SELETTI
Parma 1795/1801
Fu maestro di canto dei chierici alla Steccata di Parma in sostituzione di Liborio Cornini dal 1795 al 1801.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, Mandati 1795-1801; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 169.
SELETTI CLAUDIO
Soragna 26 maggio 1597-Bologna 18 settembre 1631
Si fece cappuccino il 19 maggio 1619 e un anno dopo compì la professione a Faenza. Fu buon predicatore e trascorse la sua vita nell’esercizio della carità verso i sofferenti. Si distinse particolarmente durante la peste che nel 1630 colpì la città di Bologna, assistendo, senza sosta e noncurante di ogni sacrificio, gli ammalati della parrocchia di Santa Cristina, a cui era stato assegnato. Colpito dal contagio, morì: gli storici suoi contemporanei non mancarono di annotare che di lì a poco si verificò una notevole diminuzione della mortalità, attribuita dal popolo ai meriti dello stesso Seletti, già stimato come uomo di rare virtù umane e dotato di non comuni sentimenti.
FONTI E BIBL.: Da Gatteo, La peste a Bologna, 133 e 134-135; F. da Mareto, Necrologio dei cappuccini, 1963, 538; B. Colombi, Soragna. Feudo e Comune, 1986, II, 291.
SELETTI EDELINO
Fontanelle 27 gennaio 1878-Fontanelle 18 ottobre 1950
Appartenne a una famiglia di agricoltori e cestai. Fu sarto, vetraio e specialmente fotografo. Si dedicò alla fotografia nel 1904. I soggetti sono quelli del mondo a lui circostante: gruppi di contadini indaffarati e bambini sull’aia. Presto il Seletti allargò l’area di intervento da Fontanelle alle vicine località di roccabianca, Coltaro, Gramignazzo, Trecasali, Pizzo, Stagno, fino a San Quirico. Lo stesso suo negozio, come accadeva ai fotografi di paese, rappresentò un vero punto di riferimento, potendosi trovare ogni cosa. Al primo piano era situata la camera oscura: una tenda nera separava il luogo delle operazioni di sviluppo e stampa dal resto dell’abitazione. La nipote Liliana manovrava il fondale scuro dall’alto di una scala quando si trattava di fotografare un gruppo oppure portava un secchio d’acqua con dentro centinaia di copie stampate appena uscite dal fissaggio con l’incarico di tenerle sciacquate. Se poi il lavoro si faceva urgente era il Seletti a scendere di persona per asciugare le stampe grazie a una scatola di quelle usate all’epoca come contenitori di lucido da scarpe: dopo averla riempita d’alcool, dava fuoco e passava le fotografie a una a una sopra la fiamma fino a ottenerne un rapido risultato. Quanto alla smaltatura, il Seletti satinava a mano facendo scorrere le stampe sui lati del tavolo di cucina. Poi con la forbice da taglio rifilava le fotografie sfruttando sapientemente la lama un po’ frastagliata dell’attrezzo. Il Seletti era disponibile a partire in ogni momento se le circostanze si facevano pressanti ma normalmente si spostava sul territorio la domenica mattina. Elaborò lui stesso la bicicletta per ospitare tutta l’attrezzatura, composta da due apparecchi a lastra da campagna, cavalletti, fondali neri e cassette colme di lastre. I suoi soggetti sono tipici del mondo cui anch’egli appartenne: famiglie di contadini, trebbiature, processioni e funerali, le cose che segnano il ritmo della vita tra la gente dei campi. Fotografò occasionalmente qualche proprietario terriero in vena di immortalarsi tra i suoi possedimenti. Tra i soggetti non mancano molti bambini, vivi e morti. La moglie Ermina Borella di Samboseto lo aiutò in negozio. Il Seletti operò fino agli anni quaranta. Fu amico di Luigi Vaghi, al quale dovette molto sul piano professionale. Apolitico, frequentò però assiduamente Giovanni Faraboli, noto sindacalista e cooperatore. nell’agosto del 1922 documentò la distruzione della biblioteca, dei magazzini, del caseificio, della cantina e della segheria, tutti edifici della cooperativa di Fontanelle, incendiati e saccheggiati dai fascisti cacciati dalle barricate di Parma.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 270-271.
SELETTI EMILIO
Milano 29 settembre 1830-Milano 1 aprile 1913
Figlio di Giuseppe e nipote del canonico Pietro. Fu cultore appassionato di cose bussetane, raccogliendo i frutti di lunghe e pazienti ricerche in un’opera monumentale di larga consultazione per la storia della cittadina. Laureato in legge nel 1854 e divenuto quindi avvocato, si dedicò anche a studi di paleografia, iniziando la raccolta di oggetti archeologici, di una biblioteca che arricchì di settemila volumi, di circa duemila tra codici, documenti manoscritti e lettere autografe e infine di una raccolta di circa quindicimila ritratti incisi. Stabilitosi con la famiglia a Milano, vi dette alle stampe, nel 1883, la Città di Busseto, che ebbe larga diffusione (non soltanto nel bussetano) avendovi introdotto le biografie di illustri personaggi della sua terra, tra cui, in primo piano, quella di Giuseppe Verdi, del quale godette l’amicizia. Nel 1885 fu nominato Consigliere comunale in Milano, tenendo la carica per un quinquennio. Annoverato tra i membri della commissione per il Museo del Risorgimento italiano, per quindici anni fu pure Segretario della Società Storica Lombarda (della quale venne poi nominato vice-presidente) e membro della consulta del Museo archeologico. Ricoprì anche le cariche di socio fondatore dell’Archeologica Comense, di membro corrispondente della Regia deputazione Storica per le province di Parma e Piacenza, di socio corrispondente ed effettivo e di Segretario della Deputazione di Storia Patria in Torino e di socio effettivo della società Numismatica Italiana. Per istituti storici, letterari e artistici scrisse un considerevole numero di cenni, memorie e rapporti. contribuì efficacemente alla pubblicazione dei dodici volumi delle Iscrizioni delle chiese di Milano dal sec. VIII e compilò un Catalogo dei marmi scritti nel Museo archeologico di Milano. Sua opera principale rimane La Città di Busseto. In tre volumi, essa illustra la cittadina dalle origini all’età contemporanea. Forma materia dell’ultimo volume la trascrizione dei più importanti documenti di storia locale e l’elenco della produzione letteraria e artistica dei Bussetani insigni, con appendice degli alberi genealogici delle famiglie notabili. Scrittore dotto e diligente, gli nocque tuttavia la posizione polemica assunta nei confronti di storiografi borghigiani, portandolo ad affermazioni fantasiose sulle origini di Borgo San Donnino, di cui negò la fondazione romana, poi invece provata da scoperte archeologiche. Ma il difetto nell’equilibrio del giudizio non smentisce nel Seletti la nobiltà dell’aspirazione, espressa in un’opera ancora fondamentale per la storia di Busseto. Nel corso della sua laboriosa esistenza, fece, con passione di studioso e generosità preziosi doni a diversi istituti pubblici milanesi, quali la Biblioteca di Brera, il Museo del risorgimento italiano e l’Archivio storico. Dispose che la sua ricca raccolta archeologica andasse ad arricchire il patrimonio del Museo del Castello Sforzesco e destinò quella degli autografi, dei manoscritti e dei ritratti all’Archivio storico del Comune di Milano. Non dimenticò Busseto, la città verso la quale nutrì inalterabile affetto e devozione. Lasciò infatti all’ospedale un legato di quindicimila lire e alla civica Biblioteca donò una parte della sua ricca raccolta di libri di ogni epoca. Da Verdi fu invitato a far parte della Commissione di amministrazione della Casa di Riposo per Musicisti, della quale divenne poi presidente. Dedicò all’istituto particolari cure, fondandovi il Museo Verdiano e cooperando all’iniziativa con il dono di preziosi cimeli.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 435-437.
SELETTI ERMENEGILDO
Roccabianca 1831
Durante i moti del 1831 fu uno degli autori della rivolta a Roccabianca. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato con requisitoria.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 207.
SELETTI GIULIO
Parma 1714/1762
Intagliatore. Realizzò, tra l’altro, le seguenti opere: 1714 simulacro di N. S. G..C., 1717 sei candelieri e sei vasi, 1724 quattro vasi nella parrocchiale di Fontanellato, 1730 cornice e altare maggiore nella chiesa del Priorato, 1743 pagamenti per baldacchino del Santissimo, dodici candelieri, sei vasi, tre tavolette e un basamento di croce, 1748-1749 croce con piede e due candelieri in San Giacomo a soragna, 1761 croce nella parrocchiale di fontanellato, 1762 altare maggiore nell’oratorio di Sant’Antonio a Soragna.
FONTI E BIBL.: Colombi, 1975, 46 e 222; Il mobile a Parma, 1983, 257.
SELETTI GIUSEPPE
Busseto 25 agosto 1786-Milano 3 maggio 1846
Ebbe a precettore nei primi anni di studio lo zio canonico Pietro Seletti, dimostrando sin dalla giovinezza singolare attitudine alle belle lettere e specialmente alla poesia. Compose infatti un notevole numero di rime, che furono poi raccolte in un volume di 265 pagine, ma di esse videro la stampa soltanto due sonetti dedicati all’attrice Margherita Perelli e al concittadino Giulio Dordoni nella circostanza dell’elezione di questi a maire di busseto. Tra le opere giovanili del Seletti figurano anche le commedie I letterati e Una madre delusa, il dramma in versi Argenide e Filippo tra i pastori, le tragedie Pelopida, Polissena, Beatrice Cenci, Cosroe, re di Persia ed Elena, gran principessa di Mosca. Nel 1808 fu accolto tra i soci dell’Accademia bussetana Emonia con lo pseudonimo di Darsindo Uranèo, sotto il quale pubblicò nel 1824 una Storia di evaristo Pancardio e di Angelica baronessa di Vitrelto. Dal 1816 risiedette a Milano, occupato nell’insegnamento. Fu professore di grammatica superiore e di umanità al Collegio Burla di Rho, poi di latino nel Collegio-ginnasio milanese Calchi-Taeggi e infine della stessa materia al Ginnasio comunale di via Santa Maria. Acquistò benemerenze nel campo dell’istruzione pubblica. Largo favore di pubblico e di critica incontrarono nel 1824 la volgarizzazione della Vita di Publio Scipione Emiliano del Sigonio e un saggio di Lezioni greche per le classi terza e quarta di grammatica, opere ristampate in sei edizioni. I suoi Rudimenti di geografia, pubblicati nel 1848, furono anch’essi oggetto di replicate ristampe, così pure un’Analisi delle lezioni di greco ad uso dei ginnasi. Collaborò ai giornali Gazzetta di milano e Il Giovedì con articolari letterari e lasciò, inedite, Storie del Regno d’Italia tradotte dal Sigonio, una compendiosa Storia della Russia, un’Introduzione allo studio delle Umane Lettere, Lezioni, studi di matematica, di umane lettere, di storia antica e del Medio Evo e varie altre opere minori.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 437-438.
SELETTI LINO
Fontanelle 27 agosto 1907-Magreto di Palanzano 20 settembre 1985
Figlio del fotografo Edelino. Cercò di migliorare in molti modi il livello qualitativo raggiunto dal padre e studiò anche la tecnica delle foto industriali. Ottimo ritoccatore, diede impulso alle fototessere, alle immagini di gite sul Po e di militari. Fu amico del suo conterraneo, lo scrittore Giovannino Guareschi, e amò, insieme alla fotografia, la pittura. Il Seletti restò in contatto con Luigi Vaghi e Alfredo Zambini, tenendosi sempre aggiornato sulle evoluzioni della tecnica. Fino agli anni cinquanta proseguì l’attività lavorando prevalentemente di domenica: infatti il seletti, per molti anni (e fino alla seconda guerra mondiale), fu anche fotografo ambulante.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 271.
SELETTI LUIGI
Roccabianca 1831
Durante i moti del 1831 fu uno degli autori della rivolta in Roccabianca. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato con requisitoria.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 207.
SELETTI PIETRO
Busseto 19 ottobre 1770-Busseto 6 dicembre 1853
Ebbe a maestri in Busseto Buonafede Vitali e Ireneo Affò. Entrò poi nel seminario borghigiano per compiervi gli studi liceali e teologici. Ordinato sacerdote e destinato a svolgere il sacro ministero nel paese natale, si dedicò anche all’insegnamento di grammatica nel ginnasio superiore. Con Marco Pagani, Pietro Vitali e Gaetano Bombardi fondò nel 1796 l’Accademia di Lettere Greche per incrementare nei giovani lo studio dei classici. Chiamato nell’autunno 1806 a insegnare greco e latino nel seminario di Brescia, accettò l’incarico, che declinò tuttavia al termine dell’anno scolastico per poter far ritorno a Bussetto ad aprirvi una scuola privata di lingue e lettere antiche. Nel 1816 gli venne affidata la conservazione della pubblica Biblioteca di Busseto e nel 1820 fu nuovamente incaricato a occupare nel locale ginnasio la cattedra di lettere. La sua cultura si estese dalle lingue antiche all’archeologia, alla numismatica, all’astronomia e alla musica. Si interessò di storia locale e dette alle stampe alcuni lavori nell’intento di difendere qualche ricerca storica e il nome dei suoi maestri Vitali ed Affo, bistrattati per un male inteso amor patrio da scrittori di Borgo San Donnino, che, invogliati di dare un’origine romana alla loro terra, si fecero a sostenere inveterate opinioni sulla esistenza dell’antica Fidenza nel luogo ove ora sorge la città di San Donnino (Emilio seletti). In quelle opere (Confutazione del libretto uscito dai torchi di Giuseppe Vecchi di Borgo San Donnino nell’anno 1840 che ha per titolo “Memorie storiche sulla fondazione della città di Giulia Fidenza” e Confutazione di un’opera uscita dalla tipografia di Borgo San Donnino nell’anno 1843 intitolata Controversie archeologiche patrie) il Seletti sostenne, sorretto soltanto dalla forza del ragionamento, come Borgo San Donnino sorgesse nella campagna di Samboseto, soggiungendo che non era anticamente che un cimitero romano e che assurse a notorietà dopo la scoperta, nel VII secolo, delle ossa del martire Donnino. Le controversie archeologiche, lavoro cui il Seletti attese negli ultimi anni di vita, gli impedirono di redigere, come aveva in progetto, una storia del paese natale. Emilio Seletti se ne rammarica, spiegando che, con l’abbondante messe delle sue cognizioni storiche e con i documenti che aveva raccolti e studiati, egli avrebbe potuto condurre l’opera a perfezione. Rivelò non comune perizia nella decifrazione di antiche iscrizioni e nell’illustrazione di epitaffi, pubblicando osservazioni e dissertazioni apologetico-critiche sopra epigrafi latine e greche difficilmente interpretabili. Lasciò trentasei scritti (dei quali ventotto inediti) d’argomento vario, ma in prevalenza di ricerca storica e di archeologia. Nel 1830 fu annoverato tra i canonici della collegiata di Busseto e per qualche tempo diresse l’orchestra in chiesa. Fu suonatore di viola e compose alcuni brani di musica sacra e vari concerti.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 182; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 438-439.
SELLI MARIO
Castel San Giovanni 1895-Altipiano di Bainsizza 24 ottobre 1917
Figlio di Luigi. Tenente di complemento del 211° Reggimento Fanteria, fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione: Comandante di un plotone, durante un nostro contrattacco per la riconquista di un elemento di trincea perduto, dava mirabile prova di sprezzo del pericolo e di coraggio. Da solo affrontava un ufficiale ed un gruppo di arditi nemici, mettendo fuori combattimento l’ufficiale stesso. Colpito a morte, lasciava gloriosamente la vita sul campo, ma col proprio sacrificio dava tempo ai nostri di correre e di far sgombrare dall’avversario un camminamento che essi avevano occupato. Il Selli risiedette a lungo a Parma.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1920, Dispensa 56a; Decorati al valore, 1964.
SELONI, vedi FRANZONI CARLO
SELVA CRISIPPO
Parma 12 novembre 1546-1630 c.
Figlio del medico Filippo e di Isabella. Il Selva studiò medicina ma si applicò anche alla poesia in volgare. Dedito sempre a nuovi amori (Affò), si spostò nel Mantovano, nel Reggiano e in Bologna. Secondo quanto afferma giambattista Rocca, il Selva, indispettito da una sua innamorata, bruciò tutte le rime fatte in suo onore e compose un Canzoniere per manifestare il suo biasimo (l’opera, stampata dai Viotti, ebbe molte edizioni: 1574, 1601, 1607 e 1609). Per i suoi meriti nella medicina, ebbe il titolo di Cavaliere dai duchi di Parma. Nel 1582 fu tra gli Anziani della Comunità di Parma, eletti a correggere gli Statuti delle Arti. Perduto allora il padre in età di 80 anni, gli dedicò un epitaffio in San Giovanni evangelista. Il Selva scrisse versi anche in lingua spanola. Il Pico (Appendice, 1642) lo dice morto pochi anni prima. Sposò Sestilia Strinieri, di nove anni più giovane di lui, poetessa anche lei.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 339; Aurea Parma 3/4 1959, 197.
SELVA FILIPPO BENEDETTO
Parma 20 marzo 1504-Parma 1582
Figlio di Domenico.È compreso tra i dodici dottori effigiati nella storica farmacia di San Giovanni Evangelista in Parma. Iscritto al collegio nel 1529 in Arti e Medicina, fu tra i medici consultati dal farmacista Girolamo Calestani per la stesura delle Osservazioni, antidotario prescritto nel Ducato di Parma anche molto tempo dopo la morte del calestani. Nel 1530 prese parte a una riunione del Collegio Medico per le modifiche agli Statuti. Si dilettò anche in poesia. Fu sepolto nella chiesa di San Giovanni Evangelista in Parma, con epitaffio dettato dal figlio Crisippo.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1959, 110; Parma nell’Arte 1 1970, 73.
SELVA GEMIGNANO, vedi SILVAGNI GEMINIANO
SELVA GEROLAMO
Parma 1504 c.-post 1554
Fratello di Filippo. Si laureò in legge.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 39.
SELVA ORAZIO
Parma 24 luglio 1558-
Figlio di Martino e Africa Bravi. Nacque da nobile famiglia. Conosciuto anche col nome di Zucco (la famiglia era nominata Selva o Zucchi). Fu mediocre poeta: tutto ne’ suoi versi si vede debole, spossato, prosaico, e scritto senza aiuto alcuno, ben che minimo delle Muse e d’Apollo.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1958, 112-113.
SELVA RANUCCIO PICO
Parma 1559 c.-
Figlio di Martino e Africa Bravi. Fu sacerdote e poeta. Un suo epigramma in lode di Anton Maria Garofani è contenuto nel Santuario di Parma del Garofani stesso. È composto di cinque distici latini.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1958, 113.
SELVA ZUCCO, vedi SELVA ORAZIO
SELVAGNI GEMINIANO, vedi SILVAGNI GEMINIANO
SEMORILE MARIANNA, vedi MARCHINI MARIANNA
SENECIUS PUBLIUS APRONIANUS
Parma-Roma 144 d. C.
Libero, pretoriano, signifer, documentato in latercolo rinvenuto presso Roma, datata al 144 d.C. Senecius è nomen rarissimo in Cisalpina, non presente a Parma. Apronianus è cognomen derivato da gentilizio, raramente documentato, non presente in altri casi a Parma, dove invece si trova Apra.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 161.
SENTIA BETUITA
Parma I secolo a. C./V secolo d.C.
Di condizione incerta, fu moglie di C. Ae [...] Pau [...], col quale visse quindici anni e cui pose un’epigrafe, documentata a Parma, poi perduta. Sentius è nomen diffuso soprattutto in Italia settentrionale e centrale, dove è frequente. In particolare in Cispadana se ne riscontrano alcuni casi. A Parma si trova in questa sola epigrafe. Betutius, nomen diffuso soprattutto in Gallia Cisalpina e Narbonese, usato talvolta, come in questo caso, come cognomen forse derivato da Bettius, è frequente soprattutto in Cispadana, particolarmente nella Tabula Veleiate. A Parma è documentato in questo solo caso.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 162.
SERAFINI FRANCESCO ROMANA, vedi LITTA MODIGNANI FRANCESCA ROMANA
SERAFINO
Parma 1221/1274
Frate francescano. Fu mistico e teologo (doctor Seraphinus).
FONTI E BIBL.: Pighini, Storia di Parma, 1965, 97.
SERAFINO DA PARMA
Parma 1529
Frate Minore. Nel 1529 pubblico l’orazione Venerandi Patris Fratris Seraphini de Parma Ord. Minor. Oratio habita in Capitulo generali Parmae celebrato an. MDXXIX (Impressum Parmae, per Antonium de Viottis).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 652.
SERAFINO DA PARMA, vedi anche AGUZZOLI CAMILLO e GHIDINI GIOVANNI
SERGENTI GIOVANNI
Parma seconda metà del XIX secolo
Soldato, fu decorato con medaglia d’argento al valor militare dopo il fatto d’arme di Vigolo.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
SERGIO CALLISTO, vedi CALISTO SERGIO
SERINI ARNALDO
Colorno 1894-Parma 21 febbraio 1981
Figlio di fornaio, fu valoroso combattente nella prima guerra mondiale. Al suo ritorno, subito colse i fermenti sociali che si agitavano tra la sua gente e si impegnò nelle organizzazioni democratiche bianche, nel sindacato, nel partito popolare (di cui fu tra i fondatori), oltre che nell’Associazione reduci e nell’unione del lavoro (fu Segretario di zona). l’insorgente fascismo lo vide tenace e coraggioso oppositore, al punto che dovette subire violenze e persecuzioni. Nel secondo conflitto mondiale combatté col grado di ufficiale in terra d’Africa, meritò decorazioni al valor militare (tra l’altro una medaglia d’argento) e rimase ferito a Tobruk. Nei giorni più drammatici della Resistenza operò presso il comando Piazza di Parma e fu ispettore del Comitato di Liberazione Nazionale. Il Serini profuse il suo impegno anche nell’immediato dopoguerra: fu Sindaco per breve tempo di Colorno e tra i fondatori della Democrazia Cristiana e delle Acli, dopo aver avuto una parte importante nel sindacato unitario per la parte cattolica a fianco di Giuseppe Mori. Quando sorse l’associazione partigiani cristiani, il Serini non tardò a prestare la sua collaborazione: fu per molti anni, finché le forze glielo consentirono, Segretario amministrativo a fianco di don Cavalli prima, di Molinari e del senatore Cacchioli poi. Nel trentennale dell’associazione Partigiani Cristiani, l’onorevole Zaccagnini gli conferì a Parma una medaglia d’oro a riconoscimento e coronamento di una vita dedicata all’affermazione degli ideali di libertà e democrazia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 febbraio 1981, 5.
SERINI GIUSEPPE
Colorno 1899-Vittorio 30 ottobre 1918
Figlio di Carlo. Caporale maggiore del 3° Reggimento Fanteria, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Comandante di squadra, con calma e perizia, sotto violento bombardamento nemico, manteneva i suoi uomini in ordine perfetto nonostante le perdite subite, finché cadeva colpito a morte sul campo.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1920, Dispensa 50a, 2622; Decorati al valore, 1964, 35.
SER LELLO, vedi SCUTELLARI AJANI GUIDO ASCANIO GIUSEPPE
SERMATTEI ADRIANO
Assisi 30 giugno 1680-Viterbo 9 aprile 1731
Appartenne a nobile famiglia. Compì i primi studi nella città natale sotto la guida di precettori e li continuò a Roma, dove il 26 febbraio 1710 si addottorò in entrambe le leggi. Fu giureconsulto di valore e ricoprì importanti cariche pubbliche. Ordinato sacerdote il 4 settembre 1707 e ottenuta la stima e la fiducia di Michelangelo Conti, vescovo di Osimo, questi lo nominò suo Vicario generale e, come tale, lo volle con sé a Viterbo allorché fu promosso a quella sede. Il 30 gennaio 1713 papa clemente XI lo elevò alla dignità episcopale, destinandolo a reggere la vacante cattedra di Borgo San Donnino. Consacrato nel Duomo di Viterbo il 18 di quel mese dallo stesso Conti, prese possesso della sua sede il 10 maggio successivo. Primo atto del suo governo fu di indire la visita pastorale, che iniziò il 3 settembre 1713 e condusse a termine il 28 aprile dell’anno seguente. I vari decreti emessi per la circostanza sono raccolti in un volumetto conservato nella Cancelleria vescovile: da essi si rileva quanto il Sermattei fosse rigoroso nell’imporre l’osservanza al clero delle regole di disciplina e nel correggere abusi inveterati nel costume dei fedeli. Il Sermattei ebbe un carattere austero e severo, congiunto a un temperamento impetuoso: sono rimaste celebri le aspre contese con il capitolo della Cattedrale, che continuarono, con fasi alterne, per tutto il periodo del suo episcopato. Il sinodo diocesano fu da lui redatto in modo da essere più completo dei precedenti perché richiama e riporta decisioni dei concilii e dei pontefici. Lo tenne nell’anno 1718 ma non poté darne alle stampe le costituzioni per essere stato traslato, con provvedimento apostolico del 15 marzo 1719, alla sede di Viterbo. Nel periodo del suo pontificato a Borgo San Donnino ebbe a collaboratore monsignor Antonio Ferali, suo vicario generale, il quale resse poi la diocesi durante la vacanza. Prima di lasciare la città, donò al Capitolo una ricca pianeta, che fece seguire da una lettera di congedo nella quale espresse sentimenti di stima per il Collegio dei canonici e manifestò, con commosse parole, il proprio rammarico a separarsi dalla diocesi. A Viterbo fece il solenne ingresso il 18 maggio di quello stesso anno e anche nel nuovo campo di lavoro dette prova del suo zelo apostolico, spiegandovi intensa attività. Nel 1724 tenne il sinodo, durante il quale espose alla pubblica venerazione sull’altare maggiore della cattedrale, in un’urna di legno intagliato e scolpito munita di cristalli, le reliquie dei santi martiri Valentino e Ilario. Per suo interessamento, papa Benedetto XIII concesse il 2 agosto 1726 ai canonici della Cattedrale l’uso della mitria, dell’anello, della bugia e del faldistorio e il Sermattei, con suggestiva cerimonia, benedisse nella festa di San Lorenzo le mitrie dei canonici. Dallo stesso Pontefice ottenne il 7 ottobre successivo la toga aurea (robbone d’oro) ai conservatori del Comune. In precedenza aveva provveduto a consacrare le due importanti chiese di Sant’Andrea in Varalla (5 maggio 1720) e dei Carmelitani Scalzi, in Viterbo (18 agosto 1725). L’8 novembre 1727 ebbe l’onore di ricevere papa Benedetto XIII di passaggio a Viterbo per recarsi alla Quercia a consacrare con grande solennità l’arcivescovo di Colonia. Tra i titoli di merito acquisiti dal Sermattei durante il pontificato viterbense vanno annoverate le cure appassionate che ebbe per la Cattedrale, facendo tra l’altro dipingere dal celebre pittore Marco Benefiele sotto gli archi delle colonne due artistici medaglioni. Nel Duomo di Viterbo, dove il Sermattei fu sepolto, i restauri e i bombardamenti aerei anglo-americani durante la guerra 1940-1945 cancellarono ogni traccia della sua tomba.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 442-444.
SERMATTEI ELISA
Parma 1842 c.-
Figlia di Valentino. Cantante (soprano), fu prima donna nei teatri diretti dal padre (Odessa, Mosca e Karkoff).
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
SERMATTEI VALENTINO
Parma 1 maggio 1816-Karkoff 1866 c.
Studiò musica alla Regia Scuola di musica di Parma (fu allievo di Luigi Finali) dal 1827 al 1829 e vi tornò nel 1836. contemporaneamente esercitò il mestiere di sarto. Il 3 novembre debuttò a Lodi in un concerto della società filarmonica, la cui orchestra era diretta dal giovane violinista parmigiano Vincenzo Morganti.Nell’ottobre 1838 fu al Teatro Civico di cagliari nell’Elisir d’amore e nella Gemma di Vergy. Debuttò come baritono con un concerto al Teatro Regio di Parma il 6 giugno 1839 con alcune arie della Gabriella di Vergy di Mercadante. Nel 1841 fu al Teatro di Trieste nell’Assedio di Corinto di Rossini, nel 1842 al Teatro comunale di Modena nella Vestale di Mercadante e nell’autunno dello stesso anno al Carlo Felice di Genova nelle Nozze di Figaro di Ricci, nell’Elisir d’amore di Donizetti e nei Due sergenti di Mazuccato. Fu anche all’estero: in Francia, Spagna e Russia. In quest’ultima nazione operò per diversi anni e vi si stabilì definitivamente. Nel 1856 cessò di cantare per dedicarsi all’impresariato teatrale. Prese in affitto vari teatri ed ebbe l’appalto di quelli di Odessa (per otto anni), Mosca e Karkoff. Dal 1857 al 1865 fu l’impresario del Teatro di Odessa, portando sulle scene opere italiane con rinomati artisti. Nel 1859 la sua compagnia comprendeva 75 artisti e con il personale occupava 107 persone. Rinnovò il repertorio, portando per la prima volta le opere di Verdi (Traviata, Un ballo in maschera, La battaglia di Legnano e Giovanna di Guzman) e i suoi spettacoli furono apprezzati dal pubblico e dalla critica. Dal 1860 con la compagnia fece tourneée per l’Ucraina: nel 1864 dette a Karkoff 44 rappresentazioni di undici opere (tra le quali, oltre a quelle di Verdi, Norma, Lucia, Marta e Barbiere di Siviglia) e a Poltava una ventina di recite. Nel 1865 tornò a Karkoff, dove presentò in prima rappresentazione diverse opere italiane.
