LARGAIOLLI - LEVRINI
LARGAIOLLI ADELE, vedi PATERI ADELE
LARI GIUSEPPE
Sanguigna 1828-1908
Burattinaio pressoché sconosciuto a Parma ma assai noto in Toscana, dove lavorò.La sua fama è legata anche alla collezione di copioni che venne raccogliendo e che furono poi portati a Imola nella casa di Carlo Conti, poeta e burattinaio.Del Lari si ricorda una scena in particolare, rievocata anche dal giornalista Pietro Toldo sulla Gazzetta Ufficiale di Torino: Fasolino piange mentre un amico gli chiede il motivo della sua disperazione.Gli domanda se lo hanno offeso, se gli hanno dato del ladro, del cornuto, della spia. A ogni richiesta Fasolino risponde che gli è accaduto qualcosa di peggio.Infatti, prorompe alla fine, lo hanno chiamato dragone.La satira del dragone venne ripresa più volte dai burattinai successivi, anche se la battuta ebbe poi come bersaglio personaggi diversi.
FONTI E BIBL.: Proposta 5 1976, 16.
LARINCELLI
Parma 1766
Fu cantore alla Cattedrale di Parma il 30 marzo 1766.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.
LARINI ANDREA
Parmense 1679 c.-
Fratello di Giuseppe, pubblicò nel 1710 un’operetta che porta il titolo Breve historia della vita, leggi et abusi de’ Ciarlatani data in luce da me Andrea Larini Parmegiano.Il poco che dal suo scritto può rilevarsi intorno alla sua vita riguarda particolarmente l’inizio della sua arte, quando, decenne, incontrò sulla piazza un saltimbanco che, per attrarre il pubblico, aveva con sé un ragazzetto che eseguiva salti e capriole.In poco tempo imparò anch’egli a fare altrettanto e, dopo cinque mesi, essendo ritornato il ciarlatano, col consenso dei genitori, partì con lui. Questi non vendeva che triaca, ma nei tre anni che fu con lui il Larini ebbe agio di conoscere le furberie degli altri ciarlatani.Quando al suo principale, che conviveva con altra donna e che aveva abbandonato la moglie legittima, la polizia ordinò lo scioglimento della comitiva, il Larini volle mettere a profitto le sue abilità ginnastiche.Dopo aver peregrinato per qualche tempo, chiamò due suoi fratelli, li ammaestrò a saltare e ballare sulla corda e con loro girò in quel modo l’Italia, guadagnandosi il vivere colle loro fatiche honoratamente senza gabbare il prossimo come fanno i ciarlatani.Dopo essere passati per Roma e Napoli, a Livorno si imbarcarono per passare in Francia col Re dei Ciarlatani, pur non conoscendo una sillaba di francese.Dopo poco si unirono a un altro saltimbanco, buon chirurgo e botanico.Con lui il Larini rimase un anno e mezzo, prendendo tanta passione per la chirurgia e la botanica da non curarsi più di saltare.Passò poi con un altro saltimbanco ancor più valente, che lo istruì nell’arte medica.Essendo questi stato chiamato in Gran Bretagna per operare un ricco signore di mal di pietra, lo dovette lasciare.Il Larini si recò allora a Montpellier ove per tre anni studiò la chirugia, specializzandosi nella cura delle ernie e cateratte. Alla fine degli studi tornò in Italia. A conclusione della sua operetta, il Larini aggiunge un trattatello sulle ernie, sua specialità, dicendosi capace di operarle al pari di qualsiasi altro professore: le descrive con esattezza e precisione di linguaggio, spiega come contenerle coi cinti ma non spiega affatto in quale modo egli operasse gli infermi restii a portare il cinto.
FONTI E BIBL.: L.Gambara, Cerretani, 1928, 162-165.
LARINI ANGELO
Parma 1866
Soldato, fu decorato con medaglia d’argento al valore militare dopo la battaglia di Villafranca (24 giugno 1866).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.
LARINI ANTONIO
Parma 24 luglio 1853-post 1888
Studiò alla Regia Scuola di musica di Parma dal 1864 al 1871, diventando anche buon timpanista. Per diversi anni fu primo clarinetto della banda del 66° Reggimento di Fanteria. Il Dacci scrive che nel 1888 era vice direttore della banda particolare del senatore Rossi di Schio.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LARINI FRANCESCO
Parma 1779
Ballerino. Nel dicembre 1779 presentò domanda per essere assunto per i balli del successivo Carnevale (Archivio di Stato di Parma, Spettacoli e Teatri borbonici, b. 4).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
LARINI GASPARE, vedi LARINI GIUSEPPE
LARINI GIUSEPPE
Parmense 1680 c.-Firenze post 1740
Fu rinomato cavadenti.Del Larini è appena un cenno nelPezzana (p.674, tomo VII) ove è riportato il titolo della sua operetta edita a Firenze (1740, Stamperia Pietro Matini), che porta per titolo Trattato sopra la qualità dei denti, col modo di cavargli, mantenergli, fortificargli, coll’aggiunta di un famoso secreto per lo scorbuto ed altre flussioni, ed il modo di adoperare il famoso opiatto per conservargli sani, dato in luce da Giuseppe Larini, Dentista Parmigiano in Firenze.Presume il Pezzana che egli sia nato verso il 1680, desumendolo dalla Prefazione.Da ricerche fatte sui registri del Battistero di Parma non risulta il suo atto di battesimo né quello del fratello Andrea: evidentemente quindi il Larini nacque non in Parma ma in Provincia.Poco può desumersi della sua vita dal detto trattatello: pare indubbio che abbia cominciato col fratello Andrea a peregrinare come saltimbanco, per poi imparare a fare il cavadenti a Montpellier e, dopo lunga dimora in Francia, terminare col prendere stabile residenza a Firenze.Nella dedica si scusa di non poter far pompa di ingegno nè sfarzo d’eloquenza conciosiacosachè non tratta di cose astruse e difficili nè già Egli giammai attese a studii di umane lettere e solo a lunghe peregrinazioni stimolato dall’impulso di rendersi abile nella sua professione per poter giovare al prossimo, e prende l’ardire di dare in luce la sua operetta dietro la pressione e violenza d’ogni sorte di gente, frutto di lunga esperienza ed innumerevoli operazioni eseguite per grazia della Divina Misericordia e di S. Apollonia, mia protettrice, cui in principio d’ogni mia opera rivolgo la mente.Nel trattatello descrive il modo di conservare i denti, le loro varietà e i ferri per estrarli, due dei quali il Larini dice di sua invenzione. Il segreto per lo scorbuto della bocca si riduce a quello che il buon senso e l’esperienza avevano già insegnato ai buoni pratici del tempo. Quanto poi alla specialità dell’opiatto non spiega precisamente cosa sia: afferma essere una composizione del famoso dentista parigino il Carmelina, che era stato suo maestro, ne decanta le virtù e ricorda le richieste che aveva avuto da tutta Italia. Sul libretto del Larini fu pubblicata una esauriente e dotta monografia da Giovanni Corradi (Parma, OfficinaGrafica Fresching, 1928), corredata di tre tavole a fototipia riproducenti quelle del Larini.L’opera fu poi integralmente ristampata nelle pagine di appendice del periodico mensile La Stomatologia.Solo in seguito si poté accertare che il lavoro del Larini è identico a quella parte dell’opera del parmigiano Colombani che descrive i denti e i mezzi per curarli.Tutta l’operetta del Larini risulta una copia letterale, le tavole incise sono le stesse ricopiate e perfino gli strumenti che il Larini descrive come di sua invenzione sono gli stessi disegnati e descritti dal Colombani. Anche le operazioni che il Larini afferma di aver eseguito coll’aiuto della Divina Misericordia e di Sant’Apollonia sono già descritte nell’operetta del Colombani come eseguite da lui o dalla sua consorte Apollonia sedici anni prima.
FONTI E BIBL.: L.Gambara, Cerretani, 1928, 161-162.
LARIOLO dei FIORI, vedi FIORI LARIOLO
LAROCCA LUCA
Parma 1440
Fu maestro di logica e dottore del Collegio di Arti e Medicina.Nel 1440, insieme ad altri, aggiornò il Corpo delle norme statutarie del Collegio.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1951, 186-187; G.Pighini, Storia di Parma, 1965, 101.
LASAGNA DEOGRATIAS
Voltaggio 1825-Parma 27 ottobre 1896
Figlio primogenito di sette fratelli di Francesco e Maria Repetti. Si trasferì a Parma coi genitori nel 1831. Studiò nell’Accademia parmense di Belle Arti sotto la guida di Biagio Martini. Molto probabilmente è da identificarsi in quel Lasagni che nel 1839 espose nel Palazzo del Giardino due ritratti dal vero, e la copia di una testa di buon pennello. Due anni dopo espose anche Una donna che conduce due bimbi all’asilo e Bimba che piange un uccellino morto. Nel 1822 la duchessa Maria Luigia d’Austria gli commissionò un Sacro Cuore di Gesù, che venne poi ereditato da Leopoldo d’Austria. Indi, nel 1843, il Lasagna si trova iscritto presso l’Accademia di Belle Arti nei registri della sezione disegno e nel 1845 presentò in pubblico dei quadri di paesaggio. Appena dopo, il Lasagna si recò in America dove, a Rio de Janeiro, nel 1848 ebbe da don Pedro del Brasile una medaglia d’oro. Lavorò pure a San Francisco. In quel periodo, attendibilmente, dipinse un Autoritratto che si conserva nella Galleria Nazionale di Parma come anonimo, sul cui retro è scritto eseguito a Rio de Janeiro e premiato nel 1846. Tornato in Italia nel 1856, espose a Parma per l’Incoraggiamento Alla prima comunione, opera che venne estratta al duca Roberto di Borbone, e l’anno dopo, prima a Piacenza e poi a Parma, l’Abdicazione di Maria Stuarda, che fu vinta da Francesco Martini. Nel 1858, alternativamente presentò in pubblico Paolo e Francesca, Il Tintoretto che ritrae Pietro Aretino e Due ritratti. Ancora, nel 1859 Il ferito, riproposto l’anno dopo, due teste di genere rappresentanti un carbonaio e un templario, la Colazione, sorteggiata al Comune di Salsomaggiore, e un Ritratto.Infine nel 1863 esibì un congruo numero di dipinti all’Esposizione Industriale Provinciale: Un episodio della Battaglia di Montebello, Il bevitore, Ritratto di vecchia, Ritratto di Famiglia, Ritratto di uomo, Ritratto di donna, L’Entrata di Garibaldi in Palermo, Ritratto di Garibaldi, Il fumatore, Un templario, Il ciabattino, L’abdicazione di Maria Stuarda, Costume sardo e Ritratto di vecchia signora.Nel 1872 invece riespose alla seconda Mostra Nazionale di Milano l’Episodio della battaglia di Montebello.Oltre che in America, il Lasagna si recò a Londra e in Sardegna, praticando, assieme ai vari generi di pittura, l’arte miniaturistica. Alla ricerca di una propria forma di linguaggio, non disdegnò di cimentarsi in ogni campo artistico, dal ritratto alla miniatura e all’acquerello, dal paesaggio agli interni di ambiente e a piacevoli scenette piene di immediatezza.Fece parte del gruppo di pittori che, nell’Ottocento, furono influenzati, soprattutto nel paesaggio, da Giuseppe Boccaccio, come Drugman, Giuseppe Alinovi, Erminio Fanti, Giacomo Giacopelli e Luigi Marchesi.Del Marchesi il Lasagna apprezzò gli interni e le piccole pitture di cavalletto e vi trovò accorgimenti necessari per esprimere effetti di luce e uso del colore. Il Lasagna fu anche fotografo: la ditta Lasagna Deogratias, fotografo, strada San Michele n.115 figura nella matricola della Camera di commercio dal 1866.Sulle origini della sua passione meno nota (che tuttavia divenne autentico abito professionale per undici anni) si possono citare, da un lato, le influenze familiari (il fratello Fortunato), dall’altro l’amicizia con Giacomo Isola, suo compagno di Accademia e fotografo a sua volta. Altre coincidenze vengono dai ruolini della Guardia Nazionale, in cui il Lasagna militò (nel 1859) a fianco di Bartolomeo Baroni e Alberto Weiss, due nomi cui toccò un posto non irrilevante nella storia della fotografia locale.Una sorella del Lasagna, Irene, andò sposa al marchese Guido Dalla Rosa, poi deputato al Parlamento e sindaco di Parma dal 1875 al 1877, e dell’illustre cognato il Lasagna lasciò pregevoli ritratti fotografici in varia foggia.Sposato (1844) con Maria Rabaiotti Williams (nata a Londra), ne ebbe tre figli: Arturo, Francesco ed Enrico.Iniziò l’attività fotografica prima da solo e poi subito dopo in società con Lodovico Vernizzi, successore di Guido Calvi.Cessò l’attività di fotografo nel 1876.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1 maggio 1839, 154; Gazzetta di Parma 1 Maggio 1841, 156; C.Malaspina, 1841, 148; C.Malaspina, 7 giugno 1845, 187; G.Negri, 1852, 60; Gazzetta di Parma 15luglio e 2 agosto 1856, 637 e 701; Gazzetta di Parma 18 agosto e 6 ottobre 1857, 737 e 901; G.Panini, 1857, 945; X., in l’Annotatore, 1957, 130; Esposizione delle opere, 1858, 11; Gazzetta di Parma 18 settembre 1858, 842; F.G., in Gazzetta di Parma 1858, 854; C.I., in l’Annotatore, 1859, 170; A. Billia, 1860, 1247-1248; Gazzetta di Parma 11luglio 1863, 615; Esposizione industriale provinciale, 1864, 92; P.C.Ferrigni, 1873, 150-151; G.Copertini, 1936, 66; G.Copertini, 1954, 132; La PinacotecaStuard, 1961, 48; G.Copertini-G. Allegri Tassoni, La pittura parmense dell’800, 1971, 59; DizionarioBolaffi Pittori, VI, 1974, 361; Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 70; Rosati, Fotografi, 1990, 67; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 268; M. Sacchelli, in Gazzetta di Parma 31 luglio 1995, 5.
LASAGNA DEOGRAZIA, vedi LASAGNA DEOGRATIAS
LASAGNA FORTUNATO
Voltaggio 1828-Parma 16 febbraio 1856
Figlio secondogenito di sette fratelli di Francesco e Maria Repetti.Si trasferì a Parma con i genitori nel 1831. Si dedicò alla figura (alcuni ritratti sono conservati alla Pinacoteca Stuard di Parma) e al paesaggio.La sua produzione pittorica è scarsa perché, ardente patriota, fu tra i volontari della Prima Colonna Mobile Parmense al campo di Carlo Alberto, partecipando il 3 maggio 1848 alla battaglia di Santa Lucia, nell’attacco a Verona, dove venne gravemente ferito.Delle sue opere, si conoscono solo Veduta di Parma (acquerello), premiata all’Esposizione della Società d’Incoraggiamento degli Artisti Parmensi del 1854 e attruibuita, per sorteggio, al marchese Galeazzo Calciati, e La porta sud del Battistero, opera premiata all’Esposizione del 1855 e sorteggiata ad Amilcare Paralupi.Sono state anche individuate alcune tavole litografiche raffiguranti scenografie di Girolamo Magnani, litografate da Philippe Benoist e Alberto Pasini, per l’editore parigino Rose-Joseph Lemercier, delle quali il Lasagna effettuò il disegno. Inoltre alcuni altri suoi disegni servirono per alcune tavole illustrative del Teatro Regio di Parma (tra le quali l’Astrolampo), dopo i lavori voluti da Carlo di Borbone. Il Lasagna fu un pioniere della fotografia in Parma.Il pezzo storico esistente a suo nome è un dagherrotipo con l’immagine, purtroppo irrimediabilmente logorata, del giovane Gualtiero Cattani.La firma, incisa a bulino, a destra della lastra argentata, riporta: F.Lasagna 1849 (dagherrotipo di famiglia, già appartenente ad Antonino Maresca).Pubblico riconoscimento all’attività fotografica del Lasagna venne da una nota di Antonio Toscani, in margine a uno degli articoli pubblicati da Guido Calvi su La Palestra, del 17 febbraio 1855 (A proposito di Fotografia sulla carta o Talbotipia): Questa importantissima applicazione della Fotografia venne da pochissimo tempo introdotta anche fra noi dal nostro concittadino ed amico Signor Fortunato Lasagna.Valga il favore generale che accolse le prime fatiche dell’egregio Artista a procurargli quell’incoraggiamento e quei compensi che meritano la sua intelligenza ed attività, veramente piuttosto ammirabili che comuni.Sono di quel periodo tre belle calotipie realizzate a Modena: due rappresentano particolari del Duomo, l’altra raffigura la statua di Ludovico Muratori, con tre personaggi in tuba.Sono marchiate in rilievo Frères Lasagna - Parme e una stampa presenta la scritta Modena 24 giugno 1855..
FONTI E BIBL.: G.Copertini, La pittura parmense dell’800, Milano, 1971, 59; DizionarioBolaffi Pittori, VI, 1974, 361; Aurea Parma 1 1989, 39-40; R.Rosati, Fotografi, 1990, 64.
