LABADINI - LAQUILA
LABADINI BENEDETTO
Varsi ante 1538-Pavia 1550
Figlio di Guglielmo. Intraprese la carriera legale e in Piacenza lesse con successo rettorica, filosofia, istituzioni e matematiche. Pubblicò diversi libri, tra i quali I commentari alla Filotea di Bartolomeo Fumo (Milano, 1538), dedicati al conte Agostino Landi, e il trattato De cohibendis lacrymis (1544). Sono ancora da rammentare alcune sue orazioni funebri: quella per il cavaliere Casali e altra per Anna Della Veggiola.In sua lode Costanzo Landi scrisse parecchi versi latini (Alciatus nobis alter tu scilicet ille es Sospite quo sospes lingua latina fuit Incolumem igitur te numina servent Permittant longos ducere teque dies Ut studiis valeas ornare per omnibus urbem Nostram, quae penitus sit nisi fulta cadit) e per la sua morte il seguente distico: In terris benedictus eras, benedicte trahebas. Dum vitam, caelo nunc benedictus eris.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 226; G.Pongini, Storia di Bardi, 1973, 200.
LABADINI BENEDETTO GIUSEPPE
Parma 22 gennaio 1674-Persia 7 giugno 1720
Figlio di Tarquino e Anna Mari. Frate cappuccino laico, dal 1714 fu compagno dei missionari in Georgia, in Russia (Astrakan) e in Persia. Compì la professione solenne a Carpi il 7 giugno 1694.
FONTI E BIBL.: Da Terzorio, Missioni, VII, 169,244; Cappuccini a Parma, 1961,26; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 341.
LABADINI DOMENICO
Varsi 1848
Medico, fu volontario nella guerra del 1848 nella 1a Colonna Parmense.
FONTI E BIBL.: U.A. Pini, Medici di Parma nel Risorgimento, 1960.
LABADINI LAZZARO
Varsi-Modena 1551
Figlio di Guglielmo e fratello di Benedetto. Ebbe la cattedra di Letteratura in Piacenza, Padova e Modena. Circa il soggiorno del Labadini in Modena, così scrive Francesco Pagnini nella sua Cronaca: Ha questa città ancora un nuovo cittadino, al quale sebben l’origine sua sia di Piacenza città celeberrima non deve però punto minor obbligo, che alli suoi antichi, ed originari cittadini, et questo è Lazzaro Labadini uomo dottissimo nelle lettere latine e greche, e di giudizio acutissimo, né men chiaro per l’integrità della vita, che per la singolare dottrina sua. Questo valentissimo uomo condotto da Principi con onorato stipendio dall’illustre e valoroso signor Ercole Rangoni alla disciplina d’Alessandro, Venceslao, Ugo suoi fiugliuoli ha con tanta felicità insegnato a tutta la città le lettere latine e greche da pochi innanzi la sua venuta quivi conosciute, ed esercitati i giovani nello studio dell’eloquenza, et poesia così greca, che latina, che sotto la disciplina sua sono riusciti quasi tutti quei, che ora dottissimi nelle lettere latine e greche e non men versati nella poesia sono passati ad altri studi, oppure hanno seguitato nei medesimi. Tra i suoi allievi vi fu il celebre Tassoni, che lo menzionò nella Secchia rapita (canto 3°): E Bazzovara, or campo di dolore, Che fu d’armi e d’amor campo fecondo, Là dove il Labadin, persona accorta, Fè il beverone alla sua vacca morta. Il Pasini dice che venne fatto cittadino di Modena per la sua singolare dottrina e che si segnalarono tra i suoi allievi il Rangoni, Giulio Montecuccoli, Grillenzoni e Pazzani. Il Labadini fu sepolto nella chiesa di SanBartolomeo in Modena.Nel 1594 vicino a lui venne sotterrato suo figlio Benedetto.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 226-227; G.Pongini, Storia di Bardi, 1973, 200-201.
LABBADINI ADEODATO, vedi LABADINI BENEDETTO Giuseppe
LABLACHE EMILIA, vedi ALEXANDER EMILIA
LA BRAISIER CARLO
Parma 1831
Avvocato, durante i moti del 1831 fu membro del Consesso civico. Fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 178.
LABRASIER CARLO, vedi LA BRAISIER CARLO
LACCHENI LUIGI, vedi LUCCHENI LUIGI
LACCHINI LUIGI, vedi LUCCHENI LUIGI
LA FERTÉ LUIGI, vedi LAFERTÈ LOUIS ANTOINE
LAFERTE' LOUIS ANTOINE
Parigi ante 1760-Parma 1790
Discendente da una famiglia di legatori e doratori attivi a Parigi, presso la Corte del Re di Francia. Il teatino Paolo Maria Paciaudi, fondatore e direttore della Regia Biblioteca Parmense, prospettò al primo ministro Du Tillot, nel febbraio del 1764, l’opportunità, per le necessità interne dell’istituzione, di assumere con un contratto biennale il rilegatore francese allora al servizio dei fratelli Faure, Librai della Real Casa, con negozio in Piazza Grande a Parma. Fallite le trattative con il prescelto, Paciaudi prese contatti con altro legatore francese conosciuto a Bologna, ove già attorno al 1760 aveva aperto bottega, il Lafertè, discendente da nota famiglia di rilegatori attivi sin dall’inizio del Settecento. L’anno dopo il Laferté si stabilì a Parma, prestando la propria opera inizialmente per la Regia Biblioteca, cui si aggiunse anche quella per la Reale Stamperia, diretta da Bodoni, per il quale rilegò, con materiali diversi, 1002 esemplari delle celebri Feste del matrimonio di Ferdinando di Borbone con Maria Amalia del 1769. Fallita attorno al 1781 l’impresa produttrice, da lui fondata, di carte decorate di sua creazione, il Laferté si dedicò esclusivamente alla legatoria lavorando in gran parte per la biblioteca ducale, che gli liquidò gli ultimi lavori nel gennaio del 1790, poco prima della sua scomparsa. Con un Avviso sulla Gazzetta di Parma del 7 luglio 1789 il Laferté fece noto al Pubblico che con dovuto permesso di questo R. Governo ha intrapreso di fare una Lotteria di una copia della Storia Ecclesiastica di Mgr. Fleury legata alla francese, come nuova, Edizione vera di Parigi in 4°, Vol. 37, precisando che la Lotteria sarà diretta nel miglior modo, e con tutta la onestà a scanso di ogni equivoco. Laferté si premurò di avvertire i ricorrenti che nel caso in cui la Lotteria non andasse al desiderato fine sarebbe stato restituito l’importo dei rispettivi biglietti da parte del precettore, don Carlo Mazza da SanPaolo. Dell’esito dell’iniziativa non vi è traccia nei successivi numeri della Gazzetta di Parma. È da credere che il desiderato fine non fosse stato raggiunto e che il Paciaudi, per aiutare il Laferté, suo valente collaboratore, abbia acquistato i bei volumi per la Regia Biblioteca, dove essi si trovano. Questa rarità bibliografica, mancante dell’ultimo volume, subì i danni della seconda guerra mondiale, trovandosi all’epoca nella Galleria Petitot colpita dai bombardamenti. Il complesso porta, comunque, i segni dell’eleganza e della cura con le quali il Laferté creò le legature di ciascun volume, che si presenta con i piatti di cuoio su cui campeggia, in caratteri dorati, l’appartenenza dell’opera, Bibliotecae Regiae Parmensis, e, sotto, tre gigli dorati. I due tasselli sul dorso, in pelle rossa, recano il titolo abbreviato dell’opera rilegata, Histoire Ecclesiastique, e la numerazione del volume. Sul motivo per cui il Laferté avesse fatto ricorso a una lotteria per esitare quei libri, è da credere che, a corto di quattrini (stordito e solenne vinofilo, nel giudizio di Bodoni), ritenesse di trarne maggior profitto rispetto ad altre opportunità. Unì alle qualità di abile e raffinato legatore anche doti di imprenditore, ottenendo dal duca Ferdinando di Borbone nel 1775 una privativa per la produzione di carte decorate, utilizzate sia nella rilegatura dei volumi che per la foderatura di scansie, scatole e arredi. Con la sua attività incentivò il mercato delle carte decorate in Italia, in particolare di quelle silografate, di cui deteneva un ampio campionario di manifesto gusto francese. Le carte da lui prodotte, di notevole effetto per la fantasia dei motivi floreali e geometrici e per la vivacità dei colori, furono largamente imitate.
FONTI E BIBL.: F. Razzetti, in Aurea Parma 1 1996, 84-85; Enciclopedia di Parma, 1998, 402.
LA GARSA o LAGARZA, vedi GARSI SANTINO
LAGASI LUIGI
Bedonia 1820-Bedonia 19 agosto 1889
Compiuti gli studi legali in Piacenza e conseguita la laurea in giurisprudenza, tornò a Bedonia dedicandosi all’esercizio del notariato con tale integrità e rettitudine da meritarsi la benevolenza, la stima e il rispetto dell’intera vallata del Taro. Già fatto segno di persecuzioni dal governo borbonico, venne più tardi chiamato alle più alte cariche pubbliche. Sindaco di Bedonia per oltre un ventennio e per altrettanto tempo consigliere provinciale, fu Deputato al Parlamento nazionale per quattro legislature (di Borgo Taro e Parma nelle legislature XIII, XIV, XV e XVI). Alla Camera sedette al centro sinistra, tra i liberali democratici. Fu abbastanza assiduo ai lavori parlamentari, pur non prendendo mai la parola. Aderì al movimento trasformista di Depretis. La Comunità di Bedonia, con deliberazione consiliare del 27 settembre 1879, lo dichiarò Benemerito del proprio paese. Il Lagasi ebbe la medaglia d’argento dei benemeriti della salute pubblica in occasione dell’epidemia di colera del 1885 e onorificenze cavalleresche di più Ordini dal Governo italiano, tra cui quella di Commendatore della corona d’Italia.
FONTI E BIBL.: T.Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880, 468; Cimone, Gli eletti della Rappresentanza nazionale per la XXI, per la XXII e per laXXIV legislatura, tre volumi, Napoli, 1902 e 1906, e Milano, 1919; S. Sapuppo Zanghi, La XV legislatura italiana, Roma, 1884; T.Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 227.
LAGASI LUIGI
Cavignaga 1882-Bedonia 1951
Raro esempio di fotografo di montagna, fu fondamentalmente un versatile e un autodidatta. Tra le sue attività, oltre quella di fotografo, esercitò infatti quelle di falegname, capomastro, commerciante e infermiere. Accanito lettore e raccoglitore di libri, il Lagasi si dilettò di pittura e di musica (chitarra). I suoi attrezzi da fotografo furono due apparecchi a cassetta e treppiede e una fotocamera a soffietto. I suoi primi lavori sono datati inizio Novecento e hanno come soggetto soprattutto parenti e amici della val Taro. Padre di sette figli, il Lagasi fu cronista dell’Italia minore e raccolse una preziosa testimonianza della vita in montagna documentando trebbiature, matrimoni e feste all’aperto e fornendo una gamma ricchissima di ritratti e di fotografie per tessera ai suoi conterranei.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 293.
LAGASI PRIMO Bedonia 29 settembre 1853-Bedonia 11 ottobre 1936
Figlio del deputato Luigi, fu anch’egli notaio e a sua volta deputato per cinque legislature nel Parlamento italiano: fu eletto deputato di Parma e Borgo Taro nelle legislature XVI, XVII, XVIII, XX e XXI. Eletto per la prima volta nella XVI legislatura (1886-1890) in sostituzione del padre defunto, fu rieletto nel 1890 e nel 1892. Battuto nelle elezioni del 1895 e del 1896, rientrò alla Camera nel 1900. Cadde di nuovo nel 1904 e nel 1909. Tra i suoi competitori figurarono l’impresario Piatti, sostenuto da Emilio Faelli, e Vittorio Scialoja, il quale ultimo non riuscì a spuntarla contro il Lagasi. Militò nelle file dei radicali e alla Camera prese posto nei banchi dell’estrema sinistra. Il 17 marzo 1912, dopo essere stato consigliere e presidente della Deputazione provinciale di Parma, fu fatto senatore. In Parlamento fu poco assiduo e passò inosservato. Svolse, invece, una lodevole opera politica a favore del bene pubblico tra le genti della montagna. Fu un feroce anticlericale.
FONTI E BIBL.: Cimone, Gli eletti della Rappresentanza nazionale per la XXI, per la XXII e per la XXIV legislatura, tre volumi, Napoli, 1902 e 1906, e Milano, 1919; T.Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma 1896 e 1898; A.Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1941, II, 87; Senatori parmigiani, in Gazzetta di Parma 17 ottobre 1924, 3; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 84; Gazzetta di Parma 19 gennaio 1962, 4.
LAGAZZI ALDA Parma 20 febbraio 1923-Parma 3 ottobre 1985
Laureata in farmacia, per diversi anni praticò la professione, per dedicarsi in un secondo tempo all’insegnamento presso alcune scuole superiori della città di Parma. Nel 1948, assieme a Giuliana Bonati e con la collaborazione di monsignor Evaristo Scaffardi della parrocchia di Sant’Antonio, don Ennio Bonati e padre Tarcisio Beltrame, fondò a Parma la locale sezione del movimento scoutistico femminile cattolico Associazione Guide Italiane, sorto a Roma nel 1944, e per diversi anni ne fu Commissario provinciale, partecipando anche ad alcuni incontri a carattere nazionale.Dopo una lunga parentesi, riprese l’attività scout nel 1976 e fu tra i primi responsabili che diedero vita al Gruppo Scout Parma 8 AGESCI della Santissima Annunziata.
FONTI E BIBL.: G.Gonizzi, notizie manoscritte.
LAGHI FERDINANDO
Castagneto di Reggio Emilia 1851-Reggio Emilia 25 dicembre 1940
Insegnò per quarantasette anni diritto internazionale all’Ateneo di Parma. Fu collocato a riposo nel 1926: in quell’occasione gli vennero tributate solenni onoranze e la sua Facoltà gli offrì una medaglia d’oro. Fu autore di vari studi, dispersi in riviste e periodici, e di alcune pregevoli opere. Per molti anni ebbe cariche nelle amministrazioni e istituzioni locali di Parma e Reggio Emilia.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 84.
LAGORI GIUSEPPE
Bardi 1760-Villora 13 febbraio 1843
Fu rettore di Villora, villaggio della valle del Ceno. Compilò un cartolaro che intitolò Memorie storiche della real rocca di Bardi, attinte da Omusio Tinca, Locati, Baronio, Muratori, Campi, Boselli, Musso, Crescenzi, Poggiali, accreditati storici, da me Giuseppe Lagori rettore di Villora nell’anno 1823, procuratimi man mano dalla esimia mia amicizia col mio condiscepolo di scuola il sig. Marchese Landi, il più erudito cittadino di Piacenza. Cessò di vivere all’età di 83 anni.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 227-228.
