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Dizionario biografico: Cabassa-Canuti

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CABASSA-CANUTI

CABASSA ENRICHETTA
Parma 6 novembre 1916-Palanzano 8 marzo 1945
Il laboratorio di sartoria in borgo del Carbone, presso cui la Cabassa lavorò come operaia sarta, fu un centro di azione contro il regime fascista. Il titolare, Giovanni Cordani, lo trasformò in centro di smistamento della stampa antifascista: vi si ritrovavano Bruno Longhi, B. Tanzi, P. Campanini. Dovendo Laura Polizzi abbandonare la città di Parma perché esposta al pericolo di cattura, la Cabassa, che aveva il marito disperso in guerra, la sostituì nei delicati e gravosi compiti di staffetta del Comando Piazza. Fu anche staffetta per la delegazione del Comando Nord Emilia, operando a fianco di Ines Bedeschi, a contatto con Emilio Boni e altri dirigenti. Quando ormai nel febbraio 1945 il cerchio stava per chiudersi intorno a lei, venne inviata in montagna, nelle formazioni partigiane. Militò nella 143a Brigata Garibaldi Aldo. Morì preparando del materiale bellico, in seguito allo scoppio accidentale di un ordigno.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1998, 103; M. Minardi, Donne, Resistenza e cittadinanza, 1997, 95.

CABASSI RENZO
Parma 31 maggio 1908-Parma 15 marzo 1988
Apprese i primi elementi della musica dal padre mandolinista (anche il fratello minore, Armando, fu avviato alla carriera musicale, diventando poi un ottimo fagottista al Teatro comunale di Bologna e docente al Conservatorio). Il Cabassi si dedicò alla chitarra, per la quale non erano previsti dei programmi statali di studio, per cui, oltre che da autodidatta, ricevette consigli dal maestro parmigiano Aldo Ferrari e da Luigi Mozzani di Faenza. Nel 1928 esordì in pubblico a Parma al circolo Sparta, dando poi concerti a Trieste, Milano, La Spezia, Bologna. Salsomaggiore e altre città italiane. Fece anche delle tournée nelle città della Costa Azzurra, sempre con successo di pubblico e consensi di critica. Dopo un concerto, il violinista Vasa Prihoda lo invitò a eseguire assieme a lui l’incisione delle Sonate per violino e chitarra di Paganini. Il maestro Ferrari Trecate scrisse per il Cabassi una composizione, uno Studio per chitarra sola. Gli anni del conflitto per il Cabassi furono drammatici essendosi trovato coinvolto in Piemonte nella tragedia che la guerra civile aveva scatenato. Dopo la guerra, tornato a Parma, diradò le presenze in pubblico per dedicarsi all’insegnamento: tra gli altri, suoi alunni furono Elena Padovani, Livio Floris, Ettore Cenci ed Enrico Tagliavini. Dal 1961 insegnò prima al Liceo musicale di Reggio Emilia, poi per tre anni al Conservatorio di Pesaro e, dal 1964 al settembre 1978, al Conservatorio di Parma come docente di chitarra classica. Nel 1978 fu collocato in pensione per raggiunti limiti di età. Collaborò con articoli tecnici alla rivista La chitarra (nel luglio 1940 scrisse Alcune considerazioni sulla forma della chitarra, analizzando le differenze tra la forma italiana e quella spagnola). Come strumentista è ricordato nei dizionari chitarristici italiani, americani e russi.
FONTI E BIBL.: Dizionario Chitarristico, 1968, 14; Gazzetta di Parma 16 marzo 1988, 7.

CABERTI GIOVANNI
-Parma 12 gennaio 1863
Funzionario borbonico. Fece la campagna risorgimentale del 1848.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 401.

CABRINI ALBERTO, vedi CABRUNI ALBERTO

CABRINI GIUSEPPE 
San Secondo XVII/XVIII secolo
Pittore. Visse tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 191.

CABRUNI ALBERTO
Salsomaggiore 25 agosto 1658- Salsomaggiore 30 dicembre 1744

Figlio del notaio Giuseppe. Laureatosi in entrambe le leggi a Parma nel 1686, esercitò onorevolmente la professione e ricoprì importanti cariche pubbliche tra cui quella di avvocato della mensa vescovile piacentina e quella di consigliere e ministro di Rinaldo d’Este duca di Modena. Rientrò a Salsomaggiore nel 1737, località dove fu commissario imperiale durante il regno di Carlo VI di Spagna. Lasciò due opere giuridiche a quel tempo assai reputate. La prima ha per titolo Alberti Cabruni I.U.D. Placentini, Parmae, ac Reverendissimae Mensae Episcopalis Parmensis Advocati Lucubrationes legales utramque civilem et criminalem materiam circumnectentes (Bononiae, Typis Petri-Mariae Monti, 1709, dedicata a Francesco Farnese Duca di Parma). La seconda si intitola Inspectiones juris diversae super materia de dote (Parmae, Gozzi, 1730), che fu ristampata in Bologna della Tipografia Guidi nel 1838 con illustrazioni e note di Antonio Succi bolognese.
FONTI E BIBL.: G. Valentini, Guida storica di Salso e Tabiano, 1861, 17-18; L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 97-98; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 88.

CABRUNI ALESSANDRO Borgo San Donnino XVII/XVIII secolo 

Pittore paesista. Visse tra il XVII e il XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 191.

 CABRUNI BARTOLOMEO
Parma prima metà del XVII secolo
Pittore attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, V, 84.

CACCHIOLI GINO 
Londra 11 giugno 1925-Panocchia 31 agosto 1981
Figlio di emigranti di Borgo Taro, con il fratello Guglielmo si inserì autorevolmente nelle prime bande partigiane operanti tra Val Ceno e Val Taro e divenne, nell’aprile 1944, comandante del Gruppo Cento Croci (dell’omonimo passo appenninico), che ebbe un ruolo determinante, insieme con varie altre formazioni, nell’instaurazione di una repubblica partigiana denominata Territorio libero del Taro (14 giugno-24 luglio 1944) comprendente i comuni di Borgo Val di Taro, Compiano, Bedonia, Albareto, Tornolo, Bardi e Varese Ligure. Dopo l’imponente e sanguinoso rastrellamento tedesco nel luglio di quello stesso 1944, il Cacchioli fu sostituito da Federico Salvestri a capo del Gruppo Cento Croci, ma con il fratello Guglielmo costituì, il 15 settembre, una Brigata Beretta (dal nome di battaglia dei due fratelli), cui se ne aggiunsero una seconda il 20 novembre (e il Cacchioli ne ebbe il comando) e una terza il 15 marzo 1945 (comandata da Giuseppe Molinari). Il 24 dello stesso marzo le tre brigate formarono la Divisione Cisa, con zona operativa specifica tra il passo della Cisa e Pontremoli e con comandante Guglielmo Cacchioli. Al termine delle ostilità, il Cacchioli conseguì la laurea in giurisprudenza e si dedicò all’impegno politico all’interno della Democrazia Cristiana parmense: ricoprì pertanto incarichi politico-amministrativi a livello locale e si segnalò positivamente soprattutto come presidente del Consorzio di bonifica montana parmense. Fu eletto senatore nel 1972 per il collegio Borgo Val di Taro-Salsomaggiore, e fu confermato nel 1976 e nel 1979. In Senato fu membro di varie commissioni (giustizia, agricoltura, questioni regionali, inquirente) e, dal marzo 1978 al giugno 1979, ricoprì la carica di sottosegretario all’agricoltura e foreste. Il 14 dicembre 1979 fu insignito della medaglia d’argento al valor militare con decreto del Presidente della Repubblica, in riconoscimento delle sue benemerenze nel periodo resistenziale, quando si segnalò per l’ammirevole esempio di spirito combattivo, audacia e spiccate qualità di comandante. Gli Stati Uniti lo decorarono con la Bronze Star, la più alta decorazione concessa agli stranieri, con la seguente motivazione: Come comandante della Divisione Cisa del Movimento partigiano italiano, Gino Beretta nonostante la mancanza di armi e di equipaggiamenti, ha continuamente martellato il nemico con atti di sabotaggio ed attacchi a convogli e a truppe nemiche. Dimostrando stupefacente abilità nonostante la mancanza di cognizioni tecnico-militari, combinata con una indefettibile lealtà ed eroismo nel realizzare i piani dei Comandi Alleati, egli utilizzò i mezzi a sua disposizione col massimo vantaggio per le forze alleate. Morì improvvisamente mentre partecipava a un incontro del gruppo consiliare democristiano del Comune di Parma.
FONTI E BIBL.: Per l’attività parlamentare del Cacchioli, cfr. gli Atti del Senato della Repubblica dal 1972 al 1981. Tra i non numerosi scritti, va ricordato l’intervento riportato nel volume collettivo Il contributo dei cattolici alla lotta di liberazione in Emilia Romagna, APC, Busto Arsizio, 1966, 317-322 (La repubblica partigiana dell’Alta Val Taro). Sull’attività del Cacchioli nella Resistenza, numerosi materiali sono conservati nell’Istituto Storico della Resistenza di Parma: tra l’altro, il Compendio storico dell’attività della divisione Cisa - Brigate Beretta dalla costituzione alla smobilitazione (a firma di G. Cacchioli e di M. Casale). In generale, cfr. G. Vietti, L’Alta Val Taro nella Resistenza, ANPI, Parma 1980; F. Cipriani, Guerra partigiana - Operazioni nelle province di Piacenza, Parma, Reggio-Emilia, ANPI, Parma 1946; M. Visalli, Momenti salienti della Resistenza parmense, Studium Parmense, Parma, 1973; Ferrari, Mito, tradizione, storia, 1983, 7; P. Boni, Giorni a Compiano, Parma 1984; tra le numerose commemorazioni, quella di A. Fanfani al Senato della Repubblica; altre notizie biografiche in T. Marcheselli, Strade di Parma, III, 1990, 236; S. Giliotti, in Gazzetta di Parma 20 settembre 1991, 9; P. Bonardi, in Dizionario storico del Movimento Cattolico. Aggiornamento, 1997, 259-260.

CACCIALI UBALDO
Fontanellato 14 gennaio 1882-Milano 24 aprile 1975
Diplomato in pianoforte al Conservatorio di Parma nel 1901, si dedicò alla musica da ballo e suonò in varie formazioni, anche in America, Russia e in vari paesi europei. Nel secondo dopoguerra fondò a Roccabianca l’orchestrina Fonit.
FONTI E BIBL.: B/S, 26; G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

 CACCIAMANI GIUSTINO
Parma 1839
Ancora allievo di Giacomo Belloli, il 31 marzo 1839 suonò il corno da caccia in un’accademia vocale e strumentale al Teatro Ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: Negri; Stocchi; G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

CACCIAMANI RAINERO, vedi CACCIAMANI RANIERO

CACCIAMANI RANIERO
Parma 16 luglio 1818-Parma 16 maggio 1885
Studiò con il dilettante Carlo Ortalli e il 16 ottobre 1835 fu nominato in soprannumero professore di tromba nella Ducale Orchestra di Parma, dove fu confermato come effettivo dal 1° settembre 1839. Attivo come solista in concerti, nella stagione d’autunno 1836 suonò a Guastalla nel Teatro Comunale negli intermezzi della Sonnambula, Elisa e Claudio, L’Elisir d’amore. Per l’occasione il guastallese Giovanni Cattani pubblicò un carme in suo onore. Il 10 marzo 1837 e l’8 aprile 1838 suonò in due grandi accademie al Teatro Ducale di Parma. Nelle stagioni di fiera del 1841 e 1842 fu prima tromba nel Teatro di Reggio Emilia e nel 1852 venne chiamato a Torino al Teatro Regio. Dopo un anno, però, volle tornare a Parma e fu riammesso nell’Orchestra Ducale. Dal 21 dicembre 1859 insegnò, alla Regia Scuola di musica, tromba e strumenti congeneri. Morì mentre era ancora in servizio. Fu docente particolarmente efficace e diplomò un gran numero di ottimi allievi: in tromba, Giuseppe Curti (privato), Vittorio Bocchi, Centurio Gabbi, Lino Mattioli, Umberto Barabbani, Cesare Caprara; in corno, Eraclio Gerbella, Augusto Franzoni, Aristide Spinazzi, Salvatore Rossi, Paolo Pezzoni, Enrico Scarpa, Dante Pasetti, Carlo Fontana. Fu strumentista dal suono dolcissimo e dal fraseggio delicato. Pubblicò con la Casa editrice Ricordi di Milano: Metodo d’istruzione per corno a macchina, parti 3, Metodo d’istruzione per tromba a macchina, parti 3, Metodo d’istruzione per bombardone, Capriccio per tromba con pianoforte, Luisa Miller, per tromba con pianoforte, Bellini e Verdi: Puritani e Masnadieri, pot-pourri per tromba con pianoforte, Fantasia per tromba sopra motivi della Sonnambula, Cavatina: Ernani involami, nell’Ernani, trascritta per tromba con pianoforte, I due Foscari, pezzo per tromba per pianoforte, Fantasia sulla Lucrezia Borgia, per tromba con pianoforte, assieme ad Antonio Baur Souvenir dei Lombardi, capriccio per tromba e pianoforte, Duetto: Tu lo sai che giudice, nei Due Foscari, per due trombe con pianoforte. Un suo ritratto a olio, opera del pittore Signorini di Parma, si trova nella Sala Barilla del Conservatorio di Parma.
FONTI E BIBL.: C. Schmidl, Dizionario Universale Musicisti, 3, 1938, 140; G.N. Vetro, Il Giovane Toscanini, 1982, 55; Banda della Guardia Nazionale, 1993, 89-90.

CACCIANI GUGLIELMO 
San Lazzaro Parmense 1893-Parma 2 gennaio 1969
Il Cacciani si diplomò in scultura all’Istituto di Belle arti di Parma e, appena diciannovenne, venne invitato a eseguire alcune opere che dovevano servire per il monumento a Giuseppe Verdi: egli diede forma a il Trovatore, Don Carlos, Forza del destino, Alzira e Falstaff. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo costrinse a interrompere la sua attività. Al rientro a Parma, ripreso il lavoro, eseguì la Venere e altre opere nella piscina del Poggio Diana a Salsomaggiore. Vinse poi il concorso internazionale per un busto a Beethoven che venne collocato in un conservatorio musicale in Belgio. Ideò ed eseguì il Monumento dei Caduti di Langhirano (1922) e quello di Palanzano (1923). Nel 1924 finì la parte scultorea del Monumento ai Caduti di Noceto, ideato dall’architetto Costa, quindi, con l’architetto Bruno Canattieri, attese all’esecuzione del Monumento ai Caduti di Golese. Il cimitero della Villetta di Parma si fregia di alcune sue opere, tra cui la statua del Monumento funebre Merli (ideato dall’architetto Monguidi) e le sculture che ornano il monumento funebre del colonnello Pizzorni. Sono pure sue le sculture del Monumento ai Caduti della Società di Mutuo Soccorso Cocconi e il pregevole bronzo raffigurante Padre Lino, anch’esso sistemato nella Villetta. Il Cacciani venne pure invitato per completare le statue al Foro Italico a Roma, ma egli non volle allontanarsi dalla città di Parma. Nel 1939 venne assunto presso la ditta Bormioli Rocco (dove rimase fino al giugno 1968) come modellista disegnatore. Le sue opere ebbero sempre un’impronta mistica, con forme robustissime, larghe, dense di espressione. Fu nemico di ogni leziosità e di ogni banale rifinitura: mozzava le figure, le mutilava, se ciò era efficace all’idea che doveva animarle. Fu fuori d’ogni accademismo, lottò continuamente col suo spirito inquieto, qualche volta esasperato, e tradusse questa sua febbre nella creta.
FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 278; Gazzetta di Parma 3 gennaio 1969, 4.

CACCIARDINI ANGELO GABRIELE Parma 1615/1637
Fu eletto Abate della chiesa di San Sepolcro in Parma per quattro volte: 1615-1617, 1625-1627, 1632-1634 e 1635-1637.
FONTI E BIBL.: V. Soncini, Chiesa S. Sepolcro, 1932, 90-91.

CACCIARDINO GALEAZZO-Parma 31 marzo 1606

Suonatore di liuto, fu alla Corte di Parma il 1° aprile 1570 con l’incarico di insegnare liuto ai paggi. Come si legge in una lettera dell’11 maggio 1582, il Cacciardino ebbe l’incarico di insegnare tale strumento musicale anche al figlio del duca Ottavio Farnese. A Corte lo si trova ancora il 31 dicembre 1596, e vi restò sino alla morte.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato in Parma, Teatri, Musica e musicisti; Ruoli Farnesiani; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 67.

 CACCIARI AMBRETTA
Bologna 1955-Parma 29 gennaio 1991
Si trasferì a Parma assieme alla famiglia nel 1967 e abitò nel quartiere San Leonardo. Durante il liceo, negli anni Settanta, iniziò a partecipare attivamente ai movimenti della società civile facendo nascere, con i comitati di quartiere e i consigli di fabbrica locali, iniziative pilota di partecipazione popolare alle problematiche del quartiere. Nel contesto del gruppo parrocchiale di cui fece parte, fu tra le fondatrici, nel 1980, del giornale del quartiere intitolato Il Dibattito. Si laureò in medicina nel 1981 e conseguì la specializzazione in anestesia e rianimazione nel 1984. Quindi iniziò l’attività professionale all’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. Perse la vita in un incidente stradale mentre a bordo di un’ambulanza diretta all’Ospedale Maggiore di Parma stava assistendo un paziente. Lo schianto avvenne tra viale Fratti e via Trieste e causò la morte anche di un infermiere e del paziente.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 28 gennaio 1996, 11.

CACCIAVILLANI LUIGI 1839-Parma 28 ottobre 1861
A vent’anni combattè volontario nelle campagne risorgimentali del 1859 contro l’Austria, e del 1860 nel Napoletano.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento Italiano, 1915, 115.

CADALO Verona 1009 o 1010-Parma gennaio/aprile 1072
Il suo bisavolo si chiamò Atone, l’avolo Wicardo e il padre Ingone. Quest’ultimo acquistò il castello di Sabbione nel 991, il castello di Colmano e terre in Lonigo nel 992. Da ciò appare che questa famiglia ebbe vasti possedimenti in Verona e Vicenza, e fu tra le più cospicue famiglie di quelle città. Ingone, padre di Cadalo, coprì inoltre l’importante carica di viceconte: vicecomes de civitate Veronensi. In un istrumento del luglio 1028 è fatto cenno che i tre fratelli Erizo, Cadalo, detto clericus, e Giovanni acquistarono un terreno in Vicenza, nel luogo chiamato Veriesago. È questo il primo documento che ricorda Cadalo, che allora era semplicemente chierico. Mentre egli è detto subdiaconus in un atto di compera fatta dai tre fratelli il 3 settembre 1030. Invece in altro atto del 31 luglio 1034 lo si dice diaconus. Secondo alcuni cronisti, Cadalo fu nominato nell’anno 1036 cancelliere di Corrado II il Salico. I tre fratelli vissero insieme e unitamente acquistarono beni per diverso tempo. L’11 aprile 1041 fu Cadalo solo (Catalus diaconus atque vicedomino sancte veronensis ecclesie) che acquistò un terreno nei confini di Verona, nella località di Bonadico. La notizia che Cadalo fu anche vicedomino della Chiesa veronese è assai importante perché rivela che egli fu tenuto in molta considerazione dal vescovo di Verona, se lo scelse a così importante ufficio, che di fatto lo qualificava amministratore dei beni della Chiesa veronese. Il 24 maggio 1045 Cadalo da solo acquistò un terreno in comitatu vicentino in loco et fundo Leonicus in loco qui dicitur Paderno. In questo documento egli non è più diaconus bensì il domnus Kadalus nobilissimus episcopus sanctarum parmeum ecclesie et filius bone memorie ingoni de loco sablone. Che Cadalo nascesse in Verona è sicuro. L’anno di nascita si può approssimativamente ricavare dalla sua promozione agli ordini sacri. Stabilendo l’antica disciplina come età legittima per salire al suddiaconato il ventesimo anno, per il diaconato il venticinquesimo anno e il trentesimo anno per il presbiterato, si può allora ritenere che Cadalo (si noti che era nel settembre del 1030 suddiacono) sia nato tra il 1009 e 1010, e a 35 o a 36 anni fosse promosso al vescovado di Parma. La figura di Cadalo è stata variamente presentata nelle cronache del suo tempo secondo gli scrittori che parteggiarono per l’Imperatore o per il Papa, e di conseguenza per papa Alessandro II o per Cadalo. Cadalo, dunque, ancora giovane, nobile, di ricca famiglia, venne innalzato alla dignità episcopale per le molte aderenze che egli poteva contare, ma senza ombra di simonia, mentre molti storici hanno scritto il contrario. La prova è data dallo stesso Pier Damiani, il quale non attaccò mai l’elezione di Cadalo. Che Pier Damiani poi accusasse di simonia Cadalo, quando nel concilio di Basilea fu innalzato al pontificato è vero, ma nulla disse mai che infirmasse la sua elezione a vescovo di Parma. Cadalo, appena creato vescovo di Parma, confermò le donazioni fatte dai suoi antecessori al monastero di San Paolo. L’atto è quanto mai importante perché enumera le singole proprietà e dà notizie preziose, ricordando che il monastero fu cominciato da Sigefredo, viro per omnia liberalissimo, da Enrico deinde ampliatum e da Ugo in aliquantis adaugtum. Cadalo si sottoscrisse così: Cadalus episcopus in hac constitucione a se facta subscripsi. Cadalo volle mostrare la sua generosità verso lo stesso monastero di San Paolo, donando l’anno dopo (1046) alcuni beni, tra cui la corte di Neviano, e riconfermò le donazioni fatte dai suoi predecessori. In questo modo si firmò il Cadalo: Ego Cadalus Dei gratia in hoc decreto a me facto subscripsi. Ma dove appare maggiore la sua generosità è nella sua costruzione del monastero e della chiesa di San Giorgio in Braida, fuori e presso le mura di Verona. Cadalo, sin dal 23 aprile 1046, ottenne dal vescovo Walterio di Verona una permuta di terreni: egli cedette vasti terreni nel territorio veronese in valle largazeria ed in valle treminiatense, ricevendo in cambio l’area muris circumdat, juris ipsius episcopi sancte veronensis ecclesie que est posita risis non longe urbium Veronense justo fluvio athexis ubi dicitur prato donico. È questo il terreno sul quale Cadalo intendeva edificare il monastero di San Giorgio, detto perciò in Braida. Infatti il giorno dopo, 24 aprile, Cadalo donò tutti i suoi beni posseduti per successionem et hereditatem a quondam genitore et genitrice et fratribus meis que esse videntur in comitatu Verone atque in comitatu Vicentino per la erezione e dotazione del monastero di San Giorgio che doveva sorgere nella località detta prato donico (forse per dominico). Altri ne aggiunse a lui pervenuti dalla moglie di suo fratello Erizo, la quale fu di illustre prosapia, beni che erano posti in Verona et de foris. Una tale donazione venne poi confermata il 13 luglio 1052 da Enrico III, il quale anzi prese sotto la sua protezione il monastero da Cadalo nunc edificatur et suis rebus ditatur. Cadalo, che reclamò varie terre in Vicenza da Anselmo, messo dell’imperatore Enrico, ne ottenne l’investitura con placito a suo favore dato il 12 novembre 1046 in castro Sancti Domnini per datam licentiam Kadoli episcopi. Pochi giorni dopo, il 21 novembre, Teutemario, messo regio, confermò al Capitolo di Parma i diritti che aveva sulla corte di Palasone, sul castello di San Secondo e su altri beni posti al Pizzo, che Oddone da Cornazzano teneva in nome del Vescovo. Cadalo però confessò lealmente, dopo aver avuto le informazioni richieste, di non avere alcuna certezza di poter dare egli l’investitura. E così fu rivendicato al Capitolo ogni suo diritto. Intanto aveva cessato di vivere Liuda, prima badessa di San Paolo, e Cadalo allora privilegiò a favore della nuova eletta, Imilia, il monastero, confermando non solo i beni posseduti ma donando anche quattro tavole di terra presso il castello di Giarola e una pezza di terra a Rivola di Colorno. Intanto Enrico III, senza opposizione alcuna e anzi accolto con favore unanime, scese in Italia e, fermatosi a Pavia, colà radunò un sinodo il 25 ottobre 1046, al quale intervenne, con molti altri, anche Cadalo, che sottoscrisse gli atti ivi trattati. Le multae res che furono allora discusse andarono perdute. Si conosce soltanto una relazione circa la preminenza della Chiesa veronese in confronto delle altre dipendenti dal Patriarca di Aquileia, con la quale si volle dimostrare che, secondo un decreto conciliare, spettava al Vescovo di Verona, rispetto agli altri suffraganei, di sedere al posto d’onore alla destra del Patriarca. Enrico, giunto a Sutri poco prima di Natale, raccolse un concilio di molti vescovi e, esaminata la causa dei tre pseudopapi simoniaci, giudicò nulla e insussistente la loro elezione. In Roma affrettò la scelta di un legittimo papa, che fu Clemente II, consacrato la festa di Natale, e dal quale poi lo stesso giorno Enrico fu incoronato imperatore. Quindi Enrico si incamminò alla volta della Germania. Giunto a Mantova, accolse il 1° maggio 1047 le preghiere di Cadalo e gli confermò la signoria della città e del contado parmense, come a suo tempo l’aveva concessa l’imperatore Corrado al vescovo Ugo, suo antecessore. Questo privilegio mostra, dice l’Affò, sempre più certo e continuo il dominio dei vescovi di Parma sulla città e sul contado, che altri storici avevano creduto fosse invece passato al marchese Bonifacio. Tra i due comunque correva buona amicizia: infatti Bonifacio, alla petizione di Cadalo, confermò intorno al 1048 il Monastero di Pistoia, con tutte le sue appartenenze, all’antico Monastero di San Giovanni Evangelista in Parma. Gli atti del Sinodo romano del 1049 andarono perduti. Rimane tuttavia la Bolla intorno al primato della Chiesa di Treviri, che Cadalo sottoscrisse. Il marchese Bonifacio tenne placiti a Spilamberto, e là, in tale occasione, si portò il vescovo Cadalo con il suo avvocato Gerardo per sostenere il diritto che aveva la sua Chiesa sulla metà della corte, del castello e della cappella di Sant’Eufemia in Modena. Il placito in suo favore fu dato il 18 giugno 1051. Nel febbraio del 1054 Cadalo si trovò presente al placito dato dall’imperatore Enrico per il possesso di due pezze di terra a favore del vescovo Ubaldo di Cremona contro la Badessa di Santa Maria di Pavia. Il 9 febbraio 1055 i messi imperiali, presente Cadalo, tennero poi un placito a favore del Capitolo della Cattedrale di Parma contro Oddone da Cornazzano e Obizzo del Pizzo per aver usurpato il castello e le cappelle di Palasone e del Pizzo. Nel 1055 l’imperatore Enrico dalla Lombardia passò in Toscana, accompagnato dai suoi messi e da Cadalo. Andò a incontrarlo Vittore II, da poco innalzato al pontificato. Il nuovo Papa a Firenze tenne poi un concilio contro gli alienatori delle cose ecclesiastiche e contro i simoniaci. Cadalo, che accompagnava l’imperatore Enrico, fu presente a un placito dato in Lucca il 15 giugno e forse fu partecipe della pace donata all’Italia. Il Monarca, partito dall’Italia verso la fine dell’anno, dopo poco cessò di vivere (5 ottobre 1056). Cadalo fece costruire o ampliare, in buona parte a proprie spese, il Vescovado, munendolo di torri, e l’anno 1056 diede il via ai lavori per la ricostruzione del Duomo di Parma (il vecchio edificio fu definitivamente abbattuto tra il 1038 e il 1055). Cadalo il 1° aprile 1060 diede a livello in Poviglio certi beni della sua Chiesa a Guido, giudice e suo avvocato, a Grimaldo e a Maginfredo. È da ricordare la donazione fatta alla Chiesa parmense, ubi nunc domnus Cadalus preordinatus esse videtur, il 15 maggio 1060, della cappella di San Pietro in Vidiana da una famiglia distinta e ricca che ne era proprietaria. Sopraggiunse poi la morte di papa Nicolò II, il 27 luglio 1061. Siccome, per decreto dello stesso Nicolò II, agli imperatori era riservato il diritto di confermare l’elezione fatta dai cardinali, fu inviato in Germania il cardinale Stefano, affinché ottenesse il regio placito e la libertà di procedere all’elezione del Papa. Ma non fu ascoltato. Allora i cardinali, per evitare lo scisma, si affrettarono, dietro consiglio di Ildebrando di Soana, a eleggere il nuovo capo della Chiesa (30 settembre) nella persona di Anselmo, vescovo di Lucca, che prese il nome di Alessandro II. All’elezione si opposero conti di Tuscolo e di Galeria, il cardinale Ugone e gli ecclesiastici dell’alta Italia che avversavano ogni riforma religiosa. A questi si aggiunse la Corte di Germania. Le fazioni strinsero insieme alleanza, rinforzate dai chierici concubinari e simoniaci e dalla nobiltà italiana, e inviarono al giovane re Enrico le insegne del patriziato romano, domandando un nuovo Papa coll’appoggio di Giberto Giberti, parmigiano, cancelliere imperiale per l’Italia, e del vescovo Enrico d’Absburgo. La Corte di Germania si accordò con i deputati romani e lombardi e promosse al pontificato nel congresso di Basilea tenutosi nell’ottobre del 1061, Cadalo, a cui il Re diede l’investitura (28 ottobre). Si legge nella Vita di Alessandro II del cardinale Aragonese: Lombardorum Episcopi tamquam simoniaci et incontinentes, auctore Guiberto Parmensi, convenerunt in unum Postposito Dei timore Cadalum Parmensem in Antipapam sibi procaciter elegerunt virum siquidem non minus vitiis quam opibus locupletem. Suoi principali elettori, oltre il Giberti, furono Dionigi, vescovo di Piacenza, Gregorio, vescovo di Vercelli, e il conte Gerardo, signore di Galeria, già scomunicato da Nicolò II. Cadalo, secondo quanto afferma Bertoldo di Costanza, volle chiamarsi Onorio II, benché non facesse mai uso di tal nome né fosse mai, osserva il Muratori, ordinato pontefice. Infatti Benzone, vescovo di Alba, che fu suo cancelliere e suo grande partigiano, lo chiama col nome di Cadalo o col semplice titolo di Eletto. Nelle stesse carte di Cadalo che ancora rimangono, egli è appellato comunemente Eletto o Eletto apostolico. Alla notizia dell’elezione di Cadalo i Parmigiani si dichiararono a lui favorevoli e, si può dire, quasi tutte le terre di Lombardia si unirono nel comune tripudio. Se vi fu taluno contrario, fu scacciato o subito riparò in esilio volontario, come avvenne del beato Andrea, del conte Ardoino, che si ritirò a Luzzara, terra della contessa Matilde, e di Eunurardo, signore del castello di Antesica, che si portò in Reggio. Pier Damiani scrisse a Cadalo una lettera durissima, piena di ammonizioni, di rimproveri e di minacce, e tra i castighi divini gli predisse la morte nel primo anno del suo pontificato. Nel documento, fatta la storia della sua elezione, lo accusa di ambizione per aver voluto raggiungere l’inaccessibile fastigio del pontificato romano e d’essere la cagione di guerre, di distruzione e di rovine. Perciò, soggiunge, ti chiami Cadalo, e cioè rovina del popolo cristiano. Più innanzi prosegue: i vescovi di Piacenza e di Vercelli, tuoi elettori, sono più capaci di disputare sulle donne che perspicaci a eleggere il Papa. Chi ti ha spinto a quest’infamia è figlio di Caifa, è primogenito di Satana, è figlio dell’anticristo. Guardati, o fratello, come un nemico di S. Pietro. Ricordati poi che migliaia di uomini raccontano certi tuoi fatti che fino ad ora erano sconosciuti, come il commercio delle prebende, e della tua come d’altre chiese, aliaque longe turpiora. È da pregarsi Iddio che ti riconduca allo spirito dell’umiltà e, sopiti gli errori, ritorni la chiesa di Dio alla pace e alla concordia. Ascolta con attenzione quel che ora ti dico: Fumea vita volat, mors improvisa propinquat Imminet expleti praepes tibi terminus aevi Non ego te fallo, coepto morieris in anno. Si sollecitarono intanto a unirsi tra loro gli scismatici e Cadalo, mentre Benzone e il Giberti, cancelliere del re, protetti dall’imperatrice Agnese, si portarono a Roma per guadagnare l’animo del popolo. Cadalo invece si fermò, tornando dalla Germania, a Parma per arruolare milizie sotto il comando del conte Pepone, nipote di Farolfo. Tutta la nobiltà parmense in tale occasione comparve in assetto di guerra: praeelectis turmis de tota Nobilitate Parmensium, scrive Benzone, movere praecepit exercitum. Cadalo si portò dapprima a Bologna, dove aspettò al completo l’esercito, indi si mosse e nell’aprile del 1062 fu a Roma. Incontratosi con Benzone e i senatori di Roma, che gli promisero aiuto, si avanzò fin sotto le mura della città, dove attaccò risolutamente le soldatesche del Papa, la gran parte delle quali si dette precipitosamente alla fuga (14 aprile 1062). Dopo la vittoria delle armi scismatiche, il duca Goffredo di Toscana si portò al campo di Cadalo. Benzone, partecipe dei colloqui, narra che Goffredo il Barbuto, marchese di Toscana, vi andò in pace per esortare Cadalo a sospendere le ostilità e rimettere il giudizio e la decisione del conflitto all’Imperatrice e al Re. Appena fu di ritorno in Parma, fu cura di Cadalo tenere un conciliabolo per far approvare la propria elezione dai vescovi della sua fazione e dal suo clero. Si sa di questo sinodo dallo stesso Benzone che vi si trovò presente. Nella donazione fatta il 29 luglio 1062 al vescovado parmense di alcune terre poste a Sala modenese da Tigrimo, figlio di Alberico, di quel contado, è detto: Episcopio sancte Parmensis ecclesie Kadalus Episcopus et Electus Apostolicus preordinatus esse videtur. Poco dopo Pier Damiani scrisse a Cadalo una seconda lettera, ove è detto: Scripsi tibi nuper antequam Romam cum satellitibus Satanae fuisses aggressus. Ancora il Damiani lo accusa con severità, minacciando, se non fosse rientrato in se stesso, i fulmini della divina vendetta. Papa Alessandro inviò Pier Damiani, come suo legato, in Francia e in Germania, ove convocò un concilio al quale intervennero anche alcuni vescovi dall’Italia. Fu allora confermato il pontificato ad Alessandro (27 ottobre). Il Damiani si giovò di un simile avvenimento per ribattere a coloro che avevano deriso il suo vaticinio, spiegando che, se Cadalo non era morto materialmente, aveva però perduto l’onore del pontificato entro l’anno, termine fissato nella sua lettera. Intanto l’opposta fazione spedì ambasciatori all’imperatrice Agnese al fine di sostenere e favorire Cadalo e, ottenutone l’appoggio, scrive Benzone, mandarono legati a Parma per sollecitare Cadalo a ritornare in Roma. Questi, appena riunite forze militari sufficienti, preparò a muoversi alla volta di Roma, ma non partì subito, temendo le insidie del duca Goffredo, nonostante quest’ultimo gli avesse promesso di sostenerlo. Alla fine però lasciò Parma e, giunto sotto le mura di Roma, occupò Castel Sant’Angelo, facendo frequenti incursioni in città per intimorire papa Alessandro. Cadalo, inizialmente vittorioso, fu presto alla mercé di Cencio, già suo fautore, e dovette riscattarsi con l’oro (primavera 1064). Scrive Benzone: Qui praecingens se secundum verba Augustae redire disponit. Cornefredus in montibus et sylvis insidias ponit, et ideo per aliquod temporis spacium est iter ejus remoratum. Ciò accadde nel maggio del 1063. Nel frattempo al Giberti fu tolta la carica di cancelliere e in sua vece fu posto il vescovo di Vercelli, pentitosi di aver seguito Cadalo, e anche il re Enrico fu sottratto all’influenza materna dall’intervento di Annone, arcivescovo di Colonia che avocò a sé la reggenza per l’Imperatore. Annone convocò il parlamento per la fine di ottobre e affidò l’istruttoria a suo nipote, il vescovo Burcardo di Halberstadt. Questi dichiarò del tutto regolare l’elezione di Alessandro II. Immediatamente il Papa, venuto a conoscenza dei termini dell’istruttoria, senza aspettare la sentenza del parlamento, ringraziò gli artefici del riconoscimento, conferendo a Burcardo l’arcivescovado di Pallium e ad Annone l’arcicancellierato della Chiesa di Roma. Nell’aprile del 1603 Alessandro II si insediò in Roma, scortatovi dalle truppe del duca Goffredo, e convocò un concilio in Laterano: in esso lanciò la scomunica contro Cadalo e rinnovò i canoni contro la simonia e il matrimonio del clero. Anche l’Arcivescovo di Colonia, Annone, chiamato salus Imperii et Ecclesiae, desideroso di vedere decisa la controversia e riunita la Chiesa sotto un solo legittimo pastore, radunò un sinodo in Germania, ove fu stabilito che si tenesse un concilio da celebrarsi in Italia e porre fine così allo scisma. Annone inviò i suoi legati sia ad Alessandro che a Cadalo. A Cadalo fu intimato di ritornare a Parma, perché fosse pronto a recarsi a Mantova appena vi fosse chiamato. Cadalo lasciò allora Castel Sant’Angelo e ritornò rapidamente a Parma passando da Berceto per la via di monte Bardone, come racconta il cardinale di Aragona. Ma non si dette per vinto e, riunito un concilio a Parma, lanciò a sua volta la scomunica contro Alessandro II. Inoltre, ricevuti sostanziosi aiuti finanziari da una parte della nobiltà romana, riuscì a riorganizzare un piccolo esercito, calare nuovamente su Roma e impossessarsi ancora una volta della città. Alessandro II, difeso dalle truppe normanne, si asserragliò in Laterano. Cadalo sperò fortemente in un aiuto da parte della Corte germanica, ciò che era impossibile, considerando la posizione ormai chiaramente a lui ostile di Annone e di Burcardo. Pier Damiani, prima che si convocasse il nuovo concilio, scrisse la famosa Disceptatio synodalis inter regis advocatum et romanae Ecclesiae defensorem: in essa il difensore della chiesa romana e l’avvocato di re Enrico disputano intorno alla consuetudine per cui il Pontefice non poteva eleggersi se prima non era confermato dall’Imperatore. Era stato convenuto, essendo Enrico IV fanciullo e sotto tutela, che il Papa fosse eletto senza il suo consenso, ciò che dai legati del Re non fu mai accettato. In questa disputa Pier Diamiani confuta tutti i regionamenti addotti, così che a poco a poco il regio avvocato è costretto ad ammettere l’opposta sentenza. Si finge che la dissertazione oggettiva sia tenuta davanti ai vescovi convenuti al sinodo e all’infuori di ogni questione personale: Taceat Parma cum suo heresiarcha; advocatio tantum regia et Romana iudicem obloquatur Ecclesia. Mantova fu la città designata ove tenere il concilio, quale città più sicura (ne erano signori i da Canossa). Il concilio si aprì il 31 maggio 1064. Vi intervennero papa Alessandro II, l’arcivescovo di Colonia e numerosissimi vescovi, abati e i signori di grande potenza. Anche Cadalo vi fu invitato ma, ritenendo disperata la sua posizione e lacerato dai dubbi, non si mosse da Parma, e fu dunque ritenuto contumace. Durante il concilio papa Alessandro II provò in modo indubbio che la sua elezione era stata legittima e immune da simonia: già nella prima sessione i convenuti, unanimi, lo acclamarono vero e unico pontefice, cui si doveva prestare ubbidienza. La notizia fu subito portata a Parma, scatenando furore e rabbia. Cadalo, raccolta la sua gente, si mosse alla volta di Mantova. L’esercito parmigiano entrò in città, alzando grida e tumulto contro i padri del concilio, senza però ottenere alcun risultato pratico. Il 20 aprile 1068 in Parma domus Cadalus presul et presens atque apostolicus electus tenne un placito circa alcune terre donate al Capitolo della Cattedrale di Parma dal giudice Anselmo, alla presenza di Ingenzone, suo viceconte, e dei giudici del sacro palazzo. Il 5 aprile 1071 è fatto cenno di Cadalo in una donazione fatta alla canonica parmense da Guido, prete officiale della chiesa di Santa Anastasia in Parma. Ostinato pur sempre nella sua ambizione di credersi papa sino all’ultimo respiro, come lasciò scritto Lamberto Scafraburgense, Cadalo continuò a inviare ordini, non ubbidito, fuori di Parma, sostenuto unicamente dai suoi vassalli (Milano e Ravenna continuarono a rimanergli fedeli). Cadalo morì impenitente, deriso dagli uni (derisus valde moritur cum crimine Parmae) e celebrato dai suoi seguaci col seguente epitaffio, riportato dal codice dei canoni di Burcardo: Papam Roma tuum Cadalum tibi rite statutum Parma dolens tumulo condidit exiguo. Quo Pastore potens reparares orbis honores, Culmen et excelsae Sedis Apostolicae. Libera Normannis foret Apula terra fugandis, Et Calaber liber, qui modo servus inest. Tu Latii sedem caput orbis unde vigeres, Frenans effrenes, colla superba premens. Sed nimis ausa sibi temeraria Roma retenti Te superans sortem tecum tibi vinceret orbem, Si tibi vita comes tune diuturna foret.
FONTI E BIBL.: Saba-Castiglioni, I, 1936, 538 ss.; W. Wattenbach, Kadaloo den Kanzler Conrad’s II und Heinrich III für Italien, in Giornale Storico di Schmidt, Berlin, 1847; D. Munerati, Sulle origini e sulla giovinezza dell’antipapa Cadalo vescovo di Parma (estratto da Rivista di Scienze Storiche 1906); F. Schneider, Aus San Giorgio in Braida zu Verona, in Papsttum und Kaisertum. Forschungen zue politik Geschichte und Geisteskultur des Mittelat. Paul Kehr zum 65 Geburstag dargebracht, Munchen, 1926, 168-184; F. Hernberhold, Die Bezieh des Cadalus von Parma (Gegenpapst Honorius II) zu Deutschland, in Historisches Jarbuch 54 1934, 84-104; F. Herberhold, Die Angriffe des Cadalus von Parma (Gegenpapst Honorius II) auf Rom in den Jahren 1062 und 1063, in Studi Gregoriani II 1947, 477-503; F. Baix, Cadalous, in Dict. d’Histoire et de Géographie ecclés., XI, Parigi, 1949, 53-99; I. Dall’Aglio, I vescovi della diocesi di Parma: il presule Cadalo, in Gazzetta di Parma 30 gennaio 1960 e 6 febbraio 1960; H.G. Krause, Das Papstwaldekret von 1059 und seine rolle im Investiturstreit, in Studi Gregoriani VII 1960 (in particolare è da vedersi il capitolo Die Rolle des PWD in Schisma des Cadalus; di Cadalo si parla in varie altre parti dello stesso volume: 65, 109, 114, 124, 149-152, 155, 196, 209, 212, 250); G. Capelli, Cadalo, antipapa guerriero, ideatore della cattedrale, in Parma Economica 1 1970, 35-44; L.L. Ghirardini, L’antipapa Cadalo, Parma, 1984; N. Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 120-130; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237; A. Fliche-V. Martin, Hist. de l’Eglise, VIII, 22 s.; R. Morghen, Gregorio VII, Torino, 1943, 110 s.; I. Daniele, in Enciclopedia Cattolica, III, 1949, 267-268; Dizionario Ecclesiastico, I, 1953, 458; Storia dei Papi, 2, 1963, 38; Parma Economica 1 1970, 41-44; Dizionario storico-politico, 1971, 236; Breve storia dei Papi, 1979, 125; C. Rendina, I Papi, 1983, 384; E. Dall’Olio, Papi e antipapi, 1988, 9-14; L. Alfieri, Parma, la vita e gli amori, 1993, 11-12.

CADALOO, vedi CADALO

CADARIO VALENTINO 
Parma-Dolje 16 agosto 1915
Caporale Maggiore del Reggimento Alpini, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: guidava con calma e coraggio il suo plotone contro i reticolati nemici e le trincee nemiche, incitando ed incoraggiando i suoi soldati anche dopo essere stato mortalmente ferito.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale, 1916, Dispensa 54a, 2797; Decorati al valore, 1964, 79.

CADERINI GIUSEPPE Parma 20 marzo 1778-Parma 5 febbraio 1844
Entrò giovanissimo quale precettore presso la famiglia Linati ed ebbe quale allievo quel Claudio Linati che, temperamento di artista e di soldato, soffrì l’esilio e morì in Messico. Ben presto fu preso a ben volere dal conte Filippo, padre di Claudio, che lo aiutò a completare gli studi dapprima letterari e filosofici, e più tardi giuridici, nei quali ottenne la laurea il 5 agosto 1799. Compì gli anni di tirocinio nello studio dell’avvocato Francesco Cocchi, cattedratico nell’Università di Parma e magistrato assurto poi ad alte cariche dello Stato. Sotto tale maestro il Caderini si perfezionò nel diritto processuale e, giunto il periodo di dominazione francese, seppe familiarizzarsi col nuovo codice napoleonico. Il primo passo professionale lo compì nel 1808, quando fu iscritto nell’elenco degli avvocati. Come avvocato seppe guadagnarsi la stima generale e diede prova di un’eloquenza vivace e persuasiva. Il successivo balzo, cui seguirono progressivamente altri riconoscimenti, avvenne il 1° giugno 1811, quando fu nominato dal Bonaparte sostituto procuratore imperiale nel tribunale di Parma. Alla caduta di Napoleone Bonaparte e all’avvento di Maria Luigia d’Austria, il Caderini ebbe l’incarico di sostituto procuratore presso la Corte d’appello (giugno 1814) e subito dopo (luglio 1814) quello di giudice del Tribunale civile e criminale di Parma. Da Maria Luigia fu nominato nel 1816 vice procuratore ducale e nel 1820 Procuratore ducale, ottenendo la particolare soddisfazione della Sovrana pel fermo e delicato contegno con che egli aveva adoperato. Nel 1819 entrò nella commissione incaricata dell’ordinamento del Codice Civile, occupandosi anche degli altri codici e principalmente di quelli penale e di procedura criminale. Le distintissime sue fatiche in questa parte delle nostre leggi sono palesi e benemerite. Sbandita la berlina, il marchio, la confisca generale, l’esacerbazione della pena di morte ed altro. Pei segnalati meriti suoi, la munificente Sovrana nel 1822 lo creò cavaliere Costantiniano (Niccolosi). I moti del 1821 lo colsero nelle funzioni di procuratore ducale: insieme al giudice Carlo Rapaccioli, fu proprio il Caderini a istruire il processo contro Jacopo Sanvitale, Ferdinando Maestri e altri sedici carbonari. Pur zelanti e severi, essi però si astennero dai tristi metodi inquisitori usati altrove (così commentò l’esito del procedimento Adelvaldo Credali nel suo volume Idee e uomini del Risorgimento, Parma, 1964). La mitezza del Caderini favorì del resto la politica di Maria Luigia e del Neipperg, tesa a non inasprire i rapporti con i sudditi parmensi, a costo di prendere nette distanze e subire aspre rimostranze dai sovrani degli altri stati italiani. Il 15 marzo 1824 fu nominato consigliere nel tribunale di appello. Nel 1829 salì alla carica di Procuratore ducale presso la Corte d’appello, per poi essere nominato nel gennaio del 1831 Direttore della sezione della giustizia e della polizia generale. Lo scoppio dei moti del 1831 vide il Caderini tra i frequentatori del salotto di casa Linati, dominato dalla figura ieratica del vecchio Filippo, che divenne capo del governo provvisorio. La fuga della Duchessa da un lato e l’amicizia del conte dall’altro dovettero mettere non poco in imbarazzo e forse in crisi di coscienza il Caderini: tanto più che al ritorno di Maria Luigia fu nominato Presidente dell’Interno (16 marzo 1831) e nell’agosto dello stesso anno gli venne affidato l’incarico di Presidente del Tribunale supremo di revisione, incaricato tra l’altro di istruire il processo contro i membri dell’effimero governo rivoluzionario. Le circostanze delle sue dimissioni, date quasi immediatamente (12 agosto 1831), andrebbero meglio chiarite alla luce proprio di quell’antica amicizia col Linati. Ricoprì inoltre gli incarichi di Consigliere intimo della Sovrana (1838) e di Direttore della sezione del contenzioso del Consiglio di Stato ordinario. Il processo contro i promotori dell’insurrezione del 1831 si risolse in salomoniche assoluzioni che ebbero il merito di salvare da pesanti condanne individui il cui unico torto fu quello di pensare a un’Italia più grande e unita. Il guanto di velluto ebbe però anche il risultato di narcotizzare le idee libertarie e di riportare la popolarità della Duchessa a un grado forse mai raggiunto da alcun principe dello Stato parmense. A questo atteggiamento liberale e reazionario a un tempo non fu estraneo il Caderini, che continuò la sua carriera nella magistratura ducale, collezionando commende e croci dell’Ordine Costantiniano, quello più caro a Maria Luigia: il 7 dicembre 1835 fu Commendatore e nel 1842 Senatore di Gran Croce dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio. Fu inoltre Presidente del Gabinetto letterario di Parma, fondato il 13 gennaio 1815. Scrisse numerose opere di filosofia e di legge. Il Caderini fu un legittimista, che credeva nella legge e negli uomini che dovevano rispettarla, come in quelli cui spettava farla osservare, convinto che il progresso civile procede lentamente e non fa salti, lento e grave come l’incedere delle persone grandi di statura morale prima ancora che fisica. Credette solo alla forza della legge e del potere costituito, pur riguardando con indulgente umanità il fenomeno rivoluzionario del suo tempo.
FONTI E BIBL.: G.B. Niccolosi, Elogio del presidente Giuseppe Caderini, Parma, 1844; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 85-87; E. Michel, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 2, 1932, 551; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 298; U. Delsante, in Al Pont ad Mez 1 1978, 75; Studi Parmensi XXXI 1982, 237-238; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 68.

CADET, vedi BIANCHI GASPARE

CADONICA Calestano 1800
Falegname non meglio identificato che nell’anno 1800 realizzò il pulpito nella chiesa parrocchiale di Calestano.
FONTI E BIBL.: Santangelo, 1934, 198; Il mobile a Parma, 1983, 262.

CADONICI POMPEO Parma 1690/1691

Sacerdote, scrisse diversi lavori teatrali, composti e stampati negli anni 1690 e 1691: S. Cecilia, opera spirituale, il Traditore punito, opera tragica, Dell’innocenza è protettore il cielo, opera tragicomica, il Tiranno fulminato e la pietà trionfante, opera tragica. Tutte in prosa e stampate in Bologna.
FONTI E BIBL.: L. Allacci, Drammaturgia, 1755; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 272; E. Bocchia, La drammatica a Parma, 1913, 127.

CAERELLIA VENERIA 
Parma IV/V secolo d.C.
Fu probabilmente liberta, co<n>iunx, morta a quindici anni, dieci mesi e venti giorni di età, di St. Cassius Pantherisc(us), con il quale era vissuta tre anni, quattro mesi e due giorni, e che le pose un’epigrafe, poi perduta. La gens Caerellia, abbastanza nota sia nel periodo repubblicano che in quello imperiale, ma poco diffusa nell’Italia settentrionale, è documentata a Parma in un’altra epigrafe frammentaria, e in alcuni casi nella regio VIII, rara oltre il Po. Veneria è cognomen teoforico, documentato in Cisalpina. Fu nome anche di due famose città, una della Spagna e una della Numidia.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 65.

 CAERELLIUS QUINTUS PRIMUS 
Parma V secolo d.C.Di condizione incerta, dedicatario di una piccola stele funeraria presumibilmente databile, per le caratteristiche paleografiche, a età tardo-imperiale, di cui rimane la parte superiore e, probabilmente, la parte inferiore destra, ritrovata in età e luogo non documentati e conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Parma. Il nomen Caerellius, abbastanza noto e diffuso sia nel periodo repubblicano che in quello imperiale, non documentato tuttavia in Cisalpina oltre il Po, è presente a Parma in un’altra testimonianza epigrafica, e frequente nella Tabula Veleiate e in epigrafi di Veleia e Piacenza. Primus è cognomen comunissimo, presente ovunque.

FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 66.

CAFFARRA FRANCESCO
Casale di Mezzani 28 aprile 1920-Ghiare di Berceto 8 maggio 1988
Si laureò in medicina nel 1947. Fu per molti anni medico condotto a Ghiare di Berceto. Scrisse una serie di raccolte poetiche, apparse in un lungo arco di tempo: A medio livello (1957), Vicende dei giorni (1962), Occasioni (1964), Bengalini (1972), Lo stoppino (1977), Dalla Parmetta al Manubiola (1983). Più il suo naturale senso di inappartenenza lo allontanava da certi furori dei tempi moderni, più in lui cresceva la voce della poesia: Spruzzato di coriandoli, suono una trombetta di latta, ostento il mio canto, come i galletti. Più tardi scrisse: Io sono il martin pescatore, del piccolo rivo corrente, nei campi in attesa per ore, d’un pesce che guizza? di niente. Il Caffarra capì a fondo quel suo crepuscolarismo delicato, addirittura a volte infantile, così disteso tra Govoni, Corazzini e Moretti, e pur mai disperato, e vi aggiunse la speranza, duramente e faticosamente alimentata. E il canto passa così sopra il suo cielo di memorie e di emozioni, divenendo a tratti soltanto una scia luminosa, a tratti invece una bava di lumaca, il segno di una direzione, un invito, una riflessione, un modo di essere. Il Caffarra amò molto questa sua condizione umana e mirabilmente e ostinatamente la descrisse e scolpì in tutti i suoi versi, in quella specie cioè di diario alla giornata che appuntò senza iattanza sui minimi particolari di un’esistenza comune, attiva, attenta, ma non certo eccezionale. Dalla Parmetta al Manubiola è la raccolta che suggella questo esito e lo inscrive nel sentimento più pulito e connettivamente più efficace. In quelle liriche, in quelle brevi tramature di sogni e di visioni, di ricordi e di descrizioni il Caffarra condensò il passato, il presente e, se è possibile, il futuro di una invidiabile cognizione del dolore, sentita come un bene perduto che il destino ti spinge a ricercare incessantemente fino a quando esso non si presenti sotto forma di antiche voci e sostanze. Tutto ritrova una sua dimensione e una sua giustificazione, tutto si addolcisce e diviene familiare non soltanto come un pensiero d’amore, che sarebbe infantile e inutilmente consolatorio, ma come una ragione di vita, di quelle che fan pensare alla filosofia dell’essere e della storia. Alcune liriche uscite dalla penna del Caffarra entrarono in antologie scolastiche e altre furono tradotte in esametri da un latinista tedesco.
FONTI E BIBL.: Una analisi dell’opera poetica del Caffarra è in Per la Val Baganza 1981, 142-143 (Giacomo Zarotti, Sulle strade dove passa la poesia: anteprima di alcune liriche poi confluite in Dalla Parmetta al Manubiola) e in Per la Val Baganza 1985, 108-109. Ulteriore bibliografia su di lui, dopo quella segnata nei numeri di Per la Val Baganza: Pietro Bonardi, Torna Caffarra con briciole di vita, in Vita Nuova 17 marzo 1984, 8; L. Leoncini, Poesia del medico-poeta in un’antologia per le medie, in Gazzetta di Parma 29 novembre 1986, 16. In occasione della sua morte: sulla Gazzetta di Parma: Morto a Ghiare il medico poeta, 9 maggio 1988, 21; Il commosso addio al dottor Caffarra, 11 maggio 1988, 15; G. Marchetti, La poesia di Caffarra, 2 giugno 1988, 16; su Vita Nuova: F. Piazza, Profondo cordoglio per la scomparsa del dott. Francesco Caffarra, 14 maggio 1988, 7. Altre notizie biografiche in Per la Val Baganza 9, 1988, 393-394; Gazzetta di Parma 26 agosto 1998, 17.

 CAGGIATI ANTONIO
Parma 1823/1831
Dal 1823 fu riconosciuto appartenere alla carboneria. Liberale, membro del congresso civico di Parma, contribuì attivamente alla formazione della guardia nazionale della sua città (di cui fu nominato capitano) e fu tra i presenti ai moti del 13 febbraio 1831 a Parma (fu tra i disarmatori della guardia ducale a Porta San Michele).
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, I patrioti parmensi del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi, 1937, 158; F. Ercole, Uomini Politici, 1941, 249-250.

CAGGIATI ETTORE 
Parma 10 gennaio 1816-Dresda post 1849
Secondo il Regli nacque da onesti e agiati negozianti. Studiò con Pietro Torrigiani e, terminato il corso degli studi filosofici, si mise a studiare canto (tenore) con Luigi Tartagnini e passò a perfezionarsi al Conservatorio di Milano con Luigi Mauri. Scritturato nel dicembre 1836, debuttò nella Sonnambula al Teatro San Carlo di Lisbona assieme a Coletti e alla Galvi-Neaus. Dopo Lisbona fu applaudito a Oporto, Cadice, Siviglia, Barcellona, Xeres, Granada, Malaga e Valencia dove fu ammirato per la bellezza della voce e l’ottimo metodo di canto. Tornato dopo vari anni in Italia (1841), cantò a Ravenna, Macerata, Rovigo, Livorno (1845), Verona, Vicenza, Padova (1843), Genova (1843 e 1847), Firenze (1845), Palermo (1846), Udine e Milano, città quest’ultima dove il compositore Giocondo Degola scrisse appositamente per lui un’opera. Fu quindi scritturato in Inghilterra e in Irlanda, per poi calcare le scene anche in Germania. Assieme al baritono Giancarlo Casanova e a Rosina Penco fu il primo a portare a Stoccolma e nell’intera Svezia una compagnia di canto italiana. La prima opera rappresentata fu Cristina di Svezia di Pacini (1849). Dopo cantò anche a Copenaghen e a Cristiania, alternando le opere italiane a quelle tedesche, lingua che il Caggiati conobbe molto bene. Si fermò vari anni in Scandinavia e al termine della carriera si trasferì a Dresda come insegnante di canto. Secondo Bettòli, il Caggiati fu legato da grande amicizia con il direttore d’orchestra Angelo Mariani, che aveva avuto come compagno in diverse rappresentazioni all’estero.
FONTI E BIBL.: Bettoli; F. Regli, Dizionario biografico artisti, 1860, 100-101; C. Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, 3, 1938, 141; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 18 aprile 1982, 3.

