beneficio delle famiglie maggiormente bisognose. Pose poi mano alla riorganizzazione dell’Azione Catolica e il 9 luglio dello stesso anno, riunendo la Consulta diocesana, impartì precise direttive perchè fosse intensificata e potenziata l’atttività della milizia della Chiesa mediante un lavoro ordinato di penetrazione e di indirizzo delle coscienze cristiane. Dispose inoltre che fosse ripresa la pubblicazione del settimanale diocesano Il Risveglio, affinchè esso potesse continuare la sua opera di orientamento religioso della popolazione. Si appellò infine allo zelo dei vicari foranei affinchè essi si rendessero esatto conto dello stato delle parrocchie inerente all’istruzione religiosa dei fanciulli e degli adulti, alla frequenza ai sacramenti e all’assistenza ai bisognosi e agli infermi. In occasione delle prime elezioni politiche invitò i fedeli all’osservanza del dovere di coscienza di votare per quei partiti che dessero serio affidamento per il rispetto della libertà e per la ripresa morale ed economica della nazione. Nella notificazione egli rilevò come la giustizia sociale, possibile soltanto nella concezione cristiana, armonizzasse l’invulnerabilità della proprietà privata, onestamente acquistata, che compie debitamente anche la sua funzione sociale, con il diritto del lavoro alla giusta mercede. Il Giberti mostrò cure particolari per la casa dei seminaristi, scegliendo per essi una località tra le più felici della città. Grande fu la soddisfazione che provò il 12 ottobre 1949 per l’inizio dei lavori di ricostruzione del monumentale edificio, che fu aperto l’anno seguente a ricevere i futuri leviti. Il Giberti lasciò segni tangibili della sua operosità, che fu diretta, in particolare, alla restaurazione della vita cristiana individuale. Ciò traspare anche dalle lettere pastorali. La prima, per la Quaresima del 1943, ebbe come titolo Ai figli spiritualmente lontani. A essa seguirono: La Pace di Dio (1945), Educazione cristiana della gioventù (1946), La Santificazione della Festa (1947), Siate figli della luce (1948), La Chiesa e gli operai (1949), Fetore di vizio e profumo di virtù (1950), Indifferentismo (1951) e La famiglia (1952). Fu l’anima della Peregrinatio Sancti Domnini Martyris e della Peregrinatio Mariae nelle primavere 1948 e 1950. Fu esempio di fede e di pietà nei numerosi pellegrinaggi religiosi, tra cui quello interdiocesano a Loreto nel settembre 1949 e quello a Roma nel settembre dell’Anno Santo 1950. Mantenne frequenti contatti con il clero, interessandosi della vita e delle esigenze di ogni singola parrocchia. Nel novembre 1950 concluse la seconda visita pastorale e nel dicembre 1951 iniziò la terza, che non poté condurre a termine perché la morte lo colse improvvisa. Colpito da paralisi nella mattinata del 17 febbraio 1952, perdette conoscenza a mezzanotte di quello stesso giorno e ventotto ore dopo, circondato dal vicario generale, dai superiori e professori del seminario e dalla sorella, il Giberti spirò. Nella tarda sera del 20 febbraio la salma venne trasportata in foma privata nella cripta della Cattedrale. Accanto alle reliquie di San Donnino, le spoglie del Giberti ricevettero per due notti e per tutto il giorno 21 l’omaggio commosso di un numero incalcolabile di persone. I funerali furono imponenti, con l’afflusso di rappresentanze da ogni parte della diocesi e dalle diocesi di Parma, Piacenza, Cremona, Reggio Emilia, Modena e Pontremoli, con alla testa sette vescovi. Nella Cattedrale monsignor Mario Vianello, giunto espressamnte da Perugia, tenne l’orazione funebre. Quindi la salma fu fatta sfilare per le vie della città, addobbata a lutto, e alla fine deposta nella cripta del Duomo, dove venne in seguito inumata.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 187-198.
Parma 1100
Nell’anno 1100 guidò una grossa squadra di armati a rinforzo della prima Crociata, incorporando i suoi uomini tra quelli capitanati da Anselmo, arcivescovo di Milano.
FONTI E BIBL.: L. Grazzi, Viaggiatori, crociati e missionari, 1945, 86.
GIBERTI GIBERTO, vedi anche CORREGGIO GUIBERTO
GIBERTI GUIBERTO, vedi CORREGGIO GUIBERTO
GIBERTI SIGIFREDO, vedi SIGIFREDO
Parma 1709
Fu nominato cappellano ducale di Parma nel 1709.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parma 1770
Fu eletto ingegnere della Camera di Parma nel 1770.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parma 1 febbraio 1797-Genova 1866
Figlio di Giulio Cesare e Giuseppa Consoni. Lavoratore instancabile, costruì un grande numero di violini e violoncelli, per i quali fu premiato in diverse esposizioni. Trasferitosi a Genova, fu restauratore degli strumenti di Paganini. Seguace della scuola cremonese di Giuseppe Guarneri, la imitò a perfezione. I suoi violini sono quasi tutti buoni per voce ed esatti per costruzione, la vernice chiara è di un rosso più vivo di quella di Cremona e assai ben riuscita. Fu ritenuto dagli esperti l’unico liutaio classico del primo quarto del XIX secolo, specialmente noto per le sue vernici, ad uso della antiche cremonesi, assi bene riuscite (Mollenhaver Gli strumenti ad arco rinforzati, Modena, Tipografia Legale, 1881; Antolini, Milano, Pirola, 1832). Si presentò a varie esposizioni con felici imitazioni di strumenti classici con vernici che emulavano le antiche. Il Gibertini fu anche conosciuto per i progressi tentati negli strumenti ad archetto con una invenzione che può designarsi colla qualifica d’inamovibilità relativa dell’anima, associandovi un organismo metallico finissimo che la faceva alzare o abbassare in ragione del bisogno di forza per l’esecuzione degli adagi e degli allegri. Il Gibertini non proseguì nello studio di questa applicazione perché il meccanismo ideato lasciava sentire in modo impercettibile un frizzare metallico che egli non giunse a levare. L’idea del Gibertini sembra abbia precorso quella, denominata vite sonorifera, dello Sprenger (1879).
FONTI E BIBL.: L.F. Valdrighi, Fabbricatori di strumenti, 1884, 157-158; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 104; Enciclopedia di Parma, 1998, 378.