LAGORIO ANTONIO
Genova-post 1669
Pittore attivo nella seconda metà del XVII secolo. Lavorò quasi sempre a Parma: nel 1668 nell’Ospedale degli Incurabili, nel 1669 per la Confraternita di San Quirino e nella chiesa di Santa Lucia.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI, 138.
LAGSTINI FRANCESCO
Parma 1602
Scultore di figure in bronzo attivo nell’anno 1602.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XI, 1822, 205.
LALAIN MARIA LUISA
Spagna-Parma post 1761
Fu clarissa cappuccina del monastero della Beata Vergine Addolorata di Parma, vestita nell’anno 1761. Al momento della monacazione Giuseppe Pezzana le dedicò l’opuscolo Canzone nel solenne ingresso alla vita claustrale della Molto Illustre Signora Maria Luigia Lalain, spagnuola, nell’insigne regio monistero delle M.RR.MM. Cappuccine Nuove dette della Vergine Addolorata, che prende i nomi di Suor Marianna Giuseppa (Parma, Stamperia Monti, 1761).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Le Cappuccine, 1970, 332-333.
LALAIN MARIANNA GIUSEPPA, vedi LALAIN MARIA LUISA
LALATA, vedi LALATTA
LALATTA ALESSANDRO
Parma 1695/1731
Figlio di Ottavio. Ebbe in moglie Bianca Veneri di Parma, sorella della beata orsolina.Fu tesoriere di Ranuccio e di Francesco Farnese, il quale ultimo conferì a lui e ai suoi discendenti maschi il titolo di Marchese (patente del giorno 8 luglio 1695).
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopediastorico nobiliare, 4, 1931, 23.
LALATTA ANTONIO GABRIELE
Parma 1586
Figlio di Andrea.Fu nel 1586 tra i decurioni della città di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA ANTONIO TOMMASO
Parma 20 dicembre 1518-Talignano 23 marzo 1576
Nacque da Ugolino e Caterina Orsini. Fu, al seguito dello zio Gabriele Lalatta, a Roma e si mostrò in quella Corte dotto e buono, cortese e gentilissimo scrittore toscano ed ebbe fama di buon letterato. A giudizio dei contemporanei trattò la poesia volgare con eleganza e purità di stile. Un suo sonetto, Pensier, che sol di te m’ingombri il petto, si incontra riprodotto in parecchie raccolte di versi. Divenne amico dei poeti Anton Giacomo Corso, che gli dedicò un sonetto, e Dionigi Atanagi, del quale fu benefattore. Nel 1550 il Lalatta fu a Roma, quale segretario del cardinale Guid’Ascanio Sforza di Santafiora, nel conclave da cui uscì eletto papa Giulio III. Nel 1553 risulta in Parma (gli fu conferito il beneficio dell’arcipresbiterato di SanGermano di Podenzano), da dove, nel 1555, ritornò ancora a Roma restandovi fin poco oltre il 1560 (a Roma fu scrittore apostolico e datario di papa Pio V e vi venne insignito del cavalierato Lauretano). Dopo di che si ridusse stabilmente a Parma dove rifabbricò il palazzo dell’Arena, ordinandovi eleganti pitture, tra le quali il suo ritratto a fresco, begli orti e giardini. Il da Erba informa che fu Preposto di S.niccolò in Parma e Abate di Mezzana nel Piacentino. Lasciò parecchie opere letterarie, tra cui poesie volgari (un saggio delle quali fu accolto nelle Rime dell’Attanagi, Venezia, 1563), lettere (di cui due scherzevoli, ma erudite, nel II libro delle Lettere facete, raccolte da Francesco Turchi, e una al vescovo di Capranica, in Raccolta di Lettere fatta da Emilio Marcobruno), e un’Orazione, pubblicata dal Viotti nel 1565. Nell’anno 1576 pare che papa Gregorio XIII l’avesse creato Cardinale, senonché il nunzio che gli portò la berretta cardinalizia giunse troppo tardi e lo trovò nel cataletto, nella Chiesa di S. Marcellino: fu ucciso dai due figli di un confinante, per ragioni rimaste ignote. Fu sepolto nella stessa chiesa: la lapide sepolcrale, posta ai piedi dell’altare maggiore, reca la sua effigie in atto di preghiera, vôlta verso la Beata Vergine, la cui figura sta appunto nell’ancòna dell’altare maggiore (ancòna che il Lalatta aveva fatto fare dal pittore Girolamo Mazzola). Con tratto di lodevole munificenza e amore patrio lasciò il palazzo dell’Arena con tutti i suoi beni (rogito del notaio Alessandro Melgari del 3 settembre 1563) per l’erezione di un collegio convitto da chiamarsi Lalatta, per l’istruzione degli scolari parmigiani.
FONTI E BIBL.: Catalogo della biblioteca Lalatta Costerbosa in Parma, Parma, Luigi Battei, 1900; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, tomo quarto, Parma, Stamperia Reale, 1793, 145-148; M.Parenti, Bibliotecari, II, 1959, 171; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22-23; Aurea Parma 4 1956, 249-250; Per la Val Baganza 9 1998, 406.
LALATTA BARTOLOMEO
Parma 1447
Figlio di Federico. Fu professore di Diritto allo Studium di Parma nell’anno 1447.
FONTI E BIBL.: Pighini, Storia di Parma, 1965, 102.
LALATTA FEDERICO
Parma 1407/1438
Figlio di Giovanni.Nel 1407 governò Brescello a nome di Ottone Terzi. Fu creato conte con i suoi discendenti maschi dall’imperatore Sigismondo, con diploma del 30 luglio 1432, con diritto a creare i notai e alla legittimazione dei bastardi (Archivio Notarile di Parma: Rogiti dei notai Tey e Onesti). Nel 1438 fu Podestà di Modena.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 249.
LALATTA FRANCESCO
Parma 1502/1526
Figlio di Antonio. Abitò nella vicinanza di San Salvatore in Parma. Fu tra i deputati del Comune di Parma inviati nel 1513 a Roma a giurare fedeltà a papa Leone X.Anche nella vita interna della città ebbe diversi uffici, come quello di attendere alla tradizionale fiera cittadina. Fu inoltre tra i dottori in legge eletti dagli Anziani per la revisione delle tasse delle cause civili e criminali e degli stipendi dei giudici e notai. Appare anche tra i quattro deputati che nel 1524 compilarono gli ordini circa l’esenzione di un’imposta con la minore spesa possibile dei poveri uomini. A lui, due anni dopo, la Comunità di Parma indirizzò una lettera in cui si descrivono le sofferenze del contado e della città per effetto della presenza delle guarnigioni cesaree e papali. Il Lalatta è poi spesso ricordato per incarichi vari da parte del Comune, di cui fu uno dei membri aggiunti: fu eletto nel 1502 tra i procuratori della Comunità per allegare davanti all’autorità francese (monsignor Ciamont) i diritti del Comune a imporre ed esigere dazi e addizioni a suo talento, lo si vede inoltre, a nome del Consiglio Generale di Parma, chiedere al Senato di Milano la conferma regia ai nuovi capitoli sul lusso e nel 1506 andare, con Jacopo Bajardi, ambasciatore presso lo stesso Senato Milanese e l’anno successivo eletto tra i deputati che dovevano soprattutto provvedere a che fossero tolte le ingiuste oppressioni. Lo si trova inoltre sempre attivo nell’adempimento dei doveri civili e politici: così nel 1510 fu tra i deputati a cui fu affidata l’esecuzione dei lavori da farsi ai bastioni e ripari di Parma, due anni dopo fu tra gli oratori e rappresentanti della Comunità incaricati di prestare giuramento di fedeltà al cardinal Legato di Lombardia e Germania, nel 1513 il suo nome appare tra gli ufficiali comunali con l’incarico di scrivere i nomi dei figliuoli al battesimo e nel 1515 fu tra gli eletti in Parma pro conservatione civitatis. Nel 1516 poi, in un’adunanza del Consiglio Generale, rese note alcune lagnanze dei cittadini per il ritardo frapposto alla determinazione dell’estimo e nello stesso anno fu nominato a far parte di una commissione di otto deputati incaricati di approntare tutti i capitoli e le ordinazioni che paressero espedienti e utili al bene comune. Incarichi del genere gli si affidarono anche negli anni successivi. In altre contingenze, venne designato come delegato del Comune alla Dieta di Mantova. I suoi titoli e le sue qualità furono in tale occasione così specificati: Iuris utriusque Doctor, comes palatinus et in praesentiam honorandus advogadrus Mercantie et Comunis Parme (1521). Viene inoltre ricordato come uomo atto a porre rimedio a certa intollerabile extorsione fatta verso la montagna e risulta tra i deputati eletti a provvedere a che fossero tolte le ingiuste oppressioni. In seguito, con altri membri del Collegio dei giuristi, tenne un’adunanza avverso i medici Carmini e Garbazza. Nel luogo delle adunanze degli Anziani, chiamato Chiesuola del Comune, i detti Anziani nel 1520 fecero dipingere dal pittore Francesco Maria Rondani la Beata Vergine e i santi Battista e Ilario, con, da una parte e dall’altra, i dodici Anziani del tempo, in ginocchio. Il primo a destra è il Lalatta.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 251-252.
LALATTA FRANCESCO
Parma seconda metà del XV secolo
Figlio di Giovanni. Comandò la squadra detta la Ducale, avversa ai Rossi.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA GABRIELE
Parma 1493 c.-Parma o Roma 1553
Da giovanetto colpì con una palla di neve un contadino, il quale lo rincorse e percosse con un bastone. Il Lalatta ferì allora con un coltello il contadino, che poi fu colpito al capo da altra persona accorsa. In seguito il Lalatta concluse una pace coi parenti del ferito e domandò grazia al Papa, che gliela concesse. Più tardi il Lalatta fu inviato come oratore a Roma. Conte palatino e protonotario apostolico, fu carissimo ai Medici di Firenze.Servì Giuliano e Lorenzo, poi rispettivamente pontefici Leone X e Clemente VII (di quest’ultimo fu familiare e commensale). Egli fece restaurare a proprie spese nel 1540 la chiesa di SanMarcellino di Parma, patronato della famiglia, che fu poi convertita in abbazia nel 1563, come recita la lapide che si conserva sulla facciata di detta chiesa.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 250.
LALATTA GIAN LORENZO
Parma 1514
Ebbe diversi uffici civili in Parma. Con un Breve in data 29 luglio 1514 a monsignor Gozzadini, governatore di Parma, per il pagamento delle tasse dei cavalli, papa Leone X nominò il Lalatta suo commissario per quel pagamento.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 254.
LALATTA GIAN NICCOLÓ, vedi LALATTA GIOVANNI NICOLÓ
LALATTA GIOVANNI Parma-Parma post 1421
Miles, nel 1405, essendo Reggio e Parma signoreggiate da Ottone Terzi, fu capitano, podestà e luogotenente in Reggio e si adoperò efficacemente per stabilire nel 1407 la vicendevole cittadinanza tra reggiani e parmigiani (Taccoli, Memorie di Reggio, I, 276 e 642). Nel 1421 fece erigere nella cappella del Duomo di Parma di ragione della famiglia un sepolcro per sé, per la moglie e i discendenti. Intorno al marmo, ove fece scolpire la propria effigie armata con lo stemma di famiglia, vi era l’iscrizione: Sepulchrum spect. et egregii militis domini Johannis de Lalata et heredum suorum factum MCCCCXXI, die XXV aprilis, quorum animae requiescant in pace. Amen. A lato di esso un altro bassorilievo marmoreo con la figura di una nobildonna giacente portava attorno la dicitura: Sepulchrum dominarum de Lalata.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 248-249.
LALATTA GIOVANNI Parma 1449/1481O' Figlio di Federico. Come membro della reggenza della repubblica Parmense giurò fedeltà a Francesco Sforza nell’anno 1449. Assieme al fratello Matteo fu confinato perché capeggiatore delle squadre che saccheggiarono e devastarono le case dei Rossi. Rimpatriato, fu membro del Consiglio Generale (1481).
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 249.
LALATTA GIOVANNI BATTISTA NICOLO'
Parma XVII secolo
Dottore in legge, fu membro del Collegio dei giudici di Parma. Fu inoltre consigliere ducale.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 23.
LALATTA GIOVANNI NICOLO'
Parma 1527/1557
Figlio di Pietro. Dottore in Leggi e celebre giureconsulto, fu nominato oratore della Comunità di Parma a Roma.In tale veste difese le parti della città in una causa contro il conte Paolo Torelli circa i diritti di passaggio e pedaggio dell’Enza.Presentò inoltre al cardinalle Armellini un motu proprio del Papa sul gettito dei denari e gabelle della città e contado (1527). Nello stesso anno fu tra gli eletti in aggiunta ai deputati nominati per provvedere ai bisogni della guerra, e anche tra gli oratori inviati dagli Anziani al Papa per spiegare questioni riguardanti l’interesse della città. In quell’occasione il Lalatta riuscì a ottenere la sospensione di alcune deliberazioni del Pontefice. Prima e dopo di quell’anno appare spesso, non solo come oratore nostro residente presso il Papa ma anche come inviato a Bologna.Nel 1528 è ricordato come vice-podestà di Parma. Nel 1532 e nel 1534 lo si ritrova di nuovo ambasciatore della Comunità di Parma a Bologna. Fu anche tra i deputati aggiunti per provvedere alla conservazione della città, coi poteri stessi del Consiglio Generale.Infine fu inviato dalla Comunità di Parma al Duca di Ferrara, il quale lo tenne in alta stima e, giudicandolo onesto, cercò di soddisfare le sue richieste. Papa Clemente VII, con breve del 30 luglio 1530, concesse a lui e al padre Pietro e discendenti maschi il titolo di Conte palatino e Cavaliere aurato, con il privilegio di inserire nello stemma originario della famiglia le palle medicee.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 254-255.