CAGGIATI GIUSEPPE Parma prima metà del XVIII secolo
Intagliatore attivo nella prima metà del Settecento
FONTI E BIBL.: L’Arte, 1979, 412; Il Mobile a Parma, 1983, 258.

CAGGIATI LUIGI 
Parma 21 agosto 1813-Salsomaggiore 20 agosto 1885
Nel 1837, appena laureato all’Università di Parma in medicina, venne nominato assistente alla clinica del Tommasini. Nel febbraio del 1843 occupò la cattedra del maestro, come supplente di terapia speciale e clinica medica. A tale incarico egli aggiunse, l’anno dopo, quello dell’insegnamento di Patologia generale. Nel 1845 diventò professore di patologia generale e Direttore del gabinetto di anatomia patologica. Mandato dal governo parmense a perfezionarsi nelle principali università di Germania, trovò che in quel paese gli studi medici poggiavano, come loro base solida e naturale, sulla fisiologia e sull’anatomia normale e patologica. Comprese e verificò la bontà di quel nuovo indirizzo e, ritornato in Parma, sostituì nel suo insegnamento l’indagine analitica e l’esperimento alle affermazioni sistematiche del Tommasini. Se i discepoli l’apprezzarono, i colleghi gli mossero aspre critiche. Le sue nuove teorie poterono meglio esplicarsi nel 1849, quando il Caggiati, in seguito a concorso, fu nominato professore di terapia speciale e di clinica medica. In breve la sua clinica diventò centro operoso di studio. Sull’infermo vennero applicati i diversi mezzi e strumenti dei quali poteva giovarsi la semeiotica fisica. Per la prima volta furono conosciuti e applicati due mezzi importantissimi di diagnosi, la percussione e l’ascoltazione, che egli aveva imparato nelle cliniche tedesche (soprattutto dal professor Skoda), come pure chiarì l’azione reale dei più importanti farmaci. Nel 1854 diventò Protomedico degli Stati Parmensi, titolo che col nuovo ordinamento politico si convertì in quello corrispondente di vice presidente del Consiglio Sanitario Provinciale. Diede alla stampa diversi scritti, oltre a parecchi articoli inseriti in giornali medici e letterari: Discorso premesso alle lezioni di patologia generale (1846), Risposta ai tre punti di controversia proposti pel concorso alla Cattedra di Terapia speciale medica e di clinica medica (1848), Lezione preliminare pel corso di Terapia speciale (1851), Notificazione del Protomedicato pel cholera (1855), Lezione sul cholera (1856), Istruzione intorno alla nuova legge della statistica medica (1857), Preambolo alle lezioni di Terapia speciale medica (1857), Circolare del Protomedico per la sostituzione de’ pesi decimali ai farmaceutici (1858), Traduzione dall’inglese, con note, dell’Operetta del Marklan sulla controversia dell’infiammazione e del salasso (1859), Intorno all’odierna pratica del salasso. Lettera al dottor Nardini (1858), Appunti di una lettera polemica del prof. Venturini (1858), Dell’onestà della scienza. Discorso inaugurale per l’anno scolastico 1860, Lettera del Protomedico al Municipio di Parma (1861), Il cholera di Parma nell’autunno del 1884. Lettera al Prefetto (1884), Rapporto al Congresso medico di Napoli sul quesito se convenga o no di prestabilire una tariffa per le singole prestazioni medico-chirurgiche ai privati (1863), Rapporto sull’ordinamento dell’insegnamento medico in Italia. Quesito proposto al V Congresso dell’Associazione medica italiana (1871). Fu chiamato alla direzione del Sifilicomio centrale (il numero 233 della Gazzetta di Parma 1878 contiene un articolo del Caggiati, il quale si schiera contro quelli che propugnavano l’abolizione del sifilicomio), alla presidenza per un triennio della facoltà medica, al Consiglio Provinciale Scolastico, alla Commissione esecutiva dell’Associazione medica italiana e al Consiglio direttivo dell’Associazione costituzionale e fu ripetutamente eletto al Consiglio Municipale di Parma. Conobbe il latino, il francese, il tedesco e, in modo particolare, l’inglese. Le seguenti due traduzioni dall’inglese (sue opere postume) sono di un certo interesse: Protoplasma, or life, Matter and Mind. Diseases germs, the in supposed Nature (di Lionel S. Beale, professore del Regio Collegio di Londra) e Sartor resartus (romanzo, di Carlyle). Nel 1856 il Caggiati fu nominato Cavaliere di 1a classe dell’Ordine Costantiniano, come premio dell’attività al coraggio, all’abnegazione da lui dimostrati nella grave epidemia colerosa che funestò Parma nel 1855. Nel 1862 ottenne la croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro, e nel 1874 quella della Corona d’Italia. Quando si ritirò dall’insegnamento, gli furono decretate dal Re le insegne di Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Il Caggiati fu ardente sostenitore dell’indipendenza italiana. Fu membro della prima riunione degli scienziati italiani, e, pochi giorni dopo la rivolta del 20 marzo 1848, egli fu tra gli studenti radunati nella sala accademica dell’Ateneo di Parma per comporre una Legione universitaria che si recasse sui campi di battaglia della Lombardia, e li incitò, con parole di fuoco, contro gli stranieri. Carlo di Borbone lo sospese dall’insegnamento per i suoi sentimenti patriottici, e poi gli ridusse di metà lo stipendio dal 1849 al 1853. Nel 1866 egli prestò opera gratuita di medico primario nell’Ospedale militare di Parma, desiderando prestarsi con tutte le sue forze alle supreme necessità della patria.
FONTI E BIBL.: I. Cantù, Italia scientifica, 1844, 97; A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 17-20.

CAGGIATI MARIANNA, vedi GUERRIERI GONZAGA MARIANNA

CAGGIATI ROBERTO -Basilicagoiano 13 dicembre 1901
Di sentimenti liberali e patriottici, accorse volontario nel 1859 per l’indipendenza Italiana. Fu ferito a Solferino nella storica giornata del 24 giugno 1859.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 dicembre 1901, n. 355; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1914, 401.

CAGGIATI SALVATORE 
Parma-Parma 1859
Insegnò all’Università di Parma matematica elementare dal 1854 al 1859.
FONTI E BIBL.: Achivio di Stato di Parma, Filze Università, n. 588; Almanacco di Corte dal 1856 al 1859; F. Rizzi, Professori, 1953, 87.

 CAGNANI MASSIMO
San Secondo 4 giugno 1860-Reggio Emilia 19 gennaio 1951
Frate cappuccino, laico questuante, incolto ma arguto e capace di edificare e ricreare con frasi semplici e rimeggianti. Fece la vestizione a Borgo San Donnino il 29 maggio 1898 e compì la professione solenne nella stessa località il 31 maggio 1899.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 77.

CAGNOLATI IPPOLITO 
Parma 1631/1633
Frate agostiniano, contralto, fu accettato alla Steccata di Parma come musico il 3 ottobre 1631. Si fermò alla Steccata fino al 30 aprile 1632, poi si assentò, ma riapparve nel maggio 1633.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 90.

CAGNOLI CESARE Busseto 1668/1672
Falegname. Fu artefice negli anni 1668-1672 degli scaffali nella Biblioteca del Monte a Busseto, su disegno del pittore Ferdinando Accarini.
FONTI E BIBL.: C. Mingardi, 1973, 194; Il mobile a Parma, 1983, 264.

 CAGNOLI DOMENICO 
Vidalenzo 1789/1793
Falegname. Realizzò nel 1789 l’ancona maggiore e un credenzone nella chiesa parrocchiale di Vidalenzo.
FONTI E BIBL.: A. Aimi, 1981, 7; Il mobile a Parma, 1983, 262.

CAGNOLO, vedi CORREGGIO GIANFRANCESCO

CAGNONI GIOVANNI 
ante 1766-Parma 24 ottobre 1814
Sacerdote, fu insigne professore di musica (Allodi) e compositore di musica da chiesa. Fu cantore alla Cattedrale di Parma dal 30 marzo 1766 al 26 marzo 1769. Nel 1791 fu organista nella Cattedrale di Borgo San Donnino. Fu nominato guardacoro della terza settimana alla Cattedrale di Parma il 7 novembre 1811. Compose: Inno di sant’Ignazio a due tenori con basso continuo, partitura e parti; Magnificat a tre voci per due tenori, basso e basso continuo, partitura e parti; Tantum ergo in Elafa a tre voci, per due tenori, basso e basso numerato, partitura autografa e parti; Inno di san Liborio vescovo in Gesolfaut a tre voci, partitura autografa e parti; Salve Regina a tre voci in G.b per due tenori, basso e basso per organo, partitura e parti; Litanie a tre voci in Cut., parti; Te Deum a tre voci in Befa, dell’anno 1800, partitura e parti; Vexilla a tre voci, con data 10 novembre 1798, partitura autografa e parti d’altra mano; Inno della Santa Spina “Aeterno Rogi gloriae” a tre voci di me D. Gian Cagnoni alli 10 di marzo 1799, partitura autografa e parti; Nunc dimittis a tre voci i Fefaut di me Gian Cagnoni alli 5 febbraio 1800, per due tenori e basso, partitura autografa e parti, Tantum ergo a tre voci in Fefaut, partitura e parti; Responsorii dei Morti, a tre voci, parti; Tantum ergo a tre voci in A.re diesis, parti; Benedictus a tre voci in C. bequadro, partitura e parti; Nunc dimittis a tre voci in Alamire di me D. Gio. Cagnoni alli 2 aprile 1800, partitura autografa e parti; Chirie e Gloria a tre voci in Fefaut, breve partitura autografa e parti; Chirie, Gloria e Credo a tre voci, partitura e parti; Deus tuorum militum, inno a tre voci, partitura e parti; Litanie della Madonna a tre voci in Befaut, di me D. Gio Cagnoni alli 4 novembre 1798, partitura autografa; Si quaeris miracula a tre voci in F.b, per Sant’Antonio da Padova, parti; Responsorii ed Inno per la mattina di Pasqua, del Sig. M.ro D. Gio. Cagnoni, li 11 aprile 1796, partitura autografa e parti; Deus Tuorum militum, inno per un martire di me gian. Cagnoni alli 18 novembre 1798, a tre voci, partitura autografa e parti; Nunc dimittis in G.ut a tre voci, partitura e parti; Iste confessor, inno a tre voci, partitura e parti; Magnificat in Gesolreut a tre voci, partitura e parti; Tantum ergo breve da coro in Cesolfaut a tre voci di me D. Gian. Cagnoni, alli 4 gennaio 1797, partitura autografa e parti; Virginis Proles, inno per una Vergine, di me D. Gian. Cagnoni alli 30 novembre 1798, partitura autografa e parti; Nunc dimittis a tre voci in 4° tono, partitura e parti; Inno di San Giacinto, di me D. Gian. Cagnoni alli 16 agosto 1789 a tre voci, partitura autografa e parti; Inno Pia Mater per una Santa Vedova, di me D. Gian. Cagnoni alli 4 maggio 1799 a tre voci, partitura autografa e parti; Tantum ergo a tre voci in Befa, di me D. Gian. Cagnoni, partitura autografa e parti; Tantum ergo da caro a tre voci in D.re diesis, partitura e parti; Sequenza di San Domenico in Cesolfareut, a tre voci di me D. Gian. Cagnoni alli 13 novembre 1798, partitura autografa e parti; Tantum ergo da coro a tre voci in Alamire maggiore, partitura autografa e parti; Inno di San Francesco Saverio di me D. Gian. Cagnoni alli 29 novembre 1799, a tre voci, partitura autografa e parti; Tantum ergo in Elafa a tre voci, parti; Responsorio di San Bernardo di me Gian. Cagnoni, dicembre 1799, a tre voci, partitura e parti; Chirie, Gloria e Credo in Befa a tre voci, partitura e parti; Inno di San Ferdinando di me D. Gian. Cagnoni, alli 28 ottobre 1798, partitura autografa; Litanie della Beata Vergine a tre voci in B.b, parti; Sequenza dei Morti da coro a tre voci, partitura; Messa da Requiem a tre voci in F., partitura e parti; O Rex gloriae, antifona per l’Ascensione a tre voci, partitura autografa e parti; Magnificat in Delasolre minore a tre voci, partitura e parti; Caligaverunt in Cesolfaut minore a quattro voci di Cagnoni alli 19 di marzo 1796, partitura e parti; Mentes iuvet fidelium, inno della Beata Vergine Addolorata per il venerdì Santo, a quattro voci, partitura e parti; Messa brevissima da coro in Gesolut diesis di D. Gian. Cagnoni, alli 8 settembre 1797; Tantum ergo da coro in Fefaut a tre voci di me D. Gian. Cagnoni, alli 18 di febbraio 1797, partitura e parti; Messa da coro a tre voci in Fefaut di me Gian Cagnoni, 1975, partitura autografa e parti; Deus tuorum militum, inno per un Santo martire a tre voci; Tantum ergo a tre voci in pastorale, partitura e parti; Magnificat in C.ut a tre voci, partitura e parti; Magnificat in F. a tre voci, partitura e parti; Responsorio, Prosa Antifona e Salve pel giorno della B.V. dell’Assunta, a tre voci, di me D. Gian. Cagnoni alli 22 febbraio 1797, partitura autografa e parti; Chirie e Sanctus a due voci (Archivio della chiesa parrocchiale di Monchio).
FONTI E BIBL.: Archivio della Curia di Parma, Liber benef. et benefitiatorum, fol. 22; G.M. Allodi, Serie dei Vescovi di Parma, vol. II, 475; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 181, 281 e 293; P.L. Bonassi, Musiche di San Liborio, 1969, 144.

 CAI GIOVANNI BATTISTA  Parma prima metà del XVI secolo

Intagliatore in legno operante nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti, III, 97.

CAIFASSI, vedi ANTINI

CAIMI ISABELLA, vedi FANTONI ISABELLA

CAIMI MARIANNA, vedi FULCINI MARIANNA

CAIO Parma 562/597Fu Vescovo di Parma dall’anno 562 all’anno 597.

FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, I Vescovi, 1936, 8; F.  da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 186.

CAJMI MARIANNA, vedi FULCINI MARIANNA

CALANDRINI IPPOLITO Parma 1653
Figlio di Antonio. Storico genealogista, del quale si hanno scarse notizie. Scrisse la genealogia della casata dei Lupi, dando alle stampe il volume con questo titolo: Il Pubblio Svezzese, Historia dell’antichissima e nobilissima Famiglia degl’Illustrissimi Signori Marchesi di Soragna, e Vita del glorioso San Lupo, Vescovo e Confessore, con parte de’ fatti heroici d’alcuni Cavaglieri e Prencipi Trivultii passati e presenti. In Parma, per Mario Vigna, 1653. L’opera fu giudicata dall’Affò un guazzabuglio informe. Il Calandrini scrisse inoltre la Vita di Alessandro Farnese, lavoro rimasto manoscritto e che al tempo dell’Affò era posseduto dalla famiglia Ravazzoni.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797,V, 237.

CALANE ENRICO, vedi CALLOUD ENRICO

CALANI, vedi CALLANI

 CALCAFERRO GALEAZZO 
Parma 1572
Nell’anno 1572 fu insignito della Croce dell’Ordine Militare di Santo Stefano.
FONTI E BIBL.: L. Araldi, L’Italia nobile, 1722.

 CALCAGNI BARTOLOMEO 
Parma 1455/1481
Pittore, lavorò a Milano per la Corte ducale dal 9 settembre 1455 fino al 1481.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker, vol. V, Dizionario Bolaffi Pittori, II, 1972, 385.

 CALCAGNI GIOVANNI Parma secolo XV Discendente da nobile famiglia, fu laureato in legge. 

FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 27.

CALCAGNI MARGHERITA, vedi BOCETI MARGHERITA

CALCAGNI TIBERIO Parma seconda metà del secolo XV
Architetto operante nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti, II, 78.

 CALCAGNINI TOMMASO 
Ferrara 1735 c.-post 1785
Marchese. Si portò all’età di diciotto anni alla Corte di Parma. Fu esente e gentiluomo di Camera di Filippo di Borbone e amico fraterno del ministro Du Tillot, anche quando quest’ultimo cadde in disgrazia. Fu Colonnello comandante del Reggimento delle Guardie Reali e poi Comandante generale del Ducato di Parma.
FONTI E BIBL.: A. Cerati, Opuscoli diversi, I, 1809, 53-58.

 CALCAGNINO AGOSTINO Borgo Taro 1622/1648

Fu penitenziere alla sede vescovile metropolitana di Genova. Scrisse la vita di San Desiderio e di altri martiri genovesi, la vita di San Giovanni Battista (Genova, 1648), Proteo festante (per l’incoronazione del doge Giorgio Centurioni, Genova, 1622) e altre opere pubblicate dopo la sua morte.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 100.

CALCIAVACHA GIOVANNI, vedi CALZAVACCA GIOVANNI

CALDA LUDOVICO Parma 9 luglio 1874-Genova 15 giugno 1947

Nacque da Giacomo ed Erminia Bosi. Quando il padre, maestro elementare, nel 1887 prese servizio a Licciana (Massa-Carrara), egli aveva già lasciato la famiglia. Giovane irrequieto, abbandonò ben presto gli studi per cercarsi un lavoro come tipografo, prima nella città natale, poi a Borgo Taro, dove entrò in contatto con l’Associazione tipografica, che, nel gennaio 1893, gli rifiutò un articolo, per irruenza del linguaggio. Fu ancora a Spezia e, alla fine del 1893, approdò a Genova dove nel luglio 1894 venne licenziato dall’azienda presso la quale lavorava per aver cercato di organizzare gli operai. Iscrittosi all’Associazione tipografica, divenuta Federazione del libro, e al Partito socialista, figurò tra i sottoscrittori per De Felice e i fasci siciliani. Lavorando saltuariamente nella tipografia del Secolo XIX, divenne l’animatore della sezione genovese della Federazione del libro, che lo mandò al congresso di Bologna nel marzo 1898. Quando, nel maggio dello stesso anno, il prefetto ordinò lo scioglimento dell’organizzazione, il Calda venne deferito all’autorità giudiziaria. Cooperò con Leone Ricciotti e Giovanni Lerda alla ricostituzione della sezione tipografica sotto veste di Società di mutuo soccorso e di quella del Partito socialista come circolo Pisacane. Subì una condanna pecuniaria nel gennaio 1899, un nuovo decreto di scioglimento, nel maggio 1900, e una nuova condanna, questa volta a un mese di carcere. Quando uscì, si affiancò a Pietro Chiesa nell’opera di ricostruzione della Camera del lavoro. Collaborò a l’Avanti!, al Giornale del Popolo e a Era Nuova, periodico diretto dal Canepa. Sul giornale Il Tipografo si batté per una maggiore qualificazione politica degli organismi di categoria. Venne rapidamente acquisito nel gruppo dirigente del sindacalismo ligure: in ottobre, a Sampierdarena, fu relatore al congresso regionale delle mutue, cooperative e Camere del lavoro, ed estensore dell’ordine del giorno in favore della Federazione nazionale delle Camere del lavoro. Fu tra gli animatori dello sciopero con cui la Camera del lavoro di Genova riconquistò la legalità e fornì l’occasione alla svolta giolittiana: parlò all’imponente assemblea del Teatro Carlo Felice, il 23 dicembre, a nome della nuova commissione esecutiva, della quale diventò primo segretario, in sostituzione del panettiere A. Benatti. Della triade del riformismo genovese, di cui Chiesa rappresentò la voce in Parlamento e Canepa il teorico ufficiale, il Calda divenne la pedina più preziosa, il momento imprescindibile dell’organizzazione, dell’imbrigliamento e della regolamentazione delle energie spontanee, di categorie che avevano ancora evidenti caratteri corporativistici e che, come i lavoratori portuali, divennero le sezioni portanti della versione riformista della Camera del lavoro genovese. Questo prezioso lavoro, fatto di assidua presenza nelle lotte sindacali negli anni cruciali 1901-1902, di una sapiente opera di freno e di mediazione, sfociò, agli inizi del 1903, nell’operazione in virtù della quale la Camera del lavoro di Genova si affermò come la roccaforte del riformismo ligure e il perno della sua presenza nella regione. Messi in minoranza nella sezione socialista (il Calda non fu delegato a Imola, 1902, come non lo fu a Bologna, 1904), il 26 febbraio 1903 i riformisti lanciarono la proposta, nell’assemblea della sezione socialista genovese, di un organo coordinatore di tutte le associazioni operaie del Genovesato. Cinque associazioni aderirono e diedero vita a un comitato provvisorio in cui entrò anche il Calda, che in tempi brevi preparò un congresso costitutivo per il 26 aprile. Congresso dal quale uscì legittimata l’Unione regionale ligure tra le associazioni operaie. In quella stessa sede il Calda, che con Chiesa e Muraldi venne chiamato a dirigere l’Unione, propose la pubblicazione di un quotidiano: Il Lavoro che, subentrando al periodico Era Nuova, iniziò le pubblicazioni il 7 giugno, sotto la direzione del Canepa. Il Calda cooperò con la presidenza del Consorzio del porto, a fine giugno, per convogliare all’interno di quell’organismo, da lui stesso propugnato, gli interessi dei lavoratori portuali dei quali diresse la Federazione nazionale che aveva sede in Genova e viveva quasi esclusivamente degli iscritti genovesi. Alle elezioni amministrative del giugno 1902, intanto, il Calda entrò nel Consiglio comunale, una esperienza che si chiuse con le elezioni del 1906. Era ormai un uomo influente anche su scala nazionale: nel 1904, grazie alle sue pressioni, Chiesa, sconfitto a Genova, venne eletto nel collegio di Budrio, lasciato libero da Bissolati, e il riformismo genovese poté continuare a usufruire del suo rappresentante a Genova. L’offensiva generale dell’ala rivoluzionaria del Partito socialista ebbe successo anche localmente. I riformisti, che persero il controllo della Camera del lavoro di Sampierdarena, risposero dichiarando la Camera del lavoro di Genova autonoma dal Segretariato nazionale della resistenza e, dopo averla epurata di alcuni iscritti, fondarono una Federazione autonoma socialista, di cui il Calda fu tra i dirigenti. Nell’agosto 1906, il Calda partecipò alla riunione di Milano, indetta da Cabrini, in cui i riformisti predisposero i tempi e i modi del congresso costitutivo della Confederazione generale del lavoro, che si tenne due mesi dopo. Al congresso il Calda, per il gruppo genovese, appoggiò l’ordine del giorno Reina sulla cui base, con l’emarginazione dei sindacalisti rivoluzionari, si strutturò la nuova organizzazione sindacale centralizzata. Nel novembre, il Calda venne cooptato nel comitato direttivo della Confederazione Generale del Lavoro, in sostituzione di un membro, dimessosi per incompatibilità. Negli anni pieni dell’età giolittiana, sempre mantenendo la segreteria della Camera del lavoro di Genova, mise al servizio della Confederazione del lavoro tutte le sue capacità di paziente elaboratore di tecniche sindacali, interessandosi di infortunistica del lavoro, di disciplina degli appelli nazionali e internazionali durante gli scioperi, di rapporti tra resistenza e cooperazione e tra diverse categorie di lavoratori. Il compito più delicato gli venne affidato nel 1911: quello di svolgere, con la Bonetti Altobelli, l’inchiesta sui fatti di Romagna per la questione delle trebbiatrici. Sua è la relazione conclusiva, approvata al Consiglio direttivo del 31 marzo-1° aprile 1912 e presentata al Consiglio nazionale del 2-5 aprile per il conferimento delle trebbiatrici alle organizzazioni collettivamente interessate. Intanto una nuova crisi maturò nel Partito socialista, di fronte alla quale la triade riformista genovese parve seguire vie diverse: in seguito al congresso di Reggio Emilia, mentre la sezione socialista di Sampierdarena, con P. Chiesa, restò nel partito, la sezione di Genova, con Canepa, si organizzò in gruppo autonomo, riesumando l’organo ufficiale Era Nuova. Il Calda invece, posponendo la passione politica a quella sindacale (Bettinotti), si dimise dal partito senza però aderire ufficialmente al gruppo. La ritrosia del Calda a impegnarsi in un’attività più squisitamente politica si riscontrò anche sul terreno della battaglia elettorale: candidato nel III collegio a sua insaputa e senza successo, alle elezioni del 1913, declinò poi la proposta di ripresentarsi nel 1919 e nel 1921. La rottura col Partito socialista ufficiale fu, comunque, rinviata di poco. Decisamente contrario alla politica di neutralità, allo scoppio della prima guerra mondiale si pronunciò per la partecipazione accanto agli Stati dell’Intesa, facendosi portavoce di questa linea assieme al Canepa, dalle pagine de Il Lavoro, mentre, nell’agosto 1914, la Camera del lavoro di Genova fece proprie le posizioni ufficiali della Confederazione Generale del Lavoro, pur lasciando ai suoi soci libertà di opinione e azione. Nell’ottobre fu tra quelli che simpatizzarono con il gesto di Mussolini, che provocò l’espulsione e il passaggio dello stesso nello schieramento interventista. Fu l’unico a votare contro la blanda mozione neutralista del direttivo della Confederazione Generale del Lavoro del 5 gennaio 1915, voto che ebbe la debolezza di giustificare, in privato, a Rigola, come espressione della maggioranza dei socialisti genovesi. Il che non lo esentò, in vista della probabilissima partecipazione dell’Italia al conflitto, nell’aprile del 1915, dal presentarsi dimissionario dalla segreteria della Camera del lavoro: dimissioni ripetute nell’ottobre (assieme a quelle da consigliere della Confederazione Generale del Lavoro), sempre respinte e rientrate definitivamente con la clausola, voluta dal Calda, che avrebbe riassunto, a partire dal 1° dicembre, la segreteria fino a non più di quattro mesi dopo la fine della guerra. Declinato verbalmente un incarico a metà dicembre, gli si aprì quello, vacante per la morte di Chiesa, di consigliere della Cassa di previdenza per l’incolumità e vecchiaia degli operai (istituita nel 1898), di cui tre anni dopo divenne vicepresidente, subentrando a Leopoldo Torlonia: nel 1920 l’ente, con l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria, si trasformò in Cassa nazionale per le assicurazioni sociali e il Calda ne assunse una delle due vicepresidenze (quella di parte operaia). Nei primi due anni di guerra, in assenza di Giulietti, arruolatosi, fu delegato della direzione della Federazione dei lavoratori del mare. Ai primi di luglio del 1916, nonostante il parere contrario della Confederazione Generale del Lavoro, con Cabrini e Bonfiglio, della Lavoratori del mare, si recò alla conferenza di Leeds che lo nominò nell’ufficio centrale. Agli inizi del 1917 venne richiamato nella milizia territoriale, in un battaglione di stanza a Genova, in sostituzione del secondo segretario della Camera del lavoro, Ancillotti, e presentò ancora le dimissioni da consigliere della Confederazione Generale del Lavoro. In sostituzione di Cabrini, nell’agosto, entrò nel Comitato per la mobilitazione industriale, presieduto dal generale Dallolio. Dopo Caporetto, si mise a disposizione del generale Pellegrini, capo dell’ufficio propaganda, e collaborò al giornale per le truppa, Resistere (si prodiga in mille modi nei comitati assistenziali). Senza darlo a vedere, a passi lenti ma metodici, sia pure su posizioni di rincalzo, in pieno conflitto, il Calda si trovò inserito in due tra gli organi più delicati (propaganda tra le truppe e mobilitazione industriale) della macchina bellica italiana. Nel primo dopoguerra, il movimento operaio gli apparve investito da un vento di follia: di fronte alle lotte contro il carovita dell’estate 1919 dichiarò che il problema doveva essere affrontato nella più fraterna solidarietà. Anche il movimento operaio genovese cambiò volto: ai primi del 1920 la Camera del lavoro si scisse in due. Nel giugno il Calda si dimise da segretario. Gli restò la segreteria del Sindacato nazionale delle organizzazioni portuarie, carica che in agosto assommò a quella di direzione dell’Ufficio tecnico di assistenza e di coordinamento del movimento operaio di Genova, vecchio organo di collegamento, riesumato dai riformisti per ridare vigore alla loro azione nel Genovesato. Il pragmatismo del primo decennio si andò stemperando in un arido e incolore tecnicismo, in un possibilismo molto lato, che non si arrestò né si sconcertò dinanzi all’azione politica del vecchio amico Mussolini. Nel settembre del 1921, avendo raccolto voci di una prossima spedizione fascista a Genova, scrisse a Canepa per consigliarlo di recarsi presso il prefetto e, insieme, per scongiurare la cosa, di intervenire sui fascisti locali. Sul finire dell’anno Canepa lasciò la direzione de Il Lavoro e venne temporaneamente sostituito dal Calda. Dimessosi da quell’incarico, il consiglio d’amministrazione del giornale lo cooptò alla propria presidenza. Nel gennaio del 1922, con l’aiuto di Giulietti, bloccò l’azione rivendicativa del sindacato dei portuali, di cui era segretario. Nel luglio si dichiarò contro lo sciopero generale, nel settembre fu tra i primi a pronunciarsi per la rottura del patto d’unità col Partito socialista. Il Calda, con tutto il gruppo di quadri, soprattutto sindacali, che si era aggregato nel decennio giolittiano, pensò probabilmente di salvare l’organizzazione, ritirandola dalla mischia, sottraendola allo scontro. Ma sotto la cenere della problematica sindacale covava una molla più profonda, un vecchio motivo corporativo, residuato degli anni della sua formazione, quello che gli fece dire, d’accordo con i fascisti, che la produzione non è il fatto del solo lavoro manuale e che pertanto esiste una solidarietà fra i diversi fattori della produzione socialmente utili (Bettinotti). Non a caso perciò, ai primi del 1927, all’interno di un regime che si andava consolidando, con la vecchia scuola confederale si raccolse nell’Associazione nazionale studi Problemi del lavoro, riesumando una rivista e una tematica, già sperimentata dai riformisti con ben altra vitalità, venticinque anni prima. L’operazione, in realtà, servì al regime, in un momento in cui, auspice Cabrini, con la Carta del lavoro, mirò ad avere udienza presso gli organismi internazionali di Ginevra. Le stesse intenzioni (non chiudere gli occhi dinanzi alla realtà) presiedettero alla ripresa della pubblicazione de Il Lavoro nel maggio (dopo una sospensione di sei mesi), giornale nel quale il Calda mantenne la presidenza del consiglio di amministrazione. La politica corporativa fu occasione perché il primitivo atteggiamento di studio e interessamento si trasformasse in una manifestazione di simpatia e adesione da parte del gruppo della rivista, che progressivamente languì e si spense (con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale). Nonostante fosse un ammiratore e devoto di S.E. Mussolini (come sostenne il ministro degli Interni, in una lettera al prefetto di Genova: cfr. Archivio Centrale dello Stato), nel corso degli anni 1933-1935, il Calda dovette lamentare alcune fastidiose attenzioni degli organi di polizia. Nel marzo del 1938 assunse anche la direzione de Il Lavoro, che continuò a uscire fino al 1944. Dopo il 1942 scese progressivamente il silenzio su di lui.
FONTI E BIBL.: Archivio Centrale dello Stato, Casellario politico centrale, busta 691, fascicolo 9193; apologetico, ma tanto utile quanto significativo, il libro di M. Bettinotti, Vent’anni di movimento operaio genovese: P. Chiesa, G. Canepa, Ludovico Calda, Milano, 1932, passim; nutrito di riferimenti il lungo saggio di G. Perillo, Socialismo e classe operaia nel Genovesato dallo sciopero del 1900 alla scissione sindacalista, in Movimento Operaio e Socialista in Liguria, 4 1960, 103-121, n. 5, 155-179, n. 6, 183-203, 1 1961, 37-56, n. 3-4, 285-333 passim; e ancora di G. Perillo, I comunisti e la lotta di classe in Liguria negli anni 1921-1922, in Movimento Operaio e Socialista in Liguria, 3-4 1962, 223-294, 2-3 1963, 189-244 passim. Cfr. inoltre: A. Malatesta, I socialisti italiani durante la guerra, Milano, 1926, 46; R. Rigola, Storia del movimento operaio italiano, Milano, 1946, 198, 315; G. Zibordi, Storia del Partito socialista italiano attraverso i suoi congressi, Reggio Emilia, s.d., 89; L. Albertini, Vent’anni di vita politica, II, L’Italia nella guerra mondiale, Bologna, 1951, I, 419; S. Merli, Corporativismo fascista e illusioni riformistiche nei primi anni del regime. L’attività dell’A.N.S. - Problemi del lavoro nelle carte di R. Rigola, in Rivista Storica del Socialismo 5 1959, 136; Il delitto Matteotti tra Viminale e Aventino, a cura di G. Rossini, Bologna, 1961, 968; L. Ambrosoli, Né aderire né sabotare, Milano, 1961, 60, 104, 137; F. Pedone, Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, Milano, 1961, II, 125, 162, 168, 180, 188, 216; Lo Stato Operaio (1927-1939), I, a cura di F. Ferri, Roma, 1962, ad Indicem; La Confederazione generale del lavoro, negli atti, nei documenti, nei congressi (1906-1926), a cura di L. Marchetti, Milano, 1962, ad Indicem; Quarant’anni di politica italiana, II (1901-1909), a cura di G. Carocci, Milano, 1962, ad Indicem; R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, 1962, 64 s.; L. Valiani, Il Partito socialista italiano nel periodo della neutralità (1914-1915), Milano, 1963, ad Indicem; Documenti inediti dell’Archivio A. Tasca. La Rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939, a cura di S. Merli, Milano, 1903, 96 s.; G. Trevisani, Storia del movimento operaio italiano, Milano, 1965, II, 310, III, 129 s., 345; A. Gramsci, Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo (1921-1922), Torino, 1966, ad Indicem; A.L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia, Bologna, 1966, 117; A. Bertondini, La vita politica e sociale in Ravenna e in Romagna dal 1870 al 1910, in N. Baldini nella storia della cooperazione, Milano, 1966, 387; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma, 1967, I, 431; R. De Felice, Mussolini il fascista. L’organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Torino, 1968, 456; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari. Il Partito socialista italiano: 1900-1912, Padova, 1968, ad Indicem; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, II, Gli anni della clandestinità, Torino, 1969, 97; F. Fabbri, L’azione politica di G.M. Serrati nella neutralità, in Rivista Storica del Socialismo 32 1969, 127; G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, Roma, 1970, ad Indicem; B. Anatra, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 548-552.

CALDARINI LUIGIA, vedi CALDERINI LUIGIA

 CALDERA GIUSEPPE Parma prima metà del XIX secolo
Orefice, attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 87.

CALDERINI ANGELO Parma-post 1856
Studiò nella Ducale Scuola di musica di Parma, nella quale fu ammesso nel 1842. Ebbe una dignitosa carriera, ricoprendo le parti di II, ma anche I tenore, per molti anni e in diversi teatri. Debuttò nella stagione di Fiera 1845 nel Teatro di Casalmaggiore che riapriva dopo i restauri (Ernani, Marin Faliero) e fu presente in varie stagioni al Teatro Ducale di Parma (dalla primavera 1846 alla Quaresima 1851). Nella stagione di primavera 1847 fu al Teatro di Cremona e nel Carnevale 1847-1848 al Real Teatro Carolino di Palermo in un gran numero di opere (tra cui in una Giovanna d’Arco, che la censura aveva ribattezzato Orietta di Lesbo). Nelle carte dell’Archivio Storico Comunale di Parma si trova una sua domanda di sussidio del 1848, mentre nel 1850 risulta annoverato nel Corpo dei Coristi del Teatro Ducale. Nel 1853 lavorò in due opere al Teatro Municipale di Piacenza. Nell’estate 1856 cantò ne Il franco bersagliere (così è intitolato il libretto) al Teatro Carcano di Milano.
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, Fasti musicali, 1875, 39; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

 CALDERINI GIACOMO 
Parma 15 marzo 1883-Varallo Sesia 12 febbraio 1949
Figlio del rettore dell’Università di Bologna, studiò in quell’Accademia di Belle Arti ove fu allievo di Domenico Ferri e poi suo assistente. Esordì come ritrattista (un grande ritratto del padre, in toga universitaria, e altri furono esposti con successo in mostre valsesiane, torinesi e milanesi) mentre ancora studiava. Quindi si recò nella zona del lago di Bracciano per ritrarvi impressioni della campagna romana (è di quell’epoca, anche, un ritratto del Re soldato al campo). Dopo la prima guerra mondiale, si stabilì nella Valsesia, specie al Sacro Monte di Varallo, terra degli avi. Anche nei suoi ultimi anni in Valsesia si raccolse in solitarie, contemplative, elaborate osservazioni di naturali splendori, in studio di tipiche, smaglianti figure, e in Valsesia soprattutto svolse la propria attività in opere tutte spirituali, sprigionate più dall’animo che dal pennello, talmente intime nella loro elevatura da renderle intraducibili (M. Costa). Insegnò inoltre disegno nella Scuola industriale Verona e Trento di Messina. Tra le principali opere: Ritratto del padre, Ritratto dello zio Paolo, Sposa che prepara il corredo, Intorno al focolare, Messa a Rimella, Ritratto della moglie, Ragazza che falcia l’erba, Ritorno dal lavoro, Riflessi al Riale della Crosa, In attesa del minatore, Morca, Autoritratto (1921), Alba sul monte Rosa, Fienagione, Vecchio pensoso. Morì di polmonite.
FONTI E BIBL.: M.C., Pittura valsesiana (estratto dal fascicolo di aprile 1951 di Valsesia Nostra, Torino); Catalogo Galleria Vinciana di Milano, mostra di Giacomo Calderini, gennaio 1958 (S. Balestrieri); A.M. Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1970, 494.

CALDERINI LUIGIA  Parma 1779-Parma 6 luglio 1834

Non si hanno notizie della sua origine e dei suoi studi. Cantò nell’estate 1801 alla Scala di Milano come primadonna nel Fuoruscito di Puccitta e negli Opposti caratteri di Nasolini. Nella stagione d’autunno 1802 al Teatro degli Avvalorati di Livorno cantò nella Zaira di Vincenzo Federici e nella Lodoiska di Mayr. Vi tornò nel 1805 negli Orazi e Curiazi di Cimarosa e nella Donna di genio volubile di Portogallo e ancora in quella del 1813. Nel Carnevale 1802-1803 fu alla Fenice di Venezia nella Caduta della Nuova Cartagine di Farinelli e in Adria consolata di Bertoni. Nel Carnevale 1806-1807 fu al Municipale di Piacenza, in Ginevra di Scozia di Mayr e Ines de Castro di Zingarelli. In questa occasione le venne dedicata un’ode a stampa (Biblioteca Palatina di Parma, Fogli volanti, A 61). Il 18 febbraio 1812 fu prima attrice nello spettacolo di musica a benefizio della Società de’ Virtuosi di Musica e Ballo, dato al Teatro Spada di Cesena dove, nel febbraio 1813, interpretò la Ginevra di Scozia del Mayr. Nel Carnevale 1813-1814 fu al Teatro Regio di Parma nell’Amor marinaro di Weigl e in Ajo nell’imbarazzo di Pilotti. Dagli Almanacchi di Corte si sa che nel 1830 fu virtuosa di canto in servizio effettivo alla Corte ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 273; P.E. Ferrari, Gli spettacoli, 56; Almanacco di Corte, 1830; Tintori; Cronologia Teatro la Fenice di Venezia e Teatro Regio di Parma; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 18 aprile 1982, 3; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

 CALDERONI FRANCESCO MARIA 

 Parma 4 gennaio 1712-Borgo San Donnino 11 giugno 1781
Fu frate cappuccino laico di grande abilità e instancabile. Fu compagno dei missionari a Bahia nel Brasile dal 1744 al 1750. A Guastalla compì la vestizione il 6 novembre 1731 e, un anno dopo, la professione solenne.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 348.

 CALDERONI GIOVANNI San Secondo-Ferrara 7 agosto 1617
Fu frate cappuccino di vita singolarmente austera, devotissimo della Beata Vergine e favorito di estasi e visioni.
FONTI E BIBL.: Ann. Prov., I, 125; Olgiati, Ann., III/I, 373-374, nn. 51-55; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 455.

CALDERONI LUDOVICO Borgo San Donnino 1842-
Esibitore di coattive presso l’Esattoria di Borgo San Donnino, di fede repubblicana. Nel 1864 fu segnalato alle autorità di polizia perché fu uno dei più facinorosi nelle dimostrazioni dell’agosto 1862, dopo Aspromonte.
FONTI E BIBL.: P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 57.

CALEGARI, vedi CALLEGARI

CALEMBRUN MERCURE FERDINANDO Parma 30 agosto 1777-post 1847
Figlio di Francesco. Nel 1804 fu chirurgo dell’Ospedale Militare di Parma, nel 1811 chirurgo della Gendarmeria Imperiale del Dipartimento del Tevere e nel 1814 chirurgo dei Dragoni Ducali di Parma. Il Calembrun Mercure fu dentista della duchessa Maria Luigia d’Austria. Nel 1847 fu collocato fuori servizio e fu sostituito dal figlio Cesare.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 20; Parma nell’Arte 1 1980, 63.

CALEMBRUN MERCURE GAETANO 
-Parma 20 febbraio 1886
Di principi liberali, assecondò i moti del 1848. Nel 1859 prese servizio nelle milizie sarde col grado di medico di battaglione. Nel 1866 fece parte delle truppe italiane che a Palermo soffocarono la rivolta clericale. Venne decorato della medaglia d’argento al valor militare.
FONTI E BIBL.: Il Presente 21 febbraio 1886, n. 50; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 413.

 CALEPPI GIROLAMO Parma 1588
Fu scultore di buon valore.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 185.

 CALESTANI ATTILIO 
Parma 5 ottobre 1835-
Figlio del dottore Fulvio e di Luisa Pizzelli. Fu attore comico attivo nel XIX secolo.
FONTI E BIBL.: M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, 1946, 75.

 CALESTANI BATTISTA Parma 1831 Dopo i moti del 1831 figurò nell’Elenco degli Inquisiti di Stato con requisitoria perché disarmatore dei Dragoni e feccia di plebe.

FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 155.

CALESTANI BERNARDO Parma 1504/1510 Il Calestani compare nel 1504 nella sottoscrizione del primo libro stampato a Parma da Francesco Ugoleto, l’Epitoma in Iliadem Homeri. Dalla sottoscrizione si deduce che il Calestani non fu uno stampatore ma solo, come accadeva spesso nei primi tempi della stampa, un finanziatore di pubblicazioni. Nel 1504, infatti, sostenne le spese dell’opera attribuita ad Ausonio Pindaro tebano, curata da Antonio Bazano su un codice corretto posseduto dall’umanista parmense Taddeo Ugoleto, suo maestro: Pindari Ilias Emendatissimi explicit ex exemplati Thadei Ugoleti, stampata dal nipote di quest’ultimo Franciscus Ugoletus Parmaensis, che continuò l’opera del padre Angelo, attivo a Parma dal 1486 al 1501. Alla data del 14 novembre 1510, secondo un documento citato dal Pezzana, fu battezzato Giovanni Girolamo Genesio Giuseppe, figlio del Calestani e della moglie Giovanna: se si eccettua questa informazione, non si hanno altre notizie sul Calestani. L’unica edizione conosciuta è quindi Pindari Ausonii Epitoma in Iliadem Homeri. Il testo è preceduto da una dedica all’Erudito ac ornato aul. Caesari Bajardo cn. Antonius Bazanus. S.D., da un sunto in versi dell’opera, Monastica in XXIIII. libros Homeri Iliad., e dalle abituali prolusioni elogiative indirizzate all’autore per il lavoro compiuto. Nel colophon si legge: Pindari Ilias Emendatissimi explicit ex exemplati Thadaei Vgoleti: Franciscus Vgoletus Parmen. Bernardi Calestani impensis Impressit M.D.III. die. XV. Decembris (in 4°, 20 c.; un esemplare è posseduto dalla Biblioteca Palatina di Parma). Dell’Epitoma di Pindaro si conoscono altre due edizioni parmensi, stampate nel 1488 e nel 1492, curate probabilmente dallo stesso Taddeo Ugoleto e stampate dal fratello Angelo: forse queste sono la fonte dell’edizione del Bazano. I capilettera sono ornati a fondo nero con motivo floreale (C e I, rispettivamente di 25x25 mm e 41x40, e N, I, D, H, V, A, T di 20x20 mm). Nella stampa, in caratteri romani, compaiono alcuni capilettera gotici da due linee e una F più grande. Il numero dei caratteri a disposizione non doveva essere elevato se il tipografo a c. 2 usa le lettere i e z in sostituzione dei numeri 1 e 2.

FONTI E BIBL.: I. Affò, III, 170-171; A. Pezzana, VI/2, 506; Isaac, 13846; Norton, 71; A. Ciavarella, 171, A. Ciavarella, 252; G. Borsa, Clavis typgraphorum, 1980, 95; Enciclopedia di Parma, 1998, 186; L. Pelizzoni, in Dizionario dei tipografi ed editori italiani, 1997, 232.

 CALESTANI ENNIO
Montechiarugolo 24 marzo 1912-Alessandria 9 settembre 1943
Appartenne al 2° Reggimento Artiglieria Pesante. Fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.
FONTI E BIBL.: Caduti resistenza, 1970, 111.

CALESTANI FILANDRO Parma 1587
Il Calestani fu occasionale editore o, più probabilmente, libraio. Forse è lui l’attore di una donazione tra vivi ad Alfonsina Solari dei diritti che aveva come erede designato dei beni di Ottaviano Calestani. Nel 1587 sottoscrisse l’unica edizione nota a suo nome: Il compassionevole et memorabil caso, della morte della Regina di Scotia, moglie di Francesco II Re di Francia (un unico esemplare è conservato a Londra presso la British Library). Con titolo leggermente mutato, nel medesimo anno, sono noti altri opuscoli usciti a Vicenza dalla tipografia di Agostino dalla Noce, a Viterbo da Agostino Colaldi, a Cremona da Cristoforo Draconi e a Firenze da Francesco Dini.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Rogiti Camerali di Parma, notaio Balestrieri, 25 agosto 1584, vol. 209; L. Pelizzoni, in Dizionario dei tipografi ed editori italiani, 1997, 232; G. Borsa, Clavis typographorum, 1980, 95; Enciclopedia di Parma, 1998, 186.

CALESTANI FRANCESCO Diolo 1696/1728
Intagliatore, ricordato nel 1696 per l’affitto di una casa e nel 1728 per un acconto per un tronetto portatile nella chiesa parrocchiale di Diolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane. v. VI, 47; Il mobile a Parma, 1983, 256.

CALESTANI FULVIO 
Fiorenzuola d’Arda 1806-Parma 1876
Studente all’Università di Parma, prese parte ai moti del 1831. Laureatosi in scienze fisiche e matematiche, si applicò all’industria dei fiammiferi di legno a sfregamento, di cui può ritenersi l’inventore. Nel 1848 fu quartiermastro della Guardia Nazionale. Nel 1849 fu arrestato per detenzione abusiva di armi e condannato a morte da una commissione militare austriaca. Poco prima dell’esecuzione gli venne concessa la grazia.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Appendice, alla voce; Bollettino Storico Piacentino, 1947, 35; R. Delfanti, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 63.

CALESTANI GIACOMO, vedi CALESTANI JACOPO

CALESTANI GIOVANNI Colorno 27 giugno 1910-Colorno 17 luglio 1995

Si diplomò in organo (1931) e pianoforte (1934) al Conservatorio di Parma, istituto dove, dal 1941 al 1980, fu docente di solfeggio, continuando la grande tradizione di quella materia di insegnamento propria della storia dell’Istituto e preparando generazioni di musicisti.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 186.

CALESTANI GIOVANNI GIROLAMO GENESIO 

 Parma 13 novembre 1510-Parma 1582
Nacque da Bernardo e da Giovanna. Fin da giovane si dedicò all’arte della spezieria, che apprese nell’officina parmense di Benedetto degli Andreozzi, dove fu compagno di altri due nobili concittadini, Tiberio Tagliaferri e Galeazzo Calcaferri. Per approfondire la conoscenza delle erbe medicinali (i semplici) e delle tecniche di manipolazione in uso, ben presto si mise a viaggiare in varie città d’Italia. Si ha notizia di discussioni che ebbe da giovanetto a Roma, con i frati di Santa Maria in Aracoeli, su argomenti farmacologici. Fu poi a Narni, a Bologna, a Mantova, a Venezia e nuovamente a Roma. Questi viaggi gli consentirono di stringere proficui contatti con medici e speziali e di frequentare le officine di questi ultimi. Metodo, questo, che costituiva il principale strumento per apprendere l’arte, giacché, se anche in alcune facoltà di medicina e filosofia (come a Roma, a Pisa e a Padova) era stato istituito l’insegnamento dei semplici, esso manteneva un carattere esclusivamente teorico, limitandosi alla ostensione delle droghe e allo studio di alcuni classici come Galeno, Dioscuride e Plinio. Particolarmente importante fu, per il Calestani, il soggiorno romano, durante il quale si esercitò, assieme a Ermete da Narni, nella spezieria di Angelo Manzino. Qui ebbe occasione di assistere a una disputa sulla composizione degli antidoti cui parteciparono alcuni tra i più importanti speziali del tempo. Nel medesimo periodo dovette entrare in rapporto col pontefice Paolo III, del quale, oltre ad apprezzare le doti di mecenate, rivelò la passione per i confetti di dimargaritone magistrale, che consumava abbondantemente per la molta utilità che ei ne prendeva nel confortamento del cuore e degli spiriti animati. Non è conosciuta la data precisa del suo rientro in patria. È però certo che nel 1551, all’epoca della guerra degli Imperiali, partecipò alla difesa di Parma dall’assedio delle truppe di Ferrante Gonzaga con un apporto particolarmente qualificato. Fu allora infatti che, con minuziose ricerche su codici antichi, ricostruì la formula del diacatholicòn di Nicolò Mirepso, una sorta di panacea universale che si dimostrò molto efficace nel combattere un’epidemia diffusasi nella città assediata in seguito alle privazioni. Questo contributo gli valse la riconoscenza del medico del duca Ottavio Farnese, Vincenzo Ascolano, che lo accolse sotto la sua protezione. Nel 1564, su consiglio e con l’aiuto di un gruppo di medici parmensi (Cesare Delfino e i figli Giasone e Tiberio, Camillo Bertacchini, Camillo Lenati), il Calestani raccolse le proprie esperienze in un’opera, Osservazioni, di cui undici anni più tardi uscì un’edizione accresciuta. Secondo le sue stesse dichiarazioni, per la redazione dell’opera si avvalse anche dei consigli dei medici Scipione Cassola, Filippo Selva, Filippo Benzola, Battista Balestra e Sigismondo Baruffi. Forse la presenza di tanti collaboratori contribuì alla diffusione di una voce secondo la quale il Calestani si sarebbe limitato a plagiare scritti e ricette raccolti durante il soggiorno romano, voce che peraltro va considerata affatto calunniosa. Qualche incertezza permane sulla data della sua morte. In una iscrizione in onore di Domenico Bocchi, dove si parla anche del Calestani, lo si dice morto nel 1562 all’età di cinquantadue anni, ma molti indizi, tra i quali le due edizioni della sua opera, che sembrano fatte lui vivente, rendono più probabile il 1582. La prima edizione della sua opera fu stampata a Venezia nel 1564 per i tipi di Francesco Senese col titolo: Osservazioni di Giovanni Calestani Parmigiano nel comporre gli antidoti et medicamenti, che più si costumano in Italia all’uso della medicina, secondo il parere de’ medici antichi, e moderni esaminate. Con l’ordine di comporre et fare diversi conditi, et col modo di conservarli. Opera non soltanto utile, ma necessaria anchora alla vita. Il volume, in 4°, si compone di 18 carte preliminari non numerate e di 412 pagine. Nei preliminari è compresa una dedica a Margherita, duchessa di Parma e Piacenza, e un discorso agli amici di gioventù Tagliaferri e Calcaferri, dove il Calestani ricorda le sue prime esperienze professionali. Dopo un’ampia tavola dei composti descritti, si passa alla trattazione vera e propria, che si articola in capitoli a seconda del genere di medicamento (si inizia dagli sciroppi e dai decotti per poi giungere, dopo i confetti e i colliri, fino agli unguenti e ai cerotti). Di ciascun preparato sono date, oltre alle consuete referenze dai testi classici, le norme di composizione e, per i composti più importanti, una breve notizia storica. Nel 1570 uscì a Venezia una ristampa dell’opera, identica alla precedente. Diversa è invece l’edizione comparsa a Venezia nel 1575, presso lo stesso editore, col titolo: Delle Osservationi di Giovanni Calestani Parmigiano Parte Prima. Nella quale si insegna diligentissimamente l’arte della spetieria, secondo che da scrittori medici è stata mostrata. Delle Osservationi di Giovanni Calestani Parmigiano dettate da peritissimi medici Parte Seconda. Ove insegnasi l’arte di comporre gli antidoti. Novamente dal medesimo Auttore ricorretta, et ampliata. Mentre la Parte Seconda è una ristampa dell’opera del 1564, la Parte Prima è completamente nuova. Si apre con una dedica dello stampatore a uno speziale di Lucca, Giovambattista Fulcari, dove si raccomanda l’opera per la formazione dei giovani speziali, argomentando che a nulla vale avere buoni medici se poi speziali sprovveduti provocano la morte del paziente. Segue una dedica del Calestani alli spettabili, et honorati dell’arte della spetieria, dove si dichiarano i limiti e gli intenti dell’opera: tutto ciò che vi si trova è tratto dall’insegnamento dei medici, giacché il compito dello speziale consiste non in eleggere, né in preparare, né in comporre, ma in meglio preparare, et più agevolmente, et con minor danno comporre. Dopo un’ampia tavola degli argomenti, inizia la trattazione, di complessive 190 pagine. Dapprima si esaminano i requisiti generali richiesti per esercitare l’arte dello speziale. Occorre conoscere il latino per leggere i classici della medicina, indi imparare a riconoscere, raccogliere, trattare e conservare i semplici. Per far ciò bisogna disporre di molti locali ed essere mediocremente ricco, e più che altri, aver animo grande, e liberale, e lontano da ogni avaritia, e sordidezza, giacché questi difetti comprometterebbero la qualità nella scelta dei prodotti. Lo speziale deve inoltre condurre una vita privata ineccepibile, essere sposato e aver figli, tenere al proprio onore, avere zelo cristiano, carità e timor di Dio. Ma, specialmente, non deve presumere di prescrivere cure senza il parere del medico, né pretendere di modificare in alcun modo le sue ricette. Il testo continua con una elencazione alfabetica dei semplici e del modo di riconoscerli, un sommario delle cose indispensabili alla bottega di uno speziale, una rassegna del tempo di raccolta e del modo di conservazione delle principali radici, fiori, semi, piante, infine una descrizione delle principali operazioni sui semplici (falsificazione, essiccazione, dissoluzione, cottura, lavaggio, estrazione di succhi, preparazione di infusioni, conserve, sciroppi, pillole, unguenti). L’opera non è certamente né originale né innovatrice, legata com’è alle fonti tradizionali del sapere farmacologico (Ippocrate, Galeno e i loro commentatori). Tuttavia, col suo stesso carattere manualistico, rispose adeguatamente a un’esigenza di identificazione e di catalogazione delle droghe medicinali a quei tempi molto sentita. Ciò spiega il suo successo, dimostrato dal numero delle edizioni, che furono, dopo il 1575, non meno di undici (tutte in Venezia: 1580, 1584, 1589, 1597, 1598, 1606, 1616, 1623, 1639, 1655, 1673). Ancora nel 1667, con una lettera del primo segretario di Stato di Parma, fu fatto obbligo a tutti gli speziali di Parma e Piacenza di adottare come codice farmaceutico l’opera del Calestani, per essere stato rappresentato questo Autore a Sua Altezza da’ periti dell’arte per uno de’ più accreditati e sicuri.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, Parma, 1793, 69 ss.; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VI, 2, Parma, 1827, 506-510, 966 s.; F. Lanzoni, Un farmacologo parmigiano del secolo XVI, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXXIII 1933, 237-248; G. Gliozzi, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 682-683.

CALESTANI GIROLAMO, vedi CALESTANI GIOVANNI GIROLAMO GENESIO

CALESTANI GIUSEPPE Medesano 28 dicembre 1902-Parma 19 maggio 1921
Antifascista, morì in seguito alle ferite subite in un conflitto con i fascisti.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 108.

CALESTANI JACOPO 
Borgo San Donnino 15 luglio 1778-Tabiano 25 dicembre 1845
Nato da famiglia poverissima, a quattordici anni divenne chierico e nel 1802 fu ordinato sacerdote. Fu poi insegnante di grammatica nelle scuole pubbliche, perfezionando, nel frattempo, lo studio delle sacre scritture. Nel 1813 fu nominato economo della parrocchia di Tabiano e l’anno seguente Prevosto della stessa. Sacerdote di grande carità, fu parroco di Tabiano allorché andò diffondendosi la fama delle virtù curative delle fonti solforose, di cui egli aveva da tempo intuito la pubblica utilità e sperimentato l’efficacia sugli ammalati che ospitava nella sua canonica, da lui trasformata in un rudimentale stabilimento balneare. Convinto della necessità di un più vasto sfruttamento delle acque per i sensibili benefici che esse apportavano ai colpiti da malattie della pelle, non esitò a interporre i suoi buoni uffici e tanto fece che arrivò a interessare la duchessa di Parma Maria Luigia d’Austria. La calda supplica (1837) ottenne l’auspicato intervento del regio governo, il quale dispose per la costruzione di un capace stabilimento balneo-termale e di un tronco stradale che congiungesse Tabiano a Borgo San Donnino. Il 4 ottobre 1841, grazie alla geniale iniziativa del Calestani e al valido aiuto della Corte regia, lo stabilimento venne solennemente inaugurato, dando l’avvio alla fortuna termale della nuova stazione, assurta poi a fama internazionale.
FONTI E BIBL.: M. Leoni, Borgo San Donnino, 1846; G. Valentini, Guida storica di Salso e Tabiano, 1861, 82-85; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1880, 41-43; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 88; Gazzetta di Parma 26 agosto 1996, 18.

CALESTANI PIO Noceto 11 marzo 1848-Pesaro 5 dicembre 1912
Nacque da Ferdinando, calzolaio, e da Maria Rosa Abbati, filatrice. Studiò con Luigi Beccali e il 2 giugno 1866 uscì dalla scuola di musica in Parma diplomato con lode distinta in oboe. Fu subito scritturato nelle principali orchestre italiane. Fu valoroso insegnante di oboe nel Liceo Benedetto Marcello di Venezia e poi al Liceo Rossini di Pesaro dal 17 marzo 1883 al giorno della sua morte. Fu caro a Wagner, che lo proclamò il primo oboista del mondo, e a Verdi, che lo chiamò soprano orchestrale.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 38-39; G. Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 297.

