Sottotitolo: Organo degli interessi delle vallate Parmensi e Pontremolesi; dal 1° luglio 1911 Organo delle vallate parmensi e reggiane; dal 15 gennaio 1920 Organo provinciale del Partito popolare italiano
Appendice: La barriera di Renato Bazin, versione di Leopoldo Cassis (dall’11 gennaio al 5 aprile 1913)
Supplemento: al n. 13 (26 maggio 1900), sull’astensione cattolica alle politiche del 2 giugno 1900
Luogo di pubblicazione: Parma
Tipografia: Stab. Tip. Cavalli & Comp.i; dal 30 giugno 1900 Tip. Operaia S. Anna; dal 29 dicembre 1900 Tip. Ed. «La Bodoniana»; dal 28 settembre 1901 Tipografia A. Zerbini; dall’11 febbraio 1911 Tip. Federale parmense; dal 23 giugno 1917 Tipografia La Bodoniana; dal 21 giugno 1919 Stab. Tip. dell’Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di guerra (Sez. di Parma)
Durata: 3 marzo 1900 – 30 dicembre 1920
Periodicità: settimanale
Responsabile: Faustino Buja; dal 12 novembre 1904 Odoardo Tanzi-Ponzini; dal 21 settembre 1918 Rodesindo Negroni
Collaboratori: Jacopo Bocchialini, Italo Ferrari, Giuseppe Micheli, Giuseppe Toniolo,
Collocazione: Emeroteca Comunale, P/C 19
ANNATA 1901; ANNATA 1902; ANNATA 1903; ANNATA 1904;
ANNATA 1905; ANNATA 1906; ANNATA 1907; ANNATA 1908;
ANNATA 1910; ANNATA 1911; ANNATA 1912; ANNATA 1913;
ANNATA 1914; ANNATA 1915; ANNATA 1916; ANNATA 1917;
ANNATA 1918; ANNATA 1937; ANNATA 1938; ANANTA 1939;
ANNATA 1946.
Organo di stampa dell’associazione cattolica «La giovane montagna» - presieduta da Giuseppe Micheli - il foglio intende rappresentare gl’interessi della montagna parmense e pontremolese.
«La Giovane Montagna», si afferma nel primo numero, si «gioverà delle corrispondenze dalle varie realtà comunali e d’importanti collaborazioni scientifiche sui temi della cooperazione e delle tecniche agricole».
Nelle sue colonne non mancherà la «cronaca della città e diocesi Parmense», sempre copiosa; così pure si pubblicheranno le «notizie più importanti del Piacentino; la parte commerciale sarà compilata con speciale cura».
Diverse le rubriche che saranno dedicate ai temi della montagna e delle carenze infrastrutturali del territorio.
In effetti, già a una rapida scorsa, i loro titoli denotano la vastità del raggio d’azione e le tematiche. Si pensi alle rubriche “Echi della Magra”, “Dalle valli d’Enza e del Parma”, “Dalla valle del Taro”, dove gli articoli sui problemi del territorio toccano temi che vengono poi approfonditi in più numeri e in appositi fondi, come la ferrovia Genova-Borgotaro, le tramvie elettriche, la nuova stazione ferroviaria di Parma, il rimboschimento delle montagne, i nuovi ponti sul Taro e sull’Enza, la ferrovia di Bardi (Bardi-Alseno, Bardi-Fornovo).
Ma gl’interessi del giornale non si fermano, ovviamente, al mero dato economico-infrastrutturale. Anzi, «La giovane montagna» è tutto un fiorire di notizie sull’associazionismo cattolico e i Comitati parrocchiali, che sono le unità tattiche per eccellenza del movimento cattolico, di note, noterelle e corrispondenze sulla vita religiosa (dalle vite dei santi al culto mariano), sulle latterie sociali e gl’istituto di credito cattolici.
Il foglio difende, poi, l’operato di uomini della Chiesa, perché sempre feroce è la polemica anticattolica di alcuni fogli come «L’Idea», che non esitano a elencare le presunte malefatte di preti di campagna o a incitare il popolo a ribellarsi all’autorità pontificia.
Su un piano un più ampio e “alto», «La giovane montagna» ambisce alla promozione di un’opera di rinnovamento sociale secondo i dettami cristiani, anche facendo ricorso a una non trascurabile verve polemica antisocialista, che si fa tanto più radicale quanto più «La Giovane Montagna» viene consolidandosi come la voce parmense più autorevole del movimento sociale dell’azione cattolica, promossa dal pontificato di Leone XIII.