Sorbolo 16 settembre 1875-Brescia 30 marzo 1937
Compì gli studi secondari presso l’Istituto tecnico di Parma e si laureò a Milano nel 1900 in scienze agrarie presso la Scuola superiore di agricoltura. Fece parte della seconda ondata di pionieri agronomi parmensi. Fu anzitutto un valoroso e benemerito direttore di cattedra ambulante, prima a Forlì e poi a Brescia (1926-1937), ma la sua fama è dovuta in modo particolare alla sua illuminata e geniale propaganda per la diffusione dei frumenti precoci e delle nitrazioni invernali, che in seguito costituirono, unitamente alle arature profonde, il fulcro sul quale si imperniò la granicoltura locale. La valorizzazione dei grani precoci spetta al professor Strampelli della stazione di granicoltura di Rieti, ma la loro rapida diffusione fu merito del Gibertini, autore anche di parecchi scritti sui giornali del settore.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 311; M. Tagliavini, in Gazzetta di Parma 24 gennaio 1991, 12.
Parma 1828
Fu ceroplastico di buon valore. Nel giugno del 1828 fu esposto al pubblico nell’ex convento di Santa Cristina un Gabinetto di statue in cera movibili. Una certa naturalezza nei moti, la precisione e lo sfarzo del vestiario, la finezza del lavoro in cera formano un lodevole complesso di particolari. Tale opera fu eseguita di commissione dai signori Francesco Gibertini meccanico plasticatore e Luigi Barozzi macchinista orologiere, e rappresenta parte della famiglia Visconti che regnava in Milano nel secolo decimoquarto. L’incontro fortunato che questi artefici hanno ottenuto li ha animati a dar mano ad un altro lavoro di tal genere, di argomento assai noto ed interessante, composto di quindici figure rappresentanti la scena lagrimevole di Ugolino nella torre dalla fame. Noi intanto abbiamo a sperar bene da questi artefici, se lor non mancano, come hanno già mostrato, ingengo e volontà. Si trattava di gruppi di androidi in cerca dai movimenti coordinati, un ulteriore passo per rendere più labile il confine tra finzione e realtà. Il successo ottenuto dalla coppia di artefici virtuosi dimostra come tali figure suscitassero una diffusa curiosità, forse proprio per l’equivoco insito in queste creature artificiali.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1992, 195.
Parma 1789/1792
Fu capitano di una compagnia urbana del ducato di Parma nel 1792.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
Parma 1889-
Fu commediografo di buon valore.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1191.
Oppiano di Gaiano 1835
Sacerdote, fu curato di Oppiano di Gaiano. Nel 1835 la sua chiesa fu vittima di un grave furto sacrilego del quale si serba memoria in un manoscritto dell’epoca conservato nell’archivio di quella parrocchia.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi. in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
San Leonardo di Parma 1196
Nell’anno 1196 fu priore di San Leonardo presso Parma.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 426.
GIBERTO DA CORREGGIO, vedi CORREGGIO GIBERTO
GIBERTO DA GENTE, vedi DELLA GENTE GIBERTO
GIBERTO DA PARMA, vedi BAJARDI GIBERTO
Parma 1708/1714
Fu musico della Cattedrale di Parma dal 1708 al 1714.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
Vezzano 1239 c.-Roma 17/31 marzo 1300
Giffredo fu sin dal 1263 canonico di Liegi e come tale appare da una lettera che a lui e a Percivallo di Lavagna, suddiacono e cappellano, inviò il papa Urbano e colla quale ordinò che fosse provveduto di qualche ufficio o dignità personale Oliviero di Piacenza, anch’esso cappellano del Papa e canonico di Cambray nella stessa chiesa cameracense. Certo è che dopo questo anno si dedicò allo studio e divenne maestro di Diritto. Colto e stimato, fu mandato in qualità di nunzio in Inghilterra da papa Giovanni XXI dopo il 13 settembre 1276, come si legge nella lettera pontificia di papa Nicolò III del 4 maggio 1278, inviata a Giffredo. Da questa lettera appare inoltre che Giffredo fu canonico di Cambray e cappellano della Camera Apostolica e che in quell’anno 1278 dimorò per ragioni della sua nunziatura in Inghilterra. Tra gli altri suoi uffici vi era quello di chiedere, esigere e ricevere i beni lasciati ab intestato dai chierici di quel regno. Quindi, secondo un tale ordine papale, Giffredo rivendicò i testamenti di tutti i chierici che venivano a morire, suscitando una grave contesa col clero inglese. Il Papa scrisse per questo a Giffredo di soprassedere per quell’aspetto, ma di continuare il mandato ricevuto per gli altri uffici. Papa Martino IV il 7 marzo 1282 scrisse Giffredo, concedendogli la facoltà di esigere e di ricevere a favore della Terrasanta, nelle regioni di Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda (Walliae et Hiberniae) tutto quanto per voto, promessa o scioglimento da voti, si doveva da qualsivoglia persona, eccettuate le decime. Il 21 gennaio 1283 Martino IV da Orvieto gli scrisse di provvedere all’esecuzione dei suoi ordini, ai quali avevano contravvenuto l’arcivescovo e alcuni chierici. Costui aveva conferito alcune chiese ai suoi chierici mentre il Papa ne aveva intestato il suo cappellano Tedisio de Camilla, rettore delle chiese di Wingham e di Terringes. Il Pontefice ingiunse all’arcivescovo di addivenire entro lo spazio di quindici giorni alla restituzione. E il 15 luglio dello stesso anno il Papa da Orvieto ordinò a Baiamondo da Vizio, canonico di Asti, che il denaro raccolto in Scozia nella sua qualità di collettore delle decime a favore della Terrasanta, lo consegnasse a certi mercanti autorizzati con lettere pontifice, né più lo tenesse presso di sè o lo depositasse presso alcuna persona, né per l’avvenire osasse darlo a mutuo senza un regolare permesso. Da Orvieto il 21 luglio il Papa scrisse a Giffredo di invitare il Baiamondo, dopo regolare citazione, a presentarsi a Roma nello spazio di tre mesi per riferire riguardo alla sua gestione in Scozia. Il 7 ottobre 1283 Martino IV gli affidò anche l’incarico di raccogliere le decime in favore dellaTerrasanta nel Regno d’Inghilterra, sostituendolo a Giovanni, arcivescovo di Dublino. Si sa inoltre che il 13 febbraio 1284 il Papa si rivolse con lettera a Giffredo avvertendolo di aver scritto al Re d’Inghilterra per un certo affare e di avergli concesso la facoltà apocandi. E con lettera dello stesso giorno inviata a Edoardo re d’Inghilterra, il Pontefice lo pregò di consegnare a Giffredo il censo annuo di 1000 marchi di sterline per i due anni passati dalla festa di San Michele. Il 28 aprile 1288 papa Nicolò IV avvertì Giffredo di aver scritto al Re d’Inghilterra per il pagamento del solito censo a favore della Terrasanta, avvertendolo che, una volta riscattato, lo consegnasse a certi mercanti. Inoltre, nello scrivere a Giffredo, che dimorava ancora in Inghilterra per il suo ufficio di nunzio, lo avvertì di avergli concesso la facoltà di dare ricevuta al Re d’Inghilterra del censo che doveva pagare per cinque anni passati, quando avesse ricevuto il denaro. Lo stesso giorno il Papa pregò poi il re Edoardo di soddisfare nelle mani di Giffredo il censo di 1000 marchi di sterline per i tre anni in cui aveva tenuto il pontificato Onorio III e per i due anni seguenti compiuti il giorno della festa di San Michele. Il 7 febbraio 1289 Nicolò IV si rivolse al vescovo di Sant’Andrea in Scozia e a Giffredo, che là dimorava, ordinando loro di acquistare a buon prezzo il luogo che i frati dell’Ordine della Penitenza di Gesù Cristo