FONTI E BIBL.: Alcari; Dacci; Frassoni; Gandini; Levi; P. Bettoli, I nostri fasti, 151; P.E. Ferrari, Gli Spettacoli, 178; Archivio del Battistero di Parma; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 283; G.N. Vetro, Voci Ducato, in Gazzetta di Parma 27 febbraio 1983, 3; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
SERO FRANCESCO, vedi DA SERO FRANCESCO
SERPAGLI FRANCESCO
Bedonia febbraio/dicembre 1908-Bedonia 18 gennaio 1974
Laureato in lettere, per quarant’anni fu stimatissimo insegnante del corso liceale presso il seminario vescovile di Bedonia, dove ricoprì anche l’incarico di Prefetto degli studi per un decennio. Prima di dedicarsi all’attività formativa dei giovani seminaristi esplicò anche il ministero parrocchiale a Borgo Val di Taro negli anni Trenta e quindi a Carpaneto. Poi dedicò tutta la sua vita all’educazione e formazione dei giovani, lasciando vasta traccia nel campo dell’istruzione religiosa. Fu professore di italiano e di latino presso la scuola media di Bedonia e nel liceo scientifico di Borgo Val di Taro. Fu autore di numerosi scritti e studi religiosi. Tra le sue pubblicazioni spicca uno studio sul Petrarca. Il Serpagli fu Canonico onorario della Cattedrale di Piacenza.
FONTI E BIBL.: Morto mons. Serpagli educatore e studioso, in Gazzetta di Parma 19 gennaio 1974, 8; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 995.
SERPAGLI LUIGI
Bedonia-1921
Fu prete e missionario.
FONTI E BIBL.: Silvanus, Nel 4° anniversario della morte di don Luigi Serpagli, prete bedoniese della missione, in Giovane Montagna 1 1924.
SERRA LORENZO
Genova 1828-1892
Sposò Adelaide Folli. Commerciante di notevole censo, possedette una avviatissima drogheria in Strada dei Genovesi a Parma. Verso il 1843 G. Pallavicino gli espresse elogi e ringraziamenti per aver donato al Museo di storia naturale di Parma, presso il Magistero degli Studi, una raccolta ittiologica da lui perfezionata.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma.
SERRA MARIANNA
Parma 1774
Allieva della Reale Scuola di Ballo di Parma, nel luglio del 1774 fu retribuita con 25 zecchini per il ballo dato in occasione della visita dell’Arciduca d’Austria (Archivio di Stato di parma, Spettacoli e Teatri Borbonici, b. 4).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario.Addenda, 1999.
SERSE RICCI, vedi COPERCINI GIUSEPPE
SERTORI GIROLAMO
Parma-post 1758
Compositore. Le uniche notizie sulla sua vita provengono dalla dedica che precede ognuna delle sonate componenti l’unico manoscritto del Sertori rimasto (Sonate per cimbalo, Op. I). Fu abate e maestro di cappella in Pamplona nel 1758.
FONTI E BIBL.: G. Pestelli, Sei sonate per cembalo di G. Sertori (1758), in Rivista Italiana della Musica, 1967; Dizionario musicisti UTET, VII, 1988, 240.
SERTORIA TERTIA
Parma IV/V secolo d. C.
Fu dedicataria, insieme a Pescenia Paulina e [De]metria Hermonina, di un’epigrafe funeraria posta da C. Valerius Aeclanius. Sertorius è nomen forse di origine etrusca, proprio di una gens equestre originaria di Norcia, diffuso soprattutto nell’Italia centrale e settentrionale, piuttosto raro in Aemilia e presente in questo solo caso a Parma. Tertius è cognomen da numerale, comunissimo soprattutto in Italia e nelle province celtiche, già documentato a Parma.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 163.
SERULLI GIOVANNI BATTISTA, vedi SERULLO GIOVANNI BATTISTA
SERULLO GIOVANNI BATTISTA
Savona-post 1594
Fu chiamato nel 1583 dal duca di Parma Ottavio Farnese per fabbricare piastrelle smaltate da pavimento. In uno dei libri mastri di Casa Farnese si legge la seguente annotazione: 1586-2-XII-A.M. Batta Serullo scudi 71 a conto di scudi 199 d’oro che S. A. s’è contentato darli per dar principio a far la maiolica. Fu quella del Serullo, con ogni probabilità, la prima fabbrica di maiolica artistica del Parmense. Si hanno memorie dell’attività del Serullo fino al 1594.
FONTI E BIBL.: G. Campori, in G. Vanzolini, Istorie delle fabbriche di maiol. metaur., Pesaro, 1879, vol. II, 238 sgg.; G. Corona, La Ceramica, Milano, 1885; L. De Mauri, L’amatore di maioliche, Milano, 1924; C. Malagola, Memorie storiche sulle maioliche di Faenza, Bologna, 1880; G.M. Urbani de ghelthof, Note storiche ed artistiche sulla ceramica italiana, in Erculei. Arte ceramica e vetraria, Roma, 1889, 115; A. Minghetti, Ceramisti, 1939, 385.
SERVENTI ANGELO
Bedonia 22 maggio 1918-1943/1945
Partigiano. Morì in combattimento e fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione: Valoroso comandante di distaccamento durante un atto ad una forte colonna esplorante nazifascista, si gettava arditamente con lancio di bombe a mano, alla testa dei suoi partigiani, all’espugnazione di un forte centro di fuoco avversario. Sebbene ferito proseguiva nell’azione immolandosi sull’obiettivo conquistato. Il suo sacrificio ed esempio permetteva di sbaragliare completamente l’avversario riportando una fulgida vittoria.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 aprile 1995, 28.
SERVENTI GIUSEPPE
Montecchio 2 giugno 1743-Parma 19 dicembre 1826
Figlio di Alessandro. Studiò a Reggio, Correggio e Parma, dove fu allievo di Flaminio Torrigiani e si laureò in medicina nel 1774. Dopo pochi anni di professione fu eletto Protomedico esaminatore (26 giugno 1780). Non ancora quarantenne era il dottor Serventi già salito in reputazione di valente medico per l’ingegno non comune, del quale aveva date pubbliche prove. Nonostante avesse iniziato una così brillante carriera, lasciò nel 1781 la medicina per dedicarsi ai commerci. Aprì nel 1794 una banca con il nome paterno: la Ragion bancaria Alessandro Serventi. La straordinaria abilità del Serventi consentì al suo Banco di avere respiro europeo: i suoi corrispondenti garantivano la sua firma da Lisbona a Pietroburgo, da Palermo a Londra. La solidità e la credibilità della banca fu tale che quando gli straordinari sconvolgimenti d’Europa apportarono in più luoghi la caduta di varii suoi corrispondenti, si videro nelle diverse capitali altri commercianti non legati di affari con lui, non pregati, non esitanti pel turbamento degli avvenimenti, accorrere spontanei a soddisfare quelle sue tratte che per la mancanza degli accettanti andavano a rimanere senza pagamento. Il prestigio di cui godette in patria e all’estero gli aprì la strada delle più alte cariche pubbliche: venne eletto tra i decurioni del Comune di Parma, durante il dominio francese fu ripetutamente membro (e spesso vice presidente) della Commissione degli Ospizi e per diversi anni venne eletto Presidente del Tribunale del Commercio. Nel giugno del 1798 ebbe l’incarico di intraprendere delicate trattative con il pontefice Pio VI. In occasione della visita di Napoleone Bonaparte a Parma nel giugno del 1805, fece parte della deputazione municipale assieme al presidente dell’Anzianato, conte Filippo Linati, al professore Giacomo tommasini e al conte Luigi Bondani. La delegazione ebbe, al di là dei convenevoli dovuti al monarca, il reale scopo di perorare, per mezzo di un memoriale e possibilmente di orali illustrazioni, alcuni desideri della città. Il Serventi non fu solamente un banchiere ma anche un abile industriale. Oltre alla manifattura delle maioliche e dei vetri, il suo nome va legato alla purificazione delle cere. Riattivò la fabbricazione delle stoffe di seta, rimodernando le manifatture con l’acquisto di nuovi e più moderni telai. Impiantò officine per conciare le pelli e per fare il sapone e le candele di sevo, gareggiando con le più note fabbriche di venezia, stabilì in città una tintoria, nella quale ripeté con successo le esperienze allora in voga per sostituire all’indaco l’azzurro di Berlino, fu zelante promotore della coltivazione locale del gelso e del tabacco, e promosse l’estrazione dello zucchero dal miele da altre sostanze. Non mancò di occuparsi di agricoltura. Ritenendo che un’agricoltura moderna ed efficiente fosse alla base della prosperità di un Paese, sollecitò l’istituzione di una Società Agraria e promosse personalmente, sui propri terreni, la coltivazione e la trasformazione industriale di diversi prodotti agricoli. Ma se il Serventi fu lungimirante uomo d’affari, che tanto fece a favore dell’industria dei Ducati parmensi, ancora più rilevante fu il contributo che egli diede alla città di Parma per il suo sviluppo culturale e sociale. In lui i contemporanei ammirarono, oltre che la fine intelligenza e l’arguzia negli affari, i generosi slanci di nobiltà morale e la disinteressata prodigalità. Si fece promotore dell’istituzione di un ospizio di Arti e Mestieri, nel quale trovarono ospitalità anche molti giovani orfani della città. Fondò la Società Serventi, il cui scopo fu di mettere in condizioni i non vedenti di assicurarsi un autonomo sostentamento.In diverse occasioni intervenne con prestiti allo stesso comune di Parma. In gravissime circostanze la cassa Serventi venne in soccorso del Comune, la cui prosperità fu sempre pensiero e cura di questo generoso cittadino. Ed è opinione che per non mettere il Comune, già travagliato da straordinarii avvenimenti, in maggiore angustia egli temporeggiasse, più di quanto al proprio interesse tornava, a richiedere il rimborso del prestito, e che quindi avesse principio la catena di avversità che lo afflissero sino alla morte. Il Serventi entrò in possesso delle fabbriche di maioliche e vetri di strada dei Farnese nel 1811. Intermediario fu Lorenzo Remondini, che il 22 aprile di quell’anno rogò a nome e per conto del Serventi. Il Lombardi dice che la Real fabbrica venne messa in vendita per asta pubblica, senza però specificare le fonti documentali. Altri hanno supposto che non si sia trattato di una vendita vera e propria ma piuttosto di un parziale pagamento dei debiti che lo Stato francese aveva verso il Serventi. Anche in questo caso non vi è il conforto degli estremi documentali. Il Serventi possedette molteplici attività industriali, commerciali e agricole, ma vi sono ottime ragioni per credere che la fabbricazione delle maioliche e dei vetri gli stesse particolarmente a cuore. Alla conduzione dell’azienda fu preposto il figlio primogenito antonio, coadiuvato dal giovane fratello pellegrino: entrambi lasciarono il prestigioso palazzo di via San Vitale, in cui fino ad allora avevano abitato con la famiglia, e si trasferirono in strada dei Farnese. Altro merito del Serventi fu quello di dare grande impulso alla lavorazione dei cristalli molati. Alcuni contemporanei affermarono che fu il primo a introdurne la lavorazione a Parma. In realtà questo tipo di produzione aveva già avuto inizio nel settecento. Certamente fu merito del Serventi dare a questa lavorazione una dimensione e un’organizzazione del lavoro di tipo industriale. La quietanza definitiva per la vendita delle fabbriche di maioliche e vetri, venne rilasciata dal Fulcheri in data 10 febbraio 1813. La campagna di Russia si era appena conclusa con la clamorosa sconfitta di napoleone bonaparte. Il disastro militare fu il segnale di una sollevazione generale dell’europa, che si unì nella VI Coalizione. Se l’era napoleonica volgeva ormai al tramonto, gli avvenimenti politici e militari lasciarono conseguenze disastrose anche nell’area economica e finanziaria imperocché la necessaria partenza di alcuni creditori, il timore di altri fecero si che un giorno gran numero di essi si affollasse al banco per riavere il proprio denaro; e come accadde, quel timore si cangiò presto in universale diffidenza. E non essendo il banco in istato di provvedere a tutte le dimande, perché il denaro era impiegato o a frutti o in industrie, dovette sospendere i pagamenti. In realtà il Serventi, nell’impossibilità di rimborsare in tempi brevi i creditori, decise di procedere al pagamento del 50% delle somme dovute in attesa del rientro dei crediti. contestualmente nell’ottobre del 1813, con lettera circolare annunciò una forte riduzione delle attività del banco: Tra i rami di traffico che mi proposi con mia Circolare dell’11 febbraio 1794 quando, per la morte del padre mio Alessandro, ne assunsi legalmente l’onorato nome, vi fù quello di un Banco per circolazione interna, come l’ho poi esercitato fin qui. Questo ha servito di mezzo ad accogliere del denaro altrui, che sarebbe stato giacente, ed a rivolgerlo in sovvenzioni a chi con bastante solidità poteva abbisognarne, e così a mantenerlo anche interinalmente in un moto, che producono un regolare frutto all’una, vantaggi o comodo all’altra parte, lasciasse anche nel Banco un discreto compenso. È questo ramo, che vedendo io risentirsi esso pure degli effetti del tempo ho disposto al suo termine senza alterazioni degli altri consistenti in qualche utile fabbricazione, e senza variazione nella corrispondenza esterna. Il Serventi rinunciò alla sua attività, restringendo i propri interessi alle attività industriali e di cambio, ma anche questo non fu sufficiente. Ampliò la compagnia sociale dell’azienda e ne affidò la gestione a una società anonima. Nel 1816 ottenne dalla duchessa Maria Luigia d’Austria un decreto sovrano che sancì la costituzione della nuova società. Venne sepolto nel cimitero della villetta a Parma. un’iscrizione dice: Serventi è questi singolare ingegno della patria e de’ suoi raro ornamento cambio, commercio ed ogni industria è segno al suo mirabil de’ giovar talento quanto è di parte e cittadin più degno vegliar lo vede al comun bene intento ma qual che all’opre accresce pregio è un core pieno di fé, d’integrità, d’onore.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 413-415, e 1884, 65; Palazzi e casate di Parma, 1971, 408-409; T. marcheselli, in Gazzetta di Parma 28 marzo 1988; G. Dondi, Maioliche e vetri, 1990, 38-40; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 336.
SERVENTI VINCENZA, vedi CAMPANINI VINCENZA
SERVI BATTISTA
Parma 1590/1618
Da un bando del 28 settembre 1590 risulta tubator del Comune di Parma.Era ancora in servizio il 1° settembre 1618.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Banda, 1993, 251.
SERVIDEI FRANCESCO
Parma 1366 c.-post 1420
Il Servidei è il primo ragioniere di Parma di cui si conosca l’esistenza, essendo pervenuti diversi libri mastri da lui compilati. Il primo libro mastro pervenuto è del 1386-1387 e riguarda la contabilità del Monastero di San Martino dei Bocci. Il Servidei, assunto il giorno 8 settembre 1386, fu licenziato il 17 dicembre 1387. Percepì un salario di 6 lire al mese ma probabilmente per tutto il periodo dell’incarico visse nel Monastero usufruendo di vitto e alloggio. Nello stesso libro mastro esiste una seconda contabilità relativa all’Arte dei Falegnami di Parma (1388-1389) conseguente a una tassazione imposta da Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, di Parma e di altre città della Lombardia. Gian galeazzo Visconti, impegnato nell’assedio di Padova (che non riuscì a espugnare) ordinò all’Arte dei Falegnami di Parma di inviare quattro falegnami suoi iscritti al campo sotto Padova per la costruzione di torri in legno mobili che avrebbero dovuto permettere agli assalitori di scalare le mura della città assediata. L’Arte dei Falegnami di Parma dovette tassare tutti i suoi iscritti rimasti a casa per provvedere al mantenimento delle famiglie dei quattro colleghi impegnati a Padova. Il metodo di rilevazione contabile usato dal Servidei è il tabulare, tipico di tutte le scritture contabili lombarde nel secolo XIV. Il metodo tabulare è un metodo prepartiduplistico perché non assicura la costante uguaglianza del dare con l’avere. Nel caso della contabilità relativa alla tassazione dell’Arte dei Falegnami di Parma, essendo accesi soltanto conti relativi alla cassa, a crediti e a debiti, si realizza la costante uguaglianza del dare con l’avere come nel metodo della partita doppia. Il libro mastro sopra descritto è conservato presso l’Archivio capitolare del Duomo di Parma. Nello stesso Archivio è pure conservato un altro libro mastro tenuto dal Servidei relativo all’anno 1417. Un altro registro contabile, sempre compilato dal Servidei, è conservato presso l’Archivio di Stato di Parma ed è relativo all’anno 1420. Risulta inoltre da documenti conservati nell’Archivio Capitolare del duomo di Parma che il Servidei svolse incarichi diplomatici per conto di Gian Galeazzo Visconti, che ne aveva apprezzato le qualità. Il Servidei dovrebbe avere iniziato l’attività presso il Monastero di San Martino dei Bocci in età giovanile, cioè a circa vent’anni.
FONTI E BIBL.: Malacoda 52 1994, 37-38.
SERVILIA SECUNDILLA
Parma-Roma I sec. a. C./I sec. d. C.
Figlia di Caius. Libera, uxor Parmensis di M. Vinicius Karus, che le dedicò un’ara marmorea ritrovata in Roma. Proprio un Caius Servilius è documentato a Parma in epigrafe databile alla prima età imperiale: mancano tuttavia elementi necessari a convalidare un eventuale identificazione di questo personaggio con il padre di Servilia Secundilla. Secundilla, cognomen in forma diminutiva da Secunda, è documentato frequentemente in area celtica. La precisazione dell’origine parmense della consorte porta a escludere che anche M. Vinicius Karus fosse originario della stessa città.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 164.
SERVILIUS CAIUS
Parma I sec. a. C./I sec. d. C.
Figlio di Caius. Libero. Il suo nome compare in epigrafe sepolcrale fatta fare per sé con ordine testamentario, reperita in centro cittadino a Parma, presumibilmente databile, per caratteri paleografici e contenutistici, alla prima età imperiale. Il Servilius fu primipilus, tribunus militum e praefectus castrorum: questo testimonia una carriera militare di rilievo. La gens Servilia, molto diffusa ovunque, appare scarsamente documentata nella regio VIII, con maggiore frequenza nelle regioni transpadane. Nella regione, secondo la testimonianza liviana, operò un C. Servilius (Geminus), triumvir agris dandis assignandis a Cremona e a piacenza nel 218 a. C., preso poi prigioniero dai Boi ad vicum Tannetum e liberato solo nel 203 a.C. dal figlio omonimo, console in quell’anno.
FONTI E BIBL.: L. Grazzi, Parma romana, 1972, 104; M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 165.
SERVILUIS MARCUS FIRMUS
Parma-Magonza 50 d. C. circa
Figlio di Marcus. Fu libero e legionario. Un altro militare appartenente alla stessa gens, Caius Servilius, è documentato a Parma in epigrafe risalente alla stessa epoca. La gens Servilia appare documentata nelle regioni transpadane. Il cognomen Firmus, molto diffuso dappertutto per ingenui e liberti, è documentato per un Parmensis solo in questo caso, ma è frequente nella Tabula Veleiate. Sulla base delle testimonianze epigrafiche, è stato rilevato che, nel periodo giulio-claudio, circa la metà dei legionari in forza in Germania fu reclutato in Cisalpina.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 166.
SESSI GHERARDO
Reggio Emilia-Cremona 15 dicembre 1211
Nacque da nobile famiglia. Dopo essere stato Canonico della Cattedrale di Parma e Prevosto per sette anni a Borgo San Donnino (1196-1203), professò la regola dei Cistercensi e divenne Abate di Santa Maria di Tiglietto. Nel 1210 papa Innocenzo III lo nominò vescovo di Novara e l’incaricò della causa di Oberto I vescovo di Albenga (sospeso a divinis da quel Pontefice) perché fosse restituito all’esercizio del ministero episcopale. Secondo quanto afferma il Pincolini, nel 1206, per mandato pontificio, il Sessi dispose per l’erezione sulle rive dello Stirone della chiesa di Careno. Ma le versioni sono a questo proposito contrastanti: vi è chi sostiene che la costruzione si debba a Gherardo Cornazzani, padre di Oddone, che nel 1046 fu investito dal vescovo Cadalo del castello del Pizzo, altri attribuiscono invece l’iniziativa a un omonimo Gherardo Cornazzani, piacentino, il quale possedette nelle vicinanze di Careno un ricco feudo. Il Sessi fu creato nel 1210 cardinale e destinato in Lombardia in qualità di Legato pontificio. Trovandosi a Piacenza per l’elezione di quel vescovo, celebrò un sinodo nel quale dispose tra l’altro che i canonici della cattedrale piacentina dovessero condurre vita in comune. Fu nominato arcivescovo di Novara, poi di Albano e infine il 4 maggio 1211 di Milano. Ebbe sepoltura a Cremona.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 23-24; Parma nell’arte 2 1976, 51.
SESSI GUIDOTTO
Borgo San Donnino 1214/1235
Fu Canonico della Cattedrale di Parma e in seguito fu eletto Prevosto della Chiesa di Borgo San Donnino (1214-1235). Uomo di grande cultura, si convertì a Milano, con molti altri eretici, alle prediche di San domenico. Il Laurini sostiene che fosse fratello di Ugo e suo successore nella cattedra vescovile di Vercelli ma la notizia risulta priva di fondamento perché Ugo Sessi morì il 4 dicembre 1235 e già il 10 settembre 1236 Giacomo Cornario, vescovo eletto di quella città, concesse l’investitura di un feudo ad Ardizzone di Crevalcuore. Si tratta invece, con tutta probabilità, di quel Guido Sessi, nipote del vescovo Ugo, come risulta da antichi atti vercellesi (nepos ipsius d. episcopi, afferma testualmente il documento in data del marzo 1234, edito da L. Borello-A. Tallone nell’opera Le carte dell’archivio comunale di Biella fino al 1379, vol. 1°, pag. 149 e s.), che fu canonico a Biella e che, per mancata residenza, venne sostituito da Manfredo de Codecapra.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 26.
SESSI MARIA TERESA
Parma 1805
Fu cantante di buon valore. Studiò in Parma. Esordì al Teatro Ducale di Parma nel 1805. Cantò l’anno successivo al Teatro alla Scala di Milano, quindi passò a Vienna, in Polonia e in Russia.
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, Fasti musicali, 1875, 152.
SESSI UGO
Reggio Emilia ante 1196-Vercelli 30 novembre 1235
Secondo l’Ughelli, fu fratello gemello di gherardo e salì anch’egli nella Chiesa ad altissime dignità. Rinunciò infatti alla prevostura mitrata di Borgo San Donnino (1203-1214) perché creato nel maggio-giugno 1214 (non nel novembre 1213 come vorrebbe il Savio) vescovo di Vercelli. L’episcopato del Sessi segnò nella storia della Chiesa vercellese pagine gloriose. Nell’ottobre dello stesso anno 1214 venne scelto arbitro dal Comune di Vercelli e dal marchese di Monferrato nelle loro contese, specialmente per il Trino, di cui poi egli investì il medesimo Comune il 3 dicembre 1214. Difese i diritti della sua Chiesa su Casale, che era stata depopulata dai Vercellesi nel 1215, e poi contro i Casalesi nel 1224. Fece nuovamente da paciere tra il Comune e il conte Pietro di Masino e subito dopo, sempre nel 1224, ebbe incarico dal pontefice Onorio III, col vescovo di Brescia, di ottenere l’adesione dei comuni lombardi al trattato di pace con l’imperatore Federico II. Verso la fine del suo episcopato fu in contrasto col Comune, contro cui si vide costretto a lanciare l’interdetto, confermato poi dal Papa, per avere il Comune stesso promulgato statuti lesivi delle libertà ecclesiastiche. Nel periodo del suo ministero pastorale (nel 1227, se non prima) vennero introdotti in Vercelli i frati Minori, quindi, probabilmente nel 1229 o poco dopo, i figli di San Domenico, in seguito alla efficace predicazione del beato Giordano di Sassonia. Sotto il Sessi ebbero origine pure i fratelli e le suore della Penitenza, che più tardi forse confluirono nell’ordine delle domenicane. Per iniziativa e a cura del cardinale Guala Bicchieri, negli anni 1219-1224 sorse la splendida basilica di Sant’Andrea: il Sessi, che già nel 1215 aveva ceduto al cardinale l’antica cappella di Sant’Andrea, con il porporato pose il 24 agosto 1219 la prima pietra della nuova chiesa. Le affinità architettoniche della basilica di Sant’Andrea e del Battistero e Cattedrale di Parma e della Cattedrale di Borgo San donnino, già rilevate dall’architetto Verzone, potrebbero facilmente trovare un’ovvia spiegazione nell’influenza esercitata dal Sessi nella scelta degli architetti e delle linee architettoniche. La basilica e il vicino ospedale vennero affidati ai canonici Sanvittorini sotto il celebre abate Tommaso Gallo, che ebbe tra i suoi discepoli Antonio da Padova e Adamo Marsh, una delle maggiori glorie di Oxford. Nel 1228 il comune fondò lo Studium generale e ciò non senza l’intervento del Sessi. A completare il quadro della sua molteplice attività, il Sessi compose divergenze tra i due capitoli di Vercelli ed emanò nuovi statuti per gli stessi. Confermò i privilegi al Capitolo di Santhià e con vari atti intervenne a favore del Capitolo di Biella. Il Necrologio Eusebiano indica la morte del Sessi con la seguente nota obituaria: Secundo Non. decembris anno D.N. MCCXXXV obiit b. memorie dominus Hugo huius ecclesiae venerabilis episcopus. Sedit annis XXI et dimidium. Fedele Savio, nella sua opera sugli antichi vescovi d’Italia, ne pone la morte, sulla fede dello storico vercellese Filippi, al II Kal. decembris, cioè al 30 novembre, ma il necrologio indica il 4 dicembre. Il Sessi ebbe sepoltura nella Cattedrale di Vercelli. Gli storiografi locali Giovanni Stefano Ferrero e Marco Aurelio Cusano riportano la classica iscrizione sepolcrale: Hoc jacet in tumulo Praesul clarissumus Hugo, Urbis Reginae, cuius origo fuit. castrum de Sesso cognomina praebuit illi. eusebij Sancti defendit Iura potenter. Quod nil deperijt, dum sibi vita fuit. Ecclesiaeque status per eum stetit inviolatus Et sine laesura defendit singula jura. Atria construxit, quibus est pictura vasallos Signans, qui debent in cunctis esse fideles. Dapsilis ad dandum fuit eius, aptaque dextra, Et super afflictos pia semper viscera gestans. Fecit in Urbe domos, Ecclesias fecit et extra. Insuper et Populum sacro sermone replevit. Huius Ecclesiae per eum possessio crevit. Proventu cuius locus hic semper veneretur. Cunctis scripturis in tantum splenduit Hugo. Qui fuit eximius Doctor lux maxima Cleri. Rexit et iste probus bis denis, atque duobus Annis, collatum Vercellis Pontificatum. Mundo Martha fuit, D. s3. Hugo Maria. Parcat ei Pater, et flamen, Patrisque sophia. Ergo per has causas Paradisum jure meretur, Vivat, et in Christo praeclara luce fruatur.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 24-26.
SESTIO GIAMBATTISTA vedi SESTIO GIOVANNI BATTISTA
SESTIO GIOVANNI BATTISTA
Berceto 1549-Montechiarugolo 1614
Fu mandato giovanissimo a Parma, dove frequentò le scuole d’umanità (gli fu maestro Agostino Piazza). Si innamorò di una parente di Agostino Piazza, ma i genitori di lei non vollero saperne di tale amore e assalirono il Sestio, ferendolo gravemente: rimase storpio alla mano sinistra, con la quale aveva cercato di difendersi. Intraprese poi la professione di grammatico o pedante, dapprima presso i Canossa, poi, dal 1578, presso i Pico, che gli affidarono il novenne Ranuccio, figlio di Giambattista. Il Sestio seguì il discepolo a Bologna e Padova, fin che questi conseguì la laurea in utroque nel 1588. Anch’egli si dedicò allo studio delle leggi, ma non volle mai addottorarsi. Fu poi pedagogo dei figli del conte Pomponio Torelli e li accompagnò a Roma. Nuovamente a Parma presso Ranuccio Pico, ne educò il figlio Cornelio nella Retorica e nell’Etica aristotelica. In occasione della laurea in utroque di quest’ultimo, il Sestio compose delle poesie latine, le sole conservatesi della sua produzione. Quando, ormai vecchio, cominciò a perdere credito, tanto che gli scolari lo schernivano e lo minacciavano, decise di abbandonare l’insegnamento: ritiratosi a montechiarugolo, modestamente vi chiuse i suoi giorni. Il Sestio sposò una serva del conte Pomponio Torelli.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice de’ vari soggetti parmigiani, Parma, Vigna, 1642; da questo dipendono I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 312; e, con qualche inesattezza, P. Cattabianchi, G.B. Sestio, Parma, 1910; vedi inoltre Aurea Parma 3/4 1959, 196-197, e 1 1958, 36-37; A. Marastoni, La poesia di Sestio Bercetese, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1967, 131-143.
SETTI GIOVANNI
Borgo San Donnino 5 gennaio 1895 -Ponte Fener 14 novembre 1917.
Nel triennio scolastico 1912-1915 frequentò i corsi di Chimica presso l’Università di Parma. Chiamato alle armi il 1° giugno 1915, dopo aver compiuto un periodo di tre mesi alla Scuola Militare di Modena ed esserne uscito Sottotenente il 15 settembre, il 18 di quello stesso mese fu mandato al fronte. Assegnato al 91° Reggimento Fanteria, lo raggiunse sul Col di Lana. Nella presa del Col di Lana il Setti si distinse per audacia. Ferito a un piede, passò qualche tempo in un ospedaletto da campo. Ritornò poi al suo reggimento e con esso passò sull’alto Boite, ove trascorse quasi due anni ininterrotti di guerra, combattuta nelle trincee d’alta montagna. La rotta di Caporetto lo travolse poi nella ritirata. Sulle nuove posizioni assegnate al suo reggimento, il Setti, promosso Capitano, combatté con coraggio. Il 12 novembre 1917 a Ponte Fener, durante una vigorosa azione, ferito, cadde in un burrone. raccolto e ricoverato nel 62° Ospedaletto da campo, vi morì due giorni dopo. L’Università di Parma conferì al Setti l’8 dicembre 1919 la laurea ad honorem in Chimica.
FONTI E BIBL.: Caduti Università Parmense, 1920, 106.