LALATTA GIULIO CESRE
Parma 4 marzo 1570-Parma maggio 1617
Figlio di Ottavio e di Elena.Si applicò alle leggi civili e canoniche ma coltivò anche la poesia latina (una sua Ode è contenuta nel Santoario di Parma, edito dal Garofani nel 1593). Appartenne all’Accademia degli Innominati col nome di Sterile. Ebbe corrispondenza coi migliori poeti e studiosi del tempo, che lo ebbero per amico e lo celebrarono, come, a esempio, nelle Poesie latine di Antonio Gigante da Fossombrone (Bologna, 1595) e in quelle di Pomponio Torelli da Montechiarugolo, che fu suo padrino. Anche Giacopo Vezzani ne lodò in eleganti epistole il leggiadro comporre e gli mandò in omaggio un suo volume di versi. Il Lalatta abbracciò ancora giovane (fu ammesso alla tonsura dal vescovo Ferrante Farnese) lo stato ecclesiastico ed ebbe in Parma cariche e uffici: fu priore (14 luglio 1586) di SanMatteo del Monte Caio, giuspatronato dei Lalatta, e venne iscritto nella matricola dei Giudici come dottore in ambo le leggi nel 1598, fu giudice sinodale (1602), Priore (1602) e poi Abate di SanMarcellino (1602-1609) e revisore dei libri (1611). Dal gennaio all’agosto 1614 fu a Roma. Delle sue opere si ricordano: In funere Camilli Paleoti (Bononiae, 1597), versi latini e italiani (in Tempio del cardinal Cinzio Aldobrandino,Eredi Rossi, Bologna, 1600), nove epigrammi e due odi.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 318-319; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 23; Aurea Parma 4 1956, 253; Aurea Parma 2 1958, 117; Parenti, Bibliotecari, II, 1959, 171; Letteratura italiana Einaudi, II, 1991, 1020.
LALATTA IPPOLITO
Parma 1501/1514
Nel 1501 fu tra i membri del Consiglio Generale di Parma. Nel 1514 appartenne ancora agli Anziani della Comunità di Parma.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 251.
LALATTA IPPOLITO
Parma dicembre 1909-Parma 17 dicembre 1989
Figlio di Gabriele. Sottotenente Pilota di complemento dell’Areonautica, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Volontario in una missione di guerra combattuta per un supremo ideale, dava ripetute prove di sereno sprezzo del pericolo e di non comune ardimento (Cielo di Spagna, luglio 1937).
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.
LALATTA LATTANZIO
Parma 1503/1519
Quale canonico del Duomo di Parma prese parte a un’adunanza dei presidenti del Monte di Pietà in rappresentanza del Vescovo e del Capitolo dei Canonici (1503). Nel 1507 fu incaricato dal papa Giulio II di assumere informazioni sul conto di Giovanna da Piacenza, eletta badessa del Convento di San Paolo in Parma a soli ventotto anni. Il Lalatta viene ancora ricordato nel 1513 tra i canonici del Duomo di Parma convocati nella sagrestia della Cattedrale e nel 1519 in altra adunanza dei canonici del Duomo di Parma, alla presenza del vescovo Farnese.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 254.
LALATTA MATTEO
Parma 1448
Fu lettore di diritto civile nello Studio di Parma da poco restaurato (1448).
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA MATTEO
Parma 1449/1481
Fu inviato dalla città di Parma come ambasciatore al duca Gian Galeazzo Sforza (Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Diarium Parmae, 1477-1482). Assieme al fratello Giovanni fu confinato perché capeggiatore delle squadre che saccheggiarono e devastarono le case dei Rossi. Rimpatriato, fu membro del Consiglio Generale nel 1481.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopediastorico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA MAURO
Parma 1831/1858
Marchese, durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico. Fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza. Nel 1858 il Lalatta fu Podestà di Sorbolo.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 179.
LALATTA NICOLO'Parma 1406/1425
Nei Rotuli (i cataloghi annuali dei professori dello Studio universitario di Bologna, pubblicati da Umberto Dallari) figura tra i lettori del Volume durante gli anni 1406-1407 e 1407-1408 (I, 9 e IV, 29). Il Pico lo cita nel Catalogo de Dottori dell’una e dell’altra Legge nel Collegio di Parma (Parma, MDCXLII, 26). Fu uno dei vicari del vescovo Delfino della Pergola.
FONTI E BIBL.: R.Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 233-234; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA NICOLO'Parma 1457
Figlio di Pietro. Canonico e uno degli otto di balia, fu iscritto nella matricola dei giudici di Parma nel 1457 quale dottore di Decreti. Salì in fama come canonista.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 22.
LALATTA OTTAVIO
Parma ante 1563-Golfo del Leone 1603
Giureconsulto iscritto nella matricola del Collegio dei giudici di Parma nell’anno 1563. Fu ambasciatore del duca Ottavio Farnese in varie corti. Fu poi residente a Milano e a Roma per il duca Ranuccio Farnese.Perì per naufragio mentre si recava col marchese Camillo Malaspina alla Corte di Spagna, inviatovi dal proprio principe come residente. Nella sciagura morì l’intero equipaggio, compreso un figlio del Lalatta.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 40-41, 126-127; V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 23; Aurea Parma 4 1956, 253.
LALATTA PANFILO
Parma XVI secolo
Dottore in leggi, fu Prevosto di San Secondo.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 39.
LALATTA PAOLO
Parma 1916-Africa Settentrionale 31 ottobre 1942
Figlio di Gabriele. Caporale del Quartier Generale della Divisione Folgore, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Ultimo di sei fratelli alle armi, già ferito in combattimento sul fronte occidentale, chiedeva ed otteneva l’arruolamento nei paracadutisti. Minorato seriamente per frattura multipla ad una gamba, riportata in un lancio a bassa quota, rifiutava la destinazione a servizi sedentari e raggiungeva la sua divisione impegnata sul fronte egiziano. Durante otto giorni di strenua battaglia, sotto l’incessante martellamento delle preponderanti forze avversarie, partecipava ad ardimentose azioni diurne e notturne, finché immolava la giovane vita nel disperato tentativo di arginare la travolgente marea di mezzi corazzati. Esempio di elevato spirito combattivo spinto fino all’estremo sacrificio.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1949, Dispensa 17a, 2929; Decorati al valore, 1964, 90.
LALATTA PIETRO
Parma 1386/1388
Fu Abate del Monastero di San Giovanni Evangelista di Parma dal 1386 al 1388.
FONTI E BIBL.: M. Zappata, Corollarium abbatum, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 92.
LALATTA PIETRO
Parma 1432/1447
Figlio di Giovanni.Nel 1432 fu creato Conte Palatino con il fratello Federico e tutti i loro discendenti dall’imperatore Sigismondo. Fu decurione della città di Parma nell’alleanza stabilita da questa con Milano il 2 ottobre 1447.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopediastorico nobiliare, 4, 1931, 22; Aurea Parma 4 1956, 253.
LALATTA PIETRO
Parma ante 1501- post 1530
Nel 1530 gli venne affidato dal Consiglio Generale l’incarico, in nome della Comunità di Parma, di mantenere e difendere contro ogni tentativo di usurpazione i canali e i condotti che recavano l’acqua alla città. Poi appare tra gli eletti dagli Anziani quale aggiunto o sapiente e altresì tra gli eletti dal Consiglio Generale per risolvere la questione dei cittadini parmigiani che possedevano terre in Ferrara e dovevano pagare là tasse e tributi al Duca, mentre a Parma erano già gravati dalle imposte papali.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 254.
LALATTA SERGIO
Parma 23 gennaio 1903-Sardegna 30 ottobre 1978
Fu il secondogenito degli undici figli del marchese Gabriele. Il Lalatta entrò nell’Accademia navale di Livorno nel 1918 e ne uscì guardiamarina nel 1923. Un anno dopo fu promosso sottotenente di vascello e per circa due anni prestò servizio presso le guarnigioni italiane in Estremo Oriente.Da tenente di vascello, nel 1928 prese il brevetto di osservatore aereo e iniziò così una brillante carriera nella nascente Arma aerea. Nel 1930 conseguì il brevetto di pilota militare. Nel 1933 lasciò definitivamente la marina per passare nel ruolo combattenti della Regia Aeronautica con il grado di capitano. Nello stesso anno frequentò il corso superiore aereo e successivamente la scuola pilotaggio strumentale di Orbetello. Nel 1935 fu promosso maggiore e assegnato quale comandante al XIX Gruppo d’assalto. Nel 1936 frequentò il corso alti studi a Roma. Nel 1937 fu promosso tenente colonnello e nel 1940 colonnello. Assegnato alla Prima Squadra come capo servizio aereo, successivamente fu nominato capo Divisione Interinale alle operazioni presso lo stato maggiore dell’Aeronautica, capo di stato maggiore del Corpo aereo italiano di spedizione, comandante il 43° Stormo da bombardamento notturno in Sicilia e quindi ufficiale di collegamento con l’O.B.S. Al termine del secondo conflitto mondiale il Lalatta fu nominato comandante la II Zona aerea e nello stesso anno 1945 fu promosso, a soli 42 anni di età, generale di Brigata. Assegnato nel 1948 allo stato maggiore, nel 1949 fu nominato rappresentante dell’Aeronautica militare italiana presso ilGruppo regionale Europa meridionale e Mediterraneo occidentale, a Parigi, che costituì l’embrione del Comando meridionale della NATO. Fu in seguito promosso generale di Divisione aerea. Cessò il servizio effettivo nel 1963. Ebbe numerose decorazioni e onorificenze, tra le quali una medaglia d’argento al volor militare, con la seguente motivazione: volontario in missione di guerra per l’affermazione degli ideali fascisti, partecipava a numerose azioni di bombardamento e di assalto alla testa del gruppo ai suoi ordini. Fatto segno più volte a violentissima reazione contraerea ed attaccato da caccia avversari, si comportava da valoroso, riuscendo a respingere gli attacchi e portando brillantemente a termine le missioni affidategli. Il 4 novembre 1937 contribuiva all’abbattimento di un velivolo avversario che aveva attaccato la sua formazione (Cielo di Spagna, ottobre 1937-gennaio 1938.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Eroismo dei legionari, 1940; Gazzetta di Parma 31 ottobre 1978, 1 e 17; Al pont ad mez 1 1978, 101.
LALATTA UGOLINO
Parma 1492 c.-post 1532
Nel 1513, assieme a Francesco e Pietro Lalatta, prestò giuramento di fedelta a papa LeoneX. Gli venne poi affidato l’incarico di impedire che i Piacentini occupassero alcuni luoghi oltre il Taro.Nel 1516 fu inviato a Milano dagli Anziani per negoziare il sussidio imposto alla città di Parma. Più tardi è ricordato tra coloro che furono imbussolati dal Comune nel 1532 perchè da tal numero si estraessero poi quelli che sarebbero durati in carica tutto l’anno 1533. Una decina di anni prima il Lalatta era stato protagonista di un cruento episodio: Ugolino Lalatta chierico, uscendo dal Duomo dopo aver assistito all’Ufficio dei Morti, incontratosi con fr. M.Mozzani, che due anni avanti lo aveva ferito, si azzuffò con lui e lo ferì mortalmente, quantunque cherico, sotto pretesto che non aveva né abito né tonsura. Francesco d’Angouleme, nel 1518, ritenendo che il Lalatta avesse agito per legittima difesa, annullò il processo e lo graziò. Il 1° marzo 1520 il Senato rinviò l’approvazione della grazia all’avvocato fiscale. Il Senato poi approvò la grazia, a cui il 3 marzo successivo fu concessa anche la sanzione reale.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 252-253.
LALATTA VELTRO
Parma 1352
Canonico, fu tra gli offerenti della campana del Duomo di Parma, detta Ugolina, che riporta l’iscrizione: Ilario da Parma mi fece nell’anno 1352.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 23; Aurea Parma 4 1956, 248.
LALATTA VELTRO
Parma ante 1417-1450
Figlio di Federico. Nel 1417 fu Canonico della Cattedrale di Parma. Ampliò l’ospedale dei lebbrosi, detto di San Lazzaro, di cui fu Rettore nell’anno 1447.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 4, 1931, 23.
LALATTA VELTRO
Parma 1540
Fu Podestà di Reggio nell’anno 1540.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 4 1956, 249.
LALIA GIROLAMO
Parma 1618/1621
Frate carmelitano, fu eletto cantore alla chiesa della Steccata di Parma il 9 marzo 1618. Ve lo si trova fino al 1° aprile 1621.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 88.
LAMA, vedi DE LAMA
LAMBERTI L.
Parma 1845/1859
Nell’album Un’ora al ballo pubblicò Il conforto, valzer, La fiducia, polka-salon, e La consolazione, polka-mazurka (Milano, Giovanni Canti), composizioni che dedicò a Luisa Maria di Borbone, duchessa degli Stati Parmensi.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.
LAMBERTI ROBERTO
Borgo San Donnino 1870/1872
Fu organista della Cattedrale di Borgo San Donnino dal 1870 al 1872.
FONTI E BIBL.: A.Aimi, in Il Risveglio 8 1974.
LAMBERTINI ANDREA
Langhirano 1831
Prese parte ai moti del 1831 e fu tra gli inquisiti di stato.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 502.
LAMBERTINI GREGORIO
Langhirano 1831
Dopo i moti del 1831 fu arrestato come uno degli autori della rivolta avvenuta a Langhirano. Fu anche processato, ma in forza del decreto di amnistia venne messo in libertà (ottobre 1831). Fu sottoposto però ad alcuni precetti.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 177-178.
LAMBERTO, vedi LANTPERTO
LAMI CARLO, vedi LANZI CARLO
LAMPUGNANI OLDRADO MARIA
Felino ante 1699-Parma 1749
Appartenente alla famiglia dei marchesi di Felino, fu Canonico della Cattedrale di Parma (1699) e Primo Gran Priore dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio in Parma (1718).
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 504.
LANATI ERNESTO
Borgo Taro-Santa Lucia di Tolmino 18 agosto 1915
Figlio di Bernardino. Tenente e poi Capitano Aiutante Maggiore in 1a dell’82° Reggimento Fanteria, fu decorato di una medaglia di bronzo e di una medaglia d’argento al valor militare con le seguenti motivazioni: Con calma ed ardimento conduceva il proprio plotone sotto il fuoco avversario e, secondando il comandante della compagnia, lo guidava all’attacco di una batteria turca, impossessandosi di tre pezzi di essa (Ain Zara, 4 dicembre 1911); adempiva mirabilmente il suo compito di coadiutore del Comando e, sprezzante del pericolo, nel momento in cui l’azione si faceva più critica per l’intenso fuoco nemico, nel mentre incitava con la voce e con l’esempio i soldati, cadeva colpito a morte, gridando: Avanti, avanti, non occupatevi di me.
FONTI E BIBL.: G. Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’impero, 1937; Decorati al valore, 1964, 26.