possedevano nella Diocesi di Santo Andrea, da passare poi al priore e al convento dei frati dell’Ordine dei Predicatori della casa di Berwico. Anche sotto il pontificato di Bonifacio ebbe incarico delle più delicate missioni. Giffredo, infatti, chiamato diletto figlio e chierico della Camera papale, con lettera da Anagni del 21 luglio 1295 ebbe l’incarico di citare Uguccione, plebano di Castiglione e cappellano del Papa, a comparire davanti alla Curia Romana entro due mesi per rendere ragione delle decime raccolte e favore della Terrasanta come collettore nei regni di Norvegia, di Dacia e di Svezia. Con lettera poi di Bonifacio VIII dal Vaticano, il 1 dicembre 1295 vennero incaricati Giffredo e Giovanni de Luco, canonico di Londra, di avvertire l’arcivescovo di Canterbury, l’abate di San Benedetto de Ulmo e il chierico Alano di togliere il sequestro e di restituire le rendite della rettoria di Santa Maria di Scahalem e in caso di rifiuto di citarli a presentarsi dinnanzi alla Curia Romana nello spazio di tre mesi. Il 13 maggio 1296, perché gli ordini pontifici potessero sortire il loro effetto, Bonifacio VIII, con lettera dal Vaticano, diede a Giffredo la facoltà di interdire e anche di assolvere per costringere i debitori a pagare secondo il tenore delle lettere rilasciategli un tempo dalla Santa Sede. Dopo pochi giorni, cioè il 25 dello stesso mese, dal Vaticano il Papa scrisse al vescovo carleonense perché entro un mese di tempo deponesse presso certi mercanti la somma di diecimila marchi di sterline. In caso contrario avrebbe dato facoltà al vescovo rossense di Scozia e a Giffredo, suo nunzio, di costringerlo all’ubbidienza. Il 10 giugno di quell’anno Giffredo venne eletto da Bonifacio VIII, con lettera da Anagni, collettore delle decime insieme al vescovo wintoniense in luogo del vescovo di Lincoln, gravemente affaticato dall’età, per le province di Canterbury ed Eboracense, procurando di depositare il denaro raccolto o presso una casa molto sicura o presso i mercanti della Camera Apostolica che appartenevano alla Società dei Clarenti di Pistoia, dei Muzi e degli Spini. Il 27 ottobre 1297 il Papa gli scrisse da Orvieto di costringere i debitori a pagare il denaro non raccolto dai vescovi albanense e penetrino e di trasmettere tutto il denaro a Lanfranco Anselmi della società dei Clarenti di Pistoia, mercante della Camera Apostolica. Una grave infrazione contro una disposizione del Papa fu più tardi commessa dall’arcivescovo Enrico e dai canonici eboracensi, per cui a tutelare la dignità papale e a riparare la colpa furono eletti da Bonifacio VIII Giffredo e Giovanni da Luco, canonico di Londra, con lettera dal Vaticano del 13 febbraio 1299. Giffredo trascorse, quale nunzio pontificio, molti anni nella lontana Inghilterra e sostenne fatiche e gravi disagi recandosi di provincia in provincia per eseguire ordini, inchieste e missioni presso i re d’Inghilterra, senza contare poi l’esercizio religioso ordinario. Non più giovane, poiché doveva ormai oltrepassare i sessant’anni, giacché sin dal 1263 era canonico di Liegi, domandò probabilmente di essere richiamato, se Bonifacio VIII si determinò, per attestargli la sua gratitudine per i servigi prestati sotto sei pontefici e premiarlo delle fatiche sostenute, di eleggerlo, con lettera dal Laterano del 12 aprile 1299, vescovo di Parma, il cui Vescovado si era reso vacante per la morte di Giovanni di Castell’Arquato. Nell’occasione il Papa gli scrisse le seguenti parole: quem apud Nos et Fratres nostros fide dignorum testimonia multipliciter commendarunt, quique predicte Apostolice Sedi circa executionem negotiorum ab eadem Sede tue sollecitudinis hactenus commissorum grata et devota obsequia nosceris impendisse. Quando comunicò l’avvenuta elezione di Giffredo, con lettere particolari dal Laterano, tanto al Capitolo che al clero, al popolo e ai vassalli del palazzo vescovile di Parma (13 novembre 1299), egli era già stato consacrato Vescovo, come appare dalle parole Venerabili fratri Giffredo episcopo Parmensi. Giffredo, dopo la sua promozione, non venne subito in Italia: dovette trattenersi qualche tempo ancora per la trattazione di importanti affari in ossequio di Bonifacio VIII. Il 30 dicembre 1299 Giffredo si trovava in Roma e in quella circostanza ottenne dal Papa, con lettera dal Laterano, la licenza di poter testare e di poter conferire l’ufficio di tabellionato a tre persone idonee. Dopo qualche giorno, il 3 gennaio 1300, venne assolto dal giuramento che lo obbligava a portarsi a Roma ogni anno per la visita ad limina. Intanto Giffredo provvide alla sua Chiesa nominando suo vicario generale Gerardo da Cornazzano, prevosto di Borgo San Donnino. Per mezzo del suo vicario generale fu tenuto al corrente delle difficili vicende e condizioni politiche da cui era travagliata la città di Parma. Il 28 gennaio 1300 il Pontefice, dal Laterano, scrisse al Cornazzano di affari che interessavano il bene di Parma su informazioni di Giffredo stesso: Tu personalmente ci hai riferito, come anche era pervenuto ai nostri orecchi la notizia, che fra il nobil uomo il Marchese d’Este e la città di Parma erano insorte gravi lotte che generarono in operazioni di guerra. Noi volendo pertanto all’opera della tua paterna sollecitudine dare un attestato di stima e di onore, e ovviare ai molti mali, siamo intervenuti, imponendo una tregua sotto pena di interdetto sulle terre che sono teatro di guerra e di scomunica alle persone che si rifiutassero di accettare la detta tregua. E poiché la città di Parma non volle punto accettare, fu così sotoposta all’interdetto; ma avendoci Tu umilmente supplicato, Noi pertanto inclinati alle tue preghiere ti concediamo per questa volta la facoltà di levare coll’autorità piena delle presenti, l’interdetto. Lo stesso giorno Giffredo si pronunciò a favore delle nobili famiglie Vaggesi e Vallisneri, con lettera papale nella quale fu data dispensa per il quarto grado di consanguineità tra Edoardo, figlio di Guglielmo dei Vaggesi, e Giolina di Manuele dei Vallisneri, se realmente si temono e possono così evitarsi pericoli di discordia fra le due famiglie. Il Papa lo raccomandò, con lettera indirizzata personalmente il 27 febbraio 1300, a Giberto da Correggio, a Bonifacio, marchese di Soragna, e ai nobili fratelli Guglielmo e Ugolino Rossi: Quia ante promotionem et post etiam deputatus in obsequio nostro et Apost. Sedis in Anglicanis partibus sic prudenter et fideliter in commissis se habuit, sic in illis se gerere studuit, diligenter laborum onera non vitando quod digne promeruit a nobis et ejusdem Sedis clementia, precipuis attolli favoribus et spetialibus gratiis honorari. Quando Giffredo stava per partire alla volta di Parma si infermò e la malattia lo trasse in breve tempo a morte, certamente tra il 16 marzo e il 1° aprile 1300, poiché nella lettera del Papa del giorno 16 fu sostituito, come collettore delle decime in Inghilterra, dall’abate del monastero di Waltan e dal decano della chiesa di Londra, appunto perché Giffredo, che era divenuto vescovo di Parma, non poteva più adempiere a un tale ufficio. Giffredo morì dunque in Roma senza poter vedere la sua sede. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria di Aracoeli sotto il pavimento della cappella di San Bartolomeo, con una breve iscrizione a caratteri gotici riportata dall’Ughelli e da Casimiro Romano che dice: Hic iacet bone memorie D.N.S. Goffredus de Vezzano Parmen.EP.S. Anno D.NI MCCC mense marti.