CALESTANI POLETTI GIULIO  1907-Colorno 13 febbraio 1979
Conquistò per due volte il titolo di campione mondiale individuale di tiro al piccione, nel 1940 a Sanremo e nel 1948 in Portogallo. Vinse anche il campionato mondiale a squadre nel 1936 a Roma, nel 1940 a Sanremo, nel 1954 a San Sebastiano (Spagna) e il campionato europeo a squadre nel 1947 a Sanremo, nel 1957 a Venezia, nel 1958 a Montecarlo e nel 1960 a Valencia (Spagna). Vinse inoltre il campionato d’Italia individuale nel 1933, 1935 e 1936. Nel 1935 e nel 1936 gli fu assegnata la medaglia d’oro al merito sportivo. Il Calestani Poletti partecipò durante tutta la sua attività di tiratore a ben 5500 gare.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 febbraio 1979, 10.

CALESTANO BERNARDO, vedi CALESTANI BERNARDO

CALINO CAMILLO Parma ultimi anni del XVII secolo-post 1760

Fu professore di teologia dell’Università di Parma. Il Calino lasciò Discorsi scritturali, Lezioni sacre, Prediche e Trattenimenti sacri. Di un suo Trattenimento storico e cronologico nel 1728 F.M. Biacca volle fare la confutazione, ma per questo fu licenziato da Casa Sanvitale. Del Calino fa cenno il Pezzana nelle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani (VII, 60). Presso la Deputazione di Storia Patria in Parma sono conservati manoscritti i suoi corsi teologici universitari per gli anni 1758, 1759 e 1760.
FONTI E BIBL.: F. Rizzi, Clero in cattedra, 1953.

 CALISTEIN GIUSEPPE Parma 1794 Clarinettista, nel 1794 faceva parte della banda della duchessa di Parma e suonava come aggiunto al Teatro Ducale (Archivio di Stato di Parma, Spettacoli e Teatri borbonici, b. 4).

FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

CALISTO SERGIO 
Parma 1532/1551
Scrisse versi latini assai mediocri (Pezzana). Se ne trovano alcuni nel trattato De Maleficiis di Angelo dei Gambilioni (detto Aretino), impresso nel 1532. Furono ristampati in quello del Griffio (Lione, 1551).
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 458.

CALLANE ENRICO, vedi CALLOUD ENRICO

CALLANI CAMILLO Parma 1763
Intagliatore, realizzò verso il 1763 il simbolo dello Spirito Santo nel cupolino di Sant’Antonio in Parma.
FONTI E BIBL.: P.P. Mendogni, 1979, 76; Il mobile a Parma, 1983, 260.

 CALLANI DOMENICO 
Parma 3 maggio 1705-Parma 1785
Intagliatore e scultore, fratello di Pietro e zio di Gaetano (del quale fu tutore). Realizzò i seguenti lavori: 1760, Vergine Assunta e angeli nell’oratorio della Visitazione a Pieveottoville, in collaborazione col nipote Gaetano; 1764, due bracciali nella chiesa parrocchiale di Fontanellato; 1767, leggio da altare in San Giacomo a Soragna; 1773, angeli per la cornice maggiore e per il trono processionale del Marchetti nell’oratorio di Copermio; 1782, intagli dell’altare maggiore e delle due cappelle laterali nell’oratorio dei Santi Simone e Giuda, tolti nel 1821-1822 (vi donò anche un prezioso paliotto in scagliola, cristalli, agate e madreperle e il baldacchino del Santissimo in cristallo, assieme agli altri confratelli Gaetano Callani e Pietro Bollis).
FONTI E BIBL.: Gabbi, 1819-1824, v. I, 143; B. Colombi, 1975, 54; L’Arte, 1979, 421; G. Godi, 12 dicembre 1980, 3; Aurea Parma 1 1975, 33; Il mobile a Parma, 1983, 260.

CALLANI FRANCESCO 
Milano 7 ottobre 1779-Parma 5 aprile 1844
Figlio di Gaetano e di Angela Gerli. Educato dal padre, pittore e scultore, svolse a Parma la maggior parte della sua attività che fu, più che altro, di restauratore. Lavorò per i Cappuccini di Milano e, a Parma, nelle chiese di Sant’Andrea, Santissima Annunziata e Sant’Antonio abate. Secondo lo Scarabelli Zunti stette ognora nella mediocrità. Di lui non resta nessuna opera. Morì di tisi.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Guida di Parma, 1910; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, V, 1911; A.M. Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1970, 498; Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 733.

CALLANI GAETANO 

Parma 1722/1734
Sacerdote, cantore della Cattedrale di Parma dal 3 maggio 1723 al 25 dicembre 1731 e della chiesa della Steccata di Parma dal 25 marzo 1726 al 1734. Il 12 aprile 1722 il Borra scrisse nella sua Cronaca: Il Sig. D. Gaetano Calani Musico ha celebrato la sua prima Messa nella chiesa de’ Canonici Lateranensi di S. Sepolcro, cantata solenne con Musica di tutti li Musici, e Sonatori con invito di tutti gli Cavaglieri, e Dame, e con concorso di Popolo che ha empito tutta la vasta chiesa; con dispensa à tutti di peregrina poetica composizione. È comparsa la funzione di detta Messa la più celebre sia mai stata à nostro riccordo; riguardo à celebrazione di prima Messa d’un novello Sacerdote.
FONTI E BIBL.: Archivio della Cattedrale, Mandati, 1700-1725, 1726-1747; Archivio della Steccata, Mandati dal 1726 al 1734; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 164.

CALLANI GAETANO 
Parma 16 gennaio 1736-Parma 6 novembre 1809
Figlio di Pietro e di Maria Franzoni, nacque lo stesso giorno in cui morì il padre. Una trascrizione di documenti e di una biografia del Callani, comparsa, a firma M.C. (C. Malaspina), in Il Facchino, I, 1839, n. 38, pp. 277 s., si trova nello Scarabelli Zunti (Documenti e Memorie). Egli ebbe come tutore lo zio paterno Domenico (è detto scultore in un medaglione-ritratto in marmo, a due colori, opera del Callani, nel vestibolo dell’Accademia parmense) e a primo maestro l’abate G. Peroni (1754 c.), il quale avrebbe lasciato che il Callani, almeno per la scultura, guardasse all’arte classica abbandonando la barocca maniera dell’epoca, alla quale non sapeva persuadersi (Janelli, p. 306). Già nel 1755 eseguì per Sant’Andrea a Parma un dipinto con Il Trionfo della Religione (nella chiesa di San Pietro) dove appare la sua preferenza per le composizioni affollate, gli scorci e gli effetti prospettici insieme con una certa capacità di disegno e una ricerca di eleganza che corrispondevano al gusto dell’epoca. Nell’Assunzione per la chiesa di San Bartolomeo l’energia espressiva è stemperata in un generale addolcimento di forme scolorite dall’ammirazione per il Cignaroli, del quale era da poco giunto a Parma un quadro. Nella stessa Chiesa si trova una statua in stucco di San Francesco da Paola. Frequentò gli insegnamenti dell’Accademia di Belle Arti di Parma riportando i premi per il nudo disegnato e modellato nel 1760 e per il disegno di composizione (con il Muzio Scevola) nell’anno seguente. Nel 1762 ottenne ancora una volta un premio per il bassorilievo, con una Morte di Sisara. Fu probabilmente per i buoni uffici del Peroni, impegnato in vari lavori nella chiesa che si andava completando, che il Callani ottenne la commissione delle otto statue con le Beatitudini evangeliche in Sant’Antonio, compiute nel 1764: precoce testimonianza, e citatissima da tutte le fonti locali, della rinascita del gusto greco o piuttosto romano, dato che gli esemplari antichi che il Callani tenne presente erano le statue giulio-claudie di Veleia, esposte a Parma dal 1761 (cfr. Baistrocchi, ms. 120, c. 20). L’ammirazione del Mengs per la grazia contegnosa di queste statue sarebbe stata all’origine, nel 1774, dell’incontro tra i due. Il Mengs, infatti, non voleva credere che il Callani non aveva ancora oltrepassato i confini della sua città. Anche il Piermarini avrebbe invitato il Callani a Milano proprio per aver apprezzato queste statue (Scarabelli Zunti, Documenti). Del 1768 è il quadro con il Bambino Gesù adorato dai Ss. Antonio da Padova, Antonio Abate, Filippo Neri e Maddalena, nella prima cappella a sinistra della parrocchiale di San Giovanni Battista a Bianconese. L’anno dopo, per l’Annunziata di Parma, il Callani terminò tre statue in gesso delle quali restano il Profeta Isaia (firmato) e il San Giovanni Battista (questo nella chiesa di San Giuseppe), mentre l’Immacolata fu rubata nell’Ottocento. Nel 1772, in occasione della beatificazione di Paolo Burali, il vescovo di Piacenza, Alessandro Pisani, fece affrescare la cappella del braccio destro del transetto della Cattedrale di Piacenza dedicata ai santi vescovi piacentini: il Callani collaborò con A. Brianti animando gli ornati con due Virtù e un gruppo di angeli andati perduti (Arisi). Dipinse inoltre il Beato Burali tra i santi vescovi, sopra la porta d’ingresso del braccio sinistro del transetto, il cui bozzetto è conservato nella sacrestia inferiore. L’anno dopo firmò Callani scultore il quadro con Sant’Eligio che fa l’elemosina ai poveri, in San Pietro a Parma, dove la sobria compostezza delle figure, l’attenzione minuziosa ai particolari decorativi e il colore brillante fanno pensare al Bedoli. Dal 1774 il Callani fu a Milano, a decorare il salone (finito nel 1776) disegnato dal Piermarini, del Regio ducal palazzo che, per le quaranta figure maschili e femminili alternate a sostegno della balconata che gira intorno alle pareti, fu appunto detta sala delle Cariatidi (quasi distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale: si vedano riproduzioni in G.C. Bascapé, Il Regio ducal palazzo, Milano, 1970, pp. 67, 106 s., 112, 118). Con questa opera il Callani porta a Milano il gusto neoclassico nella preziosa interpretazione parmense-francese, specie negli interni e realizza quella cooperazione tra architetti, decoratori e pittori che sarà un carattere peculiare del neoclassicismo lombardo (S. Samek Ludovici, in Storia di Milano, XIII, Milano, 1959, p. 601). È sostanzialmente ancora da scoprire l’attività del Callani a Milano: irreperibile una scultura colossale, Cleopatra con l’aspide (a mezzo busto), che il Callani avrebbe fatto nel 1777, si crede per il Kaunitz, ministro della Regina d’Ungheria (Scarabelli Zunti, Documenti). Lo Scarabelli Zunti rammenta ancora un affresco con Giove, Giunone e il Sonno in casa Greppi, una Crocifissione con le Marie dolenti e San Girolamo per la Regina del Portogallo, un Compianto di Cristo a fresco in Santa Maria Maddalena, un busto della Religione per il Cardinale Giuseppe Pozzobonelli. Il 21 maggio 1775 il Callani fu nominato dalla Corte parmense pittore e scultore di corte con l’annuo soldo di 6000 lire parmigiane, e ciò probabilmente per contrastare una analoga chiamata alla Corte di Vienna, come risulta dalla corrispondenza tra il Callani stesso e il ministro Giuseppe Sacco. Nel 1775 l’Appiani, insieme con il Piermarini, fece il nome del Callani quale professore di scultura per la nuova Accademia di Brera, ma il Callani rinunziò dopo alcuni mesi (cfr. Storia di Milano, XIII, p. 546 nota). Il 15 maggio 1788 il Callani, già direttore con voto della Reale Accademia di Parma (30 maggio 1776), fu aggregato a pieni voti, come accademico d’onore, alla Clementina di Bologna (Bologna, Accademia di Belle Arti, Atti, ad annum, p. 269) e l’11 settembre 1794 ricevette da Ferdinando III, Granduca di Toscana, il diploma di accademico professore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il 17 dicembre 1780 il Callani lasciò Milano e, dopo un breve soggiorno a Genova, giunse a Parma il giorno di Capodanno del 1781, giusto in tempo per assistere all’incendio della propria casa in Borgo Riolo, con conseguente distruzione dei suoi modelli primi ed importanti che si aveva formato in iscoltura ed in pittura ed inoltre quelli che si era acquistati con molto dispendio. Ritornato per breve tempo a Milano, ripartì poi alla volta di Roma assieme al cognato, il pittore ornatista Agostino Gerli. A Roma si trattenne all’incirca sei o sette anni, certo interrotti da periodici ritorni in patria. Lo Scarabelli Zunti riferisce dei rapporti d’amicizia tra il Callani e il D’Azara e delle commissioni cui il Callani attese con successo durante il suo soggiorno romano: una pala con San Giacomo per una chiesa di Arpino, una Fedeltà coniugale inviata a Parma al ministro Cesare Ventura, un Leonardo da Vinci, con molti emblemi esprimenti il sapere di quel grande artefice per un nobiluomo inglese (di cui la Biblioteca Palatina di Parma conserva il disegno preparatorio, pubblicato dalla Allegri Tassoni), un Giudizio di Paride per la Corte russa, che gli meritò un invito, rifiutato, di recarsi a San Pietroburgo, con grandiose promesse. Al periodo romano risalgono anche gli studi e la prima stesura del grande Compianto di Cristo dell’Accademia di Belle Arti di Parma, ordinato dal duca Ferdinando di Borbone e ancora non del tutto compiuto alla morte del Callani. Il suo stile pittorico, dopo questo viaggio, non subì modificazioni apparenti: rimase piacevolmente elegante, freddo e costruito, attento al particolare ornamentale, con una predilezione per tinte schiarite e con frequenti citazioni dal Parmigianino e dal Correggio. Tornato a Parma, vi si stabilì, aprendo uno studio di pittura e scultura (nella nuova casa al n. 2 di via San Giovanni) molto frequentato e insegnando all’Accademia. Tra le opere di pittura reperibili si ricordano: Sant’Antonio da Padova che riceve Gesù Bambino da San Giuseppe (1781), nella Parrocchiale di San Lazzaro a Piacenza (Buttafuoco, p. 243), mentre nel Seminario della stessa città è conservato il Sacro Cuore che appare a Sant’Alessandro, già nella chiesa omonima (Buttafuoco, p. 81), un ritratto del Cappuccino A. Turchi nel vescovado di Parma, un San Lorenzo da Brindisi (1782-1783, nella Galleria Nazionale di Parma), accademico e convenzionale come i Beati Nicola Longobardi e Gaspare de Bono (1786 c.), della stessa galleria. Nel 1790 consegnò lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, per la rinnovata chiesa parrocchiale di Villa Cadé. Si strinsero in quei tempi i rapporti di reciproca stima e amicizia col duca di Parma Ferdinando di Borbone, per incarico del quale il Callani, assieme al Rosaspina, a Biagio Martini e al pittore portoghese Francesco Vieira, compì un sopraluogo alla Camera di San Paolo, la cui visita era preclusa per la clausura del convento (16 giugno 1794). Più tardi, durante l’occupazione napoleonica, il Callani si oppose a che l’amministratore francese Moreau de Saint-Méry visitasse i preziosi affreschi senza la prescritta dispensa pontificia e perciò venne sospeso (5 dicembre 1803) da ogni funzione accademica. Il Callani lavorò anche a Colorno, probabilmente nel Palazzo ducale e soprattutto nella chiesa di San Liborio, eseguendo il quadro dell’altare maggiore con San Liborio che predica (1777), lodato anche dal Mengs per lo spicco delle figure (Scarabelli Zunti, Documenti), e, nel 1796, un quadro per coprire la nicchia della Vergine con Quattro angeli portanti il nome di Maria e sedici quadretti ovali con i Misteri del Rosario. Per questi lavori, a causa della morte del Duca, non gli venne pagato il compenso pattuito e nel 1802 il Callani ne fece ancora richiesta (Scarabelli Zunti, Documenti). Per Parma dipinse anche un Gesù che istituisce l’Eucarestia (San Rocco) e il lodatissimo quadro con l’Incontro di San Francesco da Paola e Luigi XI (1799) per la chiesa di San Francesco da Paola (dopo il 1821 in San Vitale). Anche qui i modi un po’ freddi del Callani si compongono in figure compassate e in colori attenuati. È del 1800 la Madonna che copre Gesù addormentato (Scarabelli Zunti, Memorie), per Ludovico di Borbone. Una grande Deposizione (all’Accademia di Parma, con il relativo bozzetto), eseguita con sfoggio di erudizione, nella scelta degli ornamenti degli astanti, e di scienza anatomica, è una delle sue ultime opere. Secondo il Buttafuoco (p. 263), nel 1804, in occasione del viaggio del Papa in Francia, venne commissionato al Callani un Ritratto di Pio VII e un grande quadro celebrativo della Famiglia Scotti ricevuta dal papa (il figlio del Callani, Francesco, si recò dal Papa per studiare i soggetti che il Callani tradusse nel dipinto). Nel 1777 il Callani sposò Angela Gerli, sorella di Agostino. Dei loro figli furono artisti Maria e Francesco.
FONTI E BIBL.: Parma, Galleria nazionale: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, ms., VIII-IX, ad voces; E. Scarabelli Zunti, Chiese e conventi, ms., ff. 45, 56v., 74, 267v.; E. Scarabelli Zunti, ms. 116, Memorie intorno alla vita di Gaetano Callani; ms. 130: R. Baistrocchi-A. Sanseverino, Biografie di artisti parmigiani, 28; ms. 120: R. Baistrocchi, Guida pei forestieri a riconoscere le opere più insigni di Parma, 20, 66; I. Affò, Il Parmigiano servitor di piazza, Parma, 1796, 108, 116, 166; P. Donati, Nuova descrizione della città di Parma, Parma, 1824, 55, 87, 102 s., 113, 162 s.; S. Ticozzi, Dizionario degli architetti, I, 1830, 247; L. Bertoluzzi, Nuovissima guida di Parma, Parma, 1830, 5, 12, 17, 93, 158, 183; A. Buttafuoco, Guida di Piacenza, Piacenza, 1842, 81, 243, 263; C. Malaspina, Nuova guida di Parma, Parma, 1869, 71, 74, 104, 114, 124; Catalogo della raccolta di disegni donata dal professor E. Santarelli, Firenze, 1870, 813 s.; P. Martini, Guida di Parma, Parma, 1871, 20, 35, 131, 136, 161; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 88 s., 306; N. Pelicelli, Guida di Parma, Parma, 1906, 135, 139, 141, 199, 218; L. Cerri, Piacenza nei suoi monumenti, Piacenza, 1908, 38, 182; G. Nicodemi, La pittura milanese nell’età neoclassica, Milano, 1915, 32, 41, 73; Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, Provincia di Parma, Roma, 1934, ad Indicem; A.M. Bessone, Scultori e Architetti, 1947, 111; G. Copertini, I rapporti di P. Batoni con Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 4, II 1949-1950, 145; Enciclopedia Pittura Italiana, I, 1950, 481; G. Allegri Tassoni, Mostra dell’Accademia, Parma, 1952, 31, 34, 36; F. da Mareto-S. da Campagnola, I cappuccini a Parma, Roma, 1961, 65; E. Arisi, Il seminario di Piacenza, in Biblioteca Storica Piacentina XXXIV 1969, 460 s.; G. Bertini, I quadri della real chiesa di San Liborio a Colorno, in Aurea Parma LIV 1970, 189 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, V, 401; Enciclopedia Italiana, VIII, 421; P. Ceschi Lavagetto, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 732-734; Arte a Parma, 1979, 173-175.

 CALLANI MARIA
Milano 15 agosto 1778-Parma 9 febbraio 1803
Figlia di Gaetano e di Angela Gerli. La Callani visse in un ambiente artistico particolarmente formativo: era infatti nipote da parte della madre dell’architetto Agostino Gerli, un’autorità, con Giuseppe Bossi, nella Milano del Settecento, che le fece da guida negli anni in cui il padre lavorò a Roma e a Firenze. Gaetano Callani, dopo aver fondato l’Accademia di Brera, fece ritorno a Parma chiamato dall’Accademia della città natale. La Callani, dotata d’ingegno precoce e di una viva attitudine all’arte, con il padre continuò la sua formazione studiando i capolavori del Rinascimento italiano e copiando stampe e disegni. Secondo Scarabelli Zunti (Documenti) avrebbe dato le prime prove di disegno durante il lungo soggiorno del padre a Roma. Lo stesso autore cita il Ritratto della contessina Mazzucchini (Parma, Museo Lombardi), di gusto ancora settecentesco, e i ritratti di Alessandro e Stefano Sanvitale (dispersi). Firmato e datato 1799 è il ritratto del francescano L. Antonio Negroni in cui, accanto allo sforzo un po’ scolastico di sfoggiare la propria bravura tecnica, è apprezzabile una certa incisività dei tratti fisionomici oltre a solidità di impianto della figura. Le doti della Callani furono confermate dalle opere successive, due Autoritratti, l’uno (1800) a Milano (Galleria nazionale d’arte moderna), l’altro, in veste greca (firmato e datato 1802), a Parma (Galleria nazionale; studio a carboncino, nella Pinacoteca Stuard). La cultura neoclassica e l’osservazione delle opere dell’Appiani, del Giani e probabilmente dei Francesi, portò la Callani a esprimersi con una forza incisiva e un rigore conciso, lontani da taluni dolciastri accenti del padre. Anche nei ritratti del Padre e in quello più debole della Madre (Parma, Galleria nazionale) la capacità di osservazione dal vero e la sicurezza di impianto e una sensibilità cromatica notevole riescono a imporsi su certi richiami culturali e su certe freddezze accademiche. Nel 1800 dipinse il suo unico quadro di grandi dimensioni: Il battesimo di Cristo, per la Chiesa di Quartarolo, vicino a Piacenza. Esposto a Parma, questo dipinto meritò molti elogi. Il quadro è analogo a una tavola grande da altare commissionatale per Santa Maria di borgo Taschieri a Parma. Michele Colombo, in una nota manoscritta del 1853 contenente le Memorie intorno all’opere di Maria Callani, cita poi Un quadretto rappresentante il Santo Bambino nella Parrocchia di Santa Maria in borgo Taschieri, nell’altare dirimpetto alla porta piccola. Nel 1802 partecipò al concorso, bandito a Milano tra tutti i pittori d’Italia, per Un quadro storico od allegorico, nel quale Bonaparte sia il soggetto principale, che sommamente interessi la gratitudine del Popolo Cisalpino, ed in cui venga anche rimarcato il nuovo Foro Bonaparte. Alla Callani toccò il secondo premio di ottocento zecchini (Genio della Pace che incorona d’alloro Napoleone). Vincitore risultò Giuseppe Bossi, al quale ne andarono ventimila. Gli altri tre concorrenti, Aspari, Alberti e Reville ne ricevettero seicento ciascuno. La dettagliata spiegazione del quadro col quale la Callani partecipò al concorso è contenuta in tre pagine di un suo manoscritto. Questo documento, assieme a una lettera datata da Parma l’11 maggio 1802, indirizzata al Cittadino Ministro di Milano (nella quale, tra l’altro, la Callani intima: La sorte del mio quadro qualunque essa sia l’attendo giusta ed imparziale. E, con convinzione dichiara: quantunque la sua perfetta esecuzione sia superiore alla mia età), assieme ad altri scritti della Callani e a quello citato di M. Colombo, apparve in una vendita della Christie’s (Roma, 12 giugno 1985, lotto 662). Nel 1803 eseguì la sua ultima opera, Ebe e l’aquila (Parma, Galleria nazionale), nella quale prevalgono lo studio del Correggio e i modi del padre e del Batoni.
FONTI E BIBL.: S. Ticozzi, Dizionario degli architetti, I, 1830, 247; P. Martini, Guida di Parma, 1871, 62; Il Facchino 1839, 278; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, V, 1911; G. Nicodemi e M. Bezzola, La Galleria d’Arte moderna, Milano, 1935; A.O. Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939; Enciclopedia pittura italiana, I, 1950, 484; G. Copertini, Pittori dell’Ottocento, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1954, 149-150; A.M. Comanducci, Dizionario dei Pittori, 1970, 498; G. Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 12-13; Dizionario Bolaffi Pittori, II, 1972, 396, 398; Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 733; Disegni antichi, 1988, 80-81.

CALLANI PIETRO Parma 1696/1736
Tornitore, fu attivo tra il 1696 e il 1736.
FONTI E BIBL.: G. Bertoluzzi, 306 r (ediz. 1980, 73); E. Scarabelli Zunti, Biogr., 1; Il mobile a Parma, 1983, 260.

CALLEGARI CARLO 
Parma 24 agosto 1817-Parma 19 ottobre 1896
Nacque da Giovanni Battista e da Teresa Cattaneo, milanese. Il padre fu valente professore di disegno nell’Accademia di Belle Arti di Parma. Il Callegari, che era stato avviato allo studio delle scienze matematiche e che stava per laurearsi in ingegneria, fu indotto dal celebre incisore Paolo Toschi (amico fraterno del padre) a darsi all’incisione. Inizialmente fu così allievo del Toschi nella Scuola di Parma. Lasciò poi l’incisione per la pittura di paesaggio. Di lui rimangono alcune sue stampe raffiguranti castelli tra annose querce e molti paesaggi all’acquerello, condotti con belle tinte e con somma verità. Comunque il Callegari, come artista, non superò di molto il grado di buon dilettante. Il Callegari diventò poi segretario intimo del Toschi per la corrispondenza ufficiale e impiegato governativo per l’azienda della Scuola d’incisione, inoltre ottenne la nomina di Segretario della Presidenza della ducale Accademia di Parma. Ma in seguito il cumulo dei due uffici non fu più consentito e Vittorio Emanuele di Savoja decretò, il 29 settembre 1861, che il Callegari entrasse applicato di 4a classe negli Archivi governativi di Parma. Dall’anno 1861 fino al momento del pensionamento (1895), il Callegari avanzò di grado in grado sino a quello di Archivista di Stato di prima classe e di insegnante di paleografia. Fu tenuto in grande stima da Amadio Ronchini, sovraintendente, e dal Vayra, direttore degli archivi. Presiedette per molti anni la Congregazione municipale di carità e promosse l’istituto per l’allattamento. La Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi lo ascrisse tra i soci attivi. Sedette nel Consiglio municipale di Parma, nella Commissione araldica e nella Commissione Conservatrice dei monumenti, di cui fu accademico d’onore.
FONTI E BIBL.: P. Martini, L’arte dell’incisione in Parma, 1873; L. Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; E. Casa, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1897/1898, 225-228; G. Sitti, Archivio Comunale di Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1914; Arte incisione a Parma, 1969, 48; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1970, 499.

CALLEGARI GIAN BATTISTA, vedi CALLEGARI GIOVANNI BATTISTA

CALLEGARI GIOVANNI BATTISTA 
Parma 26 ottobre 1785-Parma 4 marzo 1855
Nato da Carlo e Teresa Bettoli, studiò all’Accademia di Belle Arti di Parma, allievo di Biagio Martini, e poi a Brera in Milano con Giuseppe Bossi. Si acquistò fama di ottimo disegnatore e, tornato a Parma, ebbe a soli ventinove anni la nomina ad accademico d’onore all’Accademia di Belle Arti. Nel 1817 divenne professore aggiunto e due anni dopo consigliere con voto. L’attività di insegnante fu predominante per lui sulle altre e gli acquistò notevole fama anche oltre i confini del Ducato, soprattutto quando introdusse nell’Accademia lo studio dell’anatomia dal vero. Amico del Toschi, ne divenne collaboratore nella serie di incisioni riproducenti le opere del Correggio e del Parmigianino nel Duomo e in San Giovanni a Parma, e in quest’occasione eseguì numerose copie anche ad acquerello, incise poi da altri. Inoltre collaborò all’edizione della Galleria Pitti di Luigi Bardi, fornendo la copia, da Pier Francesco Mola, dell’Apparizione dell’angelo ai genitori di Sansone. All’attività di copia e riproduzione si affiancò, sempre nel campo della grafica, quella di ritrattista, così efficace e celebrata che un famoso disegno con il ritratto di Maria Luigia, inciso poi in due stesure, fu unito per volontà della Duchessa al suo testamento. Noti pure, e notevoli per capacità di esecuzione e vivacità di caratterizzazione fisionomica, sono gli altri ritratti, non tanto forse quello del Conte Neipperg, indebolito dall’obbligo del formalismo di Corte, ma quelli del Chirurgo Rossi (Biblioteca Palatina di Parma), del Barone Cornacchia (Museo Lombardi di Parma), di Angelo Mazza e del Colombo, incisi dal Toschi e dall’Isac. In questa attività il Callegari si mostra tributario del suo maestro Biagio Martini, ma anche dotato di personali qualità espressive. Si misurò pure nel paesaggio (Veduta nelle vicinanze di Mariano, acquerello del 1849, nella Galleria nazionale di Parma) avvicinandosi ai modi del caposcuola dei paesaggisti parmensi, Giuseppe Boccaccio. Minore e di minor valore, rispetto alla sua attività grafica, fu quella pittorica. Nel ritratto di Maria Luigia (Parma, Palazzo della Provincia, quasi distrutto dalla guerra, ma restaurato), guardò al più famoso ritratto del Borghesi, pur non raggiungendone l’eleganza. E nel quadro di Amore con freccia, manierato e lezioso puttino riccioluto (Parma, Galleria nazionale), oltre che del Borghesi è presente il ricordo del Correggio e delle molte esercitazioni accademiche eseguite sugli antichi. Meglio si rivelano le doti del Callegari nel ritratto di Frate (Galleria nazionale di Parma), poco leggibile a causa di vaste cadute di colore. L’attività di insegnante durò intensa: ebbe come allievi I. Affanni e T. Bandini, e persino il Bertolini si recò a Parma a osservare le sue tavole di anatomia (studi di nudi in terracotta della sua scuola si conservano all’Accademia di Belle Arti). Essa dovette cessare solamente quando il Callegari perdette la vista di un occhio, a causa della fatica sofferta durante la copia degli affreschi del Correggio della cupola del Duomo di Parma. Ma, a detta di un biografo (Janelli), non si perse di coraggio, anzi solea gloriarsi scherzando d’esser divenuto invalido nel campo di battaglia.
FONTI E BIBL.: Parma, Galleria nazionale: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane (ms. secolo XIX), IX, ad vocem; Parma, Archivio dell’Accademia di Belle Arti, Lettere al Direttore 1816-1819, ms.; C. Le Blanc, Manuel de l’amateur d’estampes, I, Paris, 1854, 564; P. Martini, Intorno al professor Giovanni Callegari, memoria, Parma, 1855; P. Martini, La scuola parmense delle Arti Belle, Parma, 1862, 19, 25; C. Malaspina, Nuova guida di Parma, Parma, 1869, 170; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 89 s.; P. Martini, Guida di Parma, Parma, 1871, 167-171; C. Ricci, La Regia Galleria di Parma, Parma, 1896, ad Indicem; A. Melani, Nell’arte e nella vita, Milano, 1904, 276; G. Copertini, Pittori parmensi dell’Ottocento, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 4, VI 1954, 131, 140, 143, 144, 147; R. Cattellani, Giovanni Battista Callegari, amico ed emulo del Toschi, in Gazzetta di Parma 5 settembre 1955; G. Copertini, La pittura parmense dell’Ottocento, Parma, 1971, 18; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, V, 403; L. Servolini, Dizionario illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, I, Milano, 1955, 144; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori italiani moderni e contemporanei, I, Milano, 1970, 499; P. Ceschi Lavagetto, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 737-738; Arte a Parma 1979, 201.

CALLEGARI GIUSEPPE MARIA ANGELO 
Parma 12 gennaio 1785-Parma 16 luglio 1829
Nacque da  Carlo e da Maria Teresa Bianchi, quinto di sei fratelli. Fu verificatore aggiunto del Controllo e delle Ipoteche, coadiuvando il padre, che era direttore di quell’ufficio. Sposò Rachele Zambrelli, dalla quale non ebbe figli. Il Callegari fu buon poeta dialettale. Gli argomenti troppo liberi delle sue poesie hanno fatto sì che esse siano rimaste sempre inedite, benché abbiano avuto una discreta diffusione. Nel 1900 o 1901 fu edita alla macchia, senza indicazione della tipografia e senza anno, la Buja di Cavciolen, la più popolare ma anche una tra le più oscene poesie del Callegari. Degno di nota è che la leggiadria della forma e la spontaneità del verso sono maggiori là dove appunto l’argomento è più lubrico e più sfacciatamente impudico. Il Biondelli, che ne conobbe le poesie, scrisse che Parma aveva trovato in lui un poeta atto, per distinto ingegno, per forza d’immaginazione e potenza creatrice, a sollevare la propria al rango delle culte letterature vernacole. Ma per mala ventura questi squarci veramente poetici, anziché rivolgersi astrattamente contro i vizii che reprimono, o si scagliano senza maschera contro persone viventi o conosciute, o sono macchiati di lubriche immagini e d’osceni concetti, per i quali non solo fu loro interdetta la luce, ma vengono meno anche quelle poetiche grazie che li renderebbero in singolar modo commendevoli. Tra le migliori poesie del Callegari sotto il rispetto letterario sono: El Gocciareul, Il furberj del Marches Bergonz, La buja di Cavciolen, Il Sartoreini, El matrimoni del Dottor Fava, El Pittour, El Mond Noeuv. La facilità e spontaneità del verso, il brio dello stile, l’efficacia dell’espressione mostrano nel Callegari buon ingegno poetico e lo fanno per molti aspetti superiore al Galaverna. Egli si sarebbe acquistata non piccola fama nel campo della poesia dialettale, se la sua Musa, sollevandosi dal fango e dalle brutture, si fosse volta a cantare sereni ideali e civili propositi (Boselli). Morì a soli 44 anni con evidenti segni di squilibrio mentale (paralysi corruptus ac stupidus), in causa di malattie contratte o dei rimedi troppo energici con cui allora si curavano.
FONTI E BIBL.: A.M. Boselli, Testi dialettali, 1905, 23-24; J. Bocchialini, Dialetto vivo, 1944, 55; L. Grazzi, Parma romantica, 1964, 41-42; Aurea Parma 3 1981, 296.

CALLEGARI GUIDO VALERIO, vedi CALLEGARI VALERIANO GUIDO

CALLEGARI MARCO GENESIO 
Parma 6 settembre 1509-1574
Figlio di Valentino e Flora. Fu architetto, intagliatore e scultore. Realizzò le ante dell’organo nella Cattedrale di Parma.
FONTI E BIBL.: A.M. Bessone, Scultori e architetti, 1947, 113.

 CALLEGARI NONO
Parma 1549
Figlio di Valentino. Intagliatore d’ornati attivo nell’anno 1549.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 223.

CALLEGARI VALENTINO 
Parma 1500
Intagliatore d’ornati attivo nell’anno 1500.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 223.

 CALLEGARI VALERIANO GUIDO 
Parma 1876-post 1941
Laureato in lettere. Fu studioso di storia americana, conferenziere e archeologo. Autore di circa duecento memorie sulla preistoria delle Americhe e su problemi geografici apparse in riviste italiane e straniere, fu dapprima assistente di geografia nella Regia Università di Padova (1907) e poi insegnò antichità americane nell’Università Cattolica di Milano dal 1926 al 1941. Fu collaboratore dell’Illustrazione Italiana, del Secolo XX, della Cultura, della Rivista di Storia antica, degli Atti dell’Accademia degli Agiati di Rovereto e del Bulletin de la Société Astronomique de France. Pubblicò, tra l’altro, I Ladini (Trento, 1903), Una leggenda delle Lipari (Padova, 1904), Il Druidismo nell’antica Gallia (Padova, 1905), Il Mare, origine della grandezza dei popoli (traduzione da F. Ratzel, con note, Torino, 1906). Fu socio dell’Accademia degli Agiati. Possedette importanti opere antiche e moderne relative alla storia dell’astronomia e della geografia.
FONTI E BIBL.: T. Rovito, Dizionario letterati e giornalisti, 1907, 54; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1179.

CALLETTI GIAMBATTISTA, vedi CALLETTI GIOVANNI BATTISTA

 CALLETTI GIOVANNI BATTISTA Parma marzo 1605-

Non aveva ancora compiuto quindici anni allorché pubblicò Nel nascimento del serenissimo prencipe Francesco Maria Farnese Idilio cantato dal fiume Parma Di Don Gio: Battista Calletti Parmegiano. In Parma, appresso Anteo Viotti, 1619. Quest’opuscolo di 12 carte compresa l’ultima bianca fu dedicato dal Calletti agli Anziani di Parma il dì 30 di Settembre 1619. L’esemplare posseduto dalla Biblioteca Palatina di Parma ha le armi del Comune e il contorno del frontespizio colorati e dorati. Nella dedicatoria il Calletti dice essere questo Idilio il primo fiore del suo verde Aprile, anzi del mese avanti non havendo ancora compiuto tre lustri. Questo componimento è preceduto da un sonetto dello stesso autore. Il titolo onorifico di Don che si dà al Calletti nel frontespizio indica che egli appartenne a famiglia distinta.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 931.

CALLISTRATUS Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Di condizione probabilmente schiavile, fratello di Politicus servus publicus, cui dedicò, insieme alla co<n>iu(n)x Victoria, un’epigrafe, poi perduta. Callistratus è cognomen grecanico diffuso per schiavi e liberti, documentato forse in questo solo caso in Cispadana, raramente in Cisalpina oltre il Po.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 67.

CALLOUD ENRICO Parma 19 settembre 1770-Genova 1810 c.

Nato da Jean-Paul e da Marianne Sabatier, francesi che presero domicilio a Parma. Laureato dal professore di anatomia Michele Girardi, fu assistente di clinica del Rubini. Studiò medicina anche in Pavia, ove si trovava negli anni 1790-1792. Il suo maestro Michele Girardi volle apporre il nome del Calloud quale autore di un opuscolo, opera in realtà dello stesso Girardi, indirizzato al Rubini: Lettera di Enrico Calloud al Sig. Pietro Rubini M.F. intorno ad una controversia riguardante la vaginale del testicolo, ed altre scoperte anatomiche. (Parma, 1789, Rossi e Ubaldi). Morì a Genova, ove si era recato quale medico di un reggimento francese, nell’Ospedale militare di Sampierdarena.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 1833, 647.

CALLOUD GIAN PAOLO, vedi CALLOUD GIOVANNI PAOLO

CALLOUD GIOVANNI PAOLO 
Parma 11 novembre 1811-Parma 25 agosto 1878
Nacque da Giuseppe, francese, cappellaio di Corte, e da Teresa Barbieri. Ricevette i rudimenti letterari nel collegio Lalatta di Parma dall’abate G. Taverna e da L.A. Melegari, poi ministro degli Affari Esteri nel primo gabinetto Depretis. Compromesso nei moti del febbraio 1831, fu confinato nel vicino Comune di San Secondo, ove si dedicò allo studio della recitazione. Tornato a Parma in seguito alla morte del padre, egli esercitò la professione del commerciante per otto anni, continuando però a coltivare la sua inclinazione scenica. Nel 1839, quando la Regia compagnia sarda giunse a Parma in tournée, il suo direttore G. Bazzi, intuendo le non comuni qualità del Calloud, lo scritturò come amoroso e brillante. Esordì al Teatro Re di Milano, dove nel novembre la critica notò che il suo talento non era stato debitamente messo a profitto ne Il bugiardo di C. Goldoni e in Agnese di Fitz-Henry di F. Casari. Nel marzo 1840, sempre al Teatro Re, dette un’interpretazione dignitosa de Il vagabondo e la sua famiglia di F.A. Bon. Nella stagione 1841-1842 figurò come caratterista nella compagnia di A. Lipparini, cogliendovi i primi successi. Nella Quaresima del 1846 comparve in ditta con C. Fusarini e C. Marchi al Teatro La Pantera di Lucca, sempre come caratterista, e recitò in drammi di sentimento (Maria Giovanna di A. Dennery e A. Mallian, La signora di Saint-Tropez del Dennery e di A. Anicet-Bourgeois), tragedie di argomento medievale (Pia dei Tolomei e Buondelmonte e gli Amidei di C. Marenco, Francesca da Rimini di S. Pellico), commedie romantiche (Il bicchier d’acqua di E. Scribe, Le educande di Saint-Cyr di A. Dumas padre, A. de Leuven e L. Brunswick), commedie goldoniane (La locandiera, La Pamela), riscuotendo la devota ammirazione del primo attor giovane E. Rossi. Nel settembre dello stesso anno, a Genova, G. Modena si unì alla compagnia partecipando alle recite del Teatro Sant’Agostino. Essendosi questa sciolta nel 1847 per il matrimonio di Letizia Fusarini, il Modena formò una compagnia nuova, della quale egli fu direttore e il Calloud capocomico. Nonostante fosse diverso per carattere (significativi i nomignoli e i giochi di parole con cui lo gratificò), il Modena nutrì una sincera amicizia verso il Calloud, come attesta la copiosa corrispondenza intrattenuta con lui dal 1842 al 1860. In una lettera datata da Livorno il 18 marzo 1849 e spedita a Parma, così perora: Tu ti perdi gettandoti ora sul teatro. Pensiamo all’Italia per ora e non badiamo alle nostre miserie (effettivamente, dominato dal fervore patriottico, il Modena trascura i suoi attori che, a lungo inattivi, contendevano il tozzo di bocca ai comici di altre compagnie erranti). Dal 1851 al 1860 il Calloud rimase con la compagnia romana di L. Domeniconi ed ebbe agio di affinare le proprie capacità studiando trucco, portamento e voce di una ricca galleria di personaggi minori. Nel gennaio 1854 partecipò, al Teatro Valle di Roma, alle rappresentazioni de La famiglia dell’armaiolo di D. Chiossone, di Amante e madre e Gabriella la zingara di T. Gherardi Del Testa e nel febbraio successivo alla prima de Il padiglione delle mortelle dello stesso (rappresentato per dieci sere), in cui, malgrado il successo d’insieme, non dette un’interpretazione misurata del suo personaggio. Felicissima riuscì, invece, la caratterizzazione di Michonnet in Adriana Lecouvreur dello Scribe e di E. Legouvé, portata trionfalmente in tournée in Sicilia nella stagione estiva. Nell’ottobre, in prima al Teatro Rossini di Livorno, cadde, per l’impreparazione degli interpreti, La diplomazia nel matrimonio del Gherardi Del Testa, commedia di stampo goldoniano che non meritava la condanna cui la votò l’infelice messinscena. Nel gennaio 1857 al Teatro del Cocomero di Firenze il Calloud ottenne un lusinghiero successo in Battaglia di dame dello Scribe e in Clelia o La Plutomania di G. Gattinelli e fu applaudito ne La serva amorosa e ne La locandiera del Goldoni, mentre il 25 ottobre nella prima ripresa de La satira e Parini di P. Ferrari ricevette i più memorabili elogi della sua carriera: il personaggio del marchese Colombi riuscì una sua creazione personale (intuito il tipo dell’ignorante presuntuoso, seppe tenerlo su un tono di serietà e di sussiego che convinse ed esilarò il pubblico). Nella prima di Egoismo e buon cuore del Gherardi Del Testa (Teatro Valle di Roma, 25 gennaio 1859) impersonò il protagonista con dignità. Nel Mausoleo d’Augusto recitò in Cuore ed arte di L. Fortis nel luglio successivo. Rilevata la compagnia romana da A. Belotti nel 1863 e da A. Diligenti nel 1869, il Calloud vi proseguì la sua attività di caratterista in ditta con quest’ultimo (l’interpretazione del Nerone di P. Cossa al Mausoleo d’Augusto, il 15 maggio 1872, rimase la sua ultima prestazione notevole), affrontando anche una tournée nel Medio Oriente. Alla fine dell’anno ritornò a Parma ove, affittato il politeama Reynach, dal 1873 allestì spettacoli drammatici, musicali e gare sportive, sopravvivendo alla sua fama. Attore discontinuo ma non mediocre, fu portato da una certa esuberanza di temperamento a caricare le parti affidategli di significati che non avrebbe giustificato se le avesse meditate, quando addirittura non contribuì a involgarirle (ma una parte del demerito va attribuita senz’altro allo studio frettoloso dei copioni, imposto dal gran numero di opere in repertorio e dalla necessità di toccare, nell’arco di un’attività che non consentiva che rari riposi, il maggior numero di piazze possibili). Fu grande nelle commedie e nelle farse (che predilesse nelle sue beneficiate) e vi prodigò tutte le sue risorse. Al contrario, quando non riusciva a entrare nel suo personaggio, ne recuperava le battute dal suggeritore.
FONTI E BIBL.: Il Pirata 15 novembre 1839, 13 marzo 1840, 23 febbraio 1841; L’Arte 14 gennaio, 18 febbraio, 26 aprile, 7 giugno e 28 ottobre 1854; Lo Scaramuccia 17 e 24 gennaio, 31 ottobre e 12 dicembre 1857, 6 febbraio e 31 luglio 1858; L’Arte drammatica 25 maggio, 7 e 21 dicembre 1872, 21 giugno 1873, 31 agosto 1878 (necrologio); F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti drammatici, Torino, 1860, 101 s.; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, Genova, 1877, 91; E. Rossi, Quarant’anni di vita artistica, I, Firenze, 1887, 14, 16, 22-24, 37 s.; G. Modena, Politica ed arte - Epistolario con biografia (1833-1861), Roma, 1888, 29 s.; Epistolario di G. Modena, a cura di T. Grandi, Roma, 1955, ad Indices; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze, 1897, 548 s.; Enciclopedia Italiana, VIII, 441 (voce di A. Manzi); N. Leonelli, Attori tragici - Attori comici, I, Milano, 1940, 190 s.; Enciclopedia degli Spettacoli, II, coll. 1519-1520; S. Sallusti, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, 1973, 774-775.

CALONGA PAOLO Porlezza 1822/1831
Fu medico condotto a Compiano e nel 1831 ebbe l’incarico di curare gli studenti detenuti in quel castello (allora prigione di Stato) per motivi politici: erano stati incarcerati per aver preso parte a una manifestazione in onore di Macedonio Melloni che aveva dovuto lasciare l’Università di Parma per i suoi sentimenti antiaustriaci. Ebbe una controversia col Comune di Compiano per tale assistenza, poiché gli amministratori pensavano che il medico non si recava sempre presso i giovani detenuti per motivo di malattia, ma bensì per tenere loro compagnia e divertirli. Prese parte ai moti del 1831 e fu tra coloro che arrestarono, come ostaggi, il vescovo di Guastalla, monsignor Neuschel, e le sue nipoti, dopo lo scontro di Fiorenzuola del 25 febbraio e la cattura da parte delle truppe austriache di 23 guardie nazionali di Parma. È descritto dal vescovo Neuschel come uomo magro, biondo di capegli, destro di corporatura. Fu arrestato il 15 aprile 1831 a Varano de’ Melegari e liberato poi il 29 settembre successivo, col precetto di fissarsi ove avrà permesso di esercitare la sua professione e non dove si trovassero il vescovo di Guastalla e le sue nipoti. Nel 1822 aveva ottenuto la cittadinanza parmense.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 153; U.A. Pini, Vecchi medici, 1960, 28-29; U.A. Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 5-6.

CALUNGA PAOLO, vedi CALONGA PAOLO

CALVANI ANGELO Roma 12 aprile 1923-Parma 20 maggio 1995

Dopo la laurea in architettura conseguita a Roma, frequentò il corso di specializzazione in restauro dei monumenti. Vincitore di un concorso per otto posti di architetto, entrò nel 1958 nell’amministrazione dei beni culturali, di cui percorse poi tutta la carriera, fino al grado di dirigente generale. Il Calvani prestò la sua opera nella Soprintendenza ai monumenti del Lazio, in quella ai monumenti e gallerie dell’Abruzzo e Molise, fu direttore dell’Ufficio di Parma della Soprintendenza ai monumenti dell’Emilia e successivamente soprintendente in Calabria, in Emilia, nelle Marche, ove diresse i restauri dopo il terremoto, e a Firenze. Tra i tanti restauri al suo attivo, sono da segnalare quelli della Cattedrale di Atri, per i quali gli fu assegnato il premio InArch nel 1964, del Palazzo della Pilotta e del Duomo di Parma, del Palazzo Farnese di Piacenza, della facciata e delle sculture di Wiligelmo e Lanfranco nel Duomo di Modena, di San Ciriaco ad Ancona, di Palazzo Pitti a Firenze, del Duomo di Prato. Coordinò poi il restauro della cupola del Brunelleschi a Firenze, intervento che gli valse la medaglia dell’Academie Française d’Architecture. Insegnò restauro nelle università di Reggio Calabria, Bologna e al Politecnico di Torino. Fu membro del Comitato italiano dell’International Council on Monuments and Sites, in seno al quale presentò numerose pubblicazioni, membro del Comitato Tecnico per la redazione delle normative antisismiche del Ministero per i Lavori Pubblici, membro del Comitato nazionale italiano per l’Anno europeo del patrimonio architettonico e docente della Scuola superiore della pubblica amministrazione. Dal matrimonio con Mirella Marini, soprintendente regionale dell’Emilia-Romagna ai beni archeologici, il Calvani ebbe due figli: Caterina e Lorenzo. Fu inoltre membro della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi e organizzò mostre e convegni in Italia e all’estero. Fu commendatore al merito della Repubblica, commendatore al Merito civil di Spagna e presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto italiano dei castelli, organismo per il quale profuse le estreme energie. Ultima fatica, frutto della sua eccezionale esperienza, è il libro Teoria e prassi della tutela, che fu pubblicato dalla Utet.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 maggio 1995, 8.

CALVI ALESSANDRO 
Parma 1856-1904
Figlio di Carlo, coltivò come ingegnere gli studi sulla tecnica ferroviaria e sui sistemi di bonificazione. Fu presidente del manicomio di San Lazzaro di Reggio Emilia e presidente dell’Istituto Garibaldi per i ciechi.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 251.

 CALVI ANDREA
Montecchio 1705-Parma 1790
Fece i suoi primi studi nella città di Reggio. Trasferitosi a Parma, vi studiò filosofia, giurisprudenza e divinità. Addottorato in leggi, esercitò la professione di avvocato. Insegnò istituzioni giustinianee nel Collegio dei Nobili e Pandette nell’Università. Fu scrittore fiorito ed elegante di orazioni latine e verseggiatore mediocre, ma assai lodato ai suoi tempi. Molte sue orazioni e poesie furono stampate in Parma. Morì povero.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 1833, 654.

CALVI BATTISTA, vedi CALVI GIOVANNI BATTISTA

CALVI CARLO, vedi PABST CARLO

CALVI CARLO Parma 5 aprile 1826-
Figlio di Gaetano e di Giuseppa Bergonzi Pallavicino. Fu guardia nobile del Duca di Modena e presidente della Congregazione di Carità di Reggio Emilia (1844).
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 251.

 CALVI GAETANO Parma 1821 Figlio di Giuseppe. Fu Segretario degli Archivi di Parma sotto Maria Luigia d’Austria (1821).

FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 251.

CALVI GIAN TOMMASO 
Parma 1830
Figlio di Giuseppe. Fu ciambellano con chiave d’oro del duca di Modena Francesco V d’Este. Con chirografo sovrano dell’11 febbraio 1830 fu autorizzato ad assumere il cognome della consorte Faustina dei conti Parisetti degli Omozzoli. Essendo senza discendenti diretti, nominò erede universale il nipote Giuseppe, figlio del fratello Gaetano, al quale con rescritto ducale fu concesso di posporre al proprio il cognome Parisetti Omozzoli dando principio alla famiglia dei conti Calvi Parisetti Omozzoli di Reggio Emilia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 giugno 1996, 5.

CALVI GIOVAN BATTISTA 
Caravaggio ante 1520-post 1576
Architetto civile e militare e ingegnere, lavorò nel 1545 con lo Zaccagni per Pier Luigi Farnese e nel 1547 con il Gianelli nel Castello di Piacenza. Fu poi a Roma al Palazzo Farnese sotto la direzione di Antonio Sangallo. Nel 1576 lavorò per il cardinale Farnese.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, III, 107.

CALVI GIUSEPPE Parma 1679/1692
Soprano, cominciò a servire alla Corte ducale di Parma il 12 maggio 1679, ove lo si trova fino a tutto l’anno 1692. Cantò la parte di Talia nel prologo e di Altegonda principessa Gota sotto il nome di Armindo nel dramma Amalasunta in Italia e quella di Amore in Amore riconciliato con Venere.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Ruoli Farnesiani 1671-1682, fol. 351; 1683-1692, fol. 128, 308; L. Balestrieri, 121, 122; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 137.

CALVI GIUSEPPE MARIA 
Pavia-Parma 1728
Figlio di Antonio Maria Gatti, sarto. Musico, compositore e cantante soprano, fu legato all’attrice Maddalena Wandermer, dalla quale pare fosse mantenuto. Entrò a tal punto nelle grazie del duca Ranuccio Farnese che suscitò invidie e pettegolezzi da parte di tutta la Corte di Parma. G. Cirillo e G. Godi (Il trionfo del barocco a Parma, Silva, 1989), riprendendo il Freschot, raccontano che il Duca, dopo aver ospitato il Calvi e la Wandermer a palazzo, conviventi more uxorio, per lo sconveniente modo di vivere di lei la fece ritirare in monastero (da dove uscì andando sposa al pittore Ricci). Nel 1685 il Calvi ottenne la cittadinanza parmense e dal duca Ranuccio Farnese fu innalzato al grado di suo maggiordomo. Nel 1688 gli fu assegnato il dazio di entrata dei bozzoli in Piacenza. Possedette beni nel Pavese e nel Milanese. Fu dal duca Ranuccio investito del feudo di Coenzo, Enzano e San Jorio con rogito del notaio camerale Pisani in data 5 agosto 1693 e insignito del titolo di conte. Ottenne pure nel 1700 il titolo di patrizio bolognese. Fu sepolto nella chiesa della Santissima Trinità dei Rossi, ove vivente si era preparato il sepolcro con l’iscrizione tuttora esistente. Lasciò erede universale il figlio di sua sorella Anna, Gian Tommaso Pabst, purché assumesse il solo cognome di Calvi.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 250; Gazzetta di Parma 3 giugno 1996, 5.

CALVI GUIDO Parma 16 febbraio 1827-San Martino Sinzano 29 luglio 1906 Il conte Calvi rappresenta a buon diritto le radici dell’arte fotografica a Parma, avendo messo a frutto il seme culturale lasciato dai dagherrotipisti itineranti. Insieme a Fortunato Lasagna, Filippo Beghi e Carlo Saccani può essere considerato un autentico pioniere parmense della fotografia (praticò anche la dagherrotipia), cui si avvicinò spinto da forte curiosità intellettuale. I suoi interessi in questo campo sono documentati dal 1855, anno in cui pubblicò su La Palestra (giornale di scienze, lettere e arti, edito a Parma) una serie di articoli che testimoniano le solide basi della sua preparazione teorica: Nozioni generali sulla fotografia e sua influenza sulle arti e sulle scienze, Fotografia sulla lastra metallica o Daguerrotipia, Fotografia sulla carta o Talbotipia. Secondogenito di Gaetano dei conti Calvi di Coenzo e della marchesa Giuseppa Bergonzi Pallavicino, egli compì gli studi giuridici presso l’Ateneo parmense. In gioventù frequentò un circo equestre onde perfezionarsi in equitazione, poi si dedicò con entusiasmo a suonare il violino e infine si appassionò all’arte fotografica, che costituiva una assoluta novità. Parte della sua vita fu dedicata interamente alla fotografia professionale. In Parma egli gestì uno studio fotografico in Borgo San Nicolò 21, che dapprima rappresentò solo la meta di amici e conoscenti ma che ben presto divenne pubblico (1859-1860, in Borgo Bondiola 15). Il Calvi guardò attentamente alla Francia, patria riconosciuta della fotografia, e tale sua assiduità risulta anche da una corrispondenza del maggio 1858 tra il pittore parmigiano Guido Carmignani e suo padre Giulio, pittore e tipografo in Parma. Il giovane Carmignani, durante la sua permanenza a Parigi, acquistò una camera fotografica e fece numerose fotografie stereoscopiche che poi colorò utilizzandole come studio preliminare dei suoi quadri. Scrivendo da Bougival egli fa cenno a una commissione affidatagli dal Calvi per il trasporto in Italia di certe lastre (di cui lamenta l’alto costo non meno che la fragilità). Si ha ragione di credere che si trattasse delle lastre fotografiche al collodio, messe a punto nel 1851 in Francia, da Frederick Scott Archer. Il Calvi stesso fu a Parigi tra il 1859 e il 1860 e portò dal soggiorno francese una nuovissima camera da studio, corredata dai migliori obiettivi dell’epoca, e un’altra piccola camera con tutto l’equipaggiamento necessario. La permanenza parigina durò circa un anno e in quel periodo il Calvi conobbe e frequentò lo studio del pittore e fotografo Menut-Alophe, proprio nel momento in cui quest’ultimo rilevò l’Ancienne Maison Le Gray et C.ie, 35 Boulevard des Capucines - Paris. Fu un incontro importante e il Calvi, per ricordare l’occasione, si fece fotografare da Alophe stesso. Da notare che la piccola macchina recata con sé al rientro in Italia portava il marchio a fuoco dell’ottico Charles-Louis Chevalier, membro fondatore, nel 1851, della Société Héliographique, divenuta in seguito (1854) Société française de photographie. A Parma la notorietà del Calvi anche come fotografo fu tale che la duchessa Luisa Maria di Berry cercò più volte di ottenerne un ritratto vedendosi opporre l’intrasportabilità delle attrezzature: forse una scusa che nascondeva la propensione liberale del Calvi, che in ogni caso non fotografò mai la Duchessa. Di temperamento focoso, di idee manifestamente liberali ed ardente patriota, venne fatto imprigionare per alcuni giorni da Carlo di Borbone a causa di una risposta non ortodossa nei confronti del Sovrano. Ugualmente impegnato nella riflessione teorica e nella pratica artistica, amico e collaboratore, tra gli altri, del pittore Francesco Scaramuzza, il Calvi ricevette pubblici attestati di benemerenza in campo culturale e fotografico. In un numero de L’Annotatore (29 ottobre 1859) si legge: Tanto più volentieri diam lode al Signor conte Guido Calvi, cui piace d’occupare si vantaggiosamente il tempo, in quanto che andiam persuasi non bastare nella pratica della Fotografia la cognizione materiale del processo, ma esser pure bisogno a far bene di gusto e di talento, sottolineando come si dovesse proprio al Calvi e al Beghi se l’arte fotografica a Parma aveva raggiunto buoni livelli di qualità. Sposato dal 1857 con Clotilde dei conti Calleri di Sala che gli diede nove figli, il Calvi svolse la più intensa attività professionale negli anni 1861-1862 (nel 1860 aprì lo studio in Borgo della Macina, casa Podestà). Venne premiato con medaglia di bronzo per la lodevole esecuzione della Collezione di ritratti, riproduzioni, vedute all’Eposizione Industriale tenuta in Parma nel 1863. Fino al 1865 il Calvi figura nei registri di matricola della locale Camera di Commercio come fotografo (oltre che possidente) in Borgo Riolo 21, in locali di Francesco Paralupi, suo amico ed estimatore e dilettante di fotografia. Nel 1866 il Calvi, nominato con decreto di Vittorio Emanuele di Savoja (23 marzo 1865) impiegato dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio con funzioni vicarie dell’intendente marchese Ercole Bergonzi Pallavicino, diede una svolta alla sua vita e cedette l’esercizio ad Achille Rusca. Da quel momento si dedicò con grande scrupolo ai compiti amministrativi (l’Ordine Costantiniano di San Giorgio venne definito, sotto la sua reggenza, un gioiello di amministrazione). Dal 1° ottobre 1867 fu Intendente. Attento anche come amministratore delle sue terre e noto per generosità, morì nella sua villa di San Martino Sinzano, nei pressi di Parma, dove era stato anche consigliere comunale.