LASAGNA FRANCESCO
Parma 21 luglio 1882-Milano 4 giugno 1946
Nacque da Deogratias e Maria Rabajotti Williams.Nel 1925 sposò la cittadina ungherese Margit Gaspar.Si laureò in medicina e chirurgia nell’Università di Parma il 13 giugno 1906 e nel 1908 venne nominato assistente effettivo della Clinica Otorinolaringologica di Torino.Conseguì la libera docenza nel 1911 e l’anno successivo venne chiamato all’Ospedale di Parma e nominato consulente delle Terme di Salsomaggiore.Partecipò come volontario alla guerra 1915-1918 e fu decorato della Commenda della Legion d’Onore di Francia.Passati gli anni di guerra, tornò alla sua attività professionale nella quale eccelse rapidamente.Nello stesso 1918 venne nominato incaricato di Clinica Otorinolaringologica presso l’Ospedale di Parma, ove in pochi anni trasformò un modesto ambulatorio specialistico in una moderna e attrezzata clinica.Nel 1942 fu nominato Direttore della Clinica Otorinolaringoiatrica dell’Università di Milano.Visitò ospedali negli Stati Uniti e in Canada.Fondò l’Associazione italo-americana tra medici, con lo scopo di propagandare la scienza italiana all’estero.Costituì la Biblioteca medica del Columbus Hospital italiano di New York.Autore di 115 pubblicazioni, diresse diverse riviste scientifiche, fu relatore a congressi in Italia e all’estero e valorizzatore instancabile delle stazioni termali italiane (in particolare quella di Salsomaggiore). Scrisse, tra l’altro, La scienza medica americana (Fidenza, 1933) e pubblicò altri studi in Rivista Patologia nervosa e mentale (1908), in Bollettino SocietàMedicina di Parma (dal 1912 al 1928) e in L’Ateneo Parmense (1929, 1930, 1933e 1940). Fu fondatore, per disposizione testamentaria del 20 febbraio 1946, dell’Istituto Maria e Margherita Lasagna eretto in Ente Morale e aggregato agli Istituti Femminili Raggruppati per decreto presidenziale 21 marzo 1953. In base a tale testamento il Lasagna nominò eredi di quasi tutti i suoi beni gli Istituti finché questi dedicassero a Maria e Margherita Lasagna, rispettivamente madre e moglie, un Istituto benefico che agli scopi tradizionali aggiungesse anche quello di dare alle fanciulle assistite una istruzione professionale agraria.
FONTI E BIBL.: F.Rizzi, Professori, 1953, 137-138; E.Sapegno, Un secolo di progresso scientifico italiano, IV, 269; G.Trombi, Dall’Ospizio delle Orfane, 1963, 71-72; T.Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 350; R.Lasagni, Bibliografiaparmigiana, 1991, 191.
LASAGNI DEOGRATIAS, vedi LASAGNA DEOGRATIAS
LATA NICOLÒ, vedi LALATTA NICOLÒ
LAUGER ABELARDO
Parma 19 novembre 1843-post 1888
Studiò alla Regia Scuola di musica di Parma dal 1856 al 1861 e si dedicò poi alla professione orchestrale. Dopo essere stato scritturato nei primari teatri italiani, percorse una brillante carriera come contrabbasso al cembalo nelle orchestre delle principali città dell’Africa (Il Cairo e Alessandria), in Asia (Silma, Lahore, Accra, Nuova Dehli e Calcutta: qui rimase per quattro anni al servizio del vicerè delle Indie) e in America del Sud (Montevideo, Buenos Aires e Rio de Janeiro). In queste due ultime città venne confermato per sette anni consecutivi. Il Dacci riporta che nel 1888 si stabilì alla Plata in Argentina.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LAURENT ANTONIO
Parma 1831
Ex guardia ducale, ricco banchiere, liberale, durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico.Figurò nell’elenco degli inquisiti di stato.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 179.
LAURENT LODOVICO
Parma 1800/1831
Fratello di Antonio.Fu giudice del Tribunale di commercio (1811-1812) e membro della Commissione per discutere i cambiamenti fatti al Progetto del Codice Civile, compilato dalla Commissione legislativa di Parma (1817). Durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico e in relazione con la famiglia Melloni. Al ristabilirsi del Governo di Maria Luigia d’Austria fu nominato rappresentante della ferma mista in luogo del conte di Castagnola.Fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: Tavola alfabetica de’ cognomi e de’ nomi de’ magistrati, 410; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 177; L.Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 363.
LAURENTI LODOVICO, vedi LAURENT LODOVICO
LAURENTI PELLEGRINO
Bazzano 1789
Fu tenente delle truppe ducali di Parma (censimento 1789).
FONTI E BIBL.: F.Barili, Arcipreti di Bazzano, 1976.
LAURERI ETTORE
Alessandria 1901-Parma 1965
Di famiglia patrizia ligure, si trasferì a Parma in tenera età presso il nonno materno, colonnello De Maldè, eroe della campagna di Crimea e di Palestro. Sportivo e amante della natura, il Laureri fu tra i pionieri dello scoutismo parmense, tra i fondatori del Moto Club Parma, membro dell’Aereo Club e pilota.Laureato a Milano in Ingegneria industriale e specializzato in elettrotecnica, fu collaudatore all’aerodromo di Cascina Costa.Partì volontario per l’Africa e combattè valorosamente in Etiopia e Somalia.Designato come addetto aeronautico presso l’Ambasciata d’Italia a Washington, la sua partenza fu impedita dallo scoppio della seconda guerra mondiale.Rimase quindi presso il Ministero.Dimessosi nel 1944, fu chiamato come dirigente in importanti industrie a Torino e Varese.Fu inoltre segretario generale dell’Aeronautica Macchi.
FONTI E BIBL.: F.e T.Marcheselli, DizionarioParmigiani, 1997, 174.
LAURINDA TIMBREA, vedi STOCCHI CATERINA
LAURINI ANGELO
Busseto 1766/1770
Falegname, nel 1766 realizzò vari lavori, nel 1767 la Porta della fabrica nuova, mobili e restauri e nel 1768-1770 lavori vari per il Monte di Pietà di Busseto.
FONTI E BIBL.: Archivio del Monte di Busseto, Filze pagamenti 1766-1769, 1770-1773; Il Mobile a Parma, 1983, 260.
LAURINI GUGLIELMO
Bastelli 9 agosto 1869-Fidenza 31 dicembre 1948
Compì gli studi nel Seminario diocesano di Borgo San Donnino, dove era entrato nell’autunno del 1881, e fu ordinato sacerdote dal vescovo G.B.Tescari il 23 settembre 1893.Preposto all’insegnamento in Seminario, fu in pari tempo destinato curato nella parrocchia cittadina di San Pietro Apostolo, della quale, il 27 gennaio 1898, divenne egli stesso parroco, mansione che svolse sino alla morte, ricoprendo nel contempo altri importanti incarichi.Nel 1934 fu canonico onorario della Cattedrale. Spinto da naturale inclinazione al giornalismo, ebbe parte nella fondazione del settimanale diocesano, nella cui direzione successe (1920-1947) a Nino Mantovani.Scrittore d’ingegno e polemista di valore, dalle colonne de Il Risveglio mise tutta la sua personalità nella difesa costante e tenace dei diritti della Chiesa, della Patria e della libertà. Curò lo sviluppo dell’Azione Cattolica, fiancheggiò e incoraggiò l’oratorio maschile interparrocchiale, che muoveva i primi passi sotto la guida di Luigi Masnini, e fu il principale propulsore e la guida delle cooperative popolari al loro primo sorgere.Nella Giunta diocesana fu sempre uno dei più quotati consiglieri e membro fattivo. Quando monsignor Fabbrucci, dopo che era stata disciolta, la ricompose nel 1916, il Laurini ne risultò presidente, svolgendovi larga e proficua attività. Uomo d’azione, solo in età avanzata, dopo che una paralisi ne aveva stroncata la fibra e fiaccate le energie, lasciò lentamente ogni attività, fatta eccezione per la cura d’anime, che continuò a esercitare come parroco. Il Risveglio rimane legato al nome delLaurini perché si può dire che i primi cinquant’anni del settimanale furono quasi totalmente guidati e sostenuti da lui.Vi profuse tutto il suo ardore giovanile, la sua esperienza di pastore e la sua energia. I primi anni furono i più difficili: accanite opposizioni, sorda animosità e scarsezza di mezzi rappresentarono i maggiori ostacoli che egli trovò sul proprio cammino. Tenne forti contraddittori giornalistici prima della guerra 1915-1918 con l’onorevole Agostino Berenini. Il Laurini ebbe una cultura senza ostentazioni, che si estendeva dal campo politico a quello storico.L’indagine storica del Laurini fu tutta dedicata a Fidenza.Nel 1925pubblicò il volume San Donnino e la sua città, opera che vide varie edizioni.Lo scopo agiografico di esaltare la figura del Santo, martire e patrono, si riconnette con quello di stendere un ristretto compendio della storia di Borgo San Donnino.Non vi è monumento religioso o profano di Fidenza, dalla Cattedrale alle chiese e oratori, dal Ponte romano alla Rocca, che non abbia trovato nell’opera del Laurini una guida esauriente.Né dimenticò gli uomini illustri fidentini, cui dedicò un capitolo a chiusura del libro.Benché le sue indagini storiche non siano state sempre condotte con rigoroso scrupolo analitico e critico, gli vanno riconosciute doti di raccoglitore diligente e di espositore chiaro e convincente.Il Laurini si era prefisso di stendere un’altra opera di notevole impegno, le Memorie patrie di Fidenza, intorno alla quale già aveva a lungo lavorato, ma la morte gli impedì di condurla a termine.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 85; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 216-218; C.Gervasoni,La Chiesa di S.Pietro Apostolo, 1990, 53.
LAURITZEN ARNDTCopenaghen 1915-Vignale 25ottobre 1978 Negli anni Trenta studiò in Belgio e in Germania, al tempo dei primi fermenti del movimento nazista.Si laureò in Filosofia all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul tomismo.Come sottufficiale dell’esercito danese cominciò la sua lotta di resistente partecipando alla guerra finnico-russa: la guerra di Carelia.Con l’arrivo delle truppe tedesche che occuparono la Danimarca, fuggì con altri ufficiali per riorganizzare all’estero la resistenza con gruppi combattenti clandestini.Giunto in Italia, fu nella provincia di Parma un instancabile promotore della guerra partigiana segnalandosi ben presto per doti non comuni di organizzatore e di stratega e riuscendo ad attirarsi forti simpatie non solo tra i partigiani, ma anche tra la popolazione civile.Capo di Stato maggiore nella IV Brigata Giustizia Libertà, il Lauritzen fin dal settembre del 1944 giocò un ruolo determinante con la missione inglese del capitano Holland, che entrò in funzione nel suo settore operativo. Indubbiamente uno dei fattori principali della ripresa dell’attività partigiana del settore orientale parmense fu proprio la decisione degli inglesi di allacciare rapporti preferenziali con la brigata del Lauritzen.Gli inglesi (e il capitano Holland in particolare) ritennero di far sicuro affidamento su di lui, data la sua perfetta conoscenza dell’inglese (il Lauritzen parlava correntemente sei lingue) e la sua eccezionale personalità, per la conduzione dei difficili rapporti con le formazioni partigiane.Il lauritzen fu poi sempre presente in tutte le vicende della IVBrigata Giustizia Libertà e successivamente, della IIIJulia: la sua figura è indubbiamente emblematica della lotta resistenziale parmene.Nell’ambito dell’intensa attività militare svolta dalla IVBrigata Giustizia Libertà, degna di essere ricordata è un’audace azione condotta dal Lauritzen contro il presidio tedesco di Lesignano Bagni.Il 20 settembre 1944 sessanta uomini della IVBrigata Giustizia Libertà attaccarono il presidio: ilLauritzen, travestito da capitano tedesco, si presentò alla sentinella e la costrinse ad accompagnarlo all’interno della caserma insieme ad alcuni partigiani russi.I tedeschi, sorpresi, accennarono a una reazione ma i partigiani, seppure numericamente inferiori, riuscirono a portarsi fuori dalla caserma e a ricongiungersi con i compagni che nel frattempo avevano attaccato il vicino deposito della sussistenza tedesca.Nel periodo agosto-novembre la brigata guidata dal Lauritzen dovette sostenere numerose puntate nemiche verso Tizzano, che era sede del comando e centro di tutto il dispositivo difensivo della brigata, puntate che furono tutte respinte con successo e che impedirono al nemico di raggiungere i suoi obiettivi.L’attacco contro il presidio tedesco di Lesignano suscitò numerose polemiche.Comunque ebbe conseguenze positive: infatti alcuni giorni dopo i tedeschi, non sentendosi più sufficientemente sicuri, abbandonarono definitivamente il paese lasciando libera un’ampia zona che passò sotto il controllo partigiano.Dopo vari problemi di carattere essenzialmente politico che investirono la IVBrigata Giustizia Libertà, ilLauritzen iniziò una frenetica attività che lo portò nel giro di pochi mesi ad avere ai suoi ordini una efficientissima formazione pronta al combattimento.La brigata dopo qualche tempo assunse il nome di Julia e si diede una precisa fisionomia politica, appoggiandosi al partito democratico cristiano: su questa soluzione influì il chiaro e deciso orientamento cattolico del Lauritzen e il suo grande ascendente sui partigiani.La IIIJulia si distinse in azioni decisive che ebbero come coronamento l’attacco a Parma, condotto in collaborazione con le altre brigate partigiane, che portò alla liberazione definitiva della città.Dopo varie manovre di avvicinamento alla città, alle ore 3,30 del 26 aprile il Lauritzen impartì ai propri reparti, schierati in pieno assetto di guerra lungo la via Emilia Est, l’ordine di marcia.La brigata, attraverso vari rastrellamenti e avanzando cautamente, senza tuttavia essere fatta segno ad attacchi, giunse in piazza Garibaldi. Qui alcuni patrioti esposero dal palazzo del Governatore la libera bandiera del Comune di Parma, porgendo, tra indescrivibili manifestazioni di entusiasmo popolare, il saluto dei partigiani alla cittadinanza.Il Lauritzen fu dunque il primo comandante partigiano a entrare a Parma.Nei giorni immediatamente successivi fu merito della sua autorità e della sua fermezza se a Parma non si ebbero eccessi di indiscriminata vendetta.Per tre giorni infatti presidiò in armi il carcere di SanFrancesco impedendo l’ingresso a quanti volevano entrare per massacrare senza processo i prigionieri fascisti. Per le sue gesta fu decorato di medaglia d’argento al valor militare.Dopo la guerra il Lauritzen si stabilì definitivamente nel Parmense, a Vignale di Traversetolo.Dopo aver svolto varie attività nel campo dell’industria, dai primi mesi del 1978, ricoprì la carica di amministratore unico dell’emittente radiofonica Radio Parma e di quella televisiva Parma TV 21.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 27 ottobre 1978, 5.
LAUTPERTO, vedi LANTPERTO
LAVACHER FRANCOIS, vedi LEVACHER FRANCOIS-GUILLAUME
LAVACHIELLI MATTEO
Tiedoli 14 settembre 1841-Reggio Emilia 28 ottobre 1902
Frate cappuccino, fu lettore, guardiano, medicatore e per molti anni calendarista.Compì a Novellara la vestizione (14 ottobre 1863) e la professione di fede (16 ottobre 1864).Dispensato dai voti all’epoca della soppressione e tornato nel secolo, proseguì gli studi e, ordinato sacerdote, ebbe la cura di una parrocchia nel Piacentino.Si mantenne però sempre affezionato all’Ordine, con fermo proposito di rientrarvi, cosa che fece l’11 gennaio 1876, ripetendo il noviziato in Piacenza e professando il 28 luglio 1876, con dispensa di alcuni mesi.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, BibliotecaCappuccini, 1951, 373; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 613.
LAVAGETTO AROLDO
Parma 16 agosto 1896-Parma 26 maggio 1981
Nacque da famiglia di modeste condizioni economiche (figlio di un ferroviere,Francesco, e di Elisa Vesco, ottavo di una serie di fratelli).Frequentò le elementari e qualche corso delle scuole tecniche, poi le difficoltà economiche familiari gli imposero l’interruzione degli studi e l’impiego presso una tipografia (1910). Partecipò alla guerra 1915-1918 e alla fine delle ostilità prolungò la ferma, ma per un solo anno: uscì dall’esercito in modo polemico, nel rispetto di un carattere libero e intollerante di ogni imposizione.Convinto che il nascente movimento fascista si potesse combattere efficacemente con le idee espresse attraverso la stampa, nella seconda metà del 1919 entrò nei ranghi del quotidiano di Parma Il Piccolo, fondato da Tullio Masotti con l’intento di sostenere la candidatura di Agostino Berenini nelle elezioni politiche dell’autunno.Diventò azionista del giornale (con una quota del 25%) e uno dei cardini dell’impresa: Masotti direttore, il Lavagetto redattore capo e Manlio Leonardi capo-cronista. Attorno a loro ruotò un gruppo di giovani delLiceo, che collaborarono in tutti i campi: Bruno Lunardi (sport), Vittorio Enzo Alfieri, Mino Doletti, Crisso Copertini, Spartaco Copertini (critico musicale) e Giuseppe Silvani.Il giornale si stampò nella tipografia Sacchi di borgo Pietro Giordani. Avrebbe dovuto cessare presto le pubblicazioni, ma il successo ottenuto tra i lettori indusse a prolungarne l’attività, anche grazie a un contributo di 80 mila lire messo a disposizione da un gruppo di Reggio Emilia sostenitore del radicale Meuccio Ruini.Nel 1921 venne impiantata una tipografia di proprietà in borgo Scacchini.L’indirizzo politico fu apertamente antifascista.Nell’agosto del 1922la tipografia venne distrutta dai fascisti e il giornale fu costretto a trasferirsi provvisoriamente nella tipografia della Camera del lavoro in borgo delle Grazie.Il Piccolo ritornò nella tipografia Sacchi in via Vittorio Emanuele fino a quando lo stampatore, minacciato di rappresaglie, fu costretto a cessarne la stampa.Nell’agosto del 1925il giornale chiuse.Il Lavagetto, ormai nel mirino della polizia segreta fascista, dovette lasciare Parma.Si rifugiò a Milano e trovò lavoro presso il Corriere della Sera.Ma anche qui le sue idee antifasciste gli crearono difficoltà di ogni genere.In quel periodo instaurò rapporti con Turati, Parri e Fernando Santi e fu tra i più autorevoli esponenti del movimento clandestino (collaborò anche all’espatrio dello stesso Turati). Costretto a lasciare anche il Corriere della Sera, trovò in seguito un posto all’ufficio stampa delle Terme di Salsomaggiore.In quel periodo il Lavagetto scrisse per Mondadori il libro La vita eroica del capitano Bottego.Il soggiorno a Salsomaggiore durò appena otto mesi.Il Lavagetto si sistemò infatti a Fidenza e nel 1935 entrò nella società petrolifera di Nando Peretti.Dopo l’8 settembre 1943 il Lavagetto, sempre per conto di Peretti, si trasferì a Roma, diventando un dirigente di primo piano dell’azienda, fino alla carica di direttore commerciale.Nel 1965 andò in pensione e tornò a Parma, dove trascorse gli ultimi anni di vita.A Parma ebbe ancora modo di esprimere, già in età avanzata, le sue notevoli doti di scrittore e di cronista preciso e informato con una serie di interventi nel quadro delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario delle giornate del 1922.Fu sepolto nel cimitero della Villetta di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 30 maggio 1981, 4.