LANATI GAETANO
Bardi-Piacenza 24 dicembre 1828
Fu Canonico di Sant’Antonino in Piacenza. Comprò per 26000 lire, da un Piemontese che l’aveva acquistata all’epoca napoleonica, la chiesa di San Vincenzo con l’annesso convento in Piacenza, di cui si minacciava la demolizione, e la riaprì al culto il 7 agosto 1822 col concorso del conte canonico monsignor Domenico Cigala Fulgosi.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 229.
LANCELLOTTI OMERO
San Lazzaro Parmense 1925-Vignola di Modena 12 febbraio 1945
Figlio di Lorenzo. Partigiano della Brigata Pablo, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Catturato da una pattuglia nemica sopportava le più atroci torture senza fare alcuna rivelazione compromettente per la propria formazione. Condannato alla pena capitale per impiccagione affrontava la morte da forte.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 70; Caduti resistenza, 1970, 79.
LANCETTI AGOSTINO
Parma prima metà del XVII secolo
Indoratore attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 183.
LANCETTI DOMENICO, vedi LANZETTI DOMENICO
LANCI ANDREA
Carzeto 1633
Falegname. Nel 1633 realizzò, in collaborazione con l’intagliatore e scultore Anton Ulgibosch, un baldacchino processionale per la chiesa parrocchiale di Carzeto.
FONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 255.
LANCI CARLO, vedi CAPIROTTI TANZI CARLO e LANZI CARLO
LANDI AGOSTINO
Bardi 1506 c. -Milano 13 marzo 1555
Figlio di Marco Antonio e di Costanza Fregoso. Il Landi portò all’apice il prestigio della famiglia, tanto che ebbe anche l’onore, il 6 settembre 1529, di ospitare nel suo palazzo di Piacenza l’imperatore CarloV, che a sua volta, nel 1532, lo invitò a Bologna per assistere alla sua incoronazione. Con il suo matrimonio contratto nel 1532 con la cugina Giulia Landi delle Caselle, il Landi ricuperò i possessi di Compiano, di Pieve di Bedonia, di varie località di Val Ceno e di Val Taro insieme ai diritti spettanti a Giulia Landi su Varese Ligure. Il 9 novembre 1536 ricevette dall’imperatore Carlo V la conferma delle antiche investiture feudali della sua famiglia nelle Valli del Taro e del Ceno.Nel 1547 il Landi fu tra i maggiori promotori della congiura che condusse all’uccisione di Pier Luigi Farnese, duca di Piacenza e di Parma, il quale in precedenza lo aveva utilizzato in varie missioni diplomatiche a Venezia e a Genova, ma che d’altra parte aveva provocato il suo rancore occupando Borgo Taro. I rapporti tra i Landi di questo ramo e i Farnese furono da allora definitivamente compromessi.Ucciso il Farnese, il Landi esortò la cittadinanza di Piacenza a porsi sotto il dominio dell’imperatore Carlo V, che non cessò di proteggerlo quando egli dovette fuggire da Piacenza. Infatti, forse per meglio garantirlo contro gli inevitabili tentativi di vendetta dei Farnese e anche per ricompensarlo, Carlo V, con diplomi dati nel 1551 e 1552, lo creò principe del Sacro Romano Impero ed eresse i suoi feudi delle Valli del Taro e del Ceno in principato e in Stato autonomo, direttamente dipendenti dal potere imperiale. L’Imperatore, restituito al Landi il suo feudo di Borgo taro, con diploma del 25 maggio 1551 eresse anche questo, con tutti i territori a esso pertinenti, in principato, investendone il Landi, al quale vennero contestualmente confermate tutte le precedenti investiture. Il 22 ottobre dello stesso anno Carlo V eresse Bardi in marchesato, Compiano in contea e Pieve di Bedonia in baronia e ne investì sempre il Landi. Infine lo stesso imperatore concesse al Landi, l’8 aprile 1552, il titolo di Illustre e il diritto di battere moneta nei suoi Stati di Borgo taro, Bardi e Compiano. Di tale privilegio di zecca iLandi si servirono per oltre un secolo. Nella persona del Landi i componenti di questa famiglia furono quindi elevati al rango di principi del Sacro Romano Impero. Inoltre la qualità di feudatari imperiali li mise al riparo dai colpi di mano dei Farnese, smaniosi di annettersi i loro feudi. Il Landi fu dotto letterato e latinista, discepolo di Pietro Bembo, ed ebbe coi letterati e scienziati dell’epoca, quali Claudio Colombi, Paolo Giovio, l’Aretino e il Doni, una corrispondenza epistolare continua. Gli furono fatte molte dediche onorifiche e in particolare fu assai encomiata letterariamente la sua orazione latina pubblicata dopo l’uccisione di Pier Luigi Farnese. Il Landi morì di gotta a Milano, lasciando quattro figli: Ortensia, che si fece monaca, Porzia moglie del conte Lodovico Gallarati, Manfredo e Claudio, affidati alla tutela della madre e del prozio Giulio.
FONTI E BIBL.: Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 229; M.de Meo, in Gazzetta di Parma 28 giugno 1998, 17.
LANDI ALBERICO
Gravago 1274/1281
Fu capitano del popolo in Cremona nell’anno 1274 e Pretore ad Arezzo nel 1281.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 229.
LANDI BARTOLOMEO, vedi LODI Giovanni BARTOLOMEO
LANDI BASSIANO
Compiano ante 1544-Pavia 1563
Medico e filosofo, insegnò all’Università di Pavia dal 1544 al 1563 (Papadopoli). Anche se a volte viene citato col titolo di conte, forse non appartenne al ramo nobiliare dei Landi, tanto che il conte Costanzo Landi, lo chiamò plebeo oriundo dai monti e figlio della terra. Fu ucciso per gelosia professionale.
FONTI E BIBL.: A.Emmanueli, L’alta valle delTaro, 1886, 133; U.A. Pini, Vecchi medici, 1960, 31.
LANDI BERNARDO
Pieve di Compiano XVI secolo-post 1617
Figlio di Bassiano. Fu medico, filosofo, letterato e oratore. Secondo il Mensi, fu insegnante di Medicina a Padova. Francesco Piccinelli indirizzò al Landi una lettera in data 31 agosto 1617, nella quale descrive le montagne di Bardi e Compiano.
FONTI E BIBL.: A.Emmanueli, L’alta valle del Taro, 1886, 132; L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 242; U.A.Pini, Vecchi medici, 1960, 30.
LANDI CATERINA, vedi BOTTARELLI CATERINA
LANDI CLAUDIO
Bardi-1536
Figlio di Federico. Sposò Bartolomea Nicelli. Fu Colonnello delle armate imperiali e valoroso combattente.
FONTI E BIBL.: M.de Meo, in Gazzetta di Parma 29 giugno 1998, 17.
LANDI CLAUDIO
Bardi 1534 c.-Bardi 21 agosto 1589
Figlio di Agostino, signore di Bardi e Borgo Taro. Nei primi mesi del 1578, su istigazione del duca Ottavio Farnese, gli abitanti di Borgo taro, gravati da sempre nuove tasse, si sollevarono contro il Landi. Il Farnese allora assediò ed espugnò il 31 maggio di quell’anno la borgata, includendola nei beni di pertinenza ducale. Nel 1581 il Landi fu accusato di avere fatto uccidere Camillo Anguissola, capitano ducale, e nel 1582 di avere tramato contro la vita del duca Ottavio Farnese. Processato, fu condannato a morte in contumacia e patì la confisca di molti beni, tra i quali l’avito palazzo in Piacenza.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 231-232; Bollettino Storico Piacentino 19 1924, 79-80.
LANDI ENRICO
Parma 4 ottobre 1817-Parma 30 giugno 1903
Entrò nella Ducale Scuola di musica di Parma nel 1827, dove studiò pianoforte e armonia con Barbacini. Uscì dall’istituto nel 1839. Ancora alunno fu nominato maestrino ripetitore dei propri compagni. Occupò il posto di organista a Busseto dal 1844 al 1854, a Castel San Giovanni fino al 1874, indi a Bedonia. Nel novembre 1880 divenne organista della chiesa della Steccata. Il 20 novembre 1880 mise un’inserzione sul quotidiano Il Presente, annunciando che era ritornato a Parma per provvedere all’educazione dei figli e avrebbe dato lezioni di musica e canto ed effettuato riduzioni di musiche per orchestra e per banda.
FONTI E BIBL.: Dacci; G.N. Vetro, Muzio; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LANDI FEDERICO
Bardi 1573 c.-Bardi 1633
Figlio di Claudio. Nell’anno 1589 successe nel Principato al padre ottenendo dall’Imperatore la rinnovazione dell’investitura. Sposò nel 1598 Placida Spinola, figlia di Filippo, marchese di Venafro. Fu in seguito reggente del Principato di Monaco per i nipoti Grimaldi e fu nominato Cavaliere del Toson d’Oro. Non volle mai riconoscere l’alta sovranità del duca Ranuccio Farnese sui feudi da lui posseduti. Nel 1617 fece uccidere il prete Cristoforo Mangini e in seguito a questo fatto fu condannato a morte dall’auditore delle cause criminali di Piacenza.Si rifugiò allora nel suo castello di Bardi, sotto la protezione degli Spagnoli e degli Imperiali. Nel 1626 ottenne dall’imperatore Ferdinando d’Asburgo di poter trasmettere il suo Stato all’unica figlia legittima superstite, Maria Polissena, che sposò nel 1627 Gian Andrea Doria, marchese e principe, appartenente a una delle più grandi casate genovesi.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Pia centini, 1899, 232; M. De Meo, in Gazzetta di Parma 20 luglio 1998, 13.
LANDI FERDINANDO
-Parma 17 aprile 1839
Ascritto tra le file dei Carbonari, nel 1831 facilitò l’ingresso nel palazzo Ducale di alcuni congiurati per detronizzare la duchessa Maria Luigia d’Austria.
FONTI E BIBL.: F. dalla Valle, I nostri morti 1606-1607, Parma, Donati, 1907, 3; G. Sitti, Il Risorgimento Italiano, 1915, 410.
LANDI GALDINO
Bardi 1400-Ravenna 1455
Appartenente a famiglia comitale, in gioventù fu alla Corte dei Visconti. In seguito si ritirò tra i Canonici Lateranensi di Sant’Agostino, dove si distinse talmente che fu eletto cinque volte Generale del suo Ordine. Del Landi gli agostiniani lasciarono questo elogio: Nemini, ut nos justa cum gratitudine profitemur, vel plura, vel majora debet Lateranense dogma fridionaria reformatum, etiamsi ab ipsis incunabulis rem emensus, quam Galdino Bardo Placentino. Quid vero remorari poterat virum cuapte genio ardentissimum, suaque conscientia tutissimum, quem enixe Principibus commendaret generis nobilitas, nataliumque splendor, animi pietas, fidele Religionis obsequium?
FONTI E BIBL.: G.Pongini, Storia di Bardi, 1973, 198.
LANDI GALVANO
Compiano 1385/1405
Figlio di Manfredo. Fu creato Cavaliere da Gian Galeazzo Visconti nel 1385. Ghibellino fervente, ricoverò nel suo castello di Rivalta tutti i fuorusciti perseguitati dai guelfi nel 1403. Il duca Gian Maria Visconti, con diploma del 1405, eresse in contea i luoghi di Bardi e Compiano con perpetua separazione dalla giurisdizione del Comune di Piacenza, confermandoli in feudo al Landi e ai suoi discendenti maschi.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 234.
LANDI GEMMA
Borgo San Donnino ante 1902-
Il 19 maggio 1922 debuttò al Teatro Reinach di Parma nella Lucia di Lammermoor, sostituendo nella serata a prezzi popolari il soprano titolare. Fu incoraggiata e applaudita.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Reinach, 1995, 464.
LANDI GIULIO
Piacenza 1500 c.-Bardi 1578 c.
Figlio di Federico.Fu filosofo, biografo e letterato. Ricoprì cariche civili e militari assai importanti, fu incaricato di missioni diplomatiche e nominato Governatore di Fermo.
FONTI E BIBL.: M.De Meo, in Gazzetta di Parma 29 giugno 1998, 17.
LANDI LUCIO CORNELIO COSTANZO
Piacenza 19 marzo 1521-Roma 25 luglio 1564
Conte di Compiano, fu dottore collegiato, ascritto all’albo piacentino il 20 maggio 1549. Fu letterato, archeologo, numismatico e latinista di sommo valore. Discepolo di Benedetto Labadini, amico di Lodovico Dolci e dell’Alciati, lo ricordò nelle sue peregrinazioni da Bologna a Ferrara e Pavia e per lui, alla sua morte, avvenuta nel 1550, dettò una lunga iscrizione sepolcrale scolpita sull’avello innalzatogli in Pavia. Il Landi pubblicò diversi opuscoli legali e altri letterari: Carmina, L’impresa d’un Pino, In veterum numismatum romanorum explicationes, Methodus de bona valetudine tuenda. Fu sepolto nella chiesa di Sant’Agostino con una lunga iscrizione latina commemorativa. Si rileva dal testamento del Landi che con la sua ricca raccolta di libri aveva costituito una biblioteca di pubblico uso alle Caselle Landi per facilitare gli studi ai meno favoriti di mezzi.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 237.
LANDI MANFREDO
Compiano 1314/1327
Figlio di Galvano e nipote di Ubertino, fu irrequieto ghibellino e temuto uomo d’armi. Il 21 maggio 1314 venne decorato da Galeazzo Visconti del cingolo militare nella chiesa di Sant’Antonino in Piacenza. Conseguì la conferma dell’investitura di Zavattarello, Castelverde, Perducca, Bardi e Compiano da Lodovico detto il Bavaro, subito dopo la sua incoronazione a re d’Italia nella Basilica di Sant’Ambrogio in Milano il 31 maggio 1327.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 237; V.Pancotti, in Archivio Storico per le Province Parmensi 25 1925, 335-345.
LANDI MANFREDO
Bardi 1533 c.-Spagna post 1557
Figlio primogenito di Agostino e Giulia Landi. Al Landi andarono il marchesato di Bardi e il principato di Borgo Taro, con altri feudi e numerose terre, mentre al fratello Claudio toccarono i beni di Chiavetta, Roncolo e Veno. L’imperatore confermò poi al Landi, con vari diplomi, tutte le investiture precedenti. Militò nell’esercito di Carlo V e si distinse nel 1557 nella battaglia di San Quintino e in altri combattimenti in Fiandra. A ricompensa dei suoi servizi militari fu creato Governatore di Milano, ma non poté prendere posesso della carica poiché morì improvvisamente in Spagna, di ritorno da Madrid ove aveva sposato Giovanna di Cordova e Aragona, di nobilissima famiglia spagnola, figlia di Alvaro di Cordova e discendente per parte di madre dai re d’Aragona. Suo fratello Claudio, che gli successe nel principato, ne sposò la giovane vedova.