FONTI E BIBL.: Parma Bell’Arma 10 1973, 160; Aurea Parma 1 1989, 37-38; R. Rosati, Fotografi, 1990, 87-88 e 90.

CALVI LEONE, vedi CALVI PARISETTI LEONE

CALVI MAURO 
Parma 17 febbraio 1827-Cremona ante 1854
Figlio di Gaetano e di Giuseppa Bergonzi Pallavicino. Fu ufficiale nell’esercito austriaco col grado di Tenente. Venne ucciso, per rancori personali, dal conte Crotti mentre usciva da teatro coll’amico Moris. Per intervento del Duca di Parma e della Corte austriaca fu poi fatta pace tra le famiglie Calvi e Crotti.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 250.

CALVI PIETRO Pavia-Parma post 1688 Figlio di Antonio Maria. Con patente ducale del 1688 ebbe il grado di Tenente dei corazzieri del duca di Parma Ranuccio Farnese.

FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 250.

CALVI PIETRO Parma 1730 c.-Genova post 1815 Nacque da Andrea. Si diede con profitto allo studio delle buone lettere, della musica e delle scienze e acquistò fama di buon scrittore in prosa e in versi e di valido geometra e algebrista. Ebbe la stima del celebre padre Venini. Tra le molte poesie che scrisse è un poemetto fescennino in ottava rima intitolato Endimione e Diana, che fu grandemente lodato. Fu lodata anche una sua tragedia intitolata Virginia che presentò al concorso ma che non ottenne il premio, quantunque fosse forse più meritevole del Valsei di Antonio Perabò che lo conseguì. Luigi Uberto Giordani giudicò la Virginia scritta lodevolmente ma priva d’importanza. Il Rezzonico, amico del Calvi, la credette degna di premio e scritta più correttamente di quant’altre fossero state sino allora (1774) presentate alla Deputazione. Nel 1774, accusato di essere un libero pensatore, fu arruolato forzatamente assieme al fratello Giuseppe nelle soldatesche che in Parma si raccoglievano per la Spagna e là inviato. In Spagna entrambi i fratelli ottennero protezioni, mercé le quali furono prosciolti dall’ingaggio. Il Calvi, benché avesse ottenuto il permesso di ritornare in Parma, giunto in Italia si fermò a Genova e non volle approfittare di tale concessione. A Genova contrasse debiti che non poté soddisfare e fu perciò rinchiuso nelle carceri, dalle quali lo trasse la generosità della famiglia Cambiasi, a cui dalla prigione aveva indirizzato un commovente Sciolto. Rimase poi in quella città come poeta teatrale. Oltre le cose indicate e a parecchi sonetti e canzoni sparsi in raccolte, pubblicò in Parma (Carmignani, 1773) una canzone anacreontica assai lunga Al singolar merito dell’egregio Signor Giuseppe Bianchi inventore e direttore dei balli eseguiti dalla Reale Scuola nel Regio-Ducal Teatro di Parma il Carnevale dell’anno 1773. Tradusse (1774) anche in versi e raffazzonò nella tessiture una commedia scritta in prosa dal francese Marnet: Il Discolo ravveduto, Commedia in cinque atti, e in versi.

FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 1833, 654; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 250.

CALVI PARISETTI LEONE 
Parma 26 dicembre 1887-Monte Ortigara 25 giugno 1917
Figlio di Giuseppe e Maria Teresa Tornielli. Conte e Ingegnere, fu Tenente del 2° Reggimento Genio. Fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Durante un contrattacco nemico riuniva i pochi uomini che aveva a portata di mano e di sua iniziativa si recava sulla posizione minacciata fermando e respingendo un nucleo di avversari. Successivamente, accerchiato, si difese col fuoco e poi con la baionetta, finché, colpito al cuore, cadde da valoroso.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 12 luglio 1917; G. Sitti, Caduti e Decorati Parmigiani nella guerra 1915-1918, Parma, Fresching, 1919, 57; Decorati al valore, 1964, 79.

CALZA FRANCESCO Parma 1786
Si affermò nel concorso del nudo dell’Accademia di Belle Arti di Parma del 1786 nella scuola di D. Muzzi.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 74; Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 45; Arte a Parma, 1979, 199.

CALZA LIANA Borgo San Donnino 1908-Salsomaggiore Terme 2 marzo 1998

Figlia del professore Paolo. Sposò Luigi Croci, la cui famiglia a Fidenza gestiva un’attività commerciale nel settore dei tessuti. La Calza risiedette nel Comasco, poi, negli anni Quaranta, si trasferì a Salsomaggiore, presso uno dei figli, Alighieri, ove visse sino alla morte. Laureata in lettere, non esercitò mai l’insegnamento. L’animo nobile e sensibile le ispirò una serie di poesie, date alle stampe in ben tre Quaderni Fidentini, ideati e diretti da Temistocle Corradi: Fiori di campo, apparso nel 1984, i numeri 41 e 42 della collana, pubblicati nel 1996. Molti anni prima aveva pubblicato la raccolta di versi Canzoni di Nigritella (Milano, La Prora, 1939). La Calza fu anche ottima pianista. Fu sepolta a Bobbio.
FONTI E BIBL.: J. Bocchialini, Poeti parmensi: Liana Croci Calza, in Aurea Parma 23 1939, 170-173; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 333; W.P., in Gazzetta di Parma 5 marzo 1998, 21.

CALZA LUIGI 
Roccaprebalza 26 luglio 1879-Cheng Chow 27 ottobre 1944
Nacque da Giuseppe e da Angela Vescovi. Fu allievo nei collegi salesiani di Spezia e Parma prima di entrare nel Seminario Minore di Berceto per completarvi il ginnasio. Percorse i corsi liceali e teologici nel Seminario Maggiore di Parma (1897-1902). Il 5 novembre 1897, sotto la guida di monsignor Ormisda Pellegri, fu il primo allievo di quel seminario a entrare tra i Saveriani. Emise la prima professione il 3 dicembre 1901 (la professione perpetua il 22 ottobre 1921) e divenne sacerdote il 24 maggio 1902. Guidò la seconda spedizione dei Saveriani in Cina (18 gennaio 1904), restandovi per quarant’anni (1904-1944), salvo due interruzioni per viaggi in Italia (nel 1912 e nel 1930-1932). Eletto Prefetto apostolico del Honan occidentale il 21 giugno 1906, quindi vicario apostolico di Cheng Chow (18 settembre 1911), fu consacrato Vescovo di Cheng Chow, nel Duomo di Parma, dal fondatore monsignor Conforti (21 aprile 1912). La sua dedizione alla causa missionaria lo indusse a fondare una congregazione diocesana di suore cinesi denominate Giuseppine. Gli anni del suo episcopato sono documentati dall’opera Prima Synodus Vicariatus Apostolici de Chengchow/Anno Domini MCMXXX celebrata (senza indicazioni tipografiche, 192 pagine+16 di indice, curato separatamente da padre Angelo Poli). Nel 1929, dal vicariato del Calza fu smembrata la prefettura apostolica di Loyang (poi vicariato e diocesi, come era stato della matrice Cheng Chow) e affidata a monsignor Assuero Teofano Bassi, vescovo saveriano, che, dietro l’esempio del Calza, fondò un istituto diocesano di suore cinesi denominate Teresiane o anche Teresine (da Santa Teresa del Bambin Gesù), con analoghi intendimenti e successo societario già sperimentato con le Giuseppine del Calza. Celebre per la sua carità tra tutte le centrali missionarie della Cina (per attestato del Visitatore apostolico del 1924), il Calza con la guerra cino-giapponese soffrì l’internamento e le conseguenze di una interdizione che costò la vita al suo missionario Gino Giovanni Botton (ucciso dai Giapponesi il 30 aprile 1944) e a lui un’angosciante sofferenza nel vedersi quasi impotente a raccogliere qualche frutto spirituale dall’organizzazione apprestata con tanto amore nel suo lungo episcopato (44 anni di missione e 32 di episcopato). Dal 1927 al 1931 il territorio della Missione fu infatti in continuo subbuglio perché si era venuto a trovare al centro della guerra civile allora in atto. La guerra cino-nipponica, durata dal 1938 al 1945, straziò ulteriormente la popolazione già duramente provata anche dalle calamità naturali. La Missione del Calza, che confinava con le sponde sud del fiume Giallo, a ridosso del quale si erano attestati i Giapponesi, fu per lungo tempo un immenso campo di guerra e di profughi. Come non bastasse, per rallentare l’avanzata del nemico, i Cinesi ruppero le dighe sul fiume, allagando distese enormi di pianura. Ci furono centinaia di migliaia di morti e milioni di persone costrette ad abbandonare la propria casa. Molti tra gli sfollati andarono a gravare sul già magro bilancio del Calza, il quale non respinse mai nessuno dalla sua residenza. Carestie ci furono nel 1913, nel 1921 e nel 1943, anni nei quali i decessi per fame furono innumerevoli. Il Calza cercò di aiutare tutti, cristiani e pagani: durante il suo soggiorno in Cina costruì dispensari, centri di assistenza ai poveri, orfanatrofi e ricoveri per vecchi. Fu soprattutto brillante nel campo ospedaliero, sia per quanto riguarda la chirurgia che la medicina. Facendo propria la campagna per la lotta contro la cecità iniziata a Pechino, sostenne per questa specifica branca ingenti sacrifici finanziari: il suo ospedale accolse successivamente specialisti di diverse nazionalità (italiani, inglesi, tedeschi, francesi e polacchi). Comparativamente con altri nosocomi, in quello del Calza si ottennero risultati brillanti, tanto da guadagnarsi un grande rispetto anche da coloro che non vedevano di buon occhio gli Italiani (alleati dei Giapponesi) e i missionari cattolici.
FONTI E BIBL.: Oltre all’edizione postuma delle Lettere di Guido Maria Conforti, arcivescovo-vescovo di Parma, fondatore dei missionari Saveriani, a mons. Luigi Calza, S.X., vicario apostolico di Cheng-chow (Honan, Cina), Parma, 1967, sono usciti numerosi articoli illustrativi e monografie biografiche sul Calza, prevalentemente a cura dei suoi missionari, ma, nell’insieme, di modesta portata critica: A. Chiarel, Il mio vescovo missionario, ricordi personali, Parma, 1945; G. Gazza, Un conquistatore, S.E. mons. Luigi Calza, vicario apostolico di Cheng-Chow, primo vescovo dell’Istituto, Parma 1945; P. Garbero, Il vescovo dei briganti, Parma 1955 (di cui si avvalse anche nella monografia I missionari saveriani in Cina, in I missionari saveriani nel primo centenario della nascita del loro fondatore Guido Maria Conforti, Parma 1965, 253-290. In edizione italiana, cinese, francese e inglese, nel 1936-1937 uscì una partecipazione giubilare per il Giubileo episcopale di S.E. Ill.ma e Rev.ma mons. Luigi Calza (1912-1937), pro costruenda chiesa di Tsingyunly (bibliograficamente notevole, perché stampata in Cina dal comitato promotore, con ritratto del Calza e cenni biografici). Va ricordata l’edizione parmense delle Preces quae recitari solent ab alumnis Seminarii de Cheng-Chow in Sinis, 1926; e ancora A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 273; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 38; I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 184-185; L. Grazzi, in Dizionario Istituti di Perfezione, I, 1974, 1715; Gazzetta di Parma 12 gennaio 1984, 9; Il Seminario di Parma, 1986, 122; Gazzetta di Parma 4 settembre 1991, 16; G.C. Mezzadri, in Gazzetta di Parma 24 ottobre 1994, 5.

CALZAVACCA FRANCESCO Parma 1427/1449 Architetto, ricordato in due rogiti notarili: 12 settembre 1427, Maestro Francesco de Calzavachis con Maestro Nicolò da Ramiano (Rogito Andriolo Riva, Archivio Notarile, Parma); 15 gennaio 1438, Maestro Francesco de Calzavachis, maestro de muro et lignamine eletto a peritare una casa in Parma di ragione della chiesa parrocchiale di San Anastasio (Rogito di Gherardo Mastagi, Archivio Notarile, Parma). È inoltre ricordato tra coloro che nel 1449 giurarono fedeltà e sudditanza a Francesco Sforza (Pezzana, vol. III, pag. 9 dell’Appendice, e II, 447 e 467).

FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 19.

CALZAVACCA GIOVANNI Parma 1430 c.-post 1479 Figlio di ser Bartolomeo, si ignora esattamente quando nacque, ma certo intorno al terzo decennio del secolo XV, da cospicua famiglia aderente alla fazione dei Rossi. Nulla si sa circa gli anni della sua formazione: le fonti riferiscono che fu miles e doctor, ma non dicono dove e quando compì i suoi studi giuridici, addottorandosi in diritto civile, né per quali meriti e in quale momento della sua vita fu insignito della dignità di cavaliere. Sulla base delle informazioni fornite dalle fonti note, è possibile indicare solo alcune tappe della sua vita e della sua carriera di uomo politico, svolta prevalentemente al servizio dei duchi di Milano. Nel 1463 fu membro del Collegio dei giudici di Parma e, in tale veste, il 12 di gennaio, come risulta da un rogito del notaio Martino Ricci, pronunziò sentenza su una causa vertente tra il conestabile di porta San Barnaba, Giacomo de Ripatrenzano, e Gian Benzola Benzoli. Luogotenente di Iacopo Pongolini, avogadro della Mercanzia e del Comune, fu nominato a succedergli nella direzione dell’officium advocationis Parme con missiva ducale dell’11 giugno di quello stesso anno 1463. La lettera di nomina non specifica un limite di tempo alla magistratura parmense del Calzavacca. È lecito quindi ritenere che egli sia stato sollevato da quell’incarico solo nel 1466, quando gli succedette (Pezzana, III, pag. 265) Domenico Bocchi, rettore dell’Ospedale di San Giacomo al Ponte d’Enza. Podestà di Perugia nel 1472, venne confermato nella carica anche per il successivo 1473. Quattro anni più tardi, nel corso dei violenti e sanguinosi disordini che sconvolsero Parma tra la fine di gennaio e i primi di marzo del 1477, la sua abitazione, sita nei pressi di San Moderanno, fu devastata e data alle fiamme da facinorosi ostili alla fazione dei Rossi. Con quella vennero saccheggiate anche altre case di sua proprietà e di proprietà dei suoi fratelli. Dopo la tragica morte di Galeazzo Maria Visconti, assassinato il 26 dicembre 1476, a Parma aumentò pericolosamente la tensione interna, sia per il diffuso malcontento provocato dall’insufficiente approvvigionamento delle granaglie (di cui i grandi proprietari del contado impedivano, per ragioni politiche, il regolare afflusso) sia per i continui e sempre più violenti disordini fomentati dalle diverse fazioni in lotta tra loro per il controllo politico della città. In particolare, le fazioni dei Correggio, dei Sanvitale e dei Pallavicino (le tre squadre dei cronisti coevi) si collegarono per una comune azione contro gli aderenti alla fazione filosforzesca dei Rossi: azione che trasse senza dubbio origine anche da un risveglio dei sentimenti autonomistici, e la sua forza dall’appoggio di Roberto da Sanseverino, accampato con trecento cavalleggeri sotto le mura della città, e dagli sbanditi e dai ribelli fatti rientrare. Del resto, il timore che a Parma, insofferente della dominazione milanese, potesse venirsi a creare uno stato di cose contrario agli interessi degli Sforza traspare già da un dispaccio del 19 febbraio, in cui la reggente ordinò ai funzionari responsabili di far eseguire al più presto i lavori per il riattamento delle mura della cittadella e di provvedere con solerzia ad approntare il necessario indispensabile ad assicurarne la difesa. Fu quindi inviato da Milano un rinforzo di duecento provvisionati agli ordini di Gian Luigi Bossi per il mantenimento dell’ordine pubblico. Ma, nonostante i provvedimenti, del resto poco incisivi e incerti, presi dal podestà Azzone Visconti e dallo stesso Bossi perché le parti venissero a concordia, la situazione non tardò a precipitare. L’uccisione di Michele Lampugnano, fattore del conte Ludovico Valeri, avvenuta nel corso di un tafferuglio, fu la scintilla che provocò l’incendio: per tre giorni le case e le proprietà dei Rossi e dei loro aderenti e simpatizzanti furono saccheggiate dalla plebe tumultuante (2-4 marzo 1477). Fautore dei Rossi e sostenitore con loro di una linea politica di adesione agli Sforza, anche il Calzavacca ebbe, come si è detto, i suoi beni devastati dai dimostranti. Probabilmente il Calzavacca non si trovava allora a Parma, perché non viene ricordato dai cronisti come testimone di questi sanguinosi avvenimenti. E non vi si dovette trovare nemmeno nei mesi successivi, quando le tre squadre, nell’intento di svincolarsi dal dominio sforzesco, offrirono la signoria di Parma a Roberto da Sanseverino prima e a Ercole d’Este poi, né quando assalirono la casa di Branda da Castiglione e minacciarono la vita dello stesso podestà Gian Antonio Sparavaria (giugno-luglio 1477). Nel giugno di quell’anno, infatti, egli dovette già trovarsi a Genova come Podestà. Non è pervenuta la lettera con cui i duchi di Milano affidarono al Calzavacca la podesteria della città ligure: si ignora pertanto la data esatta dell’inizio del suo incarico, data che tacciono anche le fonti narrative. Tuttavia, poiché si sa che il cremonese Giovanni Zucchi, l’immediato predecessore del Calzavacca, fu nominato a die XX presentis mensis ad annum unum (missiva ducale del 6 giugno 1476), cioè per un anno, a partire dal 20 giugno 1476, è ragionevole ritenere che questi fosse scaduto dalle sue funzioni il 19 giugno 1477 e che intorno a tale data gli fosse sottentrato il Calzavacca. Il 3 ottobre di quello stesso anno, come risulta da un rogito del notaro Benedetto Zandemaria, il Calzavacca si trovò nella sua città natale, dove, insieme con gli egregii viri Francesco Centoni, Giacomo Sgai e Sebastiano Zandemaria, ricevette in deposito da Giovan Battista Garimberti, nobiluomo, 220 ducati di camera. Nel documento il Calzavacca è definito spectabilis et eximius miles e doctor legis. Vi si dice anche che è figlio del quondam Bartolomeo: a questa data, dunque, suo padre doveva già essere morto. Difficile situazione fu quella che il Calzavacca dovette affrontare assumendo la sua nuova podesteria. A Genova era governatore ducale Prospero Adorno, un nobile genovese che, già fatto incarcerare da Galeazzo Maria Sforza, era stato liberato dal Simonetta in occasione della rivolta di Carlo Adorno. L’Adorno rientrò nella sua città l’11 aprile 1477, riuscendo a impadronirsi del potere con l’appoggio degli Sforzeschi. L’Adorno mirò tuttavia a svincolarsi della pesante tutela milanese e a farsi proclamare doge sfruttando i persistenti sentimenti autonomistici della popolazione: tentò dunque di accordarsi con Ferdinando di Aragona, che gli inviò denaro e soldati e cercò un riavvicinamento col pontefice Sisto IV. Tali manovre, immediatamente comunicate a Milano, suscitarono i sospetti del governo della reggente, che inviò a Genova Branda da Castiglione con l’incarico di deporre l’Adorno. Il Calzavacca, dal canto suo, se provvide sollecitamente a comunicare a Milano le oscure manovre avviate dall’infido governatore, cercò anche di riaffermare l’autorità ducale sulla città, non esitando a reprimere con forza e decisione inflessibili i disordini fomentati dallo stesso Adorno e a far sciogliere le radunate sediziose: come quando fece processare per direttissima e impiccare sulla pubblica piazza due persone che, nel corso di una manifestazione, avevano inneggiato a un governo dell’Adorno su Genova libera dalla dominazione sforzesca. L’arrivo dell’inviato ducale Branda da Castiglione provocò la rivolta di Genova: la guarnigione sforzesca, con il Calzavacca, si ritirò nel Castelletto, mentre l’Adorno si fece riconoscere doge dal popolo e assunse, con l’assistenza di dodici capitani, il governo della città facendo levare di nuovo gli antichi stendardi della Repubblica (25 giugno 1478). Mentre Roberto da Sanseverino, accordatosi col nuovo doge, entrava nella città con i suoi armati e attraccava nel porto una squadra aragonese condotta da Ludovico Fregoso, la guarnigione sforzesca e il Calzavacca ottennero qualche successo locale, non decisivo però nel quadro generale delle operazioni tanto che, nel luglio, dovettero acconciarsi a patteggiare la resa e sgomberare il Castelletto. Rientrato in Parma, fu scelto dagli Anziani per far parte (accanto al vicario generale dei Duchi di Milano Ruggero Del Conte, a Bartolomeo e a Nicola Gabrieli e a Gaspare Del Prato) del collegio dei cinque sindacatori del podestà (dicembre 1478): segno dell’influenza goduta dal Calzavacca presso il governo della reggente. I duchi di Milano, infatti, non dovettero rimanere scontenti di lui e del modo con cui aveva saputo amministrare, nonostante tutte le circostanze avverse, la sua podesteria genovese: lo nominarono Podestà e Commissario ducale di Pavia dal 1° gennaio 1479 e, l’anno seguente, Commissario ducale a Padova. È, questa della commissaria padovana, l’ultima notizia sul Calzavacca fornita delle fonti note.

FONTI E BIBL.: Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis Italiae, in Rerum Italicarum Scriptores, 2a edizione, XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, 7, 28, 37; Antonii Galli Commentarii de rebus Genuensium, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIII, I, a cura di E. Pandiani, 31, 32, 37 ss.; Bartholomaei Senaregae De rebus Genuensibus Commentaria, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, 3, 47, 78; Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), a cura di C. Santoro, Milano, s.d. (ma 1948), 317, 468, 565; A. Pezzana, Storia della città di Parma, III, Parma, 1847, 230, 351, IV, Parma, 1852, 2 s., 12-26, 97, 119 s., 124, 220; C. Santoro, Gli Sforza, s.l. né d. (ma Milano, 1968), 186 s., 202 ss. Secondo R. Soriga, Schede manoscritte sulla serie dei podestà di Pavia, conservate presso la Biblioteca comunale Bonetta di Pavia, il Calzavacca avrebbe retto la podesteria di quella città dal 1478 al 1480. Vedi ancora in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 52-54.

CALZAVACCHE FRANCESCO, vedi CALZAVACCA FRANCESCO

 CALZETTA LUISA 
Compiano 16 ottobre 1919-Guselli 4 dicembre 1944
Partigiana appartenente alla 38a Brigata Garibaldi W. Bersani, con il nome di battaglia di Tigrona. Fu uccisa in combattimento dai Tedeschi. Le venne conferita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione: Indomita partigiana, nel nobile tentativo di portare al sicuro un componente della propria formazione che era rimasto ferito in combattimento, veniva circondata da un folto numero di nemici. Impugnata la pistola, si difendeva con eroica fermezza fin tanto che, sopraffatta, veniva trucidata. Fulgido esempio di abnegazione e di attaccamento alla Causa.
FONTI E BIBL.: Parma Realtà 6 1968, 10; Caduti Resistenza, 1970, 70; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 109.

CALZETTI GINO Parma 1907/1927Incisore. Espose alle mostre artistiche di Parma e di Busseto. In quest’ultima si fece notare per una sua buona impressione: Parma sotto la neve.

FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 256.

CALZOLARI ENRICO 
Parma 22 febbraio 1823-Milano 1 marzo 1888
Nacque da Giuseppe e da Anna Capelletti. Ebbe il suo primo contatto con la musica negli anni della fanciullezza, allorché venne ammesso come chierico cantore nel coro della chiesa di San Ludovico, che era la chiesa di Corte di Parma. Ebbe così la possibilità di mettere in luce le sue attitudini musicali e, affinché potesse seguire un regolare corso di studio, fu affidato dalla famiglia alle cure del maestro Giorgio Burckardt, virtuoso di camera della duchessa Maria Luigia d’Austria. Il suo naturale talento e la diligenza mostrata nell’apprendimento della tecnica vocale gli permisero di affrontare ben presto il giudizio del pubblico, tanto che nell’aprile 1837, a soli quattordici anni, si esibì in un concerto al Teatro Ducale di Parma, riportando un grande successo. Qualche tempo dopo, a fianco del celebre basso Domenico Cosselli, suo concittadino, prese parte a una rappresentazione della Lucrezia Borgia di Donizetti e i consensi ottenuti furono così lusinghieri che la stessa duchessa Maria Luigia volle inviarlo a Milano, perché potesse perfezionarsi nello studio del canto con il maestro Giacomo Panizza. Giunto nel capoluogo lombardo, venne introdotto nei salotti aristocratici della città, ove poté stringere amichevoli rapporti con i personaggi più illustri del mondo della cultura e dell’arte, facilitando così il suo ingresso nel massimo teatro lirico milanese: la Scala. Qui l’11 marzo 1845 (impresario Bartolomeo Merelli) il Calzolari fece il suo esordio nell’Ernani, riscuotendo un successo clamoroso, che gli procurò il favore del pubblico e lo fece entrare nel novero dei più celebri cantanti dell’epoca. Ebbe così inizio una luminosa carriera che lo portò sulle scene dei maggiori teatri europei. Infatti il Merelli, con cui aveva firmato un contratto della durata di tre anni, in seguito al trionfo scaligero lo inviò a Vienna, ove il Calzolari fu apprezzato in opere di Donizetti (La figlia del reggimento, Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, Don Pasquale, Elisir d’amore, Maria di Rohan), di Bellini (La Sonnambula), di Rossini (L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, Cenerentola), di Mozart (Don Giovanni) e di Beethoven (Fidelio), dai ruoli assai diversi per carattere drammatico e vocale, che gli permisero di mettere in rilievo la sua versatilità. Tornato in Italia, si esibì sempre con successo a Brescia, Trieste e Alessandria. Stabilitosi a Milano, ove visse fino al 1847, fu di nuovo al Teatro alla Scala nelle stagioni 1845-1846 e 1846-1847, interpretando tra l’altro Riccardo e Zoraide di Rossini, Prova d’un’opera seria di F. Gnecco e varie opere del repertorio donizettiano. Il 23 marzo 1847 creò il ruolo di Don Carlo nell’omonima opera di Pasquale Bona, che il compositore, suo amico e ammiratore, scrisse per lui. Risale a questo periodo l’amicizia con il tenore G.B. Rubini, che probabilmente gli fu prodigo di consigli e di cui seppe in parte raccogliere l’eredità artistica. Tornato nel 1847 a Vienna, riportò un successo trionfale interpretando, a fianco di Eugenia Tadolini (Kärntnerthortheater), La figlia di Figaro, un’opera nuova di Lauro Rossi. Scritturato a Madrid per la stagione 1847-1848, passò poi al Queen’s Theatre di Londra, quindi a Bruxelles, ove nella stagione successiva fu acclamato in ruoli rossiniani e donizettiani e, ampliando il suo normale repertorio, rappresentò con successo anche La Favorita. Recatosi a Parigi, si esibì dal 1850 al 1852 al Théâtre Italien, facendosi ammirare nel Barbiere di Siviglia, nella Figlia del reggimento, in Elisir d’amore e nell’Otello rossiniano. Nel 1857 fu scritturato stabilmente dalla direzione del Teatro Imperiale di Pietroburgo, ove apparve fino al 1875, mentre nel 1862 fu nominato solista dello zar e dal 1870 professore di canto nel locale conservatorio di musica. Tornò periodicamente in Italia, ove tra l’altro nel 1864 partecipò a un concerto al Teatro Comunale di Bologna. Al ritiro dalle scene, si stabilì a Milano. Pur amante del lusso e degli agi che le sue floride condizioni economiche gli consentivano, amministrò con grande saggezza il suo patrimonio e investì i suoi capitali in una fiorente industria e vasti possedimenti in Corbetta di Lombardia, che lasciò al nipote Icilio. Interprete intelligente ed efficace, il Calzolari rivaleggiò con i più celebri cantanti della sua epoca. Tuttavia, se unanimi furono i giudizi nel riconoscere il suo talento artistico, non sempre altrettanto favorevole si manifestò il parere espresso dai critici sulla sua tecnica vocale. In realtà il Calzolari fu artista di grandi qualità espressive ed ebbe il dono di saper superare i limiti naturali della sua voce in virtù di un ammirevole ed equilibratissimo gusto interpretativo. Riferisce infatti il Ferrarini che Carlo D’Ormeville, direttore della Gazzetta dei Teatri, oltre che poeta, librettista e regista teatrale, abile peraltro nel valorizzare, nella sua qualità di agente e impresario, i migliori artisti della scena lirica italiana, definì la sua voce leggermente gutturale, ma dolcissima di una eguaglianza perfetta fino al do acuto, mentre la sua maestria di cantante era paragonata a quella di G.L. Duprez e di E. Naudin, tanto che in Francia, sempre secondo le testimonianze del D’Ormeville, Théophile Gautier lo definì il più tenero e il più melanconico dei cantanti deliziosi. Spesso paragonato al Rubini, al quale fu legato da profonda amicizia, il Calzolari fu considerato l’ultimo tenore che seppe raccogliere e adattare alla sua sensibilità le tendenze stilistiche di questo grande artista, di cui possedeva soprattutto l’agilità, la morbidezza, le languide e leggiadre fioriture e in altissimo grado l’espressione pura e accorata (Enciclopedia dello Spettacolo). Tuttavia il volume e la sonorità della sua voce, peraltro assai calda, furono piuttosto limitati. Secondo il Fétis fu l’ultimo tenore di buona scuola italiana dotato di un timbro puro e simpatico, una bella emissione di voce (sebbene rovinata dal repertorio verdiano), vocalizzo facile e trillo eccellente. Particolarmente versato per il repertorio leggero, che rimase sempre il più congeniale alle sue qualità vocali e interpretative, non esitò a cimentarsi in opere come Il Trovatore, il Fidelio, Norma e Lucia di Lammermoor, interpretando ruoli che gli permisero di fare sfoggio di un’espressione più energica e incisiva. Fu in definitiva un continuatore della grande tradizione ornamentalistica italiana, rappresentata dalla scuola del Rubini, ma seppe allo stesso tempo creare un suo stile, fatto soprattutto di delicatezza e languore e fu uno di quei cantanti per i quali venne coniato il termine tenore di grazia, che ai tempi del Rubini non esisteva.
FONTI E BIBL.: A. Mazzuccato, in Gazzetta musicale di Milano 13 marzo 1845; A. Mazzuccato, I Maestri signori Boniforti e Bona, in Gazzetta musicale di Milano 28 marzo 1847, 98; P. Bettoli, I nostri fasti musicali, Parma, 1875, ad Indicem; M. Ferrarini, Un celebre tenore parmigiano, in Aurea Parma XXV 1941, 67-72; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946, 129 s., 155; F. Walker, The Man Verdi, London, 1962, 44; C. Gatti, Il Teatro alla Scala nella storia e nell’arte (1778-1963) - Cronologia completa degli spettacoli e dei concerti, a cura di G. Tintori, II, Milano, 1964, 46 s., 49; Due secoli di vita musicale - Storia del Teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, II, Bologna, 1966, 90; F.J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, Paris, 1873, 160; Enciclopedia dello Spettacolo, II, coll. 1539 s.; C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, I, 279; Enciclopedia della Musica Ricordi, I, Milano, 1963, 370; La Musica, Dizionario, I, Torino, 1968, 329; C. Gabanizza-R. Meloncelli, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 63-65.

CALZOLARI GIUSEPPE Goiano di Bardone 1770-8 maggio 1843 Visse in condizioni relativamente agiate, in qualità di proprietario terriero e padrone di una fornace e di uno o più mulini. Nel 1807 iniziò la stesura di un diario, che scrisse con assiduità quotidiana e senza interruzioni. Nel 1812 gli morì la prima moglie, Caterina Boldini di Calestano, ma nel 1814 passò a seconde nozze con Paola Biondi, di Cozzano. Dal 1830 fino al 1836 svolse la funzione di Podestà nel Comune di Lesignano Palmia. Nell’aprile 1842 interruppe la compilazione del diario.

FONTI E BIBL.: Per la Val Baganza 9 1988, 289.

CALZOLARI ICILIO 
Parma 2 giugno 1833-Portovaltravaglia 18 dicembre 1906
Figlio di Lazzaro, sarto costumista al Teatro Regio, e di Margherita Ripari. Primogenito, il Calzolari, ebbe quattro fratelli. Di famiglia di modesta condizione economica, si appassionò giovanissimo alla fotografia e condusse esperimenti di dagherrotipia tra il 1849 e il 1850. Il Calzolari diede il suo contributo alla guerra d’Indipendenza, meritando tre medaglie al valor militare. Non si conoscono esattamente i motivi e i tempi del suo trasferimento a Milano, dove tuttavia risulta in qualità di scritturale in base al censimento del 1857. Sempre a Milano sposò (il 28 aprile 1858) Angela Gavazzi e si stabilì in contrada Santo Spirito 1319. Di quel periodo è anche l’inizio della vera e propria professione di fotografo nella quale ben presto si mise in luce. Un ruolo importante nella vita del Calzolari ebbe lo zio parmigiano Enrico Calzolari, tenore noto a livello europeo, che gli dimostrò in numerose circostanze il proprio attaccamento. È probabile che sia stato il suo sostegno finanziario a permettere al Calzolari di rilevare, nel 1867, lo studio e lo stabilimento fotografico milanese di Alessandro Duroni in corso Vittorio Emanuele 13, nel caseggiato della galleria De Cristoforis. Lo zio, del resto, alla sua morte (1° marzo 1888) lasciò al Calzolari una florida industria, un bel palazzo in Corso di Porta Venezia e vasti possedimenti in Corbetta di Lombardia. Con l’acquisto dello stabilimento Duroni, a due passi dal Duomo, il Calzolari si trovò al centro della vita civile e culturale di Milano. Dimostrò iniziativa: allacciò nuove relazioni commerciali e assunse personale. In quegli anni partecipò all’Esposizione Universale di Parigi con una serie di ingrandimenti che riscossero un buon successo. La passione naturale che lo aveva indotto, ragazzo, a sperimentare la nuova arte di riprodurre immagini con la luce, non si spense e si combinò con un notevole talento commerciale. Impressa all’azienda una valida organizzazione, il Calzolari poté permettersi di compiere numerosi viaggi, specie in Francia e Inghilterra, per documentarsi sulle tecniche di ripresa e di laboratorio. A Milano i personaggi della cultura, i nobili, le strade e i monumenti entrarono con naturalezza e con pregevole effetto nelle sue fotografie. Nel 1870 fu al 1° Congresso Artistico Italiano ed Esposizione di Arti Belle dove presentò tre lavori: fotografie colorate dell’Opificio Duroni, due delle quali quadri di genere e la terza un ritratto di ingrandimento. Nel 1881 Cesare Cantù lo incaricò di fotografare tutte le opere presenti all’Esposizione nazionale d’arte di Milano, facendosi poi personalmente ritrarre dal Calzolari (esiste una lettera di ringraziamento). Nel 1887 fu a Firenze alla Prima Esposizione Fotografica italiana e ottenne la medaglia d’argento di seconda classe per il ritratto. L’anno seguente, il 24 aprile, il Calzolari cedette lo stabilimento di Corso Vittorio Emanuele a Edmondo Guigoni e Antonio Bossi al prezzo di 30000 lire nello stato in cui si trova, con tutte le macchine, attrezzi, obbiettivi, negative, mobili, costruzioni, fissi ed infissi in esso esistenti, nonché i quadri che trovasi nei Caffé, Alberghi, Stazioni ferroviarie. Aprì quindi uno stabilimento di eliotipia in Via Cellini 6, associandosi nell’impresa a Carlo Ferrario, scenografo della Scala. Nel 1894 partecipò alle Esposizioni Riunite di Milano e conseguì il diploma di primo grado, nella sezione arti grafiche. Di rilievo è l’amicizia che legò il Calzolari al pittore parmigiano Francesco Scaramuzza, originario di Sissa. Il Calzolari lo fotografò in più occasioni e realizzò, per l’editore Giorgio Simona di Locarno e per Ulrico Hoepli di Milano, la riproduzione delle tavole di Scaramuzza sulla Divina Commedia (1880). A Milano fu tra i primi, dopo Giulio Rossi, a diffondere l’Albertipia, una nuova tecnica di stampa fotografica inventata dal viennese Albert che consente di abbellire e preservare nel tempo la fotografia. Otto Cima disse del Calzolari che la sua macchina era sempre a fuoco nelle opere del bene.
FONTI E BIBL.: R. Rosati, Fotografi, 1990, 145-146.

CALZOLARI PAOLO Goiano di Bardone 3 aprile 1860-Parma 2 gennaio 1928
Fece le scuole ginnasiali e liceali nel Seminario di Berceto e la teologia in quello di Parma, ove fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1882. Nominato cappellano della Pieve di Tizzano, si dedicò all’insegnamento dei giovanetti avviati al Seminario, seguendo l’esempio dell’arciprete Giuseppe Carcelli. All’età di soli ventotto anni, nel 1888, fu nominato Rettore del Seminario di Berceto dal vescovo G. Miotti. Nei suoi tre anni di rettorato il Seminario fu ampliato con la sopraelevazione di tutta la parte antica del fabbricato, fu innalzata la torre del Santuario della Madonna delle Grazie e furono celebrate nel 1890 le feste solenni dell’Incoronazione della statua della Madonna, manifestazione che richiamò a Berceto quattro vescovi e la partecipazione entusiasta di numerosissimi pellegrini. Nel 1891 passò a reggere la chiesa di Santa Maria Borgo Taschieri a Parma.
FONTI E BIBL.: I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 197; Gazzetta di Parma 4 settembre 1991, 16.

CAMAGNI GIOVANNI MATTIA 
Parma 1599-Parma 24 aprile 1676
Scrittore spirituale cappuccino che entrò nell’Ordine il 1° novembre 1622. Fece a Piacenza la vestizione (1° novembre 1631) e la professione solenne (1° novembre 1632). Promosso predicatore, ebbe gli uffici di maestro dei neoprofessi in Guastalla, guardiano e confessore straordinario delle Cappuccine di Santa Maria della Neve in Parma, tra le quali erano Cherubina Tassoni da Modena e Geltrude Pietra da Borgo Taro. Ebbe singolare attitudine nella direzione delle anime, come dimostrano le sue opere spirituali ripetutamente stampate. Scrisse in particolare un’opera intitolata Viaggio dell’anima per andare a Dio (Parma, 1652 e 1658). È forse questo il primo manuale di vita spirituale scritto da un cappuccino italiano. Pochissimi sono gli autori citati nell’opera. Tra i più utilizzati è San Bonaventura. Il Camagni mira solo al profitto spirituale delle anime e non mostra di conoscere la distinzione tra vie ordinarie e straordinarie, ossia tra ascetica e mistica. Insegna il modo di meditare, propone molti esempi di contemplazioni, colloqui e preghiere affettuose, ma non parla espressamente di contemplazione infusa.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 910-911; Bernardus a Bononia, Bibl. Script. Cap., Venezia, 1747, 187; Donato da San Giovanni in Persiceto, Biblioteca dei Frati Minori Cappuccini della provincia di Bologna, Budrio, 1949, 332-333; F. da Mareto, Biblioteca cappuccini, 1951, 300; F. da Mareto, in Enciclopedia Cattolica, VIII, 1952, 501-502; Dizionario Ecclesiastico, II, 1955, 900; Cappuccini a Parma, 1961, 23; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 257.

CAMATINO GIOVANNI, vedi CAMATTINO GIOVANNI

CAMATTINI VITTORIO 1904-Parma 28 ottobre 1957 Appassionato di libri e avido di letture, il Camattini iniziò la sua attività di libraio con l’allestimento di una biblioteca circolante, situata in un pianterreno di via Farini, che concedeva libri in prestito per la lettura. Negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale, quando il regime proibì la vendita dei libri di autori stranieri, molti lettori trovarono nella biblioteca del Camattini, i libri proibiti degli autori americani e inglesi allora più in voga. Nel dopoguerra il Camattini, seguendo la sua naturale vocazione, aprì una libreria, rilevando l’antica e famosa bottega di Lorenzo Vannini, sotto i portici dei Crociferi in Via Farini. In vetrina egli metteva le ultime novità, ma dentro, negli scaffali più riposti, conservò gelosamente testi antichi ed edizioni rare, specialmente d’autori parmigiani. E per questi autori, antichi e moderni, egli allestì, più d’una volta, la sua vetrina in originali e riuscitissime mostre. Negli ultimi anni, da libraio il Camattini si fece anche editore. Cominciò col ristampare, in un’edizione tipograficamente tutt’affatto uguale all’originale, la monumentale Storia di Parma dell’Affò. La morte prematura del Camattini mise però fine a un’attività editoriale che avrebbe certamente meritato più lunga vita.

FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 29 ottobre 1957, 4.

CAMATTINO GIOVANNI Parma 1358/1416 Fu uno dei più antichi fonditori di campane della città di Parma, sul conto del quale il Da Erba, nell’Estratto, racconta come essendosi rotta il 22 marzo 1416 la campana maggiore della chiesa di San Giovanni Evangelista, venne rifatta da Maestro Giovanni Camattino, fonditore della vicinia di Sant’Ambrogio, che la terminò (la campana pesava 112 pesi) il 17 dicembre dello stesso anno (così ricorda a pag. 168 il Pezzana nella sua Storia di Parma, tom. II). È forse lo stesso Giovanni o Giovannino da Parma, fusore di campane che operava nel 1358 in collaborazione con Buondomenico da Parma: M.CCC. LVIII. Dompnus Ionanninus: Et. Bonus D.ni.cus: Te. Feceru.t. (iscrizione che si legge all’intorno della campana maggiore di Rivalta di Lesignano dei Bagni).

FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 19, 56 e 58.

CAMBI GIOVANNI 
Parma seconda metà del XV secolo
Calligrafo operante nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 79.

 CAMBRE' GIACOMO -Parma 15 giugno 1877
Prese parte alle campagne militari del 1854 (Crimea)e a quelle risorgimentali del 1859, 1860 e 1870.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402.

CAMELLI PIETRO 
Parma 1683/1688
Suonatore di trombone, cominciò a servire la Corte di Parma il 1° febbraio 1683 e vi si fermò fino a tutto il maggio del 1688.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 139.

CAMERA GIOVANNI MARIA, vedi CONTI GIOVANNI MARIA

CAMERINI PIETRO, vedi CARNERINI PIETRO

CAMESASCA ERNESTO 
Monza 27 giugno 1883-Chiari 18 aprile 1940
Sacerdote ed educatore. Direttore dell’Oratorio salesiano di San Benedetto di Parma, dedicò quasi tutta la sua vita all’educazione di diverse generazioni di Parmigiani, facendo raggiungere al suo Istituto elevati livelli qualitativi nell’insegnamento alla gioventù.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 120.

CAMILLO DA BARDI, vedi BARILLI GIOVANNI DOMENICO

CAMINATA GIACOMELLO, vedi CAMINATA GIACOMO

CAMINATA GIACOMO 
Borgo San Donnino 1371
Pittore, detto il Mangiaterra, che operava nell’anno 1371. È detto bravissimo dallo Zani, che forse vide qualche sua opera. Secondo Luciano Scarabelli, dipinse in Borgo San Donnino per cinquantuno fiorini le stanze della casa civile che Bernabò Visconti volle fabbricata nel ricordato anno 1371. Della casa e delle pitture del Caminata non rimane alcuna vestigia.
FONTI E BIBL.: P. Zani, 5, 243; L. Scarabelli, Istoria civile, II, 185; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 19; A.M. Bessone, Scultori e Architetti, 1947, 115.

CAMINATA GIACOMOLO, vedi CAMINATA GIACOMO

 CAMINATA MARCO
Parma 1460
Pittore, ricordato nel Liber rationum Communitatis di Parma alla data del 29 giugno 1460: Item datos Marco de Caminata pictori pro eo quod habere debet a prefacta Comunitate pro pictura Stendardi et factura et pictura Tarchete suis expensis donando Magnifico et Clarissimo Iurisutriusque doctori d.no Iohanni de Aimis de Cremona qui fuit potestas parme duobus annis continuis in premium laudabilium operum et benegestorum suorum in dicto offitio. Et pro satisfatione Tafetati, facture stendardi et aliis expensis necessariis, iusta rellationem d. Iohannis Stephani Columbini, petri de Berneriis, Iacobi de Catablano et Marci de Carissimis deputatorum ad fieri fatiendo predicta in executione ordinacionum et seu provixionis facte per Magnificum generalle Conscillium. In summa per bulletam factam die xxviiij Iunii Libr. clxxxvij, sold. xiij, d. vj (a carte 65 del Liber rationum Communitatis 1460, Archivio Comunale, Parma).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 19.

CAMINATA, vedi anche DELLA CAMINATA

CAMINATI GIOVANNI 1886-Cividale 8 ottobre 1915
Figlio di Luigi. Dattilografo, fu caporale della 4a Compagnia Sanità. Fu decorato della medaglia d’argento per il terremoto calabro-siculo. Morì presso l’Ospedale Militare di Tappa di Cividale per una malattia contratta al fronte.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 58.

CAMINATI GIOVANNI Berceto 19 gennaio 1886-Viarolo 25 febbraio 1975
Fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Parma il 28 giugno 1908. Nel 1911, dopo alcuni anni di cappellania compiuti a Carzeto di Soragna, giunse a Fontevivo e diede inizio con ardore giovanile al suo apostolato in veste di curato il 30 luglio 1913, determinato a inserirsi in tutti i modi nella vita della Comunità. Da don Amedeo Frattini ricevette in eredità la banda musicale e con essa ebbe modo di portarsi in vari paesi della Padania per dare concerti sulle piazze e rappresentazioni teatrali alla guida della Compagnia teatrale da lui stesso creata. Il Caminati sentì e coltivò la musica con vera passione. Diplomatosi Maestro di canto al Conservatorio di Cremona, avvalendosi di solide basi culturali, diede vita a una schola cantorum. Inoltre realizzò alcune composizioni che però andarono quasi del tutto disperse (se qualcosa si è salvato, si tratta di piccoli brani rimasti presso qualche banda musicale). Il Circolo Giovanile Cattolico Silvio Pellico, da lui fondato nel 1921 e per il quale profuse energie e ripose tante speranze, fu il suo vanto. Non da meno fu il suo contributo al settore sociale in aiuto ai lavoratori con la Cassa Rurale Cattolica, con il Consorzio Agrario, con una Cooperativa Edile e con l’istituzione di un laboratorio di calze per dare lavoro alle donne. Sempre attento a inserire l’attività pastorale nella vita sociale, promosse durante la prima guerra mondiale un’iniziativa altamente umanitaria ospitando nel Palazzo dei Nobili un centinaio di profughi, scesi dal Bellunese dopo la tragedia di Caporetto. Dedicò particolare cura alla chiesa con appropriati interventi di restauro, quali lo stacco dell’intonaco all’interno, la demolizione del muro che occultava il rosone della cappella di sinistra del transetto e eliminando i quattro altari laterali. Grazie al suo sostegno e alle sue vedute lungimiranti nacque a Pontetaro nel 1933 l’Asilo voluto da Ida Mari in onore dei Caduti della guerra 1915-1918. Da Fontevivo, il 1° gennaio 1935, il Caminati fu inviato a Viarolo, e là (ove rimase per ben quarant’anni) ricominciò a lavorare restaurando la chiesa e la canonica e costruendo l’Asilo infantile e l’Oratorio festivo.
FONTI E BIBL.: E. Dall’Olio, Fontevivo. Arte e Storia, 1990, 156-159.

CAMISA GIOVANNI  1840-Parma 19 marzo 1903
Combatté da valoroso nelle file garibaldine. Fece le campagne risorgimentali del 1859 e 1860.
FONTI E BIBL.: La Democrazia 25 marzo 1903, n. 23; Gazzetta di Parma 29 marzo 1903, n. 87; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 119.

CAMMI GIOVANNI 
Parma 1860/1862
Falegname e negoziante. Nel 1860 restaurò i mobili della Biblioteca Palatina di Parma e nel 1862 fornì molti mobili alla Rocca di Soragna.
FONTI E BIBL.: A. Ciavarella, 1962, 172; Il mobile a Parma, 1983, 264.

CAMORALI PRIMO Noceto 1879-Parma 8 novembre 1958
Non vedente, ancora bambino si portò con la famiglia a Parma e quindi nella vicina Reggio Emilia ove, in un collegio, apprese i primi rudimenti della musica. Appassionatosi in tale arte, continuò gli studi diplomandosi alla Reale Accademia Filarmonica di Bologna. Fu fine esecutore di musiche sacre e divenne ben presto un valente organista, noto negli ambienti ecclesiastici per la sua assidua presenza nelle chiese di Parma, ove ebbe modo di svolgere un’attività musicale religiosa. Per la durata di cinquant’anni (dal 1904) fu organista titolare nella chiesa Magistrale della Steccata di Parma e per diciotto anni fiduciario dell’Unione Italiana Ciechi di Parma e consigliere dell’Istituto dei Ciechi a Reggio Emilia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 novembre 1958, 4.

 CAMPAGNA ANTONIO Parma 1812
Disegnatore ritrattista attivo nell’anno 1812.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 244.

CAMPAGNA FRANCESCO 
Parma 1694/1727
Fu cavallerizzo del duca di Parma Francesco Maria Farnese.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, Appendice 1, 1935, 484.

CAMPAGNA GIACOMO 
Parma 1749/1777
Fu eletto Podestà di Fiorenzuola il 28 ottobre 1749, poi Procuratore fiscale di Parma e suo territorio il 3 marzo 1751. Fu quindi Uditore criminale e maggior Magistrato il 31 gennaio 1753, Uditore civile il 12 luglio 1750, consigliere di Dettatura il 9 gennaio 1758, Governatore di Guastalla e Podestà di detta città (oltre a Reggiolo e Luzzara) il 13 settembre 1759, consigliere del Consiglio di Giustizia di Parma il 26 settembre 1765, Governatore di Piacenza il 26 febbraio 1772, Capo della Dettatura e Governatore di Parma il 5 luglio 1775. Infine fu creato nobile coi suoi discendenti d’ambo i sessi dal duca Ferdinando di Borbone con Privilegio Ducale il 4 gennaio 1777.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, Appendice, 1, 1935, 484.

CAMPAGNA GIOACHINO, vedi MANGI GIUSEPPE

CAMPAGNA IGNAZIO Parma 31 luglio 1739-Parma 10 aprile 1817

Frate cappuccino, fu lettore di molta dottrina. Fu eletto Predicatore apostolico (1790-1793), ma non fece incontro per la troppo libera maniera di dire le cose. Compì a Guastalla la vestizione (15 giugno 1759) e la professione solenne (15 giugno 1760).
FONTI E BIBL.: Camp. Prov., II, 172-173, 316-317; Ann. Prov.-Tavolette, 50; F. Fabi Montani, Elogio storico di mons. C.M. Fabi, vescovo di Amelia, Roma, 1843, 28; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 230; Mauro, Il Predicatore Apostolico, 146; Lexicon cappuccinum, 1951, 1349; R. Lasagni, Bibliografia parmigiana, 1991, 107.

CAMPAGNA LUCA  Soragna 1560 Fu membro dell’Accademia fondata in San Secondo dal conte Federigo Rossi e aggregato a quella degli Innominati. Fu discreto poeta. In un sonetto di Angelo Rinieri lo si invita a interrompere l’iniziato poema su Ero e Leandro per celebrare invece le nozze del conte Troilo Rossi con la marchesa Leonora Rangona.

FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 193.

CAMPAGNA PIERANTONIO, vedi CAMPAGNA IGNAZIO

CAMPAGNOLO, vedi MARINI ANTONIO

CAMPANA GASPARE Parma 1573/1574
Sacerdote. Fu cantore nella chiesa della Steccata in Parma dal 6 novembre 1573 al 26 febbraio 1574.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel secolo XVI, 33; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 20.

CAMPANA GIACOMO Parma 1818/1848
Nato da nobile famiglia, venne educato alle discipline militari in Germania. Al ritorno fu messo al seguito della duchessa di Parma Maria Luigia d’Austria e, in breve, seppe cattivarsi l’animo di questa che lo creò, con motu proprio nel 1818, suo Colonnello di ordinanza. Nel 1848 fu promosso Generale, comandante una legione dell’esercito piemontese. Oltre che militare di carriera, fu politico e calcografo e, in tale veste, diresse l’Istituto Topografico di Milano.
FONTI E BIBL.: L. Servolini, Dizionario incisori, 1955, 150.

CAMPANA GUGLIELMO Parma 4 novembre 1838-Sala Baganza 7 dicembre 1913
Figlio di Stanislao e Dorotea Poncini. Combatté per l’indipendenza nel 1859 e 1860 quale volontario in artiglieria. Si trasferì poi a Sala per attendere alle cure agricole della sua azienda. Fu subito chiamato a occupare diverse cariche pubbliche e per un ventennio fu sindaco di Sala Baganza (1880-1898). Il suo nome è legato alla realizzazione del ponte sul Baganza (1891) e dell’Asilo Infantile (1885).
FONTI E BIBL.: A. Micheli, Rocca Sanvitale, 1922, 123-124; Collecchio e Sala Baganza, 1979, 266.