LAVAGGI GIUSEPPE 1841-Parma 19 giugno 1890
Fu prode volontario nelle guerre nazionali del 1859, 1860 e 1866.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 133.
LAVAGGI ICILIO
-Sampierdarena 6 maggio 1873
Fu volontario nel 1848 in Lombardia. Seppe elevarsi al grado di capitano e fu fregiato della medaglia al valore militare all’Assedio di Ancona. Combatté in tutte le campagne per l’indipendenza italiana.
FONTI E BIBL.: Il Presente 10 maggio 1873, n. 126; Gazzetta di Parma 8 maggio 1873, n. 107; G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 410.
LAVAGGI PAOLO VINCENZO
Parma-post 1849
Dopo essere stato maestro di ballo al Collegio Lalatta e in altri Stabilimenti e Case d’Istruzione di Parma, con il decreto istitutivo (10 dicembre 1831, n. 286) fu nominato insegnante al Convitto Maria Luigia. Datata 1833 esiste un’ode in suo onore (Biblioteca Palatina, Fogli volanti, A 42). Nella stagione di Fiera del 1842 lo si trova tra i danzatori al Teatro di Reggio Emilia. Fu lungamente in corrispondenza col Pezzana. Il Lavaggi fu autore del volume Parma coi suoi contorni brevemente descritta (1848).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 513; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
LAVANGA FRANCESCO
Bardi 1823/1831
Possidente, del 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari. Durante i moti del 1831 fu sottoposto a sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 180.
LAVEZZINI ALDO Torricella di Sissa 1911-Genova 16 giugno 1986 Appena terminati gli studi in agraria a Firenze, entrò a far parte del ministero dell’Agricoltura quale agronomo delle cattedre ambulanti dell’agricoltura prima e degli Ispettorati agrari poi. Il Lavezzini operò come valente tecnico nella Valle Padana e in Toscana, mantenendosi per trent’anni a contatto diretto con i lavoratori della terra e accattivandosi stima e simpatia. Durante tale periodo svolse una intensa e poliedrica attività nel campo didattico e informativo. Come pubblicista, il suo nome è legato al giornalismo agricolo nazionale, nel quale ottenne significativi riconoscimenti. Fondò e diresse per ventitré anni due riviste mensili a diffusione internazionale e uniche del settore, Arboricoltura da legno ed Economia montana. Nella vastissima attività pubblicistica del Lavezzini si inserisce anche la sua collaborazione alla Gazzetta di Parma nell’arco di vari anni, con interventi precisi e autorevoli. Una sua monografia sulla produzione dell’aglio, comparsa sulla Gazzetta di Parma, gli consentì di aggiudicarsi un importante premio nel Piacentino. Per incarico del ministero dell’Agricoltura, partecipò in rappresentanza dell’Italia a una missione internazionale di studio negli Stati Uniti, dove tenne conferenze presso la città universitaria di East Lansing nel Michigan e presso l’Università di Davis in California. Sempre per incarico del ministero dell’Agricoltura, il Lavezzini venne inviato in Sardegna per studiarne i problemi agricoli. Fu autore di numerose pubblicazioni e monografie tecniche e agrarie, collaboratore delle più importanti riviste tecniche agricole nazionali, membro di diverse commissioni, organizzatore e relatore di convegni e insegnante presso vari istituti professionali agrari. Fu sepolto a Boschetto di Albareto.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 22 giugno 1986, 8.
LAVEZZINI VITTORIO
Lentigione 1897-Cap Ferrat 20 gennaio 1965
Si diplomò geometra a Parma e si laureò in Scienze agrarie a Milano nel 1921. Resse la cattedra ambulante dell’agricoltura di Pistoia, un ufficio statale antesignano degli ispettorati agrari. Fu a Fidenza fino al 1942, quando venne nominato capo dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura di Latina. Dopo un periodo a Vercelli, nel 1949 fu a capo dell’Ispettorato di Parma, dove restò fino al 1961, quando andò in pensione. Costituì il Consorzio di bonifica montana, incrementò e potenziò il libro genealogico del bestiame selezionato e propugnò il centro lattiero caseario Antonio Bizzozero. Il Lavezzini fu inoltre presidente dell’Associazione provinciale dottori agronomi, del Comitato provinciale per l’agricoltura e del Comitato provinciale ortofrutticolo. Collaborò alla Gazzetta di Parma e lasciò varie pubblicazioni sui problemi dell’agricoltura.
FONTI E BIBL.: Muore il prof. Lavezzini, in Gazzetta di Parma 21 gennaio 1965; G. Fornaciari, Il capitano Lavezzini, in Gazzetta di Parma 29 gennaio 1965; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 600; F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 174-175.
LAVEZZOLI DOMENICO
Parma 1669/1670
Pittore fiorista attivo nella prima metà del XVII secolo. Negli anni 1669-1670 è ricordato come architetto nella chiesa della Madonna della Pace.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 23; N.Pelicelli, Guida di Parma, 1906.
LA VIA MARIA
Parma 1907/1930
Nel marzo 1907 su venti concorrenti vinse il concorso per prima arpa solista al Teatro Imperiale dell’Opera Russa di San Pietroburgo. Rientrata in Italia a causa della prima guerra mondiale, impartì anche lezioni di canto. Nel 1930 al Caffè Centrale di Parma si esibiva un Concertino La Via.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Reinach, 1995, 403.
LAVIOSA GIACOMO
Piacenza 1840-Parma 16 agosto 1898
Figlio di Pietro. Studiò nell’Ateneo di Parma e vi ebbe la laurea in legge. Professò l’avvocatura e fu incaricato dell’insegnamento di Diritto costituzionale all’Università di Parma. Pubblicò parecchi opuscoli sulla filosofia di diritto. Le lezioni sulla stessa materia, dettate dal Laviosa in quella Università nell’anno accademico 1897-1898, vennero raccolte da Jacopo Bocchialini e pubblicate in Parma (litografia Zafferri). Pubblicò il primo volume di un’opera poderosa, che la stampa nazionale ed estera lodò incondizionatamente, intitolata Studio storico - critico sulla filosofia scientifica in Inghilterra. L’opera rimase incompiuta per la repentina morte del Laviosa, a soli 40 anni di età, in seguito a tifo. G. Tommasini pubblicò nell’Annuario dell’Università di Parma per l’anno accademico 1898-1899 un’estesa commemorazione del Laviosa.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 244.
LAZZARETTI ENNIO
San Pancrazio Parmense 1 aprile 1912-Bosco de los Jebenes 11 marzo 1937
Figlio di Ulisse e Ermina Rossini. Abitò a Torrile. Volontario delle Frecce Nere, fu vice capo squadra dell’80a Legione Duca Alessandro Farnese, 851° Bandera Amba Uork. Cadde nella battaglia di Guadalajara. Alla sua memoria venne concessa la medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Durante la conquista di una posizione avversaria, si slanciava tra i primi all’assalto, trascinando, col suo esempio, i compagni. Mentre raggiungeva l’obbiettivo, cadeva moralmente colpito.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Legionari in Spagna, 1940, 85; Decorati al valore, 1964, 123-124.
LAZZARI
Parma 1839
Fu pittore di buon valore.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 514.
LAZZARI ALDO
Parma 10 maggio 1893-Milano post 1949
Compì privatamente gli studi per il pianoforte con Attilio Brugnoli e per armonia e composizione rispettivamente con Ildebrando Pizzetti e Guglielmo Zuelli. Conseguì a pieni voti la licenza superiore di pianoforte nel Conservatorio di Parma nell’anno 1913. In seguito la sua attività artistica venne forzatamente interrotta da cinque anni continui di servizio militare. Si distinse tuttavia in diverse esecuzioni pubbliche sia come concertista di pianoforte, sia come ottimo accompagnatore, in particolar modo seguendo la tournée italiana del celebre violoncellista russo Barzanscki. Nominato nel 1924, in seguito a concorso, professore ordinario di teoria e solfeggio nel Regio Conservatorio di Parma, preferì questa cattedra all’altra già prima offertagli di ordinario di pianoforte principale al Liceo musicale di Trento. Nel 1926 pubblicò presso Ricordi una nuova edizione, da lui riveduta, del diffusissimo Trattato di teoria e solfeggio di Giusto Dacci. Scrisse quindi un volumetto particolarmente dedicato al complesso problema degli Abbellimenti musicali (Pizzi, Bologna, 1927) e una Raccolta di solfeggi parlati, adottata nel Regio Conservatorio di Parma e in diversi istituti musicali del Regno (Pizzi, Bologna). Nel 1929 venne nominato dal podestà di Parma e dal Consiglio dell’Accademia insegnante della scuola di canto corale, proprio allora istituita e annessa al Conservatorio, ispirata ai più severi criteri di selezione ed educazione musicale. Nel 1930 fu tra i fondatori dell’Accademia di canto corale e nel 1932 dette vita alla Corale dei Cantori di Parma, che contò ottanta elementi. Questa corale fu premiata dall’Accademia d’Italia e nel 1932 prese parte ai concerti diretti da Pizzetti al Teatro Regio di Parma, a Genova, Reggio Emilia, Rimini, Forlì e nel cortile del palazzo della Pilotta di Parma. Il repertorio spaziava dai canti antichi, ai madrigali, ai canti liturgici, alle arie popolari, al melodramma, trascritti dallo stesso Lazzari. Nel giugno 1934 fondò il Gruppo corale Eraclio Gerbella, formato da voci maschili ed emanazione dell’Opera Nazionale Dopolavoro di Parma: con questo partecipò nel maggio 1935 al concorso corale nazionale di Roma, classificandosi quarto su ventotto concorrenti. Il concerto finale a cori riuniti ebbe luogo alla Basilica di Massenzio diretto da Mascagni alla presenza di Mussolini. Per autofinanziarsi la Corale mise in vendita i biglietti di una lotteria pro Corpo Corale. Nel 1937 prese anche la direzione del coro del Dopolavoro di Fidenza. Avendo aderito alla Repubblica Sociale e accettato una carica politica, dopo la Liberazione fu perseguitato, minacciato di morte ed epurato dall’impiego. Riammesso in servizio nel 1949 e scagionato da qualsiasi addebito, si trasferì a Milano, dove proseguì a impartire in quel conservatorio il suo insegnamento.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 113-114; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
LAZZARI FERDINANDO
Parma 1795-post 1852
Nel 1840 era aspirante trombone della Ducale Orchestra di Parma. Nel 1842 richiese il permesso di prodursi in altri teatri, cosa che ottenne anche nel 1852.
FONTI E BIBL.: Inventario, 1992, 177, 214, 319.
LAZZARI GIACOMO
Monchio-Monte Ortigara 20 giugno 1917
Sottotenente di complemento del Regimento Alpini, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Conduceva brillantemente e con mirabile slancio il suo plotone all’assalto, e sotto il violento cannoneggiamento nemico, rafforzava la posizione, dando brillantemente esempio di valore e di forza d’animo. Cadeva colpito a morte mentre rincuorava i suoi soldati.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 39, 3034; Decorati al valore, 1964, 58.
LAZZARI GIACOMO Liguria 1907-1993 Parmigiano di adozione, fu chimico e dirigente industriale, esperto micologo a livello nazionale, docente di corsi ministeriali e autore di numerose pubblicazioni, tra cui l’importante volume Storia della micologia italiana (1973). In suo onore fu dedicata una nuova specie fungina: Gigaspora lazzarii, fungo ipogeo (Rivista di Micologia, vol. XXXIX, 1, 1996).
FONTI E BIBL.: A.De Marchi, Guida naturalistica. 1997, 360.
LAZZARI LAZZARO
Bazzano 1789
Fu sergente delle truppe ducali di Parma (censimento del 1789).
FONTI E BIBL.: F.Barili, Arcipreti di Bazzano, 1976.
LEBRUN ANTONIO
Parma 1831/1840 Maria Luigia d’Austria, con privilegio del 7 febbraio 1840, creò il Lebrun nobile dei ducati Parmensi assieme ai suoi discendenti maschi pei buoni servigi da lui prestati al Comune e allo Stato nel tempo che egli tenne l’ufficio di Podestà di Parma (1831-1836).
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 78.
LE BRUN FEDINANDO
Parma 1774
Nel 1774 fu nominato Provveditore della Regia Casa di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 78.
LECCHINI PIETRO CARMELO Arzelato 11 dicembre 1905-Reggio Emilia 19 aprile 1999 Figlio di Lorenzo e Assunta. Frate cappuccino. Compì a Borgo San Donnino la vestizione (19 luglio 1921) e la professione (20 luglio 1922). Fu ordinato sacerdote a Modena il 23 febbraio 1929.Fu cappellano militare in Etiopia e predicatore a Borgo San Donnino, Parma, Carpi, Guastalla e Modena, pro lettore di storia e sacra eloquenza, insegnante di storia civile e religione nelle pubbliche scuole di Salsomaggiore (marzo 1935-maggio 1937), Presidente e parroco di Sant’Antonio in Salsomaggiore (1937-1961) e definitore (1949). Nella città termale il Lecchini fece costruire la casa di riposo e una accogliente casa per bambini e ragazzi.Fu poi destinato all’ufficio di padre guardiano della Casa Provincializia di Parma.Nonostante non fosse in possesso di titoli di studio, fu fecondo scrittore, pubblicò diverse opere e insegnò a Reggio Emilia Storia ecclesiastica e Predicazione.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Biblioteca Cappuccini, 1951, 343.
LECCHINI ROBERTO, vedi LECCHINI PIETRO CARMELO
LECHI ALFREDO
Montirone 1934-Parma 7 settembre 1992
Discendente di una nobile famiglia bresciana, il Lechi arrivò a Parma nel 1960 come assistente volontario nella clinica neurologica. Due anni prima si era laureato all’Università di Padova. Divenne assistente effettivo nel nosocomio di Parma nel 1964. La passione per la ricerca e lo studio lo portò all’estero, dove fu allievo del professore belga Van Bogaert, fondatore della neuropatologia mondiale. In seguito mantenne stretti rapporti di collaborazione con un centro viennese e con l’Istituto di anatomia patologica di Berna. Nel 1975 divenne professore ordinario di clinica neurologica nell’Università di Parma. La sua attenzione si rivolse soprattutto all’anatomia patologica del sistema nervoso: in particolare si occupò della malattia di Jacob Creutzfeld (una patologia trasmissibile, piuttosto rara tra gli uomini ma diffusa tra gli ovini e i bovini, forse provocata da un agente del tutto nuovo, né virus né batterio). A livello nazionale l’opera del Lechi rappresentò un contributo di spicco negli studi in questo campo. Dal 1984 al 1991 fu direttore della Clinica neurologica dell’Università di Parma, dove promosse lo studio e l’applicazione della neuroradiologia. Dal 1986 fu inoltre direttore della Scuola di fisiatria. negli ultimi tempi il Lechi concentrò le proprie ricerche sull’anatomia patologica dei sistemi nervosi degli ammalati di aids. In questo settore collaborò molto attivamente con il professore Budka di Vienna. Gli studi contribuirono alla caratterizzazione delle forme primitive di interessamento cerebrale da parte del virus dell’hiv. L’arte figurativa fu l’altro grande interesse della sua vita: da giovane persino una mostra personale a Brescia. In seguito continuò a dipingere, fedele ai canoni della pittura geometrico-astratta.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 settembre 1992, 6.
LECLER GIOVANNI BATTISTA
Parma 7 ottobre 1779-Parma 1827
Figlio di Giuseppe. Entrato nel 1797 come volontario nelle truppe italo-francesi, divenne presto sottufficiale (1800) e si segnalò sin dai primi combattimenti. Rimase ferito alla gamba destra nella presa di Verona. Partecipò alla battaglia di Novi e al secondo assedio di Mantova. Parve destinato a una rapida carriera, essendo in breve tempo arrivato al grado di capitano (1808), ma non fu così, sebbene partecipasse alle campagne di Prussia (1807) e di Spagna (1808). Caduto il Regno Italico, entrò (1814) nel reggimento Maria Luigia a Parma e nel piccolo esercito parmense raggiunse nel 1824 il grado di maggiore soprannumerario.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Gli ufficiali napoleonici parmensi, Tipografia Parmense, 1930 26-27; Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 355.
LEGGIADRI GALLANI CLAUDIO
-Marzolara 27 dicembre 1910
Conte. Fuggì dalla famiglia e corse volontario a far parte dei valorosi che agli ordini di Garibaldi si batterono per l’indipendenza italiana.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 29 dicembre 1910, n. 356; G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 410.
LEGGIADRI GALLANI GIUSEPPE
Parma 1789 c.-post 1859
Figlio di Pietro Andrea e di Amalia Simonetta. Conte e dottore, fu eletto nel settembre 1859 deputato di San Pancrazio all’Assemblea dei rappresentanti del popolo delle province modenesi e parmensi.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento, Roma, 1911; F.Ercole, Uomini politici, 1941, 220.
LEGGIADRI GALLANI GIUSEPPE, vedi anche GALLANI GIUSEPPE LEGGIADRO
LEGGIADRI GALLANI PIER LUIGI
Parma XIX/XX secolo
Figlio di Guglielmo, fu maggiore del Regio Esercito, decorato di medaglia d’oro al valore.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 84.
