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Dizionario biografico: Pecchioni-Pfalz

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PECCHIONI-PFALS

PECCHIONI AUGUSTO
Quinto al Mare (GE) 1923 -Milano 4 aprile 1992
Nel 1948 si laureò a Parma in Medicina e Chirurgia ed a Ragazzola iniziò la sua attività come medico condotto. Nel 1954  si specializzò in Odontoiatria all’Università di Genova e nel 1963 conseguì la libera docenza esercitando la professione prima a Salsomaggiore presso lo studio Agnetti e successivamente a Milano dove aprì un proprio studio. Libero docente all’Università di Modena, è stato primario all’Ospedale Civile di Bergamo e, successivamente, all’Ospedale Principessa Jolanda di Milano.Negli anni ‘80 insegnò Endodonzia alla Scuola di Specializzazione di Odontostomatologia dell’Università di Milano. Redattore di riviste di settore, collaborò anche con il Corriere della Sera. Fu un pioniere delle tecniche più avanzate in endodonzia ed implantologia, delle quali fu relatore in molte università italiane ed estere. Tra i numerosi suoi testi, si ricorda  soprattutto “Endodonzia”, pubblicato anche in edizione inglese, francese, tedesca e giapponese.
FONTI e BIBL.: Gazzetta di Parma 8 aprile 1992, 22; voce biografica rivista dalla figlia Francesca (luglio 2011).

PECCHIONI EGIDIO
Ragazzola 31 agosto 1855-Ragazzola 10 luglio 1940
Figlio di Vittorino, per un ventennio sindaco di Roccabianca. Compì gli studi a Parma e, conseguita nel dicembre 1878 la laurea in matematiche pure, frequentò il corso d’ingegneria al Politecnico di Torino. Nel 1881 conseguì la laurea anche in quella facoltà. Dopo aver esercitato per un breve periodo la libera professione (specialmente a Roma), volse i suoi studi e la sua attività all’agricoltura seguendo le nuove teorie di Stanislao Solari, del quale fu collaboratore e amico. Diresse vaste aziende agricole, dapprima in Toscana (tra cui quella del conte De Albertis di Firenze) quindi, dal 1898 al 1919, le proprietà terriere del marchese Giacomo Filippo Durazzo Pallavicino di Genova, costituite di dodici tenute agricole in Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia e Spagna, che il Pecchioni, applicando le tecniche più progredite, portò a un alto livello produttivo. Nel contempo, valendosi della sua grande esperienza, organizzò corsi di studio per la formazione di agenti agricoli qualificati, dei quali fu dotto maestro. Invitato da altri grandi proprietari terrieri, fece parte di commissioni tecniche in seno al ministero dell’agricoltura. Per sua iniziativa sorsero i pollai provinciali per la difesa e l’incremento dell’avicoltura nazionale. Collaborò assiduamente a giornali agricoli, tra cui la Rivista di agricoltura, Il coltivatore e l’apicultore. Godette la stima e l’amicizia di eminenti personalità, quali il ministro Giuseppe Micheli, l’onorevole Marescalchi, i professori Bizzozzero, Chipi e Tito Poggi. Ebbe profondamente radicati nell’animo un grande amore per la patria e il desiderio di contribuire alla redenzione sociale dei lavoratori, specialmente agricoli. A questi ideali il Pecchioni dedicò interamente la sua laboriosa esistenza. Tra le sue numerose pubblicazioni, vanno citate: Indicativa agraria guidata col sistema Solari (1899), L’agricoltura a base d’azoto (1906), La coltivazione del frumento (1909) e Progetto generale per la bonifica d’una vastissima zona del Mezzogiorno.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 343.

PECCHIONI MANLIO
Parma 2 aprile 1887-Messico 1961
Figlio di Pietro e Angela Tanzi. Iniziò a lavorare alle dipendenze di Romeo Bizzi, nella pasticceria di piazza Garibaldi. Tasferitosi a Torino, alla Fiat, girò in auto per l’Europa a fianco di Felice Nazzaro, che lo volle poi suo meccanico nelle prime corse automobilistiche. Nel 1906 si recò in Argentina, ove, con il socio Bruno Cassini, assunse la rappresentanza della Fiat. Si cimentò in una trasvolata (non completata per il maltempo) delle Ande con un aereo di legno e tela, da lui stesso messo a punto. Nel 1914 tornò in Italia per arruolarsi: combatté in Macedonia, ove contrasse la malaria. Finita la guerra, si trasferì nel Siam e divenne l’autista del re, del quale guidò una favolosa Mercedes rivestita di lamine d’oro e pietre preziose. Fu poi in Malesia e in Australia. Nel 1959 raggiunse il figlio Pietro in Messico, dove lo colse la morte.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario parmigia-ni, 1997, 236.

PECCHIIONI MARIO
Roccabianca 1897-25 settembre 1918
Figlio di Giuseppe e di Clementina Cascinella. Fu chiamato alle armi nell’agosto del 1916 e destinato al 2° Reggimento genio a Casale monferrato, da dove, dopo un periodo di istruzione, fu inviato al fronte. Col suo reparto compì importanti lavori di fortificazione campale in prima linea, a diretto contatto col nemico. Mentre con la 208a compagnia zappatori procedeva al rafforzamento di una linea gravemente danneggiata dall’artiglieria nemica, rimase ferito al viso e a un fianco. Fu trasportato all’ospedaletto da campo n.75 ove morì in seguito alle ferite riportate. Il pecchioni fu decorato della Croce di guerra al merito sul campo.
FONTI E BIBL.: Combattenti di Roccabianca, 1923, 43.

PECCHIONI PIETRO
Sarmato 4 gennaio 1828-Parma 9 agosto 1908
Nacque da Luigi, costruttore di barche e traghettatore sul Po. Seguendo il mestiere del padre, il Pecchioni ebbe modo sin da giovane di trovarsi a contatto colla numerosa schiera di esuli e di patrioti che passava clandestinamente il confine, per portarsi in Piemonte o in terra straniera. A vent’anni il Pecchioni si arruolò nelle guardie di Finanza del Ducato, corpo che accolse molti simpatizzanti del movimento mazziniano, tra cui diversi affiliati della Giovine Italia. Fu destinato al porto di Sacca, presso Colorno. Partecipò alle più rischiose imprese che i mazziniani prepararono per sollevare lo Stato parmense, governato da Carlo di Borbone. Alla congiura contro Carlo di Borbone il Pecchioni partecipò attivamente: fu  tra coloro che, appostati presso la Porta di San Michele, avrebbero dovuto (21 marzo 1854) attentare alla vita del Sovrano. Il Pecchioni fu affiancato da un’altra guardia di finanza, Luigi Facconi, entrambi armati di stili fabbricati dal fabbro Pelagatti. Il duca doveva transitare di là per recarsi a Modena, secondo informazioni avute dal postiglione ducale Pattini, confidente dei congiurati. Ma la carrozza passò troppo rapida e il colpo mancò. Il Pecchioni riuscì ad allontanarsi e a riprendere il suo posto a Sacca. La domenica successiva (26 marzo), giorno fissato per un nuovo attentato, si portò di nuovo a Parma e si appostò con gli altri congiurati lungo il presumibile cammino che il duca avrebbe dovuto fare per rientrare a palazzo dopo la consueta passeggiata lungo lo Stradone. Carlo di Borbone fu poi pugnalato da Antonio Carra, appostato con Ranzoni in strada santa Lucia. Il Pecchioni anche quella volta si eclissò subito, rivestì la divisa e tornò al suo servizio di doganiere. il Pecchioni partecipò anche all’insurrezione del 22 luglio, che, per incapacità dei capi, per mancanza di organizzazione e per leggerezza degli iniziatori che non seppero nemmeno tenere segreta la cosa, venne al suo nascere soffocata nel sangue. Il Pecchioni combatté nei pressi della caserma delle guardie di Finanza e riuscì a sfuggire all’accerchiamento delle truppe. La repressione fu feroce. Due soldati, mario Bacchini di Borgo San Donnino e baldassarre Poli di Parma, che avevano fatto causa comune con gli insorti, furono immediatamente fucilati. Gli altri tredici morti della giornata furono vittime della ferocia delle truppe. Numerosissimi furono gli arresti, tra cui quello di Emilio Mattei che venne catturato gravemente ferito alle gambe. Alla gendarmeria ducale non sfuggì il contributo dato alla sommossa dalle guardie di Finanza e il 27 luglio vennero arrestati diversi militi di quel corpo, tra i quali il Pecchioni e l’Adorni. Seguirono le feroci inquisizioni del Krauss, chiamato appositamente da Mantova come esperto in quel genere di istruttorie.Il 5 agosto vennero fucilati Mattei, Adorni, Facconi e Boncompagni.Il Mattei, non potendosi reggere sulle gambe fratturate, venne fucilato legato a una barella sollevata in alto. Nel secondo gruppo di inquisiti vi fu il Pecchioni, accusato di aver partecipato non solo alla sommossa ma anche alla congiura contro il Duca. Per un mese tenne fronte agli spietati interrogatori dell’inquisitore austriaco che, per strappargli la confessione, lo sottopose alla tortura delle bastonate. Con sentenza del 9 settembre, assieme agli altri correi, venne dichiarato colpevole di crimine di cospirazione contro lo Stato e condannato ai lavori forzati a vita, mentre Davide Franzoni e Alessandro Borghini vennero fucilati. I condannati vennero consegnati all’Austria e tradotti nel castello di Mantova. Il Pecchioni entrò nel carcere apparentemente rassegnato, ma col deciso proposito di evadere. Con ben simulata tranquillità, riuscì a vincere la naturale diffidenza del personale di custodia e ad accaparrarsi la simpatia del cappellano, che lo prese con sé come chierico. Fu pure addetto al servizio nella cucina e a segare la legna nel magazzino: ebbe così modo di studiare la topografia del luogo e di orientarsi per preparare la fuga. Una parete del magazzino, coperta da una grande catasta di legno, era costituita da un muro esterno del Castello, rivolto verso il lago. Accordatosi con altri due reclusi, delinquenti comuni, che gli erano compagni nel lavoro, cominciò ad aprire un varco nella catasta, arrivando in breve al muro di cinta. In seguito, mentre a turno due segavano rumorosamente la legna, l’altro sgretolava con mezzi di fortuna il muro. Dopo diverse settimane di lavoro, la breccia fu ultimata. Il Pecchioni, fidandosi della sua agilità e della sua abilità di nuotatore, si gettò nell’acqua e, con poche bracciate, seguito dai due compagni d’evasione, riuscì a raggiungere un vicino canneto e a nascondersi. Il Pecchioni si diresse poi verso il Po, che varcò a nuoto rientrando negli Stati parmensi. Giunto a Parma, riuscì a mettersi in comunicazione con Clemente Asperti e Andrea Maturini, patrioti, presso cui si rifugiò. Dopo pochi giorni lasciò Parma e si diresse a Genova con una lettera di raccomandazione per Nino Bixio, che lo prese come suo attendente, che servì fedelmente per tre anni. Nel 1859, arruolatosi nei Cacciatori delle Alpi, combatté valorosamente a Varese e a Treponti contro le truppe dell’Urban. Nel 1860 il Pecchioni fu di nuovo a Genova, e il 5 maggio si trovò a quarto nella schiera dei Mille, assegnato alla seconda compagnia comandata da Vincenzo Orsini. A Talamone si staccò dal grosso della spedizione per far parte della colonna zambianchi, equipaggiata, prima di ogni altra, di armi e camice rosse. La spedizione, attuata a scopo diversivo, si concluse infelicemente dopo pochi giorni: il piccolo drappello, un centinaio di uomini cui si erano aggiunti i 90 volontari partiti da Livorno con Andrea Sgarallino, scontratosi coi pontifici appena varcato il confine, venne sconfitto alle Grotte di Castro. Dopo la sconfitta di Castro, alcuni dei volontari garibaldini vennero fatti prigionieri e altri si sbandarono, cercando di raggiungere in qualche modo Garibaldi. Tra questi ultimi vi fu il pecchioni che riuscì a tornare a Genova, in tempo per partecipare, col grado di sergente, alla seconda spedizione Medici e a battersi poi valorosamente a Milazzo e al Volturno. Sciolto l’esercito meridionale, il Pecchioni ritornò a Parma dove fu assunto come guardia municipale. Si sposò con una fruttivendola che conduceva un piccolo negozio nell’Oltretorrente, dalla quale ebbe dodici figli. Quando fu collocato in pensione, non bastandogli il modesto assegno comunale né quello dei Mille, ebbe in concessione il laghetto del giardino pubblico di Parma, industriandosi a guadagnare qualche soldo dando a nolo le barche.
FONTI E BIBL.: A. Isola, in Gazzetta di Parma 11agosto 1908, n. 222; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 42; Aurea Parma 1 1947, 24-30; B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 116-117.

PECCHIONI ROBERTO
Sissa-post 1907
Di mestiere fabbro, iniziò l’attività di costruttore di strumenti musicali costruendo un piccolo armonium, venduto poi a un privato di Busseto, cui ne seguì uno di 16 registri che vendette a San Secondo, dopo che era stato fatto udire in vari concerti nei paesi vicini. Nel novembre 1881 ne costruì uno di 22 registri di eccezionale fattura e dotato di tale potenza di voce da uguagliare quasi quella di un organo, che fu acquistato dalla fabbriceria di Castelnuovo. Presentato il 1° dicembre in un concerto al Teatro Reinach di Parma, all’esecuzione del secondo pezzo accusò dei malfunzionamenti. Nel 1907 il Pecchioni era titolare di una fabbrica di armonium e pianoforti nel paese natale.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Reinach; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

PECCHIONI TOMASO
Parma 1590
Sacerdote, fu cantore (basso) della Cattedrale di Parma nell’anno 1590
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

PECCI ALDO Parma 1918-Francoforte sul Meno 7 settembre 1962
Figlio di Ugo, noto mandolinista, a soli sette anni venne iniziato alla musica, a dodici anni entrò nell’orchestra Rigattieri.Dopo la seconda guerra mondiale riprese l’attività artistica con Gigi Stok. Apprezzato solista di chitarra elettrica, fondò poi un proprio complesso. Nel 1960 si trasferì in Germania, dove formò un gruppo con elementi locali. Il Pecci morì in seguito a un attacco cardiaco.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 236.

PECCI UGO
Parma 20 gennaio 1894-Parma 1969
Figlio di Silvio e di Elena Pigorini. dipendente comunale, fu virtuoso solista dilettante di mandolino. Le sue esecuzioni in sale pubbliche o private della Mazurka di Migliavacca e della Serenata silvestre, pezzi forti d’un vasto repertorio melodico, richiamavano numerosi amatori. L’inveterata tendenza popolare ad applaudire un campione assoluto, ai vertici della graduatoria, lo espose a confronti e sfide fatalmente sfociati in polemiche. In un clima all’inizio scherzoso ma via via divenuto teso, il Pecci si cimentò con Renzo Cabassi, musicista di professione, insegnante nel Conservatorio di Pesaro e poi di Parma e concertista di chitarra classica. La contesa ebbe luogo nei primi anni Cinquanta presso la sede della Famija Pramzana stracolma di spettatori paganti per quello che, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto essere un simpatico episodio folcloristico: scopo dell’iniziativa era, infatti, la raccolta di fondi per un’opera benefica. Il giudizio del pubblico fu favorevole al Cabassi, ma il Pecci non si rassegnò. Le sue reazioni vennero così riassunte sulla stampa locale: Da quel giorno il Pecci non si è più dato pace, ha parlato di irregolarità nella votazione, non ha mai riconosciuto il verdetto del pubblico e ha sempre anelato alla rivincita. Renzo Cabassi lo smentì seccamente in base alle dichiarazioni di tre musicisti superiori a ogni sospetto: Ferrari-Trecate, Alessandri e Righetti. L’invio di un nuovo cartello di sfida rimase lettera morta. Il Pecci si ripagò della delusione patita mietendo altri successi in giro per l’Italia e la Svizzera. Dei suoi virtuosismi si interessarono quotidiani e periodici. Gli dedicò un bel servizio anche la Settimana Incom, il maggior cine-giornale dell’epoca.
FONTI E BIBL.: P. Tomasi, in Gazzetta di Parma 15 luglio 1997, 5.

PECORARA CAMILLO
Parma 1832-Bologna 7 febbraio 1913
Fu commendatore, avvocato e sostituto procuratore generale di Cassazione.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 819.

PECORARI ERMES
Roccabianca 1925-19 febbraio 1999
Il Pecorari fu tra i primi partigiani dell’appennino parmense che si costituirono nel distaccamento Griffith, caduto nell’agguato di Monte Montagnana all’alba del 15 aprile 1944.L’accerchiamento della formazione partigiana venne favorito dall’azione di una spia che si era infiltrata da qualche tempo.Nell’impari scontro a fuoco che presto si concluse con la cattura da parte nazista di cinquanta partigiani, persero la vita cinque combattenti: Rodolfo Lori, Loris Minozzi, Fernando Obbi, Ivo Maniporti e Giovanni Comelli.Soltanto tre partigiani sfuggirono alla cattura: Ario Comelli, Bruno Cresci e Nello Mattioli.I processi contro i conquanta prigionieri (tra cui il Pecorari), rinchiusi nelle carceri di San Francesco a Parma, si tennero nei giorni 18 e 20 aprile 1944.I prigionieri furono sottoposti a due diversi organi giudiziari, a seconda della singola posizione militare. Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato giudicò (18 aprile) il gruppo di prigionieri esenti dagli obblighi militari.Difesero d’ufficio l’avvocato Coiro e l’avvocato Scaffardi, il quale invano protestò per il tempo di poche decine di secondi imposto dal tribunale per la difesa di ciascuno dei suoi cinque patrocinati, tra i quali era anche Guglielmo Catuzzi.La condanna alla pena capitale venne comminata ad Anteo Donati, Salvatore Carozza, Afro Fornia (fucilati nella stessa notte a Monticelli), al Catuzzi, a Giuseppe Brianti, Rino Costa, Fortunato Guarnieri e Peter Jovanovic.Subirono la condanna a ventisei anni di carcere altri cinque partigiani minorenni, tra cui Ugo Bocchi ed Enrico Fanti.Un separato organo giudiziario (il Tribunale militare straordinario di guerra) ebbe giurisdizione sui trentasette rimanenti partigiani accusati di renitenza e diserzione.Venne emessa la sentenza capitale per trentacinque di loro.Anche in questo processo l’avvocato Scaffardi tentò la difesa dei propri patrocinati ma venne zittito, coperto di insulti e cacciato dall’aula.Cinque dei giovani condannati furono poi uccisi per rappresaglia il 4 maggio 1944, nei pressi di Bardi: Giordano Cavestro, Raimondo Pellinghelli, Vito Salmi, Nello Venturini ed erasmo Venusti. La commutazione in lunghe pene detentive alla sentenza capitale per i rimanenti condannati ancora in vita, appartenenti a entrambi i gruppi, avvenne sotto il peso determinante della serie di tumulti provocati dalle donne di Parma.Anche il questore di Parma, Alberto Bettini, tentò di opporsi alla minacciata carneficina.In seguito all’incursione aerea alleata su Parma del 13 maggio 1944 alcuni dei prigionieri del distaccamento Griffith riuscirono a evadere da San Francesco.I rimanenti vennero trasferiti in luoghi diversi: alla Certosa, sede del 5° Comando provinciale della Guardia nazionale repubblicana, presso le scuole P.Cocconi dell’Oltretorrente e nella caserma di Borgo Pipa.Il Pecorari finì con il gruppo più numeroso rinchiuso alla Certosa.Dalla Certosa riuscirono a evadere e a riprendere la lotta partigiana, oltre al Pecorari, anche Luigi Bertoli, Silvio Coruzzi e Ugo Bologna.Dal medesimo luogo evasero il 26 giugno 1944 Bocchi e Catuzzi, ultimi prigionieri del Griffith, ivi rimasti dopo la traduzione in Germania di altri del gruppo.
FONTI E BIBL.: P.Tomasi, in Gazzetta di Parma 23 febbraio 1999, 10.

PECORARI PIETRO
Golese-Tobruk 30 novembre 1941
Figlio di Dante. carrista del 32° Reggimento, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: mitragliere di carro armato in procinto di rimpatriare per malattia, chiedeva e otteneva di rientrare al reparto per partecipare a un ciclo operativo. Durante un attacco contro forze preponderanti, rimasti feriti il capo carro e il sergente, con l’aiuto del pilota li soccorreva e, trasportatili fuori del mezzo, apprestava loro le prime cure sotto intenso fuoco avversario. Ferito durante il generoso tentativo, si rivolgeva al pilota dicendo Facciamo presto, andiamo avanti! e mentre saliva sul carro, cadeva colpito a morte da granata.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1950, Dispensa 11a, 1353; Decorati al valore, 1964, 69.

PECORARO LUIGI
Collecchio-Fonduc El Tokar 30 maggio 1912
Figlio di Alessandro.Caporale maggiore del 9° Reggimento Lancieri Firenze, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Mentre all’inizio della carica si slanciava arditamente con lo stormo da lui comandato contro un gruppo di Fezzanesi che facevano fuoco, animando i suoi lancieri con la voce e con l’esempio, cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: R. Vecchi, Patria!, 1913, 4; G. corradi-G. Sitti, Glorie Parmensi nella conquista dell’impero, Parma, Fresching, 1937; Decorati al valore, 1964, 33-34.

PECORELLA CORRADO
Palermo gennaio 1930-Torino 6 dicembre 1994
Si trasferì a Parma fin da ragazzino con i familiari (il padre fu preside di una scuola media superiore della città). A Parma il Pecorella visse gli anni di formazione più importanti, dalle scuole elementari all’università. Laureatosi in giurisprudenza nell’Ateneo di Parma, allievo di Ugo Gualazzini, iniziò la carriera accademica nel 1953, sempre a Parma. Fu assistente volontario, assistente di ruolo, incaricato, ordinario di Diritto comune e poi di Storia del diritto italiano. Per i suoi meriti fu nominato preside: dal 1975 al 1984 fu alla guida della facoltà. Insegnò per diversi anni anche  nella facoltà di Magistero. fu uno storico del diritto di grande spessore: lo testimoniano le numerose pubblicazioni scientifiche riguardanti la Storia del diritto italiano. Studiò il fenomeno ottocentesco dei governi provvisori, originati dai moti risorgimentali parmensi, quello sul contratto medievale di soccida nelle montagne del piacentino, indagò legislazione e prassi statuarie, di cui il Pecorella fu appassionato cultore (statuti corporativi o territoriali, parmensi e piacentini furono da lui esaminati nella fitta rete di rapporti col diritto comune e con le strutture istituzionali). Si tratti dello statuto quattrocentesco dell’Arte dei muratori parmensi o dello statuto trecentesco del Collegio dei notai piacentini, il Pecorella riconosce gli elementi comuni negli schemi colti da altre esperienze: quali, ad esempio, l’urgenza di regolare le cariche interne e gli organi di governo degli enti, la permanenza in carica delle rappresentanze, i controlli sugli associati, i poteri degli organi all’interno e verso l’esterno, i rapporti con altre corporazioni o collegi, la tutela della concorrenza, l’immagine riconoscibile ai terzi attraverso cerimonie od opere di beneficenza. oltre il dato di cultura etnica, il documento fu considerato dal Pecorella quale tessera necessaria a un più vasto mosaico, nel fine avvertito di ricomprendervi lo svolgersi dei rapporti sociali in un quadro di necessità giuridica. Con lo stesso distacco il Pecorella esaminò fenomeni territoriali, non solo ducali, come il riformismo lombardo o i prodromi della signoria a Cremona, il regime delle franchigie in Val d’Aosta o la legislazione sabauda. Tra gli oggetti della sua curiosità, rientrò l’attività delle Accademie, le quali, espressione di locali minoranze illuminate, ritrovavano in un’autonoma disciplina, pur nelle consuete varianti sei-settecentesche, la forza di proporsi come vere e proprie istituzioni culturali, tanto efficaci da sostituire di fatto le carenti strutture universitarie e di rinnovare il pensiero scientifico e letterario. Da questi interessi nacque un metodo a lui peculiare: partendo dal basso, dalla ricerca materiale delle fonti, pervenire all’assunzione di tesi e ipotesi, sempre definitive e sempre provvisorie, come suggeriscono i confronti con altre realtà uguali e diverse nello stesso tempo. Dalla fine del 1984 il Pecorella lasciò Parma per trasferirsi all’università di Roma Tor Vergata. Dopo qualche anno si trasferì, come ordinario di Storia del diritto italiano, all’ateneo di Torino. Fu inoltre giudice nella repubblica di San Marino e componente del comitato nazionale per le scienze giuridiche e politiche del Comitato Nazionale per le Ricerche. Fu sepolto nel cimitero di Marore.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 dicembre 1994, 6; S. Di Noto, in Archivio Storico per le Province parmensi 1995, 31-32.

PECORINI GIOVANNI
Parma 1859
Fu deputato all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo di Parma nell’anno 1859. Non ebbe parte di rilievo nei lavori dell’Assemblea.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento: Parma, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 365.

PEDANA CARLO ANTONIO
Parma 14 gennaio 1699-
Figlio di Giovanbattista. Nove epigrammi latini del Pedana si trovano nei Componimenti d’alcuni Parmigiani per la morte dell’insigne Medico Pompeo Sacco (1718). Scrisse anche versi italiani, compresi in varie raccolte.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 49.

PEDANA GIAMBATTISTA, vedi PEDANA GIOVANBATTISTA MICHELE ANTONIO

PEDANA GIOVANBATTISTA MICHELE ANTONIO
Parma 27 novembre 1668-Parma maggio 1746
Nato da Carlo Antonio e da Maria. Fu allievo di Pompeo Sacco e di Antonio Zanella. Si narra che quest’ultimo, trovandosi di fronte alle logiche argomentazioni del giovane allievo, costretto a confessare la circolazione del sangue da lui sempre negata, non seppe trattenersi, colto da ira, dal percuotere il Pedana con uno schiaffo. Lo Zanella dovette recarsi a casa dell’allievo a presentare le sue scuse e ottenere il perdono. Il Pedana venne immatricolato al Collegio dei Medici il 23 luglio 1691. Il duca Francesco Farnese lo volle (1699) all’insegnamento della medicina nello Studio di Parma, e quando (1700) Lodovico Sacca fu chiamato a Padova, al Pedana fu affidata la Cattedra Ordinaria di Medicina. Oltre a godere fama di medico valente, fu molto stimato per la sua erudizione nelle lettere italiane e latine. In lingua latina scrisse elegantemente, come dimostra la sua orazione in morte di Pompeo Sacco, pubblicata nel 1718 nella raccolta degli scritti in onore del grande innovatore. Il pensiero del Pedana, specialmente per quanto riguarda la teoria umorale e le conseguenze del contrasto dei diversi umori, si può ricavare dalla sua prelezione facultas medica ex temporum vicissitudine, dove particolarmente insiste nel raccomandare a colui che professa divinam hanc artem medendi di prendere i maggiori consigli dalla natura. Quando il Pedana fu medico di Corte (1731), venne coinvolto in un intrigo di palazzo e accusato poi a tal proposito di avere sacrificata la sua fama al lucro. In realtà, il Pedana, plasmato alla più assoluta e cieca devozione ai duchi, fu condotto a sostenere la sussistenza della gravidanza (dimostratasi col tempo insussistente) di Enrichetta d’Este, vedova di Antonio Farnese, al cui ventre pregnante lo sposo aveva, morendo, legato la successione del ducato di Parma. Il Pedana fu uno dei medici parmigiani più stimati del suo tempo, e lasciò scritte alcune opere mediche e di poesia. Alcuni suoi sonetti sono riportati nelle opere del Frugoni (tomo II) con le risposte del Frugoni stesso. Ebbe una lapide laudatoria nel palazzo di San Francesco. Il Pedana morì a 78 anni d’età.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 48-49; Aurea Parma 1 1931, 15-16; Parma nell’arte 1 1966, 5.

PEDARDI VIGILANTE
Parma prima metà del XVII secolo
Architetto civile attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 275.

PEDERZANI EGIDIO
Parma 1 settembre 1885-San Michele del Carso 21 ottobre 1915
Figlio di Luigi Giuseppe e virginia Bedeschi.  capitano del 156° Reggimento Fanteria, fu decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare, con la seguente motivazione: nell’attacco di una posizione da lui abilmente predisposto dava prova di mirabile slancio e coraggio, e mentre con l’esempio e con la voce incitava i suoi dipendenti ad avanzare, colpito alla gola da una pallottola nemica, cadeva morto sul campo.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 19 ottobre e 26 novembre 1915, 28 febbraio e 24 luglio 1916; G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 185; Decorati al valore, 1964, 94.

PEDESINI MARIO
Parma 1581
Verseggiatore. Lasciò una viva esaltazione di Eleonora d’Este: in un sonetto proclama che lo stesso Giove l’ammirò e amò, rivestendo delle piume dell’aquila questa pura colomba.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1958, 113-114.