CAMPANA STANISLAO 
Panocchia 1794-Parma 22 maggio 1864
La sua famiglia fu proprietaria di terre e di un mulino e dovette godere di una certa considerazione sociale se nell’atto battesimale il nome del Campana è preceduto dalla qualifica di dominus. Le ottime condizioni finanziarie permisero al Campana di esercitare la professione senza le preoccupazioni che assillano spesso gli artisti. Frequentò l’Accademia di Belle Arti ricostituita il 22 marzo 1816, dopo la parentesi francese, dalla duchessa Maria Luigia d’Austria. Il ministro di Stato, conte Francesco Filippo Magawly de Carly, nell’annunciare alla cittadinanza la disposizione della Sovrana ne mise in rilievo la felice coincidenza con il rientro in sede del patrimonio artistico del Ducato che era stato portato a Parigi, nel Museo Napoleonico, come bottino di guerra. I primi anni del governo di Maria Luigia furono di particolare impegno per il numero straordinario e l’urgenza dei lavori da condurre a termine: tra i primi la sistemazione delle aule scolastiche e degli ambienti della nuova Galleria, nella quale venne immesso il prezioso materiale tornato da Parigi. A presiedere gli importanti e improrogabili lavori fu l’architetto Nicola Bettoli. Istituita l’Accademia, vennero rimessi in onore i concorsi a beneficio degli artisti: concorsi interni o di scuola, che erano requisito indispensabile per accedere al Gran premio annuale assegnato successivamente alla pittura, alla scultura e all’architettura. I vincitori acquisivano il diritto a un soggiorno a Roma della durata di diciotto mesi, allo scopo del loro perfezionamento, che veniva a coronare la preparazione ricevuta da un qualificato corpo insegnante. I primi concorsi vennero banditi nel 1817. Il Campana fu allievo di Biagio Martini, artista rinomato, ritrattista di Corte e insegnante di pittura: il loro incontro dovette avvenire qualche tempo prima del 1816, epoca dell’apertura dell’Accademia. Il Campana frequentò con diligenza e passione, partecipando con successo ai concorsi interni. La sua composizione a chiaroscuro Achille che sta per uccidere Agamennone, presentata all’Esposizione del 1817, venne molto lodata dai professori dell’Accademia per l’esattezza del disegno e la puntuale interpretazione dei versi omerici. Nell’Esposizione del 1819 presentò due teste, a olio su tela, copiate dal Correggio. L’anno successivo fece un quadro rappresentante Erminia, che si presenta ai pastori. Nel 1822 il Campana, in possesso dei requisiti indispensabili, partecipò dunque al Gran Premio annuale di pittura. Superata la prima prova, rimase unico concorrente: il 16 giugno venne chiamato per quella finale, che terminò in poco più di due mesi e che ebbe per soggetto La morte di Meleagro. Il saggio (m 1x1,48), pur presentando qualche inesattezza, è disegnato con elegante disinvoltura e rivela una notevole capacità nel colorire e nell’ombrare. L’opera si inserisce pienamente nella stilistica normativa del tempo: la figura di Meleagro risente dell’accademismo davidiano, le altre figure più finemente modellate richiamano l’elegante leggiadria delle Virtù della chiesa di Sant’Antonio di Parma del pittore e scultore Gaetano Callani, artista influenzato dai reperti veleiati del Museo di Parma e considerato, dalla critica del tempo, il primo artista classico lombardo. L’Archivio dell’Accademia Nazionale Parmense conserva varie lettere del Campana indirizzate al suo amatissimo direttore Paolo Toschi. Questi scritti, piuttosto sgrammaticati ma spontanei e ricchi di entusiasmo, permettono di seguire l’itinerario artistico romano del Campana, le sue visite alle gallerie, le sue preferenze artistiche e la sua graduale formazione. Il carteggio evidenzia inoltre la serietà con la quale il Governo e l’Accademia seguirono i giovani pensionati: il generale conte di Neipperg si prese la premura di inviare direttamente le referenze sugli interessati al ministro austriaco residente a Roma perché se ne facesse mallevadore presso la polizia locale; la stessa Sovrana si preoccupò che le rate venissero inviate con puntualità perché i giovani assistiti non si trovassero a disagio in terra straniera; il direttore Toschi, ben noto per il naturale rigore, seppe trasformarsi in un insegnante amorevole, prodigo di saggi consigli e protettore autorevole dei giovani che dimostravano talento e impegno. Inoltre l’obbligo da parte dei pensionati di fare pervenire entro otto mesi la copia di un’opera di un artista rinomato e una figura d’invenzione stimolò la loro attività e permise al Collegio Accademico dei professori di controllare i progressi degli allievi premiati. La prima lettera del Campana informa il direttore di essere arrivato a Roma dopo un lungo viaggio in diligenza e di aver fatto una sosta a Firenze, dove ammirò in particolare il Benvenuti. Giunto a Roma, dopo aver preso alloggio per quattro giorni in una locanda, poté occupare, nel Palazzo Poli alla Fontana di Trevi, il posto di Giovanni Tebaldi, vincitore del premio del 1817, andato a Napoli. Il Campana si incontrò spesso con il pittore G.B. Borghesi, pure lui a Roma a spese del Governo. Si recò un giorno con lui dal ministro austriaco per accertarsi se questi avesse ricevuto il rapporto sulla sua persona, inviatogli dal conte di Neipperg: trovandosi quello fuori Roma, la garanzia della sua buona condotta gli venne procurata dal pittore Ferdinando Boudard, figlio del grande scultore della Corte borbonica, trasferitosi da qualche anno nella capitale. Nella lettera successiva il Campana notifica al Toschi di avere fatto visita al pittore Vincenzo Camuccini, dal quale fu accolto con molta benevolenza. Visitò pure con vivo interesse la galleria del Canova e quella di G.B. Vicar: visite procurategli dal Toschi, suo autorevole protettore. Il Campana andava il mattino all’Accademia di Francia per dipingere e disegnare direttamente dal modello, poi passava nella sala di Raffaello per fare qualche disegno. Sempre con l’amico G.B. Borghesi spesso andò nella Galleria di villa Borghese per vedere le opere ivi raccolte, tra le quali La Caccia di Diana del Domenichino, di cui cominciò a fare una copia: il Campana si ritenne fortunato di avere avuto la precedenza su altri aspiranti. Una delle lettere più significative del Campana è quella del 4 ottobre 1823, sempre diretta al Toschi, nella quale confida che gli pareva di progredire nei suoi studi e di non avere mai lavorato con tanto interesse e piacere (troppe sono le cose belle, che sollecitano, tanto che anche volendo non si può stare in ozio), di avere fatto delle amicizie di bravi artisti, che gli giovavano per rendersi conto di diversi modi di lavorare, ma di questi guardo d’apprendere solo il meccanismo dell’arte, il bello vero lo mostrano i grandi artisti. Dopo la Caccia di Diana e il Profeta Ezechiele, mezza figura grande al vero penneggiata con singolare abilità, il Campana fece pervenire all’Accademia altri due quadretti a uso di bozzetti, per fare uno studio del modo di dipingere e colorire alla scuola veneziana e fiamminga: uno rappresentante La Visitazione della Madonna a Santa Elisabetta, copiata da uno dei più bei quadri di Rubens, l’altro La madre di Zebedeo, che presenta i suoi figli a Gesù, quadro questo bellissimo che si vuole di Tiziano, altri del suo scolaro Bonifacio. Nell’agosto del 1824 il Campana stava per terminare il periodo del suo pensionato quando si venne a sapere che il gran premio annuale per l’anno 1824, che spettava all’architettura, sarebbe andato a vuoto per mancanza di concorrenti. La notizia dovette pervenire al Campana tramite il Toschi, che forse gli lasciò intravedere un probabile prolungamento del suo soggiorno, come trapela dalla lettera seguente dello stesso Campana: sto aspettando di giorno in giorno la mia sentenza intorno a qui restare, non sa che pena sia l’indecisione, spero che non trascuri impegno tanto importante per me. Il Corpo Accademico, in considerazione delle speranze risvegliate dagli ultimi lavori che il Campana aveva inviato da Roma, fece istanza alla Sovrana per un prolungamento di altri diciotto mesi, approvato con decreto del 1° giugno 1824. Anche in questo secondo periodo il Campana procedette nel suo perfezionamento con lo stesso entusiasmo. Il 25 marzo 1826 vennero presentati all’Accademia una copia di un disegno da Tiziano e un quadro d’invenzione, nei quali vennero riscontrati dai professori il buon volere e la diligenza di un giovane accurato ed operoso. Intanto il Toschi, informato dal Campana che, in attesa che le tele asciugassero per venire spedite a Parma, aveva speso nel vitto la somma destinata al viaggio, propose al Presidente dell’Accademia di risarcirlo in vista anche delle spese che avrebbe incontrato al suo ritorno, avendo promesso di fare a proprie spese un quadro da lui destinato alla chiesa di San Michele all’Arco, sua parrocchia. Il Campana, appena giunto a Parma, intraprese la pala per l’altare maggiore della suddetta chiesa: doveva sostituire quella del pittore Giorgio Gandini del Grano, passata, dopo il ritorno da Parigi (1816), alla Galleria dell’Accademia. L’Opera del Gandini rappresenta San Michele e il demonio che si disputano le anime del purgatorio. Il Campana riprese l’antico soggetto, lo liberò da ogni orpello e lo svolse in chiave rigorosamente classica. La composizione semplice e solenne ha per sfondo un paesaggio aperto e luminoso: la Madonna e il Bambino dominano la scena, che ha in primo piano a sinistra San Michele modellato con grande scioltezza, il quale con una mano regge la bilancia mentre con la spada immobilizza il demonio, a destra la figura di San Gemignano Vescovo con il Vangelo chiuso e in secondo piano un diacono che tiene il pastorale. I personaggi sono contrassegnati dalla linea elegante, che ne modella i contorni e dal colore caldo e luminoso, elementi che evidenziano la lezione dei maggiori maestri romani. Il risultato di quest’opera rispose al desiderio del Campana, che si era proposto di dare una testimonianza delle proprie capacità: la Sovrana l’onorò di una visita e in seguito gli commissionò varie opere, l’Accademia lo nominò, in data 6 agosto 1829, Accademico d’Onore, e insigni scrittori cittadini gli furono larghi di encomi. In quello stesso anno, come si ricava da una lettera del conte di Neipperg, il Campana venne incaricato di fare un quadro per la Cappella Ducale in riscontro a quella che stava dipingendo il pittore Giovanni Tebaldi. Non se ne conosce il soggetto né è stato possibile reperire l’opera. Sempre nel 1829 gli venne commissionato dall’Opera parrocchiale di Panocchia uno stendardo rappresentante San Donnino e Sant’Orsola, pagato 650 lire. Nel 1833, per sopperire all’urgente bisogno di spazio per la Biblioteca, la Duchessa incaricò l’architetto Bettoli di costruire l’elegante salone Maria Luigia: le decorazioni, i cui soggetti furono scelti dal celebre bibliotecario Angelo Pezzana, vennero assegnate a Francesco Scaramuzza e al Campana. A quest’ultimo furono affidati due monocromati a finto bronzo rappresentanti quello del lato nord Il Tasso che dà lettura dei suoi versi nell’Accademia degli Innominati alla presenza del principe Ranuccio I Farnese, quello del lato sud L’incontro del Petrarca con Azzo da Correggio. Il Campana partecipò anche alla decorazione del Ridotto del Teatro Ducale. Il 10 febbraio 1835 il Campana venne commissionato dalla Duchessa di una Deposizione per il secondo altare di sinistra della Chiesa di Santa Maria del Quartiere. È un’opera di singolare pregio, dalla quale si deduce che l’amore per i cinquecentisti non si limitò all’esperienza romana: negli anni successivi l’interesse del Campana si rivolse alla scuola lombarda, in particolare alla bresciana, acquisendo una tecnica perfezionata e rispondente al suo temperamento. La magnifica composizione (olio su tela m 2,90x2,10) ha come sfondo un paesaggio intonato al soggetto drammatico: in primo piano c’è Cristo che giace su un luminoso bianco sudario, con San Giovanni che lo regge per le ascelle, dall’altro lato la Madonna che è colta con singolare realismo mentre si abbandona sul grembo di una delle Marie, in alto la Maddalena di astrazione caravaggesca e San Nicodemo che volge gli occhi al cielo. Il personaggio che rivela il maggior impegno del Campana, in un momento di felice creazione, è quello della Madonna. In questa magistrale composizione si nota una maggiore valorizzazione dell’elemento luce e un sapiente uso di tonalità fredde e argentee alla Savoldo. L’opera, esposta nel 1838, riscosse un positivo consenso critico. Le opere L’incontro del Correggio col Parmigianino nel monastero di San Giovanni Evangelista, esposta al pubblico nel 1839 e Una visita al Cimitero del 1840 non sono state reperite. L’ultimo quadro commissionato da Maria Luigia nel 1842, La Vergine con il Bambino, passò alla morte della Sovrana al suo erede Leopoldo d’Austria, e forse non fu la sola opera del Campana. Le poche opere rimaste, le pale del San Michele e della Deposizione e lo stendardo di Panocchia, danno la misura del Campana, che seppe inserirsi nel periodo ducale con tanta efficacia di stile da collocarsi, con G.B. Borghesi, in posizione preminente. Il Campana si distinse contemporaneamente in altre attività, che lo resero benemerito: a premio dei suoi meriti, l’11 luglio 1832 venne nominato Professore Accademico con voto, carica onorifica molto importante anche perché il numero era limitato. I nuovi eletti avevano l’obbligo di partecipare alle sedute accademiche e il Campana fu dei più assidui e attenti ai problemi artistici. Gli accademici con voto erano tenuti inoltre a sostituire il professore della materia che fosse impedito: il Campana sostituì in molti periodi e per più anni, nell’insegnamento di Paese, il professore titolare Giuseppe Boccaccio, chiamato in vari teatri come scenografo. Il 5 giugno 1847 venne nominato Soprintendente delle Gallerie e delle Scuole, carica che conservò sino alla morte dando prova di singolare sensibilità e di una non comune competenza artistica.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1 giugno 1864; N. Pelicelli, Guida di Parma, 1906, 84, 131 e 188; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1801-1850, IX, 90; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexicon, V, 1911, 454; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1970, 513; C. Ricci, La Regia Pinacoteca di Parma, Parma, 1896, 294; Mostra sindacale, Mostra del paesaggio parmense moderno e dell’800, Parma, 1936, 59; N. Pelicelli, Parma monumentale, Parma 1949; Dizionario Bolaffi Pittori, II, 1972, 418; Parma, Accademia di Belle Arti: ms. Disegni a chiaroscuro, ms. Quadri prem., ms. Quadri mandati; Gazzetta di Parma 30 settembre 1817, 313; Gazzetta di Parma 14 ottobre 1820, 332; Gazzetta di Parma 19 aprile 1828, 126-128; G. Negri, 1828, 8; Gazzetta di Parma 1° maggio 1839, 153; Gazzetta di Parma 27 maggio 1840, 181; Gazzetta di Parma 28 aprile 1841, 152; C. Malaspina, 1841, 140-141; P. Grazioli, 1847, 62; C. Malaspina, 1851, 101-113; C. Malaspina, 1869, 88-106; G. Negri, 1852, 55-61; P. Martini, 1858, 42-44; P. Martini, 1862, 19-35; P. Martini, 1873, 16; P. Grazioli, 1877, 37; L. Battei, 1887, 35; P. Grazioli, 1887, 167; L. Pigorini, 1887, 23; E. Scarabelli Zunti, Chiese e conventi, II, 71; E. Bénézit, 1955, II, 279; A. Ciavarella, 1962, 112-114; L. Gambara-M. Pellegri-M. De Grazia, 1971, 801; Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 23; G. Allegri Tassoni, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1983, 261-270; M. Sacchelli, in Gazzetta di Parma 16 febbraio 1998, 5.

CAMPANACCI MARIO Parma 1932 Bologna 16 gennaio 1999
Figlio di Domenico, clinico di fama. Il Campanacci frequentò il liceo classico Romagnosi di Parma e per i primi tre anni seguì i corsi di Medicina e chirurgia dell’Università di Parma. Poi si trasferì a Bologna e lì si laureò il 16 luglio 1956. Nel 1958 il Campanacci cominciò la sua attività clinica e didattica di ortopedia agli Istituti Rizzoli, prima assistente e poi aiuto della Clinica ortopedica dell’Università di Bologna. Ma furono le esperienze all’estero a dare una svolta al suo lavoro, in particolare quella a San Francisco, sotto la guida di Lichtenstein, per lo studio dei tumori ossei. Dopo questo periodo infatti, si dedicò particolarmente alla cura delle neoplasie in campo ortopedico, divenendo responsabile nel 1963 del Centro tumori dell’Istituto ortopedico Rizzoli. Dal 1975 fu direttore della I Clinica ortopedica e dal 1980 direttore della Scuola di specializzazione in Ortopedia dell’Università di Bologna. Negli ultimi trent’anni di vita, il Campanacci, in collaborazione con i più grandi studiosi europei e statunitensi, portò a termine una vera rivoluzione nella cura dei tumori ossei, mettendo a punto tecniche chirurgiche innovative sempre orientate alla conservazione e alla ricostruzione degli arti con l’uso di protesi speciali e di trapianti d’osso. Particolare attenzione rivolse alla chirurgia delle pelvi, dei grandi segmenti articolari e della colonna vertebrale. Il Campanacci creò una scuola a Bologna, apprezzata e riconosciuta al di là dei confini nazionali, nella quale si formarono medici che poi si affermarono sia in Italia che all’estero. Nel 1989 fondò la European Musculo-Skeletal Oncology Society sull’esempio della Musculo-Skeletal Tumor Society del Nord America, di cui fu membro d’onore, realizzando la sua aspirazione di riunire, per una migliore collaborazione scientifica, didattica e clinica, le migliori scuole europee di ortopedia oncologica. Nel 1995 il Campanacci fu nominato direttore scientifico degli Istituti ortopedici Rizzoli: si impegnò per un forte rinnovamento della struttura, guidando la riforma di tutto l’Istituto, per rompere le divisioni tra ricerca scientifica e assistenza ospedaliera. Fu impegnato in tutti i campi dell’ortopedia: dalla ricerca di base alla ricerca clinica applicata, fino all’organizzazione di una banca dell’osso, attivandosi per la donazione degli organi.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 19 gennaio 1999, 10.

CAMPANINI ALFREDO 
Praticello di Gattatico 30 luglio 1873-Milano 9 febbraio 1926
Figlio di un casaro, completata la scuola elementare, proseguì gli studi superiori a Parma, dove nel frattempo la famiglia si era trasferita, e si laureò in architettura all’Accademia di Brera di Milano a soli ventitré anni. Nel periodo della permanenza a Parma, si innamorò di una giovane di San Pancrazio, Fanny Cocchi, che sposò il 21 febbraio 1898. Il matrimonio ebbe breve durata perché la moglie nel dicempre dello stesso anno morì di nefrite, lasciando una bimba di appena un mese, morta poi prematuramente all’età di quattro anni. Cinúque anni più tardi si risposò con Maria Pinardi e da questo secondo matrimonio nacquero tre figli. Il Campanini sviluppò la professione principalmente a Milano. Nel complesso quadro storico durante il quale la città si diede un’impronta urbanistica nuova, si distinse per il ruolo altamente qualificato e culturale che caratterizzò tutti i suoi lavori. Tale fu il suo apporto all’architettura della città che nel centenario della nascita del Campanini, Milano gli intitolò un’importante via del centro. L’attività creativa del Campanini produsse, in un trentennio, una gigantesca mole di opere. Tra le opere di maggiore rilievo, figurano il progetto per il padiglione delle poste e telegrafi all’Esposizione di Milano, l’Istituto San Vincenzo di via Copernico, la chiesa di Santa Maria di Lourdes, il villino Verga nella zona di piazzale Loreto, il restauro del palazzo Visconti di Modrone di via Cino del Duca, il palazzo Ingegnoli di Corso Buenos Aires, notevoli palazzi in via Senato, in via Vivaio, in via Pisacane, in corso Monforte e in corso Plebiscito. Inoltre lavorò all’architettura dell’istituto pedagogico-forense, un convitto che raccoglieva giovani disadattati, nella Casa lavoro per sordomuti e nel convitto per i Figli del Medio Ceto a Porto Maurizio di Imperia. In provincia di Parma suoi sono i progetti di alcuni ponti lungo la ferrovia Borgo San Donnino-Fornovo di Taro e il primo tratto della strada Varsi-Bardi, con ponti giudicati notevolissimi e all’avanguardia. Un suo artistico cofanetto fu murato nel 1902 nella Porta Santa in San Pietro a Roma. Si dedicò con entusiasmo anche agli studi urbanistici medioevali tanto che, sollecitato dal duca Giuseppe Visconti di Modrone, curò un dettagliato studio sul restauro dell’antico castello di Grazzano e sulla ricostruzione del borgo circostante. I lavori, iniziati nel 1905, furono condotti a termine l’anno successivo e l’opera ottenne il plauso generale, attirando da allora un flusso continuo di turisti nel caratteristico borgo, dove tutto contribuisce ad assaporare un’ambientazione medievale. Tra gli interventi realizzati a Grazzano, un’attenzione particolare meritano la grande stalla, capace di ospitare fino a novanta capi di mucche, e l’asilo, ricco di importanti pitture. Il Campanini morì travolto dal crollo di una casa in costruzione in viale Umbria. Si era recato per un controllo al cantiere chiuso per il maltempo, quando un improvviso cedimento, provocato da infiltrazioni di acqua, aprì una voragine che lo inghiottì. Aveva poco più di 52 anni. Le sue spoglie sono racchiuse nel cimitero monumentale di Milano in uno splendido sarcofago, collocato sotto l’arco di sinistra del fronte principale. Un’ampia documentazione sulla vita e le opere del Campanini fu inserita in una pubblicazione dell’ufficio cultura del Comune di Gattatico, curata da Gaetano Paterlini.
FONTI E BIBL.: U. Spaggiari, in Gazzetta di Parma 6 agosto 1999, 21.

 CAMPANINI ATTILIO Parma 13 gennaio 1874-Parma 29 agosto 1938
Figlio di Carlo e Santa Re. Fu direttore del gruppo mandolinistico di Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

CAMPANINI BARBARA Parma 1721-Barschau 7 giugno 1799

Ebbe due sorelle: la prima, Marianna, fu mediocre ballerina, dell’altra, di cui il Collini riferisce solo l’iniziale del nome (M.), si sa soltanto che visse a Firenze. La Campanini (il cui cognome è dato da Ceresole, pag. 149 e da Thiebault, I, pag. 339, nelle forme Comparini e Gasperini) era detta la Barberina. Prese probabilmente le prime lezioni di ballo da un coreografo del Teatro Farnese di Parma, ed è sicuro che lavorò con il danzatore napoletano A. Rinaldi Fossano, eccellente nel genere comico e pastorale (Noverre), che la portò a Parigi nella primavera del 1739 per presentarla all’Académie Royale de musique. La Campanini apparve per la prima volta all’Opéra il 14 luglio dello stesso anno, nell’opéra-ballet in tre entrées su musica di J.-Ph. Rameau (Fêtes d’Hébé ou Les Talents lyriques), il quale compose, per la Campanini, quattro arie di danza, ponendole alla fine della seconda entrée (La Musique). Le Mercure Galant attesta l’unanime consenso tributato alla Campanini che, nello stile già lanciato dalla Camargo, eseguì miracoli di virtuosismo sviluppando la tecnica dell’entrechat à quatre fino a raggiungere l’entre chat à huit. Anche i fautori della danza terre-à-terre e dello stile nobile alla Sallé, che non apprezzavano le batterie, i salti e le complicazioni italiane, furono costretti a riconoscere il successo della Campanini (Argenson, Journal et mémoires, II, pag. 197), la quale, con il Rinaldi Fossano, contribuì in modo decisivo al successo dei Talents tanto che le repliche si susseguirono per quasi due mesi consecutivi. Il 3 settembre 1739 l’Académie rappresentò Zaïde, reine de Grenade, balletto eroico in tre atti con prologo su musica di J.-N.-P. Royer. In compagnia, sotto la direzione di Dupré, figurarono i Malter, i Dumoulin, M. Sallé, la Mariette, le Dallemand e la Campanini. Costei sarebbe dovuta apparire solo al secondo atto, ma il Mercure e i Frères Parfaict riferiscono che danzò con il Rinaldi Fossano in parecchie entrate di differenti generi pantomimici. Il 29 ottobre dello stesso anno ancora insieme danzarono per il Re a Fontainebleau, dove la Comédie-Française rappresentava Andromaque e Les Précieuses ridicules e, dopo una settimana, Athalie e Les Vendanges de Suresnes (i due danzatori mandarono in visibilio gli spettatori eseguendo una entrée nel divertissement de la dancourade). Al successo della Campanini come danzatrice non fu da meno quello che riscosse come donna: alta, slanciata, formosa, ella aveva il portamento di una deità (Olivier-Norbert). Il suo primo pretendente fu un ricco olandese, il Signore di Lis, che offrì 150000 fiorini per una sua visita all’Aja, ma fu più fortunato il principe Vittorio Amedeo di Carignano, dal 1730 ispettore generale dell’Académie Royale de musique, che l’ospitò con grande sfarzo in una sua casa. Con la mediazione della sua signora madre, la Campanini accordò intanto i suoi favori ad altri quindici corteggiatori, tra cui il principe de Conti, il marchese de Thibouville, un prelato e il preferito, duca du Dufort. Il ricchissimo inglese lord Arundel fu protagonista di un famoso scandalo, che scoppiò quando il Carignano lo trovò in compagnia della Campanini. Le rimostranze del Principe umiliarono la Campanini al punto che ella disertò le scene per una settimana e cominciò a maturare il proposito di fuggire a Londra con l’Arundel. Ma il Carignano riuscì a trattenerla a Parigi, se non con le preghiere almeno con l’uso della sua autorità d’ispettore, dandole la garanzia di un’assoluta libertà e di uno stipendio di 500 lire mensili. La sua fortuna aumentò di giorno in giorno sia in teatro sia nella vita privata, seguita con scandalistico interesse dalle gazzette. Il 3 dicembre 1739 la Campanini rientrò in scena con il Dardanus di Rameau, ma nonostante il suo successo personale l’opera non riscosse il favore del pubblico e fu presto sostituita con una ripresa dei Talents. Nel marzo e nel giugno del 1740 si esibì a Versailles: il 6 marzo, davanti a Luigi XV e alla regina, chiuse la serata della Comédie-Française danzando un passo a due campestre con Valentino Riccoboni, il figlio del celebre Lelio. Il 23 marzo danzò nel terzo intermezzo della commedia Le Roi de Cocagne, una sarabanda e una furlana tratte dal balletto delle Indes galantes di Rameau e ancora, alla fine della rappresentazione, eseguì, accompagnata dal Riccoboni, una nuova pantomima su musica di A. Blaise. Il 22 giugno, nel balletto des différentes nations che concludeva la commedia Le magnifique di A.-H. La Motte, al centro dei personaggi egiziani (Malter, Dumoulin, Mariette e Mimi Dallemand), si distinse per la sua meravigliosa agilità. Nel luglio dello stesso anno John Rich, il celebre Arlecchino che dirigeva il Covent Garden di Londra, riuscì a togliere la Campanini ai Parigini. Il 1° agosto il principe di Galles Federico festeggiò al Palazzo di Cliveden il compleanno della principessa Augusta di Brunswick: lo spettacolo costituito da un masque di J. Thomson e di D. Mallet, cui seguì The Judgment of Paris di W. Congreve, si chiuse con balletti-pantomime in cui la grazia, la bellezza e la prodigiosa agilità della Campanini (la Tersicore italiana) superarono di gran lunga l’aspettativa generale. Il 25 ottobre essa apparve al Covent Garden ed entusiasmò gli spettatori esibendosi sia nelle entrées comiche sia nel genere più impegnativo del grand ballet sérieux. Alla morte del Carignano (1741), il nuovo ispettore M. de Bombarde, che cercava di ricostituire un valido gruppo di danzatori, inviò lo scenografo G.N. Servandoni a Londra per richiamare la Campanini, che accettò l’invito e giunse a Parigi l’ultimo giorno di maggio. Il 13 giugno rientrò in scena con L’Empire de L’Amour, balletto eroico in tre atti del marchese de Brassac, e il 4 luglio, alla ripresa delle Fêtes grecques et romaines, interpretò il classico ruolo di Tersicore, in cui si erano cimentate tutte le étoiles del secolo, riuscendo a dimostrare che la danza nobile e la danza di grande espressione le erano congeniali quanto il genere brillante e pastorale. Tornata al Covent Garden per la stagione 1741-1742, con i suoi partner Ch. Le Picq e Ph. Lalauze, la Campanini riscosse come l’anno precedente un grandissimo successo. La scrittura successiva le venne da Dublino, dove il Du Val, impresario del Theatre in Smock-Alley, la ingaggiò con due celebrità inglesi: David Garrik e Margaret Peg Woffington. Il 29 agosto del 1742 la Campanini danzò per l’ultima volta a Dublino. Pare che l’inverno seguente si sia esibita ancora al Covent Garden. Nel settembre 1743, a Parigi, si impegnò con M. de Chambrier, ministro plenipotenziario del Re di Prussia, a passare al servizio di Federico II alla fine del Carnevale 1744. Ma finì invece per fuggire a Venezia con il giovane lord James Stuart de Mackenzie, che voleva sposarla. Vani furono gli interventi del conte Giovanni Cattaneo che reclamò, da parte di Federico II, l’adempimento dell’impegno: la Campanini fu irremovibile e dichiarò di essere ormai sposata, per cui il precedente contratto decadeva automaticamente senza l’approvazione del caro sposo. Il 3 febbraio 1743, secondo quanto afferma il D’Ancona, il Cattaneo, che si diceva storiografo e consigliere intimo del Re di Prussia, si rivolse al Maggior Consiglio, ricevendo solo promesse d’intervento. Interessò pure gli ambasciatori di Francia e di Spagna, i quali cercarono di persuadere la Campanini, la quale però, forte dell’appoggio del futuro marito e di un suo amico, entrambi del Parlamento inglese, si ostinò nel rifiuto. Anche il residente della Regina d’Ungheria la mandò a chiamare, come suddita di Maria Teresa. La questione divenne vieppiù intricata, mentre i prudenti Savi veneziani furono costretti a temporeggiare per tutelare l’antica franchigia veneta senza contrariare apertamente né l’Austria né la Prussia. Ma quando Federico con drastica decisione sequestrò il bagaglio dell’ambasciatore veneziano a Londra, Cappello, che, rientrando in Italia, attraversava il territorio prussiano, le trattative furono riprese a Vienna tra l’ambasciatore veneziano Marco Contarini e il conte Dohna, rappresentante di Federico. Esse portarono all’arresto della Campanini, che fu segregata nella casa del fante Beltrame sotto la guardia di otto uomini. Inutili furono gli appelli dello Stuart al ministro inglese a Berlino, vanificati dall’irriducibile opposizione dei parenti di lui al matrimonio. Inutile fu il suo tentativo di corrompere il rappresentante dell’ambasciatore prussiano che aveva prelevato la Campanini al confine austriaco. Inutili furono anche le sue minacce, che riuscirono a provocare solo l’intervento della polizia e l’immediato allontanamento del giovane lord. Questi non si rassegnò e, arrivato a Vienna, riuscì a ottenere dal conte Dohna il passaporto e una lettera di raccomandazione per un’udienza da Federico. La Campanini, dopo un viaggio lungo e faticoso, arrivò a Berlino l’8 maggio e lo stesso giorno vi giunse lord Stuart. L’udienza non gli fu concessa e alla sua lettera di supplica, Federico rispose con l’ordine di lasciare la Prussia al più presto. Prima di salpare per Londra l’infortuné, come egli si firma, inviò alla Campanini due lettere, le prime di una corrispondenza affettuosa che durò sin dopo il matrimonio di lei con un altro uomo. Il 13 maggio 1744 la Campanini debuttò a Berlino negli entr’actes dello spettacolo dato dalla Comédie-Française. Il trionfo fu coronato da un’offerta di contratto per cinque anni. La Campanini chiese l’enorme somma di 5000 talleri che il Re accettò e che anzi, l’anno successivo, aumentò di 2000 talleri aggiungendo al contratto una clausola di nullità nel caso che la Campanini si fosse sposata. Federico, di cui non era famosa la prodigalità, specie nei confronti degli artisti, fu certo affascinato più dall’arguzia e dall’intelligenza della Campanini che dalle sue gambe da uomo, come asserisce malignamente Voltaire (Vita privata, pag. 87). La Campanini, a Berlino, ebbe modo di mettere in luce queste altre qualità accogliendo, nel suo lussuoso appartamento alla Behrenstrasse, un salotto letterario in cui s’incontrava un’élite intellettuale internazionale. Lo stesso Re, con il marchese d’Argens, il conte Algarotti, il cavaliere de Chasot, il generale de Rothembourg fu annoverato tra i più assidui frequentatori. Gli indiscreti accennano a qualche dissapore tra loro per i favori della Campanini (vedi una lettera riferita da D. Caminer, Storia della vita di Federico il Grande, Venezia, 1787, citata da D’Ancona, pag. 74). Pare che l’Algarotti volesse addirittura sposarla. Dal luglio del 1744 al giugno del 1748, la Campanini si fece applaudire in tutte le opere rappresentate alla Hofoper. Dai tre libretti che rimangono, si sa che in Arminio (musica di J.A. Hasse, gennaio 1747) apparve, con B. Lany, in un passo a due al primo atto e ancora, al terzo atto, nel Ballet des héros. Nel Cinna (musica di J.G. Graun, 2 gennaio 1748), danzò al secondo atto un passo a due con P. Sodi nel Ballet des amis de l’Empereur e al terzo atto, nel Ballet du Peuple romain, un altro passo a due col Sodi. Nell’Europa galante (musica di Graun, 27 marzo 1748), eseguì un passo a due con sieur Artus e un a solo nella Entrée des Turcs. Pare che abbia raccolto il suo più gran successo negli intermezzi dell’Adriano in Siria (musica di Graun, 29 dicembre 1745) e soprattutto nel terzo che rappresenta l’avventura di Pigmalione, dove ella interpretò il ruolo della statua (questa pantomima ispirò A. Pesne nel decorare il pannello intitolato Pygmalion della Musikzimmer di Sans-Souci). Nel 1748, fatta oggetto della pubblica dichiarazione d’amore di Charles-Louis de Cocceji, figlio maggiore del gran cancelliere, la Campanini cadde in disgrazia del Sovrano e non appena si apprestò a lasciare il paese, fu trattenuta dal capo della polizia fin quando non si risolse a pagare alcuni debiti di cui pare ignorasse l’esistenza. Durante il soggiorno a Londra che seguì, rivide senza dubbio Stuart de Mackenzie e potrebbe anche darsi che abbia ballato al Covent Garden. All’inizio del 1749 tornò a Berlino e, sfidando l’ira del Re, annunciò il suo prossimo matrimonio con il Cocceji, che fu rinchiuso in un castello, ma, appena rimesso in libertà, raggiunse la Campanini e la sposò in segreto. Federico II esiliò la coppia in Slesia, dove il giovane Cocceji assunse la carica di vice-presidente del concistoro di Glogau nell’autunno 1752. Relegata, dopo una vita brillante, in un piccolo centro di provincia, la Campanini, capricciosa e collerica, non tardò a scontrarsi con un marito autoritario e volubile. La separazione avvenne di fatto nel 1759 quando la Campanini si ritirò nel castello di Barschau da lei acquistato con le terre di Polach e di Borschütz per 70000 scudi. Nel 1788 la separazione fu sancita dal divorzio: il 20 luglio 1789 la Campanini, firmandosi ancora Cocceji, dichiarò in una lettera a Federico Guglielmo II, di non aver nessun rimpianto e di essere stata infelice per tutto il tempo del suo matrimonio. Chiese però che le fosse concesso il titolo di contessa, almeno per sollevarla dalla sua condizione di donna abbandonata. In cambio avrebbe impegnato i suoi beni, che ammontavano a circa 100000 scudi, nella fondazione di un istituto per le nobili povere di Slesia. Il 6 novembre 1789 venne soddisfatta la sua richiesta e un blasone complicato e fantasioso venne assegnato alla contessa de Campanini. L’istituto che la Campanini, secondo la sua promessa, fondò fu posto sotto la protezione del Re ed ebbe uno statuto assai austero e il motto Virtuti asilum, ma ella, fondatrice e prima badessa, non poté fregiarsi del titolo di Eccellenza che pretendeva. Dopo una temporanea impuntatura tuttavia, la Camúpanini assolse il suo compito direttivo con tenacia e serietà fino alla fine dei suoi giorni. Morì mentre passeggiava nel suo giardino, fulminata dalla rottura di un aneurisma e fu sepolta nella chiesa di Hochkirch, contrariamente alle sue disposizioni testamentarie, che furono tutte annullate, per cui anche i diversi lasciti particolari furono venduti a favore dello Stato. Tra i ritratti della Campanini dipinti a olio si ricordano quelli di A. Pesne (uno è nella Galleria di Sans-Souci e un altro è nella Theezimmer del castello di Potsdam). Un altro dipinto a olio di Z. Ziegler e uno di A. Bausewein sono nel castello di Barschau. Di autore ignoto, forse Pesne, il ritratto nel castello ducale di Zerbst. Un pastello famoso eseguito da R. Carriera (Museo di Dresda) la ritrae a vent’anni. Una pregevole miniatura di Dienoz è conservata al castello di Barschau. Assai rara è l’incisione di C.B. Glassbach, che ritrae la Campanini con un costume villereccio (Berlino, Kupferstichkabinett). Tra i pannelli del Pesne, oltre al già citato Pygmalion, sono da menzionare quello del Concert en plein air e quello della Danse en plein air, ambedue nella Theezimmer del castello di Potsdam.
FONTI E BIBL.: Y.G. Noverre, Lettres sur la danse, Lyon-Stuttgart, 1760, 83; Y.G. Noverre, Lettres sur les arts imitateurs en général et sur la danse en particulier, I, Paris, 1807, 262; C.A. Collini, Mon séjour auprès de Voltaire, Paris, 1807, 5; Voltaire, Oeuvres colplètes. Correspondance avec le Roi de Prusse, II, Paris, 1824, 199; R.-L. d’Argenson, Journal et Mém., II, Paris, 1860, 197; D. Thiébault, Souvenirs de vingt ans à Berlin, Paris, 1891, I, 339; Voltaire, Vita privata di Federico II, Roma, 1945, 87; V. Ceresole-T. De Saussure, J.-J. Rousseau à Venise, Genève, 1885, 149; J.J. Olivier-W. Norbert, Une étoile de la danse au XVIIIe siècle, Barbara Campanini, Paris, 1910; A. D’Ancona, Memorie e documenti di storia italiana nei secoli XVIII e XIX, Firenze, 1913, 119 s.; A. Marchi, La ballerina Barbara Campanini, in Aurea Parma 4 1926, 204 s.; N. Bazzetta De Vemenia, Danzatrici ed etere d’Italia, Como, 1927, 37; Enciclopedia dello Spettacolo, I, coll. 1461-1464 (sub voce Barbarina); A. Ascarelli, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 415-418.

CAMPANINI BIAGIO San Secondo XVI/XVII secolo
Poeta che in un sonetto esaltò donna Giovanna d’Aragona più di Minerva, Venere e Giunone e ne lodò la fronte regia, e le chiome d’oro, e gli occhi vaghi, e il casto e saggio petto.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 185.

CAMPANINI CLEOFONTE 
Parma 1 settembre 1860-Chicago 19 dicembre 1919
Nacque da Francesco, fabbro, e da Anna Rosa Alessandri. A tredici anni iniziò gli studi musicali alla scuola del Carmine di Parma, come convittore interno. Vi rimase cinque anni, studiando violino con C. Ferrarini, e contrappunto e composizione con G. Dacci. Lasciò, tuttavia, la scuola prima di aver terminato gli studi, insofferente dei sistemi pedagogici in essa impiegati. Continuò privatamente lo studio del violino e della composizione con il Ferrarini, che, resosi conto del suo talento eccezionale, ebbe per lui particolare predilezione. Nel 1878 esordì come violinista, rivelandosi ottimo interprete delle musiche di Corelli, Tartini, Beethoven, Vieuxtemps e di Henryk Wieniawski. Suonò come violino di spalla nelle orchestre di F.A. Faccio, L. Mancinelli, E. Usiglio e tenne concerti alla Società del quartetto di Parma. Affermatosi rapidamente, fu scritturato non ancora ventenne a Vienna, poi a Berlino e a Londra, dove, al Covent Garden Theatre, eseguì numerosi concerti con vivo successo. A vent’anni il Campanini decise di abbandonare la carriera violinistica per quella direttoriale e nell’estate 1880, approfittando di un’assenza del maestro, si fece scritturare al Teatro Reinach di Parma, dove diresse L’ultima notte di carnevale o La notte di carnevale di N. Cialdi. Il suo vero esordio come direttore d’orchestra avvenne il 16 settembre 1882 al Teatro Regio parmense: in quell’occasione diresse l’opera Carmen, nella quale la parte di don José era interpretata dal fratello, il tenore Italo, e da altri rinomati artisti. L’opera ebbe vivissimo successo e il suo fare disinvolto, la sua battuta franca e decisa e senza la minima ombra di incertezza e il buon senso con cui coloriva la musica furono molto elogiati dal critico della Gazzetta di Parma del 21 settembre 1882. Nel 1884 il Campanini fu scelto per dirigere alla prima Esposizione internazionale torinese, superando, con la sua orchestra composta da elementi parmigiani (nella quale figurava anche Arturo Toscanini come violoncello di fila), quelle dirette da G. Martucci, F.A. Mancinelli, C. Pedrotti e L. Faccio. In seguito, scritturato all’estero, compì tournée negli Stati Uniti e nell’America del Sud. Diresse, inoltre, in Europa nei maggiori teatri (Liceo di Barcellona, Real di Madrid) e ancora in America al Colón di Buenos Aires. Nel 1890 sposò il soprano Eva Tetrazzini, che interpretò numerose opere da lui dirette, tra le quali Fedora di U. Giordano, rappresentata al Teatro Regio di Parma nel 1902. In quello stesso anno, il 6 novembre, il Campanini ottenne un caloroso successo dirigendo la prima esecuzione di Adriana Lecouvreur di F. Cilea al Teatro Lirico di Milano. Fu quindi scritturato per tre anni alla Scala di Milano, dove diresse in prima esecuzione le opere Siberia di U. Giordano, il 19 dicembre 1903, e Madama Butterfly di Puccini il 17 novembre 1904: la prima rappresentazione dell’opera fu male accolta dal pubblico e dalla critica, ma solo tredici mesi più tardi, quando lo stesso Campanini la diresse al Teatro Grande di Brescia, riscosse un caloroso successo. Delle numerose opere che il Campanini diresse alla Scala tra il 1903 e il 1905 ebbero un successo particolare Wally, Lorelei, Le Nozze di Figaro (interpretata da C. Ferrari, G. Russ e G. De Luca), Freischutz e L’Oro del Reno. Nel 1905 diede improvvisamente le dimissioni dal Teatro alla Scala in seguito a un diverbio con alcuni componenti dell’orchestra che gli erano ostili. Il Campanini diresse inoltre, al Covent Garden di Londra nel 1904, una memorabile esecuzione della Manon Lescaut di Puccini, interpretata da Caruso e da A. Giachetti, alla presenza dello stesso autore, e il 29 maggio 1911 la prima rappresentazione della Fanciulla del West. In Italia fece conoscere al pubblico napoletano il Falstaff di Verdi e i wagneriani Maestri Cantori. Nel 1913, per celebrare il centenario della nascita di Giuseppe Verdi, diresse a Parma un ciclo di opere verdiane che includeva Nabucco, Un ballo in maschera, Aida, Falstaff, Don Carlos e anche il Requiem. Nello stesso anno acquistò dal Comune di Parma il Teatro Reinach e nel 1914 ne affidò la gestione al nipote Lohengrin Italo, figlio del fratello Italo, che la tenne fino al 1921. Con la ricca mecenate americana Edith Mac Cormick, inoltre, istituì presso il conservatorio locale un concorso per opere nuove di giovani compositori, il cui premio, di 20000 lire, venne assegnato nel 1914 a Erica di G. Pennacchio e nel 1917 alla Figlia del re di A. Lualdi (entrambe le opere furono eseguite al Teatro Reinach). Istituì inoltre, sempre a Parma, un concorso per giovani cantanti che rivelò al pubblico Beniamino Gigli. Il Campanini trascorse gli ultimi anni a Chicago come direttore artistico della Chicago Opera Association. A Chicago ebbe agiatezza, fortuna, onori e l’ammirazione entusiasta dei suoi molteplici ammiratori. Dopo la proclamazione della pace, nel 1918, percorse le vie di Chicago con l’orchestra e i cori tra l’entusiasmo della folla. A Chicago morì prima di poter tornare in patria, come sarebbe stato suo desiderio. La sua salma ebbe onoranze imponenti e fu esposta nel Teatro Auditorium parato a lutto. Fu poi trasportata a Parma e inumata al cimitero della Villetta nel monumento erettogli dalla vedova e dal nipote Lohengrin Italo Campanini. Dotato di una personalità spiccatissima, di un talento autentico e di notevole versatilità, non deluse mai le aspettative del pubblico e della critica che fin dal suo esordio gli aveva predetto una brillante carriera. Tra le sue interpretazioni più significative vanno ricordate, oltre a quelle già citate, la Luisa di G. Charpentier e Pelléas et Melisande di C. Debussy.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1919; P.E. Ferrari, Spettacoli drammatico-musicali e coreografici in Parma dall’anno 1628 all’anno 1883, Parma, 1884, 319; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946, ad Indicem; A. De Angelis, Dizionario dei musicisti, Roma, 1928, 113 s.; G. Graziosi, Cleofonte Campanini, in Enciclopedia dello Spettacolo, II, Roma, 1954, coll. 1589 s.; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 38-39; La musica, Dizionario, I, Torino, 1968, 334; C. Gabanizza, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 418-419.

CAMPANINI DOMENICA, vedi BACCHI DOMENICA

CAMPANINI EVA, vedi TETRAZZINI EVA

CAMPANINI FERDINANDO
Borgo San Donnino 1894/1912
Fu Sergente del 6° Reggimento Fanteria. Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Durante il combattimento, per recapitare ordini, non curante del pericolo, attraversava con coraggio e serenità zone esposte al fuoco nemico (Zanzur, 8 giugno 1912).
FONTI E BIBL.: G.S. Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’Impero, 1937.

CAMPANINI FRANCESCO San Martino Sinzano 1637/1667
Fu parroco della chiesa di San Martino Sinzano dal 1637 al 30 agosto 1667.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 18 gennaio 1960, 3.

CAMPANINI GAETANO Parma 1819
Con legge ducale del 28 maggio 1819 venne nominato economo-cassiere della Tipografia Ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: Tavola alfabetica de’ cognomi e de’ nomi de’ Magistrati, de’ Pubblici ufficiali e di tutte le altre persone mentovate nella raccolta delle leggi, in Indice analitico ed alfabetico della Raccolta generale delle leggi per gli Stati di Parma degli anni 1814-1835, V, Parma, 1841, 389-430; L. Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 354.

CAMPANINI GIACOMO 
San Secondo 2 giugno 1782-Parma 16 settembre 1856
Frate cappuccino, fu predicatore, cappellano negli ospedali e nelle carceri, confessore e guardiano più volte. Compì la vestizione (3 maggio 1801) e, esattamente un anno dopo, la professione solenne.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 535.

CAMPANINI GIANNA, vedi AGOSTINUCCI GIANNA

CAMPANINI GIOVANNI Sorbolo 1859
Fu deputato per il collegio di Sorbolo e Mezzani all’assemblea dei rappresentanti del popolo delle Province parmensi nel settembre 1859. Nella seduta del 7 settembre 1859 venne sorteggiato per l’ufficio IV.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento: Roma, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 267.

 CAMPANINI GIOVANNI DOMENICO Parma 5 gennaio 1534-1616
Figlio di Giovanni Giacomo e Giovanna. Architetto, dal 1602 fu al servizio del duca Ranuccio Farnese. Fu attivo a Parma alla costruzione del Palazzo della Pilotta (1602), quindi della Sala d’armi nel Teatro Farnese e della chiesa della Santissima Annunziata.
FONTI E BIBL.: Venturi, XI/3, 365; A.M. Bessone, Scultori e Architetti, 1947, 116; A. Terzaghi, Gli architetti della Pilotta, in Aurea Parma 2 1958, 71-86; Dizionario architettura e urbanistica, I, 1968, 466.

CAMPANINI GIUSEPPE 
Mezzano 6 settembre 1691-Piacenza 31 agosto 1781
Frate cappuccino laico cuciniere. Fu religioso di molta bontà, singolarmente di gran carità e pazienza, avendo sofferta con inalterabile giovialità una lunghissima infermità. Compì a Guastalla sia la vestizione (18 novembre 1721) che la professione solenne (18 novembre 1722).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 502.

CAMPANINI GIUSEPPE Parma 1831
Fu uno dei compromessi nei moti politici del febbraio 1831 a Parma: Cooperò con il nipote Lanfranco e col proprio figlio all’introduzione in città delle bande armate di paesani nel giorno 15 febbraio. Per questo motivo fu tra gli inquisiti di Stato. Fu definito soggetto sempre meritevole di sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, I patrioti parmensi del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 154; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 267.

CAMPANINI GIUSEPPE 
Parma 10 dicembre 1896-Parma 11 giugno 1967
Dopo la prima guerra mondiale lavorò come fotografo e nel contempo studiò canto con il maestro Pizzarelli alla Corale Euterpe e cantò come corista al Teatro Regio. Nel 1921 la compagnia di operette di Carlo Rota si trovò a Parma senza tenori e indisse un’audizione. Venne accettato, debuttando subito dopo a Milano e diventando presto uno dei più ricercati tenori della piccola lirica: il grande successo fu raggiunto al Teatro Dal Verme di Milano, essendo stato prescelto dallo stesso Lehár per la nuova operetta Paganini. Quando si esibì in quest’operetta a Parma, la Gazzetta di Parma gli dedicò il 28 maggio 1928 una fotografia in prima pagina e lo definì attore simpatico e sicuro, che aveva fatto sfoggio della bella voce sonora e pastosa dalle morbidissime inflessioni vellutate. Passò di compagnia in compagnia sempre con grande successo, lavorando con le maggiori dive di quel genere di spettacoli. Si esibì anche nel teatro lirico: così nel febbraio 1945 fu presente nel cast della stagione d’opera organizzata da Renzo Martini al Teatro Ducale di Parma, in cui furono eseguite La Bohème, L’elisir d’amore e Lucia di Lammermoor. Abbandonò le scene nel 1958.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 42; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CAMPANINI GUSTAVO Parma 13 novembre 1880-Carrara 1962
Studiò composizione al Conservatorio di Parma con Telesforo Righi e si diplomò nel 1903 con A. Zanella. Diresse orchestre in teatri italiani e fece lunghe tournée all’estero. A Milano concertò gli intermezzi per Edipo Re di I. Pizzetti (1904) del quale era stato compagno di corso al Conservatorio di Parma. Lavorò come maestro sostituto al Teatro Reinach di Parma (1904) e come altro direttore nell’estate 1905. Nella stagione 1906-1907 diresse al Teatro del Cairo una stagione di 25 opere di grande repertorio con 56 rappresentazioni e successivamente concerti e stagioni liriche in Italia e all’estero. Nel 1909 limitò le presenze in teatro per dedicarsi alla composizione e all’insegnamento, avendo vinto il concorso per direttore e docente nella Scuola di musica di Carrara, non abbandonando però la direzione d’orchestra: nel 1910 lo si trova direttore di una fortunata tournée di Werther con il soprano Emilia Corsi e il tenore Alessandro Ravazzolo nei teatri dell’Italia centrale. Fu autore delle seguenti composizioni: La torre di Nesle (1904), tre cantate per voci, coro e orchestra, Giuditta (libretto di C. Lodovici), una Ouverture; tre Suite, Quartetto in mi minore, Trio in sol minore, Romanza per violino e archi (1897).
FONTI E BIBL.: A. De Angelis, Dizionario musicisti, 1918, 68; Dizionario musica e musicisti, Appendice, 1990, 139.

 CAMPANINI ICILIO
-Parma 20 gennaio 1907
Nel 1866 accorse ad arruolarsi volontario nel 9° Reggimento per partecipare alla campagna risorgimentale.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 gennaio 1907, n. 20; G. Sitti, Il Risorgimento Italiano, 1915, 402.

CAMPANINI ITALIA, vedi CITTANTI ITALIA

CAMPANINI ITALO Parma 30 giugno 1845-Corcagnano 22 novembre 1896

Fratello del direttore d’orchestra Cleofonte, nacque da Francesco, fabbro ferraio, e da Anna Rosa Alessandri. Pur lavorando nell’officina del padre, studiò musica sotto la guida di Griffini alla Reale Scuola di Musica di Parma. Secondo il Pariset, giovanissimo avrebbe combattuto con Garibaldi in Sicilia. Nel 1863 esordì al Teatro Regio di Parma nel ruolo di Oloferno Vitellozzo nella Lucrezia Borgia di G. Donizetti, cantando quindi nella Sonnambula di V. Bellini, dove sostenne la parte del notaio. Nel 1865 si aggregò a una troupe italiana in Russia, che girò a lungo finché l’impresario V. Sermattei lo scritturò al Teatro di Odessa, dove gli fu affidato il ruolo di primo tenore nei Lombardi e nel Trovatore verdiani. In Russia rimase tre anni svolgendo intensa attività artistica, quindi tornò in Italia e perfezionò ulteriormente la sua tecnica vocale sotto la guida di F. Lamperti a Milano. Scritturato al Teatro alla Scala di Milano per la stagione 1870-1871, il Campanini vi interpretò il Faust di C. Gounod, il Don Giovanni di Mozart, la Lucrezia Borgia di Donizetti e, in seguito al successo ottenuto, ottenne una scrittura al Comunale di Bologna dove interpretò Faust (1° ottobre 1871) e Lohengrin di Wagner (1° novembre 1871), nella prima esecuzione italiana diretta da A. Mariani, contribuendo con la sua interpretazione al caloroso consenso col quale l’opera venne accolta tanto dal pubblico quanto dalla critica più autorevole e qualificata, giunta a Bologna da ogni parte d’Italia e d’Europa, richiamata dal singolare evento. Tra gli altri H.v. Bülow si dichiarò entusiasta del Campanini, primo e per vari anni ineguagliabile Lohengrin italiano (Trezzini). Successivamente, però, il 10 marzo 1873, quando il Lohengrin venne rappresentato alla Scala, le reazioni del pubblico furono negative (cfr. Depanis, pag. 150: Campanini venne evocato al proscenio per separare l’approvazione dell’artista dalla disapprovazione della musica). Specializzato in questo ruolo, il Campanini riottenne eguale successo a Torino il 14 marzo 1877 (nel riferire sull’esito il Depanis lo definisce un superbo cavaliere del cigno, sobrio, corretto, alieno da sdilinquimenti e dalle esagerazioni, pag. 140). Il Campanini si distinse nell’opera Mefistofele di Boito, anch’essa caduta alla prima esecuzione scaligera e da lui portata a un successo trionfale quando fu nuovamente rappresentata al   Teatro Comunale di Bologna il 4 ottobre 1875, presente l’autore. Nel dicembre 1872 il Campanini interpretò alla Scala il Ruy Blas di F. Marchetti, che divenne uno dei suoi cavalli di battaglia e che portò sulle scene dell’Apollo di Roma nella stagione 1875-1876, del Regio di Torino nel 1877 e a Parma nel 1879, in uno spettacolo da lui stesso allestito per beneficenza il 7 settembre, quando venne inaugurato il monumento al Parmigianino. In quegli anni il Campanini fu anche scritturato all’estero e cantò nel 1872 al Drury Lane Theatre di Londra in Lucrezia Borgia e in Lucia di Lammermoor e al Metropolitan di New York, scritturato fino al 1822, nel Faust, Aida, Trovatore e Lohengrin. Il 16 settembre 1882 allestì a sue spese al Regio di Parma la Carmen di G. Bizet, che, diretta con successo dal fratello Cleofonte appena esordiente, fu da lui interpretata nel ruolo di don José. La critica lodò ancora una volta il suo talento scenico e interpretativo, efficace tanto nei canti chiari ed aperti, come colle sapienti modulazioni della sua voce dal timbro simpatico, soave, toccante (Gazzetta di Parma 21 settembre 1882). Pochi giorni più tardi, il 28 settembre, egli allestì e interpretò il Trovatore, ancora una volta sotto la direzione del fratello, mandando il pubblico in delirio con la romanza del terzo atto Amor sublime amore, eseguita con bella voce e magistero perfetto di cantante e d’artista (Gazzetta di Parma 29 settembre 1882). Nel 1883 interpretò il Faust, inaugurando con questa opera la stagione del Metropolitan di New York, ma questo fu uno dei suoi ultimi successi. Nel 1884 infatti la sua voce cominciò a dar segni di stanchezza e nel 1886, nell’interpretazione del Mefistofele al San Carlo di Napoli, il Campanini venne fischiato. Negli anni seguenti continuò a calcare le scene, concludendo la carriera nel 1894 all’Albert Hall di Londra con la Dannazione di Faust di Berlioz. Dotato di una voce notevole per il timbro e il volume, seppe conquistare le platee anche per lo stile delle sue interpretazioni, misurato, elegante e, al tempo stesso, ricco di intensità espressiva.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 e 29 settembre 1882; P.E. Ferrari, Spettacoli drammatico-musicali e coreografici in Parma dall’anno 1628 all’anno 1883, Parma, 1884, 146-312 passim; Almanacco Italiano 1898, 367; C. Pariset, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Parma, 1905, 21 s.; G. Depanis, I concerti popolari e il teatro Regio di Torino, II, Torino, 1914-1915, 140, 150; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946, ad Indicem; L. Trezzini, Due secoli di vita musicale. Storia del Teatro Comunale di Bologna, Bologna, 1966, I, 14, 16, 18, 123, II, 98 s., 103; R. Celletti, Campanini Italo, in Enciclopedia dello Spettacolo, II, Roma, 1954, coll. 1590 s.; La musica, Dizionario, I, Torino, 1968, 333 s.; C. Gabanizza, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 419-420.

CAMPANINI LANFRANCO Parma 1831 Fu inquisito, arrestato e processato per aver preso parte ai moti del 1831. Sulla sua scheda segnaletica è riportato: Nella loro casa situata a Porta S. Michele alias Manini come in Ramoscello, si tenevano conventicole delle quali era capo Amadio Melegari ed il Maestro Silva, entrambi del Collegio Lalatta. In quella casa intervenivano molti Reggiani e vi erano raccolti contadini armati. Lanfranco fu il capo di paesani che entrarono in città la mattina del 14 Febraio colla bandiera tricolore, che fu piantata in piazza e come tale è arrestato ed inquisito. In seguito al decreto d’amnistia del 29 settembre 1831 venne scarcerato e confinato nelle sue terre di Ramoscello.

FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 149.

CAMPANINI LOHENGRIN ITALO Parma 11 giugno 1878-Salsomaggiore 21 ottobre 1951 Figlio di Italo. Nel 1914 (sino al 1921) gli fu affidata la gestione del Teatro Reinach di Parma, che lo zio Cleofonte Campanini aveva acquistato dal Comune di Parma e nel quale furono eseguite le opere vincitrici del concorso MacCormick-Campanini. Diede poi il teatro in affitto e visse dilapidando la fortuna ereditata, svendendo il teatro, le case, i terreni, la biblioteca e i carteggi di Italo e Cleofonte Camúpanini, per chiudere i suoi giorni in miseria.

FONTI E BIBL.: M. Ferrarini, Cantanti celebri parmensi del secolo XIX (Il primo Lohengrin e il primo Vasco de Gama), Parma, 1938; A. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946; R. Celletti, in Enciclopedia Spettacolo; Dizionario musicisti UTET, 1985, 85.

CAMPANINI LUCIANA, vedi ZAPPIA LUCIANA

CAMPANINI LUIGI Monticelli 11 maggio 1817-Zibello 31 ottobre 1897
Frate cappuccino laico, questuante per quarant’anni a vantaggio specialmente del convento di Parma. Compì la vestizione a Borgo San Donnino il 23 maggio 1836 e la professione solenne nella stessa località il 13 giugno 1837. Fu colpito improvvisamente da paralisi a Pieve Ottoville e morì nell’Ospedale di Zibello. Fu detto anche da Parma e nella lettera necrologica si dice da Marano di San Lazzaro Parmense.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 618.

CAMPANINI LUIGI Parma 1831
Fu uno degli studenti che erano detenuti nel forte di Compiano per lo spirito sedizioso da loro manifestato antecedentemente alla rivolta del 1831. In seguito fu sottoposto a visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 148-149.

CAMPANINI MARIANNA Parma 1747
Sorella di Barbara, fu mediocre ballerina. Fece la sua carriera a Parigi ed entrò nel corpo di ballo berlinese nel 1747.
FONTI E BIBL.: Dizionario biografico degli Italiani, XVII, 1974, 415.

 CAMPANINI ORAZIO Monticelli 1913-Parma 27 aprile 1992

Il Campanini dedicò metà della sua vita all’insegnamento nella scuola elementare, dove svolse per anni il ruolo di Direttore didattico. Ma la sua notorietà non è legata alla professione, che pure svolse con tanta dedizione, bensì all’amore e all’ostinazione con cui si dedicò alle tradizioni parmigiane, forse perché ebbe la fortuna di essere in gioventù prima allievo e poi grande amico del poeta parmigiano Renzo Pezzani, del quale conservò gelosamente diverse lettere autografe. Da sempre socio della Famija Pramzana, il Campanini ne diventò il presidente. Inoltre curò la pubblicazione annuale dell’Associazione, il periodico Al Pont äd Mez, cui affidò una serie infinita di articoli sulle antiche tradizioni parmigiane. La sua preoccupazione fu soprattutto rivolta a che queste usanze non diventassero qualcosa di estraneo e incomprensibile per le nuove generazioni. Per questo, una volta lasciata la cattedra di direttore didattico per raggiunti limiti di età, tornò tra i banchi di scuola a raccontare il dialetto parmigiano per farlo conoscere ai bambini leggendo i versi in vernacolo di Pezzani, Vicini e Zerbini. Nacque così la piccola brigata dei putén d’la Famija Pramzana. Eterno innamorato della sua città, il Campanini non limitò la sua inesaribile avventura culturale ai soli testi scritti in vernacolo, in versi o in prosa: anche la lirica e il melodramma fecero parte delle sue passioni. Nell’ambiente musicale coltivò numerose amicizie, in particolare quella con Renata Tebaldi. Da sempre sensibile ai cambiamenti culturali e attento alle nuove esigenze, non fece mancare il suo impegno nemmeno sul fronte sindacale: fondò infatti nel primo dopoguerra un’organizzazione autonoma di categoria per rivendicare i diritti degli insegnanti.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 28 aprile 1992, 6.

CAMPANINI PIER LUIGI Parma 1831
Durante i moti del 1831 si offrì di far parte di una compagnia di volteggiatori. In seguito fu sottoposto a sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 149.