FONTI E BIBL.: P.F.C. Romano, Memorie istoriche della Chiesa e convento di Santa Maria in Aracoeli in Roma, Roma, 1736; M. Carta e L. Russo, Santa Maria in Aracoeli, Roma, Palombi, 1988; G.M. Allodi, Goffredo da Vezzano, in Serie cronologica dei vescovi di Parma con alcuni cenni sui principali avvenimenti civili, Parma, da Pietro Fiaccadori, 1856, I, 570-572; A. Schiavi, Goffredo da Vezzano, in La Diocesi di Parma, I, 1925, 91; N. Pelicelli, M° Giffredo da Vezzano, in I vescovi della Chiesa parmense, Parma, Officina Grafica Fresching, 1936, 264-270; A. Schiavi, Goffredo da Vezzano, in La Diocesi di Parma, II, 1940, 238; I. Dall’Aglio, Mons. Goffredo da Vezzano, in Le valli dell’Appennino Parmense, 1956, 52; A. Molinaro, Il Vescovo Goffredo da Vezzano, in Malacoda 44 1992, 27-28.
Parma 1668
Nel 1668 fu bombardiere soprannumerario del castello di Parma.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 446.
Parma 1745
Nel 1745 fu nominato podestà di Polesine e l’anno seguente commissario di Colorno.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 446.
GIGLI LUIGI, vedi GIGLI CERVI LUIGI
Parma 1552
Con patente del 15 ottobre 1552 il duca Ottavio Farnese nominò il Gigli (Gilij) capitano.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 445-446.
Parma 1642/1660
Dottore. Con patente del 26 maggio 1642 fu eletto capitano di Leonessa e nel 1660 governatore di Ortona.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 446.
Parma 28 gennaio 1829-
Figlio di Luigi e Carolina Bondani. Conte e possidente, fu cassiere della conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Nel 1864 fu schedato dalle autorità di polizia perché ritenuto reazionario.
FONTI E BIBL.: P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 109.
GIGLI CERVI CAROLINA, vedi BONDANI CAROLINA
Parma 9 agosto 1855-Parma 1927
Figlio di Alessandro e Paolina Gaudio. Conte, fu nominato sottotenente d’artiglieria nel 1874. Fu in Eritrea nel 1893 e nel 1895 e a Coatit meritò la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: Oltre sue speciali mansioni, disimpegnò sempre in marcia e durante il combattimento, le funzioni d’ufficiale di Stato Maggiore, dando prova di calma, intelligenza e coraggio nel recare ordini e nello apprezzare la situazione, spiegando in ogni occasione una indefessa ed utile operosità. Promosso colonnello nel 1906, comandò il 21° e poi il 3° reggimento d’artiglieria da campagna, indi fu capo divisione al Ministero della guerra. Fu anche insegnante presso la Scuola Centrale di Fanteria e direttore della fabbrica d’armi di Terni. Promosso Maggiore generale nel 1911, fu in Libia all’inizio della guerra contro la Turchia e vi guadagnò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoja, con la seguente motivazione: Con intelligenza, attività e coraggio diresse l’impiego delle artiglierie nei combattimenti di Henni (Sciara Sciat, 23 e 26 ottobre 1911, Messri, 26 novembre 1911, e Ain Zara, 4 dicembre 1911). Fu poi addetto all’Ispettorato d’artiglieria. Divenuto Tenente generale nel 1915, partecipò alla guerra contro l’Austria, prima come comandante l’artiglieria della 4a armata e poi quale comandante l’artiglieria al confine italo-svizzero. In posizione ausiliaria nel 1920 e poi nello stesso anno nella riserva, ebbe nel 1925 il grado di generale di Corpo d’Armata. Sposò la marchesa Corona Cavriani, nipote della Duchessa di Berry.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia militare, 1932, IV, 106; Parmensi nella conquista dell’Impero, 1937, 165; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 79; Palazzi e casate di Parma, 1971, 115.
Parma 19 gennaio 1791-1857
Figlio di Alessandro e Teresa Musi. Fu ciambellano di Corte (nominato il 1° dicembre 1850 dal duca Carlo di Borbone) e conte di Mulazzano e Faviano. Sposò la contessa Carolina Bondani. A Parma possedette il palazzo di piazzale Cervi n. 5. Liberale moderato, durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico. Fu in seguito sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza. Fu testimone, nel 1833, al matrimonio tra Albertina Montenovo, figlia di Maria Luigia d’Austria e del Neipperg, e il conte Luigi Sanvitale, celebrato nell’oratorio del Ferlaro. Nel 1841 fu tra i fondatori degli asili infantili di Parma. L’11 aprile 1848 fece parte dell’Anzianato di Parma che nominò il Governo Provvisorio. Nel 1849 gli fu assegnato dalla Commissione di Governo il Dipartimento dei Lavori Pubblici. Nel 1852 fu cavaliere di 1a classe, consigliere del Consiglio d’Amministrazione e presidente della commissione d’ornato per gli edifici dell’Ordine Costantiniano. Fu dottore in matematica, ingegnere onorario dello Stato, professore sostituto emerito alla facoltà fisiologica delle Scuole Superiori e Preside del Magistrato degli Studi di Parma. Fu inoltre consigliere anziano del Comune di Collecchio tra il 1829 e il 1836.