FONTI E BIBL.: M.De Meo, in Gazzetta di Parma 29 giugno 1998, 17.
LANDI OBIZZO
Compiano-1328
Condottiero ghibellino, passò poi alla parte guelfa e nel 1322 tolse Piacenza ai Visconti, tenendola per la Chiesa.
FONTI E BIBL.: Dizionario UTET, VII, 1958, 668.
LANDI OPIZZO, vedi LANDI OBIZZO
LANDI POLISSENA MARIA
Bardi 1599-1679
Figlia di Federico. Signora di Bardi e di Compiano, principessa di Val di Taro, sposò nel 1627 Giovanni Andrea Doria, principe di Melfi. Con la morte della Landi si estinse il ramo familiare di Bardi e Compiano. I suoi figli vendettero il feudo nel 1682 al duca Farnese.
FONTI E BIBL.: L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 241; P. Rameri, Polissena Maria Landi, principessa di Val di Taro, in Bollettino Storico Piacentino 67 1972, 91-94; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 596.
LANDI PRIMO
Parma 27 maggio 1882-Parma 24 aprile 1943
Detto Budlo. Fece coppia per molti anni con Antonio Piva e fu universalmente conosciuto e stimato come il re della claque. Dotato di una voce discreta e di una certa sensibilità musicale, fu un claqueur impareggiabile, soprattutto per la perfetta scelta del tempo: dava cioè il via ai battimani proprio quando il tenore non ce la faceva più a prolungare l’acuto, cosicché, sotto il subisso degli applausi, il cantante fingeva di continuare a cantare, raddoppiando il successo. Il Landi fece anche varie stagioni teatrali fuori Parma.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 84-85; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 14 novembre 1982, 3.
LANDI ROCCO
Compiano XVI secolo-Padova XVII secolo
Figlio di Bassiano. Fu insegnante, medico, letterato e vice rettore del ginnasio di Padova.
FONTI E BIBL.: A.Emmanueli, L’alta Valle del Taro, 1886, 132; L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 242; Pini, Vecchi Medici, 1960, 30; Pongini, Storia di Bardi, 1973, 201.
LANDI SOFIA
Piacenza 15 dicembre 1815-22 giugno 1899
Sposò il conte Ferdinando Scotti Douglas. Fu educata con austerità e secondo rigidi principî di morale e di fede che la sostennero nelle dure traversie della vita, chiusasi con un’atroce cecità. Visse a lungo nelle corti di Parma, Vienna e Berlino, portando l’intelligenza e la grazia della sua cultura in mezzo agli uomini eminenti nelle lettere e nelle arti che vi si incontravano. Fu particolarmente versata nelle letterature italiana e straniere contemporanee. Tradusse dal francese e dal tedesco e lasciò opere varie di erudizione.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, Piacenza, 1899; M.Bandini, Poetesse, 1942, 243.
LANDI UBERTINO
Compiano ante 1250-1298
Fu uno dei capi dei ghibellini italiani nella seconda metà del secolo XIII. Il Landi combattè in Puglia per Manfredi, di cui sposò una figlia o stretta parente (Isabella d’Aragona). Divenne Signore di vari feudi nel regno di Napoli, tra cui la contea di Venafro. Combatté anche per Corradino e contro i guelfi della sua città e della Lombardia. Nel 1250 fu governatore di Siena, della montagna piacentina e di Alseno. Fu inoltre conte di Gravago e di Compiano. Sposò in seconde nozze Adelasia (dopo il 1265).
FONTI E BIBL.: Dizionario UTET, VII, 1958, 668; N.Luxardo - E.Scapin, in Archivio Storico per le Province Parmensi 11 1959, 25-48, e 16 1964, 55-76; E.Nasalli Rocca, in Archivio Storico per le Province Parmensi 16 1964, 77-102.
LANDI VERGIUSO, vedi LANDI OBIZZO
LANDINI AGOSTINO
Parma 24 novembre 1891-Parma 7 marzo 1970
Tenne la critica musicale sulla Gazzetta di Parma dal 1919 al 1921. Scrisse il libretto per l’opera in un atto Il finto Anichino, musicata da Renzo Martini. Nel 1951 scrisse in collaborazione con Pier Maria Paoletti un libro per le celebrazioni verdiane.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 113.
LANDINI CARLO
San Lazzaro Parmense 26 aprile 1924-Castelnuovo di Cuneo 22 febbraio 1945
Partigiano appartenente alla divisione Bevilacqua, morì in combattimento.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 347.
LANDINI CARLO, vedi anche LANDINI GAETANO
LANDINI GAETANO
San Pancrazio 1850-Bologna 15 febbraio 1933
Di modesti natali, divenne conosciuto e apprezzato ingegnere nel campo dell’edilizia e della tecnica ferroviaria. Ispettore superiore delle Ferrovie dello Stato, si debbono al Landini la stazione di Faenza (con decorazioni in terra cotta), pregevoli invenzioni in tema di apparati di sicurezza e le prime istruzioni sugli apparati centrali e sull’armamento.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1933, 80; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 85.
LANDINI GIANNI vedi LANDINI GIOVANNI
LANDINI GIOVANNI
Fabbrico 1914-Parma 20 agosto 1999
Membro di una famiglia che muovendo da modeste basi artigianali impiantò avanzate strutture industriali e contribuì in maniera rilevante alla prima meccanizzazione dell’agricoltura italiana, il Landini si laureò in Economia e commercio e dedicò intelligenza ed energie non solo al servizio della sua azienda, alla quale diede un determinante apporto per quanto concerne il suo sviluppo e la sua affermazione sui vari mercati, ma anche alla comunità reggiana e in certi casi nazionale. Di grandissimo rilievo fu la collaborazione con il senatore Giuseppe Medici, studioso e conoscitore del mondo agricolo, con il quale ebbe modo di introdurre l’impiego del trattore nelle grandi opere di bonifica che segnarono il cammino della meccanizzazione dell’agricoltura italiana. A seguito delle intese intercorse tra il ministro Amintore Fanfani e il Landini, presidente dell’Associazione industriali reggiana e vicepresidente dell’Unacoma, nonché membro della Giunta nazionale della Confindustria, furono gettate le basi per quel provvedimento legislativo di radicale importanza per tutta l’economia agricola conosciuto come Fondo di rotazione dell’agricoltura italiana. In forza di tale provvedimento, lo Stato finanziò con mutui di basso tasso di interessi e di lunga durata l’acquisto da parte degli agricoltori di macchine agricole. Il Fondo di rotazione aprì a soluzioni la cui validità risultò apprezzabile ancora a distanza di decenni. Il Landini operò in campo nazionale, nel periodo della sua presidenza dell’Associazione industriali e dell’Unacoma, con visioni cooperative e finanziarie di avanguardia: si impegnò, per esempio, affinchè la Banca Popolare di Fabbrico si fondesse con la Banca Popolare di Modena. La vivacità intellettuale e il suo grande altruismo furono anche alla base di numerose iniziative benefiche di cui fu promotore: la scuola materna Aimone Landini di Pieve Rossa di Bagnolo e il massiccio intervento in occasione della tragica alluvione del 1951 nel Polesine. Nella desolazione del dopo-catastrofe, infatti, l’Associazione degli industriali di Reggio Emilia presieduta dal Landini intervenne con larghezza e concretezza sia a favore degli alluvionati, sia soprattutto a favore dell’infanzia con la sistemazione degli asili parrocchiali. Dal 1951 si trasferì ad abitare a Parma. Quando, agli inizi degli anni Sessanta, la sua famiglia cedette l’azienda trattoristica, il Landini diede vita in forma societaria ad altre imprese industriali, la cui presenza sul mercato rimase a lungo molto attiva. Al momento del decesso era ancora membro della Giunta dell’Assindustria e consigliere della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna e partecipava attivamente alla conduzione delle aziende a cui aveva dato vita. Fu sepolto nel cimitero di Fabbrico.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 agosto 1999, 6.
LANDINI GUIDO
Parma 4 marzo 1879-Parma 6 ottobre 1955
Fu allievo del Conservatorio di musica di Parma. Diplomatosi nel 1897, si dedicò alla carriera di professore di orchestra. Il 30 settembre 1920 la Commissione governativa, per aver tenuto per cinque anni la supplenza di fagotto nel Conservatorio parmense ottenendone ottimi risultati e per gli importanti certificati dei più illustri maestri e direttori di orchestra attestanti la brillante carriera svolta prima e durante la supplenza quale primo fagotto in orchestre, sia teatrali che sinfoniche di prim’ordine, lo ritenne degno di occupare l’ufficio d’insegnante di fagotto nel Regio Conservatorio di Parma. La sua nomina avvenne per chiamata. Insegnò fino al 1949.
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 113.
LANDOLI o LANDOLO , vedi LANDI
LANDONI GIUSEPPE
Parma-Parma 12 dicembre 1783
Il 25 maggio 1763, con decorrenza dal 1° febbraio, venne nominato copista con l’incarico della custodia delle Carte di Musica coll’annuo soldo di 3000 lire (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti), ridotte a 2000 a decorrere dal 1° aprile 1766 (Decreto 31 marzo 1766). Tra i suoi compiti vi era quello di cavare le parti dalle partiture delle opere per il Teatro che, per lo più, venivano acquistate a Venezia. Nel 1780 la sua qualifica era di Capo dell’Ufficio della Musica. Il 21 luglio 1784 gli succedette Francesco Gorgni con 3000 lire di soldo (Archivio di Stato di Parma, Decreti e Rescritti).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.
LANDRIANI EPAMINONDA
Parma 1619/1641
Si addottorò il 17 marzo 1618. Morì in ancora giovane età.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 89.
LANFRANCHI AGAPITO
Pisa-post 1429
Fu dottore di canoni. Nell’anno 1429 completò la stesura dei rinnovati Statuti di Busseto.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 21.
LANFRANCHI BRUNO
Parma 6 gennaio 1917-Parma 26 maggio 1995
Figlio di Paride e di Lidia Zerbini. Come attore si fece conoscere e amare dal pubblico parmigiano fin da giovanissimo, quando, nel 1931, debuttò al Teatro Regio di Parma con l’operetta Il canto delle sirene nella compagnia dei fratelli Clerici, nella quale recitava da tempo con successo il padre Paride. Si trattava di parti recitate e cantate in italiano. Così fu per Cianylea e Il piccolo Balilla. Soltanto nel 1938 il dialetto diventò la vera e unica passione del Lanfranchi. Una passione teatrale iniziata con Giulio Clerici, Nera, Cilién, Miriam Bocchi, Jolanda Armenzoni e Mainardi, che misero in scena Il gallo della Checca. Poi fu il momento di Lo zio Bernardo, un’altra commedia musicale, e del famoso Niceto, bagòlon dal lustor. Scoppiata la seconda guerra mondiale, fu fatto prigioniero in Sudafrica, dove recitò per i commilitoni e per gli inglesi. Tornato in Italia, il Lanfranchi riprese l’attività nel 1947. Intorno agli anni cinquanta, il Lanfranchi mise insieme una compagnia con il padre Paride e Montacchini, coi quali fece Minghet zò ‘d pirla. Alla scomparsa di Giulio e Italo Clerici, formò (1960) un nuovo gruppo teatrale, che portò alla luce numerose commedie: A la Bersagliera, Pepino Verdi, La lotaria ‘d Tripoli, La colpa l’è ‘d Paganini, La mazurca ‘d Migliavaca e persino una commedia di Dario Fo tradotta in dialetto parmigiano. Fu un lungo susseguirsi di successi. Nel 1984 rinunciò alle scene e nel 1988 si sposò con Ettorina Cacciani, anch’ella attrice. Oltre che per il teatro, il Lanfranchi espresse il suo amore per la lingua parmigiana con una raccolta di poesie in vernacolo, Al me zardén, la cui prefazione fu curata da Giovanni Petrolini. Inoltre girò diversi cortometraggi in superotto, sempre in dialetto, con cineamatori parmigiani e recitò una piccola parte in un film dedicato a Padre Lino.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 27 maggio 1995, 8; M.Varoli in Gazzetta di Parma 12 giugno 1995, 16.
LANFRANCHI GIOVANNI GASPARE, vedi LANFRANCO GIOVANNI GASPARE
LANFRANCHI GIOVANNI MARIA, vedi LANFRANCO GIOVANNI MARIA
LANFRANCHI GIUSEPPE
Casola di Ravarano 1780-Collecchio 29 maggio 1849
Fu per molto tempo cappellano dell’oratorio della Beata Vergine di Loreto in Collecchio e visse nella villa Dalla rosa Prati, poiché a quella famiglia apparteneva la proprietaria del suddetto oratorio. Il Lanfranchi fu molto popolare a Collecchio, tanto che l’atto di morte (nell’archivio parrocchiale) dice che fu sepolto magna pompa et magno concurso populi.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionari Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 8 febbraio 1960, 3.
LANFRANCHI GUIDO
Parma-Venezia 14 ottobre 1957
Cominciò giovanissimo la sua attività di impresario teatrale: a soli dodici anni collaborò, con due amici di poco più anziani di lui, alla gestione di una sala di spettacolo, con rappresentazioni di prosa, concerti operistici e classici. A quindici anni allargò allo sport la propria attività di organizzatore indicendo le prime corse ciclistiche e motoristiche. Fondò quindi, con un paio di amici, l’Automobile Club di Parma, del quale fu dirigente e corridore in motocicletta e in automobile. Entrato giovanissimo nella Ars Lyrica, che gestiva il teatro Regio di Parma, ne divenne in breve il fervido animatore, rimanendo a capo del Regio, in qualità di presidente della commissione teatrale, anche quando l’Ars Lyrica cessò. Dopo due anni di supervisione alle imprese che gestivano il Regio, il Lanfranchi restò unico e incontrastato reggitore delle fortune del teatro: dapprima per incarico della Associazione Turistica Pro Parma e finalmente rivestendo la carica di Sovrintendente. Accanto alle glorie della lirica mondiale (Gigli, Caniglia, Bechi, Stignani), il Lanfranchi presentò e lanciò giovani promettenti, come a esempio Mario Del Monaco, al quale occorsero tre anni consecutivi per fare valere definitivamente la propria singolare e prepotente personalità. Gli spettacoli d’opera portati un po’ dovunque dal Lanfranchi in Italia e all’estero furono centinaia. Tra le altre, spiccano le tournée in Gran Bretagna, ove il Lanfranchi portò compagnie e spettacoli di prim’ordine, coi nomi più altisonanti della lirica italiana e sempre nuovi allestimenti. Mesi e mesi di spettacoli, al ritmo di otto settimanali, a Londra e poi ovunque in Inghilterra, anche dove la lirica non era mai comparsa, come ad Aberdeen, nell’estremo nord della Scozia, o come a Bournemouth e a Newcastle. Una iniziativa mai tentata prima, con artisti, tecnici, scene e costumi tutti portati dall’Italia. Ebbe numerosi incarichi onorifici in Parma (dove fu consigliere del Collegio Maria Luigia in rappresentanza della Provincia) e in sede nazionale (fu presidente dell’Associazione nazionale impresari lirici). Ebbe riconoscimenti di ogni genere, tra cui le nomine prima a cavaliere, quindi a commendatore e infine a grande ufficiale. Nel 1949, a Milano, assunse la direzione amministrativa del quotidiano Il Tempo di Milano, nonché la carica di consigliere di amministrazione dei quotidiani finanziari Il Sole e 24 Ore, cariche che ricoperse fino alla morte.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 ottobre 1958, 4.