CAMPANINI PIERO, vedi CAMPANINI PIETRO

CAMPANINI PIETRO 
Fontanelle di Roccabianca 1887-Sei Busi 8 agosto 1915
Figlio di Roberto. Combattendo da valoroso, il 6 agosto 1915 fu più volte colpito dal fuoco delle mitragliatrici nemiche. Ricoverato nell’Ospedaletto da campo n. 65, vi spirò in seguito alle ferite riportate nel combattimento. La sua salma fu inumata nel cimitero di Fontanelle.
FONTI E BIBL.: Combattenti di Roccabianca, 1923, 19.

CAMPANINI PIETRO Parma 7 ottobre 1904-Parma 5 gennaio 1972

Giovanissimo visse, non da spettatore, la sovversione fascista (1922), comprendendone le origini di classe e la sua natura antipopolare. Lo si ritrova verso gli anni Quaranta militante del Partito Comunista Italiano di Parma. La sua fu una partecipazione totale alla battaglia antifascista. I rischi non lo spaventarono, anzi, si può dire che il Campanini si rivelò appieno nelle circostanze più intricate e più pericolose. La sua casa diventò già dal 1942 un centro vivo dell’opposizione clandestina al fascismo e fu sede degli incontri del gruppo dirigente comunista parmense. Nel suo laboratorio di cementista funzionarono le macchine per la stampa di materiale propagandistico e dei documenti di identità per i ricercati dalle polizie fascista e nazista. Decine di ricercati, tra cui uomini politici di primo piano come Giorgio Amendola, Piero Montagnani, Luigi Menconi, Amerigo Clocchiatti, Macchia e Grilli, trovarono da lui attenta e fraterna ospitalità. L’8 settembre 1943 gli venne affidato il compito di mantenere i collegamenti con gli addetti ai servizi militare, politico e finanziario delle città di Milano, Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Bologna, con le formazioni partigiane, il Comando Unico, il Comando di Piazza e il Comitato di Liberazione Nazionale clandestino. Fu un periodo di intenso impegno per il Campanini: emerse il suo notevole intuito politico e la sua interpretazione fortemente unitaria dell’antifascismo, che andò ben oltre il momento contingente. Il Campanini ebbe chiaro che la ricostruzione politica, economica e morale del Paese doveva assolutamente muovere dal blocco dei partiti antifascisti, se non si volevano tradire le aspirazioni popolari. Sotto l’apparenza di tranquillo artigiano, il Campanini nascondeva un temperamento forte e risoluto: seppe affrontare le imprese più rischiose con una naturalezza disarmante. Si chiamò Pepè, Antonio, Guerra, Bruno: le polizie fascista e nazista, nonostante la caccia accanita che gli diedero per diversi mesi, non riuscirono mai a sollevare l’anonimato dietro il quale si celava. A liberazione avvenuta, la città di Parma gli affidò la presidenza del Comitato di Liberazione Nazionale. Il Campanini concepì il Comitato di Liberazione Nazionale come centro di irradiazione di una nuova democrazia reale che si sviluppa dal basso e in questa direzione andarono tutti i suoi sforzi. Nel nuovo incarico il Campanini sentì i gravi problemi del momento ed ebbe la forza di affrontarli riuscendo a ottenere sempre la collaborazione delle diverse forze politiche. Conclusa la fase ciellenista di governo locale, nell’aprile 1946 venne eletto consigliere comunale alla prima consultazione elettorale amministrativa dell’Italia libera. Due anni dopo venne chiamato a dirigere l’assessorato comunale dei lavori pubblici.
FONTI E BIBL.: Parma Realtà 14 1972, 27; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 112.

CAMPANINI ROMEO San Secondo Parmense 2 agosto 1887-Milano 1 agosto 1956 Interrotti gli studi alla III elementare a causa delle disagiate condizioni economiche della sua famiglia, esercitò il mestiere di muratore. Molto giovane si iscrisse al Partito Socialista Italiano e prese parte attiva nel suo paese alle lotte politiche e sindacali dell’inizio del XX secolo. Nel 1908 emigrò in Svizzera dove rimase fino al 1912 quando, per la sua partecipazione a un comizio in favore di Ettore Giovanitti, ne venne espulso. Tornato in Italia, si stabilì a Tradate (Milano) dove fu eletto segretario della locale sezione socialista e divenne collaboratore del Nuovo Ideale (settimanale della federazione socialista di Varese, che si pubblicò dal 1902 al 1919), acquistando una notevole popolarità tra i contadini e gli operai della zona con la sua partecipazione alle agitazioni contro la guerra libica. Nel 1914 si trasferì a Lodi, perché chiamato a dirigere la locale Camera del Lavoro. Qui dette vita a una federazione circondariale dei braccianti e dei contadini e diresse fino all’avvento del fascismo La Difesa, organo della federazione milanese dei lavoratori della terra. Della Federterra di Milano fu appunto segretario provinciale fino al 1918, quando fu richiamato sotto le armi. Congedato nell’agosto 1919, riprese il proprio posto alla segreteria della Camera del Lavoro di Lodi e venne immediatamente denunciato per aver incitato i braccianti a bruciare le cascine padronali. Partecipò al congresso nazionale socialista tenutosi a Bologna e nelle elezioni del 1919 fu eletto deputato per il Partito Socialista Italiano nel collegio di Milano, carica in cui fu riconfermato così nel maggio 1921 (collegio Milano-Pavia) come anche nell’aprile 1924, sempre nelle liste socialiste. Per la sua attività di segretario della federazione provinciale milanese dei lavoratori della terra, assieme a P. Bellotti, il Campanini fu sottoposto nel 1923 a pesanti intimidazioni da parte dei fascisti, diffidato da recarsi nei paesi del Milanese e, avendo trasgredito a tali ingiunzioni, direttamente minacciato e costretto a mettersi fortunosamente in salvo. Nel marzo 1924 entrò a far parte del Comitato nazionale sindacale socialista, allorché ne assunse la segreteria G. Monici, e nel mese di dicembre partecipò al VI Congresso della Confederazione Generale del Lavoro, intervenendo nel dibattito sulle modifiche statutarie a nome della corrente sindacale massimalista. Nel 1926, dichiarato decaduto dal mandato parlamentare, fu assegnato a tre anni di confino, che vennero poi commutati in due anni di ammonizione. Durante quel periodo non svolse attività politica e nel 1929 le informazioni di polizia lo mostrano ligio alle direttive del governo nazionale: per questo motivo venne radiato dallo schedario degli oppositori del regime fascista. Riprese tuttavia più tardi la propria attività, contribuendo alla riorganizzazione del Partito socialista. Nel dopoguerra fu eletto consigliere comunale di Lodi.

FONTI E BIBL.: Pangloss, Gli eletti della XXVI legislatura, Roma, 1921; C. Pompei e G. Paparazzo, I 508 della XXV legislatura, Torino, 1920; A.A. Quaglino, Chi sono i deputati socialisti della XXV legislatura, Torino, 1919; I deputati al Parlamento delle legislature XXIII, XXV e XXVI, tre volumi, Milano, 1910, 1920, 1922; 535 deputati , 1924, 84; Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1940, I, 189; A. Landuyt, Le sinistre e l’Aventino, Milano, 1973, ad Indicem; Resoconto stenografico del XVI Congresso del PSI, Roma, 1920, 362; R. Allio, L’Organizzazione internazionale del lavoro e il sindacalismo fascista, Bologna, 1973, ad Indicem; La CGdL negli atti, nei documenti, nei congressi, a cura di L. Marchetti, Milano, 1962, ad Indicem; T. Detti, in Movimento Operaio Italiano, I, 1975, 468-469.

CAMPANINI SQUILIO Borgo San Donnino 1852-Piacenza 1902

Esercitò la professione di pittore e fotografo, a partire dal 1880 circa, nella zona di Castelsangiovanni (Codogno) e poi a Piacenza in via Diritta, angolo San Giuliano 4, negli stessi locali dove esercitò nel 1868 Alessandro Pomarelli.
FONTI E BIBL.: R. Rosati, Fotografi, 1990, 169.

CAMPANINI TITO Borgo San Donnino 28 febbraio 1867-Borgo San Donnino 8 febbraio 1923 Ebbe umili natali, ma con l’ingegno, la perspicacia e la solerte attività seppe in breve tempo riscattare la propria condizione. Industriale di larghe vedute, fondò a Borgo San Donnino uno stabilimento per la produzione di concimi, che diresse con competenza, portandolo a un alto livello di efficienza produttiva. Seppe accattivarsi la stima di industriali e commercianti, rappresentandoli per un ventennio alla Camera di Commercio di Parma, dapprima in qualità di consigliere, quindi di presidente. Si affermò anche nella vita pubblica quale consigliere e assessore nel Comune borghigiano. Ricoprì varie cariche e fu pure candidato nelle elezioni politiche del 1919.

FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 89.

CAMPANINI VINCENZA Fontevivo 1863
All’Esposizione industriale provinciale di Parma del 1863, nella sezione dedicata ai lavori in cera, furono presentati frutti, fiori, funghi ed erbaggi modellati dalla Campanini, che ottenne la medaglia di bronzo per la mirabile verità colla quale sono foggiati.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1992, 201.

CAMPANINI VIRGINIO 
Parma 6 settembre 1834-Parma 10 dicembre 1902
Fece tutti gli studi a Parma e nel 1859 fu nominato ingegnere del Genio Civile. Dopo quarant’anni (1899) conseguì il grado d’Ispettore di prima classe e divenne membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Di principî liberali, sedette molti anni nel Consiglio Provinciale di Modena e il Governo gli affidò delicati incarichi: così nel 1862 fu chiamato a far parte dell’ufficio speciale per la bonifica di Burana e la regolarizzazione del Reno, nel 1866 venne prescelto per uno studio sul Danubio, nel 1878 fu nominato Segretario capo del Consiglio dei Lavori Pubblici e l’anno successivo fu destinato, dal ministro Baccarini, a reggere il nuovo ufficio istituito a Revere, dopo la grande rotta del Po a Borgoforte. In breve tempo progettò e condusse a termine lavori che dimostrano la sua valentia nel campo dell’idraulica. Ebbe poi il merito di rendere attuabile il grandioso progetto dell’immissione del Panaro in Cavamento, che aveva formato oggetto di studi da parte dei più eccelsi idraulici italiani dell’epoca. In seguito a tali lavori, la città di Finale Emilia non ebbe più a temere i gravissimi pericoli ai quali era prima soggetta nei casi di piena del Panaro e proclamò il Campanini suo cittadino onorario. A bonifica della bassa provincia modenese, propose e progettò, seguendo i concetti dell’idraulico Lombardini, il canale diversivo delle acque alte dalle basse del grande bacino di Burana, rendendo così possibile il risanamento di oltre 40000 ettari di terreno. A Modena, tra il 1875 e il 1891, realizzò moltissime altre opere, delle quali notevoli la strada provinciale detta delle Radici, che unisce Sassuolo con Castelnuovo di Garfagnana passando per Piandelagotti, e il progetto di bonifica del territorio di Carpi e di Novi. Per mandato del Governo, il Campanini andò in Sardegna quale membro di una commissione incaricata di studiare la sistemazione dei torrenti e il risanamento delle plaghe malariche: la relazione da lui stesa servì al Governo per le ulteriori proposte di legge. In seguito alla legge Genala sull’istituzione dei Compartimenti del Genio Civile, fu nominato Capo di quello della Lombardia, ove rimase per oltre un decennio. L’alto consesso del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, di cui fu membro apprezzato, gli affidò importanti e delicati incarichi, quali il collaudo del ponte a travate metalliche sul Po di fronte a Cremona e un tronco della ferrovia Faenza-Firenze. Versatissimo nella letteratura, coltivò con amore anche le belle arti.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 26-27; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 39.

CAMPANINI ZEFIRINO CIPRIANO OTTAVIOParma 26 agosto 1741-Parma 5 maggio 1815 Nacque da Giuseppe e Felicita Paussi, della vicinia di San Giovanni. Lavorò presso la stamperia di Filippo Carmignani dal 1754 al 1757, poi per due anni presso quella di Francesco Borsi. Fu riassunto nel 1759 dal Carmignani presso il quale rimase fino al 1770, data in cui passò in qualità di compositore alla Stamperia Reale sotto la direzione di Giambattista Bodoni. Da un documento dell’Archivio di Stato di Parma risulta abitare, nell’anno 1765, col padre e con la madre, ambedue di 45 anni, e la sorella Luigia, nella parrocchia di San Giacomo in Strada Maestra. Lo stesso documento informa che il padre era di professione stampatore e che attività simile svolgeva il Campanini. In una nota delle retribuzioni dei lavoranti impiegati nella Regia Stamperia di Parma alla data 24 marzo 1770, tra le firme dei sei lavoranti, si legge anche quella di Campanini, che riceveva come gli altri un salario di 30 lire per cinque giorni di lavoro. La sua carriera, per l’applicazione e le capacità espresse, dovette essere, se non fulgida, almeno dignitosa, se nel 1776 venne assunto definitivamente e già nel 1778 per la sua attività di compositore aveva raggiunto il terzo salario più elevato, dopo quelli di Bodoni e Handwerck, con uno stipendio di 206,17 lire al mese. Con lettera del 15 giugno 1785 l’economo Handwerck chiese al ministro Cesare Ventura di insignire Zefirino Campanini della medesima autorità sua e di Gianbattista Bodoni al fine di contenere la dilagante anarchia che regna nella tipografia Ducale. Nella stessa memoria si legge come il Campanini per venticinque anni avesse svolto indefessa e apprezzata attività quale compositore e correttore di bozze, senza mai averne alcun vantaggio, salvo l’essere immesso nel ruolo nel 1776 con lo stipendio annuo di 2482 lire e quanto meritevole fosse almeno del doppio per i servizi che svolse. L’Handwerck propose quindi la sua nomina a Uffiziale della Stamperia con il doppio dello stipendio e la responsabilità completa del personale. La lettera dell’Handwerck non fu però sufficiente. Successive raccomandazioni e infine un incontro col Sovrano permisero al Campanini di ottenere il premio di tanti anni di sacrifici e di onesto lavoro. Il 16 luglio venne infatti nominato Uffiziale (proto) della Stamperia Reale con autorità pari a quella di Bodoni e Handwerck e il soldo annuo di 5040 lire. I doveri di questa carica furono stabiliti, forse su suo suggerimento, il successivo 20 luglio con l’emanazione del Regolamento relativo ai compiti dell’Uffiziale Zefirino Campanini, che venne così assommando alla sua attività di compositore quella della gestione del personale. I meriti del Campanini furono premiati ulteriormente quando l’Handwerck, prossimo al ritiro, lo designò quale suo degno successore. La nomina a economo è del 22 settembre 1801, col medesimo stipendio e appartamento dell’uscente, mentre al posto di uffiziale gli subentrò Luigi Orsi. Di pari passo con le responsabilità aumentò quindi il suo stipendio e la sua indefessa attività a tutto vantaggio della Stamperia Reale, poi Imperiale, che continuò fino alla morte del Bodoni. L’eredità del Campanini è tramandata da tre volumi manoscritti conservati nella Biblioteca Palatina di Parma: da questi è dato conoscere da un lato la sua carriera, testimoniata da documenti relativi alla Stamperia Reale, dall’altro l’effettiva attività che si svolgeva nella Tipografia. I due volumi più consistenti si possono considerare una vera e propria summa delle conoscenze da lui apprese negli anni trascorsi lavorando a fianco del più illuminato Maestro dell’Arte Tipoúgrafica. Si tratta delle Istruzioni pratiche ad un novello capo-stampa o sia regolamento per la direzione di una tipografica officina compilata da Zefirino Campanini parmigiano. Il primo volume, scritto nel 1789, in due tomi, dedicato al figlio Luigi Francesco, che già da qualche tempo praticava l’attività che era ormai tradizione di famiglia, ha lo scopo di trasmettergli le conoscenze acquisite nei primi vent’anni di collaborazione con Giambattista Bodoni. L’altro volume, datato 1800, testimonia le ulteriori esperienze del Campanini, che lo dedicò ad ambedue i figli, Luigi e Gaetano, praticanti l’attività di stampatori presso la Stamperia Reale. Ciò che più risulta dal volume di Memorie è la personalità, la grande professionalità e la spiccata predisposizione del Campanini per l’arte che aveva intrapreso. In seguito alla chiusura della Stamperia Ducale avvenuta nel 1813, il Campanini passò gli ultimi anni della vita stampando con l’uso di due torchi della vecchia tipografia, ma sotto il nome di Giacomo Blanchon, non avendo, dopo circa sessant’anni di attività professionale, il brevetto di tipografo.FONTI E BIBL.: L. Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 355; Gazzetta di Parma 11 luglio 1988, 3; G.B. Bodoni. L’invenzione della semplicità, 1990, 266; Giambattista Bodoni, 1990, 296.

CAMPARI FRANCESCO LUIGI Piacenza 6 giugno 1835-Paradigna di Cortile San Martino 2 novembre 1902 Nacque da padre oriundo di Roccabianca e dalla contessa piacentina Emma Falconi. Ventiduenne si laureò in legge nella Regia Università di Parma. Dedicatosi al notariato, lo professò nella prediletta Roccabianca, dal 1861 alla morte. Visse sempre fedele alle sue idee politiche e religiose, rigidissime e aliene da ogni spirito di moderna innovazione, ma rispettabili in lui, che in esse sinceramente credette e che su di esse foggiò, nella pratica quotidiana, la sua condotta. Della vita ritirata e modesta gli furono conforto gli studi. Coltivò le lettere, specialmente latine, la filosofia, l’astronomia e il disegno, di cui lasciò diversi saggi. Ma il meglio delle sue forze il Campari dedicò, per molti anni e con amore vivissimo e costante, alla raccolta e all’esposizione storica delle vicende del territorio di Roccabianca. Per questo scopo non risparmiò tempo, fatiche, disagi e spese, radunando una messe enorme di documenti d’ogni specie e di vari archivi. Ma non seppe mai risolversi alla pubblicazione, tanto che l’opera uscì postuma (1910) e per volere dei figli. Fu consigliere comunale di Roccabianca e presidente della Società di Mutuo Soccorso. Ideò l’impianto di un Asilo infantile e meditò la fondazione di un ricovero per i vecchi. Il Campari fu sepolto a Roccabianca.
FONTI E BIBL.: U. Benassi, in F.L. Campari, Un castello del parmigiano, 1910, V-VI; M. Bosoni, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 63.

CAMPARI GIUSEPPE Parma 1761/1772
Fu delegato amministrativo del Collegio dei Nobili di Parma dal 1761 al 1772. È forse lo stesso che fu segretario dell’Archivio farnesiano di Parma dal 1767 al 1795.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 190.

CAMPARI LUIGI Cortile San Martino 1903-La Maddalena 10 aprile 1943
Figlio di Francesco. Tenente di Vascello sull’Incrociatore Trieste, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Ufficiale di guardia in coffa di incrociatore sottoposto a violento, improvviso attacco aereo, apriva intenso fuoco con le armi pronte contro la soverchiante forza nemica che aveva già sganciato, sostenuto da indomito coraggio ed elevato spirito combattivo. Cadeva al proprio posto di combattimento lasciando il ricordo di una esistenza tutta dedicata alla Patria.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 65.

CAMPARI N.Parma 1871
Scrisse un Piccolo dizionario parmigiano-italiano (Parma, 1871).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 190.

 CAMPARI PIETRO SIMONE -Parma marzo 1656
Sacerdote, fu tenore alla Steccata di Parma dal 28 gennaio 1622. Il Campari, investito di un beneficio, passò alla Cattedrale di Parma il 18 gennaio 1631, ove rimase fino alla morte (il 17 marzo 1696, ob mortem D.D. Petri Simonis Campari, venne nominato D. Girolamo Pezzani). Tuttavia il Campari soleva unirsi agli altri musici della Steccata nelle solennità maggiori, come fece, per esempio, nella festa dell’Annunciazione dell’anno 1641.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 89.

CAMPELLI GIOVANNI Isola di Palanzano 2 dicembre 1922-Monte Caio 20 novembre 1944
Partigiano (nome di battaglia Folgore), appartenne alla 143a Brigata Garibaldi Aldo. Fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.
FONTI E BIBL.: Caduti Resistenza, 1970, 70.

CAMPI GIOVANNI Monticelli 1836-Genova 25 febbraio 1903 Figlio di Giuseppe e di Marianna Fabbri, fu dei Mille di Garibaldi, soldato della prima compagnia Bixio e poi della divisione XV. Sciolto l’esercito meridionale, andò vagando per diverse città d’Italia. Intorno al 1878 lo si trova a Torino quale musicante. Si stabilì poi a Genova, rimanendo celibe. Negli ultimi anni di vita venne ricoverato nell’ospedale dei cronici, nel quale morì all’età di 67 anni. Fu sepolto nel Campo dei Mille a Staglieno.

FONTI E BIBL.: Dizionario Risorgimento, 2, 1932, 503.

  CAMPIONI ANTONIO Parma 1741-Parma agosto 1778
Figlio di Giuseppe, coreografo. Fu ballerino figurante nella compagnia Delisle dal 1756 al 1758. Nella primavera del 1760 danzò a Parma nei Tindaridi e nel settembre nelle Feste di Imeneo. All’inizio del 1761 il ministro Du Tillot lo mandò a Parigi, assieme a Gaspare Bianchi, per perfezionarsi con il Laval. Rientrato in patria nel marzo 1764, danzò al Teatro Ducale sotto la direzione del padre e dette prova della sua valentia come ballerino e inventore dei balli dell’Eroe cinese. Fu espressa viva lode per gli spettacoli che vi erano allestiti: un elogio particolare andò ai due italiani allievi della scuola dell’Opéra di Parigi, Bianchi e il Campioni. Dopo il successo conseguito nella città natale, ben presto il Campioni ritornò in Francia per un nuovo periodo di tirocinio: festeggiatissimo a Parigi, ballò in diversi teatri francesi. Nella stagione di primavera del 1765 lavorò al Teatro di Parma come coreografo e danzatore e nella stagione 1767 ballò in Aci e Galatea, in Ipermestra e nel Tigrane. In un documento contabile del 1768 risulta esonerato dal rilascio di ricevuta, in quanto abbiente. Nel 1769, assieme alla sorella Giustina, danzò a Colorno nelle tre recite di Licida e Mopso e ancora in Aci e Galatea. Nello stesso anno, fu al King’s Theatre in The Hay-Market dove danzò e diresse i balli. Ritornò a Parma nel 1770 e lavorò poi nella stagione di primavera al Teatro Ducale di Milano. Grazie alla sorella, che aveva sposato Giuseppe Bianchi, si avvicinò maggiormente al di lui fratello Gaspare e il ministro Du Tillot li raccomandò tutti e tre per i Reali Teatri di Spagna, in quanto insieme lavoravano con molta armonia. Dal 1771 cessò di essere iscritto nei libri paga del Ducato di Parma e si esibì al Teatro di Corte di Vienna, che era diretto da Giacomo Durazzo. Nel Carnevale 1773 fu al Teatro di San Benedetto di Venezia e nel 1774, nella stagione della Fiera dell’Ascensione, fu al Teatro di San Samuele, dove ballò e diresse le coreografie. Nel Carnevale 1774-1775 fu al Teatro Regio di Torino assieme alla sorella Giustina in un minuetto inserito nell’opera. Rientrato al servizio ducale assieme alla moglie Maria Teresa Gavazzi, nel 1775 si fregiò del titolo di Maestro di Ballo al servizio di S.A.R. l’Infante Duca di Parma. Nella stagione 1775-1776 fu coreografo al Teatro della Pergola di Firenze: assieme alla moglie, ricevette cordialissimi applausi in quanto furono apprezzati invenzione, vivacità, chiarezza, brevità e armonia. Nell’autunno 1777, con il titolo di virtuoso di Ballo dell’Infante Duca di Parma, fu al Pubblico Teatro di Lucca come direttore dei balli nell’Ezio e nell’Artaserse, mentre nel Carnevale 1778 condusse il ballo Semiraúmide al Teatro dell’Accademia Filarmoúnica di Verona. La domanda di permesso per recarsi a lavorare in questo teatro è del 2 giugno 1777: in essa è scritto che aveva già ricevuto il permesso da Pio Quazza. Del 28 marzo 1778 è la richiesta di permesso da Venezia per recarsi a Firenze per le stagioni di autunno, Carnevale ed eventualmente primavera (Archivio di Stato di Parma, Spettacoli e Teatro Borbonici, b. 5).
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 194.

CAMPIONI FAUSTINA Parma 1775/1776
Danzatrice Bianchi nata Campioni all’attual servizio di SAR il duca di Parma: così compare sul libretto dei balli L’Armida e Rinaldo e L’isola disabitata, rappresentati nel Carnevale 1775-1776 al Teatro di Cremona.
FONTI E BIBL.: H. Bédarida; P.E. Ferrari; Libretútistica bolognese ; Sartori; G. Ferrari, La compagnia Delisle alla corte di Parma (1755-1758), in Allegri e Di Benedetto, 201.

CAMPIONI GIAN FRANCESCO, vedi TUZZI GIAN FRANCESCO

CAMPIONI GIUSEPPE Parma 1709 c.-Parma 1767
Omonimo di un famoso Brighella della Commedia dell’Arte ricordato anche dal Goldoni, nella stagione di primavera 1764 al Teatro di Parma fu il coreografo dei balli La pace fra Cinesi e Tartari e La primavera ossia La festa chinese. Vi danzarono anche i figli Giustina e Antonio. Oltre ai figli che si dedicarono alla danza, ne ebbe anche un altro violinista. Fu sua figlia adottiva Giustina Bercelli (o Fazzi), attrice rinomatissima, poi sposata con Bartolomeo Cavalieri.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Milano: Reg. Passaporti; F. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, Padova, 1782, 149-150; C. Goldoni, Commedie, XIII, Venezia, 1761; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze, 1897; N. Leonelli, Attori, 1940, 198; Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, 1946, 72; Aurea Parma 1 1939, 27; Enciclopedia spettacolo, II, 1955, 1599; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CAMPIONI GIUSEPPINA, vedi FAZZI GIUSTINA

CAMPIONI GIUSTINA Parma 1735 c.-post 1792
Figlia di Giuseppe, danzatrice. Fu retribuita dalla Corte di Parma dal 1756 a tutto il 1771. Iniziò come figurante nella compagnia Delisle e debuttò come solista a Colorno nel 1757. Fu prima ballerina al Teatro Ducale di Parma nelle stagioni dal 1760 al 1767. Nel 1762 danzò a Vienna, mentre nel 1767 fu al Teatro della Pergola di Firenze. Nell’estate 1769 danzò con il fratello Antonio a Colorno in Licida e Mopso, mentre nel Carnevale 1769-1770 fu al Teatro Regio di Torino la diva più pagata della compagnia di ballo. Nella primavera 1770 fu al Nuovo Pubblico Teatro di Bologna in una stagione che finì con il fallimento dell’impresario. Nello stesso anno sposò Giuseppe Bianchi (da allora la si trova indicata anche con il cognome del marito). Nell’estate 1771 si esibì al Teatro di Sant’Agostino di Genova nei balli delle due opere nelle quali trionfò la cantante Lucrezia Agujari, mentre nel 1772 ritornò a Parma e nel Carnevale 1774-1775 fu ancora al Teatro Regio di Torino con il fratello Antonio: furono gli artisti più pagati della compagnia. Il 3 agosto 1778, assieme a Caterina Curtz, fu la prima ballerina all’inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano, teatro in cui fu ancora l’anno dopo. Nel 1782 danzò al Teatro Ducale di Parma. Nella stagione dell’Ascensione 1792 danzò nel ballo eroico e favoloso Amore e Psiche con la compagnia di Salvatore Viganò negli spettacoli di inaugurazione del Teatro La Fenice di Venezia. È ricordata in una lettera di Carlo Goldoni del 21 agosto 1759. Gino Monaldi (Regine della danza nel XIX secolo) scrisse che era una figura di secondaria importanza, come arte, ma possedeva il pregio di avere una avvenenza seduttrice, che la rese cara alle corti straniere allora imperanti in Italia. Giuseppe Rovani (Cento anni, libro I, cap. III) paradossalmente scrisse: La celeberrima Campioni, a forza di contorsioni e movimenti irregolari, finito il ballo, diventava deforme a segno da far paura.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 194.

CAMPIONI GIUSTINA, vedi anche FAZZI GIUSTINA

CAMPIONI LUIGIA Parma-post 1757
Sorella di Antonio e Giustina, danzò nel 1757 a Parma e a Colorno negli spettacoli della compagnia Delisle.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CAMPOLONGHI AGOSTINO ante 1848-Parma 17 maggio 1909
Appartenne a quella schiera di eroi che nel 1848 si batté con sprezzo del pericolo sui campi della Lombardia per le guerre del Risorgimento italiano.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 18 maggio 1909, n. 136; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402.

CAMPOLONGHI FOSCA, vedi FAVA FOSCA

CAMPOLONGHI GAETANO Parma 29 luglio 1875-Roma 26 marzo 1955
Figlio di Guido e Clara Ugolotti. Laureato in giurisprudenza, fu redattore per alcuni anni e poi assiduo collaboratore della rivista Per l’Arte.
FONTI E BIBL.: J. Bocchialini, Poeti del secolo nuovo, 1926, 76; Aurea Parma 4 1925, 208.

CAMPOLONGHI RENZO Parma 19 aprile 1890-Lonato 24 ottobre 1979
Dopo aver studiato canto (tenore) dal 1909 al 1911 al Conservatorio di Parma, si perfezionò a Milano con Luigi Rosati che nel gennaio 1913 gli fece dare un concerto all’Istituto dei Ciechi di Milano, eseguendo musiche di Lamberto Pavanelli. Il 28 ottobre 1914, dopo che vi aveva già tenuto un concerto, debuttò al Teatro Regio di Parma con Claudia Muzio nella Manon Lescaut. Dopo aver ripetuto l’opera a Modena, possedendo un esteso repertorio di opere, iniziò la carriera che lo portò in un gran numero di teatri italiani: Ancona (Teatro Vittorio Emanuele, 1915, Iris), Bologna (Teatro Duse, 1922, Tosca), Firenze (La Pergola, 1924, Butterfly), Parma (Teatro Regio, 1939, Cleopatra di Aremando La Rosa Parodi), Livorno, Mantova, Pavia, Torino, Milano, Alessandria, L’Aquila, Reggio Emilia, Udine, Asti e altri. Fu anche all’estero: a Malta e in India con la Gonsalez Italian Grand Opera Co., nel 1924.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 44; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CAMURATI FERDINANDO, vedi CAMURATI GIANQUINTO

-CAMURATI GIANQUINTO Parma 22 dicembre 1905
Fu volontario nelle truppe piemontesi nel 1859. Nel 1866 a Custoza si coprì di gloria per il coraggio dimostrato durante tutta la battaglia e per questo riportò una medaglia al valor militare.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 dicembre 1905, n. 351; G. Sitti, Il Risorgimento Italiano, 1915, 402.

CAMURATI MACEDONIO San Lazzaro 1834/1847
Ingegnere. Possedette a San Lazzaro l’omonima villa in via Casa Bianca. Nel 1847 controfirmò una planimetria di Stagno di Roccabianca quale ingegnere facente funzioni della Sezione d’acque e strade del governo ducale. Fu perito del Comune di Collecchio in varie opere stradali, tra il 1834 e il 1843.
FONTI E BIBL.: L. Gambara, Le ville parmensi, Parma, 1966, 27; S. Bini, Stagno 1980. Storia di una comunità riabilitata, Parma, 1980, 20; Malacoda 8 1986, 42.

CAMURI GIOVANNI Parma-Modena 1 marzo 1863
Fu educato nella Scuola del genio di Parma. Prese servizio nelle truppe del Regno italico, nelle quali pervenne al grado di capitano d’artiglieria. Durante il governo napoleonico ebbe le decorazioni dell’ordine della Legione d’onore e della Corona ferrea. Alla restaurazione si pose al servizio del Duca di Modena ma, collocato a riposo dopo gli avvenimenti del 1821, si diede poi all’insegnamento delle matematiche. Nel 1848 si offrì alla causa nazionale e dal Governo provvisorio ottenne il grado di colonnello di artiglieria, che gli fu poi confermato nell’esercito sardo. Incaricato di una missione militare nell’isola di Sardegna, vi attese con molto zelo ma poi, per l’età avanzata, si vide costretto a chiedere il riposo. Nel 1859, sebbene gravato dagli anni, riprese servizio sotto il governo dittatoriale di Modena ed ebbe la promozione a maggiore generale.
FONTI E BIBL.: P. Bosi, Dizionario storico biografico topografico militare d’Italia, Torino, 1865, 13; E. Michel, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1932, II, 508; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 272.

CAMURRI PIETRO Rolo 1788-Parma 21 maggio 1856
Laureatosi in medicina a Bologna, fu per dieci anni a Luzzara e per trentaquattro anni in Parma, sua seconda patria. Fu medico instancabile e generoso e si prodigò in particolare durante l’epidemia di colera.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 34.

CAMUTI FRANCESCO Parma 1701/1711
Intagliatore e doratore. Viene ricordato per i seguenti lavori: 1701, sei scudetti nella chiesa parrocchiale di Fontanellato; 1703, tronetto del Santissimo Sacramento; 1705, lavoro al bastone della croce d’argento in San Giacomo a Soragna; 1711, altare maggiore, tronetto, croce, dodici candelieri e tre tavolette nella chiesa parrocchiale di Carzeto.
FONTI E BIBL.: B. Colombi, 1975, 44; Il mobile a Parma, 1983, 256.

CAMUTI GIUSEPPE Parma 17 dicembre 1730-Parma 12 settembre 1805
Figlio di Gaspare e Angela Pilotti. Si laureò in medicina nel 1752 (ebbe a promotore Marco Aurelio Cavedagni) e si diede allo studio della chimica. Pare si applicasse anche agli studi chirurgici, poiché sin dall’anno 1762 tradusse in italiano il Trattato de’ mali delle Ossa di Petit. Il Du Tillot inviò il Camuti a spese del governo all’Università di Montpellier perché perfezionasse i propri studi di medicina e quelli di chimica, nei quali ultimi salì a tale reputazione da meritare che ancor prima del suo ritorno, avvenuto verso la fine del 1768, fosse proposto a professore di chimica nella restaurata Università di Parma. Fu nominato a quella cattedra il 1° novembre 1769, ma le molteplici cariche di cui era investito gli impedirono di cominciarne subito l’insegnamento: poco prima infatti era stato fatto Medico primario del Duca e della Duchessa e nel 1774 ricoprì contemporaneamente le cariche di Conte di Belvedere (1° giugno 1774), Rettore delle scuole di Medicina nel Regio Magistrato de’ Riformatori degli Studi (27 settembre 1769), Consigliere, Protomedico generale (22 settembre 1769) e Capo e Presidente de’ Tribunali del Protomedicato. Durante il suo soggiorno in Francia visitò Parigi, ove conobbe il Ferney. Nel 1772 propose ai governanti di porre nell’Ospedale di Parma una cattedra di medicina pratica. Con Rescritto Ducale dell’8 febbraio 1790 il feudo di Belvedere fu ceduto, con l’annesso titolo comitale, per vendita fatta dal Camuti al nobile Pietro Leggiadri Gallani, tenente delle Guardie, il quale ne prese possesso per rogito del notaio camerale Pellegrino Ravazzoni il 6 giugno 1791. Il Duca volle comunque conservare al Camuti il titolo comitale con trasmissione mascolina. Sposò Camilla Righelli Ceretoli, dalla quale ebbe un figlio. L’orientaúmento scientifico del Camuti maturò nell’ambiente universitario parmense contemporaneo a quello del Torrigiani e nell’ambiente francese di Montpellier, che aveva conferito un contenuto rigoroso all’empirismo mediante l’indagine diretta condotta con metodo circa la struttura degli organi, il riprodursi dei tessuti, le combinazioni e le reazioni interne. Deciúsivo fu il contributo del suo maestro Marco Aurelio Cavedagni che lo avviò a specializzarsi nella chimica (il Camuti lo sostituì nella cattedra universitaria). L’orientaúmento per la chimica si delineò già fin dal 1761, sebbene nel 1759 il Camuti, allora ventinovenne, avesse chiesto la cattedra d’anatomia avendo più volte nell’Accademia dello Spedale, ed in altre occasioni dato saggio dei suoi studi, qualunque siano. Che il Camuti vedesse con chiarezza lo sviluppo scientifico contemporaneo lo prova un suo progetto d’insegnamento steso fin dal 1753 e citato per il maggior profitto della Medica-Clinica in una Memoria anonima posteriore indirizzata al Ministro. Alla competenza del Camuti si ricorse più tardi per la compilazione del Regolamento interno dell’Ospedale di Parma, composto insieme al Ferrarini e al Levacher nel 1772. Nel 1790 per terribile morbo stette lungamente in fin di vita e nel 1797 fu colpito da grave apoplessia. Lasciò molti Consulti medici, perduti già al tempo del Pezzana.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, 1833, 640-641; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 91-92; F. Rizzi, Professori, 1953, 66-67; C. Trombara, La fondazione della Cattedra di Chimica, 20-21; C. Trombara, Memorie e documenti, 33; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, Appendice 1, 1935, 488; G. Berti, Atteggiamenti del pensiero nei Ducati di Parma e Piacenza, 1958, I, 492; G. Berti, Insegnamento universitario, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1960, 125; C. Cropera, Facoltà medica parmense, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1985, 158.

  CAMUTI PAOLO GIUSEPPE QUINTINO  Parma 10 gennaio 1674-Bahia 10 maggio 1728
Figlio di Maurizio e Maria Maddalena. Frate cappuccino, fu missionario in Brasile dal 1716. Compì la vestizione a Carpi il 7 marzo 1694.
FONTI E BIBL.: Anal. O.F.M. Cap. 21, 1905, 183; De Primerio, Capuchinos em Terras de S. Cruz, 133, 150, 367; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 288.

-CAMUTTI BORANI LUIGIParma 16 febbraio 1888
Conte, prese parte come volontario alla guerra per l’Indipendenza nazionale del 1848-1849.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 febbraio 1888, n. 45; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402.

 CANAL GIUSEPPE Parma 1759/1766
Musico al servizio della Corte ducale di Parma dal 22 marzo 1759, fu licenziato l’8 aprile 1766.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

CANAL MICHELE Parma 1766
Flautista al servizio della Corte ducale di Parma, fu licenziato a seguito del decreto del 31 marzo 1766.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

CANALI ANTONIO ENRICO 
Parma 11 febbraio 1808-Parma 10 novembre 1873
Entrò alla Ducale Scuola di musica di Parma nel 1827. Il Dacci scrive che, quando ne uscì, cantò da tenore in qualche teatro. Fu nel Carnevale 1833-1834 a Lodi nella Semiraúmiúde, nell’agosto 1834 al Teatro Nuovo di Sampierdarena nel Torvaldo e Dorliska di Rossini, dove conseguì un caldo successo personale, e l’anno dopo al Teatro della Società di Rovigo in Rosmonda d’Inghilterra. Lavorò anche nei teatri toscani e veneti, e a Venezia cantò con la Malibran: il Teatro San Giovanni Grisostomo, chiamato nel 1835 Emeronitio, era sull’orlo del fallimento e la famosa cantante il 7 aprile vi dette una recita della Sonnambula per aiutare l’impresario. Il Canali fu il tenore, mentre Balfe il baritono. Il Canali in seguito passò in Portogallo e per vari anni cantò a Lisbona. Fu poi chiamato alla direzione del Teatro di Oporto, indi di Lisbona. Tornato in Italia, fu impiegato presso lo stabilimento musicale Ricordi, poi si dette al commercio. Stabilitosi nella città natale, perdette buona parte del patrimonio per il fallimento della casa Laurent.
FONTI E BIBL.: Necreologio, in Gazzetta di Parma 12 novembre 1873; Dacci; Lianosovani; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CANALI BENEDETTO ANGELO MARIA Parma ante 1698-1745

Teologo servita, pubblicò un Cursus Philosophicus ad mentem Doctoris solemnis Henrici de Gandavo (Parma, 1715 e 1716) che incontrò qualche difficoltà a causa di alcune descrizioni anatomiche. Diede alle stampe e completò le Disputationes theologicae, iuxta genuinam Henrici de Gandavo mentem (Roma, 1698; Lucca, 1722-1724) del Lodigieri. Curò anche l’edizione dell’opera Doctrina catholica de septem Ecclesiae Sacramentis (Venezia, 1734) del padre Castelli, servita. Il Canali scrisse anche alcuni studi storici intorno al suo Ordine.
FONTI E BIBL.: Hurter, IV, col. 997; A. Amaroli, in Enciclopedia Cattolica, III, 1949, 504.

CANALI COSTANTINO, vedi CANALI QUIRINO

CANALI EMILIO 
Parma 17 luglio 1921-Mignano 8 dicembre 1943
Figlio di Giovanni. Caporale Maggiore del 51° Battaglione Bersaglieri, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Porta arma tiratore di una squadra fucilieri, in una delicatissima azione di guerra, scattava tra i primi contro munite posizioni tedesche e posata l’arma, apriva immediatamente un fuoco efficacissimo e preciso sulle armi automatiche avversarie. Colpito alla mano destra, imperturbabile, passava l’arma sulla spalla sinistra e noncurante della ferita e dell’intensa reazione avversaria, persisteva nella sua azione di fuoco fin quando una micidiale raffica, centrando la scatola-serbatoio, lo fulminava con l’arma in pugno. Bell’esempio di spirito di sacrificio e di elette virtù militari.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1945, Dispensa 28a, 2722; Decorati al valore, 1964, 79; Caduti Resistenza, 1970, 111.

CANALI ENRICO ERNESTO Parma 30 novembre 1840-Aleppo 14 ottobre 1867

Figlio di Cipriano e di Teresa Marossi. Nella fanciullezza frequentò le scuole dei fratelli della Dottrina Cristiana. Entrò nell’Istituto Francescano il 1° novembre 1857. Professò nel convento delle Grazie sopra Rimini, ove percorse l’anno della prova. Di là passò allo studio di Ferrara, indi a quello di Bologna, trasportato a Sassuolo e poi concentrato in quello di Reggio. All’età di soli ventidue anni meritò di insegnare filosofia agli alunni dell’Ordine. Ebbe patente di lettore in Reggio il 12 settembre 1863, quando era ancora chierico. Fu ordinato sacerdote il 29 dello stesso mese e anno da monsignor Raffaelli, alla Pieve di Modolena. La domenica seguente, festa di San Francesco, cantò la prima messa nella chiesa della Ghiara in Reggio. Neppure un anno dopo rinunziò all’impiego e il 18 luglio 1864 partì da Reggio per Bologna e Roma, dove, nel Collegio di San Bartolomeo all’Isola, attese per un anno allo studio delle controversie. Da Roma partì poi per le Missioni della Siria ai primi di maggio del 1865. In Siria dimorò per due anni e mezzo, prima a Marapse, dove fondò una missione e poi ad Aleppo, ove morì a soli 26 anni.
FONTI E BIBL.: Civezza, Cron. Miss., an. 4, 372, an. 5, 57, 289 s.; Cod., I, 107, 179, 241, 378, 450, 559, 599, 615, 683-687; Cod., L, 132, 137, 140, 171; Picconi, Uomini illustri francescani, 1894, 431-440.

CANALI GEMORE Lalatta 1912-Palanzano 20 dicembre 1996

Nato da famiglia di agricoltori, fin da giovanetto intraprese il mestiere del fabbro. Particolarmente versatile nel lavorare il ferro, il Canali impiantò, agli albori della carriera, un piccolo negozio in località Carbogna. Ben presto il Canali, grazie alla propria capacità, si fece apprezzare non solo in paese, ma in tutta la vallata e divenne il fabbro per eccellenza della zona. Il Canali fu anche artista: ebbe estro nello scolpire la pietra arenaria e i sassi del Cedra, i quali, sgrossati e modellati dallo scalpello del Canali, assumevano le forme di volti e immagini, per lo più sacre, di rara bellezza. Fu particolarmente abile anche nel lavorare il rame: pregevoli sono alcuni suoi lavori in rame sbalzato raffiguranti divinità, animali esotici, volti e figure partorite dalla sua fertile fantasia. Numerosi giornalisti e critici si interessarono alle sue opere che furono pure riprese da una troupe della Rai. Ricevette significativi attestati di stima e apprezzamento da critici, operatori culturali e studiosi italiani e stranieri. Vinse numerosi e prestigiosi premi, tra i quali la Quercia d’oro. Le opere più significative e più note realizzate dal Canali sono la statua marmorea del Beato cardinale Ferrari, la Madonna dei Monti che impreziosisce la fontana di Ructì a Palanzano, la maestà in memoria di Armando Malori, sempre a Palanzano, una deliziosa maternità donata alla chiesa della Santissima Annunziata e altre sculture in arenaria e pietra dura che furono esposte in una mostra di grande successo allestita presso l’antico refettorio dell’Annunziata di Parma.

FONTI E BIBL.: L. Sartorio, in Gazzetta di Parma 21 dicembre 1996, 22.

CANALI LORENZO 1 maggio 1863-Lemignano 23 dicembre 1927
Socio del circolo della Gioventù cattolica di San Bernardo a Parma, fu presidente della prima Associazione elettorale cattolica, membro del Consiglio della II Sezione dell’Opera dei Congressi, collaboratore della Rivista di Agricoltura e della Giovane Montagna. Negli ultimi anni di vita presiedette la giunta diocesana di azione cattolica. Fu collaboratore di monsignor D.M. Villa, e musico valentissimo.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 18 gennaio 1960, 3; Dall’intransigenza al governo, 1978, 90; R. Lasagni, Bibliografia parmigiana, 1991, 108.

CANALI LUIGI Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831. Inquisito, fu poi assolto ma in seguito fu rinchiuso nel deposito di mendicità e vi fu tradotto allorché fu dimesso dall’accusa siccome uomo pericoloso perché mancante di ogni mezzo di sussistenza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 153.

CANALI LUIGI o LUIGI ANTONIO, vedi anche CANALI QUIRINO

CANALI QUIRINO Parma 9 febbraio 1836-Parma 22 aprile 1905
Nacque da Cipriano e Teresa Marossi. Frequentò le pubbliche scuole, poi quelle dei Fratelli della Dottrina Cristiana sino a quattordici anni, quindi studiò grammatica latina nel Convento della Santissima Nunziata, sotto la direzione del padre Luigi Montanari da Forlì. Il 21 ottobre 1852, in Bologna, fu accettato nell’Ordine francescano e il 12 dicembre compì la vestizione nel Convento di Santa Maria delle Grazie sopra Rimini, assumendo il nome di frate Costantino, che poi cambiò in quello di frate Luigi Antonio nel giorno della professione solenne emessa il giorno 18 dicembre 1853. Mandato a Brisighella per completare lo studio di umanità e retorica, vi rimase sei mesi, passando quindi allo Studio di Bologna per la filosofia, la fisica e la matematica. Il 5 ottobre 1856 passò nel Convento di Santo Spirito in Ferrara per lo studio teologico e ne sostenne pubblica difesa. Dal cardinale Luigi Vannicelli Casoni ebbe tutti gli ordini sacri: il Suddiaconato (11 aprile 1857), il Diaconato (3 aprile 1858) e il Sacerdozio (18 dicembre 1858). Nell’aprile 1860 si recò a Roma, onde prendere parte al concorso di filosofia e vi ottenne la cattedra di Bologna. Pochi mesi dopo, occupata militarmente gran parte del convento, si trasferì nello studio di Carpi e nell’anno seguente al Convento della Ghiara in Reggio. Con patente del ministro generale in data 7 settembre 1863, venne nominato lettore teologo e destinato al convento di Parma, dove tenne la scuola di teologia sino alla soppressione del 1866 (scuola che riprese più tardi e proseguì anche da provinciale, per cui ebbe laurea di giubilazione). Si dedicò poi alla predicazione e alla cura della parrocchia dei Santi Gervaso e Protaso nella chiesa della Santissima Nunziata di Parma. Ricostituita la provincia religiosa, ne fu il primo ministro provinciale dal 1882 al 1889 e nel Capitolo generale tenuto a Roma il 3 ottobre 1889 fu eletto ministro generale dell’Ordine. Inaugurò il collegio di Sant’Antonio di Roma (1890), visitò la provincia di San Bonaventura (1888) e i conventi e ospizi di Terra Santa (1893) e preparò la riunione delle varie famiglie del suo Ordine, proclamata e sancita da papa Leone XIII con la bolla Felicitate quadam del 4 ottobre 1897. Si ritirò allora nella sua provincia che lo elesse ancora ministro nel 1900. L’anno seguente (18 agosto 1901) fu elevato alla dignità arcivescovile della diocesi di Tolemaide e poco dopo, il 14 settembre dello stesso anno, ufficiosamente gli fu comunicata da Roma la nomina alla sede di Reggio Emilia, cui rinunziò subito perché cagionevole di salute e avanzato in età. Nel 1904 fu ancora visitatore apostolico delle diocesi di Milano, Como e Lodi. Il suo nobile carattere, la sua affabilità, la prudenza nel governo gli conquistarono la stima di tutti. Oltre vari discorsi sugli studi, l’Immacolata Concezione, San Bonaventura e le encicliche ufficiali, pubblicò una Vita del b. Giovanni da Parma (Quaracchi, 1900), Da Roma a Gerusalemme (Vanves, 1894; trad. francese, 1894).
FONTI E BIBL.: A. Molini, Sulla tomba di monsignor Luigi Canali, Roma, 1905; C. Albasini, Per l’inaugurazione del monumento a monsignor Luigi Canali, Parma, 1906; Reminiscenze e documenti intorno alla vita di monsignor Luigi Canali, Parma, 1907 (con note autobiografiche); G. Picconi, Serie cronologico-biografica dei Ministri e Vicarii Provinciali della Minoritica Provincia di Bologna, Parma, 1908, 341-346, 353 ss.; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 273; Enciclopedia Cattolica, III, 1949, 504-505; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 39.

CANALI UMBERTO Parma 1922-Parma 5 dicembre 1980
Figlio di Angela Dall’Olio. A Parma intraprese gli studi superiori, dapprima all’Istituto Tecnico e quindi al Liceo Scientifico. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, partì volontario a nemmeno diciotto anni, conseguì il brevetto di pilota dell’Aeronautica militare e iniziò un’odissea che lo vide spericolato quanto abile pilota di caccia, valoroso combattente nei cieli dell’Africa settentrionale, decorato di medaglia d’argento al valor militare. Dopo l’8 setútembre 1943 non esitò a fare la sua scelta, comúbattendo nel Corpo italiano di liberazione. Per ben due volte cadde in mare con l’aereo (ebbe modo poi di rievocare quelle vicende in una serie di articoli sulla Gazzetta di Parma, della quale fu collaboratore). Nella seconda di queste sue vicissitudini, cadde prigioniero dei Tedeschi e fu deportato in Germania. Al termine del conflitto riprese il servizio che mantenne fino al 1965, allorché si congedò con il grado di maresciallo per iniziare l’attività di istruttore civile di elicotteri. Non meno intenso fu il suo impegno pubblico, come esponente del Partito Repubblicano Italiano, di cui fu vice segretario della sezione di Parma e consigliere della VI Circoscrizione, dopo essere stato presidente del quartiere Cittadella. Fu socio dell’Aero Club di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 10 dicembre 1980, 7.

CANATTIERI BRUNO Sorbolo 1904/1927
Fu allievo di Giuseppe Mancini. Ideò la parte architettonica del Monumento ai Caduti di Sorbolo, opera veramente originale (Copertini).
FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 282.

-CANAVESI FEDERICO Parma aprile 1731
Sacerdote, fu maestro di canto dei chierici. Cominciò a prestare servizio alla Steccata di Parma il 1º settembre 1697, sostituendo don Agostino Patrignani, iubilato alla fine di luglio di quell’anno. Ma dalla Compagnia della Steccata venne eletto solo il 1° marzo del 1698. Morì prima del 30 aprile 1731, poiché in tal giorno venne nominato in sua vece Giovan Battista dalla Nave.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 157.

CANCELLIERI BARTOLOMEO Ferrara-post 1556
Pittore figurista. Sono documentati pagamenti al Cancellieri da parte dei duchi farnesiani tra il 1553 e il 1556 per pitture varie e per ritratti: 1555. E Addì 5 di marzo ducati quindici moneta pagati al Sig. Gio Alfonso per le spese à fatto a Maestro Bartolomeo Cancellieri dipintore n. S.re mesi tre e giorni 12 avuti il Ceuli. Addì 5 marzo ducati cento d’oro pagati a messer Ettore Cancellieri dipintor, che tanti sua Eccellenza ha fatti donare per haver fatto i ritratti di S. Eccellenza e de la Ecc.ma Madama e del Sig. Duca Alessandro (Archivio di Stato di Parma, Mastro per gli anni 1553-1556, cc. 140 e 157). Un suo ritratto di Margherita d’Austria, registrato in un inventario farnesiano, è conservato presso la Pinacoteca di Parma.
FONTI E BIBL.: C. Cittadella, Catalogo istorico, II, 204; P. Zani, V, 263; E. Scarabelli Zunti, III, c. 112; F. Zeri, Un pittore del ’500 ferrarese; Bartolomeo Cancellieri, in Antologia di Belle Arti 6 1978; G. Bertini, La Galleria, 90 e 310; Archivio Storico per le Province Parmensi XLVI 1994, 321.

CANDIAN AURELIO Barcellona di Messina 1890-Milano 17 novembre 1971
Insigne avvocato e docente, svolse la sua attività, dopo un breve intermezzo a Messina, quasi interamente a Parma. Insegnò per molti anni Diritto nell’Ateneo parmense, per passare a quello di Pavia e infine all’Università di Stato di Milano, dove ricoprì anche la carica di Preside della facoltà di Giurisprudenza e di Rettore Magnifico. Oltre alla intensa attività forense, il Candian ebbe una eccezionale attività accademica che lo portò a una vasta produzione scientifica di diritto privato, commerciale e fallimentare. A Parma, dopo aver rivelato nella prima monografia, Negozio e documento giuridico, le finezze dell’analisi più sottile, elaborò scritti fondamentali, di poderosa architettura sistematica, quali Il processo di fallimento e Il processo di concordato preventivo, opere davvero monumentali, centrate nella rivelazione dei coefficienti assicurativi insiti nelle procedure concorsuali, inquadrate nel processo esecutivo. E ancora occorre ricordare tutta la fioritura dei più vari studi, di cui è traccia continua nella Rivista di Diritto Commerciale e nella rivista Temi Emiliani, da lui fondata. Per i suoi meriti ebbe anche i più alti riconoscimenti dal Presidente della Repubblica italiana.
FONTI E BIBL.: Al Pont ad Mez 4 1971, 22; M. Ghidini, in Gazzetta di Parma 7 ottobre 1974, 3.

CANDIAN FERRUCCIO LEANDRO Barcellona di Messina 1892-Parma 3 ottobre 1968  Nato da famiglia di origine veneta, si laureò giovanissimo presso l’Università di guerra di San Giorgio di Piogaro. Partecipò con valore al primo conflitto mondiale col grado di tenente dei bersaglieri, distinguendosi sul fronte carsico, tanto da essere decorato con una croce di guerra al valor militare. Al termine del conflitto si recò in Svizzera, a Zurigo, dove si specializzò in oculistica e dove insegnò per vari anni succedendo alla cattedra del professor Stedler. Ritornato in Italia nel 1921, si trasferì in Parma dove, presso l’Ateneo parmense, conseguì la libera docenza ed esercitò per oltre trent’anni la libera professione. Autore di importanti pubblicazioni oculistiche, chirurgo di fama internazionale, il Candian fu tra i primi a praticare in Italia il trapianto della cornea e il distacco della retina. Per molti anni fu consulente delle Terme di Salsomaggiore. Ricoprì cariche direttive nel Lyons e fu presidente della Società dei concerti di Parma. Fu pure tra i fondatori e presidente delle ricostituita sezione bersaglieri in congedo. Nel 1958, alle prime avvisaglie del male che lo minava, si ritirò dalla libera professione dedicandosi con passione e capacità alla pittura. Fine ritrattista, partecipò a mostre a Salsomaggiore, Milano e Cremona e una sua opera fu esposta alla Biennale di Venezia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 4 ottobre 1968, 4.

CANDIDO DA BUSSETO, vedi CHIUSA TOMMASO

CANDIDUS Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Forse di condizione schiavile, padre di Q. Florius Sabinianus, cui pose un’epigrafe, poi perduta, insieme alla madre Floria Restituta. Candidus, cognomen piuttosto comune in occidente e nelle province danubiane, è documentato sporadicamente nelle regioni traspadane, presente in Aemilia in rari casi. Anche se è bassa la percentuale di schiavi e liberti documentata con tale denominazione, la presenza di un solo nome suggerisce la condizione schiavile per Candidus, suffragata in questo caso dall’identità del nomen del figlio con quello materno, e della circostanza che nell’epigrafe il padre viene menzionato dopo la madre.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 67.

CANDOR, vedi FORNACIARI FAUSTO

CANEPARI ANTONIO MARIA, vedi CANEPARI FRANCESCO ANTONIO MARIA

CANEPARI FRANCESCO ANTONIO MARIA  Parma 22 luglio 1726-Parma 16 gennaio 1801
Frate cappuccino. Compì la vestizione a Guastalla il 29 giugno 1744 e la professione solenne nella stessa località esattamente un anno dopo. Fu predicatore, lettore, guardiano (1774), ripetutamente definitore (1774 e 1777) e ministro provinciale (1780 e 1786), annalista (1777-1795) e commissario generale per i conventi soggetti alla Repubblica di Lucca (giugno 1789), con piena soddisfazione di quel Senato.
FONTI E BIBL.: Vestizioni, II, 34; Professioni, IV, 59-60; Vestizioni e Ordinazioni, II, 287; C. Prov., II, 171, 215, 248, 290, 315; F. da Mareto, Biblioteca Cappuccini, 1951, 371; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 71.