PEDOCCA CLAUDIO, vedi MUSI CLAUDIO

PEDRACIO DA IGGIO
Iggio 1134
Notaio. Nel 1134, per suo atto, il vescovo di Piacenza investì Pietro da Pezzola, priore del monastero di Carpadasco, di alcune terre colte e prative poste nella villa di Carpadasco, ubi dicitur ad zenum de Burro col canone di due staia di frumento. Con altro atto del Pedracio del 13 febbraio 1134 il vescovo di Piacenza concesse investitura dell’ospedale di SanGiovanni in Galla per le terre quas tenent ad censum et in feudum Hospitale S.Ioannis de Galla et comitibus de Bardo.
FONTI E BIBL.: A. Micheli, Giusdicenti, 1925, 18.

PEDRAZZONI ERMENEGILDO
Parma 1902-Parma 1972
A dodici anni andò a lavorare con il marmista Olinto Rossi nel laboratorio di lapidi e sculture vicino al cimitero della Villetta. Qui conobbe lo scultore Alceo Dossena, che lo prese sotto la sua protezione e che quando un decennio dopo si trasferì a Roma, avviata una lucrosa produzione di falsi, lo chiamò nella capitale. Ma all’inizio degli anni Trenta il Pedrazzoni si mise in proprio e aprì uno studio nei pressi di Piazzale Flaminio, iniziando a lavorare per gli antiquari. Allievo eccezionale, ben presto superò il maestro, a quel tempo al centro di uno scandalo artistico. Il lavoro non gli mancò e presto si trasferì nel laboratorio all’angolo tra la passeggiata di Ripetta e via del Vantaggio. La sua attività, quanto mai eclettica, segreta ai più ma non agli antiquari, si arricchì di un alone di leggenda. Si dice infatti fosse impegnato nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale nella realizzazione di falsi archeologici destinati a ingannare il Reich germanico. La sua natura di appassionato d’arte e meno interessata agli aspetti più concreti della vita, portò il Pedrazzoni a non firmare neppure le opere sue, quelle che nulla avevano a che vedere con le copie. Fece sculture in bronzo, terracotta, avorio e marmo: mirabili statuette, bassorilievi e tabernacoli destinati alle chiese. Il Pedrazzoni fu anche un eccellente restauratore. Suoi clienti furono la galleria Borghese, la galleria Doria Pamphilj, la famiglia Barberini, la duchessa Salviati, il principe d’Assia e Federico Zeri. Il noto storico dell’arte scrisse del Pedrazzoni e ne ebbe una grande stima. Alla fine degli anni Sessanta, tornando da Pietrasanta dove aveva lavorato a una statua di grandi dimensioni raffigurante San giovanni Battista, si ammalò. Tornato a Parma, vi visse ancora dieci anni, continuando a lavorare nel suo nuovo studio di piazzale Santa Croce.
FONTI E BIBL.: S. Provinciali, in Gazzetta di Parma 7 febbraio 1994, 5.

PEDRETTI ANDREA
Parma 23 aprile 1847-Roma 9 settembre 1903
Nacque da Pietro e da Laura Torrazza. Compiuti i primi studi al collegio Candellero di Torino, entrò l’11 ottobre 1864 alla Scuola Militare di Modena, dalla quale uscì il 20 maggio 1866 col grado di sottotenente nel 4° Reggimento granatieri. Alla vigilia della guerra con l’Austria, la 3a divisione, costituita dalle due brigate granatieri di Sardegna e di lombardia, agli ordini del generale Brignone, stava in quei giorni concentrandosi a Lodi. Il Pedretti raggiunse il proprio reggimento a Lodi e con esso prese parte alla campagna di guerra partecipando alla battaglia di Custoza (dove ottenne la medaglia al valore). Finita la guerra, continuò a prestare servizio al reggimento, ed essendo esperto negli studi topografici e buon disegnatore, fu comandato, nell’ottobre del 1870, alla Scuola militare di fanteria e cavalleria, quale professore aggiunto di disegno topografico, rimanendovi anche dopo la promozione a tenente, ottenuta nel 1873. Nell’ottobre del 1877 rientrò al proprio reggimento, che fin dal marzo 1871 aveva preso la denominazione di 74° Reggimento fanteria. Nominato aiutante maggiore in 2a, ebbe poi la promozione a capitano nel maggio 1883. Nell’ottobre 1884 venne trasferito all’80° Reggimento e dopo qualche anno fu addetto al comitato delle armi di fanteria e cavalleria. Nell’ottobre del 1887 venne trasferito al 5° Reggimento e il 31 luglio 1892 ottenne di essere collocato in posizione di servizio ausiliario, ricevendo la decorazione della croce di cavaliere della Corona d’Italia. Nel 1896 venne collocato a riposo e iscritto col grado di Maggiore nel ruolo degli ufficiali di riserva. Tre anni dopo, per speciali benemerenze, fu decorato della croce di cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Amico del Bottego, e come lui attratto dal fascino delle esplorazioni coloniali, nel 1901, senza il concorso finanziario di alcuno, partì per la cirenaica, percorse in dieci giorni l’altipiano del Barca da Bengasi a Derna e compilò poi una memoria che la Società Geografica Italiana, corredandola di carte desunte da esatti e preziosi schizzi del Pedretti, pubblicò dopo la sua morte, nel novembre 1903. Ritornato a Roma, dove si era stabilito colla famiglia, fu ricevuto in udienza dal Re al quale diede relazione del suo viaggio. La sua fama rimane legata all’esplorazione delle alture dette Gebel el Achdar, di cui lasciò memoria in Una escursione in Cirenaica nel 1901. Appunti di viaggio, pubblicata nel 1903 nel Bollettino della Società Geografica Italiana. Relazione che lo stesso Pedretti non poté vedere stampata a causa dell’improvvisa morte avvenuta nello stesso anno. Dal resoconto del viaggio, nulla viene detto riguardo alla genesi e all’organizzazione dell’iniziativa, né come egli sia potuto giungere in Cirenaica nonostante il divieto delle autorità turche che proibivano l’accesso agli stranieri adducendo il pretesto che il brigantaggio vi fosse molto diffuso. Le difficoltà che si presentarono al Pedretti risultano più evidenti se si tiene conto che già i membri della missione di Camperio e Haimann avevano percorso nel 1881 l’altopiano con l’incarico di contattare il Gran Senusso in vista di un accordo anti-turco, ma l’ambasceria di Camperio, sostenuta politicamente e materialmente dal Carioli, non andò a buon fine in quanto non riuscì a incontrare il capo della confraternita musulmana e altresì si vide restituire, da emissari senussi, i regali che gli aveva portato come omaggio. Dallo studio di Angelo Del Boca Gli italiani in Libia si apprende che, falliti i tentativi precedenti, la scelta degli agenti non cade più su commercianti come il Mamoli, o su viaggiatori di alto rango, come il Camperio, ma su professionisti dell’informazione come gli ufficiali di stato maggiore. È il caso di Pedretti che, raccogliendo valide notizie, riuscì a completare le missioni dei suoi predecessori. Riuscì infatti a concludere tranquillamente la sua escursione, senza incontrare pericoli o incappare in disavventure, nonostante l’ostilità delle sette musulmane nemiche dei cristiani. Accorto osservatore dei tratti umani, il Pedretti lasciò un quadro adeguato della popolazione del Barca (che ritenne non arrivasse a 20000 anime) composta principalmente da Berberi, Beduini e Arabi. Di essi dice che sono d’indole buona e generosa; ma fieri e di abitudini rozze e pressoché selvagge, per il tristo abbandono in cui sono lasciati, questi popolatori dell’Altipiano si sono da qualche anno un po’ civilizzati, mercé l’opera paziente e indefessa dei Senussi che ne hanno discretamente migliorato i costumi. Lungo il suo percorso, da Bengasi a Técnis e da Cirene a Derna, seguì tratti per gran parte dei quali non esisteva nessuna descrizione. Fu molto attento a cogliere la presenza e i luoghi legati al culto senusso, una confraternita con connotazione fortemente anti-cristiana i cui centri principali erano le oasi di Giarabub e di Cufra. In dieci giorni di esplorazione censì con cura militare una decina di zàuie, specie di conventi che erano le uniche abitazioni stabili della regione dell’altopiano, ubicate in luoghi con presenza d’acqua. Di norma erano abitati da pochi frati senussi da cui dipendevano numerosi beduini addetti alla coltivazione dell’area circostante. In questi monasteri, che fungevano anche da scuole, si svolgevano al contempo attività legate al culto e alla preghiera, ma servivano anche come ospizi e depositi sia di vettovaglie che di munizioni e armi. Un po’ dappertutto erano inoltre disseminati marabut, mausolei-tombe di santi musulmani: il pedretti ne contò circa una quindicina. Oltre al radicamento della setta senussa, il suo interesse fu rivolto alla possibilità di insediamento che la Cirenaica poteva offrire: annotò le vie di comunicazione che incontrava o di cui aveva notizia, la conformazione del terreno e specialmente la presenza di sorgenti poiché la zona, se si esclude l’Uadi Derna, è priva di corsi d’acqua permanenti e tale problema da sempre aveva preoccupato i visitatori stranieri. Accanto alle bellezze delle oasi e degli appezzamenti coltivati, il Pedretti nota con rammarico che attorno a Cirene risiedevano solo alcuni gruppi di pastori e che l’antica Pentapoli greca, un dì assai fiorente e popolata; la patria di Callimaco, di Eratostene, poeta anch’esso, filosofo, astronomo, geografo e geometra, di aristippo, di Carneade e di tanti altri saggi che portarono ad alta fama la filosofia cirenaica, la quale aveva per base il piacere come bene supremo della vita fosse ridotta nel totale abbandono. Giunto a Derna il 13 marzo 1901, punto in cui si era dovuta arrestare la spedizione del Camperio, risalì il corso dello Uadi Sciuàr spingendosi sino a Sidi Aziz e facendo poi ritorno in città attraverso la pianura di Feteia. La descrizione tracciata dal Pedretti dei centri urbani cirenaici si rivelò un sussidio tanto prezioso da venire in seguito utilizzata nella monografia di Arcangelo Ghisleri Tripolitania e Cirenaica, in cui l’autore riporta quasi integralmente le pagine del Pedretti relative agli abitanti del Barca, aggiungendo il seguente commento: gioverà che, occupando il paese, gli Italiani si ricordino di queste preziose note del maggiore Pedretti, e informino a cauta saggezza civile i loro rapporti cogli abitanti dell’altipiano e con i loro veri reggitori ed educatori che sono i Senussi. Il Pedretti fu, oltre che un colto e ardito ufficiale, un infaticabile alpinista.Fece sempre le sue escursioni con scopo scientifico e con intendimento militare, per una maggiore difesa delle frontiere italiane. Compì la maggior parte di tali escursioni durante il tempo in cui fu tenente alla scuola militare: particolarmente interessanti riuscirono quelle fatte ai confini del Trentino nel 1875, che furono largamente descritte dal periodico del Club Alpino Italiano e dall’annuario della Società alpina del Trentino. Per dare un’idea della sua attività di alpinista, basti dire che nel solo mese di agosto del 1875 ascese il giorno 3 il grauhaupt (m. 3462), il giorno 5 il gabelhorn (m. 4097), il 6 il Balmenhorn (m. 4156) e il 26 l’Adamello (m. 3556). Il Pedretti fu il fondatore della sezione del Club Alpino Italiano dell’Enza (Parma e Reggio). Nell’arco della famiglia nel cimitero di Parma, dove il Pedretti fu sepolto, si legge la seguente epigrafe: Il Magg. Cav. Pedretti alunno della scuola milit. di Modena nella quale fu per molti anni maestro ottenne la medaglia dei valorosi pugnando da prode nella campagna del 1866 rese utili servigi alla patria e all’esercito viaggiando all’estero e pubblicandone lodati insegnamenti pei quali si meritò le insegne dei nostri massimi ordini cavallereschi. Morì inopinatamente in Roma il 9 settembre 1903 a 56 anni tra il compianto della vedova e del fratello che gli pongono questa memoria.
FONTI E BIBL.: G.Ferrari, Cenno biografico nella ristampa dell’opuscolo del Pedretti, Una escursione in Cirenaica nel 1901, eseguita per conto dell’Ufficio Storico del comando del Corpo di Stato Maggiore, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1913; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 193; Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 133-135; M. Bonati, 50 Esploratori dell’Africa e dei Poli del XIX e XX secolo, in Trekking n. 47, maggio 1991; A. Del Boca, Gli italiani in Libia-Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, Arnoldo Mondadori, Cles, 1993; A. Ghisleri, Tripolitania e Cirenaica (dal Mediterraneo al Sahara), Società Editoriale Italiana e Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Milano-Bergamo, 1912; A.Lambertini, Un esploratore parmense in Cirenaica nel 1901, in Aurea Parma 2 1913, 61-64; S.Zavatti, Uomini verso l’ignoto-Gli esploratori del mondo, G.Bagaloni, Ancona, 1979; G.Scala, in Trekking 89 1995, 80-82.

PEDRETTI DOMENICO
Bannone 1893-Bannone 1967
Prese parte alla prima guerra mondiale con gli alpini del battaglione Intra, rimanendo ferito tre volte. Rientrato alla vita civile da grande invalido, fondò con Priamo Brunazzi, giuseppe Balestrazzi e altri l’Opera Nazionale mutilati e Invalidi di guerra. Dopo l’8 settembre 1943, con i figli Enrico e Francesco, entrambi partigiani, trasformò la propria casa in un luogo d’incontro e di rifugio per i ribelli all’occupazione tedesca.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 237.

PEDRETTI FRANCESCO ANTONIO
Bannone 1923-Parma 26 aprile 1985
Studiò a Parma, prima al San Benedetto e poi al Maria Luigia, dove ebbe come maestri di vita e di democrazia, insieme a Giacomo Ulivi, don Giuseppe Cavalli e Attilio Bertolucci. Si laureò quindi presso l’Università di Parma in medicina, conseguendo successivamente la specializzazione in reumatologia. Di famiglia di grande tradizione patriottica, democratica e antifascista, seguendo l’insegnamento del padre Domenico, grande invalido della guerra 1915-1918, partecipò giovanissimo alla resistenza, divenendo ben presto comandante di distaccamento e poi del battaglione Ildebrando Cocconi, della terza brigata Julia, col nome di battaglia di Antonio. Durante la guerra di liberazione condusse diverse azioni, la più importante delle quali fu l’attacco alla caserma di Basilicanova, per la quale, insieme ad altre avvenute nelle zone di Lesignano, Mulazzano e nella prima pianura, si meritò la medaglia d’argento al valore militare. Nella sua professione di medico svolse l’attività professionale all’Unità Sanitaria Locale e nel proprio studio di borgo Regale a parma. Dal 1981 al 1984 fu anche consigliere all’Assistenza pubblica Croce azzurra di Traversetolo. Esplicò il suo impegno politico, per il quale profuse in tempi diversi energie e intelligenza, anche a Traversetolo, dove si presentò nella lista del Partito socialista Italiano alle elezioni amministrative. Leonardo Tarantini, suo compagno di battaglia nella guerra di liberazione, lo ricordò con un’orazione funebre che si tenne al termine delle esequie presso il cimitero di Traversetolo.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 28 aprile 1985, 7.

PEDRETTI GAETANO
Parma 8 settembre 1817-Parma 7 giugno 1883
Figlio di Andrea e di Annunziata Ceresini. Volontario nelle guerre per l’indipendenza italiana, combatté strenuamente a Somma, a Goito, a Palestro, a Pastrengo e a Santa Lucia. Fu il primo sindaco di Montechiarugolo. Fu dotto cultore di studi per il miglioramento delle coltivazioni e ingegnoso meccanico.
FONTI E BIBL.: G.Mariotti, in Il Presente 9 giugno 1883, n. 156; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 57.

PEDRETTI PAOLO
Parma 1937-1991
Dopo gli studi liceali, a un passo dalla laurea in Giurisprudenza, diventò giornalista professionista  alla Gazzetta di Parma. Uomo di vasta cultura, si segnalò come cronista sensibile e raffinato, poi (allievo di Pietro Bianchi, sul quale pubblicò il libro Il portoghese indiscreto) fu critico cinematografico e redattore della terza pagina e del Nuovo Raccoglitore del quotidiano parmigiano. Cultore del dialetto, curò la rubrica Lassù in loggione, dedicata alle prime della stagione lirica (raccolte nel 1992 in un volume edito da Guanda-Gdp Editrice).
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, in Dizionario parmigiani, 1997, 237.

PEDRETTI TEODORO
Parma seconda metà del XVI secolo
Ricamatore attivo nella seconda metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IV, 232.

PEDRINI ANGELO
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato con requisitoria, con la seguente motivazione: Altro dei disarmatori della truppa, feccia di popolo, vegliato per delitti commessi e condanne sofferte, quindi capacissimo a delinquere.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le province Parmensi 1937, 197.

PEDRINI ANTONIO
Sissa 1896/1914
Tenente medico del 2° Battaglione indigeni eritrei, fu decorato di medaglia di bronzo al valore militare, con la seguente motivazione: Per il bel coraggio tenuto nell’adempimento dei suoi doveri durante il combattimento di Kaulam, 27 luglio 1914. Si distinse anche nei combattimenti di Bir Gandula, 21 aprile, Bir El Mis, 14 giugno, Kasr-Te Kasis, 21 giugno, e Mhelmen, 13 luglio 1914.
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G.Sitti, Glorie alla conquista dell’Impero, 1937.

PEDRINI ANTONIO
Parma XIX secolo-Colorno
Attore. Esercitò inizialmente la professione di legatore di libri nel negozio Carmignani in Piazza Grande a Parma. Recitò le prime volte in teatrini privati in ruoli femminili, poi entrò, come primo attore giovane, nella compagnia Filodrammatica. Fattosi comico, andò in varie città italiane con compagnie di secondo ordine. Fu colpito da una grave forma di alienazione mentale, che lo portò a immedesimarsi nella persona del grande attore comico Tommaso Salvini. Alla fine fu relegato nel manicomio di Colorno, ove morì.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 giugno 1922, 4.

PEDRONI ATTILIO
Parma 3 settembre 1893-1964
Figlio di Italo e di Eugenia Gatti. Da ragazzo entrò nel negozio del padre (in strada Garibaldi a Parma) che commerciava in cuoio. Appassionato di teatro lirico e dotato di una buona voce di tenore drammatico, studiò a Parma con il maestro Gerbella, poi a Milano con il maestro Bavagnoli. Suoi compagni di studi, con i quali rimase in rapporto di amicizia, furono i tenori Fagoaga, Pertile e Gigli. Terminati gli studi, venne ascoltato con interesse da Toscanini e la sua carriera artistica sembrava avviata verso sicuri successi, senonché la malaria, contratta durante la guerra in Macedonia, e una grave forma di rinite lo costrinsero a interrompere l’attività vocale. Pur di poter continuare a calcare le scene, si sottopose a tre interventi chirurgici ma senza i risultati sperati, così che dovette tornare a lavorare nel negozio paterno.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 237.

PEDRUSI PAOLO
Mantova 1644-Parma 20 gennaio 1720
Entrò assai giovane nei Gesuiti di Parma per farvi gli studi. Fu poi aggregato alla Società gesuitica e da quel momento si dedicò totalmente ai lavori letterari e di pubblica istruzione. Il duca di Parma Ranuccio Farnese lo scelse nel 1680 per fare il catalogo ragionato delle medaglie, di qualsiasi modello e metallo, della ricca raccolta Farnese. Il Pedrusi, che nel frattempo era diventato direttore del Collegio gesuitico di Parma, si mise al lavoro con un’infaticabile attività. Corredò la descrizione di ogni medaglia di un ampio commento, spesso erudito ma non sempre criticamente corretto. La morte lo colse mentre stava terminando l’ottavo tomo in foglio di tale grande opera. Il Piovene, altro gesuita dello stesso convento di Parma, si assunse il compito di recare a compimento l’opera del Pedrusi. Pubblicò successivamente altri due volumi, il ché accrebbe l’opera a 10 volumi, dei quali il primo era comparso a Parma nel 1694 col titolo I Cesari in oro, argento, medaglioni, raccolti nel Farnese Museo, col ritratto del Pedrusi, mentre il decimo e ultimo fu pubblicato nel 1727.  
FONTI E BIBL.: Biografia universale, XLIII, 1828, 158-159.

PEGOLOTTI FRANCESCO
Parma 1590
Sacerdote, fu tenore della Cattedrale di Parma nell’anno 1590.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

PEGOLOTTI ROMOLO
Parmigiano-Parma 1630
Già prima del 1600 poetava con giusti pensieri e sodi riflessi, onde fu ammesso nel novero dei Consorziali di Parma, istituzione che accoglieva uomini degni per sapere, prudenza e pietà. Morì quasi certamente per la peste. Tra l’altro, il Pegolotti scrisse due epigrammi latini, uno per le nozze Sanvitale-Salviati e l’altro per la laurea di Diofebo Farnese.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 2 1958, 119.

PEGORARI ANTONIO
Parma XV/XVI secolo
Maestro da muro attivo nella seconda metà del XV secolo e nella prima metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, II, 273 e III, 327.

PEGORARI DONNINO
Parma seconda metà del XV secolo
Ingegnere civile attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, II, 343

PEGORARI PIETRO
Parma seconda metà del XV secolo
Maestro da muro attivo nella seconda metà del XV secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, II, 273

PELACANE, vedi PELACANI

PELACANI ANTONIO
Parma 1250 c.-Verona 1327
Fu filosofo, medico e astronomo. Nel 1299 fu maestro in Arte e Medicina nello Studio Parmense.Da Parma passò a Pavia e, dopo il 1302, a Verona. Quasi ceramente fu a Bologna come lettore di medicina tra il 1316 e il 1326. Di lui si conoscono, tra l’altro, un commento al primo libro del Canon di Avicenna nella reportatio di Alberto Zancari da bologna (Biblioteca Apostolica Vaticana, codice vaticano latino 4452, ff. 1r-74vb; Monaco, bayerische Staatsbibliothek, Clm. 13.020, ff. 226-267), una Quaestio utrum primum principium sive deut sit potentia infinita (biblioteca Apostolica Vaticana, codice Vaticano latino 2172, ff. 55r-57v) e delle Quaestiones super librum Galieni de accidente et morbo (biblioteca Apostolica Vaticana, codice Vaticano lat.ino 4450, ff. 50-73), tutti e tre inediti. Inesatta pare ormai l’attribuzione al Pelacani delle Quaestiones super librum Ethicarum Aristotelis (biblioteca Apostolica Vaticana, codice vaticano latino 2172, ff. 1r-33v). Oltre le scarsissime note biografiche, interessanti notizie sul Pelacani si hanno dai verbali del processo intentato dalla curia di Avignone contro Matteo e Galeazzo Visconti per aver mirato alla morte del papa Giovanni XXII con pratiche di magia nera. Dalla testimonianza di Bartolomeo Cagnolato, frate milanese, si apprende che Magister Anthonius Pelacane fu presente al convegno promosso da Matteo Visconti in Milano per approntare delle pratiche magiche efficaci a procurare la morte del papa. Risulta inoltre che magister Antonius parmensis era consiliarius et medicus dicti Mathei e che era stimato come magnus hereticus. Fu lo stesso Pelacani a recarsi, su ordine del principe, da Milano a Verona il 18 novembre 1319 per consegnare al negromante veronese Pietro Nani una statuetta raffigurante Giovanni XXII e farla esporre ad appositi suffumigi. Dalla testimonianza del Cagnolato risulta anche che Galeazzo Visconti gli avrebbe rivelato di aver fatto ricorso, per lo stesso scopo, a magistrum Dante Aleguiro de florentia. La notizia non è altrimenti confermata ma sta comunque a indicare il tipo di considerazione in cui era tenuto il poeta fiorentino, non solo per ragioni politiche ma per la carica profetica e divinatoria con cui era avvertito dalla cultura dell’epoca il suo messaggio di rinnovamento ecclesiale. Oltre questa comunanza di ambienti e di pratiche magico-alchimistiche, il nome del Pelacani fu citato anche dal Nardi a proposito di una sua soluzione del problema, affrontato anche nella Quaestio, dell’emersione della terra dalle acque. La soluzione fu data dal Pelacani nel citato commento al Canon di Avicenna (Fen I, doc. 2) dove dedica al problema un’apposita dubitatio. Il Pelacani rifiuta la teoria dell’eccentricità delle due sfere, della terra e dell’acqua, affermando che l’emergere della terra dalle acque è determinato dal rifluire di queste ultime nelle concavitates o vacuitates dell’irregolare sfera terrestre, dando luogo così ai laghi, ai mari e all’oceano intero. Non si tratta quindi né di due sfere distinte né di un’elevazione della terra per l’influenza astrale, bensì di un unico globo terracqueo in cui l’elemento liquido si è venuto distribuendo in rapporto alle irregolarità (prominenze o avvallamenti) della superficie terrestre: Ideo natura simul construxit spaeram terrae et aquae, ex eis unam constituens speram, ita quod in tera ordinavit vacuitates in quibus aqua continebatur; unde et mare oceanum partes habet terae eam circundantes, in quibus continetur; tamen homines ad illas pervenire non possunt, propterea quod exeuntes per ispsum amitunt polum qui est citra lineam equinocialem, unde nescitur amplius quo vadant. Ita quod credo quod ultra mare oceanum sit locus habitabilis. Ista autem spera terae et aquae simul constituta ad unam pervenit superficiem, concentrica existens octavae sperae. Da notare, tra l’altro, l’ardita credenza del Pelacani nell’esistenza degli antipodi. La soluzione del Pelacani che considera il globo terracqueo nel suo insieme, ordinato dalla natura come un tutto unico, è analoga a quella di Dante che nel Convivio (III v. 7 ss.) considera la terra discoperta dal mare (§ 12) come una palla, cioè un globo terracqueo anch’esso unico e centro delle sfere celesti: questa terra è fissa e non si gira, e col mare è centro del cielo (§ 7). Data la stretta analogia tra la posizione del Pelacani e di Dante nel Convivio, dato anche che tale posizione comporta nel Pelacani un esplicito rifiuto della teoria dell’eccentricità delle due sfere e addirittura il silenzio sulla teoria della terra come gibbus o gibbositas provocata dall’influenza degli astri, un analogo rifiuto dovrebbe riscontrarsi in Dante verso una soluzione che è invece quella offerta dalla Quaestio. Questa contraddizione, tra l’altro, è una delle ragioni che ha indotto il Nardi a negare la paternità dantesca della Quaestio, in considerazione della vicinanza della concezione della concezione cosmografica di Dante con quella più accreditata del suo tempo, che aveva ignorato la teoria egidiana del gibbus e quella dell’eccentricità di Campano. Il Pelacani fu sepolto nella chiesa di San Fermo Maggiore in Verona.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, Parma 1789, 37; K. Eubel, Vom Zaubereinnesen des 14. Jahrhunderts, in Historisches Jahrbuch XVIII (1897), 610 ss.; G. Biscaro, Dante e i sortilegi di Matteo e Galeazzo Visconti, in Archivio Storico Lombardo XLVII 1921, 446-451, 456-457, 471-473, 476-481; A. Garosi, Siena nella storia della medicina (1240-1555), Firenze, 1958, 250; B. Nardi, La caduta di Lucifero e l’autenticità della “Quaestio de aqua et terra”, Torino-Roma, 1959, 51-60 (il testo della Dubitatio del Pelacani è dato alle pp. 55-58); F.Mazzoni, il Punto sulla Quaestio de aqua et Terra, in Studi danteschi XXXIX (1962), 43 ss.; Aurea Parma 3 1951, 184; Pezzana, Continuazione delle Memorie, VI, 95 ss.; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova, 1877, 298; N. Pelicelli, Dante, gli Aldighieri di Parma, A. Pelacani, Parma, 1921, 71 ss.; M. Varanini, Verona ed uno dei Domini doctores de Collegio artium et medicinae felis Studii parmensis, Fidenza, 1929; U.Gualazzini, Corpus Statutorum Almi Studij parmensis, Milano, 1946, XXIII; G. Stabile, in Enciclopedia dantesca, IV, 1973, 366-367.