LEGGIADRI GALLANI PIETRO ANDREA
Parma 25 settembre 1762-Parma 7 novembre 1825
Figlio di Paolo e Maria Fiorenza Vedrotti. Dotato di ingegno e di ferrea volontà, contribuirono alla sua formazione i molti viaggi per l’Italia e per l’Europa (in Gran Bretagna, Olanda, Germania, Spagna, Portogallo e Malta) effettuati in gioventù. Ritornato in Parma, divenne ufficiale (1783) poi luogotenente delle Guardie ducali e, cinque anni dopo, Cavallerizzo di Campo del duca Ferdinando di Borbone. Poté così ambire alla mano della contessa Anna Simonetta, acquistando pure nel 1790 dal conte Giuseppe Camuti il titolo comitale col feudo di Belvedere (che comprendeva anche la torre di Rusino, Madurera, Moragnano, Musiara e gli allodiali ivi esistenti) in cambio di una possessione e altri appezzamenti ai Ronchetti di San Secondo. Due anni dopo fu creato Maggiordomo di settimana e, durante il regime napoleonico, fu nominato Maire di Parma (1809) nonché Presidente dell’Assemblea Cantonale di San Donato. Incaricato delle opere attinenti alla soppressione di varî monasteri con relativa confisca degli annessi beni immobiliari (1810), egli prese in affitto varî terreni della Corona Imperiale, che in seguito acquistò, con l’aggiunta del titolo di Membro della Legion d’Onore da parte dell’Imperatore. Nel 1813 divenne Magnifico Rettore dell’Accademia di Parma, indi Presidente Onorario dell’Università, Podestà di Parma (1814-1815), Consigliere di Stato, Presidente della Giunta di Censimento (1818), Cavaliere dell’Ordine Costantiniano, membro del Tribunale dei Conti, dimostrando ovunque una formidabile attività e competenza. Alla sua morte, testò a favore della consorte e dei cinque figli: Tullo, Paolo, Giuseppe, Adelaide e Teresa. Le sue esequie furono celebrate nella chiesa parrocchiale di San Benedetto in Parma.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 212-213; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 85; Palazzi e casate di Parma, 1971, 750-752; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 94.
LEGGIADRI GALLANI TULLIO, vedi LEGGIADRI GALLANI TULLO
LEGGIADRI GALLANI TULLO
Parma 1790c.-
Figlio del conte Pietro Andrea e di Anna Simonetta. Fu pittore paesaggista attivo nella prima metà del XIX secolo. Fu anche maestro nel Regio Collegio Militare in Parma.
FONTI E BIBL.: Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 173.
LEGGIADRO GALANI o GALLANI GIUSEPPE, vedi LEGGIADRI GALLANI GIUSEPPE
LEGNAGHI GIACOMO
Fano ante 1658-Parma 1710
Cominciò a leggere Diritto Civile all’Università di Parma nel 1658 e continuò nell’insegnamento ininterrottamente per cinquantadue anni fino al 1710, anno in cui morì. Si conosce l’argomento delle sue lezioni per l’anno accademico 1670-1671: Iacopo Lignagus interpretabitur Rub. et Tit. de Verb. oblig.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Mandati 1619-1715, n. 90, Registri d’entrata e spese 1631-1750 (per il 1702-1703); Registro dei Mandati 1701-1720; Bolsi, Annotationes, 49; F.Rizzi, Professori, 1953, 58-59.
LEGRENSE JEAN
Namur 1400 c.-Parma 1473
Detto Jean le Chartreux o Jean da Mantoue, nacque a Namur, com’egli afferma: Gallia namque me genuit Namurci quod est oppidum in Gallia. Apprese, da giovane, il canto in patria (et fecit cantorem) ma approfondì gli studi musicali prima all’Università di Padova (1421) poi a Mantova (1423), sotto la direzione di Vittorino da Feltre, che insegnò in Mantova, chiamatovi dal duca Gian Francesco Gonzaga, dal 1423. Si disse anche le Chartreux perché fu monaco certosino. Da Mantova il Legrense si portò in Parma ove insegnò pubblicamente la musica (fu suo discepolo Nicola Burzio). Il Legrense, morì in Parma nel 1473, come afferma il Burzio in una nota apposta al trattato del Legrense, da lui trascritto: Obiit autem vir iste anno D. in MCCCCLXXIII, cuius animam Paradisus possidet, corpus verso Parma, terra nobilis. In questo suo trattato (Ritus canendi vetustissimus et novus) parla del canto presso gli antichi e presso i moderni in maniera originale. Con severa critica tratta di Tolomeo, Pitagora (di cui riprodusse per primo la tavola) e Marchetto da Padova. L’opera del Legrense offre un vivo interesse, sia per il canto piano sia per l’armonia, perché tocca importanti questioni musicali. Scrisse il suo trattato sulla musica sotto il pontificato di Pio II, cioè tra gli anni 1458 e 1464. Le sue teorie musicali ebbero fama per tutto il XV secolo e influenzarono lo stesso J. Tinctoris. Di lui restano i trattatelli: Libellus musicalis de ritu canendi vetustissimo et novo, Prefationuncula in tam admirabilem quam tacitam et quietissimam novorum concinentiam, Tacita nunc inchoatur stupendaque numerorum musica (l’edizione prima dei trattatelli si deve a C.E. de Coussemaker, che li ritenne erroneamente tre parti di un’unica opera, in Scriptorum de musica medii aevi nova series, Durand, Parigi, 1876, IV, 298-421) e Vera quamque facilis ad cantandum atque brevis introductio (mss. Bibl. Brit. Museum n.6525 e n. 22315); il ms. n. 22315 è quello trascritto dal Burzio).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Storia di Parma, IV, 1852, 135-136; F.J.Fétis, Bibl. univ. des Music. IV, 435; R. Eitner, Quellen Lexikon, IV, 133; E. De Coussemaker, Scriptorum de Musica Medii Aevi, XI-XIV, con ristampa dell’opera del Gallico, 298 e ss.; A.Bertolotti, La Musica in Mantova, 7; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 3; Letteratura Italiana Einaudi, II, 1991, 1042.
LEGRENSE JOHANNES, vedi LEGRENSE JEAN
LELIO TACTICA, vedi CATELLI ATTILIO
LELLI FRANCESCO
Parma 1798-
Fu tra i prigioneri di guerra italiani già appartenenti alla Legione liberale straniera al servizio delle Cortes, che lasciarono clandestinamente il distaccamento dei prigionieri di guerra stranieri in Spagna, di cui facevano parte, per recarsi verosimilmente in Francia (giugno 1824).
FONTI E BIBL.: S.Carbone, Rifugiati italiani in Francia, 1962, 106.
LEMOIGNE ALESSIO
Parma 6 ottobre 1821-Milano 27 maggio 1900
Nato da genitori francesi addetti alla corte di Maria Luigia d’Austria, rimase, ancora fanciullo, orfano del padre. La Duchessa e la madre contavano di mandarlo alla scuola dei cadetti in Vienna ma egli volle dedicarsi alla zooiatria e si iscrisse alla scuola veterinaria di Milano, dalla quale uscì nel 1843 col diploma di ippìatro. Ritornato a Parma, studiò medicina e ne conseguì la laurea nel 1846. Nominato maestro delle dissezioni nell’Istituto veterinario il 6 giugno 1847 e coadiutore ai professori Delprato e Lombardi il 24 novembre 1848, un anno dopo venne destituito per motivi politici (fu sospettato di aver congiurato contro il governo di Carlo di Borbone). Si diede al libero esercizio di veterinario sino a che, nel 1854, fu riammesso a occupare la cattedra di professore. Nel 1857, portate a quattro le cattedre della scuola veterinaria, al Lemoigne fu assegnata quella di Zootomia e Zoofisiologia, che tenne per un decennio, arricchendo il museo di splendidi apparecchi. Nel dicembre del 1867 venne chiamato a coprire la stessa cattedra presso la Scuola superiore di Veterinaria di Milano. Dopo due mesi, passò a insegnare Zootecnia e Igiene in quella Scuola superiore d’Agricoltura, dove rimase per circa trent’anni. Cercò di liberare la Zootecnia dal dilettantismo dimostrando con la parola e con gli scritti come essa non fosse un complesso di nozioni empiriche ma corollario di tutte le moderne conoscenze biologiche. Fondò inoltre il museo annesso a tale cattedra e lo fece diventare tra i più importanti del genere. Fu membro corrispondente dell’Accademia di medicina di Francia e di molte altre società e istituti scientifici italiani e stranieri. Ebbe frequenti incarichi onorifici, sia come Regio Commissario sia come membro di commissioni governative. Come scienziato, fu tra i prima ad abbracciare la scuola sperimentale, lasciandone imperituro documento nei suoi lavori originali sulla meccanica animale e in quello, fatto in collaborazione con Inzani e Lussana, intitolato La fisiologia dei centri nervosi, che ottenne la medaglia d’oro al concorso internazionale di Bruxelles 1865-1869. Sono anche degni di menzione un trattato sull’Equitazione, un libro sulla Pellagra, uno su L’igiene dei contadini, una monografia sul Linguaggio degli animali e l’Ipotesi sulla dottrina dell’ereditarietà negli animali superiori, nella quale il Lemoigne cerca di spiegare l’ereditarietà dei caratteri acquisiti con la teoria della nevrilizzazione. Fece diversi studi per ottenere il miglioramento della razza bovina parmigiana e pubblicò le sue osservazioni.
FONTI E BIBL.: F.Negrini, Cenno necrologico, in Annuario R.Università 1900-1901, 117; A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 55-57; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 85.
LENA BONAVENTURA
Parma 1830
Fu libraio in Parma verso l’anno 1830.
FONTI E BIBL.: Gelli, Ex Libris, 1930, 441.
LENARA LORENZO
Parma-Venezia 1295
Fu frate domenicano dell’Ordine dei Predicatori in Parma. Secondo il da Erba, fu Maestro dottissimo di Sacra Teologia, di buone lettere latine e greche letteratissimo Professore. Fu elevato alla dignità di Patriarca di Grado da papa Niccolò IV il 25 dicembre 1289. Forse è lo stesso ricordato da Innocenzo Baldi di Bologna nella sua Orazione latina in lode di Parma, stampata nel 1587: Celebrarem Antonium Flavium, Antonium Pupinium, Laurentium Lenaram, Nicolaum de Parma, omnes Religiosos Ordinis Praedicatorum. Il Lenara fu sepolto nella chiesa di San Giovanni e Paolo di Venezia, davanti all’altare maggiore.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 65-66; G.M.Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, I, 1856, 439; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 190-191; A.Schiavi, Discorsi di Parma, 1940, 270.
LENI ANTONIO
Valditacca 1845-Parma 16 ottobre 1890
Nato dal ramo detto dei baroni della nobile famiglia Leni, fu dapprima coadiutore a Fornovo, poi arciprete di Corniglio (1873). Segnalatosi per il suo zelo e la sua carità, si circondò presto della stima universale, accresciuta dai restauri alla vetusta chiesa da lui portati a termine nel 1881. Designato quale parroco della chiesa di Santa Maria in borgo Taschieri in Parma, riuscirono vane le preghiere sue e dei cornigliesi perché gli fosse evitato il trasferimento. A Parma, alle prese con un ambiente difficile e il più delle volte ostile, mostrò tali esempi di carità verso i diseredati da essere poi considerato un precursore di padre Lino Maupas.
FONTI E BIBL.: E. Guerra, Arciprete Don Antonio Leni, Parma, 1940;G.Orsini, Don Antonio Leni. Commemorazione tenuta nella chiesa prebana di Corniglio il 16 ottobre 1941, Parma, 1941; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 603; Gazzetta di Parma 5 agosto 1971, 11.
LEON DI PARMA, vedi MUSSI FERDINANDO
LEONARDI ANTONIO
Borgo Taro 31 agosto 1774-Parma 22 settembre 1845
Figlio di Vincenzo e Anna Massari. Studiò fino a sedici anni nelle scuole di Borgo Taro, vestendo anche l’abito da chierico. Dopo aver servito, dal 1790 al 1798, nelle truppe del Duca di Parma, nel 1798 fu sottotenente al servizio della Repubblica Napoletana. Da Napoli, fatto prigioniero, fu portato nel 1799 in Francia e quindi fu volontario nel Battaglione degli Ufficiali di Dijon (1800) e poi nel 1° reggimento leggero italiano (1802). Giunse nel 1803 al grado di sottotenente nel 5° reggimento di linea italiano. Da questo passò alla Guardia del Presidente, che diventò poi Guardia Reale. Combatté come tenente nel 1805 a Ulma e Austerlitz e nel 1805-1807 in Dalmazia e in Albania, come capitano del 3° reggimento leggero italiano. Durante la campagna del 1812 in Russia si distinse nella sanguinosa battaglia di Malojaroslawetz e aggiunse alle due già riportate nelle campagne d’Italia, una terza ferita (alla gamba sinistra all’assalto d’Andria, al braccio destro da colpo di squadrone a Felline in Toscana, da colpo di fucile che gli attraversò la spalla destra a Malojroslawetz): rimase al suo posto fino al termine della battaglia e, attaccatosi alla coda di un cavallo, piuttosto che rimanere alla discrezione dei Russi, passò la Beresina e poté ridursi in salvo. Si distinse ancora all’assalto di Trani, all’assedio di Pescara, al blocco del Castello di Milano e sul Mincio. Maggiore nel reggimento Maria Luigia al servizio di Parma, fece nel 1815 le campagne di Napoli e di Francia. Ammonito nel 1823 come carbonaro, giunse tuttavia nel 1829 al grado di tenente colonnello. Compromessosi nuovamente nei moti rivoluzionari del 1831, fu sottoposto a processo penale: obbligò un granatiere di sentinella a cedere il fucile al Rondani nel disarmamento del 13 febbraio e accettò dal Governo provvisorio la nomina in colonnello del reggimento Maria Luigia. Colpito da mandato d’arresto, riuscì a fuggire. Ma dopo pochi mesi di esilio in Piemonte, poté ritornare a Parma in seguito ad amnistia.Il Leonardi fu decorato nel 1816 dall’imperatore Francesco I Cavaliere di 3a classe della Corona Ferrea. Nel 1819 fu nominato Cavaliere e nel 1830 Commendatore dell’Ordine Costantiniano.
FONTI E BIBL.: E.Casa, I Carbonari parmigiani e guastallesi cospiratori nel 1821, Parma, 1904;E.Casa, I moti rivoluzionari del 1831, Parma, 1895; E.Loevinson, Gli Ufficiali Napoleonici Parmensi, Parma, Tipografica Parmense, 1930, 27; G.B. Jannelli, Dizionario Biografico dei Parmigiani illustri, Genova, 1877, 213-215; L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 245-246; M. Leoni, in Gazzetta di Parma 1845, n. 80 supplemento; A.Del Prato, L’anno 1831, 1919, XX-XXI; E.Loevison, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 357; O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 178; Giacchi, Uomini d’arme napolenonici, 1940, 324; F.Ercole, Uomini politici, 1941, 221.
LEONARDI DOMENICO
Borgo Taro-Pomaro fine del XVIII secolo
Sacerdote e dottore in ambo le leggi, fu parroco di Bardi. Poi passò alla ricca prelatura di Pomaro. È suo il panegirico per la Santa Croce pubblicato nel 1778.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 246.
LEONARDI DOMENICO
San Vincenzo Boccolo Valdena 5 gennaio 1863-San Martino in Rio 7 maggio 1942
Frate cappuccino, compì la vestizione e la professione a Borgo San Donnino, rispettivamente il 3 maggio 1888 e l’8 maggio 1889. Fu ordinato sacerdote a Piacenza il 14 febbraio 1892. Fu predicatore, istruttore e direttore di professorio, direttore dello studio teologico, guardiano, definitore (1911), esaminatore prosinodale, vice postulatore per la Causa del venerabile Lorenzo da Zibello, latinista e necrologista.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Biblioteca Cappuccini, 1951, 118; F.da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 282.
LEONARDI EUGENIO
Borgo Taro 1810-1886
Figlio di Antonio e di Maria Devota Marchesi. Fu ufficiale, poi Colonnello di Artiglieria in ritiro dell’Esercito Italiano. Cavaliere di più Ordini, fu decorato della medaglia al valor militare. Sposò Gaetana Tommasini.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 517.
LEONARDI MANLIO
Parma 4 luglio 1897-Genova 1954
Figlio di Baldo ed Emilia Scaglia. Giornalista versatile e battagliero, fu capocronista del Piccolo finché le persecuzioni fasciste che avevano preso di mira il giornale e la sua persona lo costrinero ad abbandonare Parma e a rifugiarsi a Torino. Espulso dall’albo dei giornalisti, si dedicò al noleggio cinematografico. Tornò a Parma al momento dell’effimero governo Badoglio ma dopo l’8 settembre 1943 fu arrestato e imprigionato a Marassi.Nel 1945 poté rientrare nei ranghi dei giornalismo militante come redattore capo del Nuovo Lavoro di Genova, incarico che tenne fino al 1948, anno in cui tornò a dedicarsi all’attività cinematografica.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 85-86.
LEONARDI ORAZIO
Borgo Taro 1630
Fu Podestà di Borgo San Donnino nell’anno 1630.
FONTI E BIBL.: G.Laurini, Borgo San Donnino e i suoi capi civili, 1927.