CANETTI GINO  Mattaleto 1914-Kobila 14 settembre 1943
Conseguito il diploma di scenografo presso l’Istituto Paolo Toschi di Parma, inizialmente si impiegò presso il Consorzio agrario ma poi si arruolò volontario, non ancora diciannovenne, quale allievo ufficiale di complemento nella Scuola di Palermo. Nel giugno 1933 fu nominato sottotenente. Assegnato al 61° reggimento fanteria, vi prestò servizio di prima nomina dal 1° febbraio al 31 agosto 1934. Richiamato alle armi il 4 marzo 1935, il 2 aprile successivo partì per l’Eritrea dove fu trasferito a domanda nel Corpo truppe coloniali. Con il grado di sottotenente assunse il comando di un gruppo di ascari e trovò il modo di distinguersi e di farsi apprezzare non solo dai suoi superiori ma anche dagli uomini di colore alle sue dipendenze. E proprio con i suoi ascari fu uno dei protagonisti della presa di Gondar, meritandosi una medaglia d’argento. Dopo aver partecipato al conflitto etiopico e alle successive operazioni di polizia coloniale, rimpatriò nel 1939 col grado di tenente per riprendere la sua attività professionale. Si sposò il 6 ottobre 1941 con Filide Mutti. Alla fine del gennaio 1942, richiamato nel 119° reggimento fanteria, divisione Emilia, che era in formazione e destinata a compiti di occupazione nel Montenegro, sbarcò a Cattaro il 24 marzo dello stesso anno. Promosso capitano, assunse il comando di una compagnia fucilieri. Alla fine di agosto del 1943 fu schierato in difesa costiera alle Bocche di Cattaro contro eventuali sbarchi nemici. Dopo l’8 settembre 1943 si lanciò alla testa dei suoi uomini all’attacco delle posizioni tedesche. Ferito a una mano, continuò a combattere sino a quando una bomba da mortaio gli asportò il braccio destro. Colpito una terza volta alla gamba, si rifiutò di recarsi al posto di medicazione e continuò a incitare gli uomini alla lotta. Un colpo di granata lo investì in pieno mentre i suoi soldati conquistavano vittoriosi la posizione. Fu decorato di medaglia d’oro al valor militare alla memoria, con la seguente motivazione: Comandante di compagnia fucilieri di un battaglione a cui era stato dato il compito di attaccare un forte schieramento difensivo tedesco, durante la preparazione dell’attacco, esprimeva la sua precisa volontà di condurre vittoriosamente a termine l’azione, sia pure a costo del suo sacrificio personale. Incurante della violenta reazione avversaria, alla testa dei suoi uomini che lo seguivano ammirati per tanto ardimento, si lanciava all’attacco delle posizioni nemiche. Ferito una prima volta ad una mano, noncurante di sé, accorreva là ove più ferveva la lotta, dando prova ammirevole di un cosciente sprezzo del pericolo. Mentre stava per sopraffare un centro di resistenza, una bomba di mortaio gli asportava il braccio destro, sollevato per indicare ai suoi la via della vittoria. Colpito ancora una volta gravemente ad una gamba, insensibile al dolore e noncurante degli inviti di recarsi al più vicino posto di medicazione, piegatosi in ginocchio con ammirevole stoicismo continuava ad incitare i suoi con l’esempio e le parole a persistere nella lotta, quando un colpo di granata che lo investiva in pieno, stroncava questa maschia figura di combattente e di comandante che cadeva fra i suoi, che raggiungevano la meta e la vittoria. Nobile figura di eroe che già in altre azioni di guerra aveva dato prova delle sue insuperabili doti di ardimento.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 51-52; G. Carolei, Medaglie d’oro, 1965, II, 309-310; Enciclopedia della Resistenza e dell’Antifascismo, I, 1958, 442; Gazzetta di Parma 30 marzo 1987, 10.

- CANEVALI PIER FRANCESCO Pellegrino 13 aprile 1791
Dottore e notaio, fu commissario di Pellegrino dal 1771 al 1791. Vennero da lui date alcune provvidenze nel 1771 per il mercato di Pellegrino e in data 28 Novembre 1772 pubblicò un bando per il taglio dei boschi a Pozzolo secondo le precisazioni date dalla Commissione dei Comuni dello Stato di Piacenza.
FONTI E BIBL.: A. Micheli, Giusdicenti, 1925, 15.

 CANEVARI GAETANO Parma 1720/ultimi anni del XVIII secolo
Fu avvocato, disegnatore, miniatore e dilettante di architettura, attivo nell’anno 1720 e ancora fino alla fine del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, 5, 1820, 267.

CANEVARI GIOVANNI  BorgoTaro 1612
Il 26 giugno 1612 fu nominato bargello di Borgo Taro.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.

CANEVARI MATTEO Salsomaggiore 1686
Ricoprì la carica di bargello a Salsomaggiore nell’anno 1686.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.

 CANEVARI ORAZIO Parma 1784
Capitano delle truppe ducali, il 23 giugno 1784 fu ascritto alla nobilità di Parma.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.

 CANICETTI COSTANTINO Colorno 30 novembre 1596-Colorno 2 agosto 1674
Le notizie biografiche sul Canicetti sono alquanto scarse. Le fornisce in modo succinto la sua Memoria. Si sa che morì all’età di quasi 78 anni e fu sepolto nella chiesa di Santa Margherita di Colorno, alla sinistra della porta d’ingresso, come era usanza per le persone di un certo rilievo. Al tempo della peste del 1630 si rifugiò con suo padre Carlo e sua madre nel podere di proprietà della famiglia situato nel Malvicino, fuori del borgo di Colorno. Nell’agosto del 1636, in previsione dell’occupazione di Colorno da parte delle truppe spagnole, si recò con la madre a Parma e ritornò a Colorno nel mese di marzo del 1637. Una sorella di nome Deidamia morì a Parma nel 1628, mentre l’altra di nome Camilla, madre dell’alfiere colornese Vincenzo Milani, morì nel 1650. Il Canicetti abitò nella casa in strada Maestra che era di proprietà dei canonici. Fece parte del capitolo dei canonici addetto alla chiesa collegiata di Santa Margherita istituito nel 1664. I benefici, consistenti in donazioni di terreni le cui rendite dovevano servire al mantenimento dei canonici e all’esecuzione delle funzioni religiose, erano stati istituiti dalla Compagnia del Santissimo Sacramento. Tra i lasciti incamerati, uno dei più cospicui fu quello inerente l’eredità di Filippo Cardinazzi: in conseguenza di ciò, il Canicetti si assunse il compito di officiare una messa quotidiana per trentadue anni in memoria del benefattore. La Memoria del Canicetti costituisce il più importante documento per la storia di Colorno nel Seicento sia per l’ampiezza cronologica delle vicende narrate, che vanno dal 1618 al 1674, sia per la scarsità di altre fonti pervenute. Essa prosegue idealmente le Memorie storiche di Ireneo Affò che partono dall’origine del paese e arrivano alla decapitazione di Barbara Sanseverino nel 1612. Le Memorie storiche di Paolo Gozzi mancano della parte relativa al Seicento. Un’altra fonte istituzionalmente importante come l’Archivio Parrocchiale di Santa Margherita non conserva nulla di quel periodo, a parte i registri parrocchiali, a causa della sua parziale distruzione avvenuta nel 1734 in occasione della battaglia tra Austriaci e Franco-Sardi. Anche presso l’Archivio di Stato di Parma, su Colorno sono conservate soltanto dodici buste nel fondo Feudi e Comunità. Altro motivo di importanza è il fatto che la cronaca non si limita a narrare la vita e le vicende del paese ma si estende a seguire gli avvenimenti legati all’attività politica dei Farnese, quindi riporta notizie utili anche per la storia di Parma. Inoltre il Canicetti presta attenzione a ciò che avviene oltre l’ambito dei Ducati parmensi, con riferimenti alle vicende della politica europea del secolo, in particolare lo scontro tra Spagna e Francia per il predominio sull’Italia, durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella quale scesero in campo contro gli Spagnoli, a fianco della Francia, il duca di Savoja, Vittorio Amedeo, il Duca di Mantova e quello di Parma, Odoardo Farnese. La pace di Westfalia (1648) segnò poi il tramonto dell’egemonia degli Asburgo e il trionfo della Francia. Il diario riserva al lettore un’enorme quantità di notizie necessarie per conoscere usanze, tradizioni, modi di parlare e scrivere del Seicento. Poiché il manoscritto non è una creazione per gli altri ma per l’autore stesso, il Canicetti nello scrivere è genuino, così come lo è la sua lingua, molto più vicina a quella parlata che a quella scritta. Non è molto sicuro nella grafia dei nomi di persone e di luoghi, anche se oggettivamente scrive in un periodo ancora di transizione verso la costituzione del legame, riconosciuto dall’ordinamento giuridico, tra la persona e il nome quale segno di distinzione. Vi è però da rilevare che, facendo dei confronti con altri autori coevi di cronache e con altre fonti documentarie, si osserva che le collocazioni storiche dei personaggi e gli avvenimenti di cui essi furono protagonisti, nel testo del Canicetti risultano sempre esatti e corretti. A volte non coincidono le date, ma ciò deriva dal modo, dai tempi e dai mezzi con cui venivano diffuse le informazioni e le notizie. Si deve considerare che il paese beneficiò della presenza della Corte e dei duchi per vari mesi all’anno, per cui le notizie che giungevano in Rocca poi potevano diffondersi celermente anche nel Borgo, e inoltre della sua posizione geografica favorevole ai rapporti fluviali per la vicinanza del Po (da Colorno per via d’acqua si raggiungeva sia Piacenza che Venezia). Frequenti erano i rapporti con la Serenissima, dove i Farnese compirono molti viaggi. Inoltre i contatti con quella città erano dovuti all’invio di galeotti condannati a remare sulle galee veneziane: vicende annotate fedelmente dal Canicetti. La cronaca inizia nel 1618 e termina nel 1674. È autografa, tranne ovviamente l’ultima annotazione che riporta la notizia della morte del Canicetti. A mo’ di introduzione il Canicetti vi pose all’inizio una descrizione del territorio di Colorno e la narrazione della congiura di Barbara Sanseverino e degli altri feudatari contro il duca Ranuccio Farnese, terminata con la decapitazione degli imputati avvenuta nel 1612, fatto di enorme rilievo nella storia della famiglia Farnese. In seguito a ciò la Camera Ducale per diritto di confisca prese possesso di Colorno. Segue una serie cronologica dei sacerdoti e degli arcipreti conosciuti personalmente dal Canicetti. Dopo il 1618 vi è un salto fino al 1627. Da questo anno e fino al 1634 le notizie e le vicende narrate sono assai succinte. La cronaca fu stesa per la parte fino al 1650 a posteriori, probabilmente rielaborando appunti e annotazioni tenuti dal Canicetti. A partire dal 1651 invece la stesura della cronaca è contemporanea agli avvenimenti e diventa assai minuziosa e dettagliata, appunto per essere il frutto di un’osservazione diretta e immediata degli stessi.
FONTI E BIBL.: G. Bertini, Memorie di Colorno, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1976, 284-285; C. Canicetti, Memoria di Colorno, 1997, II-IV.

CANNA SIMONA, vedi CANTULLI SIMONA

CANNUTIA TIGRIS Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberta, dedicante di un’epigrafe, perduta, alla madre Cornelia Bassilla. Il nomen Cannutius è sporadicamente documentato prevalentemente per donne, in Cisalpina, forse in questo solo caso nella regio VIII. Tigris è cognomen grecanico usato in Italia soprattutto per liberti: documentato sporadicamente in tutta la Cisalpina, si riscontra anche in una seconda epigrafe parmense.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 68.

CANOBIO GIOVANNI Parma 1582
Figlio primogenito di Cesare. Si laureò in ambo le leggi nell’anno 1582. Con l’aiuto del conte Carlo Sanvitale, ottenne di essere nominato Cavaliere dal duca Ranuccio Farnese, e ciò gli consentì di essere ammesso al Collegio dei Dottori di Legge di Parma. Sagace e dotato di un ingegno vivace, fu inviato dal duca Ranuccio come suo residente alla Corte di Spagna, ove rimase alcuni anni. Ritornato a Parma, vi dimorò circondato da stima generale, fino alla morte, giunta in età assai avanzata.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 56.

CANOSA ARCANGELO, vedi SPAGGI ARCANGELO

CANOSSA ARCANGELO, vedi CANOSSI ARCANGELO

 CANOSSA CESARE -Parma 15 agosto 1872
Fu volontario nelle campagne risorgimentali del 1860 e 1866.
FONTI E BIBL.: Il Presente 17 Agosto, 1872, n. 225; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402.

CANOSSA GIROLAMO Parma 1548/1577
Sacerdote, fu celebre organista della Cattedrale di Parma (settembre 1548-settembre 1577). Il contemporaneo da Erba scrive di lui: è tanto ripieno di dolcissimi concetti et soavi spiriti di musica che attonito e meraviglioso col suono dell’organo rende ciascuno che l’ascolta.
FONTI E BIBL.: A. da Erba, Compendio, Ms. Biblioteca Palatina di Parma, n. 992, 223-23; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 23.

CANOSSA IMERICO Parma seconda metà del XV secolo
Orefice operante nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 87.

CANOSSA INNOCENZO Parma seconda metà del XV secolo
Orefice operante nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, II, 87.

CANOSSA LORENZO -Parma 2 febbraio 1779
Marchese, fu ministro della guerra e di Azienda del Ducato di Parma nel governo Sacco (1778).
FONTI E BIBL.: P.M. Paciaudi, Inscriptiones, Parmae, 1798, 184-185; L. Farinelli, Carteggio Mazza, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 191; L. Farinelli, Paciaudi e i suoi corrispondenti, 1985, 63.

CANOSSI ARCANGELO Parma prima metà del XVI secolo
Zio di Innocenzo, nacque da una famiglia originaria di Canossa ma da tempo trapiantata a Parma e che contò parecchi membri insigni. Il Canossi fu avvocato egregio e professore di Diritto Civile nell’Ateneo parmense. Fu anche uno dei primi presidenti dell’Ospedale della Misericordia di Parma. Coltivò le lettere e fu considerato, al suo tempo, valoroso poeta. Un suo componimento latino è un elogio di Bernardino Donato, il veronese che tessé le lodi di Parma. Egli eccita il dotto poeta a pubblicare il suo libro ut Patriae laudes toto relegantur in orbe. Diresse anche un epigramma al giureconsulto Battista Carissimi.
FONTI E BIBL.: U. Benassi, Storia di Parma, V, 1906, 318; Aurea Parma 2 /3 1957, 107-108.

CANOSSI ARCANGELO, vedi anche SPAGGI ARCANGELO

CANOSSI INNOCENZO Parma XVI secolo
Nipote di Arcangelo, fu docente di Diritto Civile nell’Ateneo di Parma, uno dei primi presidenti dell’Ospedale della Misericordia di Parma e consigliere ducale.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2/3 marzo 1957, 107.

CANOSSI VINCENZO Parma 1600/1604
Avvocato, fu consigliere ducale, e ordinario di diritto civile mattutino. Insegnò dal 1600 al 1604.
FONTI E BIBL.: O. Bolsi, 35; F. Rizzi, 33; G. Berti, Studio universitario parmense, 1967, 88.

CANTADORI GIUSEPPE, vedi MONTANARI GIUSEPPE

CANTARELLI CARLO Parma 1857/1885
Tradusse dal latino le opere di Salimbene de Adam (1857) e di Donizone (1885).
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 195.

CANTARELLI GIUSEPPE Parma 30 dicembre 1919-San Secondo Parúmenúse 22 dicembre 1992  Fu l’unico oste parmense a ottenere due stelle sulla Guida Michelin: portò la bottega di Samboseto nell’olimpo della ristorazione italiana. Il Cantarelli fu oste dal 1948. Fu protagonista e precursore, insieme alla moglie Mirella, della riscoperta della cucina tradizionale italiana e grande artefice della sua definitiva consacrazione. L’osteria del Cantarelli fu scoperta dal giornalista Pier Maria Poletti. Ne cantò poi le lodi in tutt’Italia Mario Soldati. La frequentarono politici e industriali, attori e giornalisti. L’osteria del Cantarelli chiuse i battenti il 31 dicembre 1982. La moglie Mirella, ammalata, morì qualche anno dopo. Il Cantarelli continuò, con il figlio Fernando, a commerciare culatelli e salumi, che sceglieva e stagionava personalmente.FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 dicembre 1992, 17.

CANTARELLI MIRELLA, vedi DEL NEVO MILENA

- CANTATORI GIACOMO Milano 13 gennaio 1873
Fece tutte le campagne dal 1859 al 1867 per l’Indipendenza d’Italia e prese parte alla campagna militare del 1870 in Francia.
FONTI E BIBL.: Il Presente 16 gennaio 1873, n. 16; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402.

CANTELLA, vedi CANTELLI

CANTELLI ANTONELLA, vedi CANTELLI VITTORIA

 CANTELLI ANTONIO Parma 1450
Orefice. Nell’anno 1450 lavorò quattro corone d’oro per il canonico Oddi al prezzo di 13 lire e 12 soldi.
FONTI E BIBL.: M. Lopez, Il Battistero di Parma, 1864, 89.

 CANTELLI ANTONIO Parma 1590/1599
Laureato in legge. Fu tra coloro che predisposero le Aggiunte agli Statuti di Parma.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 39.

CANTELLI ANTONIO Parma 1763
Fu cavaliere di giustizia dell’Ordine Costantiniano (1763). Non ebbe discendenti.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274

CANTELLI ANTONIO Parma 4 gennaio 1843-Rimini 2 aprile 1908
Conte, figlio di Girolamo. Fu ufficiale di marina e combattè a Lissa. Fu decorato di medaglia al valor militare e insignito di vari ordini cavallereschi.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 181.

CANTELLI BARTOLO Parma 1285
Cavaliere di ordine patrizio. Al Cantelli si deve l’edificazione nel 1285, nel Duomo di Parma, della cappella gentilizia della famiglia con l’iscrizione latina che recita: MCCLXXXV, Xiunii sacellum hoc a Bartolo Cantello eq. patricii Ord. viro a fundamentis extructum ipso auctore in ius Cantellae gentis ab eius stirpe progenitae perpetuum cessit. Scolpita a bassorilievo sul marmo della cappella è l’arma antica dei Cantelli che era d’azzurro a due scettri gigliati d’oro posti a V.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 57; Gazzetta di Parma 23 settembre 1996, 5.

CANTELLI BARTOLOMEO, vedi CANTELLI BARTOLO

CANTELLI BARTOLOMEO Parma secolo XIV
Dottore e giudice di collegio, fu uomo di leggi assai reputato.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 settembre 1996, 5.

CANTELLI BARTOLOMEO Parma 1407
Figlio di Ugolino, e padre dell’altro più celebre Ugolino, di Antonio e di Cristoforo. Fu assessore del Consiglio generale di Parma nel 1407. Fu partigiano della fazione capitanata dai Rossi.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274.

 CANTELLI BARTOLOMEO
Parma 1628/1645
Figlio di Tiburzio. Di nobile famiglia, partecitò come capitano di una compagnia di fanti alla guerra d’Ungheria e, tornato ferito in patria, fu da Odoardo Farnese nominato Collaterale generale delle milizie del Ducato.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274; A. Valori, Condottieri, 1940, 67.

CANTELLI CAMILLO Parma 1601
Nato da Tiburzio di Gian Francesco di Bartoúloúmeo. Il 4 dicembre 1601 venne creato Cavaliere auúraúto e Conte palatino dal duca Ranuccio Farnese.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 30 settembre 1996, 5.

 CANTELLI CAMILLO Parma 1627
Nell’anno 1627 fu insignito della Croce dell’Ordine Militare di Santo Stefano.
FONTI E BIBL.: L. Araldi, L’Italia nobile, 1722.

CANTELLI CRISTOFORO Parma secolo XV
Figlio di Bartolomeo e fratello di Antonio e Ugoúliúno. Fu fondatore di un beneficio nel Consorzio detúto dei vivi e dei morti e fu alleato con la faúmiúglia dei Rossi, predominante allora in Parma.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 273.

CANTELLI ELEONORA ante 1789-Parma 9 gennaio 1851
Contessa, fu dama alla Corte di Parma e ascritta nel novero delle pie dame dell’Istituto della Maternità. Sposò un marchese Bergonzi. Fu sepolta nell’arco della Compagnia del Sant’Angelo Custode.
FONTI E BIBL.: G. Negri, Compagnia S. Angelo Custode, 1853, 71.

CANTELLI FERDINANDO Parma 1831
Conte di famiglia patrizia e di spiriti liberali. Fece parte del congresso civico di Parma durante i moti del febbraio 1831.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Il parlamento parmense del 1831 secondo nuovi documenti, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 157-158; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 280.

CANTELLI FRANCESCO MARIA Parma 1647
Figlio di Tiburzio. Si distinse in nobili studi e degne imprese. Assieme ai fratelli Ippolito e Tiburzio, il 6 ottobre 1647 acquistò dalla Camera Ducale di Parma il feudo di Bargone, eretto in contea in loro favore.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274.

CANTELLI GALVANO Parma 1494
Appartenne alla fazione dei da Correggio. Fece uccidere Antonio Chierici, della parte dei Rossi, assalendo poi il Palazzo del Podestà. Fece parte del Consiglio della Città di Parma quando nell’anno 1494 se ne pubblicarono gli Statuti.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 133.

CANTELLI GALVANO Parma 1550/1585
Fu servitore molto stimato dal duca Ottavio Farnese, da lui impiegato soprattutto negli alloggiamenti dei principi in visita alla Corte, che il Cantelli approntò sempre con grande splendore.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 133.

CANTELLI GIACOMO, vedi CANTELLI JACOPO

CANTELLI GIOVANNI FRANCESCO, vedi CANTELLI GIANDEMARIA GIOVANNI FRANCESCO

CANTELLI GIROLAMO Parma 22 giugno 1815-Parma 7 dicembre 1884

Nacque da Lodovico, conte di Rubbiano, e da Luigia dei marchesi Rizzini di Mantova. Educato inizialmente nel Collegio dei nobili, il Cantelli approfondì la sua preparazione giuridica che gli fruttò, compiuti i vent’anni, un impiego nel quale non tardò a segnalarsi. Quando l’Anzianato, nella riunione del 17 aprile 1838, deliberò di distribuire medaglie fatte coniare in onore di Maria Luigia d’Austria dal Comune di Parma, nella categoria impiegati di Corte che meritino particolare riguardo, si trova il Cantelli. Dallo stesso Consiglio degli anziani egli venne creato, il 19 maggio 1839, revisore dei conti, carica confermatagli il 19 maggio dell’anno successivo e il 15 marzo 1841. A partire da questa data il Cantelli divenne sindaco di quartiere, finché gli Anziani, il 21 gennaio 1845, dovettero sostituirlo perché era divenuto Podestà di Parma. Erano gli ultimi anni del regno di Maria Luigia, vedova di Napoleone Bonaparte, che seppe farsi accettare dai sudditi contemperando con saggezza la dipendenza da Vienna e il sincero desiderio di migliorare le condizioni del Ducato, in particolare della capitale. Anche il matrimonio di Albertina, figlia di Maria Luigia e del Neipperg, con il conte Luigi Sanvitale (ottobre 1833), appartenente a una delle migliori famiglie di Parma, contribuì a rinsaldare i rapporti tra la Duchessa e i suoi sudditi. Ma la generale commozione che percorse l’intera penisola dopo i primi atti di governo di papa Pio IX raggiunse anche il piccolo Ducato padano: a Parma, nel giugno 1847, si verificarono incidenti di una certa entità tra i dimostranti e le truppe austriache di stanza nel Ducato. Maria Luigia, che era solita trascorrere a Schönbrunn i mesi estivi, si trovava in Austria ospite del fratello Ferdinando, salito sul trono imperiale nel 1835, e della cognata Maria Anna di Savoja, e da lei si recò il Cantelli per informarla e per protestare contro l’intervento delle truppe imperiali. Questa presa di posizione, che rispecchiava peraltro lo stato d’animo di larghissima parte dell’opinione pubblica parmense, costò la carica al Cantelli, sostituito di fatto (come scrive A. Moscati) durante una sua non richiesta licenza da un commissario straordinario, mentre egli si ritirava, sdegnoso, a vivere a Mantova. L’aggravarsi delle condizioni di salute di Maria Luigia (che morì a Parma il 17 dicembre 1847) spinse l’elemento liberale a invitare il Cantelli a rientrare in città per esercitarvi le funzioni di podestà, prima dell’arrivo di Carlo Ludovico di Borbone, già re di Etruria, poi duca di Lucca e quindi, col nome di Carlo II, duca di Parma. Ma il nuovo Duca era strettamente legato all’Austria, con la quale strinse il 24 dicembre 1847 una convenzione militare. Questo atteggiamento filoaustriaco comportò una politica più autoritaria all’interno, con l’esclusione dei liberali, per moderati che fossero (e tra questi era certamente il Cantelli), da ogni carica. Cadde perciò nel vuoto il consiglio del marchese di Soragna, rappresentante sardo a Parma agli inizi del 1848, di formare un ministero liberale capeggiato dal Cantelli. Il 14 febbraio, anzi, in applicazione della convenzione militare del 24 dicembre 1847 già ricordata, truppe austriache entrarono a Parma. Poche settimane dopo, però, l’eco dell’insurrezione viennese e di quelle italiane indusse Carlo di Borbone a nominare, il 20 marzo 1848, una reggenza (formata da Luigi Sanvitale, Ferdinando Maestri, Pietro Gioja, Pietro Pellegrini e il Cantelli) alla quale fu trasferito il Supremo Potere con la facoltà di dare quelle istituzioni e provvedimenti che nell’attuale condizione delle cose crederà necessari. Qualche giorno più tardi, il 24 marzo, il Duca stimolò addirittura la reggenza ad accelerare i lavori per la stesura di una carta costituzionale. Il 29 marzo furono pubblicate, in diciassette articoli, le basi fondamentali della costituzione, mentre il Duca, lo stesso giorno, dichiarò solennemente di rimettere a Carlo Alberto di Savoja, a Pio IX e Leopoldo II di Toscana i destini del suo Stato. Il Cantelli, insieme con gli altri membri della reggenza, presentò le dimissioni. Ma l’11 aprile l’Anzianato di Parma nominò un governo provvisorio composto dal Cantelli e dagli altri membri della reggenza dimissionaria, ai quali vennero aggiunti Giuseppe Bandini e Giovanni Carletti. Fu tale governo provvisorio a indire, l’8 maggio 1848, un plebiscito che, su 39904 votanti, diede 37451 voti per l’annessione al Regno sardo. Ma le alterne vicende della guerra riportarono gli Austriaci a Parma (18 agosto) con un governo provvisorio militare retto dal comandante del IV corpo d’armata, conte di Thurn. Nei convulsi avvenimenti parmensi della primavera del 1849 il Cantelli non ebbe, almeno ufficialmente, alcuna parte. A restaurazione avvenuta (il 18 maggio Carlo di Borbone aveva ripreso possesso del Ducato) il Cantelli, in esilio a Genova, fu sottoposto a inchiesta giudiziaria per l’uso fatto del denaro pubblico durante il governo provvisorio. A conclusione dell’inchiesta, i beni del Cantelli, al pari di quelli dei componenti la reggenza e il governo provvisorio, vennero posti sotto sequestro, oltre che per rappresaglia politica, anche per sopperire alle spese militari che il Duca intendeva affrontare. Dopo la morte di Carlo di Borbone (1854) il sequestro venne abrogato. Il Cantelli, rientrato a Parma qualche tempo dopo, nell’impossibilità di svolgere qualsiasi attività politica o amministrativa, cooperò, tra l’altro, alla creazione di un istituto bancario cittadino allo scopo di fornire un più largo credito alle attività economiche del Ducato e facilitare i traffici con gli altri Stati della penisola. I contatti con il governo di Torino avvennero, soprattutto, mediante il Massari: è a quest’ultimo che il Cantelli chiese il 14 agosto 1856, da Genova, di inserire in alcuni dei più accreditati giornali del Piemonte un articolo che rispondesse alle accuse lanciate contro i cittadini di Parma dalla stampa austriaca e dal foglio ufficiale parmense. La collocazione politica del Cantelli si presenta in questi anni, e tale rimase anche successivamente, di rigida chiusura nei confronti dei governi restaurati e dei reazionari da un lato e dello sciocco e infame partito mazziniano dall’altro (come egli lo definisce in una lettera del 10 luglio 1857 al Massari dopo i fatti di Genova). Sembrarono pericolosi al Cantelli, allora e negli anni immediatamente successivi, anche gli ex repubblicani convertiti all’unitarismo monarchico. Nella primavera del 1859, a esempio, il Cantelli si mostrò allarmato per i contatti che Filippo Linati, onestissimo e italianissimo (come scrive il 29 marzo al Massari), non repubblicano né cieco di mente, aveva con elementi già repubblicani, divenuti favorevoli all’annessione al Regno sardo, ma illusi sulla possibilità di un movimento in Parma, ritenuto improbabilissimo se non impossibile. Il Cantelli diede invece la sua opera al comitato per i soccorsi ai volontari (tra i quali il suo primogenito) che andarono a prendere servizio nell’esercito piemontese. La situazione politica di Parma, confusa nel maggio del 1859 per l’alternarsi di una Commissione di governo, creata dalla reggente Luisa Maria di Borbone, e di una Giunta provvisoria nominata dal Comitato nazionale cittadino, si chiarì con la partenza della Reggente il 9 giugno. Per otto giorni il Cantelli presiedette una Commissione di governo, nominata dal Municipio e incaricata di reggere il paese finché vi giunse il 17 giugno l’incaricato di Vittorio Emanuele di Savoja, Diodato Pallieri. Nelle elezioni del 4 settembre 1859 per l’Assemblea, dei rappresentanti del popolo delle Province parmensi il Cantelli fu eletto dal terzo collegio di Parma (136 voti su 438 in prima votazione, 214 su 324 in seconda). Il 9 settembre divenne, con 37 voti su 52, presidente della stessa Assemblea e ne diresse i lavori in modo decoroso e imparziale, come suonò l’unanime voto di ringraziamento dell’Asúsemúblea il 15 dello stesso mese, allorché i suoi lavori vennero prorogati contemporaneamente alla partenza per Torino della delegazione incaricata di portare a Vittorio Emanuele di Savoja il voto delle popolazioni del Ducato. Lo stesso giorno il Cantelli fu designato a guidare la deputazione incaricata di portare a Napoleone III un indirizzo di ringraziamento, composta di Pietro Torrigiani e di Ranuzio Anguissola. Il Farini, che non aveva approvato l’iniziativa (Je ne comprend pas raison de ton voyage à Paris, scrisse al Cantelli il 26 ottobre), lo inviò presso Ricasoli per coordinare un’azione comune per la preparazione dei plebisciti. Il 25 marzo 1860 il Cantelli fu eletto deputato nel secondo collegio di Parma, contro Ausonio Franchi, e vi fu riconfermato nelle elezioni dell’anno successivo, per l’VIII legislatura, durante la quale fu anche questore nella prima sessione (18 febbraio 1861-21 maggio 1863) e vicepresidente nella seconda (25 maggio 1863-7 settembre 1865). Nel 1861 venne affidato al Cantelli l’incarico di commissario civile presso il luogotenente del re nelle Province napoletane (regio decreto 14 luglio 1861), proprio mentre il Cialdini iniziava la sua politica di collaborazione con tutte le forze liberali, comprese quelle democratiche, verso le quali i moderati conservarono, invece, un atteggiamento sospettoso se non ostile. Un dissenso tra i due non tardò a manifestarsi sul problema dell’ordine pubblico cui si aggiunse il contrasto tra il Cantelli e M. Pironti sui tempi dell’unificazione (continuo incubo di Cantelli, come Pironti scrive al Mancini il 2 agosto 1861, citazione in Scirocco, 312). Si trattò, in realtà, di divergenze profonde che riflettevano dissensi tra il governo centrale e la luogotenenza e tra lo stesso Ricasoli e il Cialdini, che a metà agosto giunse a rassegnare le dimissioni. La crisi, per il momento, venne superata ma il Cantelli fu sostituito (regio decreto 25 agosto 1861) da Giovanni Visone, intendente generale di Piacenza, che seppe agire con maggior tatto, facendo tesoro dell’esperienza del suo predecessore (A. Scirocco, 265). Su questa breve missione a Napoli, giudicata favorevolmente da Petruccelli della Gattina e negativamente oltre che dal Cialdini stesso, com’era naturale, anche da D. Pantaleoni, il Cantelli scrisse al Massari da Parma il 27 ottobre del 1861: Non ti parlerò della Luogotenenza: parce sepultis! Dirò solo che se la mia dimissione ha in qualche modo contribuito ad affrettarne la morte, non sarà stata affatto inutile la mia andata a Napoli! In un momento particolarmente delicato, si era alla vigilia della Convenzione di settembre, il Cantelli assunse la carica di prefetto di Firenze (7 settembre 1864). Il giudizio del Cantelli sui Fiorentini fu indubbiamente severo (non muove da un amore sviscerato per Firenze, scrive G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze, 1967, 201): egli auspicò la fine più rapida dell’autonomia amministrativa toscana, in linea del resto con i suoi precedenti atteggiamenti. Scendendo alle tendenze, allo spirito morale di questa popolazione (scrive in un rapporto del 5 gennaio 1865 al ministro dell’Interno, cfr. Spadolini, 203-206) trovasi ragione per desiderare un sensibile miglioramento. Causa principale la poca energia, o meglio la forza d’inerzia che distingue il popolo toscano ed in ispecie il fiorentino; d’onde l’oziosità, la mendacità, il mal costume in larga scala. In quanto a politica, essa è qui, come tutt’altro debolmente sentita. Non esito ad affermare che non esiste un vero e forte partito politico. Chiamerò forte il più numeroso, e questo è certamente quello che accetta l’attuale ordine di cose. Ma il Cantelli seppe cogliere il malcontento per il vertiginoso aumento dei fitti, e intese l’importanza di distinguere la Sinistra legalitaria e possibilista della Sinistra intransigente e mazziniana. Si occupò delle prediche trascinanti di padre Alessandro Gavazzi, della creazione di una associazione per la tutela e lo svolgimento dei diritti costituzionali in antitesi con le società democratiche di tendenza repubblicana, ma anche delle trame reazionarie, della nascita del Fiammifero, di netta tendenza granduchista, come la Bandiera del Popolo. Ciò che il Cantelli temette maggiormente fu la collusione delle estreme, il tentativo reazionario di servirsi della protesta operaia (era appena sorta a Firenze un’associazione tra i tipografi per difendere il livello salariale e preparare uno sciopero), l’azione dei predicatori quaresimali che toccarono spesso problemi di natura strettamente politica, con l’aiuto, come si legge nel rapporto dell’8 aprile 1865, di celesti apparizioni. L’8 ottobre 1865 il Cantelli venne nominato senatore (categorie II, III e XXI). Due anni più tardi Luigi Federico Menabrea, nel primo ministero che presiedette (27 ottobre 1867-5 gennaio 1868), gli affidò il dicastero dei Lavori Pubblici e, fino al 18 novembre 1867, l’interim dell’Istruzione Pubblica. Ma egli continuò a dirigere la prefettura di Firenze fino al 3 novembre 1867 (il giorno di Mentana) quando vi fu inviato come reggente il consigliere delegato Francesco Constantin de Magny (soltanto il 13 febbraio 1868 Firenze ebbe un prefetto titolare nella persona di Massimo Cordero di Montezemolo, già prefetto di Napoli). Perciò il governo Rattazzi dimissionario, per bocca di alcuni suoi membri, tentò poi di far ricadere su di lui la responsabilità del mancato intervento nei confronti dei volontari e dello stesso Garibaldi che si dirigevano verso lo Stato pontificio. Nel secondo ministero Menabrea (5 gennaio 1858-13 maggio 1869) il Cantelli conservò il dicastero dei Lavori Pubblici fino al 23 ottobre 1868, quando gli venne affidato il ministero dell’Interno, di cui aveva avuto l’interim dal 10 settembre dopo le dimissioni di Carlo Cadorna causate dalla mancata approvazione dei suoi progetti di riforma dell’amministrazione centrale e provinciale. Nel 1872 il Cantelli divenne consigliere di Stato. Il 1° ottobre di quell’anno Antonio Scialoia, che dal 5 agosto 1872 resse il dicastero dell’Istruzione Pubblica del ministero Lanza (14 dicembre 1869-10 luglio 1873), lo nominò presidente della Commissione d’inchiesta sull’istruzione secondaria maschile e femminile. Il decreto del 29 settembre 1872, in 6 articoli, che ordina un’inchiesta sugli istituti di istruzione secondaria maschile e femminile sia che appartengano al governo, a corpi morali o a privati, sia che costituiscano fondazioni speciali destinate all’insegnamento ed all’educazione (art. I), stabilisce che l’inchiesta sarebbe stata fatta per mezzo di interrogatori scritti, elenchi di domande formulate dalla commissione, interrogazioni orali, lettere circolari alle autorità scolastiche, visite a istituti. I 77 quesiti, inviati anche a privati cittadini ma solo per mezzo del consiglio scolastico o del sindaco, vennero pubblicati in opuscolo (Commissione d’inchiesta sulla istruzione secondaria maschile e femminile. Quesiti, Roma-Firenze, 1872) che contiene anche dei fogli bianchi intercalati tra gli stampati per consentire la risposta. L’11 gennaio 1873 il Cantelli venne eletto vicepresidente del Senato, ma conservò la carica solo per pochi mesi perché il Minghetti gli affidò, nell’ultimo ministero della Destra (10 luglio 1873-25 marzo 1876), il dicastero dell’Interno (dal 6 febbraio 1874 ebbe anche l’interim delle Finanze). Fu indubbiamente questa la pagina della vita politica del Cantelli oggetto di più aspre censure e sulla quale si sono alternati i più contrastanti giudizi. Non soltanto gli internazionalisti, ma anche i repubblicani e i radicali, che con i primi non ebbero alcun obiettivo politico comune, furono fatti segno (come scrive A. Galante Garrone) a una stolida persecuzione, culminata nell’arresto a villa Ruffi, nei pressi di Rimini, di ventotto personalità repubblicane, tra le quali A. Saffi e A. Fortis, intervenute a una riunione organizzata dalla Consociazione delle società popolari di Romagna per stringere accordi in vista delle elezioni dell’8 novembre 1874. Il provvedimento (che si rivelò un grosso errore politico, come dimostrarono l’immediata reazione dell’opinione pubblica e la successiva generale assoluzione degli imputati da parte della magistratura) pare sia stato opera più che del Cantelli, assente, del segretario generale L. Gerra. Però (come scrive A. Moscati, p. 48), la non breve durata della detenzione e la ulteriore permanenza nell’ufficio del Segretario generale ancora per diversi mesi, apparivano come la tacita approvazione da parte del ministro dell’operato di chi lo aveva, per eccesso di zelo, non encomiabilmente sostituito. Tanto più che il 5 dicembre 1874 fu presentato alla Camera dal Cantelli, di concerto con il ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Vigliani, un progetto di legge su Provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza che miravano (secondo le parole del Cantelli) soltanto ad aggiungere forza alla legge ordinaria per virtù di mezzi appropriati a circostanze straordinarie di tempo e di luogo, ma in realtà diedero ai prefetti, sottoprefetti e questori dei poteri pericolosamente vasti e incontrollabili, quali l’arresto preventivo di persone sospette di far parte di associazioni miranti a offendere le persone o le proprietà, le visite e le perquisizioni domiciliari in qualunque tempo e dovunque il prefetto, il sottoprefetto ed il questore abbiano motivo di ritenere che si trovino persone, armi ed oggetti attinenti alle associazioni predette, il domicilio coatto da uno a cinque anni per decreto del ministro dell’Interno sulla proposta del prefetto, inteso il parere di una Giunta locale presieduta dal prefetto stesso e composta del presidente e del procuratore del Re del tribunale del capoluogo della provincia e del comandante dei reali carabinieri della provincia medesima. Bisogna aggiungere, però, che misure così palesemente illiberali (la durata di due anni confermava del resto la loro eccezionalità) nacquero in un contesto di gravi tensioni politico-sociali (tentativi mazziniani, moti contadini, attività di nuclei internazionalisti) nel quale giocò un ruolo determinante la grave crisi economica iniziatasi con la grande depressione del 1873. La caduta della Destra non placò gli avversari del Cantelli, attaccato, peraltro incautamente, in Senato dal Nicotera, nuovo ministro dell’Interno, non soltanto per la sua politica autoritaria, per gli illeciti interventi nelle elezioni e per i finanziamenti accordati ad alcuni giornali, ma anche per un preteso atteggiamento servile nei confronti di Luisa Maria di Berry. Negli ultimi anni il Cantelli, uscito ormai dalla vita politica attiva, ritornò, con esemplare modestia e senso del dovere civico, a partecipare alla vita amministrativa della sua città come assessore comunale e più tardi come presidente del consiglio provinciale di Parma.

FONTI E BIBL.: Carte ministero Pubblica Istruzione, Personale, Archivio centrale dello Stato, Roma, fascicolo Girolamo Cantelli; Roma, Museo centrale del Risorgimento: lettere del Cantelli a G. Massari, (b. 810/843, 1-22), a L.C. Farini (b. CLV/78), a G. Medici (volume 13, n. 8), a P.S. Mancini (b. 608/1, 3), a vari prefetti (b. 391/1, 31, 33, 54, 56), lettere al Cantelli  di L.C. Farini (b. CXLII, 7/2, 12; b. CXLIII, 6/20, 11/8), del prefetto di Lecce (b. 391, 1/9, 10, 12, 19, 53), di Andromaca Bertoldi (b. 286, 25/3), di Giuseppe Sanfilippo (b. 338, 2/1); Parma, Archivio comunale, sezione III, Comune moderno, serie 34, Consiglio degli Anziani, Registro delle consulte (anni 1822-1856), Gridario cittadino (1845, volume n. 176); Le assemblee del Risorgimento, Roma, 1911, I, 591-767; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature VII-XIV, ad Indices; G. Massari, Diario dalle cento voci 1858-1860, a cura di E. Morelli, Bologna, 1959, 168, 178, 271, 351, 371 s., 380, 395 s., 425, 437; Carteggi risorgimentali del fondo Luigi Rava, I, Inventario delle carte Farini, a cura di G. Cortesi, prefazione di A. Torre, Ravenna, 1960, 108, 199; Gli archivi dei governi provvisori e straordinari 1859-1861, I, Lombardia, Province parmensi e province modenesi. Inventario, Roma, 1961, 105-113. Cenni biografici sul Cantelli: G. Adorni, Del conte Girolamo Cantelli, Assisi, 1876; E. Casa, Commemorazione del conte senatore Girolamo Cantelli letta addì 23 settembre 1888, Parma, 1888; G. Sarini, Girolamo Cantelli e i suoi tempi, Parma, 1888; M.N. Bonini, Inaugurazione del busto in marmo dell’illustre cittadino conte Girolamo Cantelli, Parma, 1888; A. Pariset, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Parma, 1905, 22-26; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa, II, Roma, 1907, 322, 331;  T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma, 1880, 219; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, III, Da Mentana alla caduta della Destra, Napoli, 1960, 38-60; Dizionario del Risorgimento nazionale, II, 521 s. Sull’azione svola dal Cantelli nel 1848 a Parma cfr.: G. Sforza, Carlo II di Borbone e la rivoluzione di Parma del 1848, in Nuova Antologia 1 agosto 1895, 345 ss.; G. Sforza, Carlo II di Borbone e la Suprema Reggenza di Parma, in Nuova Antologia 1 novembre 1896, 111-143; I° dicembre 1896, 508-532; G.P. Clerici, La Suprema Reggenza e il Governo provvisorio di Parma nel 1848, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XVI 1916, 1- 103, in particolare 7, 9 s., 14, 18, 21, 24, 43; G. Drei, Carlo II di Borbone e la rivoluzione del 1848 a Parma, in Rassegna Storica del Risorgimento XXI 1934, 259-280; sul 1859 e i plebisciti cfr. C. Pecorella, I governi provvisori parmensi (1831, 1848, 1859), Parma, 1959, oltre l’introduzione di E. Falconi nel volume Gli archivi dei governi provvisori e straordinari 1859-1861, 101-125; sull’azione svolta dal Cantelli a Napoli presso la luogotenenza cfr. F. Della Peruta, Contributo alla storia della questione meridionale. Cinque lettere inedite di D. Pantaleoni, 1861, in Società VI 1950, 69-94; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione (1860-1861), Milano, 1963, 262 s., 265, 276, 312; sul Cantelli prefetto di Firenze cfr. G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze, 1967, 57 s., 75, 78, 93, 97, 99, 106, 113, 133 s., 138 s., 143-145, 148-150, 201-206; sulla successiva attività politica del Cantelli qualche cenno è in I. Bonomi, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto, 1870-1918, Torino, 1966, 33, 44, 87, e in F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Le premesse, Bari, 1951, 441. Sull’episodio di villa Ruffi (sul quale è da ricordare l’opuscolo pubblicato da A. Saffi, La Consociazione romagnola e gli arresti di Villa Ruffi, edito nel 1875 a Forlì e poi inserito nei Ricordi e scritti di A. Saffi pubblicati per cura del municipio di Forlì, XI, 1872-1886, Firenze, 1903, 71-146) cfr. A. Berselli, Gli arresti di Villa Ruffi. Contributo alla storia del mazzinianesimo, Milano, 1956. Un giudizio sul Cantelli ministro dell’Interno, nel contesto della crisi economico-sociale e politica del 1873-1874, è in A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano, 1973, 133 s., 140, 155; G. Talamo, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 247-252.

CANTELLI GIUSEPPE 1779-Parma 3 gennaio 1845
Conte, fu Ciamberlano di Maria Luigia d’Austria e sostenne diversi altri uffici. Sposò la contessa Teresa Malossi.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 54.

CANTELLI IPPOLITOParma 1630
Figlio di Tiburzio. Canonico della Cattedrale e Protonotario Apostolico, risulta essere stato noúminato Conte palatino: infatti di lui sono note due investiture a secondo notaio, fatte nel 1630, in virtù delle prerogative insite nella carica.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 30 settembre 1996, 5.

CANTELLI JACOPO Parma 17 marzo 1728-Parma 26 aprile 1802
Figlio di Ludovico ed Eleonora Tarasconi. Conte, fu maggiordomo di settimana addetto alle udienze di Ferdinando di Borbone e questore della cassa dei soldati della campagna. Nel 1777 fu nominato Ispettore generale delle milizie di Parma. Fu inoltre Comandante onorario di mille uomini degli alabardieri reali. Sposò Marianna Montanari, dalla quale ebbe un figlio: Ludovico.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274; Epigrafi della Cattedrale, 1988, 56.

CANTELLI LODOVICO Parma 1588-post 1647
Fu tesoriere generale del duca Ranuccio Farnese e ottenne, assieme al fratello Gian Francesco, dalla Camera ducale (a cui apparteneva) la cessione del feudo di Rubbiano, eretto in contea con patente ducale il 2 ottobre 1647.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 274.

CANTELLI LODOVICO, vedi anche CANTELLI LUDOVICO

CANTELLI LORIOLO Parma 1300
Fu Anziano del Comune di Parma. Nel 1300 quietò le controversie divampate tra i concittadini e i Borghigiani.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 273.

CANTELLI LUDOVICO Parma 1350 c.-Brescia post 1404
Nacque intorno alla metà del secolo XIV da una nobile famiglia di Parma. Fu tra i condottieri di secondo piano nei decenni turbinosi della fine del secolo e acquistò un certo rilievo come segretario e poeta alla Corte di Pandolfo Malatesta a Brescia. Nulla si sa del primo periodo della carriera militare del Cantelli, ma nel 1386 figurò tra i capitani veronesi che combatterono alla battaglia della Brentella, dove fu fatto prigioniero dai Padovani. Liberato, partecipò successivamente alla battaglia di Castagnaro del 1387, dove comandò il sesto squadrone dell’esercito veronese insieme con Giovanni del Garzo. Questo squadrone ebbe il compito di difendere le insegne scaligere, ma ancora una volta il Cantelli, insieme con gli altri comandanti aggregati, fu fatto prigioniero. Nel 1395-1396 il Cantelli e le sue lance entrarono a far parte della compagnia comandata da Bartolomeo Boccanera da Prato. Nel 1395 tale compagnia ricevette una condotta in aspetto da parte di Firenze, per appoggiare una restaurazione dei Gambacorti a Pisa, ma nella primavera del 1396 si unì all’esercito visconteo comandato da Giovanni da Barbiano che minacciava Bologna e Firenze. Il Boccanera, Filippo da Pisa, Antonio degli Obizzi e il Cantelli furono ingaggiati da Firenze e inviati in Lucchesia a minacciare nuovamente Pisa. Ciò provocò lo scioglimento dell’esercito di Giovanni da Barbiano ma le azioni congiunte delle compagnie contro Pisa non ebbero successo. Il Cantelli e i capitani suoi aggregati trascorsero i mesi estivi devastando il contado pisano ma dopo l’armistizio stipulato in agosto tra Lucca e Pisa la compagnia si frazionò. Il Cantelli, con pochi seguaci, fu catturato dai Senesi e liberato quindi il 9 dicembre 1396. Dopo tali avvenimenti il Cantelli si unì al gruppo, sempre crescente, dei condottieri italiani al servizio dei Visconti. Nel 1397 partecipò con Iacopo Dal Verme alle operazioni contro Mantova ed ebbe il comando di uno squadrone dell’esercito milanese, sconfitto il 28 agosto. Nel 1400 fu con Facino Cane all’attacco contro Bologna e nel 1402 divise con lui il comando delle avanguardie milanesi a Casalecchio. Venne ferito dal capitano fiorentino Bernardone de Serres ma si comportò coraggiosamente in battaglia e catturò importanti prigionieri. Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, il Cantelli passò con Pandolfo Malatesta. Fu con Malatesta e Facino Cane quando costoro cercarono di portare aiuto a Verona nel 1404. Sembra tuttavia che in questo periodo il Cantelli si fosse ritirato dalla vita militare attiva: fu in qualità di segretario di Pandolfo che egli fece da intermediario tra il Malatesta e i guelfi bresciani, preparando così la strada alla signoria del Malatesta a Brescia. Dopo il 1404 si perdono le tracce del Cantelli. Anche la data della sua morte è ignota, sebbene i Codici Malatestiani, conservati presso l’Archivio di Stato di Fano, non forniscano alcuna prova che egli sia sopravvissuto a lungo alla Corte di Pandolfo Malatesta. Fu probabilmente in quest’ultimo periodo della sua carriera che compose i sonetti che gli vengono attribuiti e che compaiono nelle raccolte di sonetti petrarcheschi di Malatesta de’ Malatesti guadagnandogli il titolo di eloquentissimus vir.
FONTI E BIBL.: I due sonetti del Cantelli si trovano a Bologna, Biblioteca universitaria, codici 2574 e 1739; per il commento cfr. F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, II, Bologna 1878, suppl. 4; E. Lamma, Di alcuni petrarchisti del secolo XV, in Propugnatore XX 1887, 214-398; E. Lamma, Rime inedite di Malatesta de’ Malatesti, in Ateneo Veneto XVIII 1894, 3-38. Per ulteriori notizie sul Cantelli, cfr. R. Sardo, Cronaca pisana, a cura di F. Bonaini, in Archivio Storico Italiano VI, 2 1845, 220-229; G. degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l’Umbria nel secolo XIV, in Bollettino della Regia Deputazione Umbra di Storia Patria X 1904, I, 870; G. Morelli, Ricordi, in Delizie degli eruditi toscani, XIX 1785, 5; Lettere di ser Lapo Mazzei, a cura di C. Guasti, Firenze, 1880, 151; G. Sercambi, Cronache, I, a cura di S. Bongi, in Fonti per la storia d’Italia, XX, Roma, 1892, 322; L. Bruni, Historiarum Florentini populi, in Rerum Italicarum Scriptores, XIX, 3, a cura di Z. Santini, 269; Cronaca del conte Francesco di Montemarte e Corbara, in Rerum Italicarum Scriptores, XV, 5, a cura di L. Fumi, 263; G. e B. Gatari, Cronica Carrarese, in Rerum Italicarum Scriptores, XVII, I, a cura di A. Medin-G. Tolomei, 253, 270, 272, 276, 453, 461, 478, 486, 508, 510; H. Caverioli, Historiae Bresciane, Brescia, 1585, 162; E. Ricotti, Storia delle campagnie di ventura, Torino, 1893, I, 326, 437; A. Professione, Siena e le compagnie di ventura, Civitanova Marche, 1898, 151; G. Galli, La dominazione viscontea a Verona, in Archivio Storico Lombardo LIV 1927, 531; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano, 1936, 131; N. Valeri, La vita di Facino Cane, Torino, 1940, 109; D.M. Bueno de Mesquita, Giangaleazzo Visconti, Cambridge, 1941, 199; D. M. Bueno de Mesquita, Some condottieri of the Trecento, in Procedings of the British Academy XXXII 1951, 236; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano, 1955, 108; G. Zanetti, Le signorie, in Storia di Brescia, I, Brescia, 1963, 866, 875; M. Mallet, Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 253-254.

CANTELLI MARCELLO Parma 1731/1748
Conte, eccelse per attività e impegno a favore di Parma in un periodo quanto mai fortunoso come quello della guerra che per molti anni trasformò l’Italia in un campo di battaglia infestato da belligeranti di ogni tipo e nazione, e ciò fino alla pace di Aquisgrana (1748). Già nel 1731, subito dopo la scomparsa dell’ultimo Farnese, pervennero a Parma due reggimenti tedeschi comandati da un centinaio di ufficiali che alloggiarono presso le famiglie più agiate, mentre le truppe si acquartierarono in ogni modo e con ogni mezzo. Per incarico della Reggenza, il Cantelli venne inviato sollecitamente a Milano onde ottenere indennizzi per le vettovaglie fornite o razziate e anche per comporre qualche disordine che si era verificato. Ma tornò a Parma scontento e avvilito per gli scarsi risultati ottenuti, nonostante i lunghi ed estenuanti colloqui e computi. Poco dopo partecipò a un’altra ambasciata, indetta dall’Anzianato, al maresciallo Stampa, onde esternare promesse di devozione al veniente principe Carlo di Borbone. La cronaca precisa che gli ambasciatori parmigiani vi andarono preceduti da 12 donzelli apportatori di copioso rinfresco e di scelti commestibili che il generale accettò e si godette infinitamente. Ma gli eventi bellici non cessarono: due mesi dopo il Cantelli fece parte di una terza ambasciata, questa volta verso gli Imperiali, i quali, pur accogliendolo correttamente, gli intimarono di tornare presto a casa onde disporre per il loro arrivo. Infatti, partiti gli Spagnoli, entrò a Parma il generale principe Lobkovitz alla testa dei suoi corazzieri a cavallo. Facendo buon viso a cattiva sorte, i magnati locali (tra cui il Cantelli) gli profusero i soliti omaggi, cui il Principe rispose cortesemente ma con l’ingiunzione di obbedire e di essere pronti a pagare. Anche a lui i Parmigiani deposero ai piedi un lauto regalo che (come commenta argutamente E. Casa) aveva l’aria d’un candelotto acceso al diavolo, ma che tuttavia il Lobkovitz mostrò di gradire assai.
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 318-319.

CANTELLI MARCO Parma 1267/1283
Probabile iniziatore delle fortune dei Cantelli, nota famiglia di giuristi parmensi, fu personaggio sicuramente eminente nella vita politica del Comune di Parma dalla fine degli anni Sessanta del XIII secolo sino almeno al 1283. Le sue funzioni non furono solo prettamente giuridiche: egli fu infatti utilizzato spesso nei delicati rapporti con i comuni limitrofi, come nel 1267 quando, quale notarius potestatis, si adoperò per comporre la controversia sorta con Cremona e Reggio, sino ad allora preziose alleate del Comune di Parma. Ancora, nel 1271 redasse i patti di pace con Pontremoli e infine, nel 1283, probabilmente ormai anziano ed esperto in questioni diplomatiche, ebbe il prestigioso incarico, in qualità di sindicus communis, di stilare i termini della pace con Mantova. Oltre a queste funzioni di politica estera, egli dovette anche svolgere un’intensa attività relativa ai più usuali negozi giuridici contratti da e per il Comune, dei quali restano numerose menzioni nei documenti stessi del Liber Communis Parme e negli Statuti, dove egli appare come rogatario, sempre al servizio del Comune. Nell’ambito di questa sua indubbia funzione di primo piano nella gestione amministrativa e nella politica comunale testimoniata tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del Duecento (spesso negli Statuti è detto magister, appellativo riferito a notai e artefici di particolare prestigio), è possibile ipotizzare che, o per sua diretta iniziativa oppure su mandato di una magistratura comunale, egli abbia provveduto all’organizzazione e redazione di un registro di iura communis (di cui quello pervenuto è quanto meno una parte), avvalendosi dell’opera di altri notai, alcuni dei quali forse suoi abituali collaboratori. Si è potuto infatti constatare che, se egli scrisse di sua mano solo la locatio del 30 luglio 1269 e la sottoscrizione di dieci contratti, fu altresì colui che non solo eseguì le imbreviature ma diede la iussio per la redactio in mundum di quasi tutti gli originali.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 273; Liber Iurium Communis Parme, 1993, XXXIII-XXXV.

CANTELLI MARCO Parma 30 agosto 1845-Massaua 7 luglio 1886
Figlio del conte Girolamo e di Teresa Stocchi. Entrato nel Collegio di Marina di Genova il 18 luglio 1860, ne uscì guardiamarina nel gennaio 1865. Prese parte alla battaglia di Lissa, imbarcato sulla nave Re di Portogallo, al comando del Riboty, e meritò la menzione onorevole. Ebbe poi incarichi di carattere culturale e politico, tra i quali la presa di possesso di Massaua. Nel 1885 prese parte alla battaglia di Massaua al comando della torpediniera Centauro. Vi contrasse una grave infermità che ne causò la morte.
FONTI E BIBL.: La Rassegna 8 luglio 1886; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 275; E. Michel, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1930; A. Ribera, Combattenti, 1943, 105.

CANTELLI MARTINO Parma 1406/1410
Fu Proconsole del Collegio dei Notai di Parma per gli anni 1406 e 1410.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 settembre 1996, 5.

 CANTELLI PIETRO
Parma 1302
Giurista, nel 1302 sostenne, contro il parere dei Cremonesi, la libera navigazione sul Po.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 273.

 CANTELLI SANDRINA Parma 1411/1440
Fu Badessa nel convento di Sant’Ulderico di Parma, che rifece, ampliò e abbellì artisticamente, come fa fede la lapide posta sulla piccola porta d’ingresso della badia, recante, con lo stemma della famiglia, l’iscrizione: Anno Domini MCCCCXI. Aedificia omnia noviter constructa in monasterio isto facta fuerunt tempore reverendae in Christo matris dominae dom. Sandrinae de Cantellis Dei gratia abbatissae dicti monasterii.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 2, 1929, 273.

CANTELLI UGOLINO Parma 1338 c.-post 1387
Ebbe in Parma diversi incarichi dal Comune. Nel 1387 fu procuratore del Comune in una causa coi Pallavicino. Fu padre di Bartolomeo e nonno del suo più celebre omonimo.
FONTI E BIBL.: Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 254.