PELACANI BIAGIO
Costamezzana 1347-Parma 23 aprile 1416
Nel 1374, appena laureato in medicina a Pavia, assunse l’insegnamento di filosofia e logica in quella Università, dove rimase sicuramente fino al 1378 benché soltanto nel 1377 il suo nome in qualche modo compaia nei documenti ufficiali e solo per il 1378 la sua presenza in quella città sia data per provata e certa. Da Pavia passò all’Università di bologna, ufficialmente con l’anno accademico 1379-1380 (ma si ha motivo di credere che la sua prima comparsa nella città emiliana risalga all’anno precedente), e come insegnante di Logica, Filosofia e Astrologia il suo nome figura regolarmente nei rotuli dei docenti di questo Studio per gli anni 1380, 1381 e 1382. Manca il ruolo per l’anno 1382-1383, mentre per l’anno successivo il suo nome non appare più. Infatti nel maggio del 1384 lo si trova a Padova al servizio dei da Carrara, e la circostanza risulta documentata. Rimase a Padova fino al 1387, ma prima del 1386-1387 il suo nome non compare negli atti ufficiali di quella Università. Per l’anno 1387-1388 risulta nuovamente a Bologna, e fu questo il suo ultimo soggiorno in quella città. Nel dicembre del 1387, tuttavia, fu ancora a Padova poiché risulta (e l’Affò ne dà atto) che in quell’anno promosse in compagnia di Marsilio da S. Sofia alla filosofica laurea Antonio figlio di Cermisone da Parma mentre contro Giovanni da Santa Sofia, fratello di Marsilio e autore di Sentenze, avrebbe aspramente cobattuto Albertino rinaldi, vertendo la disputa su questioni di scienza medica. In un periodo di assenza dalle università italiane, è segnalata dalle fonti e riferita in uno scritto dello stesso Pelacani, la sua presenza a Parigi, ove forse ebbe modo di confrontare le sue dottrine con i dotti transalpini, nei quali dovette suscitare una forte impressione se, stando a una notizia raccolta dall’Affò, così qualcuno di loro si sarebbe addirittura espresso sul suo conto: Aut Diabolus est, aut Blasius Parmensis. Più costante dovette essere il suo soggiorno a Pavia dal 1389 al 1407, dove insegnò filosofia morale e naturale e astrologia. Il periodo pavese del Pelacani avrebbe subito una sola interruzione, che a rigore non potrebbe nemmeno ritenersi tale dal momento che tutto lo studio visconteo si trasportò da Pavia a Piacenza nel 1398 per motivi assolutamente contingenti (la peste in Lombardia) e rientrò poi in sede nel 1402. Seguì poi un’altra sosta del Pelacani a Padova dal 1407 al 1411. In quel periodo ebbe tra i suoi discepoli Antonio Baratella. Pare che in questo periodo padovano, il Pelacani fosse stato avvicinato da Vittorino da Feltre, il quale ripetutamente chiese di essere istruito nelle scienze matematiche ottenendone sempre un rifiuto. Nullius precibs, nulloque beneficio poterono piegare il Pelacani, come riferisce Francesco da Castiglione, discepolo di Vittorino da Feltre. Pare certo all’Affò che il carattere piuttosto difficile e duro del Pelacani abbia impedito ogni affiatamento tra maestro e discepolo prima che addirittura scopiasse tra i due un totale dissenso di cui più tardi il Pelacani stesso ebbe a dolersi. Il Pelacani fu licenziato il 15 ottobre 1411. Sembra che il licenziamento fosse stato determinato da motivi diversi da quelli ufficialmente addotti (la scarsità di allievi alle sue lezioni). Si sussurrò che pesasse sul Pelacani la fama di uomo venale e interessato, ma il vero motivo forse ancora sfugge. Che il Pelacani fosse assai attaccato al denaro, lo dimostrerebbe la facezia che riporta il Pezzana (Continuazione delle memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VI, II, 946), ove è detto che, siccome il Duca di Milano, nella guerra contro i Veneziani, pagava innanzitutto i soldati, il Pelacani, che allora era professore all’Università di Pavia, si arruolò tra i balestrieri, rispondendo poi alla meraviglia di Gian Galeazzo Visconti che quando si pagava li Dottori, io leggevo volentiera; adesso che si paga gli soldati, voglio esser soldato. Si sa solo che, uscito da Padova, ripiegò a Parma (lo studio parmense fu riaperto in quegli anni da Nicolò d’Este), da dove mancava almeno dal tempo del dottorato in Pavia (1374), ossia da una quarantina d’anni, e assunse l’insegnamento nella Facoltà delle Arti dove ebbe collega, tra gli altri, Giorgio Anselmi. Tenne la cattedra fino alla morte, avvenuta cinque anni più tardi. Il Pelacani frequentò gli ambienti culturali di Padova e Firenze e commentò l’Organon, il De Anima e la Physica di aristotele. Ma il suo maggiore interesse fu rivolto alla trattazione di problemi di natura fisica, che costituirono argomento di discussioni vivaci e originali tra rappresentanti di alcune scuole del tempo. Oltre al Tractatus de latitudinibus formarum, al De tactu corporum, al De motu, e al De intentione et remissione formarum, merita un certo rilievo il Tractatus de ponderibus in cui vengono discussi problemi di statica e di meccanica, in armonia con le dottrine della scuola di Buridano e del Merton College (Oxford). Le sue opere sono una testimonianza del nuovo orientamento culturale che si venne delineando nell’autunno del Medioevo, e segnarono un progresso nello studio della fisica, portando un loro contributo alla nascita delle scienze sperimentali. Oltre ai meriti riconosciuti da letterati come il Tiraboschi, il Bettinelli e l’Andrés circa il contributo dato dal Pelacani alla promozione e illustrazione degli studi scientifici, il Pelacani va ricordato anche come esponente della corrente alessandrista, culminata nelle dottrine deterministico-razionalistiche di Piero Pomponazzi. Anticipando le teorie del filosofo mantovano, il Pelacani negò, in particolare, la divisibilità della materia in infinito e propugnò il principio della mortalità dell’anima, fondandolo sul vincolo di dipendenza che lega la conoscenza intellettiva a quella sensibile. In Astrologia indulse all’usanza dei tempi, se è vero quello che del Pelacani racconta Andrea Radusi (Chronicon Tarvisinum, R.I.S., XIX, 787): il Pelacani, consultato da Francesco da Carrara per le sue imprese militari, gli predisse il giorno e l’ora più propizi per attaccare i suoi avversari Scaligeri. Sta di fatto però che, quando il Pelacani poteva comprendere le ragioni naturali dei fenomeni, non ricorse a quelle arcane, come dimostra l’episodio seguente, ricavato dall’Affò dal De perspectiva del Pelacani stesso: Accadde una volta in Milano, che furono vedute per l’aria molte figure di Angeli con certe trombe in mano ascendere e discendere tra le nubi. Il popolo ne concepì grandissimo terrore ed ognuno può credere quali presagi se ne pigliassero; ma Biagio facendo osservare la statua dorata di un Angelo posto su la torre di S. Gottardo, che una tromba o spada che si fosse teneva in mano, insegnò come le nubi, disposte allora in modo da farsi specchio molteplice a quella figura, producevano, riflettendola, tali apparenze. Al Pelacani venne eretto un sarcofago di marmo presso l’ingresso principale del Duomo di Parma, con una iscrizione ricca di affetto e ammirazione. Il sarcofago è scomparso ma la lastra centrale di esso, recante l’epitaffio, fu incastonata nella facciata del Duomo a destra della porta centrale. L’urna fu infranta forse perché sporgeva troppo sulla facciata, e nel muro furono sistemati i tre pezzi dei fianchi e della fronte. In essi sono scolpiti elementi illustranti le attività e i titoli del Pelacani. Nel fianco del sarcofago, a sinistra dell’osservatore, entro una formella gotica si vedono due scudetti nobiliari in rilievo. Sul primo è rappresentato un cane con le lettere Bla sopra lo scudo, e sull’altro un albero con le radici scoperte sormontato dalle lettere An. Nella lastra che fu della fronte del sarcofago sono due edicole, divise da una lunga dicitura in gotico minuscolo. Nell’edicola di destra è la figura in piedi del Pelacani. Sotto ai suoi piedi si legge la dicitura Magi Blagi e sopra il capo Mtr. Blasus Parm. Il Tiraboschi lo chiama filosofo e matematico insigne, il Bettinelli ne parla con onore nel Risorgimento d’Italia, Luca pacioli dichiara di essersi giovato assai delle opere di Biagio da Parma, Dechales lo elogia per le opinioni sulla rifrazione, persino Leonardo da Vinci (secondo il Thorndike) avrebbe utilizzato osservazioni ed esperienze del Pelacani. nel Paradiso degli Alberti, romanzo di Giovanni da Prato (1389 circa), lo si esalta come filosofo universale del suo tempo.
FONTI E BIBL.: R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea parma 6 1929, 5-6; W.H.Woodward, Vittorino da Feltre, Firenze 1923, 17 ss.; A.Codignola, Pedagogisti, 1939, 329; R. Pico, in Soggetti parmigiani illustri, Parma 1624, 134; I. Affò, Memorie, II, 108-115 (con bibliografia); A. Pezzana, Memorie, VI, 123 ss.; S. Bettinelli, Del Risorgimento d’Italia, I, 326 (ove lo dice dotto in filosofia, in ottica, e astronomia); G. Voigt, Il Risorgimento dell’antichità classica (trad. Valbusa), Firenze, Sansoni, 533; R. Pitoni, Storia della Fisica, Torino, 1913, 73 (che ricorda il tractatus de ponderibus); nonché G.B. Janelli, Dizionario Biografico, 299-300; vedi anche U. Beseghi, Biagio pelacani,in Il Comune di Bologna, fasc. 5, 1933; per la tomba: F. Rizzi, Macrobio e Biagio pelacani,in Aurea Parma 1932 100 ss.; inoltre gli Statuti del’Almo Collegio Medico Parmense, pubblicati da M.Varanini in L’Ateneo Parmense 1930, 470; Aurea Parma 3 1951, 185-186; Aurea Parma 4 1957, 211-213; Dizionario filosofi, 1976, 135; G. Rossetti, Noceto e le sue frazioni, 1978, 179-180; Gazzetta di Parma 16 marzo 1981, 3; B. Quarantelli, in Gazzetta di Parma 20 giugno 1983, 3; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 27 febbraio 1989; B. Quarantelli, Appunti per una breve storia di Noceto, 1990, 36-37.

PELACANI FRANCESCO
Costamezzana o Parma 1373 c.-Pavia 1455
Figlio di Biagio. Si dedicò inizialmente agli studi di filosofia e di matematica. Il Doni, nel suo libro intitolato Il Cancelieri, narra a proposito del Pelacani questo curioso avvenimento: Francesco Pelacane volendo passare in Candia negli anni della sua gioventù, la quale haveva nell’Aritmetica et nella Geometria impiegati benissimo, se gli aperse per fortuna il navilio, e pochi se ne salvarono, ancora che fossero presso al lito; uno di quegli che si salvarono fu il Pelacane, che nel porto a Ragugia con una cassa vuota notando nudo pervenne. Fu raccolto volentieri da alcuni poveretti, ma di poi che si lasciò intendere che haveva alcune ricche mercantie in un Magazzino della Città, con le quali pagherebbe e vestimenti, et quanto dato gli fosse stato per coprire la sua nudità, trovò ciò che egli volse; e andatosene ad alloggiare all’hosteria, con bellissimi scritti, de’ quali era eccellente maestro, et figure, il dì seguente si fece conoscere; dove hebbe un concorso di scolari mirabile, et per conseguente dell’utile, in pochi giorni, et sodisfacendo chi l’haveva ajutato, disse, toccando sé medesimo: Questo è il magazzino pien di Mercantia, che non me lo posson torre né ladri di terra, né fortuna d’acqua (Il Cancelieri, Giolito, 1562, 29). Successivamente il Pelacani si applicò alla medicina, in cui ottenne la laurea e per la quale venne anche ascritto al Collegio dei Medici di Parma. Il Pelacani fu poi insegnante di Logica nell’Università di Pavia.La prima volta che si trova registrato il suo nome nei Rotoli dello Studio generale di quella città, è l’11 ottobre 1425, con destinazione per la cattedra appunto di logica nel conseguente anno scolastico, che cominciava il 18 ottobre: Ad lecturam Loyce Magister Franciscus Pellacanus fil. q.n.d. Magistri Blasii flor. LX. Egli vi aveva cominciato la lettura almeno due anni prima, come si ricava dal seguente documento (Lettera Magistrale): Egregie Frater Cariss.e Pro executione ducalium Litterarum nobis nuper emanatarum scribimus vobis quatenus egregio medicine doctori Mag.ro Francischo de Parma deputato ad lecturam Loyce in studio illius Civitatis pro salario addi faciatis florenos viginti, ita quod ubi habebat florenos triginta omni anno, nunc habeat florenos quinquaginta, de quibus faciatis sibi pro rata juxta ordines mensualiter responderi, incipiendo tempore quo ad dictam lecturam legere incepit in predicto studio novissime reformato. Dat. Mediolani die XXVIII. Martii MCCCCXXIIII: Subscript. Magistri Intratarum Cristophorus Beltramolus. In mansione Egr.o Fratri Cariss.o Referendario Papie. Se nel mese di marzo del 1424 gli venne fatto un aumento di 20 fiorini all’anno, è buon diritto credere che almeno avesse letto in quello Studio l’anno scolastico precedente, non essendo molto verosimile che gli fosse accordato un aumento di stipendio solo cinque mesi dopo la sua nomina. Dopo il 1425 il Pelacani si trova nei Rotoli e Registri predetti sino al 1447, e vi è sempre chiamato filius quondam Mag.ri Blasii, o Blaxii. Nel 1425 gli fu accresciuto il salario sino a 60 fiorini, nel 1430 sino a 80 e nel 1433 a 100, coll’obbligo di insegnare anche la filosofia naturale. Di quest’ultimo insegnamento fu incaricato anche nel 1435 e negli anni successivi con lo stipendio di 125 fiorini, che salirono sino a 160 nel 1439, a 200 nel 1441, a 300 nel 1443  e a 350 nel 1447. Dopo quest’anno non esistono più né i Rotoli né i Registri sino al 1455, nel quale anno non vi è più il nome del pelacani tra i professori e la sua cattedra è occupata da Giovanni Ghiringhelli. Il Pelacani fu aggregato al Collegio dei medici di Pavia, nei Convocati del quale si comincia a trovare il suo nome a partire dal 1440. Nell’anno 1440 il Pelacani, assieme a Gianmartino Garbazza e Giorgio Anselmi, fu delegato a riformare gli Statuti del Collegio dei Medici di Parma.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 165-168; A.Pezzana, memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 156-157; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 300.

PELACANI PEZZOLO
Parma 1347
Fu esperto di idrostatica e nell’anno 1348 fu eletto, assieme ad Andriolo Ferrapecora, soprastante allo scavo del nuovo naviglio del comune di Parma. L’anno precedente (7 febbraio) partecipò, in rappresentanza degli abitanti di Porta Parma, al Consiglio generale della comunità per coloro che erano stati banditi da Parma.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 108-109.

PELACORTE GIORGIO
Parma 1483
Maestro da muro e legname, ricordato in un atto notarile del 23 settembre 1483: M.ro Giorgio de Pillacurta e M.o Pietro de la hasta ambi della vic.a di S. Quintino ed ambi pure magistros a muro et lignamine. (Rogito di Antonio Maria Pavarani. Archivio Notarile di Parma)
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti parmigiane, 1911, 28.

PELAGATTI ANTONIO
Parma 3 dicembre 1846-1913
Figlio di Ferdinando e di Angela Maestri. Avvocato, fu eletto deputato di Parma nella XVI legislatura (1886). Eletto col voto dei moderati, alla Camera andò poi orientandosi verso sinistra, posizione che manifestò con i discorsi e col voto, finché si trovò politicamente a disagio, e nel febbraio 1889 rassegnò il mandato né volle più ripresentarsi. Le elezioni del 1882, le prime a suffragio allargato, avevano segnato nel Parmense il trionfo dei progressisti, cioè del gruppo del Presente, di formazione repubblicana ma ormai vicino alla Sinistra governativa. La politica trasformista avviata da Depretis provocò però, nel Parmense forse più che altrove, uno sconvolgimento del panorama politico. La maggior parte dei progressisti si radicalizzò avvicinandosi ai socialisti. Dall’altra parte si formò uno schieramento trasformista governativo con alcuni progressisti, i moderati, resi malleabili dall’ultima sconfitta elettorale, e soprattutto una nuova componente capeggiata dal Pelagatti, portatore di un ambizioso progetto moderato politicamente ma socialmente illuminato. Direttore della Cassa di Risparmio dal 1882, il Pelagatti fece di quell’ente una base di operazione: avviò una politica di piccolissimo credito, che lo rese popolare tra i ceti urbani più poveri grazie anche agli elogi del Presente, e instaurò rapporti con le società operaie, soprattutto democratiche, come la prestigiosa Mutua Garibaldi, con crediti e facilitazioni. Ma tutto ciò fu solo il primo passo verso una vera innovazione, la creazione cioè di un movimento cooperativo come strumento di pacificazione di classe. Il Pelagatti si dichiarò più volte seguace della scuola (di cui in Italia il Luzzatti fu il più autorevole campione) la quale riconosce nella cooperazione sotto le varie sue forme il rimedio più efficace per togliere l’eterno conflitto tra il lavoro e il capitale, stigmatizzando al contempo la neghittosità e il misoneismo delle classi dirigenti parmensi. La sua prima iniziativa, prevedibilmente, riguardò il credito, poiché la natura popolare e cooperativa delle due banche popolari cooperative già esistenti era in realtà assai dubbia. Nel marzo 1885, pertanto, con l’appoggio della Cassa di Risparmio, cinque società di mutuo soccorso promossero la banca Cooperativa Operaia G. Garibaldi.Le società fondatrici furono la Mutua Garibaldi, presso la quale, in borgo delle Cinque Piaghe, la banca ebbe sede, quelle di Barriera garibaldi e dei Reduci, di tendenze socialiste, e quelle delle Artigiane e dei Macchinisti e Fuochisti, apolitiche.Figurarono inoltre tra i promotori numerosi operai e alcune personalità della sinistra, come il musiniano Giovanni Pasetti e i democratici Augusto Armani e Luigi Mora. Scopo primario della banca fu di estendere il credito alle società e agli operai affinché potessero fruire dei vantaggi della previdenza e della cooperazione. Un anno dopo, nel marzo 1886, grazie a un credito di ben 15000 lire concesso dal Pelagatti, un gruppo di calzolai (una loro mutua non esisteva più) formò la prima cooperativa di lavoro, la Società per la fabbricazione di Calzature, che in ottobre, con la Banca Garibaldi, partecipò al congresso di Milano. I calzolai furono, insieme ai braccianti e ai muratori, tra le categorie più numerose, più misere e anche più riottose del proletariato urbano: assicurarsene il favore significò per il Pelagatti una buona base di popolarità. Aperto un magazzino in borgo della Macina, gli affari della Società prosperarono discretamente: i soci salirono da 110 a 200 e vennero aperte succursali di vendita in diverse città. Fin dai primi mesi di vita però la Cooperativa Calzolai ebbe una parte nella carriera politica del Pelagatti, e forse anche per quasto era stata promossa. Le elezioni generali furono fissate per il maggio 1886, e le grandi manovre iniziarono parecchi mesi prima. Difficile dire da quando il Pelagatti pensasse a una propria candidatura, certo è che l’operazione fu sapientemente orchestrata. Ufficialmente la candidatura nacque da un gruppo di operai, capeggiati dall’orologiaio Italo Isola, presidente della Mutua socialista Fratellanza e Umanità, dalla quale fu poi espulso come galoppino pelagattiano. La proposta raccolse l’adesione di centinaia di lavoratori, con numerosi calzolai, e si formò un Comitato Elettorale Operaio al quale il Pelagatti rivolse una lettera programmatica: non riteneva necessarie riforme politiche quanto piuttosto un governo illuminato che emanasse alcune leggi in favore dei diseredati, con la collaborazione delle amministrazioni locali e di tutti i volonterosi; in cambio però gli operai dovevano ricordare che soltanto dal lavoro, dall’istruzione, dalla previdenza e dalla cooperazione devono attendersi i benefizi cui hanno diritto, e non già dalle sterili agitazioni e dai disordini. Così il Palagatti divenne l’uomo di punta della lista trasformista, cui si contrappose lo schieramento formato dal Musini e dai progressisti radicalizzati del Presente. La polemica divenne presto furibonda. La sinistra identificò nel Pelagatti il pericolo maggiore e lo attaccò con grande violenza, accusandolo tra l’altro di aver comprato le adesioni operaie: 262 pelagattiani, tra i quali ben 125 calzolai, in gran parte soci della cooperativa, sottoscrissero una lettera di protesta e il Pelagatti querelò Il Presente per diffamazione. Pochi mesi dopo, al processo, la corruzione non potè essere provata e il giornale fu condannato. Aristo Isola però testimoniò che il cugino Italo aveva giustificato il tradimento anche col timore che il Pelagatti, in caso di insuccesso, potesse togliere l’appoggio alle cooperative costituite e costituende. Senza alcunchè di illegale, e forse nemmeno di riprovevole, il nesso tra progetto sociale e carriera politica appare comunque indubbio. I risultati furono nettissimi: i trasformisti ottennero quattro deputati su cinque, e poco dopo, in un’elezione suppletiva, anche il quinto. Il Pelagatti, di gran lunga primo degli eletti, apparve il vero protagonista della vittoria e i risultati del capoluogo, dove ottenne 1849 voti contro gli 812 del candidato socialista, manifestano un consenso anche di ambienti popolari. Il Musini, che vide allora il suo tramonto, serbò un ricordo amaro della triste epoca del pelagattismo, quando molti popolani si lasciarono traviare da promesse di lucri, di interessi materiali, per cui sembrò che le bandiere del diritto popolare si piegassero dinanzi al fantasma dell’oro. Ma, al di là degli aspetti strumentali e non sempre limpidi, il progetto del Pelagatti non fu affatto meschino: credette sinceramente, anche se ottimisticamente, nella pacifica evoluzione delle contraddizioni sociali come compito primario dei ceti dirigenti, grazie soprattutto a una crescita del cooperativismo nell’ambito di un più generale sviluppo economico, e alle sue idee si dedicò coerentemente finchè potè. Per il Pelagatti il periodo 1886-1889 rappresentò l’acme del successo. Oltre che direttore della Cassa e deputato, fu presidente della Camera di Commercio, consigliere comunale e provinciale, presidente dell’Esposizione industriale e scientifica parmense del 1887 e patrono di alcune mutue. Dove però si impegnò con maggiore tenacia fu sullo spinoso terreno del cooperativismo. Dopo il credito e la produzione, rivolse l’attenzione al consumo, facendo ancora leva sulla Mutua Garibaldi. Nell’ottobre 1886 questa pubblicò appelli per la creazione di una cooperativa di consumo, della quale un comitato promotore, con il Pelagatti e Asperti, stava studiando il progetto. Solo nel dicembre 1887 si giunse però alla costituzione ufficiale. A riprova di quanto l’azione del Pelagatti travalicasse i confini politici, tra i soci fondatori si trovano anche il radicale Cornelio Guerci e l’altro radicale Cesare Sanguinetti, che nelle elezioni del 1889 sconfisse clamorosamente il candidato pelagattiano. Contemporaneamente alla cooperativa di consumo, iniziò il suo itinerario quella dei muratori, con la quale il Pelagatti si pose un obiettivo ancora più arduo che coi calzolai. L’idea primaria sembra sia stata una cooperativa sul modello della Costruzione e Risanamento fondata a Bologna nel 1884. Nell’ottobre 1886 il Pelagatti accompagnò appunto a Bologna un gruppo di operai della Mutua Muratori per studiare quella cooperativa e per visitare lo stabile in costruzione nel quartiere di Sant’Isaia. In novembre i giornali pubblicarono inviti ad aderire alla costituenda Società e pochi mesi dopo venne stampato un progetto di statuto. Tuttavia ancora all’inizio del 1888 le adesioni erano solo una settantina e la Società non costituita. Il progetto riuscì a concretizzarsi, ma con una fisionomia essenzialmente bracciantile, solo dopo la legge del luglio 1889, che aprì nuovi spazi alle cooperative di lavoro. Nel dicembre di quell’anno il Pelagatti e alcuni altri, tra i quali Agostino Berenini, allora ancora radicale, fondarono la Muratori ed Arti Affini per la Città e Provincia di Parma: fu la quarta cooperativa pelagattiana. Proprio in quel periodo iniziò il declino del Pelagatti. Il suo attivismo sociale non poteva essere gradito alla componente moderata del trasformismo e l’alleanza si fece sempre più difficile. La rottura avvenne su un episodio di valore simbolico, il monumento eretto in Municipio a Girolamo Cantelli, il ministro della Destra tanto venerato dai conservatori quanto aborrito da tutti gli altri. L’inaugurazione, nel settembre 1888, provocò tumulti così violenti e prolungati che l’imbarazzato Pelagatti fece in modo di spostare il monumento alla Steccata. Incontenibile fu allora il furore dei moderati: i continui e violenti attacchi determinarono la definitiva scissione dello schieramento trasformista, con crisi municipale e, in gennaio, le dimissioni del Pelagatti da deputato. Dichiarò di volersi ritirare dalla politica ma il suo proposito era un altro: portare avanti le proprie idee con un più omogeneo gruppo politico fornito di un indispensabile quotidiano, che fu il Corriere di Parma, uscito nel febbraio 1889. Stretto però dalla crescita radicale e dalla riorganizzazione moderata, non trovò spazio sufficiente. Già in marzo, alle suppletive per sostituire il Pelagatti, il pelagattiano Spreafichi venne travolto dal Sanguinetti. In novembre, alle comunali di Parma (per la prima volta a suffragio allargato), la sinistra unita sconfisse moderati e pelagattiani, benché questi ultimi ottenessero parecchi voti. Sei mesi dopo, per riconquistare il comune, il Pelagatti si dovette riunire ai moderati, alienandosi il consenso popolare. Da allora il declino divenne sempre più rapido. Nel 1892 volle azzardare ancora la candidatura politica ma con risultati meschini. In quell’anno dovette rinunciare alle cariche della Cassa di Risparmio e della Camera di Commercio, e alla fine del 1893 il Corriere di Parma cessò le pubblicazioni. Negli anni seguenti la sua figura divenne evanescente. Nel 1902 si sparse addirittura la voce che fosse stato cacciato dal partito monarchico costituzionale. In seguito se ne perdono le tracce. Il cooperativismo che il Pelagatti promosse non riuscì né a fornirgli una solida base di consenso né a prosperare dopo il suo declino. La Banca Garibaldi visse i trenta anni statutari ma ebbe sempre ruolo e dimensione economica irrilevanti, non solo in confronto alla Cassa di Risparmio ma anche alla Banca Popolare, preferite dalle stesse Mutue e cooperative. Constatata la situazione, nel 1915 il Consiglio di Amministrazione decise di non rinnovare la Società, e la liquidazione, che si trascinò fino al 1922, fu affidata al socialista Italo Salsi.
FONTI E BIBL.: T. Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; A. malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1941, II, 296; cent’anni di solidarietà, 1986, 7-9.

PELAGATTI MARIO
Parma 4 luglio 1869-Calestano 1944
Figlio di Antonio e Teresa. Insegnò medicina all’Università di Parma dal 1910. Fu Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dal 1919 al 1930 e poi nel 1938-1940. Nel 1940 fu eletto Professore Emerito. Una nota delle sue pubblicazioni è negli Annuari dell’università di Parma dal 1910/1911 in poi. Parecchi studi del Pelagatti furono pubblicati in Rendiconti dell’Associazione Medico Chirurgica di Parma dal 1900. Presso la Biblioteca Palatina sono raccolte oltre trenta sue pubblicazioni.
FONTI E BIBL.: Annuari dell’Università per il 1939-1940 e per il 1945-1946 (cenni bio-bibliografici); S. Lottici-G. Sitti, 201; Supplemento al vol. I dell’Ateneo Parmense, 1929, 1 ss; F. Rizzi, Professori, 1953, 136.

PELAGATTI MAURETTA
Parma 1949-1988
Insegnante.Nel 1979 fu una delle fondatrici della Biblioteca delle donne di Parma, che dopo la sua morte assunse il suo nome.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 524.

PELAGATTI VINCENZO
Beneceto 1811-Boschi di Bardone 12 agosto 1885
Attese dapprima all’avvocatura, poi l’abbandonò per entrare nella carriera giudiziaria. Il 27 aprile 1848 fu eletto professore di Diritto civile all’Università di Parma. Valente magistrato e acclamato professore, continuò in tale duplice incarico sino al 1860, quando, per un non meglio precisato spaventevole misfatto (5 ottobre 1852), il Governo volle individuare un responsabile, e fu colpito il Pelagatti. Ritiratosi a vita privata, rifiutò per lungo tempo qualunque incarico, finché non venne eletto consigliere comunale di Parma. Con decreto 5 ottobre 1860 fu nominato Vice presidente della Commissione Amministrativa del Monte di Pietà di Parma. Accettò poi di dirigere l’economato dei Benefici vacanti, carica che occupò prima a Parma e poi a Bologna.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario Biografico, 1905, 86-87.

PELATI GIACOMO
Parma 14 marzo 1841-Pontremoli aprile 1916
Nel Conservatorio di Parma studiò viola e composizione. Fu professore nell’orchestra del Teatro Regio di Parma fino al 1860, quando abbandonò Parma per seguire la seconda spedizione garibaldina, non avendo potuto partire coi Mille. Una volta tornato a Parma, rientrò nell’orchestra del Regio. Dopo aver studiato con G.B. Ponzio, capo musica del 17° Reggimento fanteria, nel 1874, su invito di quel Municipio, si trasferì a Pontremoli come direttore della banda comunale Il Pelati compose L’inno alla patria, I giovani pontremolesi caduti nelle patrie battaglie, Iesu dulcissimi e Inno a Garibaldi.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 151-152.