SETTI GIUSEPPE
-Parma 20 dicembre 1900
Valoroso soldato, combatté per l’indipendenza italiana. Sostenne la campagna militare del 1849, fece parte del corpo di spedizione d’Oriente nel 1855-1856, come pure le campagne del 1859, 1860 e 1866. Fu decorato di sei medaglie al valor militare più la Croce di cavaliere della Corona d’Italia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 dicembre 1900, n. 353; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 93.
SEVERI ALESSANDRO
1895-Altipiano della Bainsizza 23 agosto 1917
Figlio di Giuseppe. Studente in ingegneria, fu Sottotenente di Fanteria, decorato di medaglia d’argento al valor militare. Morì combattendo da valoroso.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 settembre 1917; Giovane Montagna 6 ottobre 1917; Gazzetta dell’Emilia 21, 22 ottobre 1918; P. Lingueglia, In memoria del tenente Alessandro Severi, Modena, Soc. An. Cattolica, 1918; G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 229.
SEVRA, vedi CORRADI SEVERINA
SEXTUS POLLIA
Colorno II secolo a.C. /V secolo d.C.
Figlio di Publius. Il suo nome è ricordato in un frammento di epigrafe ritrovato a Colorno, perduto e noto solo dalla tradizione manoscritta. Da esso si deduce l’esistenza di un cittadino con ogni probabilità di Parma e di condizione libera, come mostrano patronomico e menzione della tribù. Sex(tus) potrebbe essere il cognomen del personaggio. Non si esclude tuttavia la possibilità che si tratti di un secondo personaggio.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 167.
SFORNI CARLA, vedi BIGI CARLA
SFORNI GUGLIELMO
Parma seconda metà del XIX secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, X, 138.
SFORNI VITTORIO
1885-Soragna 18 gennaio 1972
Iniziò la carriera militare nell’anno 1905 nel X Reggimento bersaglieri. Capitano già alle dipendenze del V Corpo d’armata, partecipò al primo conflitto mondiale, meritandosi pure due croci di guerra. Per le sue ottime qualità gli vennero in seguito affidate diverse missioni sia in Italia che all’estero. Entrato poi nell’arma dei carabinieri, passò al servizio attivo prima a Verona e poi a Torino, percorrendo rapidamente i vari gradi della gerarchia militare fino a diventare Colonnello, grado con cui si congedò. Nel 1971 venne promosso a Generale di brigata e nello stesso anno gli furono concesse le onorificenze di Cavaliere di Vittorio Veneto. Fu tra i soci fondatori della Famiglia soragnese. Fu sepolto nel cimitero israelitico di Soragna.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 19 gennaio 1972, 8.
SFORZA ALESSANDRO, vedi SFORZA di SANTAFIORA ALESSANDRO
SFORZA GUIDO ASCANIO, vedi SFORZA di SANTAFIORA GUIDO ASCANIO
SFORZA LEONARDO
Parma 1482
Fu eletto Vescovo di Parma dal Capitolo della Cattedrale il 4 settembre 1482, ma non fu confermato dal papa Sisto IV.
FONTI E BIBL.: A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 240.
SFORZA DI SANTAFIORA ALESSANDRO
Parma 1532 -Macerata 16 maggio 1581
Figlio di Bosio e di Costanza Farnese. Fu creato da papa Paolo III, suo avo, nel 1542, scrittore di lettere apostoliche, all’età di soli dieci anni. Coinvolto nel trafugamento delle galere fatto dal fratello Carlo, fu privato della sua dignità da papa Paolo IV, ma, terminata quella controversia, nel 1557 fu reintegrato e creato Presidente dell’annona. Fatta dal fratello guidascanio la rinuncia a suo favore del vescovado di Parma, che aveva in amministrazione, il 26 aprile 1560 successe al fratello nell’episcopato parmense, beneficiando anch’egli di varie prebende, tra cui la prevostura di Borgo San Donnino (1562-1581). Prese possesso per procuratore il 14 novembre 1560 della Diocesi e vi fece l’ingresso nel maggio 1564. Come vescovo di Parma partecipò autorevolmente nel 1560 ai lavori del concilio di Trento e ne applicò con zelo le direttive. Era stato in precedenza Canonico di San Pietro (1554-1561) e chierico di camera di papa Pio IV (1564), dal quale fu creato il 12 marzo 1565 Cardinale del titolo di Santa Maria di Via Lata. Fu prima Legato di Bologna e di Romagna (1570) e poi di tutto lo Stato pontificio, eccezion fatta per Bologna. Compito suo precipuo fu quello di combattere e di annientare la piaga del brigantaggio. A questo fine ebbe poteri amplissimi, tanto da essere chiamato vicepapa. Fu pure Prefetto della segnatura di giustizia e Arciprete in Santa Maria Maggiore (1572). Lo Sforza di Santafiora fu tra i cardinali deputati alla correzione del Decreto di Graziano, ciò che consentì a papa Gregorio XIII di pubblicare una nuova edizione del Diritto Canonico. A Parma, il 21 settembre 1564, celebrò il primo sinodo. Essendo vacato per morte dell’arcidiacono Girolamo castiglione il canonicato di Coloreto, lo Sforza di Santafiora lo conferì a Martino Cinzio, chierico di Spoleto, e l’arcidiaconato lo diede ad alticozzo degli Alticozzi di Cortona, chierico minorista (ne presero possesso il 1° ottobre 1564 a rogito di Cristoforo dalla Torre). Il 4 novembre 1564 lo Sforza di Santafiora fece una transazione col capitolo della Cattedrale intorno ai benefici e alla collazione delle chiese della diocesi di Parma (la transazione fu confermata da papa Pio IV). Il 5 gennaio 1568 i deputati del capitolo Carissimi, Lalatta e cassola si accordarono con lo Sforza di Santafiora intorno alla residenza corale dei canonici: fu fatta un’ordinazione dal capitolo affinché non si facessero novità, ma i canonici praticassero il metodo anticamente usato e intervenissero costantemente ai vespri alle feste comandate. Nel 1568 si tenne un sinodo a Ravenna, cui fu invitato anche lo Sforza di Santafiora, che si volle considerare come suffraganeo di quella metropolitana. Egli vi inviò il canonico simone Cassola in qualità di suo nunzio e procuratore con mandato speciale, il quale dichiarò alla presenza di Giulio Feltrio della Rovere, cardinale di Urbino e arcivescovo di Ravenna, che lo Sforza di Santafiora riconosceva sé e la Chiesa di Parma libera e immune da ogni soggezione verso la chiesa di Ravenna o qualsiasi altro arcivescovo, essendo, come in passato, sempre immediatamente soggetto al Pontefice e alla sede apostolica. Queste proteste furono rinnovate in Ravenna il 30 aprile dello stesso anno dai suoi procuratori Pier Maria Carissimi e Simone Cassola (i quali fecero opposizione anche a nome del Capitolo) e dai rappresentanti del clero Francesco Libaschi, beneficiato della Cattedrale di Parma, e Giulio Cesare bergonzi, arciprete di Sant’Eulalia. Il capitolo, con lettera del 10 dicembre 1568, pregò lo Sforza di Santafiora di ottenere da papa Pio V ai canonici la conservazione del privilegio intorno alle cause di appellazione, ma egli rispose da Roma il 12 gennaio 1569 che non credeva necessario far confermare al Papa questo privilegio perché non gli pareva opportuno, non risultando alcun vantaggio. Il 23 febbraio 1572 lo Sforza di Santafiora donò alcuni vasi d’argento alla sagrestia della Cattedrale. Il 28 febbraio 1572 si fece l’unione della chiesa di Santa Anastasia, di ragione del Capitolo, con la chiesa di San Prospero perché non si trovava nessuno che volesse assumersi la cura della chiesa di Santa Anastasia, essendo molto povera. Nei primi mesi del 1573 rinunciò all’episcopato in cambio di una pensione di tremila ducati d’oro. La sua salma fu inumata a Roma in Santa Maria Maggiore accanto a quella del fratello Guido Ascanio, con la seguente iscrizione che lo Sforza di Santafiora si era preparato nel 1579: Alexander Sfortia s. r. e. card. Pauli iii. pont. max. nepos Bononiae et Flaminiae dub Pio v. et Gregorio xiii. legatus signaturae justitae praefectus huiusque basilicae archipresbyter sibi mortis memor. posuit annum agens xlvii.
FONTI E BIBL.: G.M.Allodi, Serie Cron., vol, II, 1856, 80-94; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 240-241; U.Delsante, Dizionario dei collecchiesi, Gazzetta di Parma 14 marzo 1960, 3; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 30; Dizionario storico politico, 1971, 1189.
SFORZA DI SANTAFIORA FRANCESCO
Parma 6 novembre 1562-Roma 11 settembre 1624
Figlio di Sforza, marchese di Varzi, e di Caterina di Montepulciano. Iniziò la pratica delle armi presso il cugino Ottavio Farnese, duca di Parma, e Francesco I, granduca di Toscana. Si applicò agli studi umanistici e alla matematica. Dotato di memoria prodigiosa, ciò gli consentì di conservare e migliorare la sua cultura anche durante le campagne belliche. A diciotto anni venne nominato Capitano generale delle milizie italiane di Filippo II, in sostituzione di Alessandro Farnese. Promesso a Virginia Medici, sorella del granduca Francesco I, non poté sposarla a causa di un insanabile contrasto sorto tra la granduchessa Bianca Capello e Mario Sforza, zio dello Sforza di santafiora: a ventuno anni l’abbandonò, ed essa fu poi moglie di Cesare d’Este. Lo Sforza di santafiora abbracciò quindi la carriera ecclesiastica e il 12 dicembre 1583 fu creato cardinale da papa Gregorio XIII, nel titolo diaconale di San Giorgio al Velabro, da cui fu traslato al titolo di San Nicola in carcere Tubbiano, quindi a quello di Santa Maria in via Lata. Nel 1587 venne riconosciuto conte di Cotignola e nel 1591 inviato Legato in Romagna. ricevuto il sacerdozio nel 1614, nel 1617 passò all’ordine presbiterale con il titolo di San matteo in Merulana e fu promosso Vescovo di albano nel 1618, di Frascati nel 1620 e di Porto e Santa Ruffina nel 1623. Di lui si servì papa Sisto V (1585-1590) per organizzare dieci galere in difesa delle spiaggie pontificie, per la costruzione di strade e per la repressione del brigantaggio. Al valore militare e all’abilità diplomatica unì molta religione, pietà e amore alle lettere, meritando di essere cantato dal Tasso (sonetto: Quando l’antica Roma onde traesti). Lo Sforza di Santafiora partecipò a nove conclavi. Ebbe due figli naturali: costanza e Sforzino, ambedue legittimati nel 1605 da papa Paolo V. Per riposarsi, passava le villeggiature autunnali nel suo castello di Torrechiara, da lui abbellito e restaurato, e a castell’arquato. Dopo essere stato nominato cardinale, riprese gli studi letterari e dedicò tutto il tempo libero alle letture, soprattutto a quelle storiche, che lo avvincevano in modo particolare. Al duca Ranuccio Farnese, che spesso lo ospitò e col quale discorreva di storia, confidò di essere particolarmente entusiasta degli Annali Ecclesiastici del cardinale Baronio. Fu sepolto in San Bernardo a Roma.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 84-88; A. Giulini, Di alcuni figli meno noti di Francesco Sforza, in Archivio Storico Lombardo XLII 1916; P. Litta, famiglie celebri italiane, Milano, 1834; D. Muoni, collezione di autografi di famiglie sovrane: famiglia Sforza, Milano, 1858; N. Ratti, Della famiglia Sforza, Roma, 1794; Zazzera, Della nobiltà d’Italia, Napoli, 1615; C. Argegni, Condottieri, 1937, 240; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 272; G. Gonizzi, in Gazzetta di Parma 23 luglio 1968, 3; F. da Mareto, Feudi Sforza Santafiora, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1976, 162.
SFORZA DI SANTAFIORA GUIDO ASCANIO
Parma 25 novembre 1518-Canneto sull’Oglio 7 ottobre 1564
Primogenito di Bosio e di Costanza Farnese, parente di papa Paolo III. Quest’ultimo lo fece cardinale il 18 dicembre 1534 e gli affidò in amministrazione perpetua la diocesi di Parma il 13 agosto 1535, cui rinunciò il 26 aprile 1560 a favore del fratello Alessandro. Ottenne il conferimento di varie prebende, tra le quali la prevostura di Borgo San Donnino (1555-1562). Nel 1537, essendo morto il canonico Luigi dalla Rovere, massaro del Capitolo, che godeva il canonicato e la prebenda di Corneto, lo Sforza di Santafiora nominò al detto canonicato e all’Arcipretura di Sant’Eulalia lorenzo, vescovo di Sigino, che poi rinunziò il canonicato nelle mani del Papa. Oltre il Vescovado di Parma, ebbe in amministrazione quelli di montefiascone e Corneto, di Narni e di chiusi. Nel 1536 ebbe le legazioni di Romagna e di Bologna e fu legato di Giulio III a Parma per conciliare le vertenze della Chiesa col duca ottavio Farnese. Ciò avvenne perché lo Sforza di Santafiora fu accusato di aver avuto parte nel trafugamento delle galere del fratello carlo. Si adoperò anche per comporre la pace tra papa paolo IV e Filippo II, esacerbato contro i caraffa. Il celebre stampatore di Roma, Blado, deve a lui la sua fama. Formò la Biblioteca della casa Sforza di Santafiora e fondò un’accademia di belle lettere. Nel 1542 diede in feudo al fratello Sforza e suoi discendenti maschi la giurisdizione temporale dell’Abazia di Val di Tolla nel Piacentino, di cui era investito, e nel 1555, di concerto coi fratelli, fondò un fedecommesso onde i feudi e beni della casa si conservassero nel rappresentante della famiglia. Ebbe tre suffraganei: Annibale mazzocchi, vescovo cistrense, Luca Cerati, vescovo titolare di Costanza, e Niccolò Virgili, vescovo dei Marsi. Fu Cardinal camerlengo della Chiesa il 22 ottobre 1537, Legato in Ungheria in occasione della guerra turca nel 1540 e patriarca di Alessandria il 6 aprile 1541. Nei conclavi difese gli interessi imperiali (1550-1555). In principio papa Paolo IV non lo ebbe molto in favore, anzi lo fece imprigionare in castel Sant’Angelo (1555): lo liberò soltanto dietro la garanzia di una fortissima somma in contanti. Comunque lo Sforza di Santafiora ebbe modo di riprendersi e di riguadagnare posizioni in Curia, tanto che in occasione del conclave del 1559, sostenendo gli interessi della Spagna, fu tra coloro che favorirono l’elezione di Pio IV. Presso questo pontefice continuò a rappresentare ufficialmente la corona spagnola. Uomo di cospicua cultura e mecenate, tra l’altro commise a Michelangelo la cappella dell’Assunta in Santa Maria Maggiore. La salma dello Sforza di Santafiora, traslata a Roma, fu sepolta in Santa Maria Maggiore, con la seguente iscrizione: Guido Ascanio sfortiae card. Pauli iii. nep. s. r. e. camerario bononiae et Flaminiae legato atque hujus basilicae archipresbytero alex. card. Sfortia fratri desideratiss. vixit an. xlv. menses x. dies xii. obiit an. sal. mdlxiv. non. oct.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 38-79; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 240; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 30; Dizionario storico politico, 1971, 1192.
SFORZA DI SANTAFIORA MARIO
Parma 1519/1531-1611
Figlio di Bosio e Costanza Farnese. Duca di Segni, fu condottiero di provato valore al servizio di Siena, del Re di Francia, poi dei medici e della Chiesa, conseguendo il grado di capitano Generale della Cavalleria pontificia. ritornato dalla campagna contro gli Ugonotti, fu Ambasciatore a Venezia e creato Principe assistente al Soglio Pontificio da papa gregorio XIII.
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 360.
SFORZA DI SANTAFIORA SFORZA
1524-Castell’Arquato 1575
Figlio di Bosio e di Costanza Farnese. Fu soldato al servizio dell’Impero, della Spagna e della Chiesa. Lo Sforza di Santafiora divenne governatore di Parma e Piacenza (1540). Si trovò a piacenza al momento dell’assassinio di Pier Luigi Farnese (1547) e, quantunque costretto a lasciare la città, riuscì a conservare Parma alla dinastia regnante. Dopo aver combattuto contro gli Ugonotti e partecipato alla battaglia di Lepanto quale generale della fanteria spagnola a bordo del vascello ammiraglio, ritornò a Parma. Il 16 aprile 1545 il papa paolo III emanò una bolla a favore dello sforza di Santafiora, con la quale gli fece donazione del castello di Basilicanova col suo territorio e assoggettò alla sua giurisdizione i vassalli e gli abitanti di quel luogo, con tutte le terre non coltivate, coi boschi, pascoli, diritti d’acque e di pesca, molini, col mero e misto impero, onori, regalie, emolumenti, privilegi, grazie e immunità. Il Pontefice gli diede il feudo in modo trasmissibile ai suoi figli legittimi e naturali e in mancanza di essi ai suoi fratelli e loro discendenti per linea maschile, per il censo annuo di un cratere d’argento del valore di quindici ducati d’oro di camera da pagarsi nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Il papa Paolo III, con sua bolla dell’8 giugno 1543, donò allo Sforza di Santafiora l’aumento del prezzo del sale che si percepiva nelle terre di Castell’Arquato e di Castel San giovanni e nelle ville di Vicolo, di Clavena, borgo San Donnino, Busseto, Polesine, San sisto, Monticelli d’Ongina, Vianino, torchiara, Felino e Roncarolo e di tutte le terre e castelli del distretto e delle ville del Piacentino, di Cremona e di Parma sottoposte alla camera Apostolica. Nel 1567 il duca Ottavio Farnese eresse Castell’Arquato in marchesato e il figlio dello Sforza di Santafiora, Francesco (penultimo della casata), ebbe anche il titolo di marchese di Varzi (questo potrebbe spiegare perché Francesco Farnese all’inizio del 1700 domandasse reiteratamente e invano all’impero Varzi quale parziale risarcimento dei danni provocati nei suoi territori dalle truppe imperiali ivi acquartierate o transitate).
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 359; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 78; M. De Grazia, Guida degli Stati farnesiani, in archivio Storico per le Province Parmensi 1972, 164.
SFORZA DI SANTAFIORA SFORZINO
Castell’Arquato 1486-Lodi 9 ottobre 1526
Figlio naturale di Francesco e di Bartolina. allievo di Baldassarre molossi, è ritenuto poeta non ordinario dall’anselmi. Parente di alti prelati romani, fu governatore di Pontremoli dal 1522 al 1526.Risiedette lungamente a Parma. Fu sepolto in un sarcofago nella chiesa della steccata a Parma.
FONTI E BIBL.: C.Reisoli, in archivio Storico per le Province Parmensi 1968, 217-243.
SFORZA DI SANTAFIORA SFORZO, vedi SFORZA DI SANTAFIORA SFORZA
SFORZA FOGLIANI GIULIO, vedi FOGLIANI D’ARAGONA GIULIO
SCAGNONI PIETRO
Parma 18 aprile 1760-Parma 4 agosto 1827
Compì studi letterari e scientifici. Sotto il governo borbonico fu professore di matematica elementare nell’Università di Parma (1788), poi di fisica teorica e quindi di fisica sperimentale colla direzione del relativo Gabinetto. Fu Sottotenente degli Ingegneri. Sotto il Governo francese fu professore di geometria nell’Accademia di Belle Arti di Parma e Consigliere con voto. Divenne poi professore di fisica nel Collegio di Santa caterina, di Matematica speciale nel liceo e ancora di fisica nell’Accademia francese. Decano della facoltà di scienze, fu membro di una commissione per il sistema metrico e gli fu anche offerto un grado militare nel Corpo Imperiale del genio. Da Maria Luigia d’Austria fu confermato professore di fisica teorico-sperimentale e Direttore del Gabinetto, poi vice preside della facoltà filosofica, membro del Supremo Magistrato degli Studi e professore di geometria descrittiva nell’Accademia di Belle Arti. In questa e nell’Università di Parma esercitò talora le funzioni di Segretario (nell’Accademia ebbe anche titolo di Segretario onorario). Nel 1808 fece parte della commissione per lo studio degli aeroliti caduti a Pieve di Cusignano. Fu Socio corrispondente della Società galvanica di Parigi e socio ordinario dell’Accademia Italiana. Lo Sgagnoni chiese e ottenne che le scuole facoltative rimanessero aperte per alcuni anni. Fece costruire diverse macchine per lo studio della fisica. Ebbe una scelta biblioteca, con edizioni ricercate e rare, e fu spesso ospite della famiglia Pallavicino.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1827, 261; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 417-418.
SGARABOTTO PIETRO
Milano 1903-Parma 9 maggio 1990
Figlio del maestro Gaetano, lo Sgarabotto fece della musica una ragione di vita. Liutaio per scelta e passione, apprese dal padre l’arte: i suoi violini, epigoni dei classici Stradivari e Amati, furono ambiti dai più famosi concertisti e contesi dagli appassionati. Crebbe respirando l’aria della bottega del padre, liutaio esperto di violini settecenteschi. Dopo il diploma da professore di viola conseguito nel 1924 al liceo musicale di Bologna, decise di seguire le orme di famiglia: il laboratorio liutaio sgarabotto, infatti, già all’inizio del XX secolo godette di grande prestigio. Nel 1926 la famiglia Sgarabotto lasciò Vicenza alla volta di Parma: il primo laboratorio aprì i battenti in borgo Riccio e ben presto divenne un punto di riferimento per i musicisti parmigiani. Tanto che l’anno successivo le autorità cittadine chiesero ai due maestri di aprire una scuola liutaia nei locali del conservatorio di musica Boito. Riporta una rivista dell’epoca: l’appoggio morale e materiale concesso alla scuola comunale di liuteria (la prima del suo genere in Italia) dimostra la serietà dell’impresa e la fiducia, non limitata ai soli Parmigiani, che in questa nostra città, centro musicale di primissimo ordine, possa presto rifiorire la tradizione che per secoli rese gloriose le scuole cremonesi e bresciane. I riconoscimenti nazionali e internazionali non si fecero attendere. Sotto la guida del padre Gaetano, lo Sgarabotto si perfezionò ulteriormente nel mestiere. Le lezioni continuarono per circa nove anni, fino alla metà degli anni Trenta: poi la guerra costrinse definitivamente a sospendere l’attività. Tuttavia lo Sgarabotto continuò privatamente la professione: furono anni ricchi di successi e di soddisfazioni, vissuti a contatto con i bei nomi del mondo musicale italiano nel laboratorio di via Gorizia. Finché nel 1959 lo Sgarabotto venne chiamato alla scuola liutaia di Cremona. Da allora l’insegnamento assorbì gran parte delle sue energie. Nel 1973, anno in cui lo sgarabotto rinunciò alla cattedra per ragioni di età, gli allievi si erano moltiplicati e la scuola si era ormai affermata internazionalmente. Ma la passione per la musica e l’arte liutaia accompagnò lo Sgarabotto anche negli ultimi anni di vita. Per portare a termine ogni strumento gli erano necessari, di solito, trenta o quaranta giorni. Sceglieva con cura l’acero e l’abete, si soffermava sulle venature del legno, sulla verniciatura, sulla fattura perfetta. Prima di sedersi al tavolo da lavoro, studiava per mesi lo strumento in fieri. Fu tra i pochi liutai in grado di leggere con destrezza il pentagramma e quindi di suonare il proprio strumento.
FONTI E BIBL.: G. Pighini, Storia di Parma, 1965, 201; Gazzetta di Parma 10 maggio 1990, 4.