FONTI E BIBL.: F. Udeschini, D. Reverberi, Parma dai Farnese a Vittorio Emanuele II (1731-1860), Parma, 1935, 32; C. Di Palma, Parma durante gli avvenimenti del 1848-1849, Roma, 1931; Elenco provvisorio delle famiglie nobili e titolate della regione parmense, Roma, 1894; A. Poggi, La scuola primaria del ducato di Parma al tempo di Maria Luigia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1911, 143, e 1912, 101 seguenti; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 176; Malacoda 9 1986, 45.
GIGLIOLO DA REGGIO, vedi DALL’ ARGINE EGIDIOLO
Parma 4 agosto 1817-post 1841
Corista al Teatro Ducale di Parma, nel 1833, a sedici anni, chiese di essere ammessa quale alunna esterna alla scuola di canto presso l’Ospizio delle Mendicanti. Debuttò in un concerto al Teatro Ducale il 31 agosto 1835, dove ritornò il 10 marzo 1837 in una grande accademia vocale e strumentale, come ancora in una del 22 marzo 1839. Nel 1837 abbandonò la scuola essendo andata come altra primadonna a Milano per cominciare la sua carriera Teatrale con lieto esito (Archivio di Stato di Parma, Presidenza dell’Interno, b. 122). Nella primavera 1841 fu a Mantova, dove cantò nella Gemma di Vergy, nel Barbiere di Siviglia e nell’Orfanella di Ginevra di Luigi Ricci. Riguardo a quest’ultima opera si legge che la musica semiseria del Ricci non interessò, gli artisti furono zitti. Si tentò la seconda rappresentazione, ma il pubblico disapprovò lo spettacolo rumorosamente. Al second’atto i fischi si fecero così assordanti che il commissario di polizia ordinò che si chiudesse il sipario.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
GILBERTO DA PARMA, vedi BAJARDI GIBERTO
GILI, vedi GIGLI
Parma prima metà del XVII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 169.
GILLI PAGANO, vedi EGIDI PAGANO
GIM, vedi BOTTI GIULIANO e SARTI CESARE
GINEPRO DA PARMA, vedi GARBAZZA GIACOMO
GINIFACCIO SPIRONCINI, vedi PALLAVICINO FERRANTE CARLO
Parma-post 1758
Costumista, risulta che fu inventore ed esecutore del nuovo vestiario nelle opere del Teatro Ducale di Parma tra il 1754 e il 1758. Si fregiava del titolo di Riccamatore per la Real Corte.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
GINOCCHI GIUSEPPE, vedi GINOCCHIO GIUSEPPE
Parma 1703c.-Parma gennaio/marzo 1778
Figlio di Lucio, fu cantore, organista e maestro di Cappella. Appare la prima volta come cantore alla Cattedrale di Parma nella Pasqua del 1724. Sostituì il padre il 15 agosto 1723 e per tutto l’anno 1735. Nel 1738 scrisse la musica del terzo atto del dramma pastorale La costanza vincente in amore, eseguita nel Carnevale al Teatro Ducale di Parma. Successe al padre come maestro di Cappella in Cattedrale il 1° gennaio 1739, coprendo anche il posto fisso di organista. Il Ginocchio riscosse la paga di organista il 29 dicembre 1777 per tutto il mese, e diresse come maestro l’ultima funzione di Natale di quello stesso anno. Poco dopo venne a morire, poiché compare come maestro di Cappella in Cattedrale don Antonio Toscani, suo allievo, il 19 aprile, giorno di Pasqua, del 1778. La Biblioteca del Liceo filarmonico di Bologna conserva quattro sue lettere autografe dirette a Martini.
FONTI E BIBL.: Catalogo autografi e ritratti di musicisti, 1896, 141; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 173.
Parma 18 febbraio 1677-Parma ultimi mesi del 1738
Nato da Federico e Lucrezia nella vicinia di San Giacomo. Appare come cantore nella Cattedrale di Parma il 19 aprile 1699 e alla chiesa della Steccata la festa dell’Annunciazione del 1701. Alla morte di Francesco Fontanesi venne eletto organista del Duomo, cominciando a servire il 1 ottobre 1716. Sostituì il maestro di Cappella Giovanni Maria Capelli nella festa del Corpus Domini del 1720 e fu chiamato vice maestro di Cappella il 25 dicembre 1722, per essere assente il Capelli. Sostituì pure il maestro di Cappella nel Natale 1726 e in sua vece suonò l’organo Francesco Paroni e il 3 maggio Giuseppe Carcano. Cantò più volte in occasione delle feste più solenni della Steccata, come nella Annunciazione del 1701.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 172.
GIOACCHINO o GIOACHINO DA COLORNO, vedi PIAZZA VEDASTO
GIOACCHINO o GIOACHINO DA SORAGNA, vedi MANGI GIUSEPPE e TAGLIASACCHI DI VALBRUNA TOMMASO ANTONIO MARIA
GIONTA GEROLAMO, vedi ZUNTI GIROLAMO
Parma 19 giugno 1814-Parma 1891c.
Figlio di Lazzaro e Isabella Sanini. Frequentò il Collegio Lalatta di Parma. Si iscrisse quindi al corso di filosofia dell’Università di Parma, dove ebbe a maestri, tra gli altri, Luigi Casa, Antonio Lombardini e il Cassiani. Completati gli studi filosofici,il Giordani fu ammesso alla facoltà di chimica farmaceutica: vi fu laureato nell’anno 1837. Successivamente fu impiegato in un laboratorio di preparazioni chimiche a Genova. Rientrato a Parma, ebbe modo di formarsi una vasta cultura storico-artistica con frequenti viaggi a Roma, Firenze, Parigi e Londra. In quest’ultima città conobbe il Panizza, direttore del Museo Britannico. Nel corso dell’ultimo governo ducale di Parma, fu nominato podestà di Sala. Fu rimosso dall’incarico nel 1859, al momento della caduta dei Borbone. Il Giordani fece costruire la villa La Torretta, sulla strada di Maiatico, dove in più occasioni ospitò Luisa Maria di Borbone.
FONTI E BIBL.: Il dottor Angelo Giordani, Parma, 1892.