LEONARDO DA MONCHIO
Paderno di Monchio di Sasso 1497-Parma settembre/dicembre 1554
Appartenne a famiglia di contadini pastori, proprietaria di poco terreno. Pare fosse consanguinea a quella degli Aicardi di Monchio. Il padre Giovanni, conosciute le felicissime disposizioni del figlio per l’arte, venduto il poderetto in Paderno Monchiese, si recò, per assecondarne il genio, con Leonardo a Parma, ove prese dimora nella parrocchia di Santa Cecilia (anno 1516). L’anno precedente l’Allegri, già noto e desiderato fuori dalla nativa Correggio, si era accinto alla dipintura della Camera di San Paolo. Si può ragionevolmente supporre che a lui si accostasse Leonardo e che fosse ammesso all’esigua ma eletta schiera di cui si attorniò il grande maestro (R.Arnholt, Leonardo da Monchio, Parma, 1928). Ebbe di certo fratellanza con Girolamo Mazzola e col Rondani e una palese affinità di maniera con l’Anselmi. Si sposò prima del 1524 con Margherita Boltraffi, che gli diede quattro figli. Una sua disposizione testamentaria fa credere che egli dipingessse e prediligesse l’oratorio di Santa Maria del Torresino, eretto nel 1533 da Angelo Tentori. La data del suo testamento è del 19 settembre 1554 e lo dice sano di mente ma oramai sfinito di forze. Leonardo, definito bochalarius, venne pagato 5 lire imperiali il 31 dicembre 1526 per aver dipinto le Spalerias nella chiesetta del Comune (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Libro verde dei Dazii del Comune, c. 69): Buleta Leonardi Bochalarii, 1526, 31 dicembre. Item ordinaverunt quod massarius Communis Parmae det et solvat Leonardo Bochalario pictori qui pinxit spaleriam in ecclesiola Communis Parmae libras quinque imperiales. Obtentum nec mino discrepante auctorante (anche in Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Libro delle Ordinazioni per gli anni 1526-1530, c. 68). Forse fu anche architetto e collaboratore di Iorio da Erba. Zani lo chiama Moschino.Il 4 dicembre 1543, insieme a Giovanni Maria Cornazzano, ricevette il saldo del pagamento di 50 lire e 5 soldi per la pittura del fregio nella sala del Consorzio del Comune (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ordinazioni Comunali, c. 384). Il 22 settembre 1545 fu pagato 50 lire imperiali per pitture nel palazzo del Comune eseguite con Giovanni Maria Cornazzano (G.Bertoluzzi; Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ordinazioni Comunali). Il 6 ottobre 1545 fu pagato dal Comune 9 scudi d’oro per aver dipinto su tre portoni della piazza tre insegne grandi del Duca (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ragioneria, Ordini e Mandati, 1545).Il 31 ottobre fu pagato per aver dipinto con il pittore detto “Stopacino” banderuole per l’ingresso di Pier Luigi Farnese.Nel novembre 1545 Leonardo fu censito con la moglie e i figli nella Descrizione degli abitanti di Parma (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale). Il 6 novembre 1545 fu pagato per pitture sopra il portone del palazzo del duca (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ragioneria, Ordinazioni comunali). Il 27 novembre 1545 il Comune gli pagò 20 lire e 4 soldi imperiali per aver dipinto le insegne del duca all’interno del portone del Malcantone e per altre pitture realizzate all’interno e all’esterno dello stesso portone (Ragioneria, Ordinazioni Comunali, c. 268). Il 29 novembre 1545 furono pagati a Leonardo 9 scudi d’oro (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ragioneria, Ordinazioni e mandati, c. 78). Il 12 dicembre 1545 gli furono pagate 10 lire per lavori in occasione dell’ingresso del duca (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Ragioneria, Ordinazioni e mandati, c. 81). Il 1° settembre 1546 il Comune gli pagò 17 lire e 8 soldi imperiali per aver dipinto un’insegna ducale nella facciata all’interno del nuovo portone di San Michele (Archivio di Stato di Parma, Archivio Comunale, Libro delle convocazioni dei Deputati all’Ufficio delle fortificazioni, p. 8). Scarabelli-Zunti ipotizza che Leonardo da Monchio sia stato allievo di Girolamo Mazzola Bedoli, con il quale eseguì opere nella chiesa e nel convento di San Giovanni Evangelista (che ancora esistono, scrive Scarabelli-Zunti), nei chiostri e nel refettorio. In effetti, nella sesta cappella (a destra per chi entra) della chiesa Leonardo illustrò, nel sottarco, con primaria tecnica e formale bellezza, la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. L’opera, ottimamente conservata, è da considerarsi, senza dubbio, la più importante di Leonardo. In essa sono nettamente chiare le influenze correggesche. Nell’attiguo convento benedettino si possono trovare sparse altre decorazioni di Leonardo: numerosi fregi arabescati con busti e motti nel chiostro e alcuni putti nudi in una nicchia di un vestibolo. Sino alla fine del XIX secolo nel refettorio del monastero esisteva un Cenacolo, poi coperto, che Leonardo eseguì in collaborazione con Girolamo Mazzola. Dell’opera rimane solamente un disegno di autore ignoto, conservato dai benedettini, che ne riproduce il soggetto.
FONTI E BIBL.: G.Bertoluzzi, Guida di Parma, 1830, 133, 137, 139, 196; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, vol. III, cc. 78, 306-310 e 334; R. Arnholt, Leonardo da Monchio, Parma, Bodoniana, 1928; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, vol.XXIII, 1929; Dizionario Bolaffi Pittori, VI, 1974, 392; B. Quarantelli, in Gazzetta di Parma 14 febbraio 1983, 3; Valli dei Cavalieri 8 1987, 49; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 334 e 348.
LEONCINI GIUSEPPE
16 marzo 1870-Collecchio 15 marzo 1946
Fu parroco a Collecchio dal 1906. Rinnovò radicalmente la vita religiosa del paese in senso più dinamico e moderno. Ricostruì la chiesa parrocchiale tentando, con scarso esito, di riportarla all’antico stile romanico.Istituì, fin dai primi anni del suo trasferimento a Collecchio, una Schola Cantorum che raggiunse ben presto un notevole livello artistico. Nel 1922 costruì la bella torre campanaria, monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, malgrado le molte lotte che dovette sostenere con le autorità amministrative, contrarie alla realizzazione di quell’opera. Diede notevole impulso alle associazioni cattoliche, soprattutto giovanili, organizzando recite e rappresentazioni teatrali. Aiutato dal cappellano, Guido Agnelli, organizzò una Corale Collecchiese che ottenne numerosi consensi e successi ovunque si recò per dare concerti, in provincia di Parma e fuori.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 22 febbraio 1960, 3.
LEONE
Collecchio 929
Affittuario collecchiese che compare nella più antica pergamena che nomina Collecchio. Nel febbraio 929, unitamente al figlio, prese in affitto dal prevosto e dall’arcidiacono del Capitolo di Parma una casa, con terre annesse, posta in Collecchio. Nel contratto di affitto è detto che il canone doveva pagarsi in natura. L’atto è redatto dal notaio Rimperto. Leone è il più antico cittadino collecchiese del quale si conosce il nome.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario collecchiesi, in Gazzetta di Parma 22 febbraio 1960, 3.
LEONE GUGLIELMO, vedi LEONI GUGLIELMO
LEONI ANTONIO
Parma 1860 c.-
Assieme al fratello Giuseppe eseguì il monumento funebre Cloetta e la cappella Leoni nel Cimitero della Villetta di Parma, su disegno del figlio Ettore, e fornì le soglie e gli zoccoli in pietra della chiesa di Santa Croce di Fontanellato, su disegno di Lamberto Cusani.
FONTI E BIBL.: Gli anni del Liberty, 1993, 156.
LEONI BATISTA
Parma 22 ottobre 1786-post 1840
Garzone di cucina, sposò nel 1829 Teresa Trombara, dalla quale ebbe tre figli. Fu in servizio alla Corte di Maria Luigia d’austria dal 1825 al 1831 come rosticcere in seconda.Fu richiamato in servizio nel 1840 come magazziniere del guardamobile.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 311.
LEONI CLODOALDO
Parma 29 luglio 1802-Langhirano 1876
Fu medico a Langhirano, dove si trasferì nel 1830. Partecipò ai moti del 1848 e del 1859 e fu eletto a far parte dell’Assembrea Costituente dei rappresentanti del popolo delle province modenesei e parmensi (settembre 1859, deputato di Langhirano).Propose in tale consesso, assieme all’altro medico Atanasio Basetti e al conte Filippo Linati, l’erezione di un monumento ai parmigiani morti dal 1848 al 1859 per la causa italiana. L’assemblea decretò all’unanimità: A spese del pubblico erario verranno erette nella Chiesa Cattedrale di Parma tavole in bronzo portanti incisi i nomi dei cittadini delle Province Parmensi che negli anni 1848, 1849 e 1859 sacrificarono la propria vita nelle guerre per la causa dell’indipendenza e libertà d’Italia. Nel 1848 il Leoni si presentò candidato alla prima legislatura ma non venne eletto. Fu anche studioso di letteratura popolare e un suo lavoro (Voci e maniere di dire) fu segnalato dall’Accademia della Crusca.Membro della Commissione di Sanità e Soccorso del Comune di Langhirano dal 1835, fu decorato di medaglia d’argento per i benemeriti della Sanità Pubblica nel 1855, in occasione di un’epidemia di colera.Nel 1870 fu segnalato in un rapporto di polizia inviato alla Questura di Parma per i suoi ideali Repubblicani e perché ritenuto un sovversivo.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento, Roma, 1911; F.Ercole, Uomini politici, 1941, 221; U.A.Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 7; C.Melli, Langhirano nella storia, 1980, 33.
LEONI ERNESTO
Roccabianca-Verona 9 giugno 1916
Figlio di Giovanni. Fu uno degli eroi caduti nell’epica difesa di Passo Buole, nel giugno del 1916. Avuto l’ordine di morire piuttosto che cedere ai reiterati assalti degli Austriaci che, avanzando a plotoni affiancati e in forze preponderanti, tentavano di aprirsi un varco, i soldati italiani mantennero le posizioni a costo di gravi perdite. Durante questa azione il Leoni, che combatteva col 62° reggimento fanteria, rimase più volte gravemente ferito al capo e morì nell’ospedale militare di Verona in seguito alle ferite riportate.
FONTI E BIBL.: Combattenti di Roccabianca, 1923, 32.
LEONI ETTORE
Parma 8 agosto 1886-Parma 30 maggio 1968
Nacque da Antonio e Teresa Luccini. Il padre, marmista e titolare di una ditta di lavorazione di marmi e pietre con sede in via Linati a Parma, lavorò spesso con il Leoni, soprattutto nella realizzazione di cappelle e monumenti funerari, di motivi decorativi plastici, di sculture e di pannellature di rivestimento. Il monumento funebre Cloetta e la cappella di famiglia sono un esempio di questa collaborazione. Quest’ultima, defraudata nell’estate del 1992 dei leoni laterali all’ingresso sovrastati da colonnine e braceri di bronzo realizzati dallo scultore Renato Brozzi, rappresenta una delle costruzioni funerarie più interessanti nell’impiego di diversi materiali come il marmo rosa delle lastre di rivestimento dei quattro fronti e dei leoni, il marmo verde cipollino delle colonnine, l’arenaria del basamento e dei gradini di accesso, la pasta di vetro colorata delle decorazioni a rombi dell’ingresso e dei due volti, di Sant’Antonio e di Santa Teresa, contenuti nei timpani dei fronti laterali. Si deve supporre che in molte altre realizzazioni il Leoni e il padre lavorassero insieme: forse a Villa Leoni (1909) e a Villa Adele (1924), situate vicinissime alla ditta Leoni, così come a palazzo Quirici e palazzo Basetti, dove insieme a elementi decorativi plastici in cemento lavorato coesistono quelli in pietra scolpita. Qualche anno dopo il diploma in architettura (1907), fu chiamato a realizzare palazzo Marchesi (1913), all’angolo di via Melloni e via Garibaldi. Studiò a fondo e fece suo il prototipo di casa parigina della seconda metà del XIX secolo figurante nella notissima raccolta di disegni Tableaux de Paris dell’editore Texier (1853). I suoi quattro piani sono sottolineati all’esterno, in misura diversa a seconda dell’altezza, da salde cornici, eleganti balconi, timpani triangolari e semicircolari. Elementi architettonici i quali, assieme agli eleganti affreschi di Latino Barilli nella superficie a forma di pettine compresa tra le due ultime cornici, danno all’edificio quell’impronta di ricercatezza tanto cara ai ceti abbienti del primo Novecento. In sommità, inseriti nella copertura, si allineano dieci abbaini, che costituiscono un’altra nota di originalità nel contesto strutturale dell’edificio. La carriera felicemente iniziata dal Leoni venne subito interrotta, come per altri suoi colleghi, dal primo conflitto mondiale, al quale partecipò come ufficiale di cavalleria, pagando un pesante tributo: la mutilazione della mano sinistra. Ripresa l’attivita nell’immediato dopoguerra, il Leoni trovò a Parma il terreno ideale per esplicare una vastissima attività costruttiva in tutti i settori, attività che lo impegnò sino alla vecchiaia. In un decennio di intenso lavoro costruì la Banca Agraria (1920-1923), lo stabilimento della vetreria Bormioli (1921), il campo sportivo Tardini (1922), la parte della Ghiaia lungo viale Mariotti (1927), casa Corradi (1927), alla fine di via Cavour, casa Quirici (1928), all’inizio di via Parmigianino, palazzo Chiari (1928), in piazzale dei Servi, e palazzo Serventi (1930), in Via della Repubblica. Dello Stadio Tardini esistono almeno tre versioni, prima del regolare rilascio della concessione, che risale all’11 luglio 1923. La Commissione d’Ornato, in seduta 6 aprile e 1° giugno 1923, si espresse favorevolmente sulle varianti al progetto (fogli del 4 aprile e 31 maggio 1923), che il Leoni apportò in considerazione dei pareri negativi rilasciati dalla stessa, in occasione delle prime due versioni. Le motivazioni, contenute nella relazione del 2 marzo 1923, che mossero la commissione a richiedere tali modifiche, furono legate essenzialmente al concetto dell’unità di stile: si accettarono le fiancate laterali e la cancellata ma non il fronte centrale né le modanature dei fianchi e dell’ingresso, che il Leoni, con temperamento e genialità artistica, avrebbe dovuto ripensare per metterle in armonia col carattere moderno dei pilastri laterali. Nella prima versione l’arco a tutto sesto dell’ingresso era sovastato da uno pseudo timpano tronco con riquadrature laterali, nei pilastri binati laterali mancavano i palloni da gioco ripetuti su tutta l’altezza, divenuti poi dei simbolici cerchi nella versione definitiva, e i pilastri portabandiera erano semplici parallelepipedi, senza i cordami o ghirlande realizzati. Anche la seconda soluzione, peraltro già molto vicina a quella costruita, non fu accettata: la commissione confidò che la genialità del Leoni gli suggerisca all’atto pratico una migliore soluzione per le modanature di coronamento e per il fianco, in armonia ai due piloni laterali. Sia nella prima che nella seconda soluzione erano già previsti i basamenti laterali all’ingresso, sui quali si sarebbero dovute collocare le quattro statue di atleti, così come i giocatori di football dipinti sugli spigoli del sottocornicione degli spogliatoi. Non vennero realizzate nè le prime nè i secondi. Progettando questo eterogeneo insieme di edifici, il Leoni restò sempre fedele al gusto del tempo, abbandonando quando era possibile le schematizzazioni e i modelli di derivazione classica e dando libero sfogo alla sua fervida fantasia. Ognuna di queste costruzioni si inserisce con chiarezza e coerenza nell’ambiente preesistente, perchè il Leoni seppe sfuggire alla tentazione di monumentalizzare e quindi isolare la propria opera creando violenti contrasti con l’architettura circostante. Se nell’ingresso del Tardini, concepito come arco trionfale sormontato da otto pinnacoli portabandiera, si ritrovano gli spunti della tematica Liberty, nella casa Corradi le pareti liscie danno respiro alle masse murarie sovrabbondanti di motivi decorativi che si affacciano sull’incrocio di via Cavour, via Melloni e via Parmigianino. La vecchia Ghiaia, devastata dall’abbattimento delle Beccherie (1928), ritrovò una sua misura e un suo contenuto nel riassetto proposto dal Leoni, la cui sostanziale validità non è diminuita dalla povertà del materiale impiegato (il cemento martellato), soprattutto nei collegamenti verticali, che con minimo ingombro superano il dislivello di sei metri tra il piano dei negozi e quello stradale. Per un architetto che si era già qualificato nella risoluzione di complessi problemi nel centro storico e che per naturale inclinazione tendeva ad affrontare temi di notevole impegno, la progettazione di case unifamiliari non rappresentò certo un motivo di grande interesse. Ma la moda, la prospettiva di vantaggi speculativi e la mentalità dalla società post-bellica degli anni Venti richiesero un prodotto qualificato dal nome del costruttore e il Leoni era ormai ampiamente affermato. I numerosi committenti lo costrinsero per molti anni a un’intensa attività in questo settore, in cui egli lavorò con spirito di assoluta libertà formale e senza soggezioni stilistiche, a eccezione degli immancabili richiami floreali. Si ricordano, tra le altre, villa Barilli (1913), all’inizio di via delle Fonderie, villa Leoni (1913), in viale Martiri della Libertà, villa Figna (1916), in via Palestro, villa Salvini (1919), in viale Solferino, villa Artoni o Adele (1924), in viale Martiri della Libertà, villa Chiari (1930), in via Emilia Est, villa Gelmini (1934), in viale Partigiani d’Italia, villa Maghenzani (1946), a San Pancrazio, villa Bormioli (1946), a San Leonardo, villa Boni (1947), in via P.M. Rossi, villa Alessandrini (1925), a Sant’Andrea Bagni, villa Rossi (1923), villa Roffi (1932), villa Zecca (1932), a Soragna, villa Medioli (1946), a San Martino Sinzano, e villa Alinovi (1946), a Sala Baganza. Costruita a fianco di casa Battioni, situata sull’angolo tra il viale Berenini e via Palestro e collegata a questa tramite una nuova cancellata in ferro battuto e con motivi fitomorfi, villa Battioni ha chiari riferimenti stilistici all’arte nuova ed eleganti soluzioni formali, che bene si adattano alla tipologia della villa urbana. Molto meno ricca doveva essere in origine, così almeno pare abbozzata negli elaborati di progetto, la decorazione del sottogronda, ma semplicemente composta da figure geometriche romboidali, forse pensate in tessere di ceramica, come nel caso della vicina casa d’angolo, e