SGAVETTA ANTONIO BARTLOMEO
Parma 17 gennaio 1708-Parma 2 gennaio 1772
Figlio di Domenico e di Luigia Caterina Vepi. Fu barbiere di Corte e autore di una Cronaca, in gran parte inedita, nell’Archivio di Stato di Parma. Che in passato i barbieri, oltre che chirurghi, fossero anche mezzi di comunicazione, ricevitori e diffusori di notizie, quasi gazzettini viventi, e che le loro botteghe fossero crogiuoli di informazioni pubbliche e private, di notizie vere e false, di conversazione e di pettegolezzo, è un fatto comune e ben noto. Ma che un barbiere dedichi una intera esistenza non solo a ricevere e a diffondere notizie ma a registrarle pazientemente sulla carta, a scrivere quello che lo Sgavetta chiama il suo giornale, cioè il suo diario, la sua cronaca, è un caso davvero singolare ed eccezionale. Raramente lo Sgavetta dà notizie di sé. Ciò nonostante, non senza una certa fierezza, più volte dichiara di essere barbiere e chirurgo. Così il 12 agosto 1746, quando, dopo una serie di battaglie nel Piacentino, il Governo austriaco cercò dei chirurghi da mandare sul campo di battaglia, annota: qui il Governo fa ricerca di Biancheria usata, aquevite, tutti gli Chirurghi inviarsi alla volta di Piacenza ma pochi anno aconsentito et io sono stato uno di quelli per ritrovarmi amalato; altrimenti mi sarei dato l’onore di Servire la Maestà Sua e le istesse parole dissi all’Ill.mo Sig. Con. governatore ed’ altri Signori deputati per talle incombenze (74 v., 13-21). Dovette trattarsi comunque di una malattia molto leggera, se non gli impedì, già il giorno dopo, di andare in cerca di notizie e di partecipare a una sacra funzione. Il 23 marzo 1748, quando dovette pagare la quota del testatico, troppo esosa a suo giudizio, si lamenta dichiarandosi un semplice chirurgo Barbiere, dove quel semplice ha tutta l’aria di avere il significato di povero, umile e non il senso tecnico che l’aggettivo aveva abitualmente in unione con barbiere: l’esigienza dell testatico imposto dalla Ill.ma Nostra e celeberrima Comunità o sia: honere alli Capi di famiglia, fra-quali; io semplice Chirurgo farbiere, mi anno tassato di lire 80 e ciò ci vol in due ratte entro a giorni tre (226 v., 7-10). Nel Libro delle ordinaz.ni De Sig.ri Chirurghi barbieri, contenente i verbali delle adunanze degli appartenenti all’Arte dall’anno 1732 all’anno 1778, lo Sgavetta è citato più volte. Il suo nome compare, a esempio, tra quelli dei partecipanti alla riunione del 26 giugno 1732 (1 r.), a quella del 7 gennaio 1733 (2 r.) e a quella del 20 agosto 1739 (26 v.). Nel gennaio del 1740 venne estratto dal bossolo (dopo l’annullamento della prima estrazione per la mancanza di tre nomi) per ricoprire la carica di anziano dell’arte (cfr. c. 31 r.). Fu investito della stessa carica anche negli anni 1742 e 1744. Nel 1749 fu invece eletto Sindico. Tra i fogli della sua Cronaca sono citati solo clienti di rango, forse gli unici che serviva, in bottega o a domicilio, o forse gli unici che ritenne degni di essere nominati perché, in qualche modo, avrebbero recato lustro alla sua scrittura o perché i soli che gli fornivano notizie importanti: questa mattina de ore proprio il Sig. Gieneral Vethez nel Servirlo me ne a data certeza (111 v., 16-17), mi è stato acertato da S. Ecc.za il Sig. Mar. Carlo Malaspina di Mulazzo venuto ieri sera e da me stato servito (247 r., 8), il Sig. Con. Sanvitali, non solo è certa Sua Salute, ma io med.mo ci o fatta la Barba di Convalescenza (305 r., 17). Sembra che la sua bottega fosse sita in strada San Michele, in prossimità della Posta. Di certo è sempre bene informato, sia su quello che avviene in strada San Michele, sia, per quanto riguarda la Posta, sugli arrivi e sulle partenze di corrieri, staffette e viaggiatori. L’11 aprile 1747 registra un cambio di gestione della Posta: primo coriere spedito dal nuovo Mastro di Posta, quale entrò ieri in possesso, per nome Carlo, ed’Antonio e Fratteli Dall’Argine (146 r., 12-15), cambio che presumibilmente non l’avrebbe interessato se non avesse guardato alla posta come a un luogo deputato per le sue informazioni. Se negli anni 1746-1748 la bottega dello Sgavetta fu in strada San Michele, la sua abitazione, in quel periodo, non doveva essere nello stesso stabile. Annota infatti il 25 settembre 1748: La più bella nuova, e vera sarà quella d’oggi ch’io noto, ed’è, l’aver in tal-giornata, dopo molti Anni, senza verun litigio mutato di Casa e dalla Vicinanza di S. Giovani, sono passato a quella di S. Nicolò (283 r., 13-19). Nella Descrizione di tutta la popolazione della Città di Parma seguita l’anno 1765 (censimento organizzato dal ministro Du Tillot) si trova qualche altra informazione relativa alla dimora e alla composizione del suo nucleo familiare: lo Sgavetta, di anni 56, risulta residente con il figlio Atanasio, sacerdote di anni 36, due sorelle, Rosa, di anni 47, e Domenica, di anni 42, e due chierici, Verurzi Paolo, di anni 20, e Sogliani Gio., di anni 18, in una casa del conte Scutellari, nella contrada di Sant’Anna, nella parrocchia della cattedrale. Anche se le vicende della sua vita quotidiana affiorano raramente e quasi in margine ad altre notizie, un certo spazio è lasciato agli eventi familiari meno consueti: il figlio ordinato prete, un trasloco, un arresto, una serata mondana, una gita fuori città, la morte di un familiare o di un amico. Il 17 gennaio 1753 lo Sgavetta informa di compiere in quel giorno 45 anni: Il mercante di nome Antonio, il Santo Abate, giorno memore del mio compleanno 45, male spesi nel servizio dell’Altissimo. Nell’atto di battesimo, conservato nell’Archivio del battistero di Parma, il cognome risulta Sgavetta e non Sgavetti, ma variazioni del genere dovevano essere abbastanza comuni a quei tempi. l’atto recita: Januarii 1708 Antonius bartholomeus filius Dominicii Sgavetta, q. Joan Antonii, et Aloysiae Catharinae Vepi Ux. V. S. Trinitatis, natus, et bap. 17 sup.ti. Patrini D. Ventura tadini, et D. Peregrina Restori. Dall’atto di battesimo del figlio Atanasio risulta che lo Sgavetta era sposato con Rosa Bertoldi e che nel 1728 abitava in Parma nella vicinia di Santa Maria Maddalena (in borgo della Posta). Purtroppo non sono note né la professione né la condizione economica dei genitori dello Sgavetta e, di conseguenza, non è possibile sapere se poterono permettersi di mandare il figlio a scuola. Da quanto si può dedurre dalla Cronaca, oltre ovviamente a sapere leggere e scrivere, lo Sgavetta se la cavava bene con i conti (cfr.: Sogiungo a chi legie, che le torzie sono state mutate 4 volte onde facendo il Computo a 56 per quattro farà la somma di 224; 280 v., 16-19) e conosceva un po’ di latino, quanto bastava per inserirne, ogni tanto, qualche citazione e qualche frase fatta nel suo diario. La cultura dello Sgavetta è legata soprattutto alla tradizione popolare orale. Dal patrimonio della tradizione orale e popolare trae non solo aneddoti, proverbi, massime, paragoni, sentenze e norme di comportamento, ma anche certi procedimenti stilistici e certe movenze della sua scrittura. Tale derivazione popolare, tuttavia, spesso non è diretta, ma mutuata da quelle che erano fonti di primaria importanza nella cultura dello Sgavetta, ricche a un tempo di elementi quotidiani e popolari e di elementi dottrinali, di nozioni religiose e di norme etiche: le prediche. A esse lo Sgavetta assisteva con assiduità e, forse per non dimenticarle, non manca di riportarne il contenuto, sunteggiandolo, nelle carte del suo diario. È proprio sotto la suggestione delle parole dei padri predicatori che spesso si accinge a scrivere. Appaiono allora, come nelle immagini sacre che ornano le chiese, personaggi e fatti biblici e Santi e fatti di Santi, cristallizzati in exempla, veri e propri paradigmi di comportamento. Fu, sia per curiosità personale sia per la sua professione, sempre informatissimo su quello che accadeva in città e non solo in città. Raramente si allontanò da Parma e quando lo fece pare non portasse con sé il suo diario. Esercitò la sua arte di barbiere fino a quando si mise a letto il 28 dicembre 1771 per non rialzarsi mai più. Il 16 ottobre 1771 esprime il suo rincrescimento per non aver visto il conte Toccoli di non averlo veduto né servito in giorno di Baciamano: fino almeno ad allora è certo che doveva aver continuato a far barba e capelli. Ma dalle pagine della sua cronaca trapelano anche i linementi del suo carattere, i suoi sentimenti, la sua concezione del mondo e della vita. La Cronaca, o quel che resta della Cronaca, si apre il 30 marzo 1746 su uno scenario di guerra e di miserie. La città di Parma, presidiata dalla truppe borboniche, sta per essere assediata dagli Austriaci. l’esperienza diretta, in tanti anni di guerra, di tribolazioni e patimenti non fa che acuire il timore e l’ansia dei Parmigiani. Anche lo Sgavetta è turbato, anzi spaventato. Suggestive, perché autenticamente vissute, sono le prime carte della Cronaca, dove, con una prosa impacciata, sgrammaticata, povera di artifici retorici, quasi una cantilena ripetitiva e ossessionante, lo sgavetta riesce a esprimere, con sicura efficacia, i suoi sentimenti (la paura, la speranza, la disperazione) e a dare un’idea dello stato di estrema desolazione in cui versavano la città e il suo contado. Nelle vicende di guerra, lo Sgavetta sembra parteggiare per gli Spagnoli, forse perché ritiene che Filippo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, sia l’erede legittimo dell’estinta dinastia farnesiana, ma forse o soprattutto perché gli Spagnoli avevano fama di essere catolichissimi ed’umani (22 v., 18-19) mentre gli Austriaci, i cui eserciti erano in parte composti di truppe provenienti dall’Europa orientale e di truppe non regolate, passavano per devastatori e saccheggiatori e fano cose da inoridire: non la perdonano a Chiese, prendendoli con somo sprezzo li Vasi Sacri, alle Case, alle Donne, facendone Scempio in più modi (8 r., 2-5). È soprattutto il sacrilegio che impressiona lo Sgavetta, la forma di trasgressione in cui, con maggiore evidenza, si manifesta l’assenza del timor di Dio. Ecco allora il 16 giugno 1746, quando la battaglia di Piacenza, dopo un inizio favorevole ai Gallispani, si risolve in favore degli Austriaci, che è pronto ad attribuire la vittoria agli Spagnoli, ministri della giustizia divina, offesa dai peccati e dai continui sacrilegi degli Austriaci: questa mattina nel far del giorno si udiva chiaramente e spesso il Cannone, senza saper ciò seguisce; ma alle ore 16 Giorno memore del Ottava augustissima e Sacrosanta dell’Corpo di Nostro Signore, lo stesso a con la possente mano sua, tetigit Illos, cioè queli non anno avuto verun rispeto alle Sue sante Chiese; gli a tocati e Suoi ministri sono stati li Spagnuoli (44 v., 4-11). Solo un mese dopo si convince che in realtà gli Spagnoli erano stati sconfitti. La sua predilezione per gli Spagnoli non gli impedisce, tuttavia, di protestare quando esigono gravosi contributi dai Parmigiani per il sostentamento delle truppe: Cresce vie più gli affanni nella povera Parma, mentre qui convien proveder tutto il Castello, quando non si sa con-che mantenersi noi in Città (5 v., 2-5) o quando danneggiano le coltivazioni in campagna: Alla Canpagna ambe le nacioni anno fatto un mal sommo (2 r., 23-24); non si vede, che desolacioni, fuori e dentro della Città; fuori dagli Inimici, di dentro dal Governo (6 v., 22-24). Parma si arrese agli Austriaci il 22 aprile e fu nuovamente aggregata allo Stato di Milano. Pur preferendo gli Spagnoli agli Austriaci, lo Sgavetta non fu tra quelli che manifestarono pubblicamente la loro gioia per l’ingresso degli Spagnoli in Parma nel 1745. Le vicende del mondo lo coinvolgono con misura: il buon senso e l’esperienza popolare gli suggeriscono che è sempre meglio farsi vedere indiferenti. Due parroci, dopo il ritorno degli Austriaci a Parma, vennero esiliati, e tal acidente è seguito per il gienio troppo ecedente fato conoscere in tempo dovevono farsi vedere indiferenti (92 v., 6-8). Tra i fogli del diario, si ripetono ossessivamente le lamentele per le imposizioni di tasse e di bolli, per gli aumenti dei prezzi, per i danni causati dalle truppe quando vengono stanziate fuori città. Dopo la pace di Aquisgrana, in attesa che il nuovo governo dei Borbone sostituisca quello austriaco, allo Sgavetta soviene di quella Vecchiarella che piangnea la morte di Nerone, temendo ne sucedesse un begio (291 v., 19-21). Il primo volume della Cronaca termina con l’anno 1748, prima che Filippo di Borbone entri in Parma. Scorrendo rapidamente gli altri volumi, si ha l’impressione che lo Sgavetta, pur nutrendo un’indubitabile simpatia per i nuovi sovrani, eredi dei Farnese, catolichissimi e assidui frequentatori di sacre funzioni, non ritenga migliore di quello austriaco il nuovo governo che, come i governi di sempre, impone tasse e gabelle e permette che i soldi dei parmigiani siano sperperati in costruzioni e restauri di palazzi, in sontuosi ricevimenti e in abiti sfarzosi. In particolare colpisce la forte religiosità dello Sgavetta. Molte delle sue annotazioni quotidiane iniziano o terminano in preghiera. La fede non gli manca ma è una fede basata certo più sul sentimento che sulla ragione. Il suo modo di pregare e di porsi davanti alla divinità è quello piuttosto primitivo ed elementare di chi prega per ricevere qualche cosa in cambio. È convinto dell’efficacia strumentale della preghiera purché essa sia continuata, fervorosa e piena di fede e perseverante. Se la sola preghiera non fosse sufficiente per ottenere una grazia o per placare l’ira del Signore, si potranno allora aggiungere la partecipazione a sacre funzioni e insieme l’elemosina (secondo giorno del triduo incominciato dalla Nobiltà e popolo concorsovi, non tanto con la persona ma anco con elemosine; ed’infati abiamo già avuta una gracia qual-è la pioggia), il pentimento (onde da-ciò si spera siano state acette dal Signor tale Supplice, unite al pentimento perseverante che infalibilmente gli Santi Nostri verano esaditi), il mutamento dei costumi (contuttociò confidiamo nel Alltt.mo vivamente, che così, mutando costumi, ed’io per il primo, crediamo che il tutto risulterà in nostro bene, se non temporale, Spirituale, che così sia), l’astensione dal peccato (Segue tuttora per nostra magior disgrazia la moria de Bestiami e piutosto si aumenta, segue altresì le divocioni de Sagri Tempii, resta che cessi in me i peccati per il primo, e in mia compagnia gli altri). Tutto quello che avviene nel mondo, dall’avvenimento più grande al più piccolo, avviene per volontà divina. Dio è ritenuto la causa prima di ogni avvenimento terreno (quello non fa la Guerra come causa seconda, ora che è partita, lo fa il Sommo Motore come primario di tutto; 25 v., 19-26) e pertanto ogni modificazione delle cose del Mondo avviene, e si può sperare che avvenga, solo per grazia di Dio. Gli avvenimenti favorevoli sono dovuti alla sua provvidenza e alla sua infinita Misericordia. Così, a esempio, un mancato attacco nemico: per grazia dell’Allttissimo e Nosti S. Protettori non si sentì nulla (4 v., 11-12). La guerra, la fame, le disgrazie, le calamità naturali sono invece una manifestazione della sua ira, veri e propri flagelli con cui Dio punisce i continui peccati degli uomini (Anche oggi abbiamo avuto l-impetuoso vento, il quale grazie all’Alltt.mo sempre a sterminato tutto il raccolto, ed’anco li fruti. Causa evidente del peccato, ma specialmente e particolarmente i miei; 168 v., 16-20). Ma poiché le intenzioni divine sono imperscrutabili, non sempre ciò che accade è per gli uomini immediatamente e chiaramente intelleggibile e spesso quella che, a prima vista, sembrerebbe una disgrazia si rivela poi una grazia: Lascio gli affari di Guera e mi volgo (indegnamente) all’alttissimo e lo ringrazio quanto so e posso per la grazia ci va facendo credendo grazia anche ciò pare disgrazia (75 r., 2-4). Agli uomini, a questo punto, non resta che porre tutto nelle mani del Signore e accadda ciò che vole, che tutto sarà bene (64 v., 21-23). L’etica dello sgavetta, da quanto traspare dal suo diario, è un’etica che scaturisce essenzialmente dal timore di una vendetta divina. Per questo è sempre pronto a confessare i suoi peccati e a chiedere il perdono umiliandosi davanti a tutti come il più grande dei peccatori: cominciando da me iniquo peccatore (65 v, 23-24). Anche le numerose invettive contro la vanitas mundi (le feste, il teatro, il carnevale, l’ozio) sono motivate soprattutto dal timore che i cattivi costumi degli uomini possano scatenare l’ira di Dio. Inscindibilmente connessa con questa profonda sensibilità religiosa è la visione del mondo dello Sgavetta: un mondo visto e sentito, quasi con angoscia, in balia del Trascendente, un mondo di lacrime e di sangue, senza sorriso, dove per colpa degli uomini si riversano l’ira e il castigo di Dio, dove uomo e natura raramente sembrano partecipare di un cosmo divino sereno e rassicurante, in armonia. A salvare lo Sgavetta dallo scetticismo intervengono, molte volte, solo la saggezza popolare con il buon senso dei proverbi, delle massime e degli aneddoti e l’ironia. Al mondo tutto ciò che appare casuale avviene invece causalmente, secondo disegni divini prestabiliti. Le vicende presenti prefigurano il futuro, come quelle passate prefiguravano il presente, attraverso cifre segrete, signa, che non sempre agli uomini è concesso di interpretare. Ecco allora che, preso dallo sconforto di fronte a certi eventi abnormi o contraddittori, lo Sgavetta parla di segni tutti, che niuno li capisce (83 r., 23) o si domanda con inquietudine che segni sono questi, chi-l sa mel dica, ch’io al certo nol so (173 r., 21-22) o si rassegna a un come sarà, altro che il Ciel’lo sa (195 r., 11) perché Anima vivente non sa cosa alcuna del futuro (310 r., 19-20) e in ciò consiste la miseria del Uomo, che non può esser certo, che della morte (112 v., 11-13). Ma altri segni sono avvertiti come sicuri presagi, come presagi di disgrazie alle quali solo Dio può porre rimedio: e tutte queste cose, altro non pressagiscono che una magior ruina, e l’ultimo esterminio di questo povero Stato: utinam che non sia ma si teme assai, se consideriamo a nostri meriti verso Dio (14 r., 14-19). Tra i segni infausti sono annoverati, secondo una casistica comune sin dalla più remota antichità e rafforzata dalle Scritture, anche avvenimenti fisici o metereologici inusuali: noto due scosce di Tremoto, da tutto il Popolo udite (ma non da me). La prima alle ore due e mezza, l’altra alle ore quattro picciole sì, ma senssitive. Segno assi cativo (77 r., 11-15). All’annotazione del 10 settembre 1746 è aggiunto un post scriptum in cui lo Sgavetta riferisce di un fenomeno strano: alle ore due della note si vidde un Fenomeno smisurato, qual si dilatò in modo, che parea un incendio nel’aria questo durò lo spazio di un quarto d-ora, e poscia si dileguò: alla parte Orientale (87 r., 10-14). Non aggiunge altro, tuttavia bastano il post scriptum e l’uso di lessemi come smisurato e si dilatò ad attestare un’ansietà che allude a un segno inesplicabile. Il giorno successivo si viene a sapere che si trattava solo di un incendio e, con una sorta di sospiro di sollievo, lo Sgavetta scrive: Si è saputo questa mattina, quelo non si poté capir ier sera, e ciò fu non fenomino, non Cometta come si dicea; ma fu fuoco aceso in distanza di due millia (87 r., 16-19). A leggere certe pagine della Cronaca non pare proprio d’essere già nello smagato secolo dei lumi. La superstizione dominava ancora le menti della gente, soprattutto della povera gente. Lo stesso Sgavetta, non certo immune da atteggiamenti superstiziosi, dichiara apertamente tali atteggiamenti come cose che annoiano. Ecco, a esempio, come descrive le preoccupazioni e i timori della gente prima di un’eclissi solare: alle ore 14 fin.o alle ore 17 vi fu un Ec.lisse Solare, il quale secondo le dicerie de giorni a.tecedenti gran parte del Popolo credevasi di dover in mille guise periri, ed’in particolar le Donne; quale chi credeva di diventar Uomo, chi di divenir illesi nella Luce delli Occhi, chi era nati in tal mese dovese morire, insomma cose che anoiavano, quando mercé la Divina bontà appena si vide scolorito il Sole e non-altro; ciò servi di regola a chi-legie, e dia credenza soltanto al Santo Evangelio, e vivi felice (263 r., 15, e 263 v., 9). In altri casi, secondo una religiosità largamente diffusa a quei tempi, è pronto a gridare al miracolo. Così, a esempio, per una pioggia a lungo desiderata che si decide finalmente a cadere proprio durante una processione fatta per ottenerla: un Miracolo patente a tutti, e tale da tutti è, e deve essere anco a posteri miei ramentato; acciò abbiano in mia compagnia divocione al Santo Nostro Protettore e miracolosissimo S. Bernardo. Dunque in sucinto dirò, che Sono moltissimi giorni, che oltre al gran Sole cocente, acompagnato da vento non mai più sentito, e non sapendo come mitigarlo, con un poco di piogia ristorar la Campagna, l’Alltt.mo inspirò il Capitolo de Sig.ri Cano. d’esporre il Sacro Capo di detto Santo, e ciò fu il giorno adietro; Subito si anuvolò, ed oggi nel mentre si recitavano le Sante Letanie, cominciò il Tuono farsi sentire; facendo la Santa Processione, quando il Santo Capo fu alla porta Magiore, nel dar del Sacerdote la Benedicione, ecco un aqua perennissima, e non fu tanto poca che si rinforzò per due fiate (171 r., 2 e 171 v., 2).
FONTI E BIBL.: Stanislao da Campagnola, Aspetti immediati e attivi dell’eloquenza sacra in una cronaca inedita del sec. XVIII, in Laurentianum 2 1961, 493-508; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1000; S. Mazzali, La Nave delle Chiarle, 1994, 13-23.
SGAVETTI ANTONIO, vedi SGAVETTA ANTONIO BARTOLOMEO
SGAVETTI UMBERTO
Parma 1914-Casatico 29 settembre 1962
Fu pittore, apprezzato insegnante e abile restauratore. Quale restauratore (apprese il mestiere nello studio di Pelliccioli in Milano) ebbe l’incarico di restaurare gli affreschi cinquecenteschi e settecenteschi del Palazzo del giardino di Parma e le cappelle di sinistra entrando nella chiesa di San Giovanni evangelista in Parma, compresa quella del transetto settentrionale e quella a sinistra del presbiterio. Morì in seguito a improvviso malore mentre a bordo della sua auto si recava con la figlia Anna, sedicenne, da Parma a Casatico.
FONTI E BIBL.: Parma per l’Arte 3 1962, 216; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1000.
SIBILIO ANGELO
-Parma 4 settembre 1999
Fu una delle figure più nascoste ma importanti della cultura parmigiana del XX secolo.Insegnante, studioso, poeta finissimo, raccolse una ricca biblioteca e fino all’ultimo giorno visse tra i suoi libri, ma non si sentiva né un isolato né tantomeno un escluso. Fece parte di quella schiera di intellettuali parmigiani che prima e dopo la seconda guerra mondiale si era raccolta attorno ai nomi più significativi della cultura. Con Bertolucci, Viola, Romani, Artoni, Cusatelli, Macrì, Luzi, Spagnoletti e Guanda, anche il Sibilio entrò in sintonia con un mondo che andava mutando e sostanzialmente piegandosi verso una rivoluzione sociale e culturale dagli esiti incerti. Ricordando la scomparsa di Carlo Calcaterra, che era stato maestro del Sibilio, Oreste Macrì così lo descrive nel 1952: Per Calcaterra s’era mosso a scrivere sulla Gazzetta di parma il suo discepolo, mio discretissimo amico e lettore puro di letteratura d’ogni paese, Angelo Sibilio, forse l’emblema umano più sottile della dolce e sfumata città che ho abbandonato, provincia mirabilmente temperatrice di culture e sangui diversi.
FONTI E BIBL.: G. Marchetti, in Gazzetta di Parma 6 settembre 1999, 8.
SICHEL ALFREDO
1875-Colorno 7 aprile 1958
Si diplomò in tromba presso il Conservatorio di musica di Parma nel 1897. L’anno seguente, dopo aver vinto il concorso, si arruolò nella musica della Marina come prima tromba e vi rimase per sei anni viaggiando sull’incrociatore Garibaldi che si muoveva tra l’Italia, l’America del Sud e il Medio Oriente. Congedatosi dalla Marina nel 1904, entrò nella banda di Parma come prima tromba, divenendo inoltre maestro di ottoni nella Scuola Popolare, che fu però sciolta a distanza di pochi anni. Nel 1907 fu maestro della fanfara del Lento Club di Parma e per questa società compose un inno, oltre a marce e ballabili che vennero poi premiati in numerosi concorsi. Nel 1913 partecipò a una tournée europea con un’orchestra di centoventi professori, diretta da Giuseppe Baroni. Nel 1928, sempre come prima tromba, prese parte a una famosa esecuzione di cavalleria e Pagliacci avvenuta in Piazza San Marco a Venezia sotto la direzione di Pietro mascagni. Fu al Casinò di San Remo e per dodici anni nell’orchestra delle Terme Berzieri di Salsomaggiore, nella quale, con la direzione del maestro Gandolfi, suonò assieme a cristoforetti, Guerci, Cacciamani e altri noti strumentisti. Ricoprì anche l’incarico di insegnante di tromba nel Conservatorio di Parma. Nell’orchestra del Teatro Regio di Parma suonò dal 1904 al 1950. Tra una stagione lirica e l’altra fu all’Arena di Verona e in altri importanti teatri lirici italiani. L’ultima sua comparsa in pubblico avvenne a Busseto allorché suonò in Otello nelle celebrazioni verdiane. Lasciò una ricca serie di composizioni, tutte inedite.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 aprile 1958, 4.
SICHEL GIUSEPPE
Casaltone 4 ottobre 1849-Milano 18 ottobre 1924
Figlio di Gaetano, medico, e di Maria Grimaldi. Fece il commerciante, prima di dedicarsi al teatro. Cominciò a recitare a Genova nella filodrammatica del Falcone. Nel 1876 esordì nella compagnia di Carlo Lollio come brillante, ruolo che conservò per tutta la carriera. Nel 1877 passò con Michele Ferrante e successivamente, fino al 1883, fu con Galletti-Dondini, Lollio, in società con Fagiuoli e P. Aliprandi, scritturato con Drago e con Zoppetti. Nel 1884 fu nella compagnia Emanuel, l’anno dopo con Novelli, poi con Maggi dal 1886 al 1890, con Marini fino al 1893, nel 1894 ancora con Emanuel. Nel 1895 si associò con Virgilio Talli. Da allora e fino al 1919 fu socio di attori quali Pier Camillo Tovagliari, zoppetti, Masi, Amerigo Guasti, Stanislao Ciarli, D. Galli, Falconi, Baghetti e Chiantoni e capeggiò, anche come direttore, fortunatissime compagnie dal repertorio esclusivamente comico. Nel 1920 fu direttore, oltre che attore, della compagnia Galli-Guarnieri. Nel 1922 si ritirò dalle scene. Nel 1914 apparve nel film Sichel il cerimonioso. Il Sichel fu uno dei migliori brillanti dell’epoca, interprete congeniale delle pochades francesi che invasero le scene della Penisola (Bayard, Hennequin, Valabrègue, Weber, Feydeau, Bisson, Berr, Caillavet, Flers, Gavault, Kéroul, Barré, Sylvaine, Gascogne, Desvallières). Tra gli autori italiani, recitò commedie di Bracco, G. Antona-Traversi e E. Reggio. In possesso di una recitazione singolare, a sbalzi, a strappi, con intonazioni aspre, rotte da una infinità di interiezioni, di ‘eh’ interrogativi di distrazione (Rasi), di irresistibile comicità, il Sichel seppe trarre intensi effetti comici dalle sue stesse caratteristiche fisiche, come l’alta statura, la magrezza, il viso lungo e melanconico. Sposò l’attrice Emilia Saporetti.
FONTI E BIBL.: oltre a Rasi, cfr.: Annali del teatro italiano, 2 voll., Milano, 1921-1923; Boutet, IV, 1900; G. Cauda, Sulla scena e dietro le quinte, Chieri, 1914; Enciclopedia italiana, XXXI, 1936, 653; N. Leonelli, Attori, 1944, 358-359; B. molossi, Dizionario biografico, 1957, 139; eznciclopedia spettacolo, VIII, 1961, 1962.
SICHELINO, vedi SECHELINO
SICORE' GIOVANNI
Bardi 20 giugno 1775-Parma 7 luglio 1834
Intrapresi gli studi a Parma, a soli diciotto anni ottenne la laurea in entrambe le leggi. Nel 1796 fu nominato Segretario del Regio Commissariato dei Confini. Avvocato d’ufficio, nel 1806 fu nominato Consigliere del Tribunale Collegiato di Fiorenzuola, poi di Borgo San Donnino, Piacenza e Parma. Fu quindi Consigliere del Tribunale di Prima Istanza, poi di Appello e infine nel Tribunale Supremo di Revisione.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1834, 234; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 418; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 420.
SICORE' GIUSEPPE
Borgo Taro 5 luglio 1772-Parma 21 agosto 1855
Il 17 luglio 1793, assieme al fratello Giovanni, si laureò in ambo le Leggi. Datosi inizialmente all’esercizio del notariato, fu poi nominato commissario della Riva e del Ponte dall’oglio. Durante l’amministrazione francese fu giudice di pace. Fu infine nominato procuratore del Tribunale d’Appello, carica dalla quale si dimise nel 1835 per problemi di salute.
FONTI E BIBL.: A. Cavagnari, in Gazzetta di Parma 1855, 775; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 418-419; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 420.
SICURI ENZO
Parma 1907-Parma 1988
Nacque da Ubaldo, mediatore di cereali, ed Elvira Alfieri, stiratrice. Trascorse l’infanzia in borgo delle Grazie, primo di tre figli, con due sorelle minori. Frequentate le scuole elementari in San Marcellino, si dedicò ai più svariati mestieri, tra cui quello di saldatore autogeno presso la ditta Mezzi in viale delle rimembranze e quello di garzone di fornaio presso Zoni di strada Farini. Conobbe l’anarchico Dante Spaggiari nel laboratorio di incisore presso San Vitale e ne divenne il più fervente discepolo. Continuò a studiare alle scuole serali e ottenne la licenza della settima classe. Spaggiari gli insegnò che nella vita si può fare a meno di tutto, meno che dell’aria per respirare e il Sicuri cominciò così una vita randagia, dormendo nei sottoscala e raccogliendo cartoni da vendere alle cartiere. La sua figura, con un cappello di carta in testa e un abito di sacco (negli ultimi anni, di plastica nera), divenne popolare, così che i parmigiani lo battezzarono al mat Sicuri. Nel 1982 venne colpito da ictus cerebrale e dovette abbandonare la vita errabonda per farsi ricoverare all’ospedale Stuard di Parma. Nel 1985 venne pubblicato il libro Il nostro amico Enzo Sicuri (Benedettina editrice) di Tiziano Marcheselli e Giovanni ferraguti.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Dizionario dei parmigiani, 1997, 289.
SICURI GIACINTO
Parma seconda metà del XVII secolo /1724
Falegname già attivo nella seconda metà del XVII secolo, nell’anno 1724 realizzò il coro in S. Michele dell’Arco a Parma.
FONTI E BIBL.: L. Farinelli e P.P. Mendogni, 1981, 80; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 259-260; Il mobile a Parma, 1983, 257.
SICURI GIULIO
Parma 1684
Architetto disegnatore. Percorse gran parte del parmense, segnandolo con numerosi interventi: nell’esate del 1684 fu lungo il canale maggiore, dove dimostrò, anche attraverso una semplice perizia riguardante una lite per diritti sulle acque, una sicura professionalità.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 261; P.Zanlari, Tra rilievo e progetto, 1985, 95.
SIDOLI FRANCESCO
Bardi 1817- Piacenza 1896
Nacque da Antonio e Teresa Tebaldi. Dal Cantone San Michele, a Piacenza, la famiglia si trasferì in Strada Diritta 41. Il Sidoli fu orologiaio e sua moglie Teresa Tononi (che sposò il Sidoli in seconde nozze) fece la rivenditrice d’oro. Iniziò l’attività di fotografo nel 1858, ma solo nel 1864 abbandonò il mestiere di orologiaio per dedicarsi completamente alla fotografia. Nel 1867 il negozio di orologeria, frattanto spostato al n. 6 di Strada Diritta, venne messo in vendita. Poco dopo venne ceduta definitivamente anche la parte di esso in cui il Sidoli da tempo coltivava un’avviata professione di fotografo. Locali e attività commerciale passarono al figlio che Teresa Tononi aveva avuto dal primo marito, Luigi Rossi. Nel periodo successivo la vita del Sidoli si svolse a Roma, dove operò come fotografo dapprima in Piazza di Spagna 32, poi in via del Babuino 76. Fin dal suo arrivo a Roma, il Sidoli collaborò con John Henry Parker per la realizzazione di una cospicua raccolta di fotografie della città e dei suoi antichi monumenti (pubblicò due anni dopo un catalogo di 1500 immagini). Morta la moglie, nel 1875 il Sidoli si stabilì di nuovo a Piacenza, dove continuò la professione lasciando il segno di una buona ritrattistica e di un’ottima vedutistica.
FONTI E BIBL.: G. Bertuzzi, M. Di Stefano, fotografi a Piacenza (1857-1900), Piacenza, TEP, 1982; M. Di Stefano, in Dizionario biografico Piacentino, 1987, 249; R.Rosati, Fotografi, 1990, 166.
SIDOLI FRANCESCO
Cereseto di Compiano 1874-Genova 1924
Alunno del seminario di Bedonia e del collegio Alberoni di Piacenza (1892-1899), venne ordinato sacerdote nel 1897, laureandosi poi in teologia e in diritto canonico all’Università apollinare di Roma. Professore di diritto canonico nel Seminario vescovile di Piacenza, fu anche Arciprete coadiutore della Cattedrale e assistente ecclesiastico del circolo operaio sant’antonino. Nominato vescovo di Rieti nel 1916, si caratterizzò per il potenziamento delle organizzazioni sociali (cooperative e casse rurali), per il rinnovamento liturgico delle parrocchie e per il fervente patriottismo durante la prima guerra mondiale. Il Sidoli fu promosso nel 1924 alla sede arcivescovile di Genova, ma morì poco dopo.
FONTI E BIBL.: Necrologio in Libertà 19 settembre 1924; G. Bettuzzi, I piacentini vescovi, Piacenza, 1938, 106; F. Molinari, Modernismo e antimodernismo in una diocesi di provincia: Piacenza, in L. mezzadri-F. Molinari, Il modernismo a Piacenza, piacenza, 1981; F. Molinari, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 249.
SIDOLI GIOVANNI
Compiano 1831
Fu detenuto nel forte di Compiano con altri studenti prima della rivolta del 1831 per lo spirito fazioso da loro manifestato. Una volta rimesso in libertà, fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 204.
SIDOLI TERESA
Sidolodi Bardi-Travazzano 6 giugno 1852
Sposò un Rossi. Rimasta vedova, con testamento olografo del 19 agosto 1850 e codicillo del 13 dicembre 1851 lasciò l’intero suo patrimonio, consistente nel vasto latifondo e castello di Travazzano, con canoni enfiteutici, al seminario di Bedonia, il cui reddito, tolti alcuni altri legati pii, fu destinato al mantenimento di alunni di Bardi e Bedonia in detto seminario. L’opera pia, come tale riconosciuta e che porta il nome della Sidoli, diede luogo a una serie continua di liti, di consulti e di pareri.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 420.