Casagrande di Pessola 12 novembre 1696-Piacenza 1 dicembre 1765
Nacque da Girolamo e da Felicita Contilazzi, originaria di Vianino. Fu tenuto a battesimo da don Tommaso Costa avendo a madrina Lucrezia Giordani. Ebbe sette fratelli. Laureatosi in legge, il Giordani percorse una prestigiosa carriera amministrativa e giudiziaria: fu dapprima commissario feudale a Busseto e a Castel San Giovanni, poi dal 1732 auditore criminale in Parma. Consigliere ducale, fu anche apprezzato insegnante di Diritto, nel quale campo ebbe colleghi Paolo Politi e Giuseppe Bolzoni. Giambattista Comaschi, di Varano de’ Melegari, laureatosi in Parma nel 1742 a soli diciotto anni, fu suo illustre allievo. Quando nel 1745 il Marchese di Castellar venne in Parma per ricevere l’atto di sottomissione e il giuramento di fedeltà a nome del duca Filippo di Borbone, furono operati molti e importanti mutamenti nella Pubblica Amministrazione trovando che il buono stava negli antichi ordini spagnoli ed il cattivo negli ordinamenti austriaci. Furono ricostituiti il Tribunale della Dettatura e la Congregazione dei Ministri, quale l’aveva voluta a suo tempo il duca Francesco Farnese. Il Giordani ottenne la conferma dell’Auditorato nelle Cause Criminali. L’asportazione da Parma da parte dell’infante Carlo di Borbone dell’Archivio Farnesiano aveva gettato il catasto nel disordine più completo per quanto riguardava i confini interni ed esterni del Ducato stesso. Se ne fece immediata richiesta alla Corte di Napoli, il cui governo non si oppose, ma operò la restituzione lentamente e a scaglioni. Tra i sostenitori più convinti della necessità e dell’urgenza della restituzione di detto Archivio fu il Giordani (lettera ministeriale di risposta del 12 maggio 1752 al consigliere Giordani, nel Carteggio Borbonico, 848, in Archivio di Stato di Parma; cfr. Micheli, Le Valli dei Cavalieri, 180). Durante il governo del Du Tillot ebbro larga diffusione le imprese di monopolio. Constatata la mancanza di diverse fabbriche di prodotti manufatturieri assai richiesti, si tentò di ovviare istituendone alcune con privativa, quali il filatoio della seta (a Piacenza), una fabbrica di lastre e di vetro da fiato, una di zoccoli, alcune di ovatta e di cere. A una istituenda conceria per la lavorazione di cuoi e pelli, su proposta dell’Astier di Sant’Albano, controllore generale delle rendite e creatura del ministro, diede parere negativo il Giordani, che, d’accordo con G.M. Schiattini e Antonio Verona, dichiarò detta concessione contraria agli interessi del Ducato, non riscontrandosi in essa né utilità, né novità d’impresa (Archivio di Stato di Parma, Carte Du Tillot, 250 e 26). Poiché si sentivano molte lagnanze circa il riparto delle acque del Trebbia per uso irrigazione, un decreto del 10 gennaio 1759 ordinò la fondazione in Piacenza di un archivio di tutte le carte riguardanti i diritti e i doveri relativi di tutti gli utenti (editto a stampa in Archivio di Stato di Parma, Carte Du Tillot, C 160) e nel maggio 1765 fu pubblicato intorno a quella distribuzione un apposito regolamento preparato dal Giordani con la collaborazione del controllore Berni, noto come Regolamento provvisionale sopra le acque del Trebbia (Piacenza, 8 maggio 1765, nel Gridario in Archivio di Stato di Parma; cfr. anche lettera del Du Tillot al Berni del 5 marzo 1765 nel Carteggio d’azienda). Nell’agosto del 1765 venne mandato dal Du Tillot al Goin un piano con gli ordini relativi all’istituzione di una camera di commercio da trasmettere al Giordani, progovernatore di Piacenza, e ai Consoli delle arti per sentire e riferire i commenti del ceto mercantile affinché questi servano di lume nella direzione del negozio. Il collegio dei Mercanti, forse per gelosia dei propri poteri, espresse parere negativo, parere che il Giordani avallò. Il 10 ottobre 1765 il Giordani, ormai assurto alla carica di Governatore di Piacenza, avvisò per tempo il ministro Du Tillot, sollecitandone eventuali ordini, che era in fn di vita il vecchio vescovo Cristiani. Il Governo avrebbe voluto interferire nell’elezione del nuovo vescovo, ma alla fine decise di non mettersi in contrasto con Roma, nella considerazione che già avrebbero provocato durissime contrapposizioni gli imminenti ulteriori provvedimenti riformatori nel campo ecclesiastico. L’opera in del Giordani Piacenza fu certamente ben vista e apprezzata dalla popolazione, come fanno testo le numerose lettere che parlano dei suoi continui e pressanti interventi presso il Consiglio d’Annona e il Duca stesso perché la città e il contado non abbiano a soffrire nel campo alimentare a seguito delle difficoltà di approvvigionamento dovute a una situazione interna confusa. Il Giordani, come presidente del Supremo Consiglio Ducale prima e come governatore poi, abitò a palazzo Landi in Piacenza e ivi morì. Fu sepolto nella centrale chiesa di Sant’Ilario. Aveva fatto testamento il 25 novembre 1765 (rogito F.S. Razzetti). Dalla prima moglie, Francesca Taffurelli, ebbe tre figli: Francesco, che fu arciprete di Vigoleno, Angelo, divenuto monaco, e Maria Felicita, che andò sposa al nobile piacentino Antonio Laguri. Dalla seconda moglie, Maria Maddalena Benelani, vedova Balestrieri, ebbe Luisa e Luigi Uberto.
FONTI E BIBL.: R. Giordani, Opere scelte di L.U. Giordani, 1988, 9-14.
Casagrande di Pessola-Bardi 1689c.
Figlio di Gianbattista e di Eleonora Cavazzuti. A differenza dei suoi congiunti, si laureò in medicina e svolse la professione medica dapprima a Compiano, dove nacquero alcuni dei suoi figli, poi a Bardi.
FONTI E BIBL.: G. Fiori, Pietro Giordani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1990, 185.
Parma 1861
Fabbricante di pianoforti operante a Parma nell’anno 1861.
FONTI E BIBL.: L.F. Valdrighi, Nomocheliurgografia antica e moderna, 1884-1894.
Parma 26 marzo 1890-Roma 24 dicembre 1964
Nacque da Lodovico, da una famiglia che diede alla città di Parma illustri letterati, scienziati e patrioti, tutti docenti dell’Ateneo parmense.Dopo aver partecipato con il grado di sottotenente al conflitto italo-turco del 1911, prese parte alla prima guerra mondiale meritando una medaglia di bronzo al valor militare sul campo per l’eroico comportamento tenuto nella conquista e nella difesa del Monfenera, nell’autunno del 1917.Nel corso della seconda guerra mondiale, sui fronti occidentale e greco libanese, dopo la promozione a colonnello, venne decorato di una medaglia d’argento, di una croce di guerra e della commenda dell’Ordine di Scandenberg.Rientrato in Italia, comandò la scuola allievi ufficiali di Ravenna.Promosso generale di brigata, venne poi destinato nei Balcani al comando della divisione Murge, sostenendovi aspri scontri.Sottrattosi con i suoi uomini alla deportazione in Germania, riparò a Salsomaggiore, dove visse clandestinamente fino alla liberazione.La sua salma fu tumulata a Parma.