intervallate da volute dipinte. I parapetti della scala di ingresso e del balcone del primo piano ripetevano lo stesso motivo decorativo della cancellata esterna. Al 12 dicembre 1912 risalgono le tavole di rilievo e di progetto di Palazzo Marchesi, presentate all’Uffico d’Arte del Comune di Parma per l’ottenimento della concessione a eseguire i lavori di rettifilo su via Melloni. Progettato come riattamento e alzamento di due unità edilizie preesistenti e costruito a partire dall’anno successivo, il palazzo trova riferimento nella matrice tipologica a blocco residenziale di fine Ottocento, con l’aggiunta di un tema estraneo al contesto parmigiano, quello degli abbaini. La particolare collocazione tra le due strade, pose problemi riguardanti la soluzione d’angolo, la definizione di una testata a conclusione della cortina edilizia prevalentemente a schiera su via Garibaldi e in particolare la risoluzione compositiva dei fronti esterni. Il Leoni risolse l’angolo a smusso tondo inserendo un balcone, avente funzione di cerniera tra i due prospetti e di partizione orizzontale.Ripartì la facciata in tre parti, quella di base, il piano nobile e la parte terminale, composta da due piani e da un marcato cornicione retto da elementi a mensola, che riprese a Palazzo Quirici (1919) in borgo del Parmigianino.Ai dipinti murali dell’ultimo livello, così come appaiono sulle tavole di progetto, dove figure accoppiate e ghirlande si ripetono alternandosi a festoni tra le finestre, si sostituì, in fase di realizzazione, una rappresentazione unitaria, continua anche attorno ai vani delle finestre.Attribuita a Latino Barilli, pare tuttavia opera di più autori, date le evidenti differenze tra le masse colorate di via Melloni e quelle di via Garibaldi.Nei primi mesi del 1913 partirono i lavori di sovralzo e sistemazioni dei tre fronti di Villa Barilli, in cui le influenze secessioniste si legano alla matrice vernacolare.Anche qui il Leoni fu affiancato dal pittore Latino Barilli, proprietario della villa, nella realizzazione dei bellissimi guerrieri dipinti in facciata. Anche in questo caso vi è incongruenza tra il progetto decorativo e la sua realizzazione. Le opere degli anni Venti raccolgono in parte le esperienze fatte nella progettazione delle ville urbane, nella ripresa di motivi secessionisti e, in parte, quelle fatte sui palazzi esistenti nel centro cittadino, nella vicinanza ai registri stilistici ottocenteschi associati a influssi di gusto novecentesco e accademico. Molto interessante dovette essere Villa Saccani, con serra per aranceria e floricoltura (1921), confinante con Villa Leoni e laboratorio della ditta: le riquadrature tra i vani delle finestre, distinte dalla restante superficie solo mediante un diverso trattamento dell’intonaco, le paraste laterali alle finestre, le tessere decorative della fascia marcapiano tra il primo e il secondo livello, gli pseudo capitelli del portone di ingresso, che diventano porta vasi, a ricordo degli incastri volumetrici già sperimentati sul fronte principale della cappella Leoni, sono una prova evidente della ripresa di motivi nuovi. La serra e l’aranceria furono collocate in un unico edificio a pianta rettangolare, sul retro della villa: al piano terra i due ambienti laterali all’ingresso furono destinatai a floricoltura e un unico vano, che occupava tutta la lunghezza del fabbricato, fu adibito ad aranceria. Il corpo scala laterale conduceva al primo piano attraverso un piccolo terrazzo. Palazzo Basetti e Palazzo quirici (1924) rappresentano invece la ripresa di elementi della tradizione ottocentesca. Il secondo progetto è datato al 30 aprile 1919 ma la richiesta di concessione risale al 1924: trabeazioni, chiavi di volta, bugnati e mètope sono elementi che costituiscono la facciata, di cui esiste una versione con ingresso centrato e una con ingresso laterale. In collaborazione con Gino Robuschi, il progetto per casa Capra su viale Campanini, riprende l’impianto planimetrico del villino urbano con corridoio in asse con l’ingresso centrale e di distribuzione alla scala e alle stanze laterali. La facciata ricorda casa Levrieri, progettata da Albertelli in viale dei Mille n. 138, che doveva sorgere sullo stesso lotto dove venne più tardi realizzato il progetto di Camillo Uccelli, ma ricorda anche villa Fietta di Tomasi e Gipperich. Le tavole di progetto che dettagliatamente descrivono Villa Artoni sono datate al 19 maggio 1924. Le soluzioni decorative tardo-eclettiche esterne coesistono insieme a soluzioni spaziali e distributive interne ormai tipiche della villa urbana del primo Novecento: per esempio l’opus incertum del piano terra, le lesene e il bugnato del primo piano, le mensole del sottocornicione, insieme alle diversificate cornici e archi ricurvi delle finestre e alle colonne con capitelli corinzi, su cui appoggia il terrazzo semicircolare di facciata, sono contrapposti agli spazi interni che si distribuiscono attorno allo scalone centrale con lucernaio in metallo e vetro. Villa sambataro a Fontanellato, realizzata nel 1925 con la collaborazione del geometra Pastorini, è collocata in via al Priorato, vicino alle scuole pubbliche progettate dall’architetto Fortunato Morestori. Riprende la stessa distribuzione in pianta di casa Capra a Parma, pur con alcune varianti nei due laterali accessi al giardino. I fronti ricordano Villa Saccani, nel trattamento diversificato delle superfici riquadrate al primo piano, e in parte Villa Battioni, nel corpo aggettante di facciata. La lunga attività del Leoni nella costruzione di ville e villette nell’arco di oltre un trentennio permette di cogliere i caratteri salienti della sua architettura, che, pur adeguandosi al mutare dei tempi, porta sempre il segno di una coerenza fondamentale e l’impronta di una feconda fantasia, che rappresentò in ogni tempo la sua dote peculiare. Se villa Barilli fu progettata nel rispetto della più castigata linearità secondo gli schemi di Ernesto Basile, villa Leoni, costruita nello stesso anno, presenta un più profondo linguaggio decorativo, ispirato a certi motivi proposti daOlbrich nel momento più coerente della Seccessione viennese. Nel settore funerario le opere firmate dal Leoni al cimitero La Villetta di Parma sono tra le poche che contribuiscono a dare un significato alla disarmonia del complesso. Sono le cappelle delle famiglie Leoni (1920), Bormioli (1924), Romanini (1929), Chiari (1934) e Tanzi (1939). In provincia sono da ricordare le cappelle Bettati (1948) e Azzali (1949), a Marore, Crescini (1950), a Fontanellato, Magnani (1952) a Roccabianca, e Medioli (1953), a Valera. Confrontandole con gli altri edifici realizzati dal Leoni, si colgono i vari aspetti della sua versatilità professionale, che fu tanto grande da permettergli di invadere il campo di pertinenza degli ingegneri, a quel tempo rigidamente chiuso. Il Leoni fu il primo architetto di Parma che, consapevole della sua preparazione, non accettò limiti alla sua azione di progettista. Sotto questo aspetto sono da ricordare il complesso industriale Caselli (1925), in via Emilia Est, il mulino Figna (1927), a Valera, lo stabilimento Cavazzini (1946), in viale Fratti, palazzo Gelmini (1950-1957), in piazzale Santa Croce, le officine Gelmini (1950-1960), in via Ferrari, le succursali della Banca Agraria a Fontanellato e a Soragna (1920-1923), la sistemazione di viale Verdi (1932) e l’ampliamento dell’orfanotrofio femminile Meli-Lupi (1933), a Soragna, il complesso colonico Chiari (1944-1945), a Madregolo, e lo stabilimento Alinovi (1944), a Sala Baganza.
FONTI E BIBL.: G.Capelli,Architetti del primo Novecento, 1975, 153-156; Gli anni del Liberty, 1993, 107-108.
LEONI FERDINANDO
Parma-post 1816
Fu liutaio generico, attivo in Parma nella prima metà del XIX secolo.Lavorò su modello degli Amati. Di vernice bruna, i suoi strumenti non sono di grande valore artistico, anche se di buon materiale.
FONTI E BIBL.: H.Vercheval,Dizionario del violinista, 1924; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
LEONI GAETANO
Borgo San Donnino 7 agosto 1784-post 1831
Figlio di Giuseppe. Nel 1804 fu Cannoniere di Marina al servizio d’Italia. Nel 1813 divenne Tenente, nel 1814 Tenente in 1a e poi Tenente del Reggimento Maria Luigia nelle truppe ducali di Parma. prese parte alle campagne di Prussia e Sassonia (1813) e Napoli e Francia (1815). Militò col Murat nell’Italia meridionale, ove riportò una ferita al capo (1814).
FONTI E BIBL.: E.Loevison, Ufficiali, 1930, 27; Aurea Parma 1946, 27.
LEONI GIOVANNI
Parma seconda metà del XIX secolo
Liutaio. Probabilmente figlio di Ferdinando, nella seconda metà del XIX secolo fu attivo a Parma, dove fece buoni violini.
FONTI E BIBL.: Billé; Vannes; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LEONI GIUSEPPE
Parma 11 febbraio 1775-Parma 1840
Figlio di Ilario. Laureato in medicina, nel 1808 fu Chirurgo Aide Major del 112° Reggimento Fanteria Francese. Nel 1811 militò nel 1° Reggimento Mediterraneo e nel 1813 fu promosso Chirurgo Maggiore. Prese parte alle campagne di Germania (1809) e d’Italia (1813-1814). Due anni dopo fu destinato a Piacenza.
FONTI E BIBL.: E.Loevison, Ufficiali, 1930, 27-28.
LEONI GIUSEPPE
Parma 1861 c.-
A capo di una fiorente industria per la lavorazione del marmo, dimostrò nell’esecuzione della Statua giacente della Cappella Romanini e nella Statua di donna in piedi del monumento funebre Parodi, sincera ispirazione e una notevole abilità tecnica. Assieme al fratello Antonio eseguì il monumento funebre Cloetta e la Cappella Leoni nel cimitero della Villetta di Parma, su disegno di Ettore Leoni, e fornì le soglie e gli zoccoli in pietra della chiesa di Santa Croce di Fontanellato, su disegno di Lamberto Cusani.
FONTI E BIBL.: G.Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 278; Gli anni del Liberty, 1993, 156.
LEONI GUGLIELMO
Parma 1664-Parma 1739
Fu pittore, e intagliatore all’acquaforte. Secondo il DeAngelis, fu probabilmente parente di Giovanni daLeone, allievo di Giulio Romano. Incise in rame due Raccolte di Animali con molto gusto. Nel Manuel (tom. 4, fol. 84) si trova il seguente catalogo delle sue stampe: Paesaggio montagnoso, ricco di varj animali, in 4, Paesaggio, con delle capre, una vacca, e un pastore, in 4, Venere, che pone agli occhi di Amore una benda, da Tiziano, in folio.
FONTI E BIBL.: A.De Angelis, Notizie degli intagliatori, XII, 1813, 4; P.Martini-G.Capacchi, Arte incisione, 1969.
LEONI GUSTAVO, vedi LEONI GUGLIELMO
LEONI LIONELLOCollecchio 1943-Bologna 1996
Nel 1973 divenne segretario cittadino del Partito Comunista Italiano di Parma. Due anni dopo entrò nel Consiglio comunale, dove fu rieletto anche nelle elezioni del 1980 e del 1985. Dal 1990 al 1994 guidò, come presidente, l’Azienda municipalizzata nettezza urbana di Parma.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 414.
LEONI LUIGI
Parma 1849-5 febbraio 1920
Fu parroco di Santa Maria Maddalena, professore di Storia Ecclesiastica nel Seminario di Parma, Rettore del Seminario Maggiore dal 1902 al 1908, Canonico del Duomo, Prelato del Papa e Direttore Spirituale nel Seminario Urbano.
FONTI E BIBL.: I.Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 196.
LEONI M.Parma 1838
Laureato in Botanica. Scrisse Sull’influsso della luna sulla vegetazione (dissertazione di laurea, Parma, 1838).
FONTI E BIBL.: Pritz, I, 201; P.A.Saccardo, Botanica in Italia, 1895, 96.
LEONI MICHELE
Borgo San Donnino 5 marzo 1776-Parma 27 agosto 1858
Compì gli studi dapprima nella città natale e in seguito a Parma, dove conseguì diciannovenne la laurea in filosofia. Passato al servizio del banchiere Serventi, contemperò l’aridità delle cifre con il diletto per le scienze antiche e moderne. Gli avvenimenti politici lo costrinsero nel 1806 a lasciare Parma, caduta sotto il dominio francese dopo la morte di Ferdinando di Borbone, per stabilirsi a Milano. Fu infatti acerrimo avversario del Bonaparte e lo manifestò dettando, con lo pseudonimo di Elentero Peltipolite, un feroce libello misogallico (Bonaparte e i Francesi, 1814), nel quale definì sprezzantemente il genio napoleonico null’altro che l’abilità di un insazio sanguinario. Nella capitale lombarda il Leoni frequentò assiduamente i circoli letterari, entrando in consuetudine amichevole con Ugo Foscolo, di cui fu entusiasta ammiratore pubblicandone un Ragguaglio, e con altri brillanti ingegni del tempo.Assieme a Ugo Foscoli e a Giovanni Rasori collaborò agli Annali di scienze e lettere. A Firenze, dove si recò nel 1812 per curare la stampa di alcuni lavori, conobbe e strinse amicizia con Byron, Capponi, Niccolini, Vieusseux, Roscoe e, a Verona, con Ippolito Pindemonte, i quali lo tennero nella massima stima. Un vivo elogio scrisse di lui la de Staël, altre lodi ebbe da P.Giordani, L. di Breme e N.Tommaseo. Giacomo Leopardi, che lo stimò, ne ebbe probabilmente incoraggiamento per le sue innovazioni metriche. Scrisse poesie e tragedie ma il suo valore rimane come traduttore. Tradusse dall’inglese, dal francese, dal tedesco, dal latino e dal greco. Volgarizzò dall’inglese Il Paradiso perduto di Milton, le tragedie di Shakespeare (1811-1819, La musica di Collins, la Storia dell’Inghilterra dello Hume, carmi di Alexander Pope, Il viaggiatore di Goldsmith, La Venezia salvata di Hotmay, Le scuole della maldicenza di Sheridan, poemetti di Thomson e i Nuovi canti di Ossian di John Smith, dal tedesco L’Europa del Medio Evo di Allan e un dramma di Schiller, dal francese L’Uomo di Lamartine, dal latino i tre poemi di Virgilio, le Storie di Sallustio, le Satire di Giovenale, La Farsaglia di Lucano, I parlamenti delle storie di Livio, La vita di Agricola di Tacito, Della natura delle cose di Lucrezio, epistole in prosa e in versi del Petrarca, dal greco l’omerica Iliade e i poemi di Esiodo Ascreo. Dall’esame delle edizioni dei classici tradotti traspare l’importanza della sua opera di divulgazione del pensiero e del sentimento d’Oltr’Alpe nel periodo più delicato della cultura italiana che precedette il Risorgimento. Minore fortuna ebbe come peota e come tragediografo. Osservano a questo proposito il Camilli e il Recusani, autori di uno studio sulla vasta e multiforme attività letteraria del Leoni, come avessero a lui fatto difetto la robusta originalità del pensiero e l’ardente immaginazione del creatore. Fu verseggiatore mediocre: la sublime altezza dei tragici inglesi ne commosse il carattere e impressionò la vena, dalla quale sgorgò una tenue voce. Cantò nelle odi e nelle tragedie argomenti ardui per vigoria e nobilità, con ispirazione silente e calma. Al grigiore dello spirito animatore la metrica unisce il regolare ritmo dei versi, la mediocrità smorza il tono del dire e il calore della visione e pareggia i caratteri dei personaggi e la lirica non s’innalza in un impeto di fervida e robusta fantasia. Tra la sua produzione, vanno segnalati i due carmi La guerra e La Campagna di Polonia, le tragedie Annibale, Il Duca d’Enghien (1815), San Paolo, Iemelda de’ Lambertazzi, Gabriella ed Efigenia. Meritano pure di essere ricordate del Leoni una poesia dedicata a Borgo San Donnino, nella quale egli ne canta le bellezze artistiche, e le biografie di sette illustri uomini parmigiani che apparvero sotto il titolo di Plejade parmense. Nel 1822 fu nominato dalla duchessa Maria Luigia d’Austria segretario dell’Accademia delle Belle Arti di Parma e dieci anni dopo insignito dell’onorificenza di cavaliere mauriziano. Nel 1838 fu pure annoverato tra i cavalieri dell’Ordine Annovarese dei Guelfi. Dal 1840 fu professore di lettere italiane all’Università di Parma e nel 1856 fu priore della facoltà filosofico-letteraria. La Biblioteca Palatina di Parma conserva tutta la produzione letteraria del Leoni, mentre una copiosissima serie di suoi manoscritti è custodita nell’archivio Giuseppe Micheli. Il Comune di Fidenza volle onorare la memoria del Leoni col dedicare al suo nome, nel 1939, la Civica Biblioteca. In quella circostanza curò la pubblicazione di uno studio per divulgare la conoscenza delle sue opere.
FONTI E BIBL.: L. Molossi, Vocabolario topografico, Parma, 1834, 33; Strenna Parmense, 1842, 37, e 1845, 71; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 215-216 e 523; V. Cian, Una scala dei poeti italiani, in Fanfulla della Domenica 2 settembre 1906; S. Monti, Sopra il Tiberio d. cav. M.Leoni, in Periodico della Società storica comense XX 1912; B. Camis, Un traduttore parmense: M. Leoni, in Aurea Parma maggio-giugno 1924; P. Negri, Romanticismo piemontese, in La cultura settembre 1925; E. Carrara, M.Leoni traduttore d. Petrarca, in Archivio Storico per le Province Parmensi XXXIV 1934; D. Lanfredini, Un letterato antinapoleonico: M.Leonie Il duca d’Enghien, in Studi in onore di C. Pellegrini, Torino, 1961; notizie varie in I manifesti romantici del 1816, a cura di C. Calcaterra, Torino, 1950, passim.; sui rapporti con G. Leopardi, cfr. C. Muscetta, L’ultimo canto di Saffo, in Ritratti e letture, Milano, 1961, p. 248 sg.; Dizionario Enciclopedico letteratura italiana, 3, 1967, 357; Aurea Parma 5/6 1912, 80; N.Denti, in Gazzetta di Parma, 27 maggio 1957, 3; D. Soresina; Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 219-220; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 194.
LEONI NICCOLÓ, vedi ZAGABRIA NICCOLÓ
LEONI OTTAVIO
Parma 1578 c.-1630
Pittore, del quale un ritratto virile è esposto nella Pinacoteca vaticana alla sala XV (ritratti) n.461.
FONTI E BIBL.: Guida d’Italia. Roma e dintorni, Milano, Touring Club Italiano, 1965, 516 e indice; Parma nell’Arte 1 1972, 53.
LEONI PIETRO
Parma 1829/1830
Falegname, lavorò, assieme ad altri e diretto dall’architetto Paolo Gazola, ai serramenti, parquet e invetriate gotiche, nel Casino del Ferlaro.
FONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 263.
LEONI RICCI LUIGI ANTONIO, vedi RICCI LUIGI ANTONIO
LEOPOLDO D’ASSIA-DARMSTADT o D’HESSEN-DARMSTADT, vedi HESSEN-DARMSTADT LEOPOLD
LEPORATI ANTONIO
Parma 1777/1800
Fu suonatore di viola alla chiesa della Steccata di Parma dal 1777 al 1791 e alla Cattedrale di Parma dal 3 aprile 1768 al 1800.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, Mandati 1777-1791; Archivio della Cattedrale, Mandati 1762-1772, 1773-1782; 1783-1788, 1789-1794, 1795-1800; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 168.