CANTELLI UGOLINO Parma 1390 c.-Parma 1454/1457
Nacque da Bartolomeo, nobile parmense. Parecchi dei suoi antenati ebbero in Parma incarichi dal Comune. Il Cantelli studiò legge a Bologna, a Padova (nel 1409) e a Pavia, e nel 1414 fu immatricolato studente nell’Università di Parma, dove il 16 ottobre 1416 conseguì la laurea in diritto civile. Il 6 agosto 1425 il Duca di Milano ordinò (non si sa per quale motivo) al podestà di Parma di fare arrestare il Cantelli e suo padre e di non rimetterli in libertà se non avessero promesso, sotto cauzione di 10000 fiorini, di presentarsi a ogni richiesta. Morto il padre Bartolomeo, il Cantelli e i suoi fratelli, Antonio e Cristoforo, con atto notarile del 27 aprile 1427, si divisero i beni. Nel marzo 1432, quando Sigismondo, re dei Romani, venne a Parma e vi soggiornò sino al maggio, il Cantelli recitò davanti a lui un’orazione, che si è conservata. L’anno dopo fu chiamato a Ferrara dal marchese Niccolò III per esercitarvi l’ufficio di podestà. Si è conservata anche l’orazione che egli pronunciò assumendo tale ufficio. Fu di nuovo podestà a Ferrara nel 1444. Fece testamento a Parma il 21 dicembre 1453 ed ivi morì prima del 1458. Sposò Caterina dei Valeri, dalla quale ebbe solo una figlia, Maria Caterina, che andò sposa al conte Antonio Manfredi di Ferrara. L’Affò scrive che il Cantelli fu mandato oratore al concilio di Basilea e che il 24 maggio 1441 vi pronunciò, davanti ai padri e all’antipapa Felice V, l’orazione che si conserva nel ms. D 93 sup. della Biblioteca Ambrosiana. Ma tale orazione, come già fece rilevare il Sabbadini, è certamente opera di un altro Ugolino da Parma, cioè Ugolino Pisani (uno dei più bizzarri spiriti del tempo, giurista, poeta, soldato e viaggiatore), al quale si riferiscono anche quei passi delle lettere del Filelfo, che l’Affò e il Pezzana ritennero riguardare il Cantelli. Non è perciò da credere che il Cantelli sia andato a Basilea. Il ms. Parm. 26 della Biblioteca Palatina di Parma, miscellaneo, contiene tra l’altro le due ricordate orazioni del Cantelli e altri due brevissimi discorsi che si possono a lui attribuire. Nell’orazione a Sigismondo il Cantelli, dopo aver magnificato le virtù del Re e quelle del duca Filippo Maria Visconti, esorta il Sovrano, con accenti tra danteschi e petrarcheschi, a portare la concordia e la pace nel mondo e soprattutto in Italia, capo e fondamento dell’Impero, lacerata dalle guerre, dalle discordie e dalle violenze dei tiranni. Nulla di veramente personale e sentito è invece nel discorso pronunziato a Ferrara, al testo del quale fanno seguito nel manoscritto parmense due brevi orazioni adespote (una habenda in ecclesia, l’altra habenda cum iusticie signum capiet), che l’Affò ritiene anch’esse opere del Cantelli e che effettivamente appaiono, quanto a stile, molto simili alle precedenti. Benché non si conosca nessun documento della sua attività di giurista e le sue orazioni siano di scarso valore, tuttavia il Cantelli merita di essere ricordato soprattutto come bibliofilo e per le sue relazioni con umanisti. Nel 1431 Stefano Tedesco gli fece fare conoscenza con Guarino Veronese, cui lo stesso Tedesco inviò più tardi, nel gennaio 1432, un inventario dei libri posseduti dal Cantelli. Guarino rispose ringraziando e chiedendo di poter far copiare l’opuscolo In metra Terentiana di Rufino e lo scritto In carmina Terentii di Prisciano contenuti appunto nella biblioteca del Cantelli. Delle due opere infatti il Cantelli gli mandò in dono una copia. Qualche mese dopo Guarino chiese e ottenne in prestito dal Cantelli una copia dell’opera di Gellio, alla cui revisione egli attendeva. Anche se i rapporti del Cantelli con Guarino sono documentati solo per gli anni 1431-1433, si può credere che essi siano durati assai più a lungo. Amico del Cantelli fu anche Zenone Castiglioni, allievo del Barzizza, poi vescovo di Bayeux. Nel 1434 il Cantelli gli prestò alcuni manoscritti affinché egli potesse farli copiare: si trattava di traduzioni di Leonardo Bruni da Platone e da San Basilio Magno, e di versioni di Guarino da Plutarco, e nel gruppo erano comprese opere di contemporanei, come il De ingenuis moribus di Pier Paolo Vergerio e il De re uxoria di Francesco Barbaro. Queste opere furono trascritte da Ubertino da Parma in un unico manoscritto, che è alla Biblioteca Vaticana (cod. Vaticano Reg. latino 1321). Pier Candido Decembrio donò al Cantelli una copia della Repubblica di Platone da lui tradotta. Sulla consistenza della biblioteca messa insieme dal Cantelli sappiamo molto poco, ma dovette essere per quei tempi una biblioteca notevolissima, come dimostra la lunga lite che da essa ebbe origine. Nel suo testamento il Cantelli legò i suoi libri ai frati del Convento dell’Annunziata di Parma. La figlia e il genero del Cantelli, che cercarono di impugnare questa disposizione, furono obbligati a consegnare ai frati l’intera biblioteca (pare rimanessero presso di loro solo un Gellio e le Epistole di Seneca) ma cercarono subito di riprenderla. La lite continuò molti anni: i frati si raccomandarono al Duca di Milano e al Signore di Faenza, la Cantelli e suo marito al Duca di Ferrara. I libri rimasero ai frati. Più tardi, forse quando nel 1546 il Convento dell’Annunziata fu demolito, andarono dispersi.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Archivio del Comune, B. 4303; Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Registri di cancelleria, A, 6, C. 85; Liber Comunis Parmae iurium puteurum salis, a cura di E. Falconi, Milano 1966, 132; A. Tartagni, Consiliorum l. IV, Venetiis, 1578, 31; Epistolario di Guarino Veronese, a cura di R. Sabbadini, II, Venezia, 1916, 174-184; Inventari a Regesti del Regio Archivio di Stato di Milano, II, I, Gli atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, Milano, 1920, 127; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, Parma 1789, 176; A. Pezzana, Continuazione, VI, Parma, 1827, 166-168, VII, 1833, 658; G. Mariotti, Memorie e Documenti per la storia dell’università di Parma nel Medioevo, Parma, 1888, CIX; R. Sabbadini, Ugolino Pisani, in Dai tempi antichi ai tempi moderni, Milano, 1904, 285-289; A. Del Prato, Libri e biblioteche parmensi del secolo XV, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, n.s., IV 1904, 4; G. Bertoni, Guarino da Verona tra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra, 1921, ad Indicem; V. Zaccarini, P.C. Decembrio traduttore di Platone, in Italia Medioevale e Umanistica II 1959, 197; P.M. Sevesi, Corrispondenza milanese del b. Marco da Bologna, in Archivum Franciscanum Historicum XLVIII 1955, 300, 307-310; C. Piana, Ricerche su le università di Bologna e di Parma nel secolo XV, Quaracchi, 1963, 360; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, 43; T. Ascari, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 254-255.

CANTELLI VITTORIA Parma 1569-Parma 1653
Attrice. Sand (I, 210 e 305) afferma che fece parte della Compagnia dei Gelosi, recitando dal 1576 al 1604 la parte di servetta col nome di Vittoria, però non appare nell’elenco della compagnia del 1590 né in quello che ne dà Francesco Andreini. Rasi, supponendo che, pervenuta a maggior grado d’arte, lasciasse il ruolo di servetta per assumere quello più impegnativo di donna seria (in uno scenario di Flaminio Scala, Il Ritratto, la Cantelli è seconda donna), la identifica con Vittoria Cantelli Bajardi, ricordata da Bartoli (I, 150): Questa comica fioriva intorno al 1620. Recitò in Parma una rappresentazione spirituale d’Antonio Maria Prati intitolata La Vittoria migliorata e vi sostenne la parte della donna protagonista (l’opera fu edita a Parma il 18 febbraio 1623 per Anteo Viotti, a cura della stessa Cantelli e da lei dedicata alla Serenissima Maura Lucenia Farnese, sua protettrice). Un sonetto in sua lode (O splendori, o cinabri, o fiamme belle) si trova nelle Gemme liriche, raccolta di rime di diversi autori, stampata a Milano nel 1627. Sposò il nobile e ricco vedovo Giovanni Battista Bajardi. Quando il marito morì in tragiche circostanze, la Cantelli fondò una Congregazione di zitelle, dette appunto delle Bajarde, collocandola nel proprio palazzo, all’uopo trasformato, dietro consenso ducale, in chiostro-ricovero, con annesso oratorio situato in borgo Pescara. La Cantelli morì in clausura.
FONTI E BIBL.: F. Bartoli, Notizie de’ comici, 1782, 150; M. Ferrarini, Parma teatrale Ottocentesca, 1946, 71; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 248; Aurea Parma 1 1939, 26; Enciclopedia Spettacolo, I, 1954, 1269; Palazzi e Casate di Parma, 1971, 318.

CANTELLI GIANDEMARIA GIOVANNI Parma 4 luglio 1590-Parma 1688 c.
Figlio di Gianfrancesco e di Lavinia Cola. Conte, nobilissimo di Parma e feudatario di Rubbiano, fu tesoriere ducale del duca Ranuccio Farnese. Sposò Clelia Prati. Con testamento del 1688, dispose di essere inumato vestito con l’habito della Congregazione che si chiama dei Sacchi e portato nell’oratorio della Stecchata, depositato sulla nuda terra con due soli candelotti di 6 oncie ciascuno e da sostituire solo in caso si consumassero durante l’ufficio funebre.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 settembre 1990.

CANTI GIOVANNI Parma 5 dicembre 1653-Mantova 4 luglio 1716
Figlio di Ferrante (di famiglia bresciana) e di Fiorita Boni. Ebbe i primi ammaestramenti dal bresciano F. Monti. Si dedicò soprattutto a quadri di battaglie e di paesaggi, alla maniera di Mario Spolverini e Franco Simonini. Probabilmente sullo scorcio del secolo si trasferì a Mantova, dove morì e fu sepolto nella chiesa di Sant’Ambrogio (epigrafe, in Scarabelli Zunti). Secondo la tradizione, fu maestro dei pittori mantovani G. Bazzani e F.M. Raineri, detto lo Schivenoglia. Non si conosce nulla di certo sull’attività degli anni giovanili parmensi e nessuna battaglia è documentata, ma sono ancora conservate in chiese di Mantova alcune opere di soggeto sacro, riferite al Canti dalle fonti locali. Nella chiesa di San Martino l’Annunciata, in cattivo stato di conservazione, lascia intravvedere ricordi di stilemi manieristici parmensi. La pala raffigurante la Madonna con S. Antonio, conservata nella medesima chiesa, attribuita al Canti (Cadioli, 116), è opera assai goffa tanto da giustificare il sospetto che sia stata sostituita o ridipinta. Nella chiesa di San Gervasio è riferito al Canti l’ovale rappresentante S. Carlo Borromeo, Giovanni Battista e altri santi, in cui è possibile cogliere anticipazioni di temi che saranno poi trattati dal Bazzani. Anche la tela della chiesa mantovana di Santa Maria della Carità, raffigurante i Santissimi Cosma e Damiano con la Madonna, prelude ai modi giovanili del Bazzani. All’esiguo catalogo del Canti si aggiungono una Madonna con Bambino (Mantova, collezione privata), di estrazione manieristica parmense, e un S. Luigi Gonzaga (Mantova, chiesa di San Gervasio). Per queste composizioni di soggetto devozionale, non si può non concordare col giudizio del Lanzi, che riconobbe al Canti qualche merito nei paesi e nelle battaglie, e ritenne invece mediocri le sue opere sacre. Alcune storiette (Adorazione dei pastori, Riposo in Egitto della collezione Nannini di Modena, Trionfo di un imperatore della collezione Steffanoni di Bergamo), proposte dall’Ivanoff (1950) come opere del Canti, risultano più congrue ai modi dello Schivenoglia. Sembra più convincente l’attribuzione al Canti, sempre avanzata dall’Ivanoff (Preludi, 1949), dell’Adorazione dei pastori e della Natività che sono conservate a Mantova nella sagrestia di Santa Maria della Carità. Assai affine alle due predette composizioni è l’Ultima Cena (Milano, collezione privata), proveniente dalla collezione Podio di Bologna, in cui era attribuita al Bazzani. Ma la fisionomia del Canti come pittore di battaglie e di storiette va integrata da una ulteriore scoperta. Nella villa Strozzi a Begozzo di Palidano (Mantova) sono conservati tre ambienti decorati dalla stessa mano: il vestibolo con un fregio continuo ad affresco in cui si svolge una tumultuosa battaglia equestre, una saletta al piano terreno con un ampio fregio in cui si simulano balconate che inquadrano gustose scene di genere e una seconda saletta dipinta nel fregio con bizzarre medaglie e grottesche e nel soffitto con una strana divinità volante tra busti a monocromo, figure allegoriche e vasi di fiori. In una lettera, in data 23 settembre 1704 da Begozzo, del marchese Pompeo Arrigoni al nobile Camillo Arrigoni (Archivio Arrigoni-Cavriani, conservato nel palazzo Cavriani di Mantova), si dice che tale edificio era stato poco prima reso più bello perché accresciuto qua e là di molti stucchi, e di pitture lavorando continuamente il signor Canti delle sue solite, e famose battaglie. Dall’identificazione del Canti quale pittore della villa del Begozzo si può giungere, per elementi stilistici, ad attribuire al medesimo le Stazioni della Via Crucis di San Barnaba (Mantova), già riferite al Bazzani dai Coddé (Memorie biografiche, Mantova, 1837, 12): ciclo assai discusso e accostato, pur sempre sotto la perifrasi di Maestro della Via Crucis, alla decorazione di villa Strozzi dall’Ivanoff (1972). In tali opere il Canti manifesta un linguaggio estremamente sgarbato e irruente, ben diverso da quello maturo del Bazzani, e antecedente significativo dei modi dell’altro suo allievo mantovano: Francesco Maria Raineri detto lo Schivenoglia.
FONTI E BIBL.: Parma, Museo Nazionale di antichità, VI: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 50-53 (con documenti sugli antenati, tra cui un Ferrante musico); G. Cadioli, Descrizione delle pitture di Mantova, Mantova, 1763, 65, 114-115, 116; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Venezia, 1838, VIII, 24; G. Susani, Nuovo prospetto delle pitture di Mantova, Mantova, 1818, 52; C. D’Arco, Registri artistici necrologici di Mantova, Bologna, 1842, 7; N. Ivanoff, Preludi al Bazzani, in Bollettino d’Arte, n.s., I 1949, 43 nota 2; N. Ivanoff, Alcuni aspetti ignoti dell’arte di G. Bazzani, in Emporium CX 1949, 78 nota 2; N. Ivanoff, Bazzani (catalogo della mostra), Bergamo, 1950, 43, 44; C. Volpe, Per un profilo dello Schivenoglia, in Arte antica e moderna, 1963, 337; N. Clerici Bagozzi, Per l’opera di F.M. Raineri detto lo Schivenoglia, in Arte Antica e moderna, 339; C. Perina, in Mantova. Le Arti, III, Mantova, 1965, ad Indicem; Mostra iconografica aloisiana, Castiglione delle Stiviere, 1968, 118; C. Tellini Perina, Traccia per il Settecento pittorico mantovano, in Arte Lombarda 2 1969, 2, 127; C. Tellini Perina, G. Bazzani, Firenze, 1970, 16, 80, 91; N. Ivanoff, Recensione a un libro sul Bazzani, in Arte Veneta XXVI 1972, 278; C. Tellini Perina, Una proposta per il Canti e un chiarimento per il Bazzani giovane, in Antichità Viva XIII 1974, 18-23; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, V, 256; C. Tellini Perina, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1974, 281-282.

 CANTI GIULIO CESARE
Parma 1634/1649
Il 14 febbraio 1634 venne eletto organista alla Steccata di Parma, rimanendovi (in sostituzione di Pietro Paolo Canti) fino al 10 ottobre 1649.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 84.

CANTI PIETRO E PAOLO  Parma 1605/1649
Figlio di Ferrante, bresciano, che fu musico alla Steccata di Parma, figura tra i salariati della Steccata il 1° gennaio 1605, come suonatore di trombone. Il 9 settembre 1616 fu eletto organista per aver ricusato di servire a tale ufficio Vincenzo Bonizzi a cagione dello stipendio, giudicato troppo basso, di cinque libbre imperiali al mese. Però il 29 gennaio 1619 in suo luogo fu ricollocato il nominato Bonizzi, rimanendo il Canti come vice-organista. Ciò si piega per il fatto che il Bonizzi fu nel tempo stesso nominato maestro di Cappella. Alla morte del Bonizzi, il Canti fu eletto organista maggiore, il 1° settembre 1631, con stipendio di cento scudi all’anno. Poiché trascurò il suo servizio fu licenziato, come organista e suonatore di trombone, il 20 maggio 1633. Ma quale organista venne riammesso il mese dopo (17 giugno 1633). Compose una Compieta che fece cantare alla Steccata, e perciò gli Ufficiali della Compagnia gli fecero un donativo il 17 febbraio 1634. Il 14 febbraio 1634 venne eletto organista Giulio Cesare Canti, forse perché il Canti era ammalato, ma sta di fatto che lo si trova ancora organista alla Steccata l’11 ottobre 1649.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 84.

CANTIMORI CARLORussi 1878-1963
Fu insegnante di materie letterarie nei licei e preside del Liceo-ginnasio G.D. Romagnosi di Parma. Poeta e autore di saggi storiografici anche di argomento parmense, lasciò un romanzo autobiografico (La strada mia corta, Milano, 1929), in parte ambientato a Parma.
FONTI E BIBL.: Due amici: Arnaldo Barilli e Carlo Cantimori, in J. Bocchialini, Memorie e figure parmensi, scrittori e poeti del Novecento, Parma, 1964, 113-116; P. Zama, Ricordo di Carlo Cantimori, in Studi Romagnoli 17 1966, 109-122; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 199; Enciclopedia di Parma, 1998, 198.

CANTIMORRI FELICE, vedi CANTIMORRI LUIGI

CANTIMORRI LUIGI  Russi 30 gennaio 1811-Mugnano 28 luglio 1870

Nacque da Giacomo e da Maria Orlandi. A quindici anni entrò nel Seminario di Faenza, ma si trasferì, dopo pochi mesi, a Ravenna nel Collegio dei nobili, chiamatovi dal rettore monsignor Farini, di Russi, in qualità di prefetto dei convittori. Nel 1828 entrò nell’Ordine dei frati minori cappuccini e compì il noviziato nel convento di Cesena. Un anno dopo fece la professione, mutando il nome di battesimo, Luigi, in Felice. Fu consacrato sacerdote a Bologna, dove era stato mandato per completare gli studi di filosofia, dal cardinale Opizzoni nell’anno 1833. Nell’Ordine, dal 1834 al 1846, gli furono affidati vari incarichi: dapprima lettore di filosofia nel convento di Imola e di teologia in quello di Ferrara, nel 1840 guardiano e maestro dei novizi nel convento di Cesena, due anni dopo definitore provinciale e guardiano del convento di Ravenna, infine prefetto delle sacre missioni della provincia cappuccina di Romagna. Durante questi anni il Cantimorri svolse un’intensa attività di insegnamento e di predicazione in tutte le diocesi della Romagna, tanto da meritare la stima, l’amicizia e la protezione del cardinale Falconieri, arcivescovo di Ravenna, e, in particolare, del cardinale Mastai Ferretti, arcivescovo di Imola. Quest’ultimo, infatti, eletto papa, lo nominò nel dicembre 1846 vescovo della diocesi di Bagnorea. Nel ministero pastorale il Cantimorri ebbe come guida costante la ferma e sincera adesione allo spirito e alla lettera delle disposizioni della Santa Sede e l’esperienza conventuale, della quale si avvalse per consolidare l’organizzazione ecclesiastica, che volle fondata precipuamente sulla formazione culturale e spirituale del clero e sull’esercizio della carità. In questa linea, nella diocesi di Bagnorea promosse il restauro della Cattedrale e la riedificazione di varie chiese, usufruendo delle rendite della mensa vescovile e delle offerte dei fedeli. Istituì un ricovero per vecchi e un educandato femminile. Riorganizzò il seminario, riformando i programmi ed esercitando una costante vigilanza, consapevole dell’importanza essenziale di questo istituto per la vita religiosa e per l’unità della Chiesa. Avviò, per i chierici e anche per il clero, la pratica dei ritiri annuali e degli esercizi spirituali. Promosse missioni e fece la visita pastorale in tutte le parrocchie della diocesi. Resse la diocesi di Bagnorea per otto anni. Nel 1854 papa Pio IX trasferì il Cantimorri alla diocesi di Parma, quale successore di monsignor Neuschel, ungherese, ritiratosi per ragioni politiche nel 1852. La scelta del Papa corrispose all’istanza avanzata dalla duchessa reggente di Parma, Luisa Maria di Berry. La Duchessa richiese per Parma un vescovo energico e illuminato, aggiungendo: io prego in questo momento la Santità Vostra di scegliercelo, e di mandarcelo Ella stessa. So che si era trattato di proporre un rispettabile ecclesiastico tedesco: ma noi abbisognamo di un vescovo italiano, e che venga dalla sua stessa mano. Il Cantimorri prese possesso della Diocesi di Parma il 15 agosto 1854, preceduto dalla fama di vescovo del tutto apostolico (Martini, 44), espressione che sottolineava la sua fedeltà al papa e la particolare e preminente cura dedicata alle questioni pastorali. Il Cantimorri si mostrò pienamente consapevole del ruolo che avrebbe dovuto svolgere a Parma, dichiarando che il suo compito di portare a salvezza i fedeli sarebbe stato attuato in accordo con lo sforzo della reggente di riordinare la cosa pubblica, da cui però sia la Chiesa di Cristo che il Civile Principato ogni maggior bene se ne potran ripromettere (Lettera pastorale, Parma, 1854, 11). E, per consolidare il concetto, cita il predecessore monsignor Adeodato Turchi, cappuccino e vescovo illuminato. Nella nuova diocesi, molto più ampia della precedente (305 parrocchie) e con accentuate tensioni culturali e politiche, il Cantimorri non modificò la sua linea pastorale. Non cercò, cioè, di mediare le posizioni, anzi mirò a tagliare, piuttosto che a sciogliere i nodi. La linea di rigida intransigenza e di assoluta chiusura, rispetto a ogni tendenza innovatrice in campo religioso e dottrinale, tenuta dal Cantimorri in ossequio alle posizioni assunte dalla Santa Sede, favorì tuttavia, in prospettiva, il consolidamento delle strutture ecclesiastiche. Non evitò invece al Cantimorri disagi e condanne. Pur con questi limiti, l’attività del Cantimorri a Parma sul terreno delle opere ottenne notevoli risultati. Fu in prima fila nel portare aiuto in occasione delle epidemie di colera diffusesi a Parma dal luglio all’ottobre 1855 e nel 1867 e dello straripamento del torrente Parma nel settembre 1868. Fece, a cominciare dal 1855, la visita pastorale, che volle preceduta da missioni in ogni parrocchia. Accentuò, contro le tendenze, che non potendo negare la necessità della Religione, pensarono spegnerne gli effetti salutari, confinandola nell’interno degli intelletti e dei cuori (Omelia nel dì d’Ognissanti, Parma, 1856, 5), la magnificenza delle funzioni religiose. Sostenne, forse non rendendosi esattamente conto della loro portata politica, le nascenti istituzioni cattoliche, quali la Conferenza di San Vincenzo, l’Associazione cattolica San Francesco di Sales, l’Associazione cattolica italiana per la libertà della Chiesa, l’Apostolato della preghiera, la Congregazione del Santissimo Cuore di Gesù e di Maria, le Opere per la propagazione della fede, per la salvezza della santa infanzia, per la redenzione dei chierici dalla leva militare. Naturalmente, una attenzione tutta particolare dedicò alla formazione del clero, sia nei due seminari esistenti, a Parma e a Berceto, sia nel nuovo seminario da lui fondato, nel quale furono accolti, con l’obbligo dell’internato, i chierici poveri. Il Cantimorri ebbe tuttavia, con parte del clero, influenzato dalla facoltà di teologia (Pelosi, Monsignor Felice Cantimorri, 347), i maggiori contrasti, inseriti nel contesto degli avvenimenti risorgimentali. Rispetto agli avvenimenti, così come rispetto alle posizioni espresse all’interno della Chiesa parmense, assunse una posizione di estrema rigidità e di rifiuto totale, senza compromessi, non necessari, ma anche senza sfumature tattiche, forse utili e opportune stante la situazione della Diocesi. Così nel 1860 preferì recarsi a Roma, ove rimase fino alla fine del 1861, piuttosto che incontrare Vittorio Emanuele di Savoja, quando fece il suo ingresso a Parma. Rientrato in diocesi, su invito del ministro di Grazia e Giustizia, previa assicurazione che nelle vigenti Leggi sia per la sua persona, sia per l’esercizio del suo ministero vi avrebbe trovato la stessa guarentigia mai venuta meno a tutti quei vescovi che non si erano posti in aperta ostilità col Governo Nazionale e colle sue Leggi (Berti, 121), non esitò a comminare ai sacerdoti che avevano reso omaggio al Sovrano la sospensione a divinis, secondo l’ordinanza pontificia del 16 maggio 1861. Negli anni successivi, sorvegliato costantemente dalla polizia, attaccato dalla stampa locale (Gazzetta di Parma, Il Patriota, Il Presente) e disapprovato anche da parte del clero, fu costretto a rimanere isolato per lunghi periodi di tempo, senza per questo deflettere dalla sua linea di condotta. Nel 1862 e nel 1863 fu denunciato al Consiglio di Stato e condannato a 200 lire di multa, la prima volta, e, la seconda, al sequestro di un quinto delle temporalità della Mensa, per avere censurato quei sacerdoti che avevano partecipato alla celebrazione della festa nazionale del 7 giugno. Nel 1866 fu inviato per cinque mesi a Cuneo in domicilio coatto, in forza del dispositivo della legge Crispi. Il Cantimorri non fece comunque nulla per mitigare i contrasti. Con coerenza espresse continuamente in ogni omelia e in ogni altra occasione la venerazione profonda e invariabile (Micklis, 27) alle prerogative e alla persona del pontefice, ribadendo per qualsiasi argomento l’autorità della Chiesa e del pontefice sopra ogni altra autorità. A proposito dell’opportunità delle definizioni dogmatiche, affermò: ebbene se siete cattolici, i cattolici non chiedono ragione alla Chiesa (Omelia per la pronunciata dommatica deffinizione dell’Immacolato Concepimento di Maria Santissima, Parma, s.d. ma 1855, 8). Il Cantimorri sembrò quasi ricercare nemici alla Chiesa, per scagliarvisi contro con gran forza. Li vide dovunque e non mancò di individuare tra questi, oltre ai protestanti, ai liberali, ai massoni, i falsi cattolici, cioè quelli che procedono con timore, anzi con finta reverenza, moderatamente, e dando vista di ammettere e rispettare tutto quello, che non contraria le loro passioni, i loro interessi, i pretesi lumi della loro ragione (Indulto quaresimale, 1869, 3). La sua fede cieca, fondata sull’autorità, pose naturalmente il Cantimorri tra coloro che votarono convinti a favore dell’infallibilità del pontefice, il 18 luglio 1870, anche se i suoi interventi a sostegno del dogma non furono né profondi né apprezzati (Maccarrone, passim). Fu l’ultimo atto della sua missione: partito da Roma due giorni dopo, già prostrato dal male, morì mentre stava recandosi in visita a Bagnorea. Dell’attività pastorale del Cantimorri molte lettere pastorali, omelie e discorsi furono messe a stampa.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma, II, Parma, 1856, 585-598; G.M. Allodi, Commentariolum sacrum piae memoriae patris reverendissimi Felice Cantimorri, Parma, 1870; N. Barbacci, Alla dolce memoria di monsignor Felice Cantimorri vescovo di Parma, Viterbo, 1870; L. Micklis, Alla memoria di Monsignor Felice Cantimorri, Parma, 1870; Pellegrino da Forlì, Biografia di monsignor Felice Cantimorri vescovo di Parma, Venezia, 1870; M.M. Martini, Vita di monsignor fr. Felice Cantimorri dell’Ordine dei MM. Cappuccini, vescovo di Parma, Parma, 1895; E. Casa, Parma da Maria Luigia imperiale a Vittorio Emanuele II (1847-1860), Parma, 1901, 309-314; V. Soncini, La Beata Vergine del Rosario venerata in Borgo Carra (Parma), Parma, 1906, 113-115; T. Bazzi-U. Benassi, Storia di Parma, Parma, 1908, 454 s.; A. Schiavi, La diocesi di Parma, I, Parma, 1925, 96; Valeriano da Carpi, Monsignor Felice Cantimorri cappuccino vescovo di Parma, in Frate Francesco VIII 1930, 89-91; Donato da San Giovanni in Persiceto, Biblioteca dei frati minori cappuccini della provincia di Bologna, Budrio, 1949, 163-171; R. Fantini, Cent’anni della S. Vincenzo a Parma, Parma, 1954, 11-22; G. Giovanardi, Il colera del 1855 in Parma e il servizio religioso, in Parma per l’Arte 1-3 1957, 4-8 (dell’estratto); I. Dall’Aglio, I seminari di Parma, Parma, 1958, 43 s., 105 s.; G. Berti, Ideologie politiche e sociali negli ex-Ducati di Parma e Piacenza durante il primo decennio dell’unità italiana, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 4, XIII 1961, 121-157; Felice da Mareto, Necrologio dei cappuccini emiliani delle province di Bologna (1535-1679) e di Parma (1679-1962), Parma, 1962, 438 s.; C. Pelosi, Note ed appunti sul movimento cattolico a Parma (1859-1931), Parma, 1962, ad Indicem; C. Marsilli, I cattolici intransigenti a Parma dal 1860 al 1880, in Aurea Parma 3 1963, 127-135; M. Maccarone, Il Concilio Vaticano I e il giornale di Monsignor Arrigoni, Padova, 1966, ad vocem; C. Pelosi, Monsignor Felice Cantimorri e il suo tempo, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 4, XIX 1967, 371-381; Bibliografia generale delle antiche Province Parmensi, a cura di Felice da Mareto, I, Parma, 1973, 120; Lexicon Capuccinum, Romae, 1951, coll. 313 s; A. Albertazzi, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 290-292.

CANTONI Parma 1779/1790  Fu cantore alla Cattedrale di Parma dal 15 agosto 1779 alla Pasqua del 1790.

FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

CANTONI ACHILLE Parma 11 novembre1838-1921
Figlio di Pietro e Amalia Sicuri. Di umili natali, si dedicò al mestiere di cappellaio ma non esitò ad abbandonare l’avviata bottega e la famiglia appena formata per unirsi alle legioni garibaldine. Partecipò alla guerra per l’indipendenza del 1859 e, quale volontario cacciatore delle Alpi, alla campagna 1860-1861, guadagnandosi due medaglie d’argento, una di bronzo e la medaglia d’argento francese della campagna d’Italia del 1859. In occasione del passaggio di Garibaldi da Parma, nel marzo 1862, offrì al generale, assieme ad altri garibaldini, un cappello nuovo da lui stesso confezionato. Il vecchio cappello dell’Eroe dei due mondi fu poi donato al Municipio di Parma con l’autografo di Garibaldi perché venisse conservato nel Museo comunale.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 39.

 CANTONI ANGELO
Mezzano Rondani 1860
Figlio di Ferdinando. Fu uno dei Mille che, partiti da Quarto, sbarcarono a Marsala con Garibaldi l’11 maggio 1860.
FONTI E BIBL.: I Parmigiani sbarcati a Marsala, in Il Presente 4 maggio 1910, 1.

CANTONI APPIO Parma 27 settembre 1835-
Entrato volontario sui primi del 1859 nel 17° reggimento fanteria dell’esercito sardo, combattè nella campagna per l’Indipendenza di quell’anno, e alla battaglia di San Martino, ove fu ferito, meritò la medaglia d’argento al valore per il coraggio di cui diede prova. Passato poi nel corpo dei bersaglieri, partecipò alla campagna del 1860-1861 nelle Marche e nell’Italia meridionale e fu premiato poco dopo con una menzione onorevole per il valore mostrato nell’aspra lotta contro il brigantaggio. Promosso ufficiale, divenne poi capitano.
FONTI E BIBL.: P. Schiarini, in Dizionario Risorgimento, 2, 1932, 522.

CANTONI ARNALDO Casale di Mezzani 8 maggio 1886- Casale di Mezzani 1966 c. Figlio di Giuseppe e di Maria Secchi. Folclorista musicale, fu virtuoso di cornetta e quartino. Compose diversi ballabili.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 5 novembre 1994.

CANTONI ENRICO Pomponesco 1835-Parma 31 gennaio 1907
La prima notizia che lo riguarda si trova nel volume manoscritto Disegno, presso la sede dell’Accademia nell’Istituto P. Toschi di Parma, dove è annotato che egli fu ammesso a tale sezione l’8 gennaio 1853, e che contava diciotto anni. Nel 1858 espose a Parma un dipinto con una scena simboleggiante la Vita umana. Firmò e datò, nel marzo dello stesso anno, il Ritratto di Paolo Toschi, conservato nell’omonimo Istituto artistico parmense. Volontario garibaldino, combatté al Volturno. Nel 1863 presentò alla Mostra Industriale Provinciale di Parma un Ritratto di Garibaldi e nel 1879 quello, a grandezza naturale, della Regina Margherita, la quale opera, partecipando alla mostra dell’Incoúragúgiaúmenúto, fu sorteggiata a Luigi Bia e venne molto lodata dai giornali locali. Nel medesimo anno eseguì pure un Sacro Cuore di Gesù per la chiesa dei Padri Riformati. L’anno seguente, la sua Esortazione allo studio fu sorteggiata dall’Incoraggiamento all’Istituto Belloni di Colorno (Colorno, Palazzo Comunale). Infine nel 1893 espose la Premeditazione al delitto.
FONTI E BIBL.: Esposizione delle opere, 1858, 7; F.G., in Gazzetta di Parma 1858, 854; Gazzetta di Parma 18 settembre 1858, 841; Esposizione Industriale provinciale, 1864, 91; La Luce 8 ottobre 1879; L. Pigorini, 25 novembre 1879; R. De Croddi, 1893, 372; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. X, 27; Inventario manoscritti Istituto P. Toschi, v. II, n. 4587; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 402; G. Copertini, 24 novembre 1967, 6; Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 93.

CANTONI FERNANDO Casale di Mezzani 1885-31 ottobre 1967
Figlio di Giuseppe e di Maria Secchi. Sin dalla tenera età fu avviato con i suoi dieci fratelli allo studio e soprattutto all’amore per la musica. A soli sette anni entrò a far parte del famoso concerto Cantoni, in cui suonavano anche tre sorelle, e dal 1918 in poi diresse il concerto fino alla morte. Il concerto fu portato dall’editore discografo Carboni a incidere le sue composizioni e a esibirsi anche a Milano. Nel 1932 per la Fonit Cetra furono incisi Fiordaliso, Primo frutto, Non è decenza, Spinite, Dolci ricordi, Cocidissi e Usignolo. Il Cantoni fu un valente autodidatta, poiché dai primi rudimenti ricevuti giunse addirittura a comporre brani molto noti come Brunetto e Cinquantino (valzer), Sempre bella (mazurca), Bufera e Germana (polka). Le prime incisioni del concerto risalgono al 1927, a esse ne seguirono altre nel 1932 per giungere all’ultima del 1966. Spirito talvolta bizzarro, burbero e scontroso, amante dei virtuosismi musicali, gradiva spesso esibirsi col suo bombardino, curvo come un arto teso, impegnato sino allo spasimo pur di galvanizzare i suoi numerosissimi estimatori che lo seguivano con ogni mezzo durante gli spostamenti del concerto in occasione delle fiere.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1 novembre 1967, 5.

CANTONI GIANPIETRO Parma 1448
Calligrafo, ricordato per l’anno 1448 a carte VI del Liber Gialdus Azurus Mag.ce Co.tatis Parme (Archivio Comunale di Parma): Item die XV Ianuarii dat Zampietro cantono scriptori qui scripsit Ordines compilatos pro Regimine Communitatis. Itam pro certis assidibus, corio et ligatura vigore bulletae dominorum Deffensorem dat et scripta in libro Azuro partitorum fo. xxxiiij, L. 3, s. xiiij.
FONTI E BIBL.: E Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 19.

CANTONI GIOVANNI ANTONIO Sala 7 aprile 1784-post 1841
Sposò nel 1808 Teresa Parolli. Rimasto vedovo, si risposò nel 1836 con Luigia Gombi, dalla quale ebbe cinque figli. Fu in servizio alla corte di Maria Luigia d’Austria dal 1° aprile 1816. Il 1° maggio 1817 fu nominato sottoaiutante di cucina, il 10 agosto 1819 primo sottoaiutante di cucina, il 15 ottobre 1821 aiutante di cucina. Precedentemente era stato impiegato come cuciniere al servizio del duca Ferdinando di Borbone.
FONTI E BIBL.: M. Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 305

 

CANTONI GIUSEPPE.Boretto 1841-Casale di Mezzani 1906 c.
 
Contadino, studiò nella Scuola di musica di Brescello e fondò nel 1861 un famoso concerto a fiato. Tra la fine dell’800 e i primi del Novecento i suoi concerti costituirono uno dei principali motivi d’attrazione e di divertimento della gente dedita al lavoro dei campi. Nelle vecchie corti, durante il periodo della trebbiatura e della vendemmia, la formazione del Cantoni, composta per la maggior parte dai figli (ne ebbe undici), diede vita a serate indimenticabili. L’idea vincente del Cantoni, che determinò il successo dell’Antico Concerto, fu la sostituzione della fisarmonica nel liscio con tromba, clarino e oboe: il concerto d’ottoni. Nel giro di pochi decenni conquistò gli abitanti della Bassa, manifestandosi come un vero e proprio fenomeno sociale. L’idea del Cantoni fu di portare la musica che si suonava nelle case dei nobili in campagna e nelle corti: occorreva suonare la musica dove i contadini si riunivano in gran numero e cioè sull’aia nelle serate estive e autunnali, offrire loro motivi briosi, forti e trascinanti, capaci di far ballare la gente stanca, portare a conoscenza di tutto il circondario che quella sera si sarebbe suonato in un determinato posto. Nacque così l’Invito: a mezzogiorno o nel tardo pomeriggio, mentre il concerto era disposto nella piazza del paese o in un altro luogo molto conosciuto, due solisti sistemati sui balconi, posti alle estremità o affacciati alle finestre, si chiamavano dando vita ad acrobazie musicali. Tromba e quartino lanciavano un messaggio promozionale. Udendolo la gente si radunava e dalla viva voce degli artisti o leggendo un cartellone di legno apprendeva quando si sarebbe svolto lo spettacolo. Nacque così il liscio, un termine subito entrato nel vocabolario popolare: una parola che stava a significare come i balli fino a quel momento quasi esclusivi dell’aristocrazia, caratterizzati da figure saltate, nella versione povera fossero privi di stacchi. Valzer, polke e mazurke divennero figurazioni chiuse costituite da abbraccio e passo strisciato. Musica e ballo concorsero alla formazione di un evento culturale pieno di gioia di vivere e soprattutto di dominio comune. L’architettura stessa dei ballabili cambiò. Il Cantoni scrisse spartiti in cui il bombardino, da strumento da controcanto e armonia, passò solista richiedendo grande abilità tecnica e precisione d’intonazione: i motivi acquistarono una forza incredibile. La fortuna del Cantoni furono i figli avuti dalla moglie, Maria Secchi: il Cantoni, che fino al 1865 aveva ingaggiato orchestrali che suonavano nelle bande di paese, li avviò allo studio della musica con un metodo particolare. Attrezzò il solaio della casa con banchi ricavati da inginocchiatoi e costruì una lavagna in cui alle lettere dell’alfabeto abbinò le note musicali. Fu una scuola severissima, dove i bambini venivano inseriti all’età di cinque anni. Alfabeto e note andavano ripetuti centinaia di volte al giorno. Il Cantoni fu intransigente con i figli: se sbagliavano, le punizioni erano molto severe, inoltre l’educazione musicale non li esimeva dal lavoro nei campi. Intorno al 1870 il complesso risultò composto quasi esclusivamente dai componenti della famiglia: Egisto al bassotuba, Igino al bombardino, Paride, Riccardo e Fanin alla tromba, Elvira al genis, Ninetta alla tromba sibemolle, Dante al trombone, Arnaldo al trombone da canto, Fernando al bombardino. Sulle piazze, la gente, a vedere un complesso formato da bambini malvestiti di sette o otto anni era presa da scettiscismo. Ma quei ragazzini dimostravano una disinvoltura con gli strumenti e una padronanza delle scale musicali sbalorditiva. Con la corriera, un carro di legno coperto da un telone, il Cantoni coprì migliaia di chilometri sulle strade della Bassa. A undici anni, Riccardo, giudicato dal padre il più portato per lo studio, venne mandato in Conúserúvaútorio a Bologna, dove al primo esame stupì gli insegnanti per la bravura. Gli anni dal 1870 al 1880 segnarono uno dei periodi più prolifici per la produzione di ballabili dei Cantoni. Giuseppe scrisse La Ruota (Polka), La bicicletta (mazurka), Gli amici di Cantoni (valzer) e L’attenti (polka) e Riccardo Primo Frutto (valzer), Spinite (mazurka), Fiordaliso (valzer), Non era (polka), Bocca da baci (mazurka), Rondinella (mazurka), Non è decenza (mazurka) e Dolci ricordi (valzer). In quel periodo un incontro del tutto casuale convinse il Cantoni che la strada intrapresa a costo di notevoli fatiche era quella giusta. A Fontanellato, durante la sagra, ebbe infatti un colloquio con Giuseppe Verdi, già celebre per le sue opere, che lo elogiò per il genere musicale da lui inventato.

FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 5 novembre 1994.

CANTONI IGINO Mezzani 1902-Parma 6 febbraio 1986
Figlio di Dante, fu anch’egli attivo nel Concerto Cantoni. Diplomato in corno al Conservatorio di Parma nel 1922, lavorò in Argentina come professore d’orchestra, poi al Teatro Regio di Parma, all’Arena di Verona, al Teatro Comunale di Bologna e, negli intervalli tra un impegno e l’altro, nell’orchestra del padre, restando sulla breccia fino a settant’anni. Al funerale fu accompagnato dal Concerto.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

 CANTONI LORENZO Parma 1860
Figlio di Geremia. Fu uno dei Mille che, partiti da Quarto, sbarcarono a Marsala con Garibaldi l’11 maggio 1860.
FONTI E BIBL.: I Parmigiani sbarcati a Marsala, in Il Presente 4 maggio 1910, 1.

 CANTONI MARIN FALIERO
Parma 1 giugno 1841-Parma 19 novembre 1899
Figlio di Pietro e Amalia Sicuri. Fu soldato prode e valoroso. Prese parte alle campagne risorgimentali del 1859, 1860 e 1861.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 123.

 CANTONI MICHELE
Parma 1848
Medico, fu volontario nella guerra del 1848 nella 1ª Colonna Parmense.
FONTI E BIBL.: U.A. Pini, Medici di Parma nel Risorgimento, 1960.

 CANTONI PARIDE
1867 c.-Castelnovo di Sotto 1896 c.
Figlio di Giuseppe e Maria Secchi, come i suoi familiari, fece anch’egli parte del Concerto Cantoni. Studiò tromba al Conservatorio di Parma e morì dopo un concerto a soli ventinove anni, al culmine della carriera.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

 CANTONI RICCARDO
Casale di Mezzani 9 aprile 1869-Colorno 24 giugno 1929
Figlio di Giuseppe e di Maria Secchi. Folklorista musicale, fu virtuoso di cornetta e quartino. Entrò ancora bambino nell’Antico concerto fondato e diretto dal padre, che fu anche il suo primo maestro. A undici anni, giudicato dal padre il più portato per lo studio degli undici figli, venne mandato al Conservatorio di musica a Bologna, dove al primo esame stupì gli insegnanti per la sua bravura. Per l’orchestra paterna, il Cantoni scrisse, dal 1880 in poi, Primo frutto, Fiordaliso, Dolci ricordi (valzer), Spinite, Bocca da baci, Rondinella, Non è decenza (mazurka), Non era (polka). Fu lui a portare il Concerto all’importanza che gli va riconosciuta e all’inizio del secolo fu una vera celebrità estendendo l’attività in tutta la Padania, dal Piacentino, al Mantovano e al Reggiano. Fu docente di tromba alla Scuola di musica annessa alla Banda comunale di Parma alla fine degli anni Ottanta. Fu a capo del complesso fino a quando, colpito da paralisi, passò le redini al figlio Fernando.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 5 novembre 1994; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

CANTONI ZAMPIETRO, vedi CANTONI GIAMPIETRO

 CANTONI GIBERTINI OSVALDO
Parma 1892-Roma 1938
Esordì nel giornalismo a Parma interessandosi di letteratura e di teatro (fu collaboratore della rivista Aurea Parma). Emigrò poi a Roma e fu redattore e critico teatrale della Tribuna, redattore del Travaso e per vari anni direttore della Tribuna Illustrata. Per il teatro, oltre che saggi e critiche, scrisse anche commedie e riviste. Tra le prime, degne di nota un grottesco, Il fantoccio, e, in collaborazione con Ugo Betti, un dramma dal titolo La donna sullo scudo.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1938, 72; B. Moúlossi, Dizionario biografico, 1957, 39-

CANTU' CARLO
Compiano o Lombardia 1609-1672/1676
Dal Cicalamento, ovvero Trattato di Maútriúmoúnio tra Buffetto e Colombina Comici, del Cantù secondo L. Rasi (le cui illazioni non paiono potersi confutare), di paternità incerta secondo F. Bartoli, stampato a Firenze da Amadoro Massi nel 1646, si apprende che cominciò a recitare nel 1632. Assai presto si cimentò nel ruolo di secondo Zanni al servizio del duca di Parma Odoardo Farnese che l’onorava della sua dimestichezza e che, una volta, li fece grazia d’una sua carrozza per andare a pigliare la Colombina a Bologna, presumibilmente dopo il 1640, quando la giovane e bella Isabella Franchini, in arte Colombina, era già vedova di Francesco Biancolelli e, pur avendo prescelto, in caso di nuove nozze, il Cantù, non si decideva a sposarlo. Uno scenario dell’arte, pubblicato da A. Paglicci-Brozzi, recante il titolo Le Bizzarrie d’Argentina, cavaliere e gentildonna, Ippolito e Boffetto creduti turchi, con Zaccagnino amante disperato e la data 1643, include, tra i personaggi, al terzo posto Argentina poi Colombina, e al settimo Boffetto (servo). La prima, evidentemente una delle tante trasformazioni che subiva la maschera di Colombina, e il secondo che, se non nacque in quel torno di tempo, prese a definirsi allora, furono incarnati dai due comici che fecero parte, in quell’anno, della compagnia ducale di Modena, dove Isabella riscosse largo successo. Nel Cicalamento, dall’umorismo semplice e bonario, composto di una serie di lettere in prosa (e in versi in dialetto veneto, altrimenti definiti canzonette ridicolose), è rievocata la contrastata storia d’amore dei due comici fino al sospirato matrimonio. Dopo alterne vicende che videro i due innamorati ora divisi dalle calunnie dei colleghi gelosi ora riconciliati dalla forza della reciproca attrazione (contrattempi ai quali si aggiunsero le materiali separazioni dovute agli impegni di lavoro), la Franchini, che dovette subire alcuni giorni di prigione a Ferrara per esservi interrogata sulle circostanze dell’assassinio di un comico, fu liberata in seguito all’intercessione del Cantù presso il Duca. Per tacitare ogni malignità, lo spasimante s’impegnò a sposare subito Isabella senza dote, contraddotandola di 500 scudi e pagandone ai suoceri 1000 nel caso che avessero preferito non convivere con gli sposi. Il matrimonio ebbe luogo nel Duomo di Parma il 15 aprile 1645 e il contratto di nozze fu in un secondo momento rettificato per volontà di Isabella, la quale volle che fosse distinto dalla provvisione per i suoi tre figli il guadagno avvenire, a sua volta diviso a metà col Cantù, e che, dopo il decesso, uno dei due divenisse erede dell’altro. Successivamente il Cantù fu richiesto a Parigi da Anna d’Austria con istanza al Duca di Parma e dovette distaccarsi con dolore dalla moglie che recitava a Bologna. Dalla Reggente il Cantù fu regalato ne’ primi due giorni di tre vestiti di non ordinaria bellezza e, dopo la prima recita al palazzo reale, gli fu detto, in presenza dei gentiluomini di Corte, che s’era diportato bene, al che seguì un applauso generale. A Parigi l’attore ebbe con sé il figliastro Domenico Giuseppe, detto Menghino, bambino sensibile e intelligente, che riuscì a farlo sentire meno solo e che da lui cominciò ad apprendere il carattere che doveva renderlo famoso. Nell’autunno successivo il Cantù fu in Italia, come è documentato dalla dedica del Cicalamento al cardinale Francesco Maria Farnese in data 30 novembre 1646 (lo stesso Bartoli, fondandosi sulla data e sul luogo di pubblicazione, asserisce che, in quell’anno, il Cantù recitò a Firenze). Del resto il desiderato ritorno è cantato nell’ode Gli applausi, i regali, & il ritorno in Italia del signor Mauritio Tensonio, accademico humorista, che segue la dedica, dove si ricordano con orgoglio i successi riportati a Milano, Venezia e Parigi. Il racconto del seguito della vicenda sarebbe stato affidato a un Ritorno di Francia in Italia, di Buffetto comico in canzonette ridicolose che, probabilmente, non vide mai la luce. A Parigi, secondo l’ipotesi del Rasi, Buffetto era conosciuto col nome generico di Briguelle, ben noto sin dalla seconda metà del secolo precedente, tanto è vero che in nessuna pubblicazione locale comparve il nome del Cantù, mentre un Brighella recitava in quel tempo a Parigi. Quando poi Stefano della Bella ne incise il ritratto, pensò, per il costume, e quello di Brighella e, per lo sfondo, al Pont-Neuf della capitale francese: il Cantù è rappresentato nell’atto di suonare la chitarra (flauto, tibia, zampogna e altri strumenti ai suoi piedi stanno a indicare che li sapeva suonare e scambiare, secondo la consuetudine della maschera), è massiccio di corporatura ma delicato nello scostare la chitarra dal fianco destro e nel pizzicarne le corde, il viso, su cui spiccano gli occhi astuti, il naso adunco e le labbra sensuali, è incorniciato da capelli, baffi e barba neri e crespi. Il cartiglio, in basso a destra, spiega: Fortuna per despett Me fer volar la robba co i dinar, La patria abbandonar, E de Carlo Cantù me fer Buffet. Ma po’ mudò concett. Quando da Zan me mess a recitar. Come Carlo incontrai fortuna avversa Come Buffet la provo a la roversa. Il che proverebbe l’agiatezza goduta da attore dopo la miseria sofferta per un rovescio di fortuna. Alcune lettere del Cantù, scritte il 22 febbraio, il 6, il 9, il 29 marzo e il 6 aprile 1647 (quest’ultima diretta a Francesco Maria Farnese, le altre a un non meglio identificato don Cornelio, familiare del cardinale), documentano una sosta a Roma insieme con la moglie. La prima comunica che mercordi pasato (cioè il 20 febbraio) recitasemo el prodigio del marchese del Vasto il quale non piaque troppo e si risente per le volgari ingiurie ricevute inocentemente dal Dottore (Ercole Nelli) e dalla moglie di questi, Angela, nonché per la rissa da loro cagionata dopo quello spettacolo davanti al pubblico e agli altri comici. Poi si dichiara lusingato dalla munificenza di donna Olimpia Pamphili. In quella del 9 marzo 1647 supplica il cardinale di raccomandare a qualche cauagliere il vecchio suocero che non se deporta malle nella parte di Pantalone, acciò abbi in Bologna una bona Compagnia già che noi non lo potiamo sostentare in nostra Compagnia. È probabile che, sempre nello stesso anno, il Cantù facesse parte, con la moglie, della compagnia ducale di Parma che effettuò un viaggio per acqua con armi e bagagli, secondo la precisa espressione del passaporto, da Torino a Ferrara, ridiscendendo il Po. A questo punto il Rasi ipotizza che il Brighella ceduto da Ranuccio Farnese a Francesco d’Este duca di Modena per il Carnevale 1650-1651 e poi raccomandato con lettera del 3 gennaio 1651, il Brighella capo dei comici parmiggiani (insieme a Mario, forse Agostino Grisanti) malevolmente qualificato dal Nelli (in una lettera datata da Verona l’8 settembre 1651 e diretta a un familiare del duca di Modena) come un invadente che stancava le piazze (in quella città aveva, prima di lui, recitato trenta commedie), e il Briguelle che sostituì il Locatelli alla sua morte, avvenuta a Parigi nel 1671, siano la stessa persona. Le testimonianze mancano, comunque, fino al 1676, anno nel quale Alfonso d’Este marchese di San Martino, in una lettera datata 30 giugno, trattando della formazione di una nuova compagnia, informa: Noi haueuamo Bufetto et il Dotore, ma Bufetto è andato a recitare nel altro mondo, il che fa legittimamente supporre che il Cantù sia morto non molto tempo prima. Secondo M. Apollonio, la cultura non dovette mancare al Cantù: ma se, come lo studioso ha fatto, ci si riferisce soprattutto al Cicalamento, si deve ammettere che si trattava della particolare abilità, propria del comico dell’arte, di trarre dalle battute, tirate e canzonette, i succhi di più piccante sapore. Il giudizio sul Cantù non può, comunque, prescindere dalle sue attitudini musicali e dalla maliziosa sonorità dei versi e delle prose parodisticamente barocche. Maschera pensosa forse no, ma il Cantù fu certamente un perfetto esemplare di commediante dell’arte, mimo, musico, autore e declamatore di versi esilaranti, conteso dai principi e idolatrato dal pubblico.
FONTI E BIBL.: F. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, I, Padova, 1781, 138 s.; A. Paglicci Brozzi, Contributo alla storia del teatro. Il teatro a Milano nel secolo XVII, Milano, s.d., 109 s.; L. Rasi, I comici italiani, Firenze, 1897, I, 425-429, 571-583, II, 181 s.; A. Paglicci Brozzi, Uno scenario inedito di una Commedia dell’Arte, Firenze, 1908, 5-7; M. Apollonio, Storia della commedia dell’arte, Roma-Milano, 1930, 247 s; N. Leonelli, Attori tragici - Attori comici, I, Milano, 1940, 200 s.; Enciclopedia dello Spettacolo, II, coll. 1701 s.; S. Sallusti, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, 1975, 334-336.

 CANTU' GIULIO
Compiano 10 marzo 1788-post 1831
Nel 1807 fu velite al servizio di Francia. Fece le campagne di Spagna (1808) e d’Austria (1809). Nel 1812 partecipò alla campagna di Russia col grado di sottotenente e combatté poi ad Amburgo nel 1813-1814. Dal 1814 fu Brigadiere delle Guardie del Corpo di Parma e nel 1815 sottotenente del Reggimento Maria Luigia di Parma. Fu posto in ritiro nel 1827. Prese parte attiva ai moti del 1831 in Parma, per cui fu segnalato alle autorità e posto sotto sorveglianza: Comandava le truppe nel piazzale dei Servizi allorquando si levò da colà la bandiera per trasportarla alla piazza d’armi; era molto caldo per la rivolta. Unitamente a Mosè Cantoni di Poviglio si portò al palazzo di S.M. per disarmare gli alabardieri ed infatti s’impossessò di una carabina che rese dappoi con due pistole al comando dei Dragoni.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 19; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 156.

CANTÙ ISABELLA, vedi FRANCHINI ISABELLA

 CANTU' ROMANO
Compiano 1565-1625
Fu frate cappuccino laico di onorata memoria.
FONTI E BIBL.: G. Cassio, Vita di fr.   Romano da Compiano, in Giovane Montagna 1 ottobre 1928.

 CANTULLI SIMONA
Parma-Parma 26 giugno 1474
Figlia di Giovanni e di Maria da Carpi. All’età di cinque anni rimase orfana del padre, passando sotto la tutela dello zio Antonio. Assieme alla madre andò poi ad abitare a Carpi dove rimase fino all’età di undici anni. Da Carpi ritornò poi a Parma, compiendo il tragitto a piedi e tenendo in mano una canna, che poi volle sempre portare con sé e per la quale fu soprannominata Simona dalla Canna. A Parma intraprese una vita di sacrifici e mortificazioni, intrattenendosi in lezioni spirituali con le monache di San Paolo, Sant’Uldarico e Sant’Alessandro. Sotto il pontificato di Niccolò V, nel giubileo dell’anno 1450 si portò a Roma assieme allo zio Antonio. Fu devota di San Bernardo, già vescovo di Parma, e in diversi episodi fu al centro di prodigi, a proposito dei quali fu accusata da alcuni di operare con arti malefiche, per cui fu schernita e perseguitata. Il conte di San Secondo, Pietro Maria Rossi, volle allora prenderla sotto la sua protezione. Alla sua morte, il Rossi la fece seppellire in un apposito sepolcro nella Cattedrale di Parma, nei pressi della Sagrestia dei Consorziali. I versi che adornano il sepolcro sono attribuibili al piacentino Gerardo Rustici. La Cantulli fu poi venerata col titolo di Beata.
FONTI E BIBL.: A. Bresciani, Vite dei Santi, 1815, 35-38; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, 1856, I, 787; Epigrafi della Cattedrale, 1988, 149.

 CANUTI CESARE
Parma 1824
Falegname, fu l’artefice nel 1824 della ricomposizione di materiale attribuibile a Francesco Galli in due credenzoni nella chiesa parrocchiale di Casalbellotto.
FONTI E BIBL.: Bandera, 1977, 122; G. Godi, in Gazzetta di Parma 7 settembre 1979, 3; Il Mobile a Parma 1983, 263.

 CANUTI GIOVANNI FRANCESCO
Parma o Bologna XVII secolo
È ricordato come autore di qualche dipinto in chiese presso Perugia e come primo maestro di Giuseppe Bassani.
FONTI E BIBL.: P.A. Corna, Dizionario della storia dell’Arte in Italia, Piacenza, 1930, I (II edizione); Ojetti-Dami-Lugli, Atlante di storia dell’Arte italiana, Milano, 1948, III; Enciclopedia di pittura italiana, I, 1950,

Teca Digitale Biblioteche del Comune di Parma - V.lo Santa Maria 5, 43125 Parma (PR)

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