PELATI ORESTE
Parma 9 agosto 1857-Parma 8 febbraio 1928
Allievo della Regia Scuola di musica di Parma dal 1876 al 1880, studiò contrabbasso e armonia. Uscitone, lavorò in diverse orchestre. Nel 1888 era docente di contrabbasso nella Scuola di musica di Port Luis nelle isole Mauritius, dove insegnavano anche altri diplomati della Regia Scuola di Parma.
FONTI E BIBL.: Dacci; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

PELAVICINO, vedi PALLAVICINO

PELERZI EUGENIO, vedi PELERZI PRIMO GENIALE

PELERZI PRIMO GENIALE
Pelerzo di Bergotto 20 agosto 1881-Tientsin 5 giugno 1942
Figlio di Giovanni e di Maria Beltrami, contadini. Dopo avere terminato le scuole elementari, fu inviato alla scuola che il parroco Francesco Jasoni tenne per i giovani della parrocchia che mostravano ingegno e buona volontà e davano speranza di vocazione ecclesiastica. Compiuti gli studi ginnasiali e liceali nel Seminario di Berceto, nel 1902 passò a Parma, a quello delle Missioni Estere. Fu ordinato sacerdote da mosignor Magani il 22 settembre 1905. Partì da Napoli per la missione di Loyian in Cina il 23 gennaio 1906, dove rimase per trentasei anni. Poco dopo il suo arrivo nel Honan, si insediò a Niuciuang. In sei anni convertì e battezzò 1200 persone, costruì la chiesa, la scuola e molte opere di assistenza. Dopo sei anni di permanenza a Niuciuang, durante i quali riuscì a raddoppiare la residenza e a moltiplicare i cristiani, passò (1912) nella parte occidentale della missione, dove gli venne affidato l’intero territorio che qualche anno dopo formò la Diocesi di Honanfu. Il Pelerzi si batté contro il colera, la fame e i briganti che infestavano la zona. In riconoscimento delle sue benemerenze in queste congiunture, Il Pelerzi ricevette dal governo cinese l’onorificenza della Spiga d’oro, e qualche anno più tardi fu fatto Cavaliere della corona d’Italia dal re Vittorio Emanuele di Savoja. Nel 1925 ritornò per un anno in Italia. Passato nuovamente in Cina, fu procuratore a Chengchow. Poi, dal 1932 al 1934, si trasferì a Tsingtao, sul mar Giallo. Dal 1934 al 1937 fu nuovamente in Italia, quindi rientrò a Tsientsin. Durante la seconda guerra mondiale venne arrestato come spia e incarcerato. Condannato a morte, venne riconosciuto innocente solo alla vigilia dell’esecuzione. La seguente epigrafe, incisa su una lapide di marmo sormontata dall’effigie in maiolica del Pelerzi, fu murata nella sua casa natale per iniziativa di monsignor Enrico Grassi: Da questa umile casa ove nacque il 20 agosto 1881 spiccava il volo alle conquiste della fede nel mondo il P. Cav. Egenio Pelerzi dell’Istituto Parmense S. Fr. Xaverio il quale con la parola, con le opere e con gli scritti per 36 anni intrepido missionario di Cristo alfiere d’italianità tra i barbari all’ampia regione Cinese del Loyan sul fiume Giallo profuse tesori di verità e di carità cristiana e coll’aureola di molte migliaia di battezzati e di catecumeni plaudenti al grande Europeo nella luce di magnanime prove e di gesta onorande il 5 giugno 1942 chiudeva santamente i suoi giorni nell’ospedale di Tien-tsin sotto l’incalzare degli eserciti nipponici in guerra contro la Cina.
FONTI E BIBL.: I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 179-181; P.Garbero, Missionari in Cina, 1965, 96-99; Gazzetta di Parma 26 agosto 1967, 8.

PELICELLI
Parma 1887/1907
Fabbro.Lavorò per Lamberto Cusani al Palazzo dell’Università di Parma (1907).
FONTI E BIBL.: Gli anni del Liberty, 1993, 157.

PELICELLI NESTORE
Colorno 17 settembre 1871-Parma 27 settembre 1937
Figlio di Davide e di Giulia Guasti. Frequentò le scuole elementari di Parma, e nel Seminario urbano fece tutti i corsi che lo portarono al sacerdozio. Venne ordinato sacerdote a Carignano il 22 settembre 1894 da monsignor Francesco Magani. Fu vice cancelliere della Curia vescovile nel 1895-1896, coadiutore nella chiesa di San Bartolomeo in Parma e nell’autunno 1896 professore di fisica e matematica nel Seminario Maggiore, ufficio che tenne fino al 1912. Il 1° maggio 1896 venne nominato cappellano della Magistrale Chiesa della Steccata, di cui diventò Prefetto il 10 ottobre 1902. Il 30 dicembre 1909 fu fatto Cavaliere della Corona d’Italia e il 2 gennaio 1912 Cavaliere Ufficiale. Nel 1900 fu nominato dal Ministero della Pubblica Istruzione ispettore onorario dei Monumenti della Città di Parma. Questo riconoscimento dimostra la grande stima che il Pelicelli godette per lo studio appassionato della storia di Parma da lui compiuto. Fu inoltre socio corrispondente della Regia deputazione di storia patria di Parma e della Società Nazionale per la Storia del risorgimento Italiano. Il Pelicelli si presentò al pubblico degli studiosi con la pubblicazione di Raguseide (1904), poemetto in esametri latini con traduzione in terza rima, dell’umanista Gian Mario Filelfio, tratto dal codice pergamenaceo n. 243 della Biblioteca Palatina di Parma. Per i suoi studi e le sue ricerche, il Pelicelli si recò in Grecia, Egitto, Palestina, India, Turchia, Francia e Germania. Le sue attitudini storiche si rivelarono con la pubblicazione nel 1906 del volume Il Concilio di Guastalla. Nello stesso anno pubblicò la Guida storica, artistica e monumentale della Città di Parma. Tale guida, subito esauritasi, si trasformò nell’altra dal titolo Parma Monumentale, di cui si ebbero quindici edizioni, e nella Guida Commerciale della Città e Provincia di Parma. Opera critica è I Vescovi della Chiesa Parmense (1936), di cui fu pubblicato il solo primo volume, e Signorie Feudali di Parma e suo Contado (1937). A queste pubblicazioni maggiori vanno unite molte preziose monografie di carattere storico-religioso, quali la Vita di S. Bernardo degli Uberti (1923), Il Vescovado di Parma (1924), S. Francesco del Prato e i Frati minori di Parma nel secolo XIII (1926), La Cappella Corale della Steccata (1916), e altri lavori storico artistici, quali Il Palazzo del Giardino (1930), Storia dell’Ospedale Maggiore (1935), Storia della Musica (1936), Busseto (1926), Salsomaggiore e dintorni (1920), I Monumenti dell’Agro Parmense, Nostra Signora della Cisa (1930), Pier Maria Rossi e i suoi Castelli, Palazzo vecchio del Comune di Parma e Palazzo del Capitano del Popolo di Parma, Dante e gli Alighieri di Parma (1921), Claudio Mérulo (1904). Il Pelicelli fu anche apprezzato collaboratore della Rivista Storica Benedettina, e della Guida d’Italia del Touring Club Italiano, di Note d’Archivio per la Storia musicale, del Kunsterlexikon di Lipsia, dell’Institut Historique Belge e della grande Enciclopedia Italiana del Treccani. Ricercatore diligente e scrupoloso, si adoperò per la valorizzazione della città di Parma e in particolare si batté per riportare alla luce le linee romaniche del Palazzo Vescovile. Il Pelicelli fu anche un rappresentante del dilettantismo fotografico parmense. Scoprì la fotografia intorno ai trent’anni, e nel 1901 si procurò una Koristka con obiettivo Zeiss anastigmatic. In seguito arricchì la sua dotazione con altri obiettivi per meglio documentare i suoi non comuni interessi artistici e storici. Instancabile camminatore, percorse in lungo e in largo l’Appennino parmense alla ricerca di soggetti naturali o monumentali. Il Pelicelli svolse la sua attività prevalentemente durante il fine settimana, seguendo la via dell’ospitalità rurale: soggiornò presso famiglie di paese offrendo in cambio immagini di gruppo o ritratti. Per lo sviluppo si affidò poi ai migliori fotografi, Vaghi e Pisseri soprattutto. Considerevole è la documentazione fotografica prodotta a corredo delle sue stesse pubblicazioni. Tra i suoi vari dossier, da sottolineare quello sui castelli del Parmense. Al Seminario di Parma, che lo accolse giovanetto e lo vide maestro di scienze, il Pelicelli lasciò per testamento una borsa di studio.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 6 1937, 216; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 117; I. Dall’Aglio, in Gazzetta di Parma 23 dicembre 1959, 3; I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 175-177; Il Seminario di Parma, 1986, 97-99; R. Rosati, Fotografi, 1990, 245.

PELIZZA FERDINANDO
Parma 1771-1841
Fu argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 24, 50, 52, 67, 138 e 140.

PELIZZA FRANCESCO
Parma 1831
Avvocato, liberale moderato, durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico. In seguito fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 195.

PELIZZA ICILIO
Parma 10 maggio 1832-Molino di Agri di Corleto Perticara 10 novembre 1861
Figlio di Pietro e di Elisabetta Zoni. Col 62° Reggimento operò, col grado di capitano, nel potentino orientale e meridionale, nella lotta contro il brigantaggio. Ai primi di novembre del 1861 una colonna dell’avanguardia del 62°, comandata dal Pelizza, valoroso reduce garibaldino, marciò verso Accettura, per dirigersi a Corleto Perticara, dove già si era costituito un gruppo della Guardia Nazionale Mobile per contrastare gli attacchi delle bande di Ninco Nanco, Coppa, Tortona e Giuseppe Caruso, tutte del gruppo del pluriomicida Carmine Donatelli, detto Crocco. Accadde che la Compagnia del Pelizza venne a trovarsi proprio al centro del territorio nel quale si era concentrato il grosso della banda del Donatelli, tra le alte valli del Sauro e dell’Agri. Il Pelizza, in accordo con la Guardia di Corleto, decise di prendere posizione nei pressi del torrente Sauro, dove poi avvenne lo scontro. Il generale catalano José Borjes, inviato dal Comitato borbonico a dare sostegno ai gruppi del Donatelli, nel suo diario annotò: 10 novembre. Nove ore del mattino. Una forza nemica è comparsa sull’Acinella. Invio la prima compagnia. Ordino al luogotenente colonnello di cavalleria di prender il nemico di fianco. Il nemico non ha potuto sostenere il primo scontro, si è riunito ai piedi di un mulino, ha preso l’offensiva caricandoci alla baionetta. Mischia per dieci minuti. Abbiamo ucciso 40 individui, tra i quali un luogotenente che è morto da eroe. Quell’eroe altri non è che il Pelizza, che si era venuto a trovare in una situazione disperata per il mancato intervento della Guardia di Corleto. Nella cronaca del 30 novembre di quell’anno de Il Patriota, quotidiano che si stampò a Parma, si legge la seguente notizia, comunicata da Il Pungolo: Una colonna del 62° comandata dal capitano Pelizza, assaliva il 10 novembre i briganti postati sulla masseria dell’Acinello sul Sauro, tra Aliano e Stigliano: ma essa non contava che circa cento soldati di linea e 150 Guardie mobili: queste ultime non poteron seguitare l’animoso capitano, che correva ad attaccare alla baionetta, e si ritirarono. Ma il prode capitano Icilio Pelizza, parmigiano, non volle ritirarsi e vi periva colpito al capo. La poca sua truppa, lasciando una dozzina di morti e battendosi per 4 ore di seguito contro un numero sei volte maggiore di briganti, si riduceva a San Mauro. Altre notizie si rilevano in uno scritto assai posteriore (luglio 1911) del capitano Eugenio Massa, storiografo militare, bene informato per attente ricerche: Una magra compagnia del 62° di fanteria, comandata dal capitano Pelizza, era partita all’alba da Stigliano per eseguire una perlustrazione. Punto di riunione era il molino di Agri. Verso le ore 8 del 10 novembre fu un irrompere di briganti a cavallo, rincalzati da altre ciurme a piedi. Circondato da ogni parte, il capitano Pelizza prese posizione su un piccolo ripiano. Cominciò ad aprire il fuoco. Il Borjés mandò il Caruso con 50 briganti a cavallo a chiudere lo sbocco mentre il Crocco prese posizione aprendo anch’esso il fuoco. I valorosi soldati uno contro dieci lottarono con ammirevole audacia con fieri contrattacchi cercarono di aprirsi il passo. Il capitano Pelizza, colpito in fronte da una palla, morì incuorando i soldati. Molti caddero con lui. I più riuscirono ad aprirsi un varco colla punta delle baionette. Relazione questa che conferma e integra le precedenti, mentre alquanto diversa è quella riferita da Il Presente del 9 dicembre 1914, che sembra basata sull’esposizione dei fatti resa dopo oltre cinquant’anni dall’ex tenente della Guardia Nazionale, Nicola Chiaramonte, che asserì di aver ospitato nella sua casa di Corleto il capitano Pelizza nei giorni imminenti il tragico fatto dell’Acinella: L’eroico capitano Pelizza, già ferito, era venuto a un corpo a corpo con il Crocco, ma disgraziatamente fu ferito da un brigante da tergo. Il Crocco, morente, confessò di esser stato ferito dal capitano Pelizza con tre colpi di revolver e parecchie sciabolate. Il Donatelli non perì in quella mischia e, dopo la sua cattura, visse da ergastolano nel penitenziario di Portoferraio fino al 18 giugno 1905, giorno della sua morte. Interessante è l’altra notizia fornita dallo stesso Chiaramonte al sindaco di Parma. Giusta la confessione resa dal brigante Frascone in punto di morte, fu rinvenuta nel cavo di una quercia del bosco di Montepiano, presso Corleto, la sciabola con fodero appartenuta al Pelizza, come attestavano le lettere I.P. impresse sull’arma. In quell’occasione il Chiaramonte offrì al sindaco di Parma quei cimeli sottratti all’eroe. Da parte sua la cittadinanza di Corleto onorò il Pelizza con un monumento marmoreo. Il Consiglio comunale di Parma rese anch’esso onore al Pelizza citandolo in una lapide del porticato del Municipio tra i combattenti caduti tra il 1849 e il 1863.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 416; La spada dell’eroico capitano parmigiano Icilio Pelizza ritrovata in un bosco della Basilicata, in Il Presente 9 dicembre 1914; A. Del Prato, Ricordi storici sulla vita e sulla morte di un ufficiale italiano, Parma, 1914; E. Massa, La morte eroica di un capitano parmense in Corriere Emiliano 4 aprile 1929; F. da Mareto, Bibliografia, II 1974, 822; R. Cattelani in Al Pont ad Mez 2 1986, 56-57.

PELIZZA ICILIO
Parma 26 aprile 1897-1966
Figlio di Guglielmo e di Adele Zampirini. Orologiaio e attore dialettale, noto a Parma come Cilién. Rimasto orfano di padre e di madre all’epoca dell’epidemia di febbre spagnola, divenne presto amico inseparabile di Alberto Montacchini, attore e protagonista delle feste degli anni Venti a Parma. Alto appena un metro, il Pelizza iniziò una lunga serie di scherzi e di avventurose facezie che lo fecero conoscere e lo portarono anche sul palcoscenico con le più note compagnie dialettali (Italo e Giulio Clerici, Montacchini, Gobbo, schenoni). girò anche un film: Torniamo in campagna. L’ultimo suo spettacolo è del 1946, benvenuta la libertà. Appassionato delle corse in motocicletta, negli anni Trenta si fece costruire su misura una Nsu a Reggio Emilia e partecipò a diverse gare. Come orologiaio, nella sua bottega di strada Farini 9 studiò un meccanismo che caricava da solo gli orologi, utilizzando metalli termosensibili.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani 1997, 238.

PELIZZA LODOVICO
Petrignacola 1884-
In disagiate condizioni economiche, alternò lavori umili alla pittura, incoraggiato da Paolo Baratta. Dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale, dipinse paesaggi della Val Parma e restaurò quadri e sculture presso gli antiquari Godi, Brasi e Pederzini. Realizzò scene per teatri di provincia e presepi ad Albareto di Fontanellato e a San Secondo. Dipinse cappelle votive e lavorò nelle chiese di San Lazzaro, Ghiare, Sivizzano, Vedole, Bogolese, petrignacola, Agna, Miano, Piantonia, corniglio e nel cimitero di Marore.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani 1997, 238.

PELIZZA MARCO
Parma 1828-post 1863
Contadino, fu suonatore ambulante. Nel 1863 fu sottoposto a sorveglianza per motivi politici (oltranzista) dall’autorità di polizia.
FONTI E BIBL.: P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 173.

PELIZZA PIETRO
Parma 1 aprile 1806-post 1831
Figlio di Ferdinando e Caterina Lorenzelli. Orefice, alfiere dei cannonieri urbani di Parma, fu tra i promotori dei moti del 1831, eccitò i fanciulli del popolo a formare raggruppamenti e a munirsi di bastoni, chiamandoli gli allievi della Guardia Nazionale.Fu inquisito e sottoposto a processo perché fu uno dei più esaltati e dei più arditi nella rivolta che come tale figurò anche nei processi.Fu allievo dello scultore Giuseppe Carra.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 195.

PELIZZA PIETRO
Parma 1829-post 1863
Contadino, nel 1863 fu sottoposto a sorveglianza per motivi politici (oltranzista) dall’autorità di polizia.
FONTI E BIBL.: A. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 173.

PELIZZI BRUNO
Parma 17 settembre 1924-Cremadasca di Pione (Bardi) 14 luglio 1944
Nato nell’Oltretorrente, ereditò dalla famiglia sentimenti di fierezza e generosità: il padre fu uno dei popolani che si arruolarono volontari, prima dell’entrata in guerra dell’Italia, aderendo alla Legione garibaldina delle Argonne nel 1914 (l’interventismo democratico tra i ceti popolari della città di Parma ebbe un alto numero di sostenitori, trascinati anche dalle parole e dall’esempio di uomini come Filippo corridoni). Giovane operaio, il Pelizzi prese parte al movimento antifascista e di ripresa democratica che ebbe i suoi punti di forza nelle principali fabbriche cittadine. Chiamato alle armi presso il deposito del 14° reggimento Genio poco prima della proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, riuscì a sfuggire ai Tedeschi che lo avevano catturato a Belluno e lo stavano per tradurre in Germania insieme ad altri militari del disciolto esercito regio. Il rientro a Parma coincise con l’inizio della sua attività partigiana. Entrò a far parte dei gruppi d’azione patriottica del Fronte della Gioventù con i quali svolse intensa attività clandestina. La sera del 31 dicembre 1943, il Pelizzi e cinque suoi compagni furono sorpresi da una pattuglia fascista mentre scrivevano frasi sovversive nei pressi dell’Annunciata e fatti segno a colpi d’arma da fuoco. I giovani si divisero in due gruppi che si protessero l’un l’altro, rispondendo al fuoco e riuscendo a sottrarsi alla cattura. In marzo, mescolato ai visitatori, il Pelizzi sparse volantini nella camera ardente (allestita presso la federazione fascista) nella quale erano esposti al pubblico sette fascisti uccisi nel corso di un attacco partigiano a un treno che trasportava prigionieri, presso la stazione di Valmozzola. Richiamato alle armi, venne fatto presentare perché svolgesse opera di propaganda e persuasione tra i commilitoni. Asportò anche dalla caserma armi e indumenti da inviare ai partigiani. Quando la sua posizione si fece insostenibile, raggiunse in montagna, nella zona di Bardi, i suoi compagni. Entrato nelle formazioni armate dei Volontari della libertà (31a brigata Copelli, distaccamento Griffith), si distinse fin dall’inizio per audacia e sprezzo del pericolo. Durante un’azione di guerra, condotta mentre era in corso un vasto rastrellamento nazifascista, per salvare da sicuro annientamento il proprio reparto, il Pelizzi (nome di battaglia Dena) mosse all’attacco, armato di bombe a mano, contro una mitragliatrice pesante che sbarrava l’unica via di sganciamento per i 36 uomini ai suoi ordini. Colpito in pieno petto da una raffica, cadde sul punto di raggiungere la postazione nemica. Della sua fine i compagni vennero al corrente solo dopo diverse ore, quando ormai si trovavano in salvo. Nessuno avrebbe conosciuto il suo eroismo, se per esso non avesse testimoniato l’arciprete di Pione (Bardi), Agostino Raffi. Consapevole dell’olocausto della vita compiuto dal Pelizzi, il sacerdote fu il primo a proporlo per una ricompensa al valore militare. Emerse così che le donne di Cremadasca, frazione teatro del fatto, avevano supplicato il Pelizzi affinché non rischiasse di farsi uccidere, ma inutilmente, vista la fermezza con la quale egli decise di salvare i compagni. Alla memoria del Pelizzi fu concessa una Medaglia d’Oro al Valore Militare. Questa la motivazione: Animato da alti sentimenti patriottici, dedicava tutte le sue giovani energie alla causa della Resistenza, dimostrando nella lotta alto spirito combattivo e sprezzo del pericolo. Nel corso di una ardita azione partigiana contro soverchianti forze avversarie, per salvare da sicuro annientamento il suo reparto rimasto accerchiato, si portava audacemente all’assalto, con bombe a mano,  di una mitragliatrice nemica che con il suo micidiale fuoco sbarrava l’unica via di possibile sganciamento. Colpito mortalmente da una raffica avversaria, mentre stava per raggiungere la postazione nemica, cadeva eroicamente al grido di “viva l’Italia”.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 15 dicembre 1972, 5; Enciclopedia della Resistenza e dell’antifascismo, III 1989, 647; T. Marcheselli, Strade di Parma, II 1989, 182.

PELIZZI MARCO
Parma 1773-post 1811
Fu argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 33.

PELIZZOLI GIOVANNI
Parma -post 1734
Pittore d’architettura attivo nella prima metà del XVIII secolo. Studiò con Pietro Giovanni Abbati e iniziò lavorando in varie chiese. Il 18 agosto 1714 fu retribuito per varie giornate di lavoro per dipingere le scene per l’opera La virtù coronata rappresentata al Teatro Ducale di Parma. Nel 1727 allestì in Duomo l’apparato lugubre con catafalco per i funerali del duca. Recatosi per lavoro a Torino, da là fuggì a Ginevra con una donna. Nell’autunno del 1730 lavorò ad Alessandria, fornendo le scene per l’Anagilda al Teatro Guasco Solerio, mentre nell’autunno del 1734 era in Austria, dove allestì il Pirro nel Teatro del castello di Jaromeniz.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti, VII, 151.

PELIZZONI MARIO
Torricella di Sissa 29 settembre 1917-Busseto 26 dicembre 1989
Figlio di un marmista, fin da ragazzo si applicò con passione all’attività che più gli era congeniale, disegnando e modellando statuette. Il padre lo volle maestro e non artigiano come lui, perciò lo affidò, a Parma, a Carlo Corvi, sotto la cui esperta e valida guida il Pelizzoni andò affinando la naturale inclinazione con un’adeguata preparazione accademica. Studiò all’Istituto d’Arte a Parma e a Genova. Ultimati gli studi, cominciò a dipingere, e nel 1933 tenne a Parma la prima collettiva nel ridotto del Teatro Regio. A quella ne seguirono altre in varie città d’Italia, contrassegnate da successo di pubblico e di critica. Artista versatile, non rifuggì dal trattare con facilità paesaggio, animali e nature morte, ma si deve considerarlo soprattutto pittore di figura. Nella sua galleria personale di lavori a Busseto l’arte plastica e pittorica ridondò di opere che gli procurarono soddisfazioni e riconoscimenti. Da Il corriere di montagna, Bimba in lettura, Fabbro in attesa del ferro rovente, tutti pregevoli lavori giovanili, si passa a opere vigorose quali Ritratto di violinista (1940), Donna che rammenda, Ritratto di vecchio (1942) e ancora Ritorno all’ovile, Gli spaccalegna, sino a pervenire a I vecchi scapoli, notevole per l’espressività dei volti dei due vecchietti effigiati, che conversano rievocando ricordi di un tempo lontano. Quest’ultimo dipinto fu anche molto ammirato tra quelli esposti al Concorso internazionale di Orvieto. Della produzione successiva, meritano un cenno particolare I due viandanti (1944), Bimba in attesa (1945), tela esposta alla Mostra internazionale di Prato nel 1946, La carità, La pescivendola (1945), Il buon samaritano (1946), carbonai in montagna, Caprette, Uragano (1947), Il landò, Ballo in maschera, che figurò in varie mostre internazionali, La stalla (1948), zingari accampati (1955), I delinqueri, Le grotte di Catullo, Bevitori, Scuola di danza, Tra i monti (1958), Messicani, Il carrettiere (1959).Inoltre vanno ricordati alcuni quadri a soggetto militare e patriottico eseguiti negli anni 1957-1959: Pattuglia, Verso il fronte francese, Morte d’un valoroso, Accampamento, Trasporto d’un soldato ferito. Ancora, meritano una citazione  Orizzonte, La reginetta degli zingari, Ritorno dalla caccia, Tartarughe e Fido, Il viandante, La bufera, Prova di danza, Tiratori di fune, sciatori. Degni di rilievo sono pure alcuni altri  ritratti, nature morte e paesaggi. Una linea fortemente incisiva e i toni cupi rendono particolarmente suggestive le visioni naturali del Pelizzoni. Non meno vasta fu la produzione plastica, tra cui risalta il bozzetto del monumento per la caserma del 15° Genio di Chiavari (1940), che palesa un chiaro sentimento lirico. Di quel tempo sono anche una Testa di frate, La fedeltà, Lotta libera, lavori tra i più riusciti per espressività e per finezza del modellato. Rimarchevoli sono anche le seguenti opere successive: tra i busti, Ritratto di Verdi (1948), Testa d’idiota (1946), Il Cristo (1948) e Ritratto di Pietro (1951), su legno, esposto in quell’anno alla Quadriennale di Roma, e tra gli altorilievi, Il violinista (1944), Ritorno dalla caccia e Il pescatorello (1945). Dal 1945 il Pelizzoni fu membro dell’Academia latinitati excolendae artium et litterarum, la quale, annoverandolo tra i suoi soci accademici, intese dare un autorevole riconoscimento alla validità artistica della sua copiosa produzione. Si può dire che il Pelizzoni dipinse esclusivamente per sé, per una necessità dello spirito a fissare sulla tela immagini e impressioni della vita che lo circondava. Si riescono forse a trovare nella sua arte riflessi dell’impressionismo poiché non soltanto l’ambiente e i costumi ma lo spirito stesso della composizione suggerisce i nomi di Van Gogh e Matisse, e la floridezza del colore, unita alla qualità del soggetto, rafforza le analogie con Antonio Mancini. Ma quando si sottraggono questi più o meno palesi influssi dall’arte del Pelizzoni, resta un largo margine che gli appartiene interamente, come pure tutta sua è la maniera d’assimilarli e servirsene. il Pelizzoni fu un artista in continua evoluzione: come sospinto da una febbre interiore, il suo estro creativo sembrò volgersi verso mete nuove e staccate dallo schema della pittura contemporanea tradizionale, tale in quanto concepita nelle forme meno audaci. Superato questo traguardo, uscito da un campo cui egli pure dovette franchi successi, balza evidente dalle sue ultime opere come il Pelizzoni mirò a un ascendente artistico superiore, a concezioni di più vasta portata intellettuale, alla ricerca, insomma, di un posto tutto suo, a parte. Il suo formalismo praticamente si arrestò a I vecchi scapoli, al Ritratto di vecchio, a Sciatori, che segnano un punto fermo nella sua carriera di artista. Le opere successive rientrano in una nuova tecnica impressionistica, di cui orizzonte costituisce la più vigorosa manifestazione. La disposizione dell’arte non si rivolge più all’oggetto di natura in sé e per sé, quale immanenza obbligata e destinata, ma tende a esprimere, con la concitata grafia e il tratto tormentoso delle pennellate, un travaglio profondo, tutto interrogazioni, domande, e sembra un richiamo all’inappagata sete che spinge verso il mistero dell’infinito. La validità risiede non tanto nel colore, con cui il pelizzoni reagì a una descrittività troppo minuta e convenzionale, quanto nell’abilità di ridurre tale rilievo descrittivo per avvicinarlo a una conseguenza espressiva. La produzione plastica mostra un Pelizzoni egualmente vigoroso, sebbene i gessi francesi, le teste e i busti in legno e la cera colata rivelino, in successione di tempo, un’evoluzione un po’ differente dalla pittura. Il Pelizzoni fu verista, nel senso che presenta le cose come sono, e quantunque seguisse il modo di modellare di Medardo Rosso, di suo v’è la caratterizzazione del soggetto.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 344-349; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1973, 2393.