SIFOLON, vedi COPELLI LODOVICO
SIGEFREDO
ante 926-Parma gennaio/marzo 945
Fu Cancelliere di re Ugo. Il Sigefredo coprì la carica di cancelliere dal 7 agosto sino al 25 dicembre 926. In questo tempo accompagnò la Corte, controfirmando i diplomi di re Ugo: così il 7 agosto lo si trova a Verona, il 3 e il 4 settembre a Pavia, il 12 novembre in Asti (ove sottoscrisse un diploma Sigefredus cancellarius episcopus), il 28 novembre ritornò a Pavia (firmandosi Sigefredus vocatus episcopus et cancellarius), mentre il 25 dicembre, a Trento, è detto semplicemente cancelliere. Nel diploma di re Ugo del 17 febbraio 927 compare un nuovo cancelliere, Gerlano: ciò vuol dire che il sigefredo in quel periodo di tempo aveva già rinunciato alla carica di cancelliere. Il 12 novembre 926 il Sigefredo risulta infatti già eletto Vescovo di Parma. Il Sigefredo non rinunciò per ragioni politiche all’importante ufficio di cancelliere, dato che Re Ugo lo ebbe in grande stima e considerazione, tanto da chiamarlo, come si legge in diversi suoi diplomi, carissimo nostro fedele consigliere. Poiché il conte e il viceconte del contado parmense pretendevano di esigere per diritto alcune contribuzioni dalla Chiesa di Parma e di Borgo San Donnino, il Sigefredo intervenne presso re Ugo, il quale (da Pavia, il 12 maggio 928) concedette la publica functio alle dette Chiese e annullò ogni consuetudine in contrario, affinché tutte le rendite, immuni da qualunque gravame secolare, fossero lasciate integralmente a disposizione del Sigefredo. Si deve alle preghiere del Sigefredo se re Ugo donò il ves-covado di Sipar, la Pieve di Umago e l’Isola Paciana con le sue dipendenze alla Chiesa di Trieste, prendendola anche sotto la sua protezione (diploma dato a Pavia il 7 agosto 929). La regina Alda, la contessa Ermengarda e il conte Sansone ottennero a favore del Sigefredo la conferma di ogni diritto sull’abazia di berceto, il discrictum, il teloneo, l’ambito delle mura della città, Lugolo, la Corte regia, il prato regio, l’immunità e il diritto di inquisizione. Fu ancora a istanza del Sigefredo che re Ugo, con suo diploma da Pavia del 17 aprile 931, prese sotto la sua protezione le chiese di Sant’Antonio e di San Vittore in Piacenza, alle quali, oltre il diritto di inquisizione, confermò un diploma di Carlo III, nonché i diplomi e le carte distrutte dall’incendio o comunque perdute. Nel 931 il Sigefredo fu a Montecassino, dove consacrò l’altare di San Benedetto, che il prevosto Eodelperto aveva allora rinnovato. coll’intervento del Sigefredo e del conte sansone, il re Ugo e suo figlio Lotario confermarono il 28 aprile 932 al monastero di Santa Teodota in Pavia i possessi e i diritti avuti da lodovico III e concedettero due guadi per pesca nel Ticino e la libertà di navigazione e di pesca nel Po e nel Ticino. Il 16 gennaio 933 il re Ugo e Lotario, su richiesta del Sigefredo, donarono al monastero delle Sante Fiora e Lucilla in Arezzo la chiesa di Santa Maria in Montione, il Campo regio vicino a essa, la terra acquistata da Berta, madre del re Ugo, in monte Fiorentino e la selva di Mugliano e confermarono anche una terra in Querceto, donata dal marchese Bosone. Re Ugo, richiamato in Italia l’imperatore Rodolfo, si diresse in Lombardia. Passando da Parma, prese dimora nel nuovo palazzo vescovile riedificato dopo l’incendio. Fu in quella circostanza che Sarilone, conte di Palazzo, con vari giudici e notai e alla presenza dello stesso Re, sentenziò a favore della Canonica parmense di Santa Maria contro le pretese di Rodolfo, figlio di odilardo, sopra il molino posto fuori della città poco lungi da porta Pidocchiosa, che da carlomanno era stato ceduto in dono ad adalberto, cappellano di Vibodo, e da lui donato probabilmente al Capitolo della cattedrale. Il placito fu dato il 30 maggio 935 in domum sancte Parmensis eclesie, in turre noviter edificatam a domnus Sigefredus vir venerabilis eiusdemque sancte Parmensis eclesie episcopus hubi domnus Ugo gloriosissimus rex preerat sub quadam pergola vitis prope ipsa mater eclesia. La nuova torre fu dunque edificata dal Sigefredo annessa al palazzo vescovile che sorgeva presso la Cattedrale. Poiché il marchese Auscario cominciò a vantare pretese sul villaggio di lugolo e sulle pertinenze della badia di Berceto, il Sigefredo si recò a Pavia accompagnato da Adalberto, suo avvocato, e, alla presenza di re Ugo e di Lotario, poté dimostrare che la badia di Berceto e altri diritti non potevano essergli contrastati secondo la concessione che poco prima gli era stata rinnovata (16 settembre 930). Il diritto di possesso gli fu poi riconosciuto dal conte Sarilone con suo placito del 18 settembre 935. Il re Ugo e Lotario il 6 febbraio 936, da Pavia, confermarono alla Chiesa di Parma i possessi che Vulgunda, detta Aza, ebbe in usufrutto per la parte indivisa dal vescovo Vibodo e gli altri ereditati dalla contessa Berta, madre del re Ugo. Su richiesta del Sigefredo, il re Ugo e Lotario donarono al monastero dei santi Marino e Leone di Pavia (23 luglio 939) le rive del Ticino col ripatico e la località detta dei Caminelli. Al monastero di San Benedetto in Subiaco, sempre per intercessione del Sigefredo, il 25 giugno 941 donarono la corte di Sala con le sue dipendenze, riconfermando le precedenti donazioni di re, imperatori e fedeli. Ancora per intervento del Sigefredo e del conte Elisiardo, confermarono alla Chiesa di Pavia del 943 tutti i possessi, i diritti, i diplomi e le carte anteriori all’incendio della città e concessero il diritto di inquisizione e di immunità. Tanta fu la stima e l’amicizia che re Ugo ebbe per il Sigefredo che lo volle a capo della nobilissima comitiva che condusse Berta, sua figlia naturale, sposa a romano, figlio di Costantino Porfirogenito, nel 944 a Costantinopoli. Appena giunto a costantinopoli, il Sigefredo si trovò in mezzo ai tumulti suscitati contro Romano dagli zii materni per il possesso del trono. Il matrimonio fu comunque celebrato (settembre 944) e il Sigefredo si trattenne a Costantinopoli sino a quando l’imperatore Romano Lakapenos fu deposto (20 dicembre 944). Appena ritornato in patria, il Sigefredo morì.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della chiesa parmense, 1936, 81-85; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237.
SIGEFREDO
Parma ante 980-marzo/settembre 1015
Alla morte di Uberto (dicembre 980) venne eletto Vescovo di Parma il Sigefredo, soggetto nobilissimo, virtuosissimo e amatissimo di questa patria (Affò, il quale lo crede parmigiano di nascita, perché possedeva molti beni di sua proprietà nel contado e per la premura che ebbe nell’ornare e beneficiare la Chiesa parmense). Certamente fu Vescovo di Parma nei primi mesi del 981, giacché nel 1005 contava venticinque anni di episcopato: Praesulatus quoque domini Sigefredi secundi Sanctae Parmensis Aecclesiae Praesulis omnium largissimi XXV. Da Ottone II ottenne la conferma alla Chiesa di Parma delle donazioni, delle immunità e della giurisdizione sulla città e suo suburbio il 13 agosto 981: è chiaro che doveva già essere trascorso un certo tempo tra la sua elezione e il ricorso all’Imperatore. Il 31 luglio 982 Sigefredo diede a livello per ventinove anni alcune terre poste a Casale e a basilicanova, di proprietà della Chiesa parmense, a grimaldo. Subito dopo fece costruire presso e fuori le mura della città il monastero di San Giovanni Evangelista e chiamò ad abitarlo i Benedettini, nobilitando nel tempo stesso il suburbio che andava popolandosi di borghi. Il Sigefredo prepose ai monaci Giovanni, canonico, che ne fu il primo abate. In un sinodo che si tenne a Ravenna, il Sigefredo sottopose all’approvazione leggi utili al buon governo del monastero e, dopo alcuni anni, allorquando si portò in Italia Maiolo, già abate di Clunj, per fondare nuove abbazie e riformarne altre, il Sigefredo volle che le anzidette costituzioni fossero confermate dal suo voto. Fece inoltre edificare nel suburbio della città il monastero e la chiesa di San Paolo. Lo dice espressamente nell’atto di conferma dei beni al monastero (1005-1015): in territorio nostrae civitatis a me Sigefredo fundatum et honore Sancti Pauli dedicatum. Certo è che Sigefredo vi costruì un piccolo monastero, come è chiaro dalle seguenti parole: hoc cenobium paucarum virginum et Liudae abbatissae sacntissimae, viventi sotto la regola di San Benedetto. Nella chiesa di San Paolo fece poi trasportare le reliquie di Santa Felicola, discepola di San Pietro, dalla chiesetta a lei dedicata che sorgeva a Romolano, luogo situato sulla riva dell’Enza, di proprietà della Cattedrale. Alla solenne traslazione intervenne anche Simone, eremita armeno, che compì un miracolo risanando una nobile matrona di Montecchio: Episcopus Sigefredus nomine, Beatae Feliculae Virginis corpus a loco in quo quiescebat gloriosa celebratione transferens, cum in Ecclesia Sancti Pauli Apostoli decentissime conderet, Dei nutu contigit Beatum Simonem eidem translationi interesse. Sigefredo dimostrò grande generosità verso i canonici della Cattedrale, donando loro la cappella di Santa Cristina, di sua ragione, con alcune case annesse, costruita entro le mura della città, la decima che gli spettava quale procuratore fiscale e molti campi posti in diversi luoghi a Marliano, Stradella, Antoniano, Acqualena, Acquamorta e Stradarotta. La donazione ha la data del 31 marzo 987: ofero pro mercedem et remedium anime mee vel parentorum meorum. Il 10 maggio 987 il Sigefredo fu a Persiceto, dove acquistò per 100 libbre d’argento, da Officia, tutti i suoi beni, la metà delle case e terre col castello e la chiesa di Sala in quel di Modena e li donò alla Chiesa parmense. Nel contempo cedette alla venditrice a livello l’anzidetto acquisto coll’obbligo di pagare annualmente l’affitto convenuto nel giorno di Santa Maria di agosto o entro l’ottava al vescovado o ai suoi messi. Morto Ottone II e incoronato re il figlio il 24 dicembre 983, l’imperatrice Teofania fu eletta reggente. Fu col suo intervento che il Sigefredo ebbe da Quedlimburg il 5 aprile 989 la conferma dei diritti già concessi dagli imperatori alla sua Chiesa con l’aggiunta di Borgo San Donnino e sue pertinenze. Da Gisone acquistò a favore dell’episcopio sette masserizie a Pinaria, presso Sola (atto stipulato da Paradinie di Spilamberto il 19 giugno 989), pagandole 17 libbre venete d’argento da 240 denari ciascuna. Il 20 novembre 995 arricchì nuovamente la Cattedrale donando la corte di Viliniano e altri beni nel contado, ad Alberi di Vigatto, Panocchia, collecchio, Collecchiello, Talignano, Curatico, Sala, Antoniano, Mamiano, Pavariano, Maiatico, Tavernola, Noceto, Tanzolino, Campegine e Vestola. Ciò dimostra quanto fosse ricco il Sigefredo. Poiché si tratta soprattutto di possedimenti tra le vallate della Parma e della Baganza, si può supporre che il Sigefredo fosse discendente di Gherardo, figlio di Sigefredo, del contado di Lucca, che estese appunto il suo dominio in questa parte del contado parmense. Il Sigefredo intervenne al sinodo di Pavia tenutosi nel febbraio 997, gli atti del quale sono perduti. Tuttavia dalla lettera di papa Gregorio V scritta a Villegeso, arcivescovo di Magonza e suo vicario, si sa che cosa fu allora deciso e si conoscono i sette decreti in esso trattati. Fu oggetto di sanzioni disciplinari contro gli ecclesiastici sprezzanti i sacri canoni, di scomunica contro Crescenzio, che aveva invaso e depredato le terre della Chiesa, e di scomunica anche a re Roberto e suoi sostenitori per le nozze contratte con una sua consanguinea contro la proibizione apostolica, nozze ritenute incestuose. Il Sigefredo fu il sesto che sottoscrisse gli atti sinodali. È da ritenersi che la lettera papale fosse stata scritta subito dopo il sinodo, certamente tra l’8 febbraio e il 28 giugno. Gerberto, eletto arcivescovo di ravenna nell’aprile del 998, convocò il 1 maggio dello stesso anno un concilio provinciale nella chiesa di Sant’Anastasio, nel quale si ordinarono disposizioni pratiche sulla idoneità di coloro che dovevano essere ordinati sacerdoti e circa il ministero sacerdotale. Vi intervennero i vescovi suffraganei. Il Sigefredo, non potendo recarvisi di persona, vi inviò due suoi nunzi: Cristoforo e Guinizo, canonici della cattedrale. Maginfredo, giudice del sacro palazzo, il 31 gennaio 999, cedette i suoi beni posti in bardone alla canonica di Parma e li ricevette al tempo stesso a livello al prezzo di otto denari dal diacono Guntardo, prevosto, per voluntatem Sigefredi presulis ipsius ecclesie Parmensis, insieme ad altri beni in Aqualatula, per sé, suoi figli e nipoti legittimi fino alla terza generazione. Se Ottone III (da Verona, il 1° gennaio 1000) donò alla canonica di Parma la corte di Palasone, ciò si dovette per interventu Sigefredi sanctae Parmensis ecclesiae venerabilis episcopi. Il 24 settembre 1000 Corrado, prete e messo di Ottone III, con la licenza del Sigefredo e alla presenza, tra gli altri, di Martino, diacono e vicedomino dell’episcopio, riconobbe il diritto di proprietà a favore della canonica su la corte di Lama Giudiziaria nel Modenese, che Sigefredo I aveva concesso alla morte di Eriardo di Eginulfo de loco Gaudaceto. In una adunanza che il Sigefredo tenne nel 1002 cum fratribus nostris canonicis, trattò de diversis rationibus et vita et moribus. Fu allora che costoro si lamentarono delle doti perdute dalle chiese, concesse dai vescovi antecessori. Subito il Sigefredo emanò un’ordinanza allo scopo di rivendicare i beni di diverse chiese, prima tra tutte la pieve di San Pancrazio, unita al beneficio posseduto dall’arcidiacono Brunicone. Il Sigefredo fu anche maestro delle scuole. La dignità di maestro delle scuole rispondeva a quella di Magiscolae, Magiscolatus seu primiceriatus dignitas, onde al primicerio incombeva l’ufficio di instruere clericos, discipulos et scholares Maioris Ecclesiae Parmensis. Morto intanto Ottone III (23 gennaio 1002), la corona d’italia passò ad Ardoino, marchese d’Ivrea, e poi al re Enrico II, duca di Baviera. Il Sigefredo, per mezzo del marchese Tedaldo, suo consanguineo, seppe ottenere, prima ancora che enrico si portasse in Italia, un privilegio che lo investì della badia di Nonantola, già posseduta dal suo antecessore, privilegio dato da nimwegen il 28 febbraio 1003. Dall’imperatore Enrico II (incoronato in Pavia il 14 maggio) il 31 dello stesso mese il Sigefredo ebbe la conferma degli antichi diritti, aumentato il potere regio e la funzione pubblica maxime ex his, quibus eiusdem ecclesiae lacerabatur ex parte scilicet comitatus. Più precisamente gli fu concessa la podestà di deliberare, giudicare e definire circa le famiglie del Clero e i beni appartenenti al medesimo e sugli uomini della città e suo distretto in qualunque contado si trovasse, come se fosse presente il conte di palazzo (veluti si praesens adesset noster comes pallatii). l’imperatore concesse inoltre il diritto sulle vie regie, sui corsi delle acque e su tutto il territorio colto e incolto ivi adiacente e ogni altro diritto pubblico, che tutti gli uomini della città e suo distretto, infra tria miliaria, ovunque avessero ereditato, sia nel Parmense che nei contadi vicini nulla exinde functionem alicui nostri regni persone persolvant sive alicuius placitum custodiant nisi Parmensis ecclesiae espicopi qui pro tempore fuerit, sed habeat ipsius ecclesiae episcopus licentiam tamquam nostrum comes palacii, il diritto di eleggere e ordinare i notai e che il vicedomino del Sigefredo avesse lo stesso potere del messo imperiale nelle cause che legalmente non si potessero definire (ut sit noster missus et habeat potestatem deliberandi et definiendi atque diudicandi tamquam noster comes pallacii). L’11 giugno 1005 il Sigefredo donò alla chiesa di San Giovanni Battista un mulino sulle acque del Lorno: in acqua fluvioli positum de nostro vivario derivata iuxta castellum. L’atto è storicamente importante perché rivela come si divideva la Diocesi in quel tempo e quante e quali erano le pievi del contado sul principio del Mille. I nomi degli arcipreti secondo l’ordine che si legge nell’atto di donazione sono i seguenti: Alberto di colorno, Nyelberto di San Pancrazio, Gregorio di San Quirico, Berno di San Giovanni Battista, Vuarno di San Martino, Alprando di San Pietro di Carniano, Ranfredo di San Faustino, Bonizo di San Pietro, Viencio di sant’ambrogio, Giovanni di San Martino, Azo di San pietro e San Martino, Rozo di San Matteo, ge-rardo di San Martino, Stabile di Maria assunta, Costanzo di Santa Maria, Tetfredo di Santa Maria, Adto di San Martino, Agostino di Santa Maria, Martino di San Prospero, Andrea di San Pietro, Giovanni di San Vitale Baganza, Olprando di Santa Maria di Gaiano, madelberto di San Lorenzo e Andrea di San Martino. Il Sigefredo dotò il monastero di San Paolo della terra circonvicina, di tre mulini (quello di San Paolo, l’altro a nord del palazzo del vescovo e quello di Sant’Ulderico) e di non pochi poderi posti nel contado, compresi quelli donati al suo antecessore Uberto da Raterio, vescovo di Verona. L’atto di donazione non porta la data, ma è posteriore all’11 aprile 1005, essendo sottoscritto dall’arcidiacono Sigefredo, che era succeduto a brunicone. Nell’anno 1015 i canonici di Parma domandarono al Sigefredo che fosse loro concessa la terza parte delle oblazioni che le chiese di Berceto e di Borgo San Donnino raccoglievano durante la festa dei santi protettori moderanno, Remigio e donnino, dal mattino della vigilia a tutto il giorno della festa. Il sigefredo accolse la preghiera e ordinò che l’atto emanato, col quale s’intese ripristinare l’antica usanza, fosse dalle parti interessate sottoscritto e segnato col sigillo episcopale. Gariverto, servo e fedele della Chiesa parmense, che teneva alcune terre con case di sua proprietà a viconerso e a Marliano, oltre il rio Cinghio, il 4 marzo 1015 le cedette alla Chiesa e il sigefredo a sua volta diede in cambio altre terre e case situate a Bezolo, nel contado parmense. Il Sigefredo morì prima dell’autunno 1015, dopo trentacinque anni di episcopato. La sua salma fu collocata nello stesso avello che racchiudeva le spoglie mortali di Sigefredo, suo antecessore. L’epitaffio al Sigefredo si legge nel codice della collezione dei Canoni della chiesa parmense di burcardo: Magnus in angusto Sigefredus uterque sepulchro Exiguum fieri magna cadendo notat. His tua tunc Parma valuere valentibus arma: Unde Grisopolis quae vocitaris eras. Cura gregis, pietas inopis, vigilantia mentis Vere Pontifices hos viguisse probant. discite Pastores ad eorum vivere mores, servavere suas qui vigilanter oves.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa parmense, 1936, 99-106; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237.
SIGEFRIDO, vedi SIGEFREDO
SIGFRIDO, vedi FOÀ ARISTIDE e SIGEFREDO
SIGIFREDO-Reggio Emilia 1049
Fu eletto Vescovo di Reggio Emilia nell’anno 1030. Assai devoto a San Prospero, fece alzare il pavimento e l’altare della nuova chiesa dedicata al santo per proteggerne il corpo dalle frequenti alluvioni. Fu molto caritatevole verso i poveri e i pellegrini, ricevendoli spesso nella sua casa. Il Sigifredo appartenne forse alla famiglia Giberti o alla famiglia Baratti.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 46-47; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 270.
SIGIFREDO, vedi anche SIGEFREDO
SIGISMONDO DA PARMA
Parma 1474
Sacerdote, fu cantore e calligrafo in San petronio a Bologna. Fu appositamente chiamato a tali uffici dalla Fabbriceria. Tra l’altro annotò uno dei grandi libri di canto fermo, per la cui miniatura (oltre l’esatta posizione delle figure musicali, si richiedeva perizia calligrafica e buon gusto) ricevette il rimborso delle spese di viaggio il 16 giugno 1474.
FONTI E BIBL.: Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per la Romagna 1870, 16; N.pelicelli, Musica in Parma, 1936, 6; F. Filippini e G. zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del XV secolo, Roma, 1968; Dizionario Bolaffi pittori, X, 1975, 296.
SIGNANINI PIETRO
Parma 1820/1835
Nel 1835 fu medico condotto a Fornovo e membro di quella Commissione di Sanità e Soccorso. Ebbe nel 1820 un premio di 230 lire per essersi distinto nelle vaccinazioni. Nel 1835, in occasione del colera, fece offerta di una parte dello stipendio per l’assistenza ai bisognosi.
FONTI E BIBL.: U.A. Pini, Vecchi medici, 1960, 33.
SIGNIFREDI FRANCESCO
Parma 1743
Servì nel 1743 come Aiutante nelle truppe ducali di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
SIGNIFREDI IGNAZIO
Parma 1703
Fu Capitano delle truppe ducali di Parma. Ricevette il titolo nobiliare con privilegio ducale del 13 aprile 1703.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.
SIGNORASTRI GIUSEPPE
Albareto-Vlaklar 9 maggio 1917
Figlio di Stefano. Sergente di Fanteria, fu decorato di Medaglia di Bronzo al Valor militare, con la seguente motivazione: Alla testa della sua squadra, dava esempio di fermezza e di coraggio, guidandola più volte all’assalto di un forte trinceramento nemico, finché cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 10, 790; Decorati al valore, 1964, 16.
SIGNORINI GAETANO
Luzzara 14 settembre 1806-Parma 16 agosto 1879
Nacque da Carlo, che era di origine piacentina e svolgeva a Luzzara l’attività di medico condotto. La famiglia si trasferì ben presto a Parma dove il Signorini prese a frequentare l’Accademia sotto la guida di Gian Battista Callegari, di Giovan Battista Borghesi e di Giovanni Tebaldi. Borghesi lo avviò a un ciclo narrativo di argomento religioso, indirizzandolo verso la pittura rinascimentale da cui il Signorini attinse larga intensità creativa.Riflessi culturali di provenienza raffaellesca e correggesca si notano infatti nei dipinti Sacra Famiglia con San Giovannino (olio su tavola di cm 146 x cm 108) e nel bel dipinto San giovanni Battista che ammonisce Erode, nella chiesa di Pieveottoville, dove il gruppo di figure è realizzato in un tipico paesaggio orientale. Dal 1835 in poi la duchessa Maria Luigia d’austria diventò sua affezzionata committente ordinandogli il S. Matteo, poi donato alla chiesa di Metti nel Comune di Pellegrino, e due anni dopo il S. Gerolamo per la chiesa di gossolengo, che fu visto dal pubblico nel 1838 assieme a parecchi ritratti e a una copia del Ritratto della Fornarina di Raffaello. L’anno seguente espose ancora un piccolo dipinto commissionatogli dal barone Testa rappresentante Cola di Rienzo che ritrova il fratello ucciso e inoltre eseguì la Sacra Famiglia ordinatagli da Maria Luigia d’Austria per la chiesa di San Pancrazio. Nel 1840, sempre per la Duchessa, dipinse una copia da un bassorilievo di donatello raffigurante la Madonna col Bambino (si tratta di un dipinto monocromato, poi ereditato da Leopoldo d’Austria). Continuò inoltre a partecipare a mostre collettive esponendo nel 1840 molti ritratti, mentre nel 1841 presentò un Autoritratto e un Ritratto di giovane a lume di candela. Ancora nel 1841 Maria Luigia d’austria gli commissionò un S. Pietro apostolo, posto nel 1842 in litografia dal Vigotti ed ereditato da Leopoldo d’Austria, e nel 1842 un S. Nicolò da Bari per la scuola dei Padri della Dottrina Cristiana. Sempre nel 1842 il Signorini espose nel Palazzo del Giardino una Carità, mentre l’anno dopo ripresero le ordinazioni ducali con il S. Antonio Abate per la chiesa di Strela nel comune di Compiano, il S. Lorenzo per quella di Gaione, nel comune di Vigatto (1844), esposto al pubblico l’anno seguente, l’Immacolata Concezione per le Suore di Carità di Parma (1845), il S. Rocco per la chiesa di Sesta Inferiore nel comune di corniglio (1846), e infine il Gesù che predica ai fanciulli per la Casa di Provvidenza di Parma (1847). Nel 1846 furono inoltre visibili al pubblico nel Palazzo del Giardino La Beata Vergine della Concessione, il Ritratto di un bambino, il Ritratto del Cav. Leonardi e un altro Ritratto. Nel 1848 in una sala dell’Accademia espose il grande dipinto col Gesù che consegna le chiavi a S. Pietro, allogatogli già dal 1847 dalla fabbriceria della chiesa di Ragazzola (fu tra l’altro molto ammirato). Qualche tempo dopo, recatosi a Parigi, ebbe modo di riprodurre due dipinti conservati al Louvre, il Piccolo mendicante del Murillo e il Ritratto del Barone De Vick di Rubens. Tali copie furono esposte nel 1852 presso l’Accademia parmense. L’anno seguente il Signorini espose alla mostra indetta dalla Società d’incoraggiamento alcuni minori quadretti e l’Enrico IV che visita il Duca di Joyeuse monaco, sorteggiato poi al Comune di Trecasali. Su iniziativa della medesima Società, partecipò nel 1855 alla mostra parmense tenuta nelle sale della Galleria con cinque ritratti e una testa di genere in stile fiammingo rappresentante un Macinatore di colori. Diventò nello stesso anno (3 aprile) insegnante di disegno elementare di figura e poco dopo professore accademico con voto. La presenza del Signorini alle mostre della Società continuò a essere abbastanza costante, intervenendo nel 1856 con il Regalo di cacciagione, sorteggiato al Comune di Busseto, e la Vanità, sorteggiato al conte Guido Barattieri, nel 1857 con ben quattordici ritratti e nel 1858 con altri tre ritratti fatti su commissione. Partecipò pure all’esposizione fiorentina del 1861 inviando le due copie dal Murillo e dal Rubens, eseguite nel 1853, nonché un Amore che calpesta vari emblemi. A Parma nel 1863 espose La Vanità, lo Studio di un vecchio e Una ciociara e nel 1871 Quattro ritratti nelle sale dell’Accademia. Infine nel settembre del 1877 fu confermato in ufficio col grado di Aggiunto al Professore di disegno e compì i Ritratti del Generale lombardini e della moglie. Presso il Museo Lombardi sono conservati il ritratto del Conte di Chambord (olio su cartone) e quello del conte di Bombelles, terzo marito di Maria Luigia, dipinto con la mano destra infilata nella marsina e il viso quasi inespressivo.Nella Galleria Nazionale di Parma è conservato il Ritratto di Jacopo sanvitale, letterato e patriota, di cui una copia è nel Museo Civico di Fontanellato, mentre risulta nella Pinacoteca Stuard il Ritratto del dottor Luciano Gasparotti. Meno nota e ancora da studiare è la produzione del Signorini paesaggista, documentata da un centinaio di tavolette con visioni della campagna romana, conservate nella Pinacoteca Stuard di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 maggio 1838, 170, 1 maggio 1839, 154, 27 maggio 1840, 181, 28 aprile e 1 maggio 1841, 151 e 155; C. Malaspina, 1841, 149; C. Malaspina, 4 giugno 1842, 181; L. Vigotti, C. Malaspina, 1842, tav. IV, 14; C. malaspina, 7 giugno 1845, 187; Il Giardiniere 16 maggio 1846, 74; P. Martini, 1847, 192; Il Vendemmiatore 16 giugno 1847, 192; G. Negri, 1852, 53, 55, 58, 59, 60, 62, 63, 63, 64, 65, 66; Gazzetta di Parma supplemento 7 gennaio 1853, 19 luglio 1855, 655, 17 luglio e 2 agosto 1856, 645, 646, 701, 8 ottobre 1857, 909; X, in L’Annotatore 1857, 143; Gazzetta di Parma 18 settembre 1858, 842; F. G., in Gazzetta di Parma 1858, 857; Esposione delle opere, 1858, 14; P. Martini, 1858, 43; P. Martini, 1862, 37; Gazzetta di Parma supplemento 5 marzo 1862, 11 e 13 luglio 1863, 615, 620; Atti della R. Emiliana Accademia, 1867, 7; Gazzetta di Parma 17 luglio 1871; P. Martini, 1873, 36; P. Bettoli, 31 ottobre 1877; Gazzetta di Parma 20 agosto 1879; L. Pigorini, 1879, 4-12; C. Ricci, 1896, 263; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. IX, 250, v. X, 139; G. Copertini, 1927, 200; G. Battelli, 1932, 244; N. Pelicelli, in Thieme-Becker, 1937, v. XXXI, 15; E. Bénézit, 1955, v. VII, 760; G. Copertini, 1958, 176; G. Ponzi, 1973, II, 28; Atti del R. Istituto di Belle Arti in Parma, 1878-1879; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1880, 171-172; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 420-421; Gazzetta di Parma 16 giugno 1847; P. Martini, Guida di Parma, 1871, 38; C. Ricci, La R. Galleria di Parma, 1871; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1974, 3073; A.O. quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939, 242-243; La Pinacoteca Stuard di Parma, catalogo, parma, 1961, 48; I. Petrolini, Museo Glauco lombardi, catalogo, Parma, 1972, 39 e 74; G. Ponzi, Prima rassegna dei dipinti dell’800 parmense, in Proposta 1973; G. Godi, Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’800, catalogo della mostra, Parma, 1974, 36-37; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi pittori, X, 1975, 300-301; M.Tanara Sacchelli, in Gazzetta di parma 29 marzo 1999, 3.