FONTI E BIBL.: La morte di Galeazzo Giordani, in Gazzetta di Parma 27 dicembre 1965; F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 503; Gazzetta di Parma 24 dicembre 1994, 15.
Gusaliggio 1398
Figlio di Zanello.Fu giudice di pace a Gusaliggio e castellano di Landasio.È citato in un rogito del 17 febbraio 1398 del notaio Bartolomeo Pulvino.Nell’occasione fu nominato castellano di Landasio e deputato a dirimere una contesa sorta per motivi di interesse tra i componenti della famiglia Pallavicino.È dal Giordani che traggono origine i Giordani di Pessola.I figli del Giordani abitarono nei castelli di Pessola, Vianino e Valmozzola, tutti sotto la giurisdizione dei Pallavicino.
FONTI E BIBL.: A.Giordani, notizie manoscritte,
Parma 18 dicembre 1810-Parma ante 1860
Figlio di Lazzaro e Isabella Sanini.Fu autore di un apprezzato lavoro di ricerca sul monastero di Taneto (Biblioteca Estense di Modena).Nel 1839 in prime nozze sposò Angela Maria Carpanini di Bardi.Da questo matrimonio ebbe Lazzaro e dalla seconda moglie, Teresa Brizzi, ebbe Isabella, Lodovico, Blandina, Luisa e Michele. Il Giordani fu commerciante di granaglie e strumenti per l’agricoltura, con magazzino in piazza delle Ortolane, dirimpetto alla chiesa della Steccata a Parma.Si separò dalla seconda moglie, forse a causa del profondissimo dissidio esistente tra i Giordani, filoborbonici, e i Brizzi Riva, noti agitatori mazziniani
FONTI E BIBL.: A.Giordani, notizie manoscritte.
Bardi 1807-1861
Figlio di Bernardino e di Luisa Farina.Durante i moti del 1831 fu inquisito e colpito da mandato d’arresto come uno dei principali ribelli.Profugo per qualche tempo, ottenne poi di poter rimpatriare, sottoposto ad alcuni precetti.In seguito fu eletto sindaco di Bardi.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, inArchivio Storico per le Province Parmensi 1937, 171.
Parma 17 maggio 1753-Parma 14 gennaio 1818
Nacque in Parma nel palazzo del conte Ferrante Cogorani, sito nella parrocchia di Sant’Uldarico, da Bernardino e da Maria Maddalena Benelani.Al fonte battesimale ebbe come padrino il marchese Uberto Pallavicino.Gli furono posti i nomi di Luigi, Uberto, Angelo, Maria, Giuseppe.Il padre, da poco tempo nominato consigliere del Supremo Consiglio di Piacenza e presidente del Magistrato Camerale, stava in quel periodo per trasferirsi in Piacenza, ove sarebbe rimasto fino al 1765, anno in cui per alcuni mesi ebbe la carica di Governatore.Il Giordani ultimò a Piacenza a undici anni e mezzo gli studi di umanità e di retorica sotto la guida del gesuita Pier Paolo Fabi, dimostrando ben presto di essere dotato di superiori doti d’intelletto.Alla morte del padre tornò con la madre a Parma e iniziò il corso di filosofia a soli tredici anni.Iscrittosi successivamente a giurisprudenza, fu fatto dottore collegiato in Parma e ivi (eccetto il periodo di Genova) dimorò fin che visse.Fu per molti anni Anziano, quindi Decurione Legale (1798) nel Consiglio della locale comunità.Amò trascorrere i periodi di riposo nella quiete di Serravalle, nella villa detta La Ferrarina, località che ebbe gran parte nell’ispirazione dei Componimenti in Villa, che sono senza dubbio una delle sue opere meglio riuscite.Dal 1774 sino al 1776 tenne le veci di Giambattista Comaschi nell’insegnamento delle Istituzioni Criminali all’Università di Parma, alla quale fu aggregato nel 1776.Nel 1777 sostituì per quattro mesi il professore di Diritto pubblico Felice Silvani, che era andato in Spagna e che al ritorno, in attesa di pubblicare le proprie, per tutto il 1779 continuò a dettare le apprezzatissime dispense compilate dal Giordani. Portato per temperamento alla poesia e all’arte, non amò l’esercizio dell’avvocatura, nella quale pure fu provetto, ma dovette comunque impegnarvisi per necessità di famiglia.Scrisse al Paciaudi in data 10 settembre 1778: trovomi ora in angustia di patrimonio e infine per quest’ultimo motivo sarei in grado d’accettare anche una carica nelle giudicature. Lo studio e il lavoro forense non gli impedirono, tuttavia, di assecondare la sua inclinazione letteraria.Fece ricerche intorno ai dialetti di Parma, Piacenza e Guastalla e nel 1775 mandò a concorso una tragedia dal titolo Settimia Zenobia Regina dei Palmireni.L’opera fu ben accolta ma non conseguì gli esiti sperati, pare per il voto sfavorevole del Rezzonico o, molto più probabilmente, del cugino Angelo Mazza.I due componenti la giuria giudicante infatti si incolparono l’un l’altro di essere i responsabili della stroncatura dell’opera.Critica favorevole ottennero tre canzoni intorno alla Morte di Cristo, lavoro stilisticamente apprezzabile ma privo di originalità e di personalità. Nel 1779 con lo pseudonimo di Giulio Randigi diede vita a una sua Gazzetta di Serravalle che tuttavia non andò oltre i primi sei numeri manoscritti.L’opera nella sostanza è una vicace satira dei costumi delle corti e dei letterati del tempo e una condanna frizzante ma non volgare dei vizi della sua generazione.Spesso vi si fa uso della forma poetica.Il ricordo della sua critica satirica fece sì che alcuni anni dopo gli fosse attribuito il Foglio Tritico, uno scritto del Fontana, mordace, volgare e offensivo per il Mazza, che molto si adontò con il Giordani, nonostante le proteste di innocenza di questi.Il Giordani fu un ammiratore del Mazza, che chiamava suo maestro, e mai si sarebbe abbassato a scrivere un simile libello, anche se in privato con gli amici non disdegnò di rimarcare i difetti di stile e di contenuto della poesia dell’illustre arcade, uomo ombroso e insofferente alla critica.Già l’anno prima il Giordani era stato al centro di un episodio analogo.Venne di dominio pubblico in Parma un carme dal titolo Scherzo satirico per le nozze di Tizio e Berta nel quale si ridicolizzava la mania allora in voga di poetare con retorica enfasi sulle nozze di nobili e di borghesi.Un libraio della città, pensando che detta satira volesse irridere una raccolta relativa al matrimonio di un potentato del luogo, la portò a conoscenza della famiglia interessata, che si ritenne altamente offesa.Poiché l’opinione pubblica fece autore della stessa il Mazza, il Giordani, onde evitare