PELIZZONI RINALDO
Torricella di Sissa 24 aprile 1920-7 dicembre 1998
Figlio di un sarto, cominciò a studiare a quattordici anni pianoforte, solfeggio e canto con il maestro Tironi di Roccabianca e a sedici, dopo l’esame di ammissione, entrò al conservatorio di musica di Parma nella classe del maestro Brancucci.Al terzo anno di corso, a diciannove anni, vinse da baritono il primo premio al concorso di Firenze, categoria voci educate, concorso che prevedeva l’attribuzione di una borsa di studio.Debuttò al Teatro Sperimentale di Alessandria nel Segreto di Susanna di Wolf Ferrari e subito dopo in Rigoletto e nel Barbiere (Figaro) al Teatro Trento di Parma (1939). Chiamato alle armi a vent’anni, fu destinato ai bersaglieri.Fu decorato quattro volte al valor militare.Durante il servizio militare, nel 1942, ottenuto un mese di licenza, si diplomò al Conservatorio di Parma con la massima votazione e la lode. La guerra impose una parentesi prolungata all’inizio della sua carriera: fino all’agosto 1945, anno in cui fu liberato dal campo di concentramento in Germania.Dopo sei mesi di cure per rimettere in sesto il fisico debilitato, tornò a Firenze, riprendendo l’attività di baritono in varie opere, quali Tabarro, Rigoletto, Barbiere, Trovatore, Piccolo Marat, Bohème e Traviata. Dopo aver cantato da baritono fino al 1949, il Pelizzoni si trovò in una crisi vocale: gli acuti mancavano di armonici e di smalto, diventavano fissi e ballavano.Il Pelizzoni si ritirò dalle scene per sei mesi, con la determinazione di diventare tenore.Anche con l’aiuto del maestro Renzo Martini, debuttò nuovamente a Parma, al Teatro Regio, nei Pagliacci. Fu un vivo successo ed ebbe inizio una nuova carriera, questa volta da tenore, in cui cantò in un repertorio vastissimo: Pagliacci, Carmen, Andrea Chenier, Fedora, Boris Godunov, Kovancina, Norma, Fanciulla del West, Falstaff, Macbeth, Traviata, Manon Lescaut, Tabarro, Tosca e Forza del Destino, oltre un numero imprecisato di opere nuove, in moltissimi teatri in Italia e all’estero. Tra queste ultime si possono ricordare La capanna dello zio Tom di Ferrari Trecate, Il furore di Oreste di Testi, Assunta Spina di langella, Medea di Tintori, Romulus di allegra, L’uragano di Rocca, Margherita da cortona di Refice, Peter Grimes di Britten, Il torneo notturno di Malpiero, Maria egiziaca di respighi, Nuova Euridice di Lupi, La figlia del re di Lualdi, Resurrezione di Alfano e Belfagor di respighi. Il Pelizzoni nella carriera cantò in un gran numero di teatri: a Parma, bologna, genova, palermo, Roma, Napoli, Pisa, Bari e Venezia.Scritturato al Cairo e ad Alessandria d’Egitto per carmen e Pagliacci, per un’improvvisa indisposizione del baritono Gino Bechi nel Barbiere di Siviglia, il Pelizzoni fu interpellato dall’impresario per la sostituzione.La sera precedente il pelizzoni aveva cantato come tenore nella Carmen, e il giorno seguente, vestiti i panni di Figaro, ebbe un ottimo risultato anche come baritono, al punto che il direttore fece bissare la cavatina.La sera dopo, ripresa la veste di tenore, cantò nei Pagliacci.La stampa testimoniò l’eccezionalità dell’avvenimento, certo non comune nella storia del melodramma. Gavazzeni, dopo averlo ascoltato a Bergamo nei Furori di Oreste, lo fece scritturare al Teatro alla Scala di Milano per L’assassinio nella cattedrale di Pizzetti come primo cavaliere.Avendo studiato oltre alla sua parte anche quella degli altri personaggi, mancando un giorno Mirto Picchi, il Pelizzoni si offerse per eseguire il terzetto.Sia la Wallmann che Pizzetti vollero sentire tutta la parte e lo scelsero come primo tentatore e primo cavaliere, parti che poi il Pelizzoni eseguì in tutti i teatri nei quali fu riproposta l’opera del musicista parmigiano. Fu poi prescelto dal regista Felsenstein per la Volpe astuta di Janá?cek, e alla Scala di Milano accettò di far parte come artista stabile per essere utilizzato in tutti i ruoli dal 1957 al 1969.Dopo questo anno il Pelizzoni abbandonò le scene per dedicarsi all’insegnamento.Quale aspirante docente, vinse diverse cattedre nei conservatori, scegliendo infine la sede di Torino.
FONTI E BIBL.: Arnese; Fioravanti; frassoni; Frajese; Giovine; Pighini; Tintori; Cronologia dei teatri Regio di Parma, Verdi di Pisa e La Fenice di Venezia; G.N. Vetro, Voci del Ducato, in Gazzetta di Parma 30 gennaio 1983, 3; Gazzetta di Parma 9 dicembre 1998, 8.

PELLACANI AGOSTINO
Busseto 5 febbraio 1871-Adua 1 marzo 1896
Figlio di Giuseppe. Si arruolò diciottenne nell’esercito quale allievo sergente e nel 1894 pervenne al grado di sottotenente. A Pavia e a Porto Maurizio si guadagnò due encomi solenni. Avendo manifestato ai superiori la volontà di prendere parte alla guerra italo-etiopica, fu destinato a raggiungere nel gennaio 1896 la zona di operazioni col 14° Battaglione Fanteria d’Africa. Sbarcato a Massaua, partecipò alle più significative battaglie in terra d’Africa e perse la vita nell’aspro combattimento di Adua, durante il quale le truppe italiane si batterono eroicamente contro soverchianti forze nemiche. Alla memoria del Pellacani venne conferita la medaglia d’argento al valore militare e il suo nome fu onorevolmente ricordato nella lapide dei Caduti che il comune di Parma fece collocare sotto l’atrio del palazzo municipale. La motivazione della medaglia d’argento assegnata al Pellacani è la seguente: Con raro coraggio ed ardimento fu di continuo esempio ai suoi soldati che spinse sempre compatti contro il nemico.
FONTI E BIBL.: Ai prodi parmensi, 1903, 23-24; Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 349; G. Corradi-G. Sitti, Glorie parmensi nella conquista dell’Impero, Parma, Fresching, 1937; Decorati al valore, 1964, 30.

PELLACANI ANTONIO, vedi PELACANI ANTONIO

PELLACANI FULVIO
Busseto 1869-1935
Figlio di Giuseppe. Conquistatosi un posto gratuito nel Collegio Maria Luigia di Parma e laureatosi in chimica pura e farmaceutica, fu in seguito assistente del Mazzara nell’università di Parma e poi, sempre a Parma, docente di scienze naturali all’Istituto Magistrale, al Liceo Romagnosi e al Collegio Sant’Orsola. Lasciò varie monografie di chimica organica e inorganica. Scrisse inoltre d’arte, storia e musica sotto lo pseudonimo di Miosotis nel Giornale d’Italia e nella Gazzetta di Parma, al cui corpo redazionale appartenne stabilmente per più anni. Fu tra gli esponenti del Partito liberale e, quale assessore per la Pubblica Istruzione dal 1907 al 1913, istituì la Scuola di Economia Domestica, la Pro Schola e la refezione calda nelle scuole elementari e fu tra i promotori del Centenario Verdiano del 1913. In quel periodo presiedette anche il Teatro Regio di Parma, organizzandovi la rappresentazione completa delle opere verdiane. Promosso preside negli istituti magistrali, fu a Piazza Armerina, a Udine (dal 1915 al 1917) e a Padova, dove tenne per molti anni la presidenza dell’Università Popolare e della Dante Alighieri.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 117-118.

PELLACIDI RUGGERO
Parma 31 luglio 1823-Albania 12 settembre 1857
Entrato nell’ordine Fracescano, fu destinato nell’anno 1855 quale missionario in Albania, dove morì a soli 34 anni.
FONTI E BIBL.: Biblioteca della Terra Santa, XIII, 1930, 403.

PELLACINI ANDREA
Parma 1908-post 1937
Figlio di Guido e di Virginia Davoli, capo squadriglia della 851a Bandera Vampa, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Volontariamente si offerse di far parte di un plotone esploratori. Durante una azione per la conquista di importante posizione condusse con perizia e slancio la sua squadra all’attacco attraverso terreno impervio e sotto intenso fuoco di mitragliatrici. Ferito il comandante del plotone lo sostituiva nel comando continuando la lotta finché cadeva egli pure ferito. Si rammaricava solo di dover abbandonare il campo di battaglia. Esempio di valore e belle virtù militari (Zona di Soncillo, Quota 1063, 14 agosto 1937).
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.

PELLATI FRANCESCO
Parma-post 1787
Vestiarista, fu attivo al Teatro di Reggio Emilia nelle stagioni di Carnevale del 1786 e del 1787.
FONTI E BIBL.: Fabbri e Verti; G.N.Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

PELLAVICINO, vedi PALLAVICINO

PELLEGRI
Parma XIX secolo
Fabbricatore di archetti attivo a Parma nel XIX secolo.
FONTI E BIBL.: H.Vercheval, Dizionario del violinista, 1924.

PELLEGRI ALBERTO
San Lazzaro Parmense 23 maggio 1896-Roma 19 dicembre 1918
Compiuti a Parma gli studi medi, vi frequentò i primi due anni degli studi di medicina. Fu fervido propugnatore della partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale. mobilitato al principio della guerra, fu sottotenente e poi tenente nel corpo dei granatieri. Combatté da eroe nel 1° reggimento e poi nel 2°, finché, il 17 settembre 1916, sul Carso, offertosi volontario per un’azione di sorpresa contro alcune mitragliatrici nemiche, fu ferito alla gamba destra. Pur seriamente menomato, non volle recedere e non volle farsi medicare: continuò l’avanzata alla testa del suo reparto, finché cadde colla gamba sinistra straziata da un proiettile esplosivo. Al Pellegri fu concessa la Medaglia d’Argento al Valore, oltre alla croce di guerra. Nonostante l’amputazione subita, morì in seguito ai postumi della grave ferita solo due anni più tardi. Il pellegri fu poi laureato a titolo d’onore l’8 dicembre 1919.
FONTI E BIBL.: Caduti Università parmense, 1920, 33-34.

PELLEGRI FAUSTINO
Langhirano 1829-Parma 21 gennaio 1895
Trasferitosi a Parma, studiò nel Collegio Maria Luigia e poi compì gli studi legali in Piacenza. In seguito tornò a Parma a fare pratica di notaio presso Gabriele Guadagnini, del quale fu poi collega. Il Pellegri fece parte della Commissione per il progetto della nuova legge sul notariato. Consigliere comunale di Parma, consigliere relatore della Deputazione provinciale, direttore per molto tempo della Cassa di Risparmio, fu anche eletto deputato al Parlamento nella XVI legislatura. Nutrì sentimenti liberali. Fu abbastanza assiduo ai lavori della Camera, dove appoggiò la politica governativa. Fu lungamente presidente del Consiglio Notarile di Parma, al quale dedicò tutto se stesso. Legò il suo nome all’orfanotrofio Vittorio Emanuele II (eretto per sua iniziativa dalla Cassa di Risparmio di Parma), del cui Consiglio amministrativo il Pellegri fu presidente.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 87; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e italiano, 2 voll., Roma, 1896 e 1898; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori, 1941, II, 297.

PELLEGRI GIOVANBATTISTA
Busseto 1683
Intagliatore ricordato nell’anno 1683 per un contratto per il pulpito nella Parrocchiale di Pieveottoville.
FONTI E BIBL.: G. Godi, 1976, 152; Il mobile parmigiano, 1983, 256.

PELLEGRI ORMISDA
Grammatica 6 agosto 1868-Parma 25 luglio 1945
Figlio di Beniamino, di famiglia benestante. Ordinato sacerdote il 28 marzo 1891, fu parroco a Cassio e rettore del seminario di berceto negli anni 1896-1898. Quando monsignor Conforti fu nominato arcivescovo di Ravenna nel 1902, volle il Pellegri rettore dell’Istituto di San Francesco Saverio delle Missioni Estere (1902-1907). Il Pellegri fu inoltre nominato professore di Pastorale nel Seminario di parma. Fu parroco di Marano e per vent’anni (1917-1938) arciprete di Noceto, dove profuse le migliori energie, lasciando in quell’importante parrocchia un’orma incancellabile. Con la collaborazione della cittadinanza arricchì la chiesa di vetrate istoriate, costruì le tribune per uomini e giovani e provvide l’altare maggiore di un artistico tabernacolo. Per la formazione morale e religiosa della gioventù creò l’oratorio festivo Filippo Neri (1925), ampliato con una sala dedicata a Guido Maria Conforti (1931). Ideò e realizzò inoltre un organismo di benefica assistenza: la conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Il 1° marzo 1938 fu fatto prefetto della chiesa magistrale di Santa Maria della Steccata in Parma. In punto di morte emise i voti e fu accettato nell’istituto delle Missioni Estere di Parma. Fu insignito nel 1941 del titolo di Canonico onorario della Cattedrale di Parma. Grammatica, suo paese natale, deve molto al Pellegri: i restauri della chiesa nel 1908, il rifacimento della canonica nel 1936, l’elevazione della chiesa a Santuario della Madonna nel 1938, e tutti i paramenti più belli e preziosi.
FONTI E BIBL.: I. Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 185; E. Dall’Olio, Corniglio e la sua valle, 1960, 119-120; G. Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 302.

PELLEGRI SALVATORE
Parma-post 1834
Liutaio, agì nella prima metà del XIX secolo. Il Molossi nel suo Vocabolario topografico (p. 298) scrisse: Del sig. Salvatore Pellegri comecchè siam certi di disgustare la sua modestia, pure non ci possiam tenere dal dire ch’egli è di rara abilità per rassettare non solo, ma ben anco per imitare i più accreditati istromenti dello Stradivario, dell’Amati, del Guerrini e simili. Il Valdrighi e il Vannes lo citano solo come archettaio.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

PELLEGRI UGO
Parma 1915-20 dicembre 1997
Marinaio, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare per un episodio che avvenne il 10 aprile del 1944 in una base navale del Tirreno, dove il Pellegri si trovava imbarcato su un Mas. Quel giorno ci fu un ammutinamento e furono uccisi diversi ufficiali.Il Pellegri, con spregio del pericolo, si batté contro i rivoltosi venendo gravemente ferito da uno di essi mentre era sul Mas con il compito di secondo nocchiere. subì anche un breve periodo di prigionia. Al rientro in patria, a guerra conclusa, fu impiegato come vigile urbano.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 dicembre 1997, 14.

PELLEGRINI ANGELO
Parma 1762/1763
Falegname, realizzò nel 1762-1763 due confessionali di Ognissanti a Parma, in collaborazione con un intagliatore anonimo.
FONTI E BIBL.: L. Grandinetti, 1973, 18; Il mobile a Parma, 1983, 260.

PELLEGRINI ANTONIO
Parma 1888/1900
Fu autore di numerose pubblicazioni di carattere storico.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 704.

PELLEGRINI BIANCA
Como-Torrechiara ante 1482
Moglie del milanese Melchiorre d’Arluno, fu amata appassionatamente dal condottiero Pier Maria Rossi il quale, pur essendo sposato ad Antonia Torelli, volle circondare con splendida signorilità la sua preferita di tutte le finezze che il Rinascimento prodigava.Acquistò per lei il castello di Roccabianca, fece coniare con l’effigie della Pellegrini medaglie da Giovanni Francesco da Enzola, e nel castello di torrechiara fece un museo e un altare dedicato al ricordo dell’amata. Nella volta della Sala d’oro del Castello la Pellegrini è effigiata ben quattro volte, oltre a essere ritratta ripetutamente in magnifiche sculture in ogni sala e perfino nella cappella, dove poi fu sepolta.
FONTI E BIBL.: L. Molossi, Vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla; C. Ricci, Eroi, santi ed artisti, Milano, 1930; F. Orestano, Eroine, 1940, 284.

PELLEGRINI ERNESTO
Parma 19 novembre 1843-Parma 13 agosto 1884
Figlio di Ferdinando e Maria Bellini. Fu volontario con Garibaldi nelle campagne risorgimentali del 1866 e 1867. Prestò poi servizio per diciassette anni presso il regio Collegio Maria Luigia.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 200.

PELLEGRINI FABRIZIO
Parma XV secolo/1515
È forse lo stesso Peregrino da Parma che volgarizzò la Cronica di Eccelino da Romano contenuta in un codice vaticano di varie scritture unite da Angelo Massarello di San Severino. Tale volgarizzamento è databile alla fine del XV secolo, come appare dal carattere e dallo stile. È intitolato Chronica di Eccelino da Romano riduta in lingua materna per Peregrino da Parma. Il Proemio comincia in questo modo: Un Citadino Padoano Orlandino dicto notario publico nel anno del Sig. 1200 scrisse 12 Lib. de le cose occorse nel suo tempo ac etiam del Padre ne la Marcha Trivisana, et maxime la Vita di Eccelino de Romano, et comenzete a scrivere questa Chronica nel anno 1260, qual per esser scrita in latina lingua assai rude, et prolixa, mi ha parso per farvi cosa grata Sp. M. Gioane Baptista Contarino redurla sotto brevità in lingua volgare nostra. Il Pellegrini nel 1515 fu segretario di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours. Un saggio del suo valore nelle buone lettere è costituito da un epigramma anteposto all’edizione di Sillio Italico, procurata da Ambrogio Nicandro da Toledo e pubblicata in Firenze nel 1515 da Filippo Giunti. Il Pellegrini fu anche appassionato e raccoglitore di antichità: Paolo Giovio afferma di aver veduto presso il Pellegrini una testa di Annibale, avanzo di una antica statua (Ejus ex marmorea statua integrum caput penes fabritium Peregrinum Parmensem vidimus). Nel 1516 il Medici morì, e si ignora quale fu poi la sorte del Pellegrini.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1791, III, 168-169; Aurea Parma 2/3 1957, 104.

PELLEGRINI FRANCESCO
Parma 4 ottobre 1794-post 1840
Fu in servizio alla corte di Maria Luigia d’austria dall’anno 1819 come accenditore, dal 1821 come staffiere di 3a classe, dal 1831 come lacchè e dal 1838 come scopritore di tavola.
FONTI E BIBL.: M. Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 313.

PELLEGRINI LUIGI-Parma 1 novembre 1813
Figlio di Felice. Fu cavaliere Costantiniano.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.

PELLEGRINI LUIGI
Parma 30 settembre 1780-
Figlio di Felice. Nel 1805 ebbe il grado di sottotenente. Nel 1807 fu al servizio del re delle Due Sicilie, nel 1808 fu promosso tenente, nel 1809 capitano, nel 1812 aiutante maggiore. Nel 1814 fu capitano delle Guardie di Maria Luigia d’Austria e nel 1816 capitano del reggimento Maria Luigia. Prese parte alle seguenti campagne militari: 1805-1806 Blocco di Venezia, 1808-1811 Spagna, 1813-1814 italia.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 29-30.

PELLEGRINI MASSIMILIANO
Tabiano 11 novembre 1839-Monticelli d’Ongina 28 marzo 1904
Compì gli studi nel seminario diocesano di Borgo San Donnino, nel quale fu prefetto dal 1862 al 1864.Ordinato sacerdote dal vescovo di Parma Felice Cantimorri, essendo vacante la cattedra episcopale borghigiana, iniziò il sacro ministero nel 1865 a Parola in qualità di curato. Destinato economo spirituale a Zibello, gli fu interdetto dal Governo l’accesso a quella parrocchia per fanatismo religioso, onde dovette ritirarsi a Tabiano, rimanendovi inoperoso sino al dicembre 1866. Passato quindi a Polesine quale coadiutore di quel parroco, fu, nel settembre 1868, trasferito a Monticelli d’Ongina. Alla morte del prevosto Giuseppe Cordani, venne designato a succedergli l’11 dicembre 1870 e fu canonicamente investito il 12 gennaio del successivo anno. Il Pellegrini fu particolarmente fermo contro le correnti laiciste della massoneria e del liberalismo. Nei trent’anni del suo governo pastorale contribuì al decoro della chiesa maggiore compiendovi restauri e abbellimenti e dotandola di una nuova facciata in marmo e di un nuovo campanile con un concerto di otto campane. Fece ricostruire dalle fondamenta la chiesa di San Giovanni (di cui fu progettista e direttore dei lavori) nel nuovo cimitero da lui voluto, dispose per un radicale restauro dell’altra chiesa comparrocchiale di San Giorgio, ornandola di stucchi e pitture, fondò l’Istituto San giuseppe per l’assistenza e l’educazione dell’infanzia e della gioventù, tutelò e difese strenuamente i diritti della Chiesa rivendicando e conservando il ricco patrimonio parrocchiale e delle confraternite. Quando, colpito da grave malore, si vide impotente a esercitare il ministero parrocchiale, fece atto di spontanea rinuncia il 20 dicembre 1900. Annoverato da papa Leone XIII tra i suoi prelati domestici, il Pellegrini ebbe sepoltura nel cimitero parrocchiale di Monticelli d’Ongina, in un avello sopra il quale una lapide ne rammenta le benemerenze.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 349-351.

PELLEGRINI NICOLA
Parma 6 dicembre 1782-1845
Figlio di Pietro e Anna Bianchi. Fu causidico, notaio e consigliere ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: G. Adorni, Necrologio di N. pellegrini, in Gazzetta di Parma 24 giugno 1845; E. Adorni, Ricordanze intorno i meriti e la persona del Dr. Cosigliere ducale N. Pellegrini, notaio parmense, Milano, Guglielmini, 1845; F. da Mareto, bibliografia, II, 1974, 823.

PELLEGRINI PAOLO
Parma seconda metà del XVI secolo
Boccaloro attivo nella seconda metà del XVI secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti.

PELLEGRINI PIETRO
Parma 23 ottobre 1809-Torino 18 ottobre 1851
Figlio di Nicola. Compì il corso di studi di belle lettere e filosofia. Mentre ancora frequentava il terzo anno del corso di legge, appena ventenne fu eletto professore di lingua greca nell’Università di Parma. Ebbe la stima e l’amicizia del Colombo, del Pezzana, del Taverna e del Giordani, che ne conobbero gli studi di letteratura greca, latina e italiana. In particolare, il Giordani richiese la collaborazione del Pellegrini per nuovi studi sulle opere di Tacito. Tra i suoi primi lavori, pubblicò una Canzone in morte di Maria Sanvitale. Nel 1843, assieme a Giovanni Adorni, diede vita al giornale La lettura. Due anni dopo pubblicò da Le Monnier Studii Filologici di Leopardi, raccolti e ordinati da Pietro Pellegrini e Pietro Giordani. Il Pellegrini fu membro (vi ebbe l’incarico degli Affari Esteri) della Reggenza per il Governo Provvisorio di Parma e Piacenza, nominata dal duca Carlo di Borbone il 20 marzo 1848 (cessò dalle funzioni il 7 aprile dello stesso anno). Il Pellegrini l’11 aprile 1848 fu nominato ancora membro del governo Provvisorio, che in seguito al plebiscito del 26 maggio proclamò l’unione al Regno di Carlo Alberto di Savoja. Fece anche parte della deputazione inviata a presentare al re di sardegna l’atto di unione del Ducato di Parma. Dopo la battaglia di Novara dovette andare esule in Piemonte, patire il sequestro dei beni e staccarsi dalla famiglia. A Torino il Pellegrini fu nominato professore d’Antichità nella Regia università. Morì a soli 42 anni d’età, lasciando materiali e carte non ordinate di studi filologici, letterari e scientifici, che andarono poi dispersi.
FONTI E BIBL.: G.B. Passano, Novellieri italiani, 1868, 231; G. Sitti, Il Risorgimento, 1915; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 300-304 e 524; Assemblee del Risorgimento: Parma, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 366; Strenna parmense, 1842, 66; T.Marchi, in Aurea Parma 1948, 68-102; E.Sabia, Pietro Pellegrini affabile letterato, in Gazzetta di Parma 13 febbraio 1956, 3 e in Reggio e Parma dal ’500 all’800, Reggio, 1971, 126-128.

PELLEGRINI VERO
Roccabianca 1918-1991
A ventiquattro anni si laureò a Parma in Medicina, e nel 1944 aprì un ambulatorio in piazzale San Benedetto: fu il medico del quartiere, dei Salesiani e dei loro ragazzi, e soprattutto il medico dei poveri. Esercitò la professione come una missione.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 239.

PELLEGRI VIGNALI GIACOPO
Borgo San Donnino 1751-1837
Acquistò fama di dotto teologo. Insegnò a lungo nel Seminario Diocesano di Borgo San Donnino formando generazioni di giovani alla vita sacerdotale.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, III, 1978, 1290.

PELLERI GIUSEPPE ANTONIO
Parma 8 novembre 1761-Parma 11 febbraio 1824
Figlio di Ercole e di Maria Virginia Dentoni. Conseguì il dottorato in giurisprudenza sotto la guida di Sante Del Rio nel 1783 e già due anni dopo si fece apprezzare come ottimo giurista, quale supplente di Paolo Alinovi nell’insegnamento delle Pandette. Fu discepolo, amico e poi compagno di lavoro di Luigi Uberto Giordani, e, come questi, fu più incline alla letteratura e allo studio della storia che all’esercizio dell’avvocatura. Il Pelleri si dedicò infatti anche all’attività poetica componendo vari sonetti che fece poi pubblicare. Per il suo significato politico e come testimonianza del costume del tempo, si ricorda in particolare che compose uno dei sonetti contenuti nell’opuscolo In occasione del solenne ingresso in Parma di Sua Maestà la Principessa Imperiale Maria Luigia, Arciduchessa d’Austria, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla (Parma, 1816, 6), alla stesura del quale contribuirono alcuni dei personaggi più in vista dell’ambiente culturale parmigiano, tra i quali Giuseppe Bertani e Gaetano Godi. Come magistrato tuttavia, il Pelleri assurse alle più alte cariche. Nel 1788 fu nominato Uditore Criminale,  nel 1800 fu promosso consigliere nel Supremo Tribunale di Grazia e Giustizia, infine nel 1804 consigliere nel Supremo Magistrato e della Corte Criminale a Piacenza. Rientrato in Parma nel 1814, sotto il governo di Maria Luigia d’Austria fu nominato membro della Camera Giudiziaria della Reggenza e quindi consigliere di Stato (1815) e professore onorario dell’Università di Parma. Venne inoltre insignito della croce dell’ordine costantiniano di San Giorgio. Negli anni seguenti presiedette la Prima Commissione Legislativa e fu consigliere nel Supremo Tribunale di revisione.
FONTI E BIBL.: Istituto per la Storia dell’Università di Parma, Note statistiche del personale universitario  1818, tomo 492, 67; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana, Parma, 1833, tomo VII, 602-604; F. Rizzi, I professori dell’università di Parma attraverso i secoli, Parma, 1953, 102; Studi parmensi XXXI 1982, 219; R. Giordani, Opere scelte di L.U. Giordani, 1988, 358.

PELLERI ICILIO
Parma 12 marzo 1840-
Figlio di Ermenegildo e Adelaide Godi. possidente, ex ufficiale garibaldino, nel 1864 fu sottoposto a sorveglianza per motivi politici (era considerato oltranzista) dalle autorità di polizia.
FONTI E BIBL.: P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 174.

PELLERI LUIGI
Collecchio 1834/1875Fu consigliere anziano del comune di collecchio tra il 1834 e il 1875, forse non continuativamente. Fu podestà di Collecchio dal 6 novembre 1852 al 1859, con frequenti interruzioni (o assenze) durante le quali fu sostituito da sindaci facenti funzione di podestà. Nel 1855, quando la popolazione di Collecchio fu colpita dal colera, affrontò con energia la situazione nominando una commissione di sanità e prendendo altri idonei provvedimenti, tra i quali l’istituzione di un ospizio per i colerosi o lazzaretto. Di sentimenti patriottici, durante il plebiscito del 1859, che sottoscrisse quale podestà, propagandò vivacemente il voto per l’annessione al Regno di Sardegna. Sembra fosse in relazione di parentela con i Paveri-Fontana. Compare ancora nel 1866 tra gli offerenti al Comitato di soccorsi ai militari feriti nelle guerre d’Indipendenza.
FONTI E BIBL.: F.Botti, Collecchio Sala Baganza Felino e loro frazioni, Parma, 1961; U.Delsante, Dizionario dei Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 11 gennaio-4 aprile 1960, alla voce; Collecchio e Sala Baganza, lettura d’ambiente, a cura di N.Rizzoli, Parma, 1979; Malacoda 9 1986, 70.

PELLERZI EUGENIO, vedi PELERZI EUGENIO

PELLICANO BIAGIO, vedi PELACANI BIAGIO

PELLICELLI NESTORE, vedi PELICELLI NESTORE

PELLINGHELLI GIOVANNI GIACOMO
Parma 1656/1659
Sacerdote, fu cantore nella cappella della Steccata in Parma dall’11 febbraio 1656 al 24 settembre 1659.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

PELLINI PIETRO
Parma 1701/1732
Statuario.Assieme allo scultore Giuseppe Trolli, adornò di numerose statue barocche l’avviluppante e gigantesca balaustra della Steccata, allorché (dal 1701 al 1732) il cinquecentesco tempio, per opera di Adalberto della Nave, Carlo Fontana, Giovanni Ruggeri e forse del Bibiena, ebbe aggiunte grandi volute, riccioloni murali, pieghe svolazzanti e grandi vasi decorativi.
FONTI E BIBL.: M. Pellegri, Boudard statuario, 1976, 30.