SIGNORINI GIOVANNI ANTONIO
Parma seconda metà del XVI secolo
Zecchiere attivo nella seconda metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IV, 278.
SILIBRANDI GIUSEPPE, vedi SILIPRANDI GIUSEPPE
SILIPRANDI ANTONIO
Parma 1757
Fu incisore di sigilli, medaglie e conii alla Corte di Parma dal 1757.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 269; Arte a Parma, 1979, 393.
SILIPRANDI GIOVANNI
Parma seconda metà del XVIII secolo
Incisore di medaglie e coniatore, attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 269.
SILIPRANDI GIUSEPPE
Parma 28 aprile 1754-post 1799
Fu incisore della zecca di Parma dal 1784. Allievo dell’Accademia Parmense, discepolo di Benigno Bossi, riportò nel 1780 doppio premio per la pittura e per il bassorilievo. essendosi poi dedicato all’incisione, venne nominato incisore della zecca. Restano di lui anche alcune acquaforti, riproduzioni con carattere di esercitazione. Sono note soltando due stampe: la buona acquaforte da Raffaello, deposizione del sepolcro, e le Armi del Duca di Parma. Nel Thieme-Becker viene dato come anno di morte il 1792, mentre esiste un punzone per cinquina da lui firmato nel 1797 e la sua sigla compare su coni sino al 1799.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1751-1800, VIII, 269, ms. del Museo di Parma; C. Malaspina, Nuova guida di Parma, 1869, 175; Nag., Monog., 4, 1871; A. Pelliccioni, Incisori, 1949, 167; Arte incisione a Parma, 1969, 43; Thieme-Becker, vol. XXXI, 1937, 24; Dizionario Bolaffi pittori, X, 1975, 306; Arte a Parma, 1979, 391.
SILLA, vedi GRASSI ORESTE
SILVA ALESSANDRO
Bedonia 1636
Nobile, fu Canonico vicedomino e poi Vicario generale della Cattedrale di Piacenza. Fu ascritto al Collegio dei dottori e giudici nel 1636, giudicato per nascita, per dottrina e per probità, meritevole d’ogni cospicuo grado.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei piacentini, 1899, 421.
SILVA ANDREA
Parma 1650
Fu suonatore di viola da brazzo alla Cattedrale di Parma nella Pasqua del 1650.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
SILVA ANGELO
Parma 1831
Fu maestro nel Collegio Lalatta di Parma. Durante i moti del 1831 organizzò e partecipò alle riunioni che si tennero nella casa dei fratelli Campanini a porta San Michele e alle quali intervennero molti Reggiani e contadini armati. Il Silva non fu inquisito.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 205.
SILVA ANGELO
Berceto-Roma 8 gennaio 1935
Ingegnere, fu promotore, fondatore e direttore dell’Azienda Elettrica Comunale di Parma, che diresse dal 1° luglio 1905 al 29 agosto 1934.
FONTI E BIBL.: Dietro il sipario, 1986, 307.
SILVA ANTONIO
Bedonia 1 aprile 1795- Piacenza 28 giugno 1881
Fu per due anni nel Seminario di Piacenza, dopo avervi frequentato le scuole elementari e il Ginnasio. Entrò nel Collegio Alberoni di piacenza nel 1811. Si distinse anche per il suo estro poetico: si ricorda, tra gli altri, un suo sonetto pubblicato nel 1819 in lode del predicatore Finetti. Consacrato sacerdote, fino al 1823 insegnò grammatica italiana e latina nel seminario piacentino, poi divenne Segretario dei vescovi Scribani Rossi e Loschi. Nel 1838 il vescovo di Guastalla Pietro Zanardi lo nominò Vicario generale della sua diocesi. Il Silva vi organizzò il sinodo diocesano, particolarmente importante perché fu il primo che si tenne in quella diocesi. Nel 1844 divenne Vicario generale a Piacenza e si può affermare che fu il Silva a reggere la diocesi fino al 1848, essendo il vescovo Sanvitale malato. Durante i moti del 1848 fece parte dell’anzianato della città, appoggiando le deliberazioni del Comune in favore dell’annessione al piemonte. È sua l’allocuzione ai vicari foranei tenuta il 25 maggio 1848. Ritornati i borbone, il nuovo vescovo Antonio Ranza lo destituì dalla carica di vicario generale. Ritiratosi a vita privata, si dedicò agli studi di diritto canonico e civile, materie nelle quali divenne assai esperto, pubblicando anche diversi scritti. Ebbe nuovi incarichi in seno alla chiesa solo più tardi, quando venne nominato vescovo di piacenza Gian Battista Scalabrini. Fu consigliere di Stato sotto il governo di Maria Luisa di Borbone. Morendo lasciò diversi legati benefici e destinò i suoi libri in parte al collegio Alberoni, in parte alla Biblioteca comunale di Piacenza e in parte alla biblioteca del Seminario di Bedonia.
FONTI E BIBL.: A.G. Tononi, Cenni biografici intorno a Monsignore Antonio Silva, 1795-1881, in strenna Piacentina VIII 1882, 162-179; L. Mensi, dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 421; M. Bosoni, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 250.
SILVA FERDINANDO
Parma 7 aprile 1896-Bologna 13 febbraio 1980
Figlio di Gualtiero e Carolina Baraldi. Studiò all’accademia d’arte di Parma, dove fu allievo di Paolo Baratta. Poi l’attività di insegnamento lo portò ad Ancona, in Toscana e quindi (1938) a Bologna. Il mondo pittorico del Silva fu vario, dal paesaggio alla ritrattistica, senza esclusione per le scene e gli episodi della vita comune. Tutto interpretò secondo una visione ottimistica della vita, qualche volta in chiave leggermente ironica. Fu prevalentemente un pittore della natura: gli piacevano le colline dolci nei dintorni di Bologna, che frequentò con il materiale per dipingere, e i fiori e le nature morte che coglieva nella semplicità della sua casa. Agli amici dedicò il suo lavoro di ritrattista, eseguito con lo stesso amore che dedicava alla natura. Il Silva presiedette anche il Circolo artistico di via Clavature a Bologna, che accoglieva gli amanti delle arti per professione o per cultura. Artisticamente la sua personalità è da collegare con quel gruppo di pittori del capoluogo emiliano che, nati alla fine del XIX secolo, portarono avanti il discorso dell’arte dell’Ottocento filtrato in quegli elementi di novità che erano maturati con le ultime esperienze: Guglielmo Pizzirani, Alfredo Protti, Giovanni Romagnoli, Grazia Fioresi e Carlo Corsi. Il Silva fece pochissime mostre, una delle quali, nell’aprile 1972, alla Galleria Sant’Andrea di Parma, concepita come una manifestazione di affetto per la sua città. L’anno successivo ne realizzò un’altra a bologna, al Collezionista, prima di chiudersi definitivamente nel raccoglimento del suo studio e della sua casa.
FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 271-272; M. Bommezzadri, in Gazzetta di Parma 4 marzo 1980, 7.
SILVA FILIPPO, vedi SELVA FILIPPO
SILVA GEROLAMO, vedi SELVA GEROLAMO
SILVA GIULIO
Parma 17 giugno 1835-Palestro 30 maggio 1859
Figlio di Giuseppe ed Elena Galaverna. Fu tra i primi volontari accorsi da Parma nella primavera del 1859 per arruolarsi nell’esercito sardo. Si era da poco laureato in legge (1858), ma anziché entrare nella scuola militare di Ivrea, preferì arruolarsi come semplice soldato nel 9° Reggimento, brigata della Regina. Nella gloriosa giornata di Palestro, all’attacco alla baionetta del villaggio, il Silva cadde colpito al petto e spirò quasi subito.
FONTI E BIBL.: I Volontari, in L’Annotatore 18 giugno 1859, n. 23; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 420; A. Ribera, Combattenti, 1943, 357; P. Schiarini, in Dizionario Risorgimento, 4, 1937, 289.
SILVA GIULIO
Parma 22 dicembre 1875-San Raphael 1954 c.
Figlio di Luigi. Dopo aver seguito gli studi di medicina, preferì dedicarsi alla musica: dal 1894 fu allievo, al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, di De Sanctis, Setaccioli e Renzi.Nel 1902 vinse le medaglie d’oro nei concorsi di composizione di Roma e Catania e l’anno dopo tenne un concerto di sue musiche all’Accademia Filarmonica Romana.Intrapresa la carriera di direttore d’orchestra, debuttò dirigendo una stagione lirica a Roma e lavorò poi a Milano, Firenze e Trieste.Nel 1905 visse in Francia (maestro di cappella nella chiesa russa di Cannes) e in Germania per perfezionare gli studi sul canto e la sua didattica, vincendo nel 1913 il concorso per la cattedra al Conservatorio di Parma. Questo periodo fu fecondo di ricerche e di scritti. Collaborò con la Rivista Musicale Italiana: Il moderno canto artistico italiano (in XIX 1912), Intensità e sonorità, appunti di pedagogia del canto (in XX 1915), A proposito di sistemi antichi e moderni d’insegnare canto (in XXIII 1916), Vocalismo e italianità nella musica (in XXIII 1916) e Il canto a dizione; l’arte della mezza voce (in XXIII 1916).Nel 1913 pubblicò Il canto e il suo insegnamento (Torino, Bocca).Nel 1914 prese parte al I congresso internazionale di fonetica ad Amburgo e la sua relazione fu pubblicata in Archivi Italiani di Otologia e Laringologia (4-5 1914). Nel 1915, al convegno della Società di Fonetica di Milano, presentò una memoria su Pneumografia nell’insegnamento del canto (in Archivi Italiani di Otologia 4 1915). Nel 1918 si trasferì al Liceo di Santa Cecilia di Roma, cattedra rimasta vacante per il ritiro di Antonio Cotogni. Nel 1920 si recò al Conservatorio Mannes di New York, trasefrendosi poi definitivamente negli Stati Uniti. Nel 1926 passò a quello di San Francisco e nel 1928 pubblicò Il maestro di canto. Dal 1939 al 1954 insegnò nell’Istituto di San Raphael in California. Compose: Carmen, saeculare di Orazio, per soli, coro e orchestra, Quartetto in do minore per archi, Romanza, per violino e orchestra, e Novelletta, per violino, violoncello e pianoforte. Compose pezzi per pianoforte, per canto e pianoforte e mottetti a voci sole.
FONTI E BIBL.: Dizionario musicisti UTET, VII, 1988, 288; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
SILVA GIUSEPPE
Vigatto 8 gennaio 1906-Parma 24 novembre 1975
Ancora ragazzo entrò nel mondo della tipografia e dimostrò subito di avere una spiccata vocazione e attitudine per quell’arte. Divenne poi stampatore nelle Officine grafiche dei Fratelli Zafferri, presso cui rimase fino al 1934, maturando tutta la necessaria preparazione per mettersi in proprio. Ma mentre l’azienda Zafferri era specializzata nella litografia, il Silva concentrò i suoi interessi sull’attività tipografica (1938). Animato da coraggio e spirito d’iniziativa, dapprima con un socio, poi da solo, aprì una propria tipografia in via Cavour a Parma, apportando innovazioni e perfezionamenti tecnici nei tradizionali sistemi fino ad allora adottati. La tipografia del Silva successivamente si sviluppò anche di dimensioni e da via Cavour si trasferì in via Rodolfo Tanzi, poi in via Piacenza e da ultimo nel vasto e moderno stabilimento ai Cavalli di Collecchio. L’Artegrafica Silva si impose subito per la qualità e il livello delle sue pubblicazioni: dalla rivista Industria conserve della Stazione sperimentale a Parma romantica e Parma romana di Luigi Grazzi, al Paolo Toschi della Medioli Masotti e ad altri pregevoli volumi. Inoltre diede alle stampe i primi libri dell’editore Franco Maria Ricci, che evidenziano un notevole grado di perfezione tecnica ed estetica. Il Silva fu guida e maestro per i suoi dipendenti, che appresero da lui, attraverso l’esempio e la pratica quotidiana, tutti quegli accorgimenti del mestiere che portano a una seria formazione e maturazione professionale, perizia e abilità tecnica. Fu per molti anni presidente del Comitato di istruzione professionale grafica, che curò e valorizzò con particolare sensibilità, istituendo corsi di aggiornamento e promuovendo iniziative di gruppo, come la partecipazione ai concorsi grafici banditi dal Centro studi Giovan Battista Bodoni. Prese parte assidua alle sedute del Consiglio direttivo del Museo Bodoniano e vi portò suggerimenti preziosi e un utile contributo di concretezza e di esperienza.
FONTI E BIBL.: A. Ciavarella, in Bollettino Museo Bodoniano 3 1975, 108-109; Cento anni di associazionismo, 1997, 408.
SILVA LONGINO
Corcagnano-Tripoli 21 ottobre 1911
Figlio di Gaudenzio. Soldato della 4a compagnia Sussistenza, fu decorato di Medaglia d’argento al Valor Militare, con la seguente motivazione: Nella giornata del 26 ottobre, noncurante del pericolo, non abbandonava la panificazione e tardava a prendere cogli altri soldati posizione di difesa dietro un riparo, rimanendo esposto e colpito da palla nemica, per cui poco dopo cessava di vivere.
FONTI E BIBL.: R. Vecchi, Patria!, 1913, 4; G. Corradi-G. Sitti, Glorie Parmensi nella conquista dell’Impero, Parma, Ediz. Fresching, 1937; Decorati al valore, 1964, 73.
SILVA LUIGI
Bedonia 1823/1831
Notaio. Nel 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari. Durante i moti del 1831 fu sottoposto a sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 210.
SILVA LUIGI
Parma 21 marzo 1827-Milano 1 febbraio 1881
Professore di belle arti, fu ufficiale nei cacciatori delle Alpi, Segretario degli Ospizi di Parma, autore del romanzo L’assedio di Parma (Parma, Ferrari, 1875) e del dramma lirico Giovanna la pazza, musicato da Emanuele Muzio (bruxelles, 1851). Questo libretto servì pure a Edoardo Guindani per la sua sfortunata regina di Castiglia. Nel 1852, sotto il regime di Carlo di Borbone, fu imputato di reato politico e subì la pena del bastone. Partecipò volontario alla guerra del 1859.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1884, 49; Il Presente 2 febbraio 1881, n. 32; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 420; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 183.
SILVA NARCISO
Corcagnano 5 settembre 1898-Monte Santo 26 ottobre 1917
Figlio di Gaudenzio e Severina Gennari. contadino, fu soldato nel 224° Reggimento bombardieri. Al fronte partecipò alle varie operazioni della sua zona e in un combattimento si distinse in modo particolare, tanto da meritarsi la medaglia d’argento al valor militare. Morì nel corso di un assalto ad arma bianca.
FONTI E BIBL.: A.Coruzzi, Caduti di Vigatto, 1924, 45.
SILVA PIETRO
Parma 2 maggio 1887-Bologna 1 novembre 1954
Suo nonno materno era Francesco Caprara, farmacista, tipica figura di radicale ottocentesco, amico dei maggiori uomini della sinistra risorgimentale e fondatore del Presente. alunno del Collegio Maria Luigia, trascorse a Parma la prima giovinezza, attingendo all’ambiente familiare la spinta dinamica della sua personalità, colorita da un innato idealismo. entrato per concorso alla Scuola Normale superiore di Pisa, ebbe a maestri in quell’università lo Zambaldi, il Flamini, il Salvemini e Amedeo Crivellucci, i quali ultimi esercitarono sulle sue idee e sui suoi studi un’influenza decisiva. Laureatosi in lettere nel 1911 con una ricerca sul Governo di Pietro Gambacorta in Pisa e delle sue relazioni con il resto della toscana e con i Visconti, di lì a poco (1912) vinse la cattedra di storia all’Accademia Navale di Livorno. Gli anni di Livorno furono tra i più fervidi e felici del Silva. Nelle lunghe crociere con gli accademisti il Silva poté prendere anche fisicamente contatto con quel mondo mediterraneo ed europeo che fu poi sempre il centro ideale delle sue ricerche. Già nel 1914 vinse il premio Gualtieri per gli studi storici e nel conseguente soggiorno a Parigi non solo si arricchì di nuove esperienze e di nuovi strumenti per i suoi studi, ma invogliò anche il fraterno amico Henry Bedarida a studiare il periodo della storia parmense nel quale l’umanista francese diventò poi un indiscusso maestro. Nel 1915 cominciò la sua collaborazione al Corriere della Sera, che durò fino al 1925, allorché Albertini e i suoi collaboratori furono estromessi dal fascismo. Nel 1923 il Silva vinse la cattedra di storia nell’Istituto Superiore di Magistero di Roma, del quale fu per alcuni anni Direttore e dove insegnò poi sempre, sviluppando senza posa la sua opera di docente e di storico. Nel 1928 riuscì primo in una terna per la cattedra di Bologna, ma la sua nomina fu bloccata da una frase di Mussolini ai proponenti: Ma non c’è proprio che lui? Allo stesso modo il rettore Rocco nel 1933 gli chiuse l’accesso all’Università romana, mentre a quella di Cagliari rinunciò per ragioni familiari. L’amicizia del principe ereditario Umberto di Savoja, di cui era stato insegnante, salvaguardò il Silva da guai peggiori. Nei primi tempi si dedicò a studi di storia pisana, più tardi, e saltuariamente, dedicò alcune ricerche alla città di Parma e in particolare all’amministrazione francese sotto Napoleone Bonaparte. Ma le ricerche del Silva si estesero ben presto alla storia nazionale, passando dagli studi medievali a quelli sul Risorgimento, verso il quale lo attirarono molteplici interessi, anche sentimentali e pratici. Primo tra tutti fu il desiderio di chiarire la posizione del problema risorgimentale nel giuoco della politica europea e di spiegare il contegno delle grandi potenze (Francia, Austria, Inghilterra) gravanti sulla penisola. In questo campo l’apporto del Silva, che unì alla sicura lettura dei testi diplomatici la chiarezza di sintesi che fu propria del suo pensiero, fu di rilevante peso. Gli archivi delle cancellerie di Vienna, di Parigi e di Londra furono da lui fruttuosamente scandagliati, con il risultato di mettere a fuoco i favori o gli ostacoli che le grandi potenze frapposero all’unità d’Italia. Ebbero così più forte rilievo l’ostilità del liberaleggiante Luigi Filippo verso il movimento liberale italiano, l’oscillare di Napoleone III tra il desiderio di vedere in Italia una costellazione di stati gravitanti verso la Francia e l’avversione per l’audace politica unitaria di Cavour, il giuoco diplomatico francese dietro il sipario della guerra del 1866, il lento ma irresistibile passaggio dell’Italia al principio del XX secolo dalla garanzia triplicista contro la Francia a una politica di convivenza e di buon vicinato con quest’ultima. Da tale lungo sondaggio sugli intrecci della politica europea venne al Silva l’idea di raccogliere in una sintesi suggestiva gli elementi storici comuni ai popoli del Mediterraneo, mettendo a fuoco non tanto la funzione preminente di questo mare nella formazione della civiltà quanto l’interdipendenza dei popoli che vi si affacciavano. Nacque così il volume Il mediterraneo dall’unità di Roma all’unità d’Italia, (Milano-Roma, 1927), che tanto contribuì alla fama del Silva anche al di fuori della cerchia degli studiosi: la visione unitaria di una vicenda tanto complessa e la sua individuazione attraverso un dato geografico non si lasciano fuorviare dall’attraenza di una tesi e la ricca esperienza del Silva lo salvaguarda da un facile naturalismo, anche se gliene fa correre il rischio. È un’esposizione articolata e scorrevole, in cui si vedono le grandi unità storiche (roma, Bisanzio, l’Islam, le repubbliche marinare, la Spagna, la Francia, la Turchia, l’inghilterra) riflettere nel Mediterraneo l’immensa varietà della loro genesi, fioritura e decadenza, fino all’unificazione italiana e all’affacciarsi, coi Dardanelli e con Suez, di nuovi e non meno scottanti problemi. Per le spiccate doti di didatta e di divulgatore, oltre che di oratore caldo e trascinante, il Silva ebbe fama di scrittore brillante, al che contribuì la sua collaborazione a periodici largamente diffusi (illustrazione Italiana, Voce, Lettura). Ne sono esempio, per l’esposizione chiara e vibrante, i profili di Napoleone Bonaparte e di Emanuele filiberto di Savoja, gli studi sulla politica francese e inglese nel Mediterraneo e quelli sul 1848 e le numerose raccolte di articoli e saggi dedicati in gran parte a figure e problemi della storia moderna e contemporanea. Lo stesso discusso libro sulla Monarchia, dettato a difendere i Savoja dall’accusa di aver giuocato sul fascismo e di meritarne la sorte, fu non tanto un atto di fede quanto di lealtà e amicizia verso colui al quale il Silva si sentì legato come da maestro a discepolo: la tesi che Vittorio Emanuele di savoja avesse voluto rispettare la volontà degli organi costituiti, opinabile perché nata dall’illusione costituzionale, è assunta dal Silva con sincero impeto e con commovente eloquenza. operarono in lui, più che preoccupazioni per l’immediato utilizzo politico, il gusto concreto della storia, il senso della vicenda di un popolo come continuità, che tanto meglio si definisce e si illumina quanto più prende coscienza dei propri legami col passato. Dallo studio dei documenti diplomatici si accentuò nel Silva la tendenza a sciogliere in un pensiero lineare aggrovigliati motivi storici e a disegnarne i contorni in una linea precisa e armonica. Al suo forte e attivo temperamento si accordarono le influenze di una formazione sostanzialmente illuministica ma sorretta da un largo empirismo, nella quale la lucidità francese trovò il suo punto di approccio con il pragmatismo anglosassone. Il Silva fu sepolto nel cimitero di Berceto. Tra le sue opere più significative, vanno inoltre ricordate: Ordinamento interno e contrasti politici e sociali in Pisa sotto il dominio visconteo (in Studi storici XXI 1913), La monarchia di luglio e l’Italia (Torino, 1917), Il Sessantasei (Milano, 1917), La politica di Napoleone III e l’Italia (Milano-Roma, 1927), L’Italia fra le grandi potenze, 1881-1913 (Roma, 1931).
FONTI E BIBL.: Enciclopedia Italiana, Appendice I, 1938, 1004 e Appendice II, 1961; R. andreotti, in Archivio Storico per le Province parmensi 1955, 33-36; Parma per l’Arte 1 1955, 48; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 139-140; Dizionario UTET, XI, 1961, 892; N. Rosselli, in Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Torino, 1946; W. Maturi, Pietro Silva, in Rivista Storica Italiana 4 1954; Nuova Rivista Storica 3 1954, articolo dedicato a Pietro Silva; G. Di Giovanni, La storia di Silva, in La Fiera Letteraria 47, 1954; F. Squarcia, Pietro Silva, in Aurea Parma VII-IX 1954, 174-177; F. curato, Pietro Silva, in Rassegna Storica del risorgimento 4 1955; N. Rodolico, Pietro Silva, in Archivio Storico Italiano I 1955; N. Valeri, Profilo di Pietro Silva, in Studi in onore di Pietro Silva, a cura della facoltà di Magistero della Università di Roma, firenze, 1957; Dizionario universale Letteratura contemporanea, 4, 1962, 489; Dizionario Bompani autori, 1987, 2128.
SILVA PROSPERO
Parma XIX secolo
Fu Direttore dell’Orchestra ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, Fasti musicali, 1875, 152.
SILVA ROSALINDA, vedi GROSSI ROSALINDA
SILVA SERGIO
22 marzo 1936-Piacenza 26 aprile 1984
Frequentò l’Istituto Toschi di Parma, conseguendo il diploma di maestro d’arte, ed entrò nell’azienda del padre Giuseppe, una delle più vecchie e famose tipografie di Parma. Dall’originaria sede di via Farnese lo stabilimento si trasferì in viale Piacenza: la ditta si era guadagnata, nel frattempo, stima e considerazione anche fuori dalla provincia. L’artegrafica Silva, nella quale erano confluite le giovanili energie e le aggiornate vedute del Silva (per il campo grafico-artistico) e del fratello Maurizio (per la parte amministrativa) seppe affrontare il trapasso alle nuove tecnologie con scelte avvedute. Insufficiente ormai anche la sede di viale Piacenza, nacque in località Cavalli di Collecchio un moderno e spazioso stabilimento. L’azienda assunse ben presto un livello nazionale e dalle sue rotative uscirono opere prestigiose, anche in quadricromia, di assoluta perfezione grafica, unita a un’esemplare tecnica di stampa. Banche, istituti vari, Università, ditte private e pittori famosi, per i loro cataloghi si rivolsero all’artegrafica Silva: i libri strenna della Cassa di Risparmio di Parma sulle più prestigiose opere d’arte cittadine, restano come esempio insuperato di buon gusto artistico e di correttezza grafica. La competenza professionale del Silva non si espresse solo nell’ambito della propria azienda: la Gazzetta di Parma lo ebbe per tredici anni amministratore delegato, prima con la presidenza di paolo Ficai e poi con quella di Guido guareschi (a quel periodo è legato il grande progresso tecnologico del giornale). imprenditore anticonformista, rappresentò un elemento di rottura nei confronti delle gerarchie imprenditoriali di Parma, alle quali non risparmiò dure critiche. Proprio pochi mesi prima (15 novembre 1983) del decesso, le frizioni con i vertici dell’Unione Parmense degli Industriali esplosero con le dimissioni del Silva dal ruolo di amministratore delegato della SEGEA (società controllata dall’Unione Industriali, editrice della Gazzetta di Parma). In polemica sulla linea del quotidiano locale e sull’opportunità di effettuare cospicui investimenti in nuove tecnologie, assieme al Silva si dimisero il presidente Guido Guareschi e il vicepresidente Pietro Bordi. Al di fuori della professione il Silva ebbe svariati interessi. Quelli culturali potevano, in un certo senso, riconnettersi con il mestiere, come il gusto per la pittura e per i bei libri. Morì in un incidente stradale. La salma del Silva fu inumata nel cimitero della Villetta di Parma.
FONTI E BIBL.: A. Curti, in Gazzetta di Parma 27 aprile 1984,5; Il Resto del Carlino 27 aprile 1984; Gazzetta di Parma 23 aprile 1987,9.
SILVAGNI CRISTOFORO
1588-Bologna 22 gennaio 1668
Frate cappuccino, sacerdote, ricordato per l’assistenza prestata agli appestati. Compì la vestizione il 13 giugno 1620 e la professione solenne a Faenza il 13 giugno 1621. Nel 1640 il Silvagni raccolse in un manoscritto (conservato in biblioteca Palatina di Parma) intitolato memorie, et Antichità de’ Silvagni diverse notizie e opere poetiche dei suoi antenati.
FONTI E BIBL.: Mussini, Memorie storiche, II, 25, 57; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 454-455; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 82.
SILVAGNI GEMINIANO
Oriano di Solignano 1490/1520
Figlio di Cristoforo. Sacerdote. Nel 1490 ebbe la Rettoria di Solignano da un suo zio e nel 1520 la rinunciò con pensione di dodici scudi a un suo nipote. Fu autore di due poemetti, contenuti in un codice della Biblioteca palatina di Parma intitolato Memorie, et Antichità de’ Silvagni. Comincia così: Fragmento d’un Poema antico del Revd.o Do: Gemignano seluagni che può esser stato composto l’anno 1450 inc.a Racolto da me Fra Lod.co da Parma Lai: Capuccino della med.a Fameglia questo anno 1640. Xbre. Segue un secondo Fragmento d’un Poema Eroico Antico del Reud.o Do: Gemignano P.o Siluagni, che puo esser stato composto C.a à l’anno 1500. Il Silvagni fu persona dotta nelle lettere greche e latine. Nell’anno 1520 ottenne la cittadinanza di Parma.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 454-456.
SILVAGNI GIOVANNI
1591-Parma 1639
Figlio di Geminano. Laureato in medicina nel 1616, salì in tale fama che Odoardo Farnese gli assegnò nel 1639 una delle principali cattedre della facoltà medica aggiongendovi di più la lettura de’ semplici. Ma il Silvagni morì in quello stesso anno, in età di 48 anni. Fu anche chirurgo e medicava con maturità e maravigliosa sicurezza. Si dilettava di belle lettere, ne’ morali fu buon Economo, Etico, e Politico, e molto pratico nell’historie tanto sacre, quanto profane. Fu non mediocre conoscitore delle scienze matematiche, amò la poesia e fu peritissimo in Divinità ponendo studio particolare nella lingua ebraica. Si dedicò anche alla Giurisprudenza.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 455.
SILVAGNI LORENZO
Oriano di Solignano 1520/1586
Figlio di Cristoforo. Nell’anno 1520 ricevette la cittadinanza di Parma. Amico del Faelli e del Ponzio, compose un epigramma in morte di Margherita d’Austria, stampato dal Viotto di Parma nel 1586. Fu anche autore di un esastico in lode del Ponzio.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 455; Aurea Parma 3/4 1959, 191.
SILVAGNI LUDOVICO
Parma 1640
Fu cappuccino laico.Raccolse due frammenti di poemi eroici dell’antenato Geminiano silvagni, contenuti nel codice manoscritto in 4° intitolato Memorie, et Antichità de’ Silvagni (biblioteca Palatina di Parma).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Vi/2, 1827, 454; F.da mareto, Bibliografia, II, 1974, 621.
SILVAGO, vedi SALVONI LUIGI BERNARDO
SILVANI CRISTOFORO, vedi SILVAGNI CRISTOFORO
SILVANI DANTE
Parma prima metà del XIX secolo
Calcografo, fu allievo del Toschi e addetto alla Calcografia della Scuola d’Intaglio in Parma. Fu essenzialmente un tecnico, ma resta del silvani un discreto bulino raffigurante Angelo pezzana.