LANFRANCHI LANFRANCO
Parma 1218
Forse figlio di Gilio. Fu ingrossatore del Comune di Parma nell’anno 1218.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 508.
LANFRANCHI PARIDE
Parma 15 luglio 1891-Parma 10 aprile 1962
Sin dai primi anni della giovinezza il Lanfranchi sentì profondamente il richiamo dell’arte recitativa. Fu uno dei primi a formare una compagnia al teatro Stimatini, a cui tanto deve la storia del teatro popolare parmigiano perché fucina di artisti. Nel 1900, quindi a soli nove anni, si distinse sul piccolo palcoscenico tra i più attivi animatori e attori di primo piano. Ma il Lanfranchi ben presto trovò il locale troppo stretto per le sue possibilità, cosicché dall’ambito dell’oratorio passò alla creazione di una propria compagnia. Infatti, nel 1913, assieme ad altri amici, fondò la filodrammatica Silvio Pellico, che agì a Parma e nella provincia riscuotendo ovunque grandi successi. Fu proprio con queste recite che il Lanfranchi dimostrò di essere ormai un valido attore, possedendo quelle doti che lo promossero in particolare ottimo artista dialettale. La storia delle filodrammatiche parmensi, che si sviluppò attraverso gli ottimi complessi della Silvio Pellico, del Circolo Domenico M. Villa, de I filodrammatici e della Filippo Corridoni, assegna al Lanfranchi un posto eminente, poiché tali compagnie lo ebbero sempre primo attore e quasi sempre direttore artistico, nonché instancabile animatore. Nel 1931, al Concorso Nazionale delle Filodrammatiche svoltosi a Bologna, portò la sua compagnia al successo, conquistando personalmente il primo premio come attore e direttore artistico. Da quel momento, però, l’attività artistica del Lanfranchi si spostò prevalentemente verso il teatro dialettale parmigiano, nel cui campo, insieme ai Clerici, a Montacchini e alla Magnanini, ottenne grandi successi. Nei teatri di Parma e di fuori egli diede alle varie interpretazioni una particolare impronta di naturalezza e di arguzia derivatagli dalle sue doti e dalla sua lunga esperienza filodrammatica. Con estrema facilità passò da un personaggio all’altro, sempre vivificandolo con la sua arte: dalla guardia Arduini nella commedia Al fiol dla serva, al parroco ne A la bersagliera. Il Lanfranchi fece anche del cinema: in Torniamo in campagna interpretò il ruolo del fattore e anche i vari film su Don Camillo e Peppone lo ebbero tra gli interpreti.
FONTI E BIBL.: La morte di Paride Lanfranchi attore dialettale, in Gazzetta di Parma 11 aprile 1962, 4; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 597.
LANFRANCHI SIMONE
Bardone 1445
Nell’anno 1445 fu parroco di Santa Maria in Campagnola nel Piacentino.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 508.
LANFRANCO
Ante 1134-Parma1163
Lanfranco occupò la sede vescovile di Parma poco prima del 3 ottobre 1136, quando Lotario II rinnovò il patto di alleanza a Correggio Verde, presso Guastalla, con la Repubblica di Venezia (lo si trova tra i testimoni: nella sottoscrizione dei vescovi vi è pure il Parmensis, che non poteva certamente essere Alberto, condannato come scismatico, perché Lotario non avrebbe mai ammesso alla sua presenza un vescovo reietto dalla Chiesa). Lanfranco deliberò di collocare il corpo del vescovo Bernardo in venerazione al pubblico culto, trasferendolo solennemente il giorno 3 dicembre 1139 in un’arca di piombo elevata ed esposta alla vista dei fedeli, con la seguente iscrizione: ven. pater dominvs Lanfrancvs parmensis episcopvs in arca ista plvmbea posvit corpvs sancti Bernardi parmensis episcopi in millesimo centesimo trigesimo nono die tertio decembris. Siffatte elevazioni e traslazioni solenni equivalevano allora alla canonizzazione dei santi. Il 18 novembre 1140 concesse ad Attinolfo, abate di San Prospero di Reggio, la facoltà di eleggere un chierico o un monaco alla chiesa di Lupazzano, pervenuta al suo monastero per dono dei Signori di Antesica. Sebbene fossero molte le proprietà del Capitolo sparse nel contado parmense e anche fuori, tuttavia erano fortemente diminuite le rendite a causa della soverchia distanza e per la necessità di darle a livello. Fu senza dubbio per questa ragione che Lanfranco stabilì con una sua costituzione che il numero dei canonici non potesse essere maggiore di sedici. Nella conferma di tale costituzione, fatta dal vescovo Bernardo nel giugno del 1192, si legge: innovavit Constitutionem factam a Domino Lanfranco bone memorie Parmensi episcopo. Il Lanfranco fu poi presente a Ravenna nel 1141 all’assoluzione data al popolo di Ravenna (documento prodotto dall’Amadasi), sottoscrivendo anche un privilegio dato in favore dei canonici di Faenza. Ma le premure e le cure più assidue di lanfranco furono volte in quei giorni a condurre a compimento il monastero di Fontevivo. Il monastero fu inaugurato quasi certamente il 5 maggio 1142. I primi monaci che si portarono ad abitare la nuova badia, scrive il Manrique, furono trasferiti dalla Badia di Chiaravalle della Colomba (Monachi ex Columba illuc transmissi). Il privilegio di papa Lucio II del 12 luglio 1144 è il più antico documento conosciuto relativo alla badia di Fontevivo. Esso attesta che nel 1144 già esisteva il monastero di Santa Maria di Vivofonte (B. Dei Genitricis semperque Virginis Marie Monasterium de Vivofonte quod in Parmensi Episcopatu situm est) e che la chiesa fu donata dal vescovo Lanfranco (Ex dono videlicet fratris nostri Lanfranci Parmensis Episcopi Ecclesiam S. Marie de Vivofonte cum omnibus pertinentiis suis et cum decimis ejusdem loci a prefato Episcopo assensu Canonicorum suorum vobis pro sua devotione concessis). Nel documento si aggiunge che entro certi confini non si poteva costruire nessun’altra chiesa o abitazione, come a ven. prefato fratre nostro Parmensi Episcopo rationabili providentia statutum est. È chiaro che la chiesa di Vivofonte con le sue pertinenze, se Lanfranco richiese il consenso dei suoi canonici, era di proprietà della Chiesa parmense. Da ciò si deduce che preesisteva alla venuta dei monaci cistercensi. Lanfranco non fece che cedere ai monaci la chiesa di Vivifonte con le sue pertinenze. I confini della nuova abbazia furono così indicati dalla bolla di Lucio II (1144): dal fiume Taro al rio Battibove, dal rio Scagno, dalla strada, sino al confine di Cornaleto e di Maresio. Il monastero fu posto sotto l’immediata protezione della Santa Sede. Dunque, a somiglianza di Arduino, vescovo di Piacenza, che favorì Chiaravalle della Colomba, anche Lanfranco chiamò in Parma i monaci cistercensi, donò loro terreni e creò un’abbazia indipendente, soggetta direttamente alla Santa Sede, come quella di Chiaravalle della Colomba. Rimessa all’arbitrio di Griffone, vescovo di Ferrara, una vertenza tra Lanfranco e Alberio di Reggio intorno alla chiesa di Vetto, questi sentenziò il 7 dicembre 1142 quel luogo essere soggetto nello spirituale a Reggio e nel temporale a Parma. In seguito, quando Alberio volle riconoscere il corpo di San Prospero, Lanfranco fu invitato ad assistere a quelle funzioni. Il 30 gennaio 1143 Lanfranco approvò il lodo proferito da Odone, prevosto di Sant’Antonio, e dal canonico Ansaldo, della stessa chiesa, intorno alla lite che verteva tra l’abate Lorenzo di San Savino di Piacenza e l’arciprete di Santa Maria di Fornovo a causa delle decime sulle terre di Rubbiano e delle due chiese di Sant’Antonino e di San Salvatore. Lanfranco, de mandato et auctoritate domini Adriani pape, il 2 marzo 1157 sentenziò nella causa tra i canonici della cattedrale di Novara e i canonici di San Gaudenzio, dichiarando che i primi non avevano alcun diritto di esaminare quelli di San Gaudenzio ogni qual volta si presentavano al vescovo per le ordinazioni. Come appare dal privilegio (24 aprile 1158) di papa Adriano IV, Lanfranco cedette ai canonici regolari di Sant’Agostino le oblazioni solite a farsi per la celebrazione delle messe, quemadmodum venerabilis Frater noster Lanfrancus ipsius civitatis Antistes eas vobis concessit. Dopo la distruzione di Milano, Federico I convocò nel novembre del 1158 a Roncaglia una Dieta, cui si portarono tutti i principi, i vescovi e i nunzi delle città, a eccezione di Lanfranco, trattenuto a Parma da una mortale infermità: Parmensem infirmitas mortalis domi tenebat (Rodevico). Gli ultimi anni di vita di Lanfranco furono angustiati dal vedere la città di Parma tornata seguace dell’imperatore Federico I e dell’antipapa Vittore III. Il conciliabolo di Pavia (16 settembre 1159-febbraio 1160) riconobbe l’antipapa e, cominciata l’aspra guerra contro Milano nel 1161, anche Parma inviò soldatesche sotto il comando di Gherardo da Cornazzano, che combatté a Lodi nell’esercito imperiale. Lanfranco viveva ancora il 3 febbraio 1162, come si legge nella sottoscrizione di una pergamena in tale data: Calandinus imperialis sacri palacii notarius et Parmensis episcopi Lanfranc.interfui et rogatus scripsi.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 155-161; A.Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 238.
LANFRANCO
San Leonardo di Parma 1294
Fu priore di San Leonardo di Parma nell’anno 1294.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 508.
LANFRANCO, vedi anche LANFRANCO GIOVANNI MARIA
LANFRANCO DA PARMA
Parma 1419/1447
Fu Astrologo del duca di Milano Filippo Maria Visconti. Il suo nome è ricordato da Pier Candido Decembrio (Vita Phil. Mar. Vicecom., cap. LXVIII): Astronomorum judicio et disciplinae adeo credidit, up peritiores ejus artis ad se accersiret, eorumque consilio universa pene ageret. habuit in primis Petrum Senensem, et Stephanum Faventinum, utrumque edoctum artis ejus. Ultimis vero diebus Principatus sui opera, ac consilio Antonii Bernardigii, nonnumquam Aloysii Terzaghi, saepenumero Lanfranchi Parmensis usus est.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 152.
LANFRANCO EGIDIO, vedi LANFRANCO PASQUALE EGIDIO BALDASSARRE
LANFRANCO GENESIO
Terenzo 1516 c.-post 1533
Studiò musica sotto la direzione dello zio Giovanni Maria Lanfranco, come appare dalla dedica alla seconda parte di Scintille di Musica.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 15.