PELLIZZARI ILARIO
Parma 1449/1452
Fu abbreviatore delle lettere apostoliche  nella Curia romana ai tempi di papa Niccolò V, come si rileva da un diploma originale conservato nell’Archivio segreto della Comunità di Parma, diretto al Pellizzari nel 1451 dal cardinale Bessarione, il quale, in vigore della facoltà ottenuta nel 1449 dal detto pontefice di poter istituire venti notai, conferì tale onore al Pellizzari.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 264.

PELLIZZOLI GIUSEPPE
Parma 1700
Fu pittore quadraturista e di architetture e architetto civile, attivo nell’anno 1700.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XV, 1823, 22.

PELIZZONI ALDO
Spezia 21 settembre 1911-Borgo Val di Taro 7 marzo 1960
Caporale del 12° Reggimento Artiglieria, Divisione Sila, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Durante un violento combattimento, quale servente cooperava per il trasporto a braccia del suo pezzo fino a brevissima distanza dal nemico. Ferito a morte il puntatore e caduti feriti il capo pezzo e altri tre serventi, continuava da solo il servizio del pezzo, efficacemente battuto dalla fucileria avversaria. Rimasto inceppato il cannone, con calma e decisione provvedeva ad estrarre il bossolo per riprendere imperterrito il fuoco. Per l’eroismo e la fermezza dimostrata, durante tutta l’azione, destava l’ammirazione entusiastica dei compagni (Amba Aradam, 15 febbraio 1936).
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’impero, 1937.

PELLIZZONI PAPIANO, vedi DELLA ROVERE PAPIANO

PELOSI ANDREA
Parma XVI secolo
Fu notaio e verseggiatore attivo nel XVI secolo.
FONTI E BIBL.: D.Rigotti, in Gazzetta di Parma 8 ottobre 1962, 3.

PELOSI ANDREA
Parma 1606/1618
Fu precettore dei chierici per il canto fermo dal 23 giugno 1606, quando ancora non era sacerdote. Con la stessa funzione fu nominato residente della Steccata di Parma il 22 giugno 1607. Il 21 giugno 1613 lo si trova tra i cantori (fino al 31 agosto 1618).
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 82.

PELOSI ANTONIO
Langhirano 1916-Fronte del Don 29 dicembre 1942
Figlio di Luigi. Sergente maggiore della 30° Compagnia Genio Artieri, divisione Pasubio, risulta disperso in combattimento sul fronte russo del Don. Fu decorato della croce al valore militare, con la seguente motivazione: Allestiva e guidava il traghettamento con battelli pneumatici di pattuglie di fanteria in una isola occupata dal nemico. Formava coi genieri una pattuglia di volontari e cooperava coi fanti in un vittorioso colpo di mano e nella cattura di prigionieri e di armi. Sotto il fuoco nemico con ammirevole calma riconduceva i battelli al luogo di partenza (Cnjeper, 5 settembre 1941).
FONTI E BIBL.: Comune di Langhirano, Ufficio Toponomastica.

PELOSI CELSO
Tordenaso 12 ottobre 1932-Roma 23 settembre 1976
Compiuti gli studi nel Seminario di Parma, fu ordinato sacerdote il 19 giugno 1955 e nominato Vicario Cooperatore del parroco di Medesano. Un anno dopo fu nominato parroco di Sanguigna di Colorno, ufficio che tenne per dieci anni. In quel periodo concretò il proposito di approfondire gli studi teologici presso la Facoltà di Teologia di Milano. Nel 1962 fu chiamato a reggere la parrocchia di Santa Croce in Parma e nel 1963 fu incaricato dell’insegnamento di Storia della Chiesa nel Seminario Maggiore di Parma. Il 27 giugno 1967 conseguì la laurea in Teologia. Dal 1968 fu socio aggregato della Deputazione di Storia Patria di Parma. Nel 1970 lasciò l’insegnamento di Storia della Chiesa per la sopravvenuta chiusura del corso teologico del seminario Maggiore. Nel 1972 rinunciò alla parrocchia di S.anta Croce per recarsi a Parigi presso l’Institut Catholique, ove seguì, per un anno, un corso di perfezionamento in Storia della Chiesa. Tornò in Italia per raccogliere il materiale relativo alla dissertazione di perfezionamento assegnatagli dal Chenu: Fede e politica in Italia dal 1965 al 1972. Dal 1973 ebbe l’ufficio di Responsabile della Catechesi parrocchiale e della formazione teologica, fu diacono della Cattedrale di Parma e consulente ecclesiastico dell’Associazione Medici Cattolici. Dal 1975 collaborò con Giorgio Campanini, docente della Facoltà di magistero dell’università di Parma. Recatosi a Roma per motivi di studio, vi perdette tragicamente la vita in un incidente stradale. Il Pelosi si dedicò per anni a una assidua opera di ripartizione, schedatura e catalogazione del carteggio Micheli, svolta in vista di una organica pubblicazione di quei significativi documenti di storia locale e di storia del movimento cattolico, dalla fine del XIX secolo al secondo dopoguerra. Da quel lavoro il Pelosi trasse i primi spunti delle sue ricerche storiche che, nel prosieguo del tempo, furono caratterizzate da un progressivo ampliarsi degli orizzonti e approfondirsi delle valutazioni. I suoi scritti si possono dividere in due momenti. Il primo é caratterizzato dal prevalere degli interessi locali e si apre con il volume Note ed appunti sul movimento cattolico a Parma (Quaderni di Vita Nuova, Parma, 1962). È articolato in cinque capitoli, i primi due dei quali, relativi agli episcopati cantimorri, Villa e Miotti, furono ripresi e sviluppati nelle successive monografie. Il terzo capitolo tocca le polemiche e i malintesi tra autorità ecclesiastica e movimento cattolico che punteggiarono l’episcopato Magani. Il quarto e il quinto, relativi all’episcopato Conforti e al contemporaneo costituirsi in Parma delle prime associazioni fasciste e delle prime sezioni del Partito Popolare, si risolvono nella denuncia di alcune conseguenze della prevaricazione fascista. Molto sintetico é il lavoro su Mons. Felice Cantimorri e il suo tempo, pubblicato nel 1967 in Archivio Storico per le province Parmensi: da quelle dieci pagine affiora tutto il dramma di un vescovo che non riuscì ad accettare la nuova realtà del risorgimento. Ben più estesa e documentata é la biografia Domenico Maria Villa, Vescovo di Parma, scritta per il 4° Convegno di Storia della Chiesa (La Mendola, 1971) e pubblicata nel 1973 tra gli Atti di quel Convegno. È un prezioso e originale contributo che già mostra i risultati largamente positivi del contatto con illustri cultori della disciplina, quale fu ad esmpio Fausto Fonzi. Il giudizio sul personaggio é sostanzialmente severo, solo formalmente attenuato da reverenziale rispetto. Alla carità del grande vescovo, che ottenne ufficiale riconoscimento da quella autorità civile di cui non riusciva a cogliere la funzione storica, il Pelosi contrappone la talora felice e talora incerta e contraddittoria successione di scelte pratiche su singoli assillanti problemi (crisi delle vocazioni, restaurazione di una cultura cattolica, catechesi, rilancio devozionale, organizzazione del movimento cattolico) che costituirono, per il Villa, più un imperioso invito all’azione che uno stimolo di profonda riflessione. Tre altri lavori costituiscono il secondo momento. In Orientamenti Sociali del 1975 si legge una sua relazione su Le ACLI dopo Firenze, in merito al 13° Congresso nazionale delle ACLI. È forse il lavoro meno felice dei tre: alla fedeltà della cronaca non sembra corrispondere uguale limpidezza e autonomia di conclusioni. Del 1976 é lo studio sul Concetto di proletariato in Murri, comparso in Civitas. Ottime sono le pagine che enucleano dal frammentario messaggio del Murri l’ideale promozione del proletariato a popolo protagonista di una politica democratica, e limpida é la serie dei confronti tra le posizioni incerte di papa Leone XIII, le troppo possibiliste proposte del Toniolo e le missionarie intuizioni murriane. Ulteriore approfondimento meriterebbero invece alcuni, forse apparenti, slittamenti del Pelosi, nell’uso quasi equipollente dei termini socialismo e marxismo e nell’analisi della rivendicata ma non provata matrice murriana della sinistra cattolica. Ma il lavoro dal quale emerge limpida la maturità spirituale e culturale del Pelosi, si legge in Humanitas (1974-1975) sotto il titolo La revisione del Concordato. Con proficua inversione di tempi, riferisce dapprima sulle discussioni parlamentari e sugli interventi della stampa e dell’autorità ecclesiastica, intercorsi in merito tra il 1965 e il 1971, risale poi al periodo 1929-1945 e concatena il suo discorso mediante due fondamentali prese di posizione. Dalla definizione conciliare di Chiesa-Popolo di Dio, il Pelosi evince che la pace religiosa di una nazione non si basa su privilegi concessi a maggioranze e minoranze ma ha il suo fondamento nel riconoscimento dei diritti e della dignità della persona umana. La seconda ne corregge la radicalità: ogni sostanziale cambiamento di strutture presuppone una conversione interiore che lo determini o che renda disponibili all’accettazione delle conseguenze e degli eventuali rischi.
FONTI E BIBL.: A. Marastoni, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1976, 40-43.

PELOSI CIPRIANO
Parma 1866
Fante. Fu tra i dieci parmigiani presenti a Custoza nella giornata del 24 giugno 1866, che furono insigniti della medaglia d’argento al valor militare per aver sostenuto la ritirata trattenendo l’impeto nemico.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.

PELOSI GIOVANNI, vedi PELOSIO GIOVANNI

PELOSI GIUSEPPE
Parma 1867-Dogali 26 gennaio 1887
Soldato del 6° Reggimento Fanteria, dopo strenuo combattimento, più volte ferito, cadde da valoroso nel combattimento di Dogali. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento al valore militare, colla seguente motivazione: Per la splendida prova di valore data nel combattimento del 26 gennaio 1887 a Dogali, rimanendo ucciso sul campo. Il Comune di Parma lo ricordò nella lapide posta nell’atrio del Palazzo civico.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 45; Decorati al valore, 1964, 94.

PELOSIO GIOVANNI
Parma 1547/1548
Venne pagato dalla casa farnesiana il 23 gennaio 1548 5 scudi e 4 soldi per molte dipinture fatte fino alli 2 di dicembre passato nell’Armeria di S.E. (Archivio di Stato di Parma).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, vol. III, c. 328; Archivio Storico per le province Parmensi XLVI 1994, 355.

PELOSO GIOVANNI, vedi PELOSIO GIOVANNI

PENAROLI GIOVAN BATTISTA
Pellegrino 1662/1663
Notaio, fu commissario di Pellegrino nel 1662-1663. Il 1° febbraio 1663 pubblicò una grida per la caccia nel marchesato.
FONTI E BIBL.: A. Micheli, Giusdicenti, 1925, 13.

PENAZZI GHERARDO
Parma 1711 c.-post 1792
Fu oratore sacro di qualche rinomanza. È verosimile che a quell’ufficio fosse stato destinato dalla Compagnia di Gesù, nella quale entrò da giovanetto. Benché nel 1792 oltrepassasse l’ottantesimo anno d’età, pure continuava la predicazione. Appunto in quell’anno recitò nella chiesa di San Liborio di Colorno il Panegirico di San Luigi, del quale fu dato questo giudizio (nelle Memorie per servire alla Storia Letteraria): L’autore é più che ottuagenario. Se lo compose in quest’ultimo tempo, ha diritto alla comun meraviglia; ma se fu lavoro de’ suoi anni robusti, non potea il Panegirico attendersi molta considerazione che dalla decrepitezza. Nel giornale Arcadico il Penazzi è chiamato distinto oratore e l’Affò, che lo conobbe a Rimini l’anno 1782, nel suo viaggio di Roma e Napoli lo dice Ex gesuita di merito.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 216.

PENAZZI ILARIONE , vedi PINAZZI ILARIONE

PENAZZI LUIGI, vedi PENNAZZI LUIGI

PENCARI, vedi PENCARO

PENCARO GIOVANNI
Parma 1488
Il suo nome, segnalato dall’Andres a Ramiro Tonani, figura nel catalogo della Biblioteca dei Padri Girolamini di S.t Miguel de los Reyes presso Valenza in Spagna, ove é registrato il seguente manoscritto: Francisci Tuppi neapolitani Tractatus Rithmicus in mortem Illm-e D. Hippolytae Sforciae Ducissae, traductus in linguam vulgarem Italam per Joannem Pencarum Parmensem. Ippolita, protettrice delle lettere, morì, secondo il Summonte, il Troyli e l’Art de vérif. les dates, in Napoli nel 1488.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 216-217.

PENCARO GUGLIELMO
Borgo San Donnino inizi del XV secolo-Ferrara 26 giugno 1476
Figlio di un esattore della mensa episcopale di Parma, che occupava in Borgo San Donnino l’ufficio di riscuotere le decime e i frutti che spettavano alla stessa mensa. Pare assodato che appartenesse alla famiglia di quel Pietro pencaro o Pencari, che nel 1281 redasse i primi statuti del Comune borghigiano. Fu il capostipite dell’omonima famiglia di Ferrara, città dove il Pencaro visse infatti a lungo, alternando alla carica di ambasciatore dei principi d’Este quella di docente di giurisprudenza nell’Università cittadina. Uomo di grande cultura e fine diplomatico, ottenne, a Viterbo dapprima e in seguito a Borgo San Donnino, a Parma (dove gli fu conferita la cittadinanza onoraria e dove abitò almeno fino al 1459) e infine a Ferrara, importanti incarichi. Oltre che insigne giureconsulto, fu prudente consigliere e abile ambasciatore, tenuto ovunque in grande considerazione. Emerse inoltre tra i latinisti del suo tempo. Allorché Borgo San Donnino, alla morte del duca di Milano Filippo Maria Visconti (13 agosto 1447), sull’esempio di Parma e di altre città, il 16 agosto successivo si proclamò libera repubblica, il Pencaro scrisse da Viterbo ai presidenti del governo di Borgo San Donnino una lettera di esultanza per la recuperata libertà della sua terra natale. Il documento, che reca la data del 18 novembre di quell’anno, é conservato nell’Archivio di Stato di Parma. Nel 1475, in qualità di ambasciatore e di consigliere di giustizia, fu inviato dal duca Ercole d’Este a Venezia per definire i termini dell’alleanza con quella Repubblica e con il Ducato di Milano. Fu tra i magistrati del duca Borso d’Este: nel 1468 proferì sentenza nella causa dei Rangoni per il castello di Spilamberto. Ebbe sepoltura nella chiesa di San Niccolò in Ferrara, dove una lapide ne ricorda le benemerenze.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 275-276; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 351.

PENCARO LODOVICO
Parma ante 1479-Parma post 1494
Nel 1479 fu uno degli Anziani della comunità di Parma e nel 1494 professò Istituzioni Civili nell’Università di Parma. Morì ucciso a tradimento. Giorgio Anselmi ne compose l’epitaffio.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, memorie degli scrittori, V, 242; G.B.Janelli, Dizionario biografico, 1877, 316; Rizzi, Professori, 1953, 19.

PENCARO PIETRO
Borgo San Donnino 1281
Nel 1281 redasse i primi statuti del Comune di Borgo San Donnino.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 351.

PENCARO  TEODORO
Parma XV secolo
Fu dottore di leggi e, secondo il Borsetti, lesse giurisprudenza all’Università di Ferrara.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 276.

PENNAZZI ANTONIO
Parma 1752
Nel 1752 fu tenente di fanteria nella milizia ducale di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 239.

PENNAZZI GARIBALDI
San Secondo Parmense 21 gennaio 1863-Adua 1 marzo 1896
Figlio del conte Luigi. A sedici anni seguì il padre in un viaggio di esplorazione africana. In quell’occasione, staccatosi dal padre a kartum, compì da solo, con la scorta di pochi indigeni, la marcia fino al litorale. Compiuti gli studi a Piacenza, entrò alla Scuola Militare di Modena e a vent’anni fu nominato sottotenente dei bersaglieri. IlPennazzi ottenne di essere inviato in Africa, dove si guadagnò una medaglia di bronzo al valor militare nel 1893 nella battaglia di Agordat, combattendo insieme al fratello Lincoln che vi morì da prode. Tornato in congedo a Parma, tenne una serie di conferenze sull’Eritrea, e, una volta rientrato in Africa, mandò alla Gazzetta di Parma molte corrispondenze. Studioso, colto, di prodigiosa memoria, conobbe a fondo i dialetti abissini e fu esperto come pochi delle cose coloniali e dell’Eritrea in particolare. Nella giornata di Adua, fece parte della Colonna Albertone. Il generale stesso alle lo inviò con una centuria dell’8° battaglione indigeni a guardia della mulattiera di Abba Garima. Quando il nemico lo attaccò, il pennazzi non arretrò e cadde al suo posto di combattimento, dinanzi ai suoi soldati, con le gambe stroncate dalla mitraglia scioana. Secondo alcune testimonianze, il Pennazzi spirò solo uno o due giorni più tardi, senza aver ricevuto alcuna assistenza. La motivazione della medaglia d’argento al valor militare che fu concessa alla memoria del Pennazzi é la seguente: Ferito, continuò a combattere valorosamente finché cadde morto sul campo. È ricordato nella lapide che il Comune di Parma eresse sotto l’atrio del Palazzo Civico e nella Scuola Militare di modena. Anche il Comune di San Secondo parmense lo ricordò nel 1899 con una lapide nella Rocca del Municipio.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 325-326; Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 89-90; Decorati al valore, 1964, 115; R. Delfanti, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 203-204.

PENNAZZI GINO, vedi PENNAZZI GARIBALDI

PENNAZZI GIUSEPPE, vedi PENNAZZI SALVATORE GIUSEPPE

PENNAZZI GUALTIERI o GUALTIERO, vedi PENNAZZI LINCOLN WALTER

PENNAZZI LINCOLN WALTER
San Secondo Parmense 17 settembre 1865-Agordat 21 dicembre 1893
Figlio del conte Luigi, dal quale ereditò l’amore dei viaggi d’avventura e la passione per la terra africana. Seguì la carriera delle armi e, appena promosso tenente (1887), ottenne di essere destinato alle truppe d’Africa, al comando di un reparto indigeno del 3° Battaglione indigeni. Il 21 dicembre 1893, nella vittoriosa battaglia di Agordat, il Pennazzi si lanciò alla conquista di importanti posizioni nemiche, sempre in testa ai propri uomini. Attaccato a sua volta da forze avversarie soverchianti, con calma e sprezzo del pericolo seppe contenere e spegnere l’impeto del nemico giunto sino a pochi metri dalle sue posizioni. Ferito all’inguine, non abbandonò la linea, continuando a combattere e a incitare i dipendenti. Si lanciò infine al contrattacco per conquistare nuove posizioni avversarie, che il suo reparto riuscì in effetti a occupare, finché, colpito di nuovo in più parti del corpo, cadde al grido di Savoia. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Benché ferito continuò a combattere strenuamente, mantenendo, malgrado l’irrompere di forze soverchianti, la sua mezza compagnia al fuoco alla distanza di 50 metri dal nemico, finché nuovamente colpito, cadde estinto.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 325; Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 57-58; Decorati al valore, 1964, 115; R. Delfanti, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 204.

PENNAZZI LUIGI
Parma 22 luglio 1790-post 1859
Figlio del conte Guido, si arruolò come velite nella guardia imperiale francese nel 1806. Fece le campagne di Prussia e di Polonia nel 1806 e nel 1807 e quella di Spagna nel 1807-1808. Come sottotenente e poi tenente, partecipò alla campagna d’Austria. Fu coll’11° reggimento fanteria leggera nel 1812 in Polonia e Russia, e rimase presso la Grande Armata fino al 1814. Venne ferito due volte, e dal marzo all’agosto 1814 fu prigioniero di guerra. caduto Napoleone Bonaparte, entrò nel 1815 nell’esercito parmense come Capitano del reggimento Maria Luigia. Si trasferì quindi all’Avana dove, nel 1836, sposò Francesca nakeige. Rientrò poi in Italia. Nel 1850 divenne ciambellano alla Corte borbonica e nell’anno seguente Maggiore comandante degli alabardieri e dei Reali palazzi. Fu posto in ritiro nel 1859, alla vigilia della caduta borbonica. Nel 1854 si procurò il permesso sovrano di fregiarsi della croce della legion d’onore e nel 1858 della Medaglia di Sant’Elena, concessegli ambedue da Napoleone III.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Gli Ufficiali napoleonici Parmensi, Parma, Tipografica Parmense, 1930, 30; E.Loevison, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 832.

PENNAZZI LUIGI
Avana 1829-Madrid 1895
Figlio di Luigi e di Francesca Nakeige. Tra il 1853 e il 1855, come cadetto, fu inviato dal duca Carlo di Borbone alla scuola Militare di Bruxelles e successivamente a Marsiglia ove completò gli studi. A soli diciotto anni, nel 1857, percorse a cavallo la Cordigliera delle Ande, da Valparaisio a Rosario di Santa Fé, manifestando il suo amore per i viaggi e lo spirito d’avventura che animò tutta la sua vita. Nel 1859 combatté a Solferino. Con garibaldi partecipò ai fatti d’arme d’Aspromonte, del Trentino, di Mentana e, nel 1870, alla campagna di Francia contro i Prussiani. Fu uno dei capi delle dimostrazioni avvenute dopo Aspromonte. Nel 1863 fu tenuto sotto sorveglianza dalla polizia perché fervente repubblicano. Fu presidente della Società Operaia di San Secondo. Nel 1875, in cerca di nuove avventure, risalì il corso del Nilo fino a gondokoro e nel 1878 organizzò un gruppo di combattenti italiani coi quali partecipò alla lotta per l’indipendenza greca, battendosi con valore a Licuni. Instancabile viaggiatore, fu in Messico e poi visitò la Mesopotamia. Insieme al figlio Garibaldi e al tenente Besone di Torino, tra il 1880 e il 1881, esplorò la zona compresa tra Massaua e Kartum e in seguito ripercorse in senso inverso lo stesso itinerario, con l’avvocato G. Godio e lo zoologo P.Moretti. Delle sue esplorazioni lasciò interessanti relazioni, quali Dal Po ai due Nili (Treves, Milano, 1882). Come giornalista collaborò a numerose riviste specializzate e, quale conferenziere, venne chiamato a illustrare i suoi viaggi e le sue scoperte in varie accademie. Il Pennazzi insegnò anche alla Scuola Militare di Modena. Sposò Albertina Ferrari. Morì presso la figlia Angela.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 239; P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 174; Gazzetta di Parma 17 giugno 1996, 5.

PENNAZZI SALVATORE GIUSEPPE
Parma 7 febbraio 1737-post 1779
Figlio di Domenico e Alba Bovi. Fu gentiluomo (1772) e maggiordomo della Casa ducale parmense. L’11 gennaio 1779 venne creato conte assieme ai discendenti maschi dal duca Ferdinando di Borbone. Sposò nel 1762 Maria Maddalena Fogliazzi.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 239.

PENNISI FRANCESCA
Milano 19 agosto 1974-Parma 20 luglio 1997
Fin da bambina militò nel gruppo scout Parma 8, dove percorse tutto l’iter formativo fino a divenire un capo.Fu a Mostar, con la Croce Rossa, a portare aiuto e soccorso alla popolazione in guerra.Partecipava ogni anno ai pellegrinaggi con gli ammalati a Lourdes e fu presente come animatrice nei cantieri vacanza per i disabili organizzati a castelvecchio Vicentino.Studentessa universitaria della Facoltà di Medicina di Parma, maturò la scelta di fare della propria vita un servizio.Rimase a Calcutta un’estate intera e nell’Ospedale di Madre Teresa aiutò a soccorrere i moribondi raccolti per le strade. Per ricordare la Pennisi, il movimento scout cattolico di Parma le intitolò la Comunità Notre Dame de Lourdes di Foulards Bianchi e gli amici universitari diedero vita a un’associazione di volontariato.
FONTI E BIBL.: L.Vignoli, notizie manoscritte.

PENSIER o PENSIERI BATTISTA, vedi PANZERI BATTISTA

PENSIERI GIUSEPPE
Corniglio 1802-post 1861
Dietro proposta del podestà, il 23 febbraio 1832 venne nominato alla funzione ispettiva scolastica. Dottore in legge, laureato gratuitamente in giurisprudenza presso l’Ateneo parmense nel luglio del 1825, fu notaio a corniglio. Al Pensieri può ascriversi un singolare primato rispetto ai colleghi degli altri comuni dello Stato: quello di aver ricoperto la carica di ispettore scolastico, che era del tutto gratuita, ininterrottamente dal 1832 alla costituzione del regno d’Italia (1861).
FONTI E BIBL.: G.Gonzi, Storia scolastica a Corniglio, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1976, 237.

PENSIEROSO, vedi MASSARENGO GIOVANNI BATTISTA

 PEPÈ, vedi CAMPANINI PIETRO

PEPOLI CESARE
Bologna 1563-1617
Figlio di Fabio. Combatté in Fiandra per gli Spagnoli. Fu Colonnello per il Papa alla conquista di Ferrara e Luogotenente generale per i Veneziani. Nel 1594 acquistò il marchesato della Preda, in provincia di Parma, e ottenne l’investitura dal duca Ranuccio Farnese.
FONTI E BIBL.: R. Ricotti, Storia delle Compagnie di ventura in Italia, Torino, 1893; V. Spreti, enciclopedia storico nobiliare italiana, Milano, 1932; B. Visani, Storia di Bologna, Bologna, 1632; C. Argegni, Condottieri, 1937, 412-413.

PEPPEN DE L'ANZULA, vedi GABELLI GIUSEPPE

PER GIULIO, vedi PAËR GIULIO

PERACCA JOLANDA
Massa Apuania 28 febbraio 1902-post 1968
Fu benemerita insegnante nella scuola elementare di Bazzano per oltre trant’anni: dal 1933 al 1964. Fu educatrice zelante e sempre pronta a promuovere iniziative di carattere civile, religioso e patriottico. Nel 1966, per raggiunti limiti di età, andò in pensione. Da parte del Ministero della Pubblica Istruzione fu insignita di medaglia d’oro per le benemerenze acquisite nella suola primaria nel quarantennio dell’insegnamento.
FONTI E BIBL.: F.Barili, Arcipreti di Bazzano, 1976, 112.

PERACCHI GIUSEPPE
Parma 27 luglio 1804-post 1838
Figlio di Nicola. Alunno presso le ducali cucine, fu poi in servizio alla Corte di Maria Luigia d’Austria dal 1827 come sottoaiutante di cucina e dal 1838 come aiutante di cucina.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 313.

PERACCHI GIUSEPPE
Piacenza 7 aprile 1818-Milano 14 settembre 1887
Si trasferì a Parma giovanissimo e vi compì l’intero ciclo degli studi. Si laureò in medicina allo Studio universitario di Parma nel 1841. Innamoratosi di Antonietta Robotti, valentissima attrice della Compagnia Reale Sarda, la seguì per quasi due anni. Ammalatosi il primo amoroso della compagnia, Pietro Boccomini, il Peracchi, che si era già acquistato fama tra i filodrammatici di artista promettente, fu scritturato quale primo amoroso a vicenda col boccomini. In seguito, per la morte di Giovanni Battista Gottardi, il Peracchi ebbe il posto di primo attore, che sostenne con onore al fianco di artisti egregi, quali la Robotti e la romagnoli, il Gattinelli, il Domeniconi e il dondini. Nel 1853, per contrasti avuti con altro primo attore della compagnia, Ernesto Rossi, il Peracchi ottenne lo scioglimento del contratto. Inizialmente si scritturò con la compagnia Astolfi e Sadowski, per un anno. Passò poi per un triennio, con Antonietta Robotti, uscita dalla Reale Sarda, e poi con Giuseppe Trivelli, conduttore di una compagnia famosa per ricchezza di arredo scenico, di cui fu prima attrice Elena Pieri Tiozzo. Il Peracchi rappresentò al Teatro Re di Milano nel marzo del 1854 la parte di Goldoni nella commedia di Ferrari, ricevendo dalla critica acerbo biasimo. Nel 1859 il Peracchi fu capocomico, ma proprio in quegli anni, secondo quanto afferma il costetti, cominciò la sua parabola discendente. Il Peracchi, che nel 1861 sposò Celestina de Martini (attrice bellissima, dalla quale si divise quando questa divenne l’amante del commediografo teobaldo Ciconi), fu dal 1860 al 1865 primo attore di Bellotti-Bon, poi di nuovo capocomico, infine direttore (1875-1877) di una delle tre compagnie di Bellotti-Bon. Nella prima parte della sua vita artistica, il Peracchi fu, a detta del Costetti, glorioso. Verso la fine della carriera, nonostante certi difetti di recitazione, emerse comunque sempre la sua originalità, specialmente per alcuni ruoli, come l’Oliviero di Jalin nel Demimonde o il Cavaliere d’Industria. Alla stravaganza accoppiò una dizione lenta e nasale, originalissima, alla base, talvolta, di curiose improvvisazioni.
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, in Caffè 20 settembre 1887; Costetti, in Fanfulla della Domenica 25 settembre 1887; Brunialti, Annuario biografico universale, 1887, 609; L. Rasi, Comici italiani, III, 1905, 250-253; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, 1946, 74; Aurea Parma 1 1939, 28.