FONTI E BIBL.: P. Martini, L’arte dell’Incisione in Parma, 1873; L. Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; Arte incisione a Parma, 1969, 58; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1974, 3081.
SILVANI ERMINIO
Parma seconda metà del XIX secolo
Pittore e scultore attivo nella seconda metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, X, 143.
SILVANI FELICEPiacenza 1743-1798
Fu mandato a studiare a Napoli a spese del Governo Parmense sotto Du tillot. Fu giureconsulto e professore nell’Ateneo di Parma. Morì all’età di 55 anni. La Biblioteca Civica di Piacenza conserva un suo manoscritto intitolato Iuris pubblci praelectiones (1788-1789).
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 421.
SILVANI FERDINANDO
Parma 16 maggio 1823-Parma 23 gennaio 1899
Avuti i primi rudimenti del disegno presso la Ducale Accademia parmense, si dedicò all’arte dell’incisione. Calcografo, fu allievo di Paolo Toschi e collaboratore, con Raimondi, dall’argine e altri, dell’opera da lui intrapresa sugli affreschi del Correggio e del parmigianino. Oltre ai rami di questa serie, si ricordano San Napoleone martire (disegno di Francesco scaramuzza, 1866) e Apoteosi di Napoleone. Il Silvani fu anche buon pittore. Ebbe varie onorificenze: Socio d’arte della Regia Accademia di Belle Arti di Venezia e Accademico di merito residente dell’Accademia di Parma.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1851-1893, ms. nel Museo di Parma; A. Pelliccioni, Incisori, 1949, 167; Catalogo ufficiale della Esposizione di Parma, 1863, 95; P. Martini, L’arte dell’Incisione in Parma, 1873; C. Ricci, La R. Galleria di Parma, 1896; A. Melani, Nell’arte e nella vita, Milano, 1904, 276; A. Pariset, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Parma, 1905, 107; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, 1937, XXXI; L. Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; Arte incisione a Parma, 1969, 59; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1974, 3081.
SILVANI GAETANO
Parma 22 settembre 1798-Parma 16 ottobre 1879
Calcografo. Fu allievo di Paolo Toschi e collaboratore dell’opera da lui intrapresa (1844) sugli affreschi del Correggio e del parmigianino alla Reale Galleria di Torino e alla Galleria Pitti. Tra le sue stampe si ricordano: portamento della Croce (da Sebastiano del Piombo), i ritratti di Colombo, Pietro Giordani, Carlo Alberto di Savoia, Nicolò Tachinardi (dal Bacchini), Una taverna con giuocatori (dal Teniers; inciso per la Reale Galleria di Torino del D’Azeglio), Interno di una chiesa protestante (da Saenredam, Reale Galleria di Torino del D’Azeglio), Ritratto di sconosciuto (dal Rubens, Reale Galleria di Torino del D’Azeglio), suonatore di ghironda (da David Teniers il giovane, Reale Galleria di Torino del D’Azeglio), Ritratto di S. Rosa (da C. Dolci, per la Galleria Pitti di Luigi Bardi), Ignoto (da Cristoforo Allori, Galleria Pitti di Luigi Bardi), Un cavaliere di Malta (da N. Cassano, Galleria Pitti di Luigi Bardi), Sacra Famiglia (da Michele di Rodolfo, Galleria Pitti di Luigi Bardi), e Una duchessa di Mantova (dal Pulzone, Galleria Pitti di Luigi Bardi).
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1851-1893, ms. nel Museo di Parma; Catalogo ufficiale della esposizione di Parma, 1863, 95; P. Martini, L’arte dell’incisione in Parma, 1873; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Appendice, Parma, 1880, 171-172; Le Blanc, Manuel de l’amat. d’est., 1888, III, 504 e seg.; C. Ricci, La R. Galleria di Parma, 1896; Nagler, Künstlerlex, III ediz., XVIII; A. Melani, Nell’arte e nella vita, Milano, 1904, 276; L. Callari, Storia dell’arte contemporanea italiana, Roma, 1909; Thieme-Becker, XXXI, 32; A. pelliccioni, Incisori, 1949, 167; L. Servolini, Dizionario illustato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; Arte incisione a Parma, 1969, 59; A.M. comanducci, Dizionario dei pittori, 1974, 3081-3082.
SILVANI GERMINIANO, vedi SILVAGNI GERMINIANO
SILVANI GIOVANNI
Parma 21 aprile 1898-Parma 4 luglio 1989
Figlio di Luciano e Rosa tagliavini. Entrato giovanissimo nel giornalismo, visse in prima linea i tormentati anni delle incandescenti dispute tra Gazzetta di Parma e Piccolo, attestandosi poi definitivamente all’ombra della prima, assorbita dal Corriere Emiliano nell’agosto 1928. La vita di Parma degli anni tra il 1920 e il 1940 ebbe nel Silvani un protagonista, mentre dal giornale passavano personaggi come Cesare Zavattini, Giovannino guareschi, Pietro Bianchi, Alessandro Minardi, Bruno Lunardi e Leonida Fietta. Il Silvani divenne redattore-capo del Corriere Emiliano, segnalandosi oltre che come organizzatore anche per la sua propensione a trattare vari argomenti, dalla musica allo sport. Il Silvani si trovò, all’indomani del 25 luglio 1943, a firmare il giornale: fu il periodo cosiddetto badogliano, seguito alla caduta del fascismo. All’alba del 9 settembre 1943, caduta la città di Parma in mano ai tedeschi, il Silvani, che aveva curato il numero uscito in quel giorno, su sollecitazione di amici antifascisti, prese la via di Roma, per sfuggire alla reazione dei fascisti e dei Tedeschi. Ma anche nella capitale la vita non fu facile: sfiorò addirittura la morte quando, in seguito all’attentato di via Rasella, i Tedeschi catturarono anche alcuni civili per vendicare la morte dei loro soldati con una fucilazione di massa. Fu solo per l’intervento di un amico che riuscì a sfuggire alla morte, quando era ormai intruppato con le altre incolpevoli vittime. Il Silvani restò a Roma fino alla liberazione del Nord Italia, quindi rientrò a Parma e alla Gazzetta di Parma. riottenne subito il posto di redattore-capo (direttori Ferdinando Bernini e Tito De Stefano), contestualmente lasciato libero da Egisto Corradi, che tentò l’avventura giornalistica a Milano. I rapporti con il Comitato di liberazione nazionale (erano i partiti a gestire il giornale), con una conflittualità interna pesante, non furono facili, ma il Silvani seppe procedere con buonsenso e professionalità. Prestò valida collaborazione anche alla ricostruzione del Parma Calcio, memore delle sue antiche esperienze e forte di un prestigio personale elevato. Cessato il Comitato di Liberazione Nazionale (1946), la gestione del giornale fu assunta da una cooperativa interna composta dai dipendenti, mentre alla direzione arrivò Biagio Riguzzi, un leader del movimento cooperativistico. Sempre saldamente sulla breccia, il Silvani cominciò ad accusare qualche frizione con gli editori quando la Gazzetta di Parma, messa all’asta come bene ex fascista, fu acquistata dalla Segea. Così nel 1956, direttore Mario N. Ferrara, il contrasto si rivelò insanabile: il Silvani se ne andò, ritentando di lì a poco l’avventura giornalistica in Venezuela, come redattore capo di un giornale per gli italiani, numerosissimi soprattutto in Caracas. Fu un’esperienza breve, traumaticamente interrotta dalla rivolta contro il presidente Jimenez, cui seguì il ritorno a Parma. Il Silvani divenne allora direttore dei corsi del Circolo stenografico Bolaffio, uno dei più antichi istituti privati di Parma, noto soprattutto per aver sfornato i più accreditati stenografi di Parma. Il Silvani lasciò dopo vari anni anche quell’incarico e si ritirò in pensione.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 luglio 1989, 5.
SILVANI GIUSEPPE
Parma 10 gennaio 1890-Milano 31 ottobre 1969
Fratello di Mario. Nel Regio Conservatorio di musica di Parma dal 1905 al 1913 fu allievo dello scuola di violoncello tenuta da Leandro Carini. privatamente, poi, studiò composizione con Spartaco Copertini. A Parma, nel 1915, sul settimanale La Cronaca diretto da Alessandro De Castro, iniziò la carriera del giornalista e del critico musicale. La Gazzetta di Parma ospitò più volte suoi scritti e Il Piccolo di Parma nel 1922 lo nominò suo critico musicale, carica che tenne per due anni. Il 16 dicembre 1923 riprese la pubblicazione, dopo un’interruzione di dieci anni, il settimanale d’arte Medusa, fondato e diretto (dal 30 luglio 1911 al 18 maggio 1912) dal fratello Mario, poeta e musicista. Su quel battagliero foglio il Silvani (sino all’11 novembre 1924) sostenne brillantemente campagne a favore del Teatro Regio e del Regio Conservatorio di musica di Parma, nonché del ripristino del suo Convitto musicale. Nel dicembre del 1924 il direttore del Regio Conservatorio Arrigo Boito, Guglielmo Zuelli, chiamò il Silvani a ricoprire interinalmente la carica di professore di storia della musica e di bibliotecario. Dal 1922 al 1924 fu Segretario del sindacato parmense dei giornalisti professionisti. A Parma fu tra gli organizzatori di diversi riusciti spettacoli lirici: al Teatro Regio, nel 1925, la memorabile commemorazione pucciniana con la Bohème (Carmen Melis, Angelo Mighetti e Rosina Torri) diretta da Leopoldo Mugnone, gli spettacoli per la stagione del Carnevale 1925-1926, e al Teatro Petrarca nella primavera del 1926 alcuni spettacoli diretti da Franco Ghione. Nel 1926 lasciò la sua città natale per portarsi a Milano, ove nel 1927 assunse la direzione del Giornale dell’arte e successivamente de Il Nuovo Corriere degli Artisti. Pizzetti gli confermò la sua stima dedicando alla Storia della musica che il Silvani scrisse in quegli anni una bella prefazione.
FONTI E BIBL.: G. Alcari, Parma nella musica, 1931, 183-184; G. Marchetti, in Gazzetta di Parma 14 aprile 1975, 3.
SILVANI GUGLIELMO
Parma 10 ottobre 1852-
Figlio di Ferdinando e Maria Pezzani. Dopo aver praticato per qualche tempo l’intaglio in Parma, passò a Torino come incisore dei punzoni della zecca.
FONTI E BIBL.: Arte incisione a Parma, 1969, 59.
SILVANI LODOVICO
Parma 2 settembre 1900-post 1973
Figlio di Luciano e Rosa Tagliavini. Laureato in lettere a Bologna, fu romanziere, poeta e giornalista, inviato del Resto del Carlino in India e quindi addetto presso il Consolato Generale Italiano di New York.
FONTI E BIBL.: J. Bocchialini, Poeti secolo nuovo, 1926, 104; Aurea Parma 6 1925, 335; F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 528.
SILVANI LORENZO, vedi SILVAGNI LORENZO
SILVANI LUCIANO
Parma 28 agosto 1857-1908
Figlio di Ferdinando e Maria Pezzani. Allievo del Raimondi, fu buon incisore a bulino. chiusa la scuola d’incisione a Parma, divenne insegnante al Conservatorio di Musica.
FONTI E BIBL.: Arte incisione a Parma, 1969, 59.
SILVANI LUCIANO
Parma 1908-Bereguardo 20 gennaio 1979
Studiò all’Istituto d’arte Paolo Toschi di Parma, allievo di Marussig e De Strobel, per alcuni anni, poi abbandonò la pittura per dedicarsi al restauro di dipinti antichi divenendo in breve uno dei più apprezzati restauratori italiani. Quindi tornò a dipingere, suscitando immediatamente l’interesse della critica qualificata con mostre alla Gussoni di Milano nel 1966, alla Rotta di Genova, pure nel 1966, alla Torre di Torino nel 1967 e alla Durini di Milano nel 1972. Un’attività silenziosa e costante, basata su un eccezionale credo pittorico: l’uomo, rappresentato con le spalle pesanti e i volti privi di lineamenti: Figure (come ha scritto Luigi Carluccio) che sorgono massicce dalle tele di Silvani, e che appartengono a un mondo che è certamente quello di dopo la cacciata dal paradiso terrestre, progenie dell’Adamo ed Eva del Masaccio, deformate, appesantite dall’usura esercitata da una condanna che dura da millenni. Masaccio è citato anche da Garibaldo Marussi, che ha scritto di alta suggestione, con l’incanto e la potenza delle figure coperte dal rozzo saio che occulta forme energiche, strutture ossee, fasci di nervi. In effetti, la cultura quattro e cinquecentesca, amata dal Silvani come restauratore, gli rimase addosso come autore, conducendolo, con l’essenzialità e la saldezza delle forme, a una sorta di pittura-scultura, dove appunto le figure, più che stese col pennello, paiono, nella loro purezza, stagliate con lo scalpello. Il Silvani fu sepolto nel cimitero della Villetta di Parma.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 27 gennaio 1979, 3.
SILVANI MARIO
Parma 1 settembre 1884-Parma 20 maggio 1913
Iniziò gli studi classici ma dopo il ginnasio, per quanto avesse una forte e geniale tendenza agli studi letterari, si diede decisamente alla musica, suo antico sogno, e conseguì nel 1908 il diploma di magistero in composizione a pieni voti nel Regio Conservatorio di Parma. È da notare il fatto che il Silvani, ancora così giovane e pur legato alla solenne tradizione della musica italiana, tese l’orecchio con interesse e curiosità a quanto avveniva in Europa in quegli anni e al movimento di rinnovamento che faceva capo a Giannotto Bastianelli nell’ambito della rivista La Voce. Scrisse una sonata per violino e pianoforte, un poema sinfonico al dramma di Maeterlinck, Monna Vanna, una messa di requiem, un notturno per violino e piano e il poema sinfonico Dafne e Cloe, ispirato al dramma pastorale di Longo Sofista. Diresse per la prima volta in Italia le Danze di Debussy per arpa ed archi. Il Silvani coltivò pure la poesia. Alcune sue liriche ebbero il posto d’onore nella Gazzetta del Popolo di Torino, e un suo volume di versi, Lux et umbra (Parma, 1907), ebbe il plauso della critica italiana. In un suo romanzo inedito, Episodi della vita di un’artista, con prefazione di Ildebrando Pizzetti, e in alcune sue novelle si dimostrò pure ottimo prosatore. Il Silvani iniziò con Pizzetti la stesura del libretto ippolito, tratto dalla tragedia di Euripide, quando pizzetti venne in contatto con Gabriele d’annunzio che gli propose un altro dramma sul medesimo soggetto, proposta alla quale pizzetti aderì, abbandonando il progetto già avviato col Silvani. Negli anni attorno al 1910 collaborò con critiche musicali alla Gazzetta di Parma e alla rivista. Scrisse La samaritana, che divenne il lavoro di maggior successo di Arnaldo Furlotti. La sua lirica Sera d’inverno fu musicata da Pizzetti (1908) e da Gastone Zuccoli (Trieste, Schmidl, 1938). Il 18 e 19 maggio 1912, in un concerto vocale e strumentale tenuto al Teatro Reinach di Parma, diresse una sua lirica per soprano e orchestra , L’alba di aprile, eseguita dalla marchesa Clementina Paveri Fontana. Per quel che riguarda la direzione, il suo nome è legato alla prima esecuzione in Italia delle Danze di Debussy per arpa e archi. Ingegno pronto e versatile, combatté strenuamente con un indipendente e battagliero settimanale d’arte, Medusa (che il Silvani fondò e diresse dal 30 luglio 1911 al 18 maggio 1912), in difesa dell’arte. Morì a soli 28 anni a causa di una infezione di tifo. Fu commemorato nella sala del Ridotto del teatro Regio di Parma dal poeta Ildebrando cocconi e con una esecuzione di musica del Silvani stesso.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 184-185; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 140; Gazzetta di Parma 14 aprile 1975, 3; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
SILVANI MENTORE
Traversetolo 1843-Parma 30 aprile 1905
Allievo di Girolamo Magnani presso l’accademia di Belle Arti di Parma, nel 1864 partecipò all’esposizione dell’Incoraggiamento con veduta di Calestano, che fu vinta dalla pinacoteca di Parma, nel 1867 con Sorpresa, estratta al comune di Borgo San Donnino, nel 1868 con inondazione a Parma, ancora alla pinacoteca di Parma, e nel 1869 con Prime foglie, al comune di Fiorenzuola. Quest’ultima opera, oppure una replica, figurò pure, assieme a Nevicata, in mostra a Parma nel 1871. contemporaneamente il Silvani soggiornò a venezia, dove come scenografo dipinse alcune scene per l’opera Stella delle Alpi, che si dava al Teatro La Fenice. Nel 1875 fu presente a Parma dove espose Rivalta presa dal vero e Alla fontana nelle Puglie. Nel 1877 concorse, assieme a Icilio Attilio Bianchi e Settimio Fanti, al posto di aiuto alla cattedra di paesaggio, vincendolo ex aequo, ma il concorso venne invalidato dalla soppressione della cattedra medesima durante la trasformazione dell’Accademia in Istituto di Belle Arti. Due anni dopo espose povera Maria!, che fu estratta al Comune di solignano, e nel 1887 la Pinacoteca di parma si aggiudicò La vita nei campi, paesaggio. Nel 1889 poi dipinse una prospettiva con la veduta di montagne nell’altrio della casa del fontanella, mentre l’anno dopo venne sorteggiato all’istituto Toschi Il meriggio nella pianura del Ghiardo. Infine nel 1893 espose Una via di Cassio e un altro dipinto. Il Silvani alternò alla produzione di quadri quella a lui più consona di prospettivista e scenografo, che gli valse la nomea di essere uno dei migliori allievi del Magnani. D’altro canto il tardo tradizionalismo scenografico, desunto dagli esempi di massimo d’Azeglio, del Boccaccio e del drugman, contraddistingue anche dipinti di cavalletto, come Bosco con cavaliere (1872, Soragna, Palazzo Comunale) e, in minor misura, per il respiro romantico e la fresca pennellata d’impressione, Paesaggio collinare (1887, Parma, Palazzo dell’Amministrazione Provinciale) e Il mulino di Ugozzolo (Parma, Pinacoteca nazionale).
FONTI E BIBL.: Asmodeo, 1871; L. Pigorini, 25 novembre 1879; R. De Croddi, 1893, 372; E. scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. X, 147; G. Copertini, 7 dicembre 1967, 6; Il Diavoletto 12 novembre 1871; C. Ricci, La R. Galleria di Parma, 1896, 388, 389 e 391; B., Teatro e cose d’arte, in Gazzetta di Parma 29 gennaio 1875, 3; Franco, Un artista che si distingue, in Gazzetta di Parma 26 luglio 1889, 2; C. Alcari, Silvani Mentore, in Parma nella musica, Fresching, 1931, 185; U. Thieme-F. Becker, Silvani Mentore, in Allgemeines Lexicon der Bildenden Künstler, leipzig, E.A. Seemann, XXXI, 1937, 33; E. Bénézit, Silvani (Mentore), in Dictionnaire des peintres, sculpteures, dessinateurs et graveurs, Paris, Librairie Grund, VII, 1954, 765; G. Copertini, Mentore Silvani (1844-1905), in La pittura parmense dell’Ottocento, Parma, Cassa di Risparmio, 1971, 132; A.M. Comanducci, Silvani Mentore, in Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, Patuzzi, V, 1974, 3082; G. Godi, Mentore Silvani (Traversetolo 1843-1905), in Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’ottocento, Parma, Amministrazione Provinciale, 1974, 98; Silvani Mentore, in dizionario Bolaffi dei pittori, Torino, Bolaffi, X, 1975, 306-307; Fabrizio e T. Marcheselli, Silvani Mentore (1843-1905), in Dizionario dei Parmigiani, 1997, 291; Silvani Mentore, in Enciclopedia di Parma, 1998, 625.
SILVANI SEVERINO
Calestano 19 luglio 1878-Parma 8 novembre 1965
Avviato all’arte dal padre, scultore in legno, frequentò i corsi all’Accademia d’Arte di parma, ove ebbe gli insegnamenti di Cecrope Barilli. Si perfezionò poi all’Accademia di belle Arti di Brera, a Milano. Trattò il quadro di genere e di soggetto religioso e le sue opere si trovano collocate presso privati e chiese parmensi e reggiane, quasi nascoste nell’anonimato. Di carattere schivo, non si preoccupò mai di alcuna partecipazione alle rassegne e mostre pubbliche. Una grande antologica dei suoi dipinti fu organizzata nella Galleria Camattini di Parma nell’aprile 1964.
FONTI E BIBL.: Catalogo antologica alla Galleria camattini, Parma, 1964 (T. Mazzieri); Parma per l’Arte II 1964, 143 e seg. (R. Allegri); Gazzetta di Parma 9 novembre 1965, 4; A.M.Comanducci, dizionario dei pittori, 1974, 3082.
SILVANO, vedi SALVONI LUIGI BERNARDO
SILVESTRI ACHILLE
-Parma 23 marzo 1883
Fu soldato valorosissimo nelle battaglie risorgimentali dal 1849 al 1866. Fu socio benemerito del Comitato di provvedimento.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 94.
SILVESTRI ADELMO
Parma-pot 1882
Tenore, nell’aprile 1882 cantò al Teatro di Tortona nel Poliuto e nella Lucrezia Borgia.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario.Addenda, 1999.
SILVESTRI CAMILLO
Parma 23 dicembre 1808-Parma 10 settembre 1862
Si laureò in Medicina il 16 agosto 1832. Nel 1834 fu nominato medico condotto di roccabianca, incarico che mantenne per molti anni. Il 30 giugno 1848 fu nominato primo Medico straordinario dello Spedale civile in Parma e il 18 novembre 1849 membro della Sezione consulente della Commissione per gli esperimenti Chimici da istituirsi sulle produzioni morbose dei colerosi. Nel 1849 pubblicò l’opuscolo De’ Follicoli morbosi alle fauci, ne’ prodromi del cholera (cfr. Gazzetta di Parma 1849, p. 500). Il 18 dicembre 1854 fu nominato Consigliere della Sezione Medica del protomedicato. Morì all’età di 53 anni e fu sepolto nel cimitero di Parma.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 419-420.
SILVESTRI ETTORE
Parma 1831
Misuratore di fieno, durante i moti del 1831 servì come sergente nella Guardia nazionale di Parma. Secondo i rapporti di polizia, si distinse per caldo indipendente e perturbatore, meritorio di sorveglianza. Cattivissimo soggetto in ogni sua estensione.
FONTI E BIBL.: O Masnovo, Patrioti del 1831, in archivio storico per le province parmensi 1937, 206.
SILVESTRI GUGLIELMO
Parma 9 luglio 1763-1839
Calcografo, fu allievo di Benigno Bossi nell’accademia di Belle Arti di Parma. Fu premiato nel 1789 per alcuni studi di nudo e per un dipinto, Polifemo accecato da Ulisse. Tra le sue migliori incisioni, vanno segnalate ventidue Vedute della città di Modena, Vedute della Villa ducale di Sassuolo, di Magnano, di pontetorri e di Rivalta, Ritratto di Giovanni Pico, mater dolorosa e l’illustrazione per un opuscolo, relativo alla costruzione di grandi edifici, di Lodovico Bolognini. Nel 1827 intagliò la modesta Immagine del miracoloso Bambino Gesù nella Chiesa delle Cappuccine in Parma. accanto a cose di grossolano taglio popolaresco, non mancano incisioni fini e ben condotte, sia nel genere sacro che nella ritrattisca. Il Silvestri fu pure riproduttore di dipinti antichi.
FONTI E BIBL.: Censimento di Parma 1832, nell’archivio Comunale di Parma; E. Scarabelli-Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, 1851-1893, ms. nel Museo di Parma; G. Campori, Gli artisti negli stati estensi, 1855, 444; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, 1937, xxxi; Pelliccioni, Incisori, 1949, 168; L. Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; Arte incisione a Parma, 1969, 43; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1974, 3082; Dizionario Bolaffi pittori, x, 1975, 308; P. Zani, 1819, I, XVII, 278; E. Bénézit, 1960, vii, 767; Arte a Parma, 1979, 380.
SILVESTRO DA PARMA
Parma 28 gennaio 1849-Parma 1 luglio 1877
Figlio di Giacomo e Maria Aleppi. Nel 1866, appena diciassettenne, accorse tra le file garibaldine a combattere per l’Indipendenza d’italia.
FONTI E BIBL.: Il Presente 4 Luglio 1877, n.181; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 420.
SILVESTRO DA BORGOTARO, vedi MURENA GIACOMO
SILVESTRO DA SISSA
Parma 1556
Nel 1556 fu eletto procuratore generale della Congregazione benedettino-Casinense.
FONTI E BIBL.: M.Armellini, Bibliotheca benedictino Casinensi, 1873.
SILVI ETTORE
Sissa 1701
Sacerdote, fu suonatore alla chiesa della Steccata di Parma il 25 marzo 1701.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, mandati 1700-1702; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 1
SILVI FRANCESCO
Parma 1923-2 dicembre 1996
Fu maestro elementare prima alla scuola cocconi, poi direttore didattico a Berceto, San secondo, Sissa, Roccabianca e Colorno. La sua vita, passata accanto alla moglie Marta, fu un’esistenza di silenzi e priva di vicende eclatanti, di cui si ricorda solo la tesi su Tristan cobière. Per il Silvi il rapporto con la poesia doveva essere assoluto. La sua fedeltà alla letteratura ricorda un altro poeta schivo e solitario, Attilio Zanichelli. Nel 1997 uscì postumo (Reggio Emilia, Diabasis) il suo volume diapositive e sassofoni. Il volume del Silvi raccoglie tutta la sua opera, quattro sezioni di un unico, importante libro: diapositive e sassofoni, La tosse ai tropici, Figure e Colori. Arricchiscono il volume l’introduzione di Giuseppe Marchetti e un ricordo del Silvi come maestro elementare, scritto da Roberto Spocci.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 2 dicembre 1997, 15.
SILVI FRANCESCO
Parma 1868/1875
Negoziante di musica. Il Presente del 30 maggio 1868 riporta che aveva rilevato il deposito di musica e di strumenti a fiato sotto la ditta maestro Ruggieri Pietro, situato in Parma, Strada Maestra San Michele 23 al secondo piano, e che ne aveva assunto la continuazione per conto proprio e sotto la medesima ditta. Il Boccherini del 30 aprile 1875 scrive che il maestro Francesco Silvi di Parma, direttore di un Gabinetto musicale di quella città, venne insignito della medaglia d’oro e relativo diploma, come benemerito dell’arte, dalla Società Internazionale d’Incoraggiamento sedente in Napoli.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
SILVIA, vedi CABASSA ENRICHETTA
SILVINO DORICLEO, vedi BONVICINI GIUSEPPE
SIMONAZZI ARNALDO
Vigatto 22 dicembre 1883-Parma 1965
Ereditò la passione per la lavorazione del ferro dal padre Luigi.Verso il 1910, cominciò a estendere la sua attività nel campo della meccanica, al tempo dei primi motori a vapore e a scoppio, nonché ai macchinari per la lavorazione delle conserve e per caseifici, con opere di rinomanza per la genialità di realizzazione.Già intorno al 1930 egli costruì la prima dosatrice per il riempimento delle scatole di conserva e nel contempo le prime attrezzature per cantina: lavabottiglie con spazzolino, filtri, riempitrici e tappatrici manuali. Coadiuvato dai figli, si dedicò anche alle macchine agricole e in special modo ai motori e ai trattori leggeri che, dati i tempi di autarchia, venivano ricavati e costruiti con materiale di recupero.Dei quattro figli del Simonazzi, Ampelio e Lorenzo seguirono le orme paterne.
FONTI E BIBL.: L.Vignoli, notizie manoscritte.
SIMONAZZI LUIGI
Pedrignano 24 giugno 1854-Parma 1945
Figlio di Pompeo, continuò l’opera paterna nel campo della lavorazione del ferro.La sua specializzazione professionale fu rivolta soprattutto alla costruzione della prime serrature di sicurezza e cancellate in ferro, finemente lavorate.
FONTI E BIBL.: L.Vignoli, notizie manoscritte.
SIMONAZZI POMPEO
Gualtieri 9 settembre 1828-Parma 1909
Capostipite che diede il nome all’azienda artigiana che sorse a Baccanelli. Il Simonazzi diede avvio all’Officina Simonazzi, ditta di costruzioni meccaniche, intorno al 1850. Ingegnoso e abile, il Simonazzi si specializzò nella costruzione di attrezzi per l’agricoltura, che sapeva ricavare forgiando vecchi rottami.Ai suoi discendenti insegnò l’amore dell’arte del ferro, tramandando loro la sua esperienza.
FONTI E BIBL.: L.Vignoli, notizie manoscritte.
SIMONAZZI ROBERTO
Parma 28 novembre1866-Parma 8 dicembre 1941
Ordinato sacerdote il 21 settembre 1899, fu mandato cappellano a Sala Baganza, poi fu nominato Arciprete di Traversetolo e l’11 dicembre 1906 parroco di San Pietro in Parma. Si laureò in Teologia e fu membro del collegio Teologico di Parma. Fu insegnante di apologetica nelle scuole del liceo del seminario di Parma e Amministratore per vari anni nello stesso Seminario. Come Assistente ecclesiastico della Congregazione delle Ancelle dell’Immacolata, il Simonazzi rivelò la sua abilità amministrativa e organizzativa, tanto da meritarsi di essere considerato il cofondatore della congregazione stessa. Per le sue benemerenze fu insignito del Cavalierato della Corona d’Italia e nominato prelato Domestico di Sua Santità. Morì nell’Istituto Madre Maria Adorni.
FONTI E BIBL.: I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 202.
SIMONCELLI FRANCESCO
Orvieto 1527 c.-Parma gennaio/settembre 1578
Scultore e architetto attivo nella seconda metà del xvi secolo. Fu scultore di corte dei Farnese. Detto il Moschino, finì per assumere questo cognome, che trasmise al figlio Simone.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, Iv, 211.