LANFRANCO GIAMMARIA, vedi LANFRANCO GIOVANNI MARIA
LANFRANCO GILI LANFRANCI, vedi LANFRANCHI LANFRANCO
LANFRANCO GIOVANNI EGIDIO, vedi LANFRANCO EGIDIO
LANFRANCO GIOVANNI GASPARE
Parma 26 gennaio 1582-Roma 29 novembre 1647
Figlio di Stefano e Cornelia. Il Lanfranco fu introdotto, anche in tenera età, presso il conte Orazio Scotti, marchese di Montalbo nel Piacentino, in qualità di paggio. Lo Scotti lo avviò dapprima agli studi letterari, poi, constatata la sua buona disposizione per il disegno, pensò di allogarlo presso Agostino Carracci. Fu infatti scolaro a Parma del Carracci che, al servizio di Ranuccio Farnese, lavorava alla decorazione di un camerino nel suo palazzo del Giardino. Morto Agostino Carracci nel 1602, il Duca lo mandò con Sisto Badalocchio a Roma come assistente di Annibale Carracci al palazzo Farnese, sopra l’età di 20 anni, come dice il Bellori. Nel 1604-1605 gli venne affidata la decorazione di una stanza del palazzo, il cosidetto camerino degli Eremiti. Intorno al 1607, su proposta di Annibale Carracci, il marchese Sannesio lo chiamò a decorare la propria palazzina di delizie sul monte Santo Spirito in Sassia (opere perdute). Nel 1608 collaborò con Guido Reni a San Gregorio al Celio, affrescando figure in monocromo dei Santi Pietro e Paolo nella cappella di Sant’Andrea e due putti che sostengono le insegne del cardinale Scipione Borghese, committente dell’opera, nella cappella di Santa Silvia. La collaborazione con il Reni proseguì nella cappella Paolina a Montecavallo (Quirinale) iniziata nel 1610, alla cui decorazione lavorarono anche Antonio Carracci, Albani, Cavedone e Campana. Al Lanfranco spettano le figure di Virtù nella cappella dell’Annunciazione. Morto nel 1609 Annibale Carracci e terminata allo scadere del 1610 l’opera al Quirinale, il Lanfranco ritornò in Emilia dove si trattenne prima a Bologna e poi per due anni a Parma e Piacenza presso il marchese Scotti. Qui si riavvicinò alle fonti della sua prima educazione approfondendo ulteriormente il correggismo, che tanta parte ebbe nel suo linguaggio. Di quel momento sono l’Arcangelo Raffaele e Satana (1610), per la chiesa di San Nazaro di Piacenza (Museo Nazionale di Napoli) e un San Luca con l’angelo per Santa Maria di Piazza a Piacenza (1611, collegio Notarile di Piacenza). Secondo il Carasi (Le Pubbliche Pitture in Piacenza, Piacenza, 1780), il Lanfranco affrescò nella chiesa di Santa Maria di Piazza la cupola con l’Assunzione della Vergine e i peducci con i Quattro Evangelisti (distrutti insieme con la chiesa). Sempre a Piacenza, per San Lorenzo dipinse la Salvazione di un’anima e la Madonna con i santi Girolamo e Carlo e l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco e Rustico per la chiesa di Sant’Andrea, opere tutte conservate alla Pinacoteca di Napoli. In quell’epoca, a Parma, per la chiesa di Ognissanti dipinse un Salvatore in gloria con i santi Giovanni Battista, Stefano, Giovanni Evangelista, Agostino e Monica (Galleria di Parma). Per la chiesa del Battistero fece il Martirio di sant’Ottavio, una delle prime opere che il Lanfranco dipinse appena ritornato in patria (Galleria di Parma, il bozzetto è conservato nella Pinacoteca Stuard di Parma e il disegno nella Biblioteca Palatina). Nel dicembre 1612 ritornò a Roma, dove l’anno successivo è ricordato negli Annali dell’Accademia di San Luca. Raffigurò, per le monache di San Giuseppe a Capo le Case, la Madonna in trono e i santi Giuseppe e Teresa, secondo il Passeri la prima tavola che espose in pubblico. Tavola (nella chiesa delle Carmelitane di via della Nocetta) che contribuì ad aumentare la sua fama in Roma e che svelò e annunciò l’indirizzo barocco della sua arte, soprattutto attraverso l’inconsueto schema compositivo obliquo. Intorno al 1614 eseguì gli affreschi in due sale del palazzo Mattei rappresentanti Giuseppe e la moglie di Putifarre e Giuseppe spiega i sogni ai prigionieri. Intorno al 1616 affrescò la cappella Buongiovanni nella chiesa di Sant’Agostino, che è da ritenersi, insieme all’Estasi di santa Margherita da Cortona (1620 c., Firenze, Pitti), uno dei capisaldi della iconografia barocca: nella volta l’Assunzione della Vergine, negli angoli sotto la volta i Quattro Evangelisti e nelle lunette gli Apostoli che cercano il corpo di Maria nel sepolcro. Sull’altare e ai tre lati dipinse le tele a olio l’Incoronazione di Maria, Santo Agostino sulla spiaggia con il divino Fanciullo e San Guglielmo risanato dalla Madonna. Tra il 1616 e il 1617 fu chiamato da papa Paolo V, insieme con Agostino Tassi, Orazio Gentileschi e Carlo Saraceni, a decorare la Sala Regia o dei Corazzieri nel palazzo a Montecavallo. Secondo Bellori e Passeri, sono di sua mano i medaglioni nei lati brevi della sala, rappresentanti Mosè che converte la verga in serpente e Abramo che sacrifica Isacco. E del secondo decennio un’interessante rimeditazione di luminismo caravaggesco che lo accosta al Vouet. Nel 1620-1621 eseguì affreschi mitologici nel palazzo Patrizi-Costaguti: Galatea e Polifemo, La Giustizia e La Pace. Di questi, il primo è andato perduto ma se ne può avere un’idea dal quadro dello stesso soggetto alla Galleria Doria. Nel 1621 iniziò la decorazione della cupola di Sant’Andrea della Valle, terminata tra il 1625 e il 1627, che è una delle prime testimonianze della grande decorazione barocca a Roma. Tale cupola, come ben avvertirono i contemporanei, costituì un avvenimento straordinario, il primo esempio di una pittura concepita come una musica, quando tuti li toni insieme formano l’armonia, trattandosi di una miriade di figure roteanti in ascesa, nell’illusiva scalata della volta celeste, fino a dissolversi nel diffuso splendore del vertice, simbolicamente immaginato come coincidente con l’Empireo. La tendenza a un comporre ardito e dinamico, rincalzata dagli studi su Correggio e già manifesta nelle volte delle cappelle Bongiovanni e Sacchetti, si esalta al massimo nella luminosissima cupola, che fu modello non solo a esemplari consimili dello stesso Lanfranco, ma anche per pittori come il Cortona e il Baciccio, in Roma e fuori. Alla fine del terzo decennio Lanfranco costituì in Italia una delle punte avanzate dell’arte ufficiale (affiancato nella scultura dal Bernini), espressione a un tempo di libertà formale nei confronti delle norme accademiche, già combattute dai naturalisti e poi difese dal Domenichino, e di accoglimento pieno dell’ideologia della Chiesa cattolica trionfante, che abbisognava, per affermarsi più ampliamente negli animi, della divulgazione di un linguaggio artistico abbastanza conservatore per non sconcertare e abbastanza nuovo per sedurre, che si imponesse per illusività, pienezza sentimentale, grandiosità spettacolare e fosse insieme facile, universale, così da essere inteso da tutti. Contemporaneamente (1625) alla cupola di Sant’Andrea della Valle, il Lanfranco eseguì dieci tele con Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento per la cappella del Sacramento in San Paolo fuori le mura: la Caduta della manna e l’Adorazione del serpente da parte degli Ebrei nelle lunette in alto (nella sagrestia della chiesa), sotto, disposte quattro da un lato e quattro da un altro, le storie sacre Ultima cena e Moltiplicazione dei pani e dei pesci, (Galleria di Dublino). Nella cappella Sacchetti in San Giovanni ai Fiorentini affrescò nella cupola (1622-1624) l’Ascensione di Cristo con gli angeli che reggono gli strumenti della Passione, nei quattro angoli gli Evangelisti e nelle lunette laterali la Coronazione di spine e il Tradimento di Giuda. Sulle pareti dipinse due tele rappresentanti Cristo nell’orto e la Salita al Calvario. Affrescò tra il 1624 e il 1625 il soffitto di una sala della villa del cardinale Borghese a Porta Pinciana con la scena dell’Olimpo degli Dei, la più grande opera decorativa di carattere profano-mitologico composta dal Lanfranco. L’affresco fu restaurato nel 1782 da D. Corvi. Per il cardinale Barberini dipinse Cristo che cammina sulle acque, quadro che sostituì quello rovinato di Bernardo Castello su un altare della Basilica di San Pietro, di cui resta un frammento. Sempre per la Basilica di San Pietro nel 1629 decorò la cappella del Crocifisso: nella cupola il Trionfo della Croce e nei bracci laterali Storie della Passione. Di questo periodo è anche la pala dell’Immacolata Concezione per la chiesa dei Cappuccini, di cui restano due frammenti con angeli musicanti. Nel 1634 si trasferì a Napoli per invito dei padri Gesuiti e vi rimase fino al 1646. La prima opera realizzata fu la decorazione della cupola della chiesa del Gesù, che lo tenne impegnato dal 1634 al 1636 e di cui restano i pennacchi con i Quattro Evangelisti. Per la Certosa di San Martino (1637-1639) eseguì gli affreschi nella volta e nelle tribune. Per i padri Teatini, dal 1638 al 1646 decorò la chiesa degli Apostoli. Alla fine del quarto decennio, al servizio del viceré di Napoli, dipinse per il Duomo di Pozzuoli tre tele: l’Annunziata, il Martirio di san Artemio, lo Sbarco di san Paolo. Nel 1641, morto il Domenichino, proseguì i lavori incompiuti della cupola nella cappella di San Gennaro nel Duomo affrescando la Gloria del Paradiso. Il soggiorno napoletano del Lanfranco fu di estrema importanza per la cultura locale, che, abbandonato progressivamente il naturalismo di tradizione caravaggesca, si indirizzò verso la grande decorazione di gusto barocco, sviluppata poi da Giordano e Solimena. Da Napoli inviò sei scene di Storia romana (tra 1634 e 1639) al palazzo del Buen Retiro a Madrid. Nel 1646 il Lanfranco passò di nuovo a Roma e vi intraprese la Gloria del Paradiso nell’abside di San Carlo a’ Catinari, finita nel 1647. Clamorosi furono i suoi contrasti con il Domenichino e il Guercino. Con la facilità di contrastare le masse e con la potenza drammatica delle azioni il Lanfranco si fa spesso perdonare i riflessi troppo correggeschi e una certa ostentazione di originalità. Gli si diede colpa di plagi anche insussistenti, ma benché le sue folle aeree manchino spesso di coesione e richiamino senza scrupoli forme e movimenti altrui, si distingue per magico colorismo e per potenza di contrasti. Ebbe il fasto dell’epoca e s’impose nella pittura dell’Italia centrale e meridionale, che cominciò ad allargare i suoi modi compositivi e a intendere le più energiche leggi del chiaroscuro. La sua concitazione esteriore non si può confondere con il genio dinamico e con la passione del Bernini ma giovò al rigoglio del Barocco. Al Lanfranco compete la qualifica di massimo esponente barocco della scuola dei Carracci, in quanto più di ogni altro pittore emiliano egli seppe ambientare i modi del Correggio nel clima della Roma secentesca, sfruttando lo spazio, specie nelle opere a fresco, per vistosi e teatrali effetti di colore e chiaroscuro, non senza un dinamismo prospettico alquanto esteriore, di rado sollecitato da genuini impulsi lirici. A onta del suo prevalente tecnicismo figurativo, il Lanfranco denota talvolta, nelle opere da cavalletto, la capacità di assimilare con libera facondia lo spirito del Correggio, come si vede nella parte inferiore della tela Il Paradiso (Pinacoteca di Parma) e negli Angeli musicanti della chiesa dei Cappuccini, a Roma, frammenti di una pala incendiata. Influenzò molti pittori, tra cui Anastasio Fontebuoni, Francesco Cozza, Giacinto Brandi e i francesi Simon Vouet e François Perrier. Ricchissima è la sua produzione grafica, studiata da E. Schleier (1983). Il Bartsch cataloga sotto il nome del Lanfranco una trentina di incisioni, tra le quali una serie di ventotto acqueforti con scene del Vecchio Testamento dalle Logge Vaticane. Reca pure la firma del Lanfranco la grande stampa col Trionfo di un imperatore romano, della quale si conserva il rame (Roma, Calcografia Nazionale). Secondo Lavagnino, dipinse una pala d’altare per la chiesa dei Domenicani di Augusta, ordinatagli dalla famiglia Fugger, e lavorò anche per la Francia e la Svizzera. Il Lanfranco fu sepolto nella chiesa di Santa Maria in Trastevere.
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LANFRANCO GIOVANNI MARIA
Terenzo 1490 c.-Parma 1/10 dicembre 1545
Studiò organo con Ludovico Milanese.Trasferitosi in seguito a Brescia, fu maestro di cappella e canonico del Duomo dal 1528 almeno fino al 1534: i canonici, avendo constatato cum la experientia le virtù et boni costumi de Maystro Zoan Maria Terentio di Lanfranchi da Parma incaricato di insegnar li putti et cantar in capella, stipularono con lui un contratto di lavoro per anni cinque continui comenzando el principio al primo dì de Luyo 1529. Lavorò poi per un certo periodo anche a Verona. Dal 1° aprile 1535 il Lanfranco fu infatti Maestro di Cappella nel Duomo di Verona con uno stipendio di 65 ducati all’anno, ma gli accadde di incappare (almeno questa fu l’accusa) nel reato di sodomia. Di certo vi fu, tra agosto e settembre del 1538, una sua fuga precipitosa, tanto che non potè riscuotere l’ultima rata di stipendio (i contabili veronesi la sborsarono a un suo Nepotte). Da Verona, secondo Aaron, il Lanfranco si rifugiò nel convento agostiniano pouerissimo et pien di disagij di Romano di Lombardia. Nel 1540 si stabilì definitivamente a Parma come maestro di cappella nella chiesa della Madonna della Steccata, dove rimase fino alla morte e dove fu sepolto.Fu in contatto, tra gli altri, con P. Aaron e con Willaert, al quale nel 1531 inviò una lettera contenente un suo canone a quattro voci. Appare tra i musici così theorici, come pratici allegati nel Dialogo pubblicato, anche sotto diversi pseudonimi, da E.Bottrigari (Il Desiderio, Venezia, 1594). Nelle Scintille, unico suo lavoro in campo musicale di cui si abbia conoscenza, il Lanfranco adottò un duplice ordine delle cantilene, o con il SIb stabile (onde la possibilità del MIb e del LAb) o con il SIb stabile in armatura di chiave (onde la possibilità del FA# e del DO#), premesso che, dei tre ordines dell’esacordo, quello naturale può essere soppresso perché del tutto inutile.Ogni vera distinzione scatta nel passaggio del VI grado (termine ultimo dell’esacordo naturale sul DO) al VII grado (che può essere infatti o il SIb o il SIb).Siffatta concezione precede dunque l’identica posizione assunta più tardi da Sebald Heyden (De arte cantandi, 1540, cap.IV) e costituisce il criterio-guida per l’accordatura della tastiera poiché, scelto uno dei due ordines (con il SIb e con il SIb), i gradi della scala accordata non possono essere indiscriminatamente utilizzati da ciascuno dei due.Se questa è la preminente preoccupazione del Lanfranco, le regole da lui dettate per la corretta accordatura mirano alla contemporanea realizzazione dei due ordines, a patto che alcuni tasti siano riservati all’uno ed esclusi all’altro (il SIb e il MIb vietati all’ordine del b quadrato, il SIb e il SOL# vietati all’ordine del bemolle), alcuni comuni ai due ordini, ma con riserva (è il caso del DO# e del FA#, che pure a servizio dei bequadro possono essere utilmente adoperati anche dal bemolle, a cui sarebbero estranei) e i rimanenti, che possono essere utilizzati da entrambi gli ordini non dimenticando che i tasti bianchi naturalmente appartengono al b quadro e non al b molle.Si è creduto, ma a torto, che con queste norme il Lanfranco avesse anticipato il sistema del temperamento equale.In realtà nulla era più lontano dai suoi pensieri.Basterebbe osservare che il SOL# è vietato all’ordine del SIb, onde è impossibile che il Lanfranco ritenesse quel tasto utilizzabile come LAb, ovviamente richiesto nell’ordine del bemolle.Il Lanfranco fu autore dei seguenti scritti: Rimario novo di tutte le concordanze del Petrarca (Brescia, 1531) e Scintille di musica che mostrano a leggere il Canto fermo & figurato, gli accidenti delle note misurate, le proportioni, i tuoni, il contrappunto et la divisione del Monochordo, con la accordatura dei varii instrumenti, dalla quale nasce un modo onde ciascun per se stesso imparare potrà le voci di la, sol, fa, mi, re, ut (contiene anche notizie sugli Antegnati, Brescia, 1533).