PERACCHI GUERRINO
Salsomaggiore 11 marzo 1919-Besozzola 15 febbraio 1945
Figlio di Eugenio. Partigiano della 31a Brigata Garibaldi Forni, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Nel tentativo di effettuare una urgente azione di collegamento si avventurava fra le linee nemiche con temerario coraggio. Scoperto e circondato e avendo rifiutato di arrendersi veniva trucidato sul posto.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 112; caduti resistenza, 1970, 86.

PERACCHI NICOLA
Parma 6 maggio 1777-post 1831
Sposò nel 1813 Marianna Corsini di Parma, dalla quale ebbe tre figli. Confetturiere impiegato nella compoterie ducale, fu in servizio dal 1815 alla Corte di Maria Luigia d’Austria come aiutante della confettureria. Dal 1821 fu primo aiutante della confettureria. Fu collocato in pensione il 1° luglio 1831.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria luigia, 1991, 313.

PERACCHI ANACLETO
Milano 10 settembre 1931-Parma 14 ottobre 1999
Si laureò nell’Ateneo parmigiano nel 1955, con il massimo dei voti. Da allora la sua carriera si svolse nell’Università degli Studi di Parma: il Peracchia fu allievo di Edmondo Malan, Antonio Bobbio e Pierangelo Goffrini e si perfezionò in prestigiosi centri stranieri. Specializzato in Chirurgia generale e in Urologia, libero docente di Patologia chirurgica e di Clinica chirurgica, dopo essere stato assistente e aiuto universitario, nel 1973 diventò professore ordinario di Chirurgia dell’Ateneo di Parma. Dal 1975 al 1983, quando assunse la guida dell’Istituto di Clinica chirurgica generale, diresse l’Istituto di Patologia speciale chirurgica e Propedeutica clinica. Dal 1996 fu anche direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia generale. Membro e presidente di società chirurgiche nazionale e internazionali, il Peracchia redasse centinaia di pubblicazioni in Italia e all’estero: una monografia gli valse nel 1996 il premio Ruggeri della Società italiana di chirurgia. Nel 1998, inoltre, gli fu conferito il premio Guglielmo da Saliceto per la chirurgia. La sua intensa attività scientifica fu incentrata soprattutto sulla chirurgia digestiva e oncologica.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 16 ottobre 1999, 9.

PERAZZI DOMENICO
Parma 1648/1659
Fu cantore (basso) alla Steccata di Parma dal 6 maggio 1648 a tutto il dicembre 1658. Fu anche cantore della Cattedrale di Parma in occasione della festa di Pasqua del 1659.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 97 e 114.

PERDUTO, vedi TORELLI POMPONIO

PEREGO FEDERICO
Trezzano sul Naviglio 1891-Parma 1963
Prima dello scoppio della prima guerra mondiale fu impiegato alla Pirelli. Chiamato alle armi, venne assegnato al 2° Reggimento granatieri di Sardegna. Si distinse in numerosi fatti d’arme, rimanendo ferito nella zona del Cengio a Veliki-Kribak. Per i suoi atti eroici fu decorato con tre croci di guerra, una croce al merito e una Medaglia d’Argento al Valore Militare. Inviato in licenza di convalescenza a Parma, si sposò e, congedato con il grado di Maresciallo, nel 1920 diede avvio a un’azienda per la commercializzazione delle materie plastiche.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 239-240.

PEREGRINO DA PARMA, vedi PELLEGRINI FABRIZIO

PEREGRINO FABRIZIO, vedi PELLEGRINI FABRIZIO

PERETTI
Parma 1887/1940
Decoratore. Realizzò lo stemma del Torrione e decorazioni dell’androne di accesso alla Sala da Biliardo del Torrione del Castello di Gabiano Monferrato, su progetto di Lamberto Cusani.
FONTI E BIBL.: Gli anni del Liberty, 1993, 157.

PERETTI ETTORE
Parma 11 novembre 1934-Cesena 15 marzo 1995
Dopo aver studiato pianoforte con Mario Conter, si diplomò al Conservatorio di Milano nel 1954 con il massimo dei voti.Nel 1957 fu ammesso all’Accademia di Santa Cecilia di Roma dove si perfezionò con Carlo Zecchi.Nel 1960 si diplomò in organo a Parma.Svolse una vasta attività concertistica in Europa e in Sud America, partecipando anche a importanti competizioni internazionali.Per più di vent’anni fu docente di pianoforte al Conservatorio di Pesaro.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 526.

PERETTI FERDINANDO
Borgo San Donnino 1896-Montecarlo 1977
Giovanissimo iniziò la propria attività nel settore del petrolio come rappresentante di una multinazionale per la provincia di Parma.Verso la metà degli anni Trenta, sopo aver fondato una società per il trasporto dei prodotti petroliferi, rilevò da un piccolo gruppo di imprenditori marchigiani l’Azienda Petroli Italiana, con deposito a Falconara Marittima.Nel 1947-1948 realizzò il primo nucleo di impianti della raffineria di Falconara, che iniziò la propria attività nel 1950, stabilimento che in seguito diventò uno dei più moderni d’Europa, con capacità superiori ai quattro milioni di tonnellate. Successivamente attivò una rete di distribuzione carburanti fino a raggiungere 1500 stazioni di servizio.Fu tra i soci fondatori dell’Unione Petrolifera e venne nominato, primo petroliere con Enrico Mattei, Cavaliere al Merito del Lavoro.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 526.

PERETTI MILA, vedi BRACHETTI MILA

PERETTI TITO
Genova 1903-Pesaro 22 giugno 1980
Studiò decorazione, scenografia e architettura all’Accademia di Brera a Milano, con Palanti, Mentessi e De Luca. Si abilitò all’insegnamento a soli diciassette anni e poi lavorò per alcuni anni a Milano realizzando decorazioni con Bottaro. Quindi, nel 1928, si trasferì a Parma, sempre svolgendo attività di decoratore e, dopo il 1940, soprattutto di arredatore. Tra l’altro, effettuò il restauro e le decorazioni nel grande palazzo napoletano Cassano Serra tra il 1955 e il 1960. A Parma tenne alcune mostre personali di acquarelli (quella alla galleria Camattini nel dicembre 1967 e quella al Collezionista di Piancastelli nell’aprile 1979) particolarmente apprezzate dal pubblico sia per l’abilità nello stendere la difficile pittura ad acqua sia per la scelta dei temi, che variano dalla vecchia via Affò e dal Duomo di Parma ai portali del palazzo della Prefettura e di piazzale delle Carrozze, ai paesi umbri (il Bargello a Gubbio, la piazza del Comune ad Assisi), dalle barche di Cervia alle chiese, vicoli e cortili di Barcellona, dal castello di San Terenzo alla Foresteria di Pomposa, il canale nel Parco a Cervia, Tellaro, e poi rose, petunie, spiagge e cipressi. Una varietà di temi e di colori che rende interessanti quegli appunti di viaggio, quelle scelte di angoli caratteristici catturati nel ricordo e poi fissati con serenità e con semplicità. La sua pittura è una ricerca continua della minuzia e del particolare, un discorso svolto pacatamente a narrare con la maggiore esattezza possibile angoli di Italia o di Europa rimasti nella memoria. Il Peretti decoratore effettuò restauri importanti in palazzi famosi di Milano o di Napoli, prima di porre il proprio gusto e la propria preparazione al servizio dell’arredamento in stile. I paesaggi delle sue ultime opere, frutto magari di vacanze estive da una nazione all’altra, si riallacciano ai fiori minuziosi che il Peretti aveva steso anni addietro, senza mai concedere niente al caso, come negli ambienti in cui suscita atmosfere svanite da secoli. Il tutto per una dimensione personale, fatta di rigore e di silenzi, di stili incontaminati, a cui si aggiunge il racconto lieve degli acquarelli in punta di pennello. Il Peretti fu un cantore silenzioso, poetico, meticoloso e affettuoso di piccoli angoli di città, anch’essi silenti, dalle luci rosate, appartenenti a un passato idealizzato, pensato e forse sognato.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 25 giugno 1990, 3.

PERFETTI GIOVANBATTISTA
Borgo San Donnino 1699
Intagliatore. Nell’anno 1699 eseguì, in collaborazione con i falegnami bussetani Angelo Baretti, Giuseppe e Giovanbattista Gaibazzi e Bernardino e Giovanni Isè, un armadio nel Monte di Pietà di Busseto.
FONTI E BIBL.: C.Mingardi, 1973, 184-185; Il mobile a Parma, 1983, 256.

PERFETTI ODOARDO
Borgo San Donnino seconda metà del XVII secolo
Intagliatore d’ornati attivo nella seconda metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XV, 1823, 42.

PERI
-Parma ante 1686
Tipografo, già morto nel 1686, quando gli Eredi del Peri pubblicarono Le metamorfosi d’una musa faceta divenuta massara del Gran Turco.In Parma, Modona, & Bologna. All’insegna dell’Angelo Custode.
FONTI E BIBL.: Al pont ad Mez 1996, 20.

PERI LUIGI
Parma seconda metà del XIX secolo
Xilografo e illustratore di lunari, fu attivo in Parma nella seconda metà dell’Ottocento.
FONTI E BIBL.: P.Martini-G. Capacchi, Arte incisione a Parma, 1969.

PERINI ANTONIO
Parma 1728
Incisore, attivo nell’anno 1728.
FONTI E BIBL.: P.Martini-G. Capacchi, Arte incisione a Parma, 1969.

PERINI CLAUDIO
Parma-post 1593
Mentre studiava Filosofia nel Convento carmelitano di San Martino di Bologna, nell’anno 1582, benché fosse ancora giovane, fu scelto per comporre e recitare pubblicamente una orazione latina, subito dopo data alle stampe con questo titolo: F. Claudii Perini Parmensis Carmelitae Philosophiae Studentis Oratio in praeconium D. Petri Thomae Martyris Carmelitae Constantinopolitani Patriarchae Alexandriae, et Bononiae Legati florentiss. Bonom. Academiae Congregationis Mantuanae Carmelitarum Protectoris benignissimi, habita publice in Ecclesia Divi Martini Bononiae die lucidissimo Epiphaniae Domini (MDLXXXII, Bononiae apud Peregrinum Bonardum). Dopo gli studi sacri, aggregato al Collegio Teologico di Bologna, il Perini si distinse nell’insegnamento e nella predicazione: qualche notizia del Perini lasciò il Falcone nella sua Cronica Carmelitana (f. 741), da cui si ricava che fu ottimo in ogni arte, e virtù, in speculatione, e predicatione; tre anni in Bologna, come filosofo consumato, lesse filosofia, predicò con mirabile persuasiva e commiserativa in Milano, in Bologna, in Mantova, in Ferrara. Nel 1593 fu Priore del Convento di Parma, dove però non si fermò. Scrisse diverse opere che non furono stampate (come assicura Carlo Maria Vaghi) e meritò le lodi del Pico.
FONTI E BIBL.: G.Falcone, Cronica Carmelitana, 1595, 741; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 304; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 629.

PERINI FRANCESCO
Parma 1772
Benché il Martini lo ricordi tra gli incisori, il Perini fu in realtà semplice calcografo, regio impressore di rami, sul finire del Settecento. Fu probabilmente fratello di Antonio.
FONTI E BIBL.: P.Martini-G. Capacchi, Arte incisione a Parma, 1969, 41.

PERINI GIOVANNI
Berceto-post 1653
Figlio di Matteo. Fu sacerdote e canonico di Berceto. Del Perini, che fu grammatico di valore, si hanno solo le poche notizie che si traggono dalla sua grammatica dal titolo perini Parmensis Grammatica, noviter formata in gratiam, et commondum studiosae Juventutis, quae brevi, ac facili cursu, optat ad metam pervenire, favente Deo. Cuius est nomen Joannes, Berceto oriundus Dei gratia Sacerdos, et ibi Canonicus. Opus sane egregium, ac pernecessarium, utpote ab omnibus fere Auctoribus decerptum (Parmae, Typis Erasmi de Viothis, 1653). Il frontespizio reca un elogio del Perini in questo tetrastico: Discere quisquis optas sine praeceptoribus Artis, Quicquid grammaticae sermo latinus habet, Parmensis facunda tui Praecepta Perini Perlege Joannis: sic cito doctus eris. Pare che il Perini insegnasse grammatica in Parma. Ne è indizio anche l’esempio da lui recato al f. 402: Discipulis Parmae studentibus opus est in annos singulos ternis et sexagenis aureis in sumptum. Nell’avviso ai suoi discepoli, che sta in fronte al volume, dice inoltre: nostrum semper studium fuit omnibus prodesse. Infine, considerata la condizione miseranda in cui era caduta la lingua latina ai suoi giorni, il Perini confida che i suoi precetti, ai quali aveva posto tanta cura, avessero il potere di farla risorgere da così gran decadimento: Cum maxime videremus latini sermonis splendorem fere esse extinctum; quod nonnulli male profecto de humani generis ornamento merentes, adeo corruperunt, atque depravarunt, superflua addendo, necessaria resecando, et castigata pervertendo, ut amplius agnosci non possit.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 926-927.

PERINI GIUSEPPE
Parma prima metà del XIX secolo
Plastico attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, IX, 211.

PERINI NAPOLEONE
Parma 1848-1903
Dopo aver studiato scenografia alla scuola parmense, abbandonò quest’arte (nella quale era già più che una speranza) e si recò in Francia e poi in Inghilterra. Uomo di multiforme ingegno, il Perini riuscì a farsi apprezzare in questi paesi come uno dei migliori insegnanti di lingua italiana, francese e inglese. A Londra diede alle stampe una grammatica per uso degli Inglesi che volevano imparare la lingua italiana. Poi, attratto dai calcoli astronomici, compose un planetario destò meraviglia per la sua esatta struttura e per i precisi movimenti dei diversi pianeti e satelliti. Giornali autorevoli come il Times ne riportarono gli elogi. Il Perini impiegò sette anni a costruire il suo planetario. L’opera non poté però essere adottata nelle scuole in quanto, anche riprodotta e ridotta, riuscì comunque troppo costosa.
FONTI E BIBL.: B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 118.

PERINI PIETRO
Parma 1720 c.-post 1787
Orefice e argentiere attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, VIII, 233; Argenti e argentieri, 1997, 3-5 e 101.

PERIZZI ANTONIO
Parma 1848/1866
Discendente da una famiglia di tradizioni militari, il Perizzi raggiunse il grado di capitano e partecipò come volontario alle campagne per l’indipendenza italiana.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 185.

PERIZZI TEOBALDO
Genova 1859-San Leonardo Parmense 1926
Figlio di Giovanni. Sottotenente del Genio nel 1878, divenne Colonnello nel 1911. comandò il 1° Reggimento genio zappatori e poi fu direttore del Genio a Napoli. Nel 1915 prese parte alla guerra contro l’Austria quale comandante del Genio del 10° Corpo d’armata. Nello stesso anno fu collocato in P.A. ma fu trattenuto in servizio per la guerra. Il 3 novembre 1915 venne promosso sul campo Maggiore generale da Emanuele Filiberto di Savoja, comandante della 3° Armata. Nella comunicazione, scritta di suo pugno, il Duca ne indicò la motivazione: Per aver costruito il ponte di cassegliano sull’Isonzo, sotto il fuoco nemico, opera magistralmente bella e di grandissima utilità. Esprimo il mio personale elogio e riconoscenza per la bella impresa eseguita in brevissimo tempo. Nel 1919 passò nella riserva e nel 1923 assunse il grado di Generale di divisione. Consorte del Perizzi fu Anna Simoni, nipote del noto pittore Francesco Scaramuzza. Per tale parentela, la famiglia Perizzi rimase proprietaria dei 240 cartoni illustrativi della Divina Commedia, poderoso e pregevole lavoro dell’artista.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia militare, VI, 1933, 8; T. Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 185.

PERIZZI BOERI ARIBERTO
Parma 1855-post 1889
Lasciata Parma nel 1880, viaggiò in tutto il mondo conducendo una vita avventurosa: fu geometra in Grecia, mercante a costantinopoli, giornalista in Francia, Spagna e Tunisia, maestro di scherma a Malta, avvocato in Egitto, esploratore nel Sudan, cacciatore d’elefanti in Zanzibar, cicerone in Terra Santa, cavallerizzo di circo equestre a Parigi. Nella capitale francese scommise con alcuni amici che avrebbe fatto il giro d’Europa in bicicletta. In effetti il Perizzi Boeri girò tutta l’Europa (comprese Russia e Turchia) e al termine del suo viaggio consegnò all’editore Battei il manoscritto del suo diario, Un po’ d’Europa in bicicletta, che uscì in dispense e fu poi raccolto in volume. Nel 1889 il Perizzi Boeri fu ancora a Tunisi, dopo di che se ne perdono le tracce.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 118.

PERLETTI FAUSTINO
Parma 1859
Fu deputato all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo di Parma nel 1859. Non ebbe parte di rilievo ai lavori dell’Assemblea.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento: Parma, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini illustri, 1941, 373.

PERLINI GIUSEPPE
Noceto 1903-Parma 1967
Unica voce di poesia dialettale nocetana, seppe far rivivere il sensibile temperamento della sua gente attraverso vari componimenti descrittivi. Creò con un frasario semplice e schietto, senza sforzo e senza artificio, con il fascino della sincerità una poesia d’amore per la Noceto antica e contemporanea (Gäroi ed nozi, La roccä ‘d Nozé, Lä storiä ed Nozé, Lä cesä ‘d Nozé), per quadretti di intonazione amorosa (In brusiä, Brusevon ä fog mort, Te spiävä d’insimmä äi bräz, Nossi d’ori, Amor), per le istituzioni sociali e folcloristiche della sua terra natale (Lä Bandä, L’äsilo, Lä ferä), per gli anni della sua giovinezza (Fa la nanä, Contemplässion). Nel 1942 uscì il volume di poesie dialettali Gäroi ed nozi. Il Perlini raccolse nel 1957 in un volumetto dal titolo Eppure Iddio vegliava sopra il sole alcune sue liriche in lingua italiana, fresche e fedeli alla sua personalità e al suo modo di sentire e di esprimersi.
FONTI E BIBL.: J.Bocchialini, Dialetto vivo, 1944, 157; A. Foà, Le poesie di Giuseppe Perlini, in gazzetta di Parma 20 maggio 1957, 3; F. da Mareto, bibliografia, II, 1974, 827; Antologia poesia dialettale, 1970, 127; G. Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 297.

PERNIGOTTI PIO
Alessandria 1906-Parma 2 aprile 1998
Figlio di un notaio, il Pernigotti diventò magistrato nel 1929, a soli ventitré anni d’età. Pretore a Parma, successivamente a Milano, quindi di nuovo a Parma, fu giudice del Tribunale fino al 1950. Promosso poi alla Corte d’Appello di Trento, vi restò nove anni prima di fare ritorno a Parma, dove fu presidente del Tribunale. Ricoprì l’importante carica fino al 1966, quando l’ennesimo riconoscimento professionale lo portò a Roma, consigliere alla Corte Suprema di Cassazione. A Roma rimase tre anni, prima di tornare a Milano quale presidente di Sezione di Corte d’Appello. Fu in seguito promosso alle funzioni direttive superiori che svolse fino al 1976, quando andò in pensione con il grado di presidente aggiunto della Corte di Cassazione. Dei suoi meriti rimangono testimonianza le tante sentenze che rappresentano precisi punti di riferimento nella disciplina giuridica: alla sapienza della materia si sposa una lucida e sensibile capacità interpretativa.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 4 aprile 1998, 9.

PERNIS MARIO
Parma 1875-1948
Discendente da una famiglia di fabbricanti di carta giunta nel parmense ai primi del novecento, ampliò e sviluppò in Porporano una preesistente struttura produttiva che, sfruttando il salto d’acqua esistente sul Canale maggiore (così come altre similari antiche cartiere della zona), produsse carta per imballaggi destinata al mercato nazionale.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 405.

PERONE GIULIO, vedi PERONI GIULIO

PERONI BERNARDO
1836-Parma 19 giugno 1886
Colonnello, comandò la scuola normale di Fanteria di Parma. Fu valoroso soldato: combatté le battaglie per l’indipendenza italiana partecipando alle campagne del 1848, 1849, 1859, 1860 e 1866.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 e 21 giugno 1886; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 74.

PERONI GIULIO
Parma giugno/dicembre 1705-1784
Nacque da Luigi, dottore in fisica, della stessa famiglia del pittore Giuseppe. Sacerdote, fu Dottore del Collegio dei Teologi, Esaminatore Sinodale e Rettore (eletto dagli Anziani della parrocchia nel 1755) della parrocchia di San Bartolomeo in Parma. Rimase parroco fin che visse. Dedito sempre a opere di beneficenza, il Peroni fu tra l’altro il fondatore del conservatorio educativo per le fanciulle di civile condizione in Parma dedicato a San Vincenzo de’ Paoli e detto delle Vincenzine.
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 506.

PERONI GIUSEPPE
Parma 6 maggio 1710-Parma 22 settembre 1776
Figlio di Luigi. Nacque da una agiata famiglia borghese: il padre fu dottore in fisica, uno dei fratelli medico e l’altro sacerdote, le tre sorelle monache nel Convento di San Basilide. Alla carriera ecclesiastica venne avviato anche il Peroni, che il 10 aprile 1724 ricevette la prima tonsura (Carteggio Peroni). Ma una spiccata tendenza all’arte pittorica, manifestata fin dai primi anni, autorizzò il padre a mandarlo alla scuola di Pier Ilario Mercanti, detto lo spolverini, famoso pittore di battaglie e ritrattista di corte. All’arte dell’affresco si iniziò invece sotto la guida di Giovanni Bolla. Nel 1731 venne mandato a Bologna, su consiglio dello Spolverini, dal momento che i primi passi nella carriera delle belle arti furono rapidi tanto da promettere gran cosa (Scarabelli Zunti, 1751-1800). Nel capoluogo emiliano frequentò l’Accademia Clementina, dove il 12 novembre 1733 conseguì il premio di seconda classe per la Figura (Carteggio Peroni) e seguì gli insegnamenti di Ercole Lelli, anatomico rinomato, del Torelli e di Donato Creti. Da Ferdinando Bibiena apprese inoltre nozioni di architettura disegnata e di prospettiva. Nel 1734 partì per Roma, e lo si trova alla scuola di Agostino masucci. Il maestro romano, già custode geloso della tradizione classicista tardo-barocca di Carlo Maratta, era nel momento della sua piena maturità artistica che si espresse attraverso una limpida e raffinata evoluzione verso espressioni pre-neoclassiche. Proprio nel 1738 infatti, quando il Peroni giunse nel suo atelier, il Masucci stava lavorando al Giudizio di Salomone (Torino, Palazzo Madama). La notevolissima versatilità di cui fu dotato il Peroni venne perciò subito indirizzata in questo senso e si arricchì a contatto con le più diversificate e molteplici tendenze pittoriche e presenze artistiche di quella Roma che costituì luogo di incontro del tutto eccezionale di culture a livello europeo. Il Peroni ebbe rapporti col Conca, col Giaquinto, col Trevisani e, nell’ambito del nascente neoclassicismo romano, con Marco Benefial, con lo stesso Mengs e soprattutto con Pompeo Batoni. A Roma nel 1738 vinse il primo premio di pittura all’Accademia di San Luca (Scarabelli Zunti, 1751-1800). Di pari passo procedette la carriera ecclesiastica: infatti l’8 giugno del 1743 nella Basilica Lateranense venne ammesso all’ordine del Suddiaconato, il 21 dicembre dello stesso anno, a Parma, venne promosso all’ordine del Diaconato, finalmente il 21 marzo 1744 celebrò la sua prima messa nella chiesa di San Basilide (Carteggio Peroni). Tornato a Parma, il Peroni venne chiamato a insegnare pittura all’Accademia. La prima opera datata, nella sua ancora incerta cronologia, la si trova allo stesso anno 1744, quando dipinse a titolo d’amicizia (A. Bergonzi, Manoscritti dell’anno 1744, Archivio della Chiesa di San Martino a Varano Melegari) una paletta coi Misteri del Rosario e due affreschi con la Madonna vincitrice della Morte e della Tentazione per la chiesa di San Martino a Varano Melegari. Quali altre opere considerare eseguite durante questo soggiorno in patria, che si protrasse fino al 1750, non è cosa facile. L’Affò (1796) cita come opera giovanile il S. Giovanni Battista, già nella chiesa di Santa Cecilia e poi in quella di Ognissanti, ma l’opera, che si pone piuttosto a sé nel percorso del Peroni, pare si debba datare ad anni più tardi, soprattutto per certe relazioni con la tela La Predica di S. Vincenzo de’ Paoli, in San Lazzaro a Piacenza, ed eseguita a Roma tra il 1750 e il 1751 su commissione del cardinale Alberoni. Tra il 1750 e il 1752 fu di nuovo a Roma, dove rivestì un ruolo non certo di secondo piano se tra i suoi mecenati si trovano, oltre al cardinale Alberoni, il de’ Palestrina e il principe Barberini. Il 21 gennaio 1752 fu a Napoli. Il 24 agosto sostò a bologna, ospite del Lelli, per proseguire poi per Venezia dove lo si trova il 29 agosto (Carteggio Peroni). Verso la fine del 1752 ritornò a Parma dove dipinse il Martirio di S. Bartolomeo per la chiesa omonima. Furono quelli anni di rifioritura economica e artistica per il Ducato. Nell’ambito del rinnovamento culturale, venne fondata il 12 novembre 1752 l’accademia di Belli Arti, inaugurata però solo il 2 dicembre 1757. Tra i maestri di pittura si trovano, oltre al Peroni, Ferrari, Bresciani e baldrighi, mentre per la scultura e l’architettura si preferì chiamare artisti francesi come il Boudard e il Petitot. Il Peroni però non gradì questi stranieri e manifestò apertamente la sua avversione tanto da far nascere una spiacevole controversia che coinvolse il Petitot, il baldrighi e lo stesso ministro Du Tillot (G. Allegri tassoni, 1955). ciononostante la sua fama rimase solida e nel 1756 la duchessa Luisa elisabetta, moglie di Filippo di borbone, gli commissionò un San Luigi Re di francia che dona al Beato Bortolomeo di Breganze le reliquie della Passione per la chiesa di San Pietro martire, poi trasportato in vescovado. L’anno seguente realizzò una delle sue opere più felici, Il Cristo e la Maddalena per la Certosa di Pavia. Nell’ambito di abbellimento della città di Parma gli vennero affidate le decorazioni di alcune importanti chiese: l’oratorio della Madonna del Fiore, Santa Maria del Ponte, Sant’Antonio e San Vitale. Per quest’ultimo dipinse, nel 1758, oltre agli affreschi, una Madonna del Suffragio che venne inserita nella boiserie della sagrestia. Nel 1763 affrescò la chiesa di Santa Maria di Capodiponte e nel 1766 si dedicò alla decorazione della chiesa di sant’antonio. Agli stessi anni si possono datare opere come il Martirio di S. Lucia (Galleria Nazionale, Parma), Cristo e la Samaritana (S. Sepolcro, Parma) e Lo Sposalizio della Vergine per il Duomo di Pontremoli. Nel 1765 terminò una tela per la chiesa di San Satiro a Milano con l’Estasi di S. Filippo Neri e nel luglio del 1766 spedì a Parma da Milano una Crocefissione per la chiesa di Sant’Antonio. Nel 1771 fu a Torino dove dipinse una Vergine, S. Anna e S. Giuseppe e una Immacolata concezione per la chiesa di San Filippo. Tornato in patria, eseguì nel 1774 una Madonna coi Ss. Gregorio e Vitale e una Santa Lucia per la chiesa di San Vitale Baganza. A una simile datazione si può riferire anche la tela con Lo sposalizio di S. Caterina della Galleria Nazionale di Parma. Gli ultimi anni, pur ricchi di commissioni, furono amareggiati dall’imperversare di una cultura per lui troppo libertina e francesizzante. Il Peroni, considerato già dal Lanzi (1796) come artista di transizione, ebbe l’indiscutibile merito di aver tentato di condurre la pittura locale in un giro più ampio di interessi, al di fuori della stretta dipendenza bolognese, e lontano anche dagli ingombranti miti della scuola parmense cinquecentesca (Riccomini, 1977).
FONTI E BIBL.: S.Ticozzi, Dizionario degli architetti, III, 1832, 127-128; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 306 e 504-506; I. Affò, Il Parmigiano, Parma, 1794; I. Lanzi, Storia, Bassano, 1789 e successivi; P. A. Corna, Dizionario, Piacenza, 1930; A.O. Quintavalle, La Reale Galleria di Parma, Roma, 1939; Enciclopedia pittura italiana, III, 1950, 1894; Aurea Parma 4 1955, 228-234; U. Thieme-F. Becker, vol. XXVI, 1932; Dizionario Bolaffi pittori, VIII, 1975, 423; parma Realtà 1979, 13; R. Rota Jemmi, in Arte a Parma, 1979, 70-72; Disegni antichi, 1988, 37.