SIMONCELLI SIMONE
Orvieto 12 novembre 1553-Parma 20 giugno 1610
Conterraneo di Ascanio Vitozzi (più vecchio di quindici anni ma che operò nello stesso arco di tempo), il Simoncelli ne condivise in parte la formazione, anche se da analoghe esperienze culturali di derivazione toscana e romana i due artisti pervennero a due modi di progettare e intendere l’architettura quasi antitetici. Il Vitozzi, esclusivamente architetto, sviluppò di questa cultura le componenti razionali di chiarezza strutturale, mentre il Simoncelli ne accentuò le possibilità plastiche ed espressionistiche di capriccio, giungendo a un esasperato anticlassicismo. Figlio di francesco e nipote di Simone Mosca, ambedue scultori e in minor misura architetti, il Simoncelli (detto Moschino) conobbe molto bene per eredità familiare e per diretta frequentazione l’ambiente manierista toscano, in particolare l’Ammannati e il Buontalenti, da cui citò addirittura alcuni particolari decorativi. Lo stesso modo di disegnare del Simoncelli si rivela molto vicino ai manieristi toscani della fine del Cinquecento, così come toscano si rivela il suo modo di comporre o scomporre i partiti architettonici nelle sue facciate e nell’interno dello scalone della Pilotta in Parma. Di notevole interesse è l’esperienza che ebbe come scultore nel Sacro Bosco di Bomarzo, quando era ancora giovane (prima del 1578). Quel mondo orridamente fantastico e capriccioso, insieme ad altre esperienze come la conoscenza delle idee e delle opere di Federico Zuccaro e l’incontro con il mondo d’immagine non classico fiammingo, ipotizzabile, dati gli stretti legami dei Farnese con i Paesi Bassi, può spiegare il carattere dissonante e antiarchitettonico che si riscontra soprattutto nelle sue ultime opere. A parte i contatti che può avere avuto al tempo del suo impegno a Bomarzo, il Simoncelli fece numerosi viaggi a Roma con lunghe permanenze nel 1594, nel 1597 e nel 1599-1600, importanti per la conoscenza diretta delle opere di Michelangelo (soprattutto l’ironica Porta Pia), delle quali il Simoncelli fece una lettura personale, non mediata dal gusto del Buontalenti e dell’Ammannati. In alcune sue opere infatti variò il grande maestro enfatizzandolo in una maniera che richiama un altro scultore-architetto, Jacopo del Duca, di cui non ebbe però il modo passionale e popolaresco di ripercorrere dall’interno le ricerche michelangiolesche. Michelangelo, dunque, sia direttamente che per tramite del manierismo fiorentino, è la matrice culturale fondamentale dell’architettura del Simoncelli, anche più che della scultura, dove non mancano gli influssi e il gusto decorativo del padre e del nonno, in certa misura legati a modi sansoviniani. A Roma infine ebbe modo quasi certamente di frequentare la cerchia di Federico Zuccaro, strettamente legato ai Farnese anche di Parma, come dimostra il fatto che il duca Ranuccio Farnese mandò nel 1595 a Roma il pittore Bartolomeo Schedoni a studiare presso di lui. Un nuovo incontro tra i due artisti avvenne nel 1607-1608 in occasione della permanenza di alcuni mesi dello Zuccaro a Parma, dove il 29 maggio 1608 tenne una conferenza all’Accademia degli Innominati riepilogando il suo libro pubblicato a Torino l’anno precedente: L’Idea de’ pittori, scultori, et architetti. Il Simoncelli può aver captato del metafisicheggiante pensiero dello Zuccaro il carattere polemico nei confronti dell’operato degli architetti romani della fine del cinquecento, i professionisti che liquidarono l’eredità e il messaggio plastico di Michelangelo. motivo di risentito stupore per i contemporanei, l’architettura del Simoncelli, se può sembrare avviata al barocco per certe libertà e movimento di profili come per certe celte tipologiche, è in realtà profondamente manierista, ne ha tutti i crismi di artificiosità, di ostentata drammaticità, di impotenza a trovare un nuovo linguaggio che non sia bizzarra licenza o enfatica amplificazione: è insomma l’aderente espressione di un momento culturale di crisi. Ma proprio questo portare alle estreme conseguenze un discorso interamente manieristico, se isola le opere del Simoncelli dalla produzione più tipica emiliana, che, seguendo una tendenza opposta, portò alla meravigliosa apoteosi di motivi scenografici di Gaspare Vigarini e dei Bibiena, trova notevoli analogie nell’incongruenze e nelle dissonanze delle architetture del Guarini, caratteristiche che lo legano, come chiarito dal Portoghesi e dal Wittkower, proprio a quella tradizione manieristica a cui appartiene il Simoncelli. In alcune sue opere si può anche vedere una convergenza di metodo con il Guarini nel comporre per zone in violenta opposizione. Il Simoncelli, suo padre Francesco e Giovanni Boscoli portarono a Parma quella figura comune a Firenze che è l’artista che si occupa di architettura con alle spalle non una preparazione specifica ma pittorica o scultorea e la immette nella nuova professione. Questi artisti si contrapposero ai professionisti locali come il Magnani e lo Smeraldi e naturalmente anche all’Aleotti e ai seguaci del Vignola: il Fornovo e il Testa. Il Simoncelli fu al centro di polemiche che dimostrano la divergenza profonda delle tendenze artistiche nel Ducato parmense a cavallo del Seicento e il ruolo importante che egli ebbe a Corte nel sorvegliare e nell’indirizzare la produzione artistica. Si può citare la lite con i monaci di San Giovanni Evangelista non contenti della sua facciata per la loro chiesa, giudicata da periti non conforme all’architettura. Interessante è anche l’ostilità, riportata dal Malvasia nella Felsina Pittrice e ricordata già nell’introduzione, tra il Simoncelli e agostino Carracci, venuto da Roma a Parma per decorare la volta di una stanza nel palazzo del Giardino. Qui Agostino Carracci trovò incontri, e incontrò disgusti da far scoppiare il cuore in un petto di bronzo. Quelli de’ concorrenti furono i minori, come consueti e in conseguenza antiveduti. Gli fu sempre contrario un certo Moschini statuario e Capoingegniere allora del Duca, al quale tutto si diferiva. Portava costui un tale Gasparo Celio, e lo preferiva ad Agostino, supponendo a S.A. esser altr’uomo che il Bolognese, ch’altro far ben non sapea che l’intagliare. Al di là del fatto personale e aneddotico, si possono leggere le linee di una precisa politica culturale del Simoncelli, inserito nello scontro tra due diverse concezioni del fare artistico: l’artificiosità e l’esasperazione formale del tardo manierismo e il naturalismo e il classicismo dei carracci precocemente aperti all’oratoria barocca. Il Simoncelli, seguendo la tradizione familiare, iniziò la sua attività artistica come scultore nel parco della villa Orsini a Bomarzo.Con una generosa raccomandazione di Vicino orsini, alla morte del padre, che fu scultore di corte, giunse a Parma dove venne assunto il 20 ottobre 1578 nei ruoli dei provvigionati della corte in qualità di scultore. Nel 1579 tornò però a Bomarzo, forse per finire qualche lavoro rimasto incompiuto. Tornato a Parma, divenne ben presto (probabilmente subito) collaboratore del Boscoli ai lavori per la fontana del Giardino e, alla sua morte, avvenuta nel 1589, ne divenne il continuatore. Il 18 gennaio 1586 morì a Ortona a Mare Margherita d’Austria, moglie del duca Ottavio Farnese, disponendo nel suo testamento che il suo corpo sia seppellito nella ecclesia di S. Sisto nella città di Piacenza dove per tale effetto vole et comanda che si faccia una sepoltura di Bronzo rilevata da terra con bella factura et proportione et con la statua integra, nella quale non si habbia da spendere meno di cinque mila scudi d’oro in oro. Lo stesso anno il nipote Ranuccio Farnese, reggente per il padre Alessandro, diede al simoncelli l’incarico di disegnare il monumento sepolcrale, che fu eseguito da collaboratori che lavorarono sotto suo controllo dal 1587 ai primi anni del Seicento. A quanto pare egli non rispettò le disposizioni della Duchessa riguardo il materiale da usarsi, che fu marmo e non bronzo, mentre la mancanza della statua integra della defunta è dovuta probabilmente al fatto che il monumento non fu terminato. È comunque difficile immaginare una collocazione adeguata della statua della Duchessa, sia come tradizionale figura giacente sul sarcofago, al posto dei leoni, che risulterebbe soffocata dalle altre due figure femminili semisdraiate ai lati sui timpani spezzati e ricurvi a rappresentare la Fedeltà e la Mitezza, sia come figura seduta, a cui mancherebbe una profondità adeguata. d’impianto ambizioso, ricco di rappresentazioni simboliche e di riferimenti allegorici alla vita di Margherita d’austria, figlia dell’imperatore Carlo v e governatrice delle Fiandre, questo monumento riunisce in modo un po’ disorganico le componenti culturali e il repertorio formale del Simoncelli: al mestiere e alla tradizione familiare si aggiungono motivi decorativi genericamente michelangioleschi e l’orrido espressionismo dei due torsi stravolti, legati al programma iconologico e probabile tributo all’esperienza bomarzesca. Probabilmente, il Simoncelli ebbe anche l’incarico di disegnare il monumento funebre per il duca Ottavio Farnese, morto nello stesso anno 1586. Per Ottavio Farnese e Margherita d’Austria realizzò anche i catafalchi. Nel 1593 disegnò un catafalco anche per il loro figlio, il generale Alessandro, che è forse da identificarsi con quello, interessantissimo, conservato a Monaco (S.G.S., n. inv. 4989), che rivela insospettate macabre qualità scenografiche. Fa parte di questo filone celebrativo anche il disegno, sempre di Monaco (S.G.S., n. inv. 34262), che probabilmente è uno schizzo del Bucintoro di cui si parla nei mastri farnesiani. Una convenzione del 17 febbraio 1592 tra Cosimo Masi, segretario del Duca, e lo scultore Achille Turbati, collaboratore del simoncelli, informa di un accomodamento della cappella del Santissimo Crocifisso di San Giovanni evangelista a Parma. Il Turbati si obbligò a lavorare a sue spese tutte le pietre e i marmi che sarebbero serviti per completare il lavoro e a porli in opera in tutto e per tutto conforme al disegno di detta cappella, quale sta in mano del Sig.r Simone Moschino, confidente delle parti. Non si sa se tale lavoro sia stato eseguito, comunque non v’è traccia in San Giovanni, dove le cappelle sono state tutte ridecorate in epooca posteriore. Parte del progetto di questa cappella è forse il disegno di Monaco (S.G.S., n. inv. 4943) della raccolta bibienesca. Questo disegno mostra tutte le caratteristiche del Simoncelli e forse la deposizione che si vede nell’ovale corrisponde alla cappella del santissimo Crocifisso e l’aquila che le sta sopra a San Giovanni Evangelista. La statua nella nicchia di sinistra porta un crocifisso. Nel 1593, questa volta su diretta commissione dei benedettini di San Giovanni Evangelista, il simoncelli si impegnò nel suo primo lavoro propriamente architettonico: l’ampliamento del monastero di Sant’Alessandro, che andò però completamente distrutto in epoca neoclassica per far posto al teatro Regio e al palazzo della provincia, entrambi del Bettoli.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, [216-218]; B. Adorni, L’architettura farnesiana, 1974, 167-172; Il Palazzo della Pilotta a Parma, 1996, 16.
SIMONCINI FRANCESCO, vedi SIMONINI FRANCESCO ANTONIO
SIMONE
Parma 1505
Carpentiere attivo in Roma. È ricordato come testimone in un atto del 10 luglio 1505.
FONTI E BIBL.: A. Bertolotti, Artisti parmensi in Roma, 1883, 140.
SIMONE DA ENZA, vedi ENZA SIMONE
SIMONE DA PARMA
Parma 1379/1385
Insegnò a Parma nella seconda metà del xiv secolo come dottore di Decreti e passò poi all’università di Bologna. L’Affò (ii, 131) ha erroneamente creduto di poterlo identificare con quel Simone da Enza che fu vicario generale dei vescovi di Parma Giovanni Rusconi, fra Bernardo da Carpi e Delfino della Pergola e che morì arcidiacono della Cattedrale parmense nel 1438, a settant’anni, come afferma l’epitaffio riportato dall’Affò stesso. Già il Pezzana nella Storia della città di Parma (i, 130, ii, 128 e 420) ha rilevato la confusione fatta con un altro Simone da Parma, che nel 1379 fu vicario della Diocesi di Rimini. costui, per la concordanza delle date, potrebbe essere stato il Simone parmigiano che nel 1384 lesse Decretali nello Studio di Bologna e non il da Enza, che allora aveva poco più di quindici anni. Nel Primus liber secretus Iuris Pontificii, in cui sono notati tutti coloro che subirono gli esami dal Collegio di Diritto Canonico dal 1377 al 1528, si ricava che l’11 giugno 1383 fu esaminato e approvato il presbyter Simone de Parma Decanus Santi Iacobi de Carbonensibus (Archivio di Stato di Bologna, f. 11 r.). Il che ben si addice all’ex vicario della Diocesi riminese, per nulla invece al da Enza, il quale nel 1384 aveva una età troppo giovane per essere sacerdote, decano e dottore in diritto Canonico.
FONTI E BIBL.: R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 233; A. Pezzana, Storia di Parma, i, 130, n. 57; U. Gualazzini, Corpus Stat., lxvii, n. 65; F. Rizzi, Professori, 1953, 13.
SIMONE DA PARMA, vedi anche ENZA SIMONE e PISANI SIMONE
SIMONETA GIACOMO, vedi SIMONETTA GIACOMO
SIMONETTA ANNA
-Parma 24 aprile 1845
Contessa, sposò il conte de Castagnola. Fu Dama alla corte di Parma. Fu sepolta con iscrizione nell’arco della Compagnia del sant’angelo Custode di ragione della contessa Sofia Bulgarini di Siena.
FONTI E BIBL.: Memoria intorno all’Anna de’ conti Simonetta ne’ conti de Castagnola, Parma, dalla Stamperia Carmignani, 1845; G.F. De Castagnola, in morte di Anna de’ conti Simonetta sua moglie, Parma, Carmignani, 1846; G. Negri, Compagnia S. Angelo Custode, 1853, 69.
SIMONETTA ANNA, vedi anche PALLAVICINO ANNA
SIMONETTA BARBARA, vedi SANSEVERINO BARBARA
SIMONETTA FRANCESCO
Parma seconda metà del XVII secolo
Ingegnere attivo nella seconda metà del xvii secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 262.
SIMONETTA GIACOMO
Parma 1600/1612
Detto anche il Simoneta. Fu pittore attivo nel 1600-1612.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, xvii, 1823, 290.
SIMONETTA GIOVANNI
Parma 21 agosto 1822-1884
Figlio di Giuseppe e Isabella Sanvitale. fu creato nell’anno 1877 cameriere di cappa e spada dal papa Pio ix, e confermato poi in quell’incarico da papa Leone XIII..
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 861.
SIMONETTA GIUSEPPE
Parma 29 maggio 1790-Porporano1871
Figlio del conte Andrea e di Maria Guerrieri, fu l’ultimo discendente dell’illustre famiglia. Come il nonno paterno Giuseppe, che fu gentiluomo di camera di Filippo di Borbone, anche il Simonetta ebbe incarichi a Corte: la duchessa Maria Luigia D’Austria lo nominò Ciambellano, carica che mantenne fino alla morte della sovrana e che gli venne poi rinnovata da Carlo di Borbone. Uomo di grande cultura e sensibilità, fu per molti anni accademico d’onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma. Ricevette diverse onorificenze, tra le quali la Commenda dell’Ordine costantiniano di San Giorgio. Sposò Isabella Sanvitale, figlia del conte Stefano, dalla quale ebbe un figlio, Giovanni. Fu proprietario della villa di Porporano, dove morì.
FONTI E BIBL.: P. Martini, Scuola delle Arti Belle, 1862, 37; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 50.
SIMONETTA ISABELLA, vedi SANVITALE ISABELLA
SIMONETTA MARIA, vedi GUERRIERI MARIA
SIMONETTA ORAZIO
Torricella di Sissa-Parma 19 maggio 1612
Figlio di Ottaviano. Militò in gioventù con Alessandro Farnese nelle guerre di Fiandra, comportandosi con onore. Implicato in una congiura contro Ranuccio Farnese, venne arrestato, torturato e infine impiccato.
FONTI E BIBL.: G.P. de Crescenzi, Corona della nobiltà d’Italia, Bologna, 1639; P. Litta, Famiglie celebri italiane, Milano, 1834; C. Argegni, Condottieri, 1937, 253.
SIMONETTA PAOLO
Parma o Piacenza fine del XVI secolo-post 1625
Notaio, si applicò anche alla Medicina e fu giudicato uno dei più valenti medici dei suoi tempi. Fu anche medico della corte di Parma. Compose inoltre sonetti col titolo di Scherzi poetici.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 198-199.
SIMONETTA di TORRICELLA GIUSEPPE, vedi SIMONETTA GIUSEPPE
SIMONETTI ARNALDO
Corniglio 1917- Zona di Himara 23 dicembre 1940
Figlio di Felice.Caporale maggiore, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Caposquadra fucilieri, dopo aver validamente contribuito a respingere un attacco nemico, nuovamente attaccato da forze preponderanti, ricevuto l’ordine di ripiegare, riusciva ad effettuare, dopo accanita resistenza, il movimento del suo reparto su una nuova posizione. Visto il proprio comandante di plotone rimasto solo a fronteggiare l’avversario, accorreva in suo aiuto con un fucile mitragliatore e, nell’ardimentoso gesto, si abbatteva sull’arma mortalmente colpito. All’ufficiale che lo soccorreva, rivolgeva nobili parole e inneggiava alla Patria.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1949, dispensa 4a, 610; Decorati al valore, 1964, 39.
SIMONETTI CARLO
Corniglio 1890-Monte Vodice 28 maggio 1917
Figlio di Virgilio.Alpino, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Quale portaferiti, coadiuvava con fermezza e coraggio il proprio ufficiale medico durante un violento bombardamento nemico e cadeva colpito a morte mentre tentava di salvare un commilitone.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 2a, 119; Decorati al valore, 1964, 39.
SIMONETTI FRANCESCO, vedi SIMONINI FRANCESCO ANTONIO
SIMONETTI GAETANO
Parma 1826
Nel 1826 fu medico a Berceto e fece dono di alcuni libri alla Biblioteca Manara di Borgo taro, istituita in quell’anno.
FONTI E BIBL.: U.A. Pini, Vecchi medici, 1960, 33.
SIMONETTI PAOLO, vedi SIMONETTA PAOLO
SIMONI FRANCESCO, vedi SIMONINI FRANCESCO ANTONIO
SIMONI LUIGI
Parma 1788/1793
Falegname. Verso l’anno 1788 realizzò una cassa d’organo nella chiesa della Santissima Trinità dei Rossi in Parma, con intagli del Marchetti, e fu attivo in Palazzo Sanvitale. Nell’anno 1793 è ricordato per un pagamento per lavori in Palazzo Sanvitale.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato diParma, Carte della famiglia Sanvitale, busta 547; Bezzi, 1978, 114; Il mobile a Parma, 1983, 261
SIMONINI FRANCESCO ANTONIO
Parma 16 giugno 1686-Venezia o Firenze post 1755
Venne educato alla pittura dal Brescianino e da Ilario Spolverini a Parma, dove entrambi gli specialisti di battaglie operarono, nonché sullo studio di Jacques Courtois e delle incisioni di Callot. Si recò poi a Firenze dove soggiornò, lavorò e studiò le opere del Borgognone. Aprì quindi bottega a Bologna (forse tra il 1721 e il 1727), dopo aver vissuto per qualche tempo anche a Roma. Non esistono comunque elementi certi che consentano di precisare le date entro le quali effettuò questi spostamenti o di indicare la durata e la sequenza delle varie residenze. Mancano parimenti notizie circa la sua attività in questo primo lungo periodo. Approdò infine a Venezia, nella cui fraglia pittorica è menzionato dal 1740 al 1745. Ma vi risiedeva già da molti anni, come fanno fede le ricevute di pagamenti (datati 1733 e 1737-1741) fattigli dal feldmaresciallo conte Giovanni Mattia von der Schulenburg, al servizio del quale il Simonini operò. Se poi, come dimostrano anche numerosi suoi disegni manifestamente schizzati dal vero, accompagnò il condottiero tedesco, che guidò le truppe della Repubblica, nelle sue campagne contro i Turchi in Dalmazia e durante la difesa di Corfù (1715-1716), i suoi rapporti con Venezia anticipano addirittura il soggiorno bolognese. Il ritratto equestre del condottiero e nove delle battaglie dipinte per lui sono in deposito al Museo di Hannover e sono la base per una ricostruzione critica del Simonini, dalla tecnica pittorica ricca e sciolta e dai colori pastosi e vivaci. Molte opere del Simonini si trovano sul mercato e in collezioni private: un suo Mercato è nelle gallerie fiorentine e buoni affreschi decorativi a grisaille sono nella villa Pisani di Stra. Tre acqueforti sono citate da Le Blanc. Dal Simonini incisero F. Berardi, P.G. Palmieri, M. Pelli, T. Viero, F. Vivares, J. Magner, D.M. Zilotti (Serie di battaglie inventate e disegnate da F.S. e da altri celebri autori, Bologna 1760). Nei sei anni durante i quali è citato tra i pittori di Venezia, dipinse, secondo l’Orlandi, una sala in casa Cappello (1744; opera della quale non esiste più traccia) e compì (dopo il 1740) gli affreschi nella villa Pisani a Strà. Dopo la morte dello schulenburg (1747), attento collezionista di quadri e sculture per il quale il Simonini, oltre a quella di pittore e disegnatore di battaglie, svolse anche le funzioni di consigliere e restauratore, si recò a Firenze (1749). Sempre secondo l’Orlandi, nel 1753 dimorò ancora a Venezia. Se si considerano autografe l’iscrizione e la data a tergo delle due tele esposte alla relarte a Milano nel 1965, il Simonini fu ancora attivo nel 1755. Il suo linguaggio è innanzi tutto veneziano: la sua predilezione per i colori chiari, stesi a rapidi tocchi, fa pensare a Guardi, anch’egli protetto di Schulenburg. Il Simonini, tra l’altro, maestro di Casanova, fu anche acquafortista. Le sue incisioni, ben costruite e intagliate, sono piuttosto rare e ignorate dai comuni repertori
FONTI E BIBL.: P.A. Orlandi, Abecedario Pittorico, Venezia, 1753; L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso alla fine del xviii secolo, Edizione Quarta, Pisa, 1816, tomo iii, 108; S. Ticozzi, Dizionario degli Architetti, iii, 1832, 346; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 266, G. Fiocco; La pittura veneziana del ’600 e ’700, Firenze, 1929; G. Delogu, Disegni di francesco Simonini a Venezia, in Dedalo 12 1931, 827-840; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, xxxi, 74-75; Mariette, Abecedario 1858-1859; Basan, Diz., 1890; H.H. Füssli, Diz., 2, 1806-1821; Nagler, Diz., 16, 1846; Le Blanc, Man., 3, 1888; Mireur, Diz., 7, 1912; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, Museo di Parma, 1651-1700; F. Bartoli, Le pitture di Rovigo, Venezia, 1793; A. Pelliccioni, Incisori, 1949, 168; G. Lorenzetti, Venezia e il suo Estuario, Milano-Roma, 1927; A.O. Quintavalle, La R. Galleria di Parma, Roma, 1939; G. Lorenzetti, La pittura italiana del ’700, Novara, 1942; R. Pallucchini, I dipinti della Galleria Estense, Roma, 1945; Enciclopedia della pittura italiana, III, 1950, 2302; L. Magagnato, Disegni del Museo Civico di Bassano, Venezia, 1956; C. Donzelli, I pittori veneti del Settecento, Firenze, 1957; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia-Roma 1960; A. Morassi, F. Simonini ein Schlachtenmaler des Settecento, in Pantheon 1 1961; T. Pignatti, La Fraglia dei pittori di Venezia, in Bollettino dei Musei civici veneziani, n. 3, 1965, 16-39; E. Bénézit, vii, 777; F. Cessi, in Le Muse xi, 105; A. Rizzi, Mostra della pittura del ’700 in Friuli, catalogo, Udine, 1966; S. Beguin, Notes sur Francesco simonini, in Arte Veneta 20 1966, 282-285; F. Haskell, mecenati e pittori, firenze, 1966, 47; G.M. Zuccolo Padrono, I disegni di A.F.Simonini, in Arte Veneta 21 1967, 185-194; M. Precerutti Garberi, Affreschi settecenteschi nelle Ville Venete, Milano, 1968; Arte e incisione a Parma, 1969, 43; Pitture, disegni e stampe del ’700, dalle collezioni dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, catalogo, Gorizia, 1973; Dizionario Bolaffi, x, 1975, 329; M. Zecchini, Note su francesco Antonio Simonini, Milano, 1976; Architectural, ornament, Landscape, and Figure Drawings, middlebury College, Vermont, 1975, 67-68; Gli affreschi nelle Ville Venete dal Seicento all’Ottocento, Milano, 1978; E. Martini, La pittura del Settecento veneto, Maniago, 1981; La battaglia nella pittura del xvii e xviii secolo, 1986, 415-418; Dizionario pittura e pittori, V, 1994, 221.
SIMONIS
Parma 1788/1791
Nel 1788 cantò per l’Accademia Filarmonica di Parma nel concerto tenuto la prima domenica di quadragesima: venne retribuita con 5 pezze di Spagna. Il 6 marzo successivo si esibì in un’accademia d’onore e nel 1790 venne scritturata per cantare in tutti i concerti organizzati dalla società. Il 30 aprile 1791 la reggenza dell’Accademia deliberò di pagarla con 4 zecchini, dato che ha cantato diverse volte nelle serali accademie.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Accademia; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
SIMONIS FERDINANDO
Parma 28 novembre 1773-Parma 13 marzo 1837
Figlio di Georges, cornista dell’orchestra ducale di Parma, e di Domenica Marcheselli. Studiò, oltre che con il padre, con Rolla, Fortunati, Lanfranchi e Ghiretti. Nel 1789 divenne violista della Reale Orchestra di Parma e poi maestro al cembalo al Teatro Ducale, comparendo contemporaneamente nella veste di cantante in alcuni teatri cittadini. Appare nelle cronache cantore nel Teatro di Santa Caterina, nel Pigmalione di Sografi-Cimadoro, da J.-J. Rousseau, nel 1810, e l’anno successivo in una ripresa di Agnese di Paër. Nel 1812 aprì nella propria casa una scuola di musica che però ebbe vita breve, salvo per le lezioni di canto. Più tardi (2 maggio 1818), grazie all’appoggio della duchessa Maria Luigia d’Austria, divenne insegnante di canto e direttore artistico della Scuola di canto corale nell’ospizio delle Arti di Parma e maestro al cembalo, ossia responsabile delle voci e del palcoscenico, dell’Orchestra di Corte (nominato il 9 maggio 1816; tra il 1819 e il 1820 ne fu il direttore) sino al 1834. La funzione didattica pubblica, esercitata in maniera forse non sempre commendevole, gli attirò dal palazzo censure e rilievi assillanti. Fu anche maestro di cappella del Concerto privato della Duchessa (dal 2 dicembre 1816) e della chiesa della Steccata di Parma (1830-1836). La segnata ma nascosta incidenza del Simonis nella cultura musicale parmense va ricercata nelle funzioni plurime svolte da lui assiduamente e con burocratica efficienza, non soltanto quale sovraintendente e controllore dell’orchestra, ma anche come maestro privato della Sovrana, collaboratore nella definizione dei programmi delle accademie di Corte, nell’esecuzione al pianoforte ove occorresse e fornitore di musiche trascritte e arrangiate per quelle circostanze domestiche. Fu autore delle seguenti composizioni per orchestra: Concerto per pianoforte (1808), Grand Concert (1808), cinque Quadriglie; due Polonaises, De profundis per soli coro e orchestra (1835). Compose inoltre Cantata per la nascita del Re di Roma (testo di Bottioni, 1811), Marte e la pace, per il genetliaco di Napoleone (testo di Bottioni, 1812), Annunzio del vicino arrivo di S.M. la Principessa Imperiale Arciduchessa d’Austria Maria Luigia (F. Maestri, 1816) e liriche, tra cui due con accompagnamento di chitarra.
FONTI E BIBL.: C. Gallico, Le capitali della musica. Parma, 1985, 140-142; Dizionario musicisti Utet, vii, 1988, 297.
SIMONIS GEORGES
Francia ante 1754-Parma 25 maggio 1801
Fu suonatore di corno da caccia del Real Concerto di Parma dal 1754, con l’annuo stipendio di 5000 mila lire dal 1° aprile 1766. In Parma si sposò con Domenica Marcheselli della vicinia della Santissima Trinità ed ebbe due figli: ferdinando e Giovanni, anch’essi musicisti. Il Simonis fu anche suonatore d’arpa.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato parma, Ruolo A, i, fol. 154; H. Bédarida, Parme et la France, Paris, 1928, 489; Libri del Battistero alla data sopraindicata; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 209; dizionario musicisti Utet, vii, 1988, 297.
SIMONIS GIOVANNI
Parma 12 febbraio 1776-
Figlio di Georges, musicista alla corte ducale di Parma, e di Domenica Marcheselli. Fu tenuto a battesimo da Giovanni Grilliet e, in suo nome, da Giovanni Menot. Fu nominato il 22 dicembre 1800 suonatore di viola in soprannumero del Reale Concerto di Parma.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Ruolo B, I, fol. 255; Libri del Battistero; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 209; N.Pelicelli, Musicisti in Parma, in Note d’Archivio 1934; C.Gallico, P.Guarino e G.P.Minardi, F.Simonis musicista in Parma, parma, 1978; Dizionario Musicisti Utet, VII, 1988, 297.
SIMONIS LUIGIA
Parma 1837/1838
Arpista, nella stagione di Carnevale 1837-1838 suonò al Teatro Ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: Inventario; Stocchi; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.