Per comprendere quanto fosse considerata importante la scelta di combattere il socialismo tanto sul piano teorico-politico quanto pratico basti osservare il fatto che il giornale seguì molto da vicino la nascita e il consolidamento delle nuove associazioni cattoliche - Unioni professionali, Circoli popolari cattolici, Casse rurali, Società operaie cattoliche di mutuo soccorso, Cooperative di consumo, Monti frumentari ecc. – che si strutturavano seguendo il modello della cooperazione socialista.
In virtù di questo carattere militante, il foglio firmava frequenti appelli affinché i cattolici si scuotessero dall’inerzia; appelli che fanno riferimento diretto all’enciclica di Leone XIII in merito al concetto di «democrazia cristiana» ivi esposto, con il quale si postulava la necessità di un maggiore impegno sociale del cattolico, tra cui l’«uscire di sagristia» - rivolto ai preti – in attività pratiche quali l’organizzazione di casse rurali, agenzie agricole e, in generale, dei ceti meno abbienti.
Nello svolgersi febbrile di tali attività, il foglio amò atteggiarsi a vittima di una vera e propria congiura demo-social-massonica, in conseguenza della quale ritenne necessario reagire in modo diretto e duro. Nemica è, da un lato, l’azione ministeriale di laicizzazione dello stato, di cui si critica ferocemente il progetto di statalizzazione delle scuole elementari – definito come «anticristiano» - e l’applicazione della legge sulla demanializzazione del patrimonio delle Opere Pie; ma, naturalmente, il male assoluto, è, sempre, l’empio, ateo e irreligioso socialismo.
La risposta sta nel contrattacco frontale a ogni forma di messa in discussione dell’autorità politico-spirituale della Chiesa: certo, anche il liberalismo è un nemico, poiché «il liberalismo è disordine»; ma energie ben maggiori vanno spese nei confronti del demonico «socialismo [che] ormai ha assunto la sua vera veste spiccatamente anticlericale […]. Siamo innanzi ad una vera setta che ci invade minacciosa e distruggitrice […]. Dinnanzi a tale fosca visione, dinanzi al fremito che tutto intorno si fa sentire della rivoluzione, come mai l’animo retto ed onesto può chiudersi nel suo ghiacciante egoismo e pascersi di illusioni? Opera sana e vigorosa è necessaria; s’impone la reazione. Dinnanzi alla organizzazione rossa, è d’uopo attuare il programma di rigenerazione sociale tracciato da Leone XIII, il Pontefice degli operai».
Ecco, allora, presentarsi come indispensabile «lo smascheramento che i cattolici vanno facendo del Socialismo rilevandone la irreligiosità e la immoralità», il quale comincerebbe «a ottenere buoni effetti e ciò si vede dalla stizza che prende i giornali del partito presso i quali per rivincita vanno a pescare col lanternino le colpe che si commettono da qualche cattolico ed anche da qualche sacerdote per gridare [all’immoralità]. È questo un vecchio sistema, il sistema di tutti i nemici della religione, liberalismo compreso, i quali hanno sempre preso pretesto delle colpe di persone di Chiesa, anche esagerandole se occorreva, per dire: ecco che cosa è la Chiesa».
E, di fronte al dilagare del socialismo e alla diffusione delle Leghe di resistenza, una volta ammoniti gli agricoltori a non farsi ingannare – cui si dice: attenti, l’obiettivo dei socialisti è la fine della proprietà, della religione e della libertà – si esulta al sorgere delle leghe cattoliche, nuove emanazioni dell’Opera dei Congressi, ma ci si lamenta per la loro quasi totale assenza nel territorio parmense.
A fronte di tanta animosità e volizione polemica, corrisponde un’insolita attività militante politica. Il tempo del non expedit pare ormai superato dagli eventi calamitosi che stanno stringendo in un angolo il cattolicesimo. La forza sociale e politica dei suoi nemici rende necessario un contributo cattolico alla scena politica; così, in occasione delle amministrative del giugno-luglio 1902, il foglio irrompe nelle campagna elettorale a piedi pari affermando che «il socialismo è nemico di tutti, non è il nemico dei soli clericali», gettando le premesse per l’alleanza con le forze del liberalismo parmense.
Quasi in risposta alla critica della «Gazzetta di Parma» - che, tra le cause prime della sconfitta delle forze moderate nelle politiche del 3 giugno 1900 (5 collegi su 5 erano stati conquistati dalla lega radico-socialista) aveva indicato il non expedit - a due anni di distanza si afferma che ormai anche «i preti hanno compresa la situazione del momento e si sono dedicati interamente all’azione cattolica secondo i precisi dettami del Papa» e, dunque, ci si determina alla formazione dell’Unione nazionale fra elettori cattolici amministrativi (29 ottobre 1904), dando un decisivo contributo alla vittoria dei costituzionali nelle politiche del 6-13 novembre 1904, le quali nei collegi di Parma e Borgotaro (oltre che in molti altri collegi del paese) sanciscono il trionfo dell’ingresso cattolico in politica introducendo un quinquennio di battaglie elettorali decisamente favorevoli al liberalismo parmense.