PERONI LEONIDA
Parma 1817 c.-Parma 13 febbraio 1906
Figlio di Luciano. Avvocato, fu Presidente della Cassa di Risparmio di Parma, della associazione Conservatrice, consigliere del comune di Parma e della Provincia, membro della GPA, assessore e deputato provinciale.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 dicembre 1920, 1-2.

PEROTTA FRANCESCO FERDINANDO
Parma 1 gennaio 1778-Parma 10 luglio 1846
Nacque dal tenente colonnello Alessandro e da Giovanna Russo. Il Perotta entrò a diciotto anni nelle Guardie del Corpo del duca ferdinando di Borbone e vi rimase fino alla loro soppressione, nel 1805. Peraltro non cessò mai gli studi, laureandosi in matematica. Nel 1804, a soli ventisei anni, fu proposto e approvato quale professore d’Idraulica Teorico-Pratica nell’Università di Parma. Coi mutamenti politici avvenuti sotto il Governo francese, il perotta perse inizialmente ogni impiego. Ma già nel 1806 fu Conduttore non embrigadé degli Ingegneri Imperiali di 2a classe di Ponti e Strade, e autorizzato a portare l’uniforme di ritiro delle Guardie del Corpo. Nel 1810 ebbe la nomina di Conduttore incorporato degli Ingegneri di 3a classe e nel 1811 di quelli di 2a. Partiti i Francesi, la Reggenza il 28 febbraio 1814 confermò il Perotta nel posto d’ingegnere, incaricandolo temporaneamente della direzione degli affari concernenti i ponti, le strade e gli argini del Ducato di Parma. Nel giugno successivo lo nominò primo Ingegnere del Ducato, coll’incarico di fare le veci del capo ingegnere Cocconcelli. nell’aprile del 1832 fu nominato Ispettore e Capo della divisione delle Acque e delle Strade nella presidenza delle Finanze e nel 1836 gli venne dato incarico di fare le veci del capo degli ingegneri e direttore d’acque e strade (ufficio che tenne fino al 31 marzo 1846, epoca della morte del cocconcelli). Sposò nel 1807 ferdinanda martini.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1846, 229; Adorni, Saggio d’iscrizioni, Milano, 1846, 32-34; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 306-308.

PEROTTA RAIMONDO
Parma 1810 c.-post 1877
Figlio di Francesco Ferdinando. Laureatosi nel 1843, percorse tutti i livelli della Magistratura fino al grado di Consigliere alla Corte d’appello di Bologna. Pubblicò diversi lavori, tra cui Il Processo penale, I Giurati alle Corti d’assise e La Legge 8 giugno 1874 di modificazione all’ordinamento dei Giurati: lavori che furono tutti assai lodati. Sposò la nobile Chiarina moyares Raimondo, dalla quale ebbe nove figli.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 307-308.

PERREAU PIETRO
Piacenza 27 ottobre 1827-Parma 1911
Figlio di un ingegnere di origine francese e della contessa piacentina Matilde Anviti. dopo aver compiuto gli studi al Collegio alberoni di Piacenza dal 1844 al 1849, apprese da solo il greco, il tedesco, l’inglese, l’ebraico, il russo, il polacco, il boemo e l’illirico. Studiò Filologia e filosofia a Piacenza fino al 1853, quindi passò, per motivi di salute, un anno a Genova. Nel 1854 fu eletto professore di Greco, di Tedesco e di Storia nel Collegio Carlo Alberto di Moncalieri. Negli anni 1855-1856 insegnò il greco e il tedesco nel Collegio Maria Luigia di Parma. Nel 1857 fu nominato direttore della Biblioteca Landi di Piacenza, della quale compilò il catalogo. Apprese l’ungherese, e pubblicò sull’Annotatore, giornale di Parma, una serie di articoli sulla traduzione della Bibbia nelle varie lingue indiane. Nel 1860 fu chiamato a dirigere la raccolta orientale De Rossi nella Biblioteca Nazionale di Parma, della quale nel 1876 diventò bibliotecario. Nel 1878 fu uno dei due vice presidenti al quarto Congresso Internazionale degli Orientalisti in Firenze. Apprese inoltre il danese, lo svedese e l’olandese. Studioso di lingue orientali, si dedicò soprattutto alla lingua ebraica e alla storia culturale e sociale di questo popolo pubblicando numerosi saggi e articoli su tali argomenti. Oltre alla descrizione di circa 200 manoscritti, il Perreau fece delle aggiunte e delle correzioni al catalogo derossiano (cfr. Bollettino italiano degli studi orientali 1-2 1876-1877 e 1877-1882, passim) e illustrò in vari saggi, estratti e notizie i manoscritti di Parma. Fu di sentimenti liberali e patriottici: sottoscrisse nel 1860 il proclama inviato dai patrioti piacentini al re Vittorio Emanuele di Savoia. Collaborò all’Antologia Israeletica di Corfù, al Vessillo Israelitico di Casale monferrato e all’Annuario della Società Italiana di Studi Orientali. Il Perreau, che partecipò a vari congressi degli orientalisti e che fu in relazione con molti esponenti della Scienza del giudaismo, donò la sua biblioteca, ricca di testi ebraici sul Giudaismo pubblicati nella seconda metà dell’Ottocento, alla Biblioteca Palatina di Parma. La sua biblioteca, di estrema utilità per l’aggiornamento del catalogo derossiano, mai sistemata e mai schedata, fu parzialmente danneggiata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Nelle loro varie pubblicazioni, lo Steinschneider, il Zunz, l’halberstamm, il Berliner, il Neubauer resero più volte omaggio al sapere e all’operosità del perreau, cui nel 1879 il Lenormant dedicò, in segno di stima e gratitudine, uno dei suoi libri.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Gazzetta di Parma 16 ottobre 1911; L. Mensi, Appendice, alla voce; per le opere del Perreau, vedi F. da Mareto, I, alla voce; A. De Gubernatis, Dizionario biografico scrittori, 1879, 805; G. Tamani, Fondo ebraico della Palatina, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1975, 445-446; P. Arbasi, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 208.

PERRIN
Parma 1435
Figlio di Robert. Ricamatore, ricordato in un atto notarile del 24 giugno 1435: Actum parme in vic.a Sancti Bartolamei de glarea in domo habitationis meis notarii infrascripti presentibus Magistro Pirino de Francia rechamatore f.q. Roberti vic.a Sancti Bartolamei de glarea, et Magistro Michaele de Armannis f.q. Bartolamei vic.a S. Bart.ei (Rogito di Antonio Boroni, archivio Notarile, Parma).
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 60.

PERUTELLI EUGENIO
Massa 7 agosto 1834-post 1870
Residente a Langhirano, repubblicano, fu maestro elementare.Nel 1870 la polizia inviò alla Questura di Parma il seguente rapporto sul Perutelli: È dedito alla ubriachezza. È sua abitudine censurare aspramente il governo e gli impiegati di esso; eccita gli abitanti allo sprezzo dell’autorità. Va dicendo loro che bisognerebbe armarsi e tagliare il capo a tutti i funzionari del governo; dichiara di essere repubblicano e pronto a morire pel trionfo del suo partito.
FONTI E BIBL.: C. Melli, Langhirano nell’Ottocento, 1987, 57.

PERUTELLI PIETRO
Parma 1859
Fu deputato all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo di Parma nel 1859.Non ebbe parte di rilievo ai lavori dell’Assemblea.
FONTI E BIBL.: Assemblee del Risorgimento: Parma, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 374.

PERUZZI GAETANO
Parma 1831
Commissario comunale di Polizia in Parma, durante i moti del 1831 ebbe parte attiva nella sommossa, per cui fu inquisito e destituito dall’incarico, con la seguente motivazione: Era uno degli accaniti nemici di S.M.. Era sempre Capo popolo, allorché si pubblicavano gli affissi del Governo provvisorio, e quando fu pubblicato il Sovrano Decreto con cui S.M. annullava gli atti del Governo provvisorio gridò pubblicamente: Non vogliamo più quella troia e vi aggiunse altre escandescenze oscene. Il Peruzzi ottenne più tardi una pensione dal Comune di Parma.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 194.

PESARINI FRANCESCO
Parma 1646/1684
Già musicista alla Steccata di Parma il 7 dicembre 1646, si assentò nel novembre 1651 e poi di nuovo tornò alla Steccata, ove si fermò fino alla fine del 1674. Alla Corte farnese di Parma lo si trova dal 1° aprile 1680 fino al 25 marzo 1684.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 96.

PESCARA, vedi DA PESCARA

PESCAROLI ALBERTO
San Secondo 1631 c.-post 1715
Figlio di Carlo e di Maria Bianchi. Dottore, fu il sedicesimo prevosto della Collegiata di San secondo, dal 1700 al 1715. Contribuì in modo determinante alla sistemazione giuridica della Collegiata definendo i rapporti canonici tra i vari membri della parrocchia e degli ecclesiastici, tra di loro e nei confronti delle varie confraternite.
FONTI E BIBL.: I.Dall’Aglio, La Chiesa di S. Secondo, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1969, 118.

PESCAROLI FRANCESCO
Cremona 1610-1679
Architetto vissuto lungamente a Parma. Al pescaroli, che lavorò soprattutto a Cremona, si deve il progetto per la ricostruzione della Certosa di Parma (1673).
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti, VI, 217; Gazzetta di Parma 22 aprile 1996, 5.

PESCAROLI GIANPIETRO
San Secondo 1762/1795
Figlio di Carlo Andrea e di Anna Cornacchia. Militare di carriera, nel 1762 fu nominato Tenente di cavalleria e nel novembre del 1795 primo aiutante e quindi Capitano della piazza di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 22 aprile 1996, 5.

PESCAROLI GIOVANNI PIETRO
San Secondo 1611 c.-
Figlio di Alberto e di Lucia Fogliani. Fu Prevosto della chiesa di San Secondo.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 22 aprile 1996, 5.

PESCATORE EMILIO, vedi PESCATORI ERMINIO

PESCATORI ANGELO
Parma 6 luglio 1818-Parma 1905
Nacque dal dottore Cesare, nobile, e da Adele Guerra, appartenente a una famiglia di ferventi patrioti piacentini. Il Pescatori, mentre studiava con una certa riluttanza su quei testi di diritto che lo destinavano a seguire la medesima carriera paterna, nel 1842 cominciò a stendere quotidiane annotazioni sui principali eventi della città di Parma. Non si trattò del consueto passatempo d’adolescente ma della consapevole intenzione di compilare una piccola cronaca parmigiana che tuttavia, nella sua prima stesura, è insieme diario cittadino e sfogo del tutto privato di malumori, delusioni e, più raramente, gioie. Non dalla madre ma dal padre Cesare, severo, religiosissimo e rigidamente fedele alla legittima autorità ducale, il Pescatori trasse il suo modello di comportamento. Alla morte del padre, il Pescatori, con amorosa cura, raccolse, ricopiò e fece rilegare in eleganti volumi tutti gli sparsi scritti (poesie dialettali, sonetti d’occasione, sciarade) che Cesare aveva composto (da letterato dilettante non spregevole) nelle ore di ozio. Purtroppo il Pescatori non curò allo stesso modo l’archiviazione dei propri scritti, che andarono tutti dispersi e di cui rimangono soltanto due saggi. Anche della sua vita si sa ben poco: di se stesso dice soltanto d’aver conseguito la laurea l’8 agosto 1844 e d’aver prestato giuramento di fedeltà alla Sovrana il 15 dello stesso mese. Al 14 settembre 1849 riferisce di essere stato nominato Protocollista del Consiglio di Stato Ordinario. Senza spendere neppure una parola per il suo matrimonio, si limita a informare che l’11 settembre 1857, nella casa di Borgo delle Asse n. 7, gli è nato il figlio Cesare. Da altra fonte si sa che coprì in seguito anche la carica di Segretario della congregazione dell’oratorio dei Rossi dando prova di zelo e di probità. Insieme col carattere del Pescatori, anche la sua posizione politica emerge chiaramente da una lettura sia pure frettolosa del diario: il suo legittimismo intransigente e il suo cattolicesimo integralista possono riuscire più o meno graditi e suscitare nel lettore un’adesione più o meno viva. Non va comunque dimenticato che, di fronte alle memorie del Casa o di Guido Dalla Rosa e di fronte ai libelli del Mistrali, quella del pescatori è la sola cronistoria pubblicata del risorgimento parmigiano che sia stata scritta da parte duchista. Questo solo fatto attribuisce all’opera del Pescatori un’importanza storica notevole.
FONTI E BIBL.: Pescatori, Il declino di un Ducato, 1974, 1-3.

PESCATORI ANTONIO MARIA, vedi PESCATORI GIROLAMO BARTOLOMEO

PESCATORI ARMANDO
Parma 11 febbraio 1884-Parma 23 agosto 1957
Fu Tenente aiutante maggiore in seconda e poi Tenente del 4° Reggimento Fanteria comandante la zona di Bengasi. Fu decorato con una medaglia d’argento e due medaglie di bronzo al valor militare, con le seguenti motivazioni: Quale aiutante maggiore in 2a coadiuvò efficacemente, con coraggio ed intelligenza non comune, il comando durante il combattimento delle Due Palme, portando ripetutamente ordini ed avvisi sotto intenso fuoco nemico (Oasi delle Due Palme, 12 marzo 1912). Si distinse per slancio ed ardimento anche nel combattimento del 19 ottobre 1911 a Bengasi e del 1° gennaio 1913 a Suani Osman; Con calma e intelligenza coadiuvò il comando nel combattimento delle Due Palme, sotto il fuoco nemico recando più volte ordini ed avvisi. Si distinse anche per calma e coraggio il 19 ottobre nello sbarco alla Giuliana (Bengasi, 19 ottobre 1911-Due Palme, 12 marzo 1912); Per il molto lodevole contegno tenuto nei due combattimenti (Gheifat, 9 marzo e Sira Gmaisil, 11 marzo 1915).
FONTI E BIBL.: G.Corradi-G. Sitti, Glorie alla conquista dell’Impero, 1937.

PESCATORI CAMILLO
Colorno ante 1648-ante 1725
Fu luogotenente di fanteria nella seconda coorte di Colorno e poi comandante della medesima al tempo di Ranuccio Farnese. Il 21 settembre 1700 fu nominato capitano.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 289.

PESCATORI CESARE
Parma 1729 c.-
Figlio di Lodovico. Occupò il grado di luogotenente nelle truppe ducali di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 289.

PESCATORI CESARE
Parma 9 dicembre 1781-Parma 6 settembre 1849
Figlio di Angelo Maria, aiutante di camera dell’infante Ferdinando di Borbone, e di Maria Hazon. Al titolo nobiliare non corrispose, nella famiglia Pescatori, adeguata prosperità economica: Ferdinando di Borbone fu costetto ad alleviare la difficile situazione del suo aiutante di camera facendo in modo che almeno uno dei suoi molti figli, il Pescatori appunto, venisse educato nel Seminario di Parma. Tale educazione non mirò a fare di lui un ecclesiastico, giacché, sempre a spese del Sovrano, il Pescatori fu avviato allo studio della giurisprudenza che praticò in seguito, a laurea ottenuta, presso l’avvocato Francesco Cocchi. Passato alla carriera burocratica, fu ricevitore del Registro a Sala e a Fornovo, poi, sotto Maria Luigia d’Austria, fu nominato ricevitore del Demanio, quindi del Patrimonio dello Stato, incarico che svolse in diverse località dei Ducati, poi a Piacenza (dove conobbe la futura moglie, Adele Guerra) e infine a Parma, dove fu Segretario Capo della II divisione della Presidenza dell’Interno (Culto, Istruzione e Sanità). Nel 1846, peggiorate le sue condizioni di salute, la Sovrana lo nominò Capo Cancelliere della Sezione del contenzioso, ufficio ben più tranquillo, che il Pescatori occupò fino al giorno della morte. Il Pescatori fu autore di una Cronaca parmense.
FONTI E BIBL.: Pescatori, Il declino di un Ducato, 1974, 1.

PESCATORI CESARE
Parma 1831
Fu inquisito ma non processato (fu sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza) per aver avuto parte nei moti del 1831: Costui fu quello che affrontò il Governo provvisorio allorché cercava di partire e lo obbligò a retrocedere. È legato in amicizia con una certa Carolina di condizione originariamente donzella, ora fabbricatrice di fiori secchi in Milano. Questa donna si chiama precisamente Carolina Bonazzi e serve come cameriera la cantante signora Grassi.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 193.

PESCATORI DEMETRIO
Parma 28 maggio 1814-
Figlio di Stanislao e Anna Maj. Proseguì l’arte paterna: plasticava con gusto e con brio statuette di pastori per i presepi e di mendicanti come soprammobili nel gusto e nella scia dello sbravati. Fu attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1992, 195.

PESCATORI ERMINIO
Parma 24 giugno 1836-Milano 18 gennaio 1905
Nacque da Curzio, impiegato nella Casa ducale, e da Angiola Aguzzoli. Fu repubblicano mazziniano, seguace e amico di Giuseppe Garibaldi, e combatté nel 1867 a Mentana. Ebbe la medaglia dei benemeriti della liberazione di Roma. In quell’occasione Garibaldi dichiarò: Certifico che il signor Pescatori erminio di Parma ha ben meritato dal paese per avere cooperato in tempi difficili alla sua liberazione, colla stampa e coll’esempio, avendo già sofferto esilio e carcerazione. Al figlio, il pescatori diede il doppio nome di Giuseppe garibaldi. Coniugato con Giuseppina Biagini vanni (21 agosto 1860), artista drammatica nella compagnia di Adelaide Ristori, partecipò egli stesso a qualche recita, a Bologna e in altre città. Esordì nella compagnia di Adelaide Ristori nel 1858. Fu poi, con la moglie, nella compagnia di Giuseppe Trivelli, e infine, per mettere sempre più in risalto le doti invero egregie della consorte, si fece conduttore di compagnia con alterna fortuna. Il Pescatori, sotto lo pseudonimo di Colorno, scrisse anche la farsa maritiamo la suocera, che Ermete Novelli tenne costantemente nel suo repertorio. Per un triennio fu animatore delle vicende politico-sociali a Bologna e in Romagna (a Ravenna in particolare). Fece parte della qualificata schiera di coloro che propugnarono i più avanzati ideali risorgimentali e avversarono il sistema monarchico instaurato nel paese. Fu amico di Giosue Carducci, Q. Filopanti e F. Cavallotti. Nel 1870 collaborò al periodico democratico bolognese Il Popolo e al risorto L’Amico del popolo (che nel 1868-1869 era stato soffocato dai ripetuti sequestri per aver avversato la tassa del macinato). Dopo la Comune di Parigi fu influenzato dalle idee internazionalistiche e il 27 novembre 1871 fondò in Bologna la prima associazione di operai e artigiani denominata Fascio Operaio, quindi il periodico Il Fascio operaio, organo della stessa organizzazione (pubblicatosi tra il 27 dicembre 1871 e il 6 giugno 1872). Garibaldi vi aderì con il seguente messaggio che apparve in manchette sul foglio: Caprera, 5 dicembre 1871. Accetto con orgoglio il titolo di socio del Fascio operaio di Bologna. Garibaldi. Console del nuovo sodalizio (che nel 1872, secondo un riferimento prefettizio, contava cinquecento soci), il pescatori fu attivamente sorvegliato dalla polizia perché appartenente al partito del disordine. Ebbe contatti con numerosi internazionalisti di tutta Europa. Venne accanitamente avversato dai mazziniani delle Romagne e specialmente dai redattori del periodico L’Alleanza, foglio delle società repubblicane consociate delle Romagne, edito a Bologna (il conflitto, nell’aprile 1872, giunse alle soglie di un duello tra il Pescatore ed Enrico Perdisa, redattore del periodico repubblicano). La sua predisposizione a un tentativo di conciliazione tra i due gruppi politici, venne avversata dai compagni internazionalisti, orientatisi sempre più decisamente su posizioni bakuniniste, delle quali si fece alfiere il giovane Andrea Costa. Nel 1872 il Pescatori si trasferì a Trieste. Ritiratosi dalla vita politica attiva, fu solidale con quanti, per ragioni politiche, si rifugiarono oltre i confini d’Italia. Dal 1891 il Pescatori abitò a Milano.
FONTI E BIBL.: Dizionario del Risorgimento nazionale, III, sotto il nome errato di Pescatore Emilio; ESMOI, Periodici, ad indicem; L. Arbizzani, sguardi sull’ultimo secolo. Bologna e la sua provincia 1859-1961, Bologna, 1961, 36-39; N. Rosselli, Mazzini e bakunin, Torino, 1967, ad indicem; Piccola enciclopedia del socialismo e del comunismo, a cura di G. trevisani, III, Milano, 1967, ad nomen; F. Servetti donati, Movimenti e assoc iazioni popolari a Budrio dopo l’unità (1861-1895), Bologna, 1974, 217-218; Aurea Parma 1 1939, 29; L. Rasi, I comici italiani, II, Firenze, 1905; N. Leonelli, Attori, 1944, 193; L. arbizzani, in Movimento operaio italiano, IV, 1978, 86-87.

PESCATORI FRANCESCO
Parma 1 marzo 1816-Parma 9 giugno 1849
Figlio di Stanislao e di Veronica Coloretti. La data di nascita del Pescatori non è sicura, poiché esistono documenti contraddittorî e le ricerche fatte dal Copertini in collaborazione con Ascanio Alessandri non hanno risolto i dubbi. È certo però che nello stesso giorno della morte, l’incisore parmense A. Schiassi si presentò all’Ufficio di Stato Civile e denunciò il defunto di anni trentaquattro. Il Pescatori appartenne a una famiglia di artisti: il padre Stanislao si dichiara nei censimenti professore di plastica e il fratello Demetrio, minore di un anno del Pescatori, plasticò con gusto e brio statuette di pastori per i presepi e di mendicanti come soprammobili, nel gusto e nella scia dello Sbravati. Da questo modesto ambiente artistico uscì il Pescatori, che frequentò la Scuola dell’Accademia di Belle Arti di Parma come allievo di Biagio Martini, e poi in qualità di maestro di pittura dal 30 maggio 1845. Il Pescatori fu maestro di Ignazio Affanni. La moglie, Teresa Gandolfi, maggiore di un anno del Pescatori, lo fece padre di un bimbo, che nel censimento del 1842 aveva cinque mesi. La loro casa in Borgo Guazzo n. 36 dovette essere una delle ultime povere abitazioni poste presso la vecchia Trinità. Le opere sacre del Pescatori si trovano sparse senza paternità precisa nelle chiese del contado parmigiano, di parecchi suoi quadri di genere e ritratti non si sa più nulla e i pochi dipinti pervenuti alla Galleria parmense furono tutti accatastati nei magazzini, nessuno eccettuato. La sua prima opera importante, Il figliuol prodigo, eseguita a vent’anni nel 1836 ed esposta nel febbraio dell’anno successivo, non passò inosservata. La Gazzetta di Parma (8 febbraio 1837, n. 11) nota la viva espressione di preghiera e pentimento nel giovinetto mezzo lacero e nudo. Il suo Belisario cieco, eseguito probabilmente nel 1838 o poco prima, venne così descritto: Belisario seduto sui gradini esterni di un tempio, cieco, in aspettazione di elemosina che un fanciullo chiede con esso. Insieme col Belisario furono esposti alcuni ritratti, definiti belli di somiglianza, di colorito e di disegno. Successivamente (1839) espose un altro dipinto d’argomento biblico: Dalila che sta per recidere i capelli di Sansone. Nel 1839 condusse a termine ed espose S. Giacomo Maggiore e altri ritratti. Tutte le opere esposte, d’argomento religioso o profano, vennero favorevolmente notate e fatte notare a Maria Luigia d’Austria, che ne ordinò l’acquisto: le prime tre per la propria raccolta privata (acquisti del 1836, 1837 e 1838) e il S. Giacomo per la Chiesa del Quartiere nel 1839. I dipinti acquistati, alla morte di Maria Luigia furono ereditati da Leopoldo d’Austria. Solo il S. Giacomo si conserva nella Chiesa del Quartiere di Parma. Difficile è l’identificazione dei ritratti. Il solo certo è quello di Agostino Ferrarini fanciullo. Questi negli anni della sua povera fanciullezza, prima di frequentare come allievo lo studio di scultura, fece il modello a Tommaso Bandini (per l’Innocenza), al Pescatori e agli allievi dell’accademia. La movenza del capo, che lo fa assomigliare a un San Giovannino romantico, deriva dallo studio dei classici (il Correggio e i Carracci) ma l’esecuzione palesa una maturazione artistica già colma e un colorito delicato e vivo. A dare però un’idea dell’alto grado a cui il Pescatori giunse quasi da solo all’età di ventitre anni, basta il S. Giacomo. Nessun pittore in Parma in quel giro d’anni sarebbe stato capace d’eseguire un dipinto così magistralmente costruito e dolcemente dipinto, una figura tanto nobile per l’atteggiamento e l’ispirata espressione del volto, quasi simile a quella di Gesù, così poetica per quell’andare dell’apostolo entro un paesaggio tipicamente e modernamente impressionistico e trovare accordi melodiosi tra la veste di un rosa-cremisi spento e il turchino-verde del manto. Successivamente il Pescatori dipinse un San Francesco, scaturito dalle pure fonti dell’ispirazione, con gli occhi cerulei alzati, con una espressione dolorosa ed estatica nel volto, le mani sensibili al petto, tutto assorto nell’adorazione e nella preghiera, solenne entro un paesaggio chiuso e misterioso di montagne, illuminato da luce lunare. Dopo questo capolavoro religioso fu la volta di un capolavoro profano eseguito nel 1840: Teseo e Piritoo giocano Elena ai dadi. L’opera, consegnata il 10 luglio 1841, tanto piacque che fu dichiarata vincitrice del concorso accademico, meritando una medaglia d’oro del valore di mille lire nuove di Parma. Il Pescatori trasformò la fanciullina della leggenda in una giovanetta graziosissima sbocciata in donna e sviluppò il tema con grazia vereconda. Forse il gesto di rammarico del giocatore perdente appare un poco convenzionale, ma la figuretta in piedi di Elena, nella sua molle e delicata nudità e nel suo turbamento verginale, è piena di un incanto nuovo, ancora ignoto a Parma in quei giorni, e soffusa di poesia romantica, intima, anche se un poco casalinga. L’opera fu scelta dalla Direzione della Galleria di Parma, insieme con altra di grande pregio (Dentone, Prospettiva al lume di notte con un seppellimento alla luce delle torce, n. 159 dell’Inventario), quando da parte delle autorità romane venne richiesto l’invio di opere d’arte a Roma per adornare Ministeri e Ambasciate all’estero. È probabile che la spedizione sia avvenuta poco prima o poco dopo la Mostra nazionale del Correggio perché il quadro del Pescatori si conservava nei magazzini della Galleria negli ultimi anni della gestione Sorrentino e il quadro del Dentone fu esposto prima della Mostra del Correggio in una delle sale dopo la grande galleria, presso la finestra, fissato su cerniere. Nel Catalogo di A.O. Quintavalle (1939) il nome del Dentone non figura più nell’indice degli artisti, mentre figura ancora nel Catalogo del Sorrentino. L’attenzione della Corte ducale e dell’ambiente artistico parmense si fissò sul Pescatori, che ogni anno eseguiva una pala d’altare, la quale regolarmente venniva acquistata per ordine di Maria Luigia. Così nell’anno 1841 il suo quadro rappresentante I Santi Gervaso e Protaso venne assegnato alla chiesa di Tabiano, nel 1842 quello di S. Giuseppe di Calasanzio fu donato agli Asili d’Infanzia di Parma, nel 1843 il San Lorenzo alla chiesa di Alberi di Vigatto, nel 1844 il Sant’Antonino a piedi col cavallo alla chiesa di Velleja, nel 1845 la Natività della Vergine alla chiesa di baganzolino, nel 1846 il San Rocco alla chiesa di cozzano e infine nel 1847 San Biagio operante un miracolo alla chiesa di Mamiano. nell’inventario ministeriale (1934) i dipinti suddetti non si trovano elencati oppure sono genericamente assegnati alla scuola parmense del secolo XIX. Nessuno è attribuito al Pescatori, eccettuato quello di S. Giuseppe di Calasanzio, confinato nei magazzini della Galleria e poi trasferito presso il Comando della Legione dei carabinieri nel Palazzo del Giardino. Il quadro di S. Giuseppe di Calasanzio viene segnalato nel Catalogo di Corrado Ricci con un asterisco e il commento: È una bella e delicata opera, d’imitazione quattrocentesca, sul tipo di Cima da Conegliano. Inviato nel 1843