LEPORATI FRANCESCO
Ravarano 1805
Orologiaio, affetto da nanismo essenziale, nel 1805 ebbe l’opportunità di incontrare Napoleone Bonaparte in visita a Parma. Moreau de Saint-Mery, amministratore generale degli Stati parmensi, in odore di giubilazione, organizzò a Parma una sorta di fiera per compiacere Napoleone Bonaparte, allestita nei giardini che diventarono successivamente Parco Ducale. Al centro del consistente numero di padiglioni, affollati da bambini di scuole e ospizi e da una mostra di bestiame, vi era la bottega d’orologiaio del Leporati. Mastro riparatore di segnatempo, il Leporati misurava tre piedi e tre pollici d’altezza (un metro esatto) e i suoi figli erano alti come lui. Scovato a Ravarano da Stefano Sanvitale, responsabile della mostra, durante i suoi viaggi nella provincia, il Leporati impressionò favorevolmente Napoleone Bonaparte per la velocità nel sistemare i minuscoli meccanismi degli orologi aperti sul suo banco. L’Imperatore ebbe parole di elogio per Sanvitale, che l’anno successivo divenne sindaco di Parma sostituendo in pratica il Moreau de Saint-Mery, destituito nonostante i festeggiamenti preparati. Il Leporati ebbe dalla moglie Luisa Borghesi dodici figli, dei quali sei erano sopravvissuti. Il Leporati ebbe anche una seconda attività per far quadrare il pesante bilancio familiare: si prestò a mettersi in mostra per chi poteva trarre un vantaggio commerciale dalla sua presenza. Famosa, a quei tempi, fu la sua comparsa a fianco di un tricheco esposto in Parma. Il proprietario della bestia lo pagò bene e pretese che a un certo punto si spacciasse per esotico: per il pubblico il Leporati divenne così il nano indiano.
FONTI E BIBL.: M. Tagliavini, in Gazzetta di Parma 10 febbraio 1992, 3.
LEPORATI FRANCESCO
Parma 22 giugno 1907-Parma 24 luglio 1944
Militò nei ranghi dell’antifascismo prima del 25 luglio 1943.Ebbe incarichi di primo piano nell’organizzazione della resistenza e nello sviluppo dei Gruppi di azione partigiana. Operò nel servizio informativo (Brigata SIM e SIP) e in diversi altri settori tra i più delicati, rimanendo sempre a Parma, a diretto contatto con il nemico, fino al momento della cattura da parte dei nazifascisti. Fu insignito di medaglia d’argento al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione: Già distintosi in precedenti azioni per le sue doti di eccezionale sprezzo del pericolo, viene catturato durante un rischioso pattugliamento. Sottoposto dal nemico a crudeli sevizie per fornire informazioni segrete, tiene contegno fermo e sprezzante. Colpito a morte, immola la sua giovane esistenza per la causa della libertà.
FONTI E BIBL.: Caduti resistenza, 1970, 79; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 355.
LEPORATI GIUSEPPE
Soragna 1 agosto 1877-Torrile 20 luglio 1959
Venne ordinato sacerdote il 2 marzo 1901. Fu parroco a Coenzo dal 1902 al 1914, indi priore di Torrile per quarantacinque anni, fino alla morte. Fu zelante pastore di anime e rifulse per bontà e fecondità di opere dedicandosi con la parola e con l’esempio al prossimo più bisognoso. Lasciò traccia della sua cultura, oltre che in diverse sue orazioni di circostanza, nello studio Aurora consurgens, vita del padre Giocondo Pio Lorgna, dell’Ordine dei Predicatori, fondatore delle Suore domenicane Imeldine (Fidenza, Tip. La Commerciale, 1934).
FONTI E BIBL.: B.Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, II, 292.
LERIS LUIGI
Treviglio 1 novembre 1912-Parma 27 febbraio 1991
Crebbe nell’esempio del fratello maggiore, Angelo, molto attivo nel movimento operaio che aveva nei lavoratori dello stabilimento Dalmine il suo punto di forza. Per la sua attività di oppositore, Angelo incorse nei rigori polizieschi del regime fascista: arrestato nel 1931 e giudicato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, riportò una dura condanna al carcere. Nel 1936 toccò al Leris di essere sottoposto al Tribunale speciale, a un anno dall’arresto avvenuto ai primi del gennaio 1935. La sentenza fu durissima: sotto l’accusa di essere un qualificato funzionario del Pci, inviato ripetutamente in missione, riportò 20 anni di carcere, con un lungo periodo di segregazione. L’attività cospirativa portò il Leris a Lucerna, Parigi, Colonia e Berlino per brevi periodi. Nel 1932-1933 visse a Mosca per frequentare, tra l’altro, la Scuola internazionale. Come numerosi altri connazionali, ebbe tra gli insegnanti anche Guido Picelli, il quale si presentò agli allievi in divisa di ufficiale dell’Armata Rossa. Al contrario del fratello, il Leris non riuscì a riacquistare la libertà dopo la caduta del fascismo. Ogni speranza fu preclusa quando nel carcere di Portolongone, dove giunse da Fossano, entrarono i nazisti. Nel gennaio 1944 i reclusi politici furono trasferiti al carcere di Parma. Il 13 maggio 1944 lo stabilimento penale di San Francesco venne colpito da bombardamento aereo. Il Leris e alcuni altri detenuti furono portati alla Certosa, da cui, dopo pochi giorni, riuscirono a evadere raggiungendo i partigiani parmensi. Il primo reparto incontrato, nel quale il Leris si inserì, fu quello di Virginio Barbieri. Rapidamente il Leris assunse ruoli di crescente responsabilità, fino al grado di commissario di guerra della Divisione Val Ceno, comandata da Ettore Cosenza, al quale lo legò una profonda amicizia, così come verso Nino Rolleri, cappellano nazionale dell’Associazione partigiani cristiani. Nel dopoguerra il Leris, che fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, fu organizzatore presso la Federazione comunista parmense, consigliere provinciale, membro del consiglio amministrativo dell’Amps, presidente provinciale dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti e segretario provinciale dell’Associazione nazionale partigiani italiani. Fu sepolto nel cimitero della Villetta in Parma.
FONTI E BIBL.: P. Tomasi, in Gazzetta di Parma 28 febbraio 1991, 9.
LESIGNOLI GIUSEPPE
Medesano 6 marzo 1877-Ozzano Taro 4 ottobre 1955
Terzo di quattro figli del segretario comunale di Medesano, studiò a Parma grazie ai molti sacrifici della madre, dato che il padre morì a soli trentacinque anni lasciando la famiglia nell’indigenza. Nel 1901 conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia e prese a esercitare la professione. Fu per oltre quarant’anni medico condotto a Parma. Nel 1911 elesse come sua residenza estiva una villa di Ozzano Taro. Nel 1949, ritirandosi dalla professione, si portò ad abitare definitivamente a Ozzano ove rimase fino alla morte. Il Lesignoli partecipò ad ambedue le guerre mondiali come Ufficiale Medico, riportando, nella prima, una ferita a una gamba e rimanendo, nella seconda, prigioniero in Germania per otto mesi. Nel 1952 ricevette dal Comune di Parma il Premio di Bontà, motivato dal fatto che il Lesignoli prestò disinteressatamente la sua opera professionale per i tranvieri e le loro famiglie, nonché per i poveri dell’Asilo Notturno (fu infatti per diversi anni Direttore di quell’istituto di carità). Fu medico nei quartieri più poveri della città di Parma.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario collecchiesi, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.
LETTEL ENRICO
Torino 15 settembre 1881-Parma 21 gennaio 1920
Da giovane ufficiale fu inviato a Parma, dove si stabilì, percorrendo tutta la carriera militare fino a diventare comandante della Scuola di Tiro e di Applicazione presso il Parco ducale.Partecipò alla prima campagna militare in Libia, dove dimostrò valore e grande capacità di comando e per ferite riportate in combattimento venne decorato e promosso sul campo.
FONTI E BIBL.: L. Vignoli, notizie manoscritte.
LEUTERIO SOPRANO vedi GUAZZI ELEUTERIO
LE VACHER, vedi LEVACHER
LEVACHER ANTOINE
Parigi 1762c.-post 1804
Figlio di Francois-Guillaume, si trasferì a Parma al seguito dei genitori nel 1769. Fu tenente colonnello delle truppe ducali di Parma. Sposò la nobile Albertina Carolina de Chestret.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 107.
LEVACHER FRANCESCO GUGLIELMO, vedi LEVACHER FRANCOIS-GUILLAUME
LEVACHER FRANCOIS-GUILLAUME
Breteuil 15 luglio 1732-Parma 9 gennaio 1816
Nacque da una famiglia che diede alla Francia figure eminenti di medici, filosofi, letterati, magistrati e sacerdoti. Dopo aver compiuto a Parigi gli studi umanistici, a diciotto anni si indirizzò allo studio della Chirurgia e, dopo aver frequentato l’Hôtel-Dieu e la Scuola Pratica di Parigi, conseguì a ventidue anni la laurea. In quell’epoca pubblicò un romanzo intitolato Le triomphe de l’amour (1755). Sopravvenuta la guerra dei Sette anni (1756-1763), venne nominato Chirurgo Maggiore delle Armate del Re a Mahon e destinato in Spagna, dove ebbe presto agio di far valere il suo talento perché in un’epidemia dissenterica dimostrò, contro quello che era il parere degli altri medici, che il mezzo migliore per arrestare i progressi del male era l’isolamento dei malati. Partecipò quindi alle campagne di Prussia e dell’Hannover, distinguendosi particolarmente per la sua perizia nell’eseguire difficili interventi chirurgici. Nel 1760, dopo quattro anni di servizio militare, il Levacher rientrò a Parigi dove, l’anno successivo, sposò la figlia del chirurgo Pierre Brevet de Maisonneuve. La sua fama a Parigi andò rapidamente allargandosi, così da non poter rispondere (come egli stesso affermò) a tutte le richieste di prestazioni che gli vennero rivolte.Sebbene ancora molto giovane, occupò poco dopo la cattedra di Tecnica operativa e divenne Consigliere del Comitato perpetuo dell’Accademia Reale di Chirurgia. Sul principio del 1769 l’Accademia venne invitata dalla Corte di Napoli a designare tra i suoi membri un chirurgo ostetrico e pressoché contemporaneamente la Corte di Parma richiese un nominativo per il posto di Primo Chirurgo Ostetrico. Ambedue i posti vennero offerti al Levacher, che optò per quello di Parma dove arrivò il 5 luglio dello stesso anno. A Parma gli venne affidata anche la cattedra di Chirurgia teorico-pratica all’Università e, ben presto, diversi interventi chirurgici felicemente riusciti convalidarono la sua fama di valente operatore. Un biografo contemporaneo, il De Lama, così scrive: Le felici, frequenti ed accurate sue operazioni chirurgiche mostrarono in breve che degno era il Levacher de’ conferiti onori e il grido ne pervenne sino a S.M. l’Imperatrice Maria Teresa la quale domandò così esperto Ostetrico al Duca perché assistesse la amatissima sua figlia Regina di Napoli in un pericolosissimo parto. La somma sua maestria e gli spiritosi suoi modi gli conciliarono una sì piena fiducia di que’ Sovrani che per ben dieci volte lo richiesero al Reale Cognato; né paghi di averlo ricolmo di onorificenze e doni preziosissimi, gli ottennero il Cordone di S. Michele e di essere ascritto co’ suoi figli e discendenti alla nobiltà di Francia. Allora l’Infante Duca, volendo mostrarsi pari estimatore di così celebre uomo, a lui pure ed a tutta la sua discendenza, con onorevolissimo diploma, accordò la nobiltà parmigiana. Quanto il Cavaliere Levacher si fosse valente nell’arte sua il sà l’Europa e i Colornesi aggiungeranno che la sua casa, cambiata in tempio sacro ad Esculapio, era ogni mattina aperta gratuitamente a chi ricorreva a lui per guarigione. In effetti, da Parma fu chiamato più volte come celebre ostetrico alla corte di Napoli e con diploma del dicembre 1785 ottenne da Luigi XVI l’iscrizione, assieme ai figli, alla nobiltà francese, e con patente del 10 gennaio 1790 fu, da Ferdinando di Borbone, creato nobile parmense. Il Levacher trascorse la vita tra la sua dimora di Parma e quella estiva di Colorno, amareggiato negli ultimi anni dalla perdita della moglie e di un figlio. La chiesa della Santissima Trinità ne conserva il ricordo con una bella lapide marmorea presso l’altare maggiore. L’attività scientifica del Levacher è consegnata in una serie di pubblicazioni, di cui la più importante è costituita da un Essai sur les tumeurs inflammatoires, opera in quattro grossi volumi cui attese negli ultimi anni di vita e che venne pubblicata nel quinquennio 1810-1815. Tale opera è una raccolta delle sue più importanti lezioni per il corso di Chirurgia teorico-pratica ed è preceduta da un Compendio di Fisiologia nel quale dichiara di seguire le dottrine di Lazzaro Spallanzani e di Michele Rosa. Un capitolo che merita di essere particolarmente segnalato è quello relativo all’apparato linfatico e alla sua importanza nell’economia dell’organismo. Le altre pubblicazioni del Levacher sono costituite in gran parte da memorie presentate all’Accademia di Chirurgia di Parigi e riguardano principalmente modalità di tecnica operatoria quale l’estrazione di corpi estranei dall’esofago e dalla trachea, la nefrotomia nelle calcolosi renali e la gastrotomia per la cura delle occlusioni intestinali. Tra queste memorie minori ve n’è una, Nouveau moyen de prévenir et de guérir la courbure de l’épine che merita un particolare cenno. In tale memoria è descritto un apparecchio ortopedico (che destò l’interesse anche di Antonio Scarpa, che volle esaminarlo) che ha il merito di anticipare la nozione che, per guarire le deviazioni della colonna, è necessaria la trazione continua, bandendo l’uso della sospensione temporanea e dei corsetti compressivi. Educato come fu alle idee degli enciclopedisti, ilLevacher si occupò anche di questioni sociali raccogliendo in un volume dal titolo L’Homme en societé (1804) i frutti di lunghe meditazioni che sembrano preludere a quelle tendenze collettivistiche che ebbero in seguito così ampio sviluppo. Soprattutto lo esaltarono le teorie dell’abate Gabriel Bonnot de Mably che, tutto pervaso di entusiasmo per le libere istituzioni della Grecia e di Roma, predicò il ritorno al primitivo stato di uguaglianza tra gli uomini. Il Levacher enuncia nella sua opera, con quello stile chiaro e preciso che gli è proprio, un progetto di riorganizzazione della società basato sull’abolizione della proprietà individuale e sulla nazionalizzazione della terra. Dopo aver riferito i principi del suo progetto sociale, il Levacher ne espone in modo dettagliato le linee per un’attuazione pratica. G. Melli, occupandosi di lui come sociologo, ha messo in evidenza l’affinità delle sue idee con quelle degli apostoli del socialismo moderno e più particolarmente con quelle di Guillaume Collins. Ma occorre pur sempre rilevare che mentre Le Pacte sociale del Collins venne pubblicato a Parigi nel 1835, L’Homme en societé venne stampato dal Bodoni nel 1805.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 216-217; E. Isambard-E. Chauvin, Une Famille de médecins normands au XVIII siécle: les Levacher, Paris, 1901; G. De Lama, Necrologio di G.F. Levacher, in Gazzetta di Parma 13 gennaio 1816; G. Melli, Un precursore del Socialismo sul finire del Settecento a Parma, in Aurea Parma IX 1920, 155; E. Ponzi, in Parma Economica 4 1964 13-15; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 107; Levacher, L’uomo nella società, 1992, 9-10; F. Piazza, in Gazzetta di Parma 29 settembre 1997, 5; R. Bandini, De l’homme en societé. L’utopia di Levacher, in Aurea Parma 3 1998, 239-268.
LEVACHER GIACOMO
Parma XIX secolo
Figlio di Gaetano. Fu capitano delle truppe ducali di Parma. Sposò la baronessa Luigia Del Campo.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 107.
LEVACHER GIOVANNI
Parma-post 1837
Fisarmonicista, fu attivo in apprezzati concerti a Parma e nel marzo 1837 incontrò il successo in alcune esibizioni anche a Milano e Piacenza.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LEVACHER GUGLIELMO FRANCESCO, vedi LEVACHER FRANCOIS-GUILLAUME
LEVACHER RAUL, vedi LEVACHER ROLANDO
LEVACHER ROLANDO
Parma 13 febbraio 1858-Milano 1928
Figlio di Gaetano e Luisa Del Campo Lomeno Gallarati. Di famiglia nobile, frequentò la Scuola tecnica di Parma e percorse gli studi di architettura nell’Accademia di Belle Arti di Venezia, essendo ospite dello zio, generale Giovanni Battista Dall’Aglio. Come ingegnere e architetto il Levacher operò prevalentemente in Argentina ove dimorò per molti anni. Vinse il primo premio del concorso per la costruzione della Nuova Banca Italiana (1887) a Buenos Aires e il concorso internazionale bandito dal governo della Repubblica argentina per la costruzione delle facoltà di legge e scienze sociali dell’Università di Buenos Aires.In Argentina il Levacher costruì più di centocinquanta edifici. In Italia progettò e diresse, tra l’altro, la costruzione della caserma dei carabinieri di Roma. La prima opera del Levacher di cui si ha notizia nell’ambito parmense fu realizzata a Colorno nella chiesa di Santa Margherita ed è datata 1904: si tratta dell’altare maggiore. Lo stesso Levacher, che nei suoi progetti si firma ingegnere, progettò con il geometra Raffaele Cavalieri nel 1910 villa Cornelli, fuori barriera Farini, con evidenti riferimenti neo-barocchi nelle soluzioni di facciata e nelle decorazioni esterne. Una sua villa, datata 1923, in viale Collegio Maria Luigia fu poi demolita. Più tardi realizzò (1924) in viale Toschi, su terreni acquisiti dal Comune, due palazzine urbane diverse tra loro nello stile e nelle soluzioni ma entrambe di grande interesse per l’attenzione ai particolari costruttivi e decorativi e per i chiari riferimenti eclettici nell’accostamento degli stili. Delle due, di fronte al monumento alla Vittoria, spicca per volumetria, corretto uso di materiali e riferimenti stilistici medioevali a filo della terrazza la pluripiana villa Garbarini. La città di Buenos Aires gli tributò onoranze funebri trionfali.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 86; Gazzetta di Parma 10 luglio 1989, 3; Gli anni del Liberty, 1993, 113; Enciclopedia di Parma, 1998, 415.