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LANFRANCO LANFRANCO
Parma 1610 c.-post 1630
Figlio di Giovanni Gaspare.Anch’egli pittore, fu attivo nell’anno 1630.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XI, 1822, 236.
LANFRANCO PASQUALE EGIDIO BALDASSARRE
Parma 1 settembre 1579-post 1610
Figlio di Stefano e Cornelia e fratello di Giovanni, che seguì a Roma. Detto anche Giovanni Egidio. Fu intagliatore di figure in legno attivo nell’anno 1610. Riuscì di qualche valore, secondo quanto dice il Passeri, e abitò a Roma in Transtevere al Vicolo del Cinque.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XI, 1822, 236; A. Ronchini, 1852, 314; A. Pezzana, Memoria degli scrittori e letterati parmigiani, III, 700; Il mobile a Parma, 1983, 254.
LANTBERTO, vedi LANTPERTO
LANTPERTO
-Parma 837 c.
Successe a Pietro nel vescovado di Parma. Lo si trova ricordato per la prima volta tra i vescovi convenuti al Concilio di Mantova il 6 giugno 827, indetto allo scopo di far cessare gli annosi litigi tra il patriarca di Aquileia e quello di Grado. A questo concilio furono presenti il vescovo Benedetto e il diacono Leone, bibliotecario, legati del papa Eugenio II, Sicardo, prete palatino, e Teoto, rispettivamente messi di Lodovico il Pio e Lotario, gli arcivescovi di Milano e di Ravenna e alcuni vescovi dell’Emilia, tra i quali appunto Lantperto (si firmò Lantpertus parmensis episcopus), venti vescovi della Liguria e della provincia veneta, diaconi e altri chierici. Lantperto accolse nel palazzo episcopale i giudici imperiali nell’830 e a loro si unì per fare, secondo consuetudine, giustizia a chiunque si riputasse ingiustamente aggravato, come avvenne per la causa tra Orso, prete e vicedomino di Borgo San Donnino, e l’abate Cosimo del monastero di SanFiorenzo di Fiorenzuola, relativamente a un vivaio o lago da pesca appellato Fischino.Grimaldo, avvocato dell’abate, affermò che era di ragione del monastero di San Fiorenzo da lungo tempo, per antichissimo possesso concesso dal principe Ilprando, re dei Longobardi. Odobaldo, avvocato del vicedomino, sostenne invece che spettava alla Chiesa di Borgo San Donnino perché era stato dato come cauzione da certi uomini e per altri motivi ancora prodotti in giudizio.I giudici imperiali e Lantperto, dopo non pochi contrasti, emisero una dichiarazione del tutto favorevole all’abate di SanFiorenzo. Il giorno 15 agosto 835 Lantperto si trovò presente, assieme a Nordberto, vescovo di Reggio Emilia, Adalghiso, conte, l’arcidiacono della Cattedrale di Parma, Eriberto, e a quattro gastaldi francesi, al solenne atto notarile col quale la regina Cunegonda volle dotare di molti beni il nuovo Monastero di Sant’Alessandro, da lei fatto edificare. In calce all’atto, dopo la firma della regina Cunegonda, compare la sottoscrizione di Lantperto: Ego Lantbertus episcopus rogatus ad Cunigonda manu mea subscripsi.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 50-52; A.Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237.
LANZA IRMA
Parma XIX secolo-post 1916
Laureata in pedagogia, insegnò presso la scuola normale A. Tommasini di Parma e si dedicò con successo alla letteratura infantile.Una delle sue cose migliori è il romanzo Il nonno, dedicato dalla Lanza ai propri figli, ai quali essa si ispirò (Milano, 1914, con una prefazione di Agostino Berenini).
FONTI E BIBL.: C.Villani, Stelle feminili, Napoli, 1916, 128; M.Bandini, Poetesse, 1941, 332.
LANZAROTTI CESARE
Borgo Taro 1916-Jagodnij 23 agosto 1942
Figlio di Giuseppe, gestore dell’osteria di Gotra.Caporale maggiore del 6° Reggimento bersaglieri, venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare alla memoria sul campo. Questa la motivazione: Comandante di squadra bersaglieri, durante un violento attacco nemico, quando questi stava per penetrare già nelle nostre linee, sostituitosi al tiratore ferito, col tiro calmo e mirato della sua arma, contribuiva efficacemente alla difesa della posizione.Inceppatasi l’arma, contrassaltava alla testa dei suoi uomini e dopo aspra, sanguinosa lotta all’arma bianca, costringeva il nemico alla fuga.Respingeva ancora nuovi attacchi, trascinando i suoi uomini con l’esempio e contribuendo in modo decisivo alla difesa della posizione.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1957, Dispensa 47 a, 3387; Decorati al valore, 1964, 26-27.
LANZETTI DOMENICO
-Parma 15 maggio 1774
Fu violoncellista alla Corte del Duca di Parma dal 15 agosto 1760 e fu retribuito dal 1° aprile 1766 con l’assegno annuo di 3600 lire di soldo e 2400 lire di pensione. Alla sua morte, lasciò in Parma la moglie Anna Maria, che cominciò a percepire un assegno di 1584 lire dalla Reale Corte di Parma il 16 maggio 1776. Il Lanzetti fu autore delle seguenti opere: quattro concerti per violoncello (ms. 12525, Biblioteca di Berlino), due sonate per violoncello con strumenti e Basso continuo (ms., Biblioteca di Berlino, in Kapsel), sei concerti per violoncello con orchestra (mss.14406, 14324, 14326 e 14328, Biblioteca di Berlino, in Kapsel).
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato in Parma, Ruolo A, 1, fol.141; R.Eitner, Quellen Lexikon, vol.VI, 48; H.Bédarida, Parme et la France, Paris, 1928, 489; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 204.
LANZI ANTONIO
Parma ante 1676-post 1701
Fu violoncellista e contrabbassista.Nel 1690 lo si trova quale docente di violoncello al Collegio dei Nobili di Parma. Cominciò a servire alla chiesa della Steccata di Parma il 1° febbraio 1691 e venne licenziato il 30 aprile 1696. Era solito portarsi in Cattedrale a suonare nelle feste maggiori.Era anche organaro e accordò l’organo della Cattedrale di Parma nell’agosto del 1676, collaudato poi da Giovanni Battista Chinelli poco prima di morire.Dopo il licenziamento dalla Steccata continuò a suonare nelle funzioni più solenni, come nella festa dell’Annunciazione del 1701.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 103; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.
LANZI ARNALDO
Noceto 13 maggio 1883-Valsugana 16 giugno 1916
Figlio di Guglielmo e Maria Zappettini.Soldato nell’83°Reggimento Fanteria, morì nel corso della prima guerra mondiale combattendo eroicamente.
FONTI E BIBL.: Caduti di Noceto, 1924, 34.
LANZI CARLO
Parma-Parma 1695
Costruì, con gran plauso, il nuovo organo nell’oratorio di SanLorenzo di Pontremoli, sorto per opera di una confraternita di disciplinanti di fianco all’antica chiesa di SantaCristina (casola, prope ecclesiam Sancte Cristine).L’organo, progettato fin dal 1670, fu in breve tempo costruito. Alla fine si fece l’organo e lo fece un parmigiano Lanci, valentuomo.Il primo che suonò l’organo fu il Padre frà Francesco organista di S.Francesco (Gondani, Cronaca). Il Lanzi fu particolarmente abile nella costruzione di prodigiose canne in legno.Nel 1672 il Lanzi costruì l’organo della parrocchiale di Casalgrande ed ebbe la manutenzione di quello della basilica della Steccata di Parma dal 1678 alla morte.Fu attivo anche a Sassuolo, lavorando sugli organi della parrocchiale di San Giorgio (1680) e delle chiese di Santo Stefano (ottobre 1685, ridusse l’organo a nove registri, per un compenso di 800 lire modenesi) e di San Francesco (1685).
FONTI E BIBL.: Parma per l’arte 2 1965, 74-75; Aurea Parma 2 1992, 147; Enciclopedia di Parma, 1998, 410.
LANZI FRANCESCO
Parma 1630
Pittore attivo nell’anno 1630.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XI, 1822, 248; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 202.
LANZI FRANCESCO
Parma 1696/1712
Sacerdote, fu organista alla Steccata di Parma.Gli fu sospeso lo stipendio del gennaio 1696 per aver commesso diverse mancanze.Fu ancora alla Steccata il 14 marzo 1701. Il 26 luglio 1709 Francesco Maria Farnese propose come organista alla Compagnia della Steccata Giovanni Maria Capelli, in caso che succeda la vacanza di tal posto: ciò lascia supporre che il Lanzi fosse gravemente ammalato o inabile.Invece passò, come organista e suonatore di corno, in Cattedrale a Parma nel 1706, ove lo si trova fino al 1712.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 158.
LANZI GIUSEPPE
Parma 1678/1695
Figlio di Carlo. Successe al padre nel 1695 per accordare e tenere pulito l’organo della chiesa della Steccata di Parma.Fu accusato il 7 marzo 1697 di averne rubato 297 canne: incarcerato, gli fu poi concessa la libertà, essendo raccomandato da Francesco Farnese.Il Lanzi costruì nel 1678 l’organo della Compagnia di Nostra Donna a Pontremoli.Inoltre fu forse il costruttore del somiere dell’organo Facchetti di SanSisto a Piacenza.
FONTI E BIBL.: Malacoda 37 1991, 9.
LANZONI FRANCESCO
Cotignola 4 gennaio 1881-Parma 14 giugno 1950
Il 7 luglio 1904 ottenne, all’età ventitré anni, la laurea in Chimica presso l’Università di Bologna (ottenne poi altre due lauree: in Scienze Naturali e in Farmacia). Successivamente, dopo l’assistentato effettivo presso l’Istituto di Chimica Generale dell’Università di Ferrara, fu insegnante di Scienze Naturali presso l’Università di Parma, svolgendo una tesi di Botanica. Nell’agosto 1904 fu nominato, con decreto ministeriale, Aiuto presso l’Istituto e Orto Botanico dell’Università di Parma, diretto da Carlo Avetta. Da quell’anno compì tutte le funzioni inerenti a tale mansione, quali la preparazione delle lezioni, l’esercitazione, la conservazione e l’incremento delle collezioni (particolarmente della flora parmense), prove di colture, il catalogo annuale dei semi, analisi e consultazioni, le erborizzazioni e la partecipazione, annualmente, alle varie commissioni di esame.Esplicando, posteriormente, ulteriori attività, quali i corsi di Botanica, conferenze di Biologia e corsi di Botanica medica, nel 1931 conseguì la libera docenza in Botanica. Nel 1935, in seguito al collocamento a riposo di Carlo Avetta, fu incaricato dalla Facoltà di Farmacia del corso ufficiale di Botanica farmaceutica e della Direzione dell’Istituto e dell’orto Botanico. A lui si deve la costruzione, di lato alle serre, di un’ampia e moderna aula per le esercitazioni pratiche degli studenti non solo della Facoltà di Scienze ma anche delle Facoltà di Medicina e Farmacia, attrezzandola di microscopi e altro materiale didattico. Il Lanzoni fu inoltre incaricato degli insegnamenti di Zoologia, Anatomia comparata e Fisiologia vegetale. L’Avetta, nel lasciare l’insegnamento e la direzione dell’Istituto per raggiunti limiti di età, espresse al Lanzoni la sua piena soddisfazione per l’opera, lodevole sotto qualunque aspetto, da lui svolta nel coadiuvarlo in tutti gli uffici e le mansioni dell’Istituto e del Giardino e per le sue numerose ricerche scientifiche. A riprova della sua operosità scientifica, va ricordato che il Lanzoni fu autore di oltre un centinaio di pubblicazioni di storia della Botanica, oltre a numerosi lavori di carattere divulgativo vertenti su argomenti di anatomia e di biologia vegetale e floristica, pubblicati su giornali e riviste, nonché gli articoli scritti per l’Enciclopedia Universale Vallardi, di cui fu collaboratore per le voci di Botanica e Agraria.Nel campo della floristica continuò l’opera del Passerini e dell’Avetta sul censimento qualitativo e quantitativo della flora dell’Agro e Appennino parmense, estendendo le ricerche al disopra della linea delle colline, alla quale si erano fermati i predecessori, sino al crinale dell’Appennino. Segnalò una nuova stazione del tasso (Taxus baccata) sull’alta Val di Cedra e Val di Tacca. Diede notevoli impulsi anche ad altri campi scientifici, come quelli della Morfologia, Anatomia e Fisiologia, Teratologia, Ecologia e Botanica erboristica.Tenne corsi di erboristeria anche in pieno Appennino, a Corniglio e a Castelnuovo Monti (1929) con l’obiettivo di educare i raccoglitori al rispetto dell’ambiente in cui operavano, in considerazione del fatto che a loro sono legate le sorti della flora spontanea e del patrimonio culturale che ne deriva.Nel campo poi della storia della Botanica, si occupò delle vicende secolari dell’orto Botanico di Parma sulla base di documenti di archivio sino ad allora del tutto ignoti, da lui tratti alla luce, riuscendo a dare, in una prosa briosa e viva, una visione panoramica delle vicende e dei progressi delle scienze nei Ducati di Parma e Piacenza. I suoi studi sulla flora parmense si trovano pubblicati in Ateneo Parmense, in Archivio botanico (Forlì), in ArchivioStorico per le Province Parmensi e in Aurea Parma.Il Lanzoni dimostrò che l’Orto botanico di Parma trae le lontane origini dall’Orto dei semplici fondato verso la fine del Cinquecento da Ranuccio Farnese.Con le sue pubblicazioni estese ai semplicisti, sistematici e fitotomi parmensi del Seicento, palesò agli studiosi un mondo ancora inesplorato.In un ramo della Morfologia appartenente al dominio della Farmaco-botanica pubblicò ricerche istologiche e anatomiche dirette a stabilire metodi rigorosi e sicuri per l’identificazione delle droghe di origine vegetale in confronto con le frequenti sofisticazioni.Nel campo dell’anatomia e della fisiologia studiò l’albinismo della forma variegata di Acer Negundo e la salita dell’acqua in Helianthus annuus.Nel ramo dell’Ecologia constatò l’adattamento di piante a pronubi nuovi, profondamente diversi dai preferiti.
FONTI E BIBL.: Credali, Francesco Lanzoni, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1949-1950, 48-49; Parma per l’arte 1 1951, 27; Il verde a Parma, 1981, 26-27.
LAPILLIANI GIOVANNI
Parma seconda metà del XVIIsecolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVIIsecolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti, VI, 286 v.
LAQUILA, vedi AQUILA