Altro momento particolarmente significativo è legato alla campagna elettorale per le elezioni politiche del 7 marzo 1909, alle quali il foglio si dedica spendendosi per la candidatura di Giuseppe Micheli nel collegio di Langhirano.
Il suo programma è fortemente intriso di elementi localistici. Gl’interessi delle zone di montagna, particolarmente bisognose, vengono più e più volte citati negli interventi pubblici, nei comizi, sulle colonne de «La giovane montagna». C’è anche una situazione obiettiva di crisi urbanistico-infrastrutturale a motivare l’inclinazione locale del candidato cattolico: infatti, «la viabilità è in condizioni disastrose: i cimiteri, le fontane, le scuole sono in istato deplorevole quasi dovunque: mancano le comunicazioni telegrafiche e telefoniche […]. È ora che una parola forte e vigorosa risuoni a favore di queste nostre terre abbandonate e si invochi una serie di provvedimenti legislativi a favore di esse, ottenendo intanto l’applicazione dei benefici della legge del Mezzogiorno».
Ottenuto il favore degli elettori, la figura dell’on. Giuseppe Micheli verrà sempre più a fondersi con «La giovane montagna», che, pur non rimarcando sostanziali deviazioni dalle caratteristiche tradizionali della linea editoriale, ne divenne, di fatto, il portavoce, quasi l’eco locale dell’attività politica svolta a Roma dal deputato cattolico.
Un momento particolarmente caldo è rappresentato dai mesi precedenti l’entrata in guerra del paese.
Mentre viene annunciata l’elezione del nuovo pontefice Benedetto XV (5 settembre 1914), il foglio assume una posizione di neutralità rispetto alla grande guerra, che però si converte in obbediente accettazione degl’interessi patri non appena il governo ritenga opportuno un coinvolgimento nel conflitto; una scelta strategica “mobile”, capace di “guadagnare” consensi sia dal campo dei pacifisti sia da quello dei belligeranti.
Rifuggendo dalla rigidità delle politicamente costose scelte di campo compiute, per esempio, da De Ambris, Corridoni e Di Vittorio – che si espresso per l’intervento - «La giovane montagna» mostra una sorprendente capacità di adattamento agli eventi bellici.
Fino al 23 maggio 1915, ci si augura che «il governo abbia senno, e non si lasci prendere la mano dai folli i quali vorrebbero vedere l’Italia giocare alla guerra, ma ascolti la voce delle famiglie, dei lavoratori, dei cittadini più calmi e prudenti, i quali tutti sono pronti a dargli una man forte nell’opporsi alla marea, sol che esso riveli un pensiero deciso e una direttiva sicura». Tanto più che «noi abbiamo cogli imperi centrali il miglior mercato commerciale, che sarebbe irremissibilmente perduto dopo una guerra con essi».
Eppure, «se la guerra verrà, noi saremo al nostro posto di combattimento, sia esso sul campo di battaglia, sia in quello meno importante, che si esplica in tutte le forme per la preparazione morale, civile e militare della nazione».
Difatti, con la notifica della dichiarazione di guerra all’Austria, il giornale diventa una specie di bollettino della guerra e dei combattenti.
Si comincia quindi a rileggere le precedenti analisi, addirittura ribaltando persino le letture precedentemente negative sugli effetti economici del conflitto contro gl’imperi centrali: «I Tedeschi, colla tenacia e col metodo perseverante che li distingue, avevano intrapreso alla chetichella una vasta penetrazione commerciale che in pochi anni ancora ci avrebbe resi completamente mancipi economicamente dalla Germania». Inoltre, l’«Austria ha speso miliardi per le fortificazioni al nostro confine ed in questi ultimi anni più di una volta è stata lì lì per assalirci e ci avrebbe assalito impunemente e vinto poiché è dimostrato ormai che non avremmo potuto resistere data la nostra inferiorità strategica». Il 24 luglio 1915, addirittura: «Porta la guerra in sé una pienezza di vita spirituale; è una delle conseguenze più intime del fenomeno: agitare, esacerbare i conflitti più profondi dell’anima. Durante la pace, l’anima degli uomini sembra adagiarsi spontaneamente in una concezione unitaria delle cose. Ci vuole la guerra per farci vivere più intensamente i profondi contrasti della nostra natura, per suscitare dagli abissi dello spirito umano l’onda più remota».
I caduti vengono definiti i “nostri morti” se provengono dalle montagne: essi sono ricordati nelle necrologie, con tanto di foto. Numero dopo numero, le necrologie affollano la prima pagina del giornale, sovrastando tutto il resto.
M.A.