guai al cugino, ne rivendicò la paternità.Spiegò che il carme era stato composto tre anni prima delle nozze in questione e che nulla aveva a spartire con le stesse.Conoscendo tuttavia il suo spirito burlesco e caustico, è da credere che la satira sia stata scritta solo nel 1787 e proprio in occasione delle nozze succitate e che la precisazione da lui fatta avesse il solo scopo di calmare le acque ed evitare vendette.Nell’ottobre del 1781 ottenne finalmente la tanto ambita cattedra di Diritto all’Università di Parma e ben presto vi si mise in luce come docente e come giurista.Molte delle sue Orazioni trattano dei soggetti rappresentati nei quadri di Sebastiano Ricci, che adornano la grande sala delle lauree.Tra gli allievi del Giordani che divennero celebri vanno ricordati Gaetano Dodici, governatore di Guastalla, Ferdinando Cornacchia, ministro degli Interni sotto Maria Luigia d’Austria, e il Pelleri. Nel 1795 gli fu pubblicata la geniale Orazione pronunciata in occasione della laurea del cugino Pietro Giordani, nella quale gli preconizzò un brillante avvenire letterario. Come avvocato perorò e vinse parecchie cause di grido.Rimase famosa quella in favore dei Fratelli Cassio contro l’Anna Barbisini.Fu tuttavia una vittoria di Pirro, perché il Duca avocò a sé il carteggio ritenendo che la ragione e la giustizia fossero state sacrificate all’oratoria, cassò la sentenza, sospese i giudici e tolse la propria stima e il favore al Giordani, patrocinatore della causa, che così cadde in disgrazia.Il Giordani dedicò alla poesia tutto il tempo libero di cui disponeva.Videro così la luce nel 1797 i Quattro Componimenti Poetici in Villa (Il Bosco, Il Monte, Il Colle, Il Torrente) cui fanno riscontro i Componimenti di Città (Il Teatro, Le Tombe, Il Passeggio, Il Foro), carmi armoniosi nella forma e pervasi da suggestiva e fresca vena poetica che lo pongono tra i migliori arcadi locali del tempo e gli valsero la pubblicazione da parte del Bodoni.Nell’Arcadia fu noto con il nome d’arte di Cloridano Dulichiense.Altre sue piacevoli composizioni sono la traduzione e messa in rima di nove salmi, del capitolo 39 del Libro di Giobbe e del Libro di Simeone, e una raccolta di Poesie (Parma, 1809).Tra le opere inedite del Giordani vale la pena di essere conosciuta una poesia allegorico-moraleggiante nota come Visione di Ezechiello.In essa si disserta sul pensiero artistico di un gruppo di dotti soliti frequentare il salotto letterario del vescovo Turchi.Iquattro personaggi principali, seguendo una moda del tempo, sono simboleggiati, a seconda del carattere, da animali.Il Giordani si riconosce nel bue, a significare la sua mitezza di temperamento, la pazienza e la mansuetudine di chi era in attesa di rientrare nelle grazie del Principe. Conobbe molto bene le opere dei classici, specialmente quelle di Omero e di Platone.Parlava e scriveva con proprietà in inglese, francese, spagnolo e tedesco e ciò gli consentì di leggere nella lingua materna le opere dei migliori scrittori e poeti europei.Tra gli Italiani predilesse le opere dell’Alighieri, di cui fece uno studio profondo e meditato, e fu sempre pronto a confutare quanti avessero osato metterne in dubbio la grandezza, come avvenne con le Lettere Virgiliane del Bettinelli.Anche con i letterati e i poeti del suo tempo non fu tenero, come dimostrano le critiche all’Aristodemo del Monti e alla poesia del Mazza.Sposò, contro il volere dei parenti, Luigia Ferrari, donna di modesta condizione sociale, che gli diede numerosi figli, dei quali solo la figlia Zoe gli sopravvisse. Mortagli la moglie, nel 1813 si risposò con Angela Paini, vedova di Carlo Ignazio Gasparotti, dalla quale non ebbe figli.Nel 1800 il Giordani fu nominato Regio Revisore dei libri.Nel 1801, ormai tornato nella stima del Duca, fu nominato consigliere nel Supremo Tribunale di Piacenza e poi nei Primari Maestrati di Parma.Morto in quell’anno Ferdinando di Borbone, nonostante il difficile clima politico dovuto alla presenza francese, non esitò a scrivere una splendida Orazione Funebre in suo onore.Annesso il Ducato all’Impero Francese, egli continuò a ricoprire importanti cariche giuridiche.Fu, tra l’altro, membro del Consiglio civile d’azienda e di giurisdizione in Parma (1804), Procuratore sostituto generale nella Corte Criminale (1806) e uno dei giudici della Corte Imperiale di Genova (1811).La sua rettitudine fece sì che a Restaurazione avvenuta ottenesse la nomina a Procuratore Generale del Tribunale d’Appello e della Corte di Cassazione, nonché a professore onorario dell’Università di Parma (1815).Nel 1808 fu iscritto all’Accademia Italiana di Pisa e due anni dopo le sue opere ottennero una menzione speciale dall’Accademia della Crusca. Nel 1817 venne colpito da attacchi febbrili e successivamente soffrì di angina pectoris.Nonostante le assidue cure del celebre medico Pietro Rubini, si spense nel giro di pochi mesi.Molti elogi furono scritti in suo onore, tra gli altri un sonetto del Pelleri e un’iscrizione di don Ramiro Tonani, ma il più completo e veritiero è nell’epigrafe che per lui dettò il cugino Pietro Giordani: Luigi di Bernardino Giordani legista e letterato elegante e facondo il cui dotto ingegno molti scritti dimostrano e la virtù fu provata da molte avversità.Morì di LXV anni il dì 14 gennaio MDCCCXVIII. Non dimenticabile a niuno che il conobbe lacrimabile a tutti i buoni massimamente desiderato dalla Zoe figlia che sola di quattro gli sopravvisse e dal genero Gherardo Cornazzani e dal cugino e discepolo e come figlio Pietro Giordani. Fu membro della Congregazione della Carità di Parma, istituzione che egli contribuì a migliorare sul piano amministrativo e giuridico.
FONTI E BIBL.: Giornale del Taro 1811, 305; Gazzetta di Parma 1816, 4 e 68, 1817, 202, 1818, 19, 32, 40; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 587-605; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 189-192; Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 210; Berti, Atteggiamenti del pensiero nei Ducati di Parma e Piacenza, 1962, II, 367; R. Giordani, Opere scelte di L.U.Giordani, 1988, 17-27; Archivio Storico per le Province Parmensi XLIII 1991, 292-293.