LEVACHER UMBERTO
Parma 1904/1924
Ingegnere, progettò nel 1924 due edifici di civile abitazione in piazzale Collegio Maria Luigia, nell’area dell’ex Istituto Maternità e in via Collegio Maria Luigia. Diversamente da Rolando levacher, non fece proprio il repertorio stilistico eclettico. Al contrario firmò il primo progetto con il giovane Adalberto Libera, allora ventunenne, che lavorò nel suo studio milanese. La sua attività conosciuta a Parma termina nel 1924.
FONTI E BIBL.: Gli anni del liberty, 1993, 113.
LEVATI ERCOLINO
Varsi 1890-6 agosto 1915
Figlio di Pietro e Adelaide Ceci. Soldato nel 112° Reggimento Fanteria, morì in battaglia combattendo valorosamente.
FONTI E BIBL.: Caduti di Noceto, 1924, 35.
LEVI ALESSANDRO
Busseto 17 giugno 1813-Parma 27 ottobre 1859
Fu medico distinto e buon letterato, come tale giudicato da Emilio Seletti meritevole di essere annoverato nella sua opera tra gli illustri bussetani. Nonostante fosse scrittore dotto ed elegante, furono pochi i suoi lavori dati alle stampe. Numerosi, invece, erano gli inediti, andati poi per incuria dispersi.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 221.
LEVI FAUSTO
Parma 1925-1993
Figlio di Mosè Renzo e di Elena Foà. Di famiglia israelita, nel 1938 fu costretto dalle leggi razziali fasciste ad abbandonare il ginnasio G.D. Romagnosi di Parma. Si trasferì a Milano per prosegurie gli studi presso la scuola ebraica di via Eupili, fino al 1943. Con l’occupazione tedesca, il 27 settembre di quell’anno il padre, agricoltore, fu arrestato nella sua casa di Soragna, venne deportato ad Auschwitz e infine a Mauthausen, dove morì il 20 marzo 1945. Il Levi e la madre ripararono clandestinamente in Svizzera per sfuggire alla persecuzione. Rientrati in Italia dopo la Liberazione, il Levi si occupò dei poderi della famiglia nella Bassa parmense. Contemporaneamente svolse la professione di agente assicuratore. Dal 1974 divenne presidente della Comunità ebraica di Parma. Al suo impegno si deve il restauro della sinagoga di Parma. Tenace sostenitore della necessità di tutelare il patrimonio storico dell’ebraismo locale, nel 1982 creò il Museo ebraico (il maggiore presente in Emilia-Romagna), che porta il suo nome, ubicato presso la sinagoga di Soragna.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 415.
LEVI GABRIELE
Soragna 1767-Soragna 23 maggio 1839
Figlio di Michele e di Vittoria Laudi. Rimasto solo con la madre e i fratelli Isacco e Abramo, dopo che il padre, sul finire del Settecento, aveva abbandonato il paese e la famiglia, risiedette sempre nella sua casa a pochi passi dalla Rocca. Dotato di ingegno e di non comune intraprendenza, diede avvio a una vasta e importante attività finanziaria che lo portò, in tempi anche brevi, a occupare un posto assai ragguardevole nell’ambiente economico, sia all’interno del Ducato di Parma che fuori di esso. Frequenti, infatti, furono i suoi viaggi e numerose le sue attività, cosicché non gli fu difficile entrare in rapporti d’affari con i più importanti nomi del suo tempo e mettere del pari insieme un patrimonio più che consistente. L’internazionalità dei suoi affari e dei suoi interessi è dimostrata, oltre che da una proprietà immobiliare di trentadue tenute agricole e beni stabili diversi, unita ad una massa di crediti ipotecari e chirografari per 446000 lire, anche dall’ingente somma di 256421 lire ritrovata alla morte nella sua camera e costituita da napoleoni d’oro, zecchini ungari, doppie di Savoja, doppie di Parma, Luigi, zecchini veneti, doppie di Spagna, doppie di Roma, sovrane, doppie di Genova e altre monete correnti. Il Levi, che per testamento donò un terreno in villa Argine affinché vi sorgesse il nuovo cimitero ebraico, ebbe sette figli, tra i quali Salomone, che lasciò una generosa rendita alla Congregazione di carità, all’ospedale civile locale e alla Comunità israelitica, Daniele, che contribuì insieme al fratello e ad altri ebrei di Soragna all’erezione della Sinagoga, e Regina, che sposò Giacobbe Giacomo Bassani.
FONTI E BIBL.: B.Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986. II, 292-293.
LEVI GIOACCHINO o GIOACHINO ISACCO, vedi LEVI ISACCO GIOACCHINO
LEVI GIOVANNI
Soragna 1849-1924
Di grande tempra morale e universalmente stimato, presiedette a lungo la Comunità israelitica di Soragna e fu vice presidente della locale Società Operaia. Ebbe l’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia.
FONTI E BIBL.: B.Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, II, 72.
LEVI GIUSEPPE
Parma seconda metà del XIX secolo
Pittore ornatista attivo nella seconda metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, X, 80.
LEVI GIUSEPPINA
Parma 8 agosto 1848-
Studiò canto (contralto) dal 1864 al 1866 alla Regia Scuola di musica di Parma con il maestro Griffini, dopo di che si recò a Milano per un anno per perfezionarsi con la Romanò. Il debutto avvenne, ventenne, a Reggio Emilia dove, al Teatro Municipale, nella stagione di carnevale 1868-1869, cantò nella Maria di Rohan di Donizetti e nei Capuleti e Montecchi di Bellini. Secondo il Ferrari, la Levi avrebbe studiato a Milano con Sangiovanni, debuttando a Riva del Garda, dopodiché fu applaudita in molti teatri italiani e si recò per tre anni all’estero. Nel 1875 la Levi cantò al Teatro Verdi di Trieste nel Ballo in maschera di Verdi e nei Promessi sposi di Ponchielli, mentre approdò al Teatro Regio di Parma nella primavera del 1879 con lo Stabat Mater di Rossini, spettacolo organizzato dalla Società Orchestrale e Corale di Mutuo Soccorso di Parma. Nel Fac ut portem sorprese l’auditorio per la poderosa voce, con i bassi veramente fenomenali. Il concerto fu poi ripetuto a Reggio Emilia il 22 e 23 marzo con grande successo. Nello stesso 1879, nella stagione di autunno, fu ancora ammirata al Teatro Regio di Parma nelle Donne curiose di Emilio Usiglio. Al compositore e direttore d’orchestra parmigiano l’esecuzione della Levi fu di notevole gradimento. Nel giro di due anni la si trova nella stessa opera al Teatro Sociale di Como (1879/1880), dove cantò anche negli Ugonotti di Meyerbeer e in Isabella d’Aragona di Pedrotti, e al Politeama Genovese nel 1880. Pur senza aver cantato in grandi teatri, la sua attività fu intensa e coronata da successo: la Levi cantò infatti a Milano, a Pisa, a Genova (Teatro Paganini, 1886, e Politeama Genovese, 1887) ad Adria (1882) e a Verona (Teatro Filarmonico, 1883-1884).
FONTI E BIBL.: Bettoli; Bologna; Ferrari; Frassoni; Levi; Seveso; Cronologie dei Teatri Regio di Parma e Municipale di Reggio Emilia; C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 114; G.N. Vetro, Voci Ducato, in Gazzetta di Parma 14 novembre 1982, 3.
LEVI GUIDO
Soragna 8 luglio 1852-Roma 15 agosto 1893
Nacque da Mosè Aronne e Giuseppina Rabbino. Dopo essersi laureato in legge, si dedicò agli studi di storia e di paleografia. Trasferitosi a Roma per svolgere la sua attività presso l’Archivio di Stato, seppe in breve tempo dare evidenti prove delle sue capacità. Curò per le stampe un approfondito studio sul Regesto vaticano di Bonifacio VIII e illustrò e commentò la Cronaca di Dino Compagni, intorno alla quale già da anni il suo maestro Isidoro Del Lungo si era applicato. Approntò poi un dotto commento alle pagine più salienti della cronaca di Fra’ Salimbene, che uscì col titolo di Aica Traversari. Aneddoto Salimbeniano. Tra gli altri suoi studi vanno ricordati: Ricerche intorno agli Statuti di Roma, Il Regesto Sublacense, il tomo 1° dei Regesti Vaticani, il Diario Nepesino di Antonio Lotieri de Pisano e il Registro dei Cardinali Ugolino d’Ostia e Ottaviano degli Ubaldini. Dell’operosità scientifica del Levi sono testimonianza molte altre sue scritture, inserite per la più parte nell’Archivio della R. Società Romana di Storia Patria. Per i suoi meriti archivistici e di studioso venne chiamato, nel novembre del 1883, alla carica di segretaro della Regia Società Romana di Storia Patria. Fu nominato socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria. Morì ancora in giovane età, mentre si accingeva a completare i suoi studi sull’Archivio Lauretano. L’Enciclopedia Moderna Vallardi lo definisce uno dei più noti paleografi italiani.
FONTI E BIBL.: A. Amadei, Guido Levi, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1893, X; A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 57; B.Colombi, Soragna. Feudo e comune, 1986, II, 293-294
LEVI ISACCO GIOACCHINO
Busseto 2 novembre 1818-Busseto 28 gennaio 1908
Figlio di Angelo e di Sara Fano, appartenne a distinta famiglia ebrea bussetana, abitante in un austero edificio della via principale della città. Una lapide, murata sulla facciata, rammenta con poche parole come nella casa avesse avuto i natali il Levi. Denotò, giovanissimo, spiccata inclinazione alla pittura, che studiò a Parma in quell’Accademia di Belle Arti, dove si fece particolare onore. Le sue opere, tendenti all’antica scuola italiana, rivelano una personalità spiccatissima e destano ammirazione per vigoria di disegno, per armonia d’insieme, per colore e finitezza. Non fu, come molti contemporanei, artista ammanierato ma seguace del vero, studioso della natura e fedele interprete delle sue manifestazioni. Dal 1843 attese a un Narciso che si specchia alla fonte, che terminò ed espose nel 1846 (tale opera è identificabile con la lacera e dimenticata tela nei depositi del Museo Civico di Busseto). A Parma ottenne due medaglie d’oro, una per il nudo e l’altra per la mezza figura dipinta, e anche nel 1848 vinse il pensionato romano con la Creazione d’Adamo. Da Roma probabilmente inviò il Caino che medita il fratricidio, nella Galleria Nazionale di Parma, per il quale tra l’altro non sussistono elementi documentari: del resto, però, per l’impostazione il quadro si presta benissimo a essere considerato come saggio di figura intera di composizione. La permanenza del Levi a Roma si protrasse almeno sino al 1853, quando inviò a Busseto la Fondazione del Monte di Pegno di Busseto, commissionatogli appunto dal locale Monte di Pietà, dove si conserva, ma che a quel tempo fu visibile anche al pubblico nelle sale dell’Accademia parmense. In questo dipinto il Levi raffigura un gruppo di sette personaggi, abbigliati in caratteristici costumi, intenti ad ascoltare, con serena pacatezza, la lettura dei contenuti e del significato della prestigiosa fondazione: ogni particolare è esaltato da una fonte di luce che entra tra le arcate di un’ampia loggia illuminando i particolari delle vesti e degli oggetti nella parte destra del quadro. Nel 1855 poi la Società d’Incoraggiamento gli commise un dipinto dal titolo Noi appendemmo le cetre ai salici, il quale, dopo l’esposizione fattane a Piacenza e a Parma, venne sorteggiato a Paolo Gazzola. Il Levi nel 1856 si recò a Torino dove insegnò figura per tre anni nel Collegio Nazionale. Da quell’anno in poi partecipò anche alle mostre torinesi con Il cantastorie e la venditrice di numeri, acquistato da Giovanni Nigra, nel 1858 con l’Assedio dei Milanesi nel 1162, commissionatogli da Testori e l’anno seguente con la Morte di Don Carlo di Spagna, che venne acquistato dal re Vittorio Emanuele di Savoja. Dal 1859 al 1860 il Levi dipinse pure a encausto tre grandi scomparti murali nel Duomo di Mondovì raffigurandovi S. Bernolfo, S. Evasio e S. Cecilia. Portatosi a Milano, nel 1860 insegnò all’Accademia Militare, dove rimase per qualche tempo. Ritornò a Busseto entro il 1865, dove decorò, su incarico del Comune, il volto del locale teatrino con le personificazioni della Commedia, della Tragedia, del Melodramma e del Dramma romantico (i quattro bozzetti a olio si trovano nel Museo Teatrale della Scala a Milano). Nel novembre dell’anno dopo venne nominato socio onorario dell’Accademia di Urbino e nel 1871 eseguì due pitture murali nella chiesa di Limbiate rappresentandovi l’Annunciazione e la Natività. Nel 1873 il Levi fu ancora a Busseto dove affrescò una medaglia ovale nel soffitto della biblioteca Civica con Minerva che caccia l’ignoranza. Nell’ottobre dell’anno seguente venne nominato socio onorario dell’Accademia parmense. Infine, sempre nel 1874, espose a Milano quattro quadretti ispiratigli dai versi di Shakespeare con Puck, Ariel, Oberon e Titania, conservati nel Museo Civico di Busseto e nel Teatro Verdi. Dipinse quadri storici e mitologici, ritratti e affreschi. A Busseto se ne conservano numerosi, sparsi un po’ ovunque: nel Monte di Pietà la tela commemorativa della fondazione di quell’istituto e una preziosa collana di ritratti dei principi Farnese e di altri sovrani che regnarono a Parma (1843-1846), nel Teatro Verdi i già citati quattro affreschi, nel Civico Museo ritratti, studi e un Prometeo. Altre opere figurano, sempre a Busseto, in collezioni private: la famiglia Muggia conserva del Levi cinque ritratti di suoi familiari, tra cui quelli del padre e della moglie, oltre a bozzetti, a una tela raffigurante la creazione del mondo, la famiglia Braibanti, schizzi, bozzetti e un autoritratto a penna. Tra le opere più significative del levi si ricordano quelle a soggetto biblico Giobbe giacente, Ofelia, Silvia ed Aminta e La lettura sacra. Tra i lavori a soggetto vario, va citato il dipinto Madonna Cia degli Ubaldini. È però opinione diffusa che i suoi migliori lavori si trovino in turchia, dal Levi eseguiti per commissione di quel sultano. Interessante, ma tradito dalla posa e più memore di suggestioni accademiche, è l’Autoritratto conservato, come il Ritratto del figlio, nel Museo Civico di Busseto. Ma la migliore produzione del Levi, in cui figurano opere tra le più importanti della seconda metà dell’Ottocento, fu la ritrattistica. Bellissimo è il ritratto della moglie del Levi, nel disegno attento e minuzioso e nel gusto di mettere in rilievo la qualità degli abiti di seta nera. La donna emerge su fondo scuro in un momento di silenziosa intimità. Figura aristocratica, pittoricamente ben riuscita, il ritratto è replicato nell’opera Moglie in veste di Ofelia (olio su tela di cm. 110 x 82, firmato ed esposto nel teatro civico Giuseppe Verdi di Busseto): resta un’opera di romantica suggestione e di intensità emotiva senza traccia di banalità, dove è possibile cogliere riferimento a opere del grande artista Francesco Hayez (Godi, in Mecenatismo e Collezionismo nella pittura dell’Ottocento a Parma). Costruito con sicure pennellate, anche se piuttosto rigido, è il suo Autoritratto (in Galleria Nazionale). Figure di grande espressività sono i ritratti del suo ambiente familiare, dove si apprezzano doti di abilità nel rendere la sinuosità dei panneggi e la luminosità dell’incarnato. Di carattere stravagante, fu più pittore di merito che di fortuna. Sposò la bussetana Clelia CavitelliMarziani, di fede cattolica, che lo lasciò vedovo con due figli, e che egli volle fosse sepolta nel cimitero di Busseto in una sontuosa tomba sulla quale spicca un artistico busto in bronzo della compagna della sua vita. Il Levi fu pure piacevole scrittore. Una sua novella, Il barbiere suonatore, ebbe tale successo da rammentare, per la felice intuizione psicologica del protagonista (una figura semplice di sognatore della strada), opere di larga risonanza, quali Il vagabondo di Jean Richepin, Il viandante di Tomaso Monicelli e La camminante di Gustavo Luigi Ferri.
FONTI E BIBL.: L.U. Cornazzani, Intorno a un dipinto di Gioacchino Levi, Parma, 1853; Mondo letterario 28 maggio 1858; E. Seletti, La città di Busseto, 1883 II, 288-292; Illustrazione italiana 1908, 124; Catalogo Mostra d’arte Busseto, 1927; Thieme-Becker, Künstler-Lexicon, 1929, XXIII, 155; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1706-1707; Dizionario Bolaffi Pittori, VI, 1974, 414-415; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 221-223; G. Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 118-119; Il Giardiniere 6 Giugno 1846, 86; Gazzetta di Parma 17 e 27 luglio 1855, 649 e 683; Album della pubblica Esposizione di Torino, 1956, 74; C.M., in Espero 1956; P. Giuria, 1858; L’Unione 20 maggio 1858; Album della pubblica Esposizione di Torino, 1859, 76; C. Dama, 1860, 149; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, X, 79; Inventario manoscritti Istitituto P. Toschi, I, n. 1650; A. Giannini, 1915; Città di Busseto, mostra d’arte, 1926, 31-34; A.M.Comanducci, 1945, I, 392; E. Bénézit, 1955, V, 553; A. Napolitano, 1967, 95-98; A. Napolitano, 1968, 17, 18 e 25; G. Copertini-G. Allegri Tassoni, 1971, 118-119; G. Ponzi, 1973, II, 30-31; Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 66; M. Sacchelli, in Gazzetta di Parma 28 ottobre 1996, 5.
LEVRINI LUIGI
-Parma 18 agosto 1887
Fece la campagna risorgimentale del 1848.
FONTI E BIBL.: Il Presente 19 Agosto 1887, n. 219; Gazzetta di Parma 19 Agosto 1887, n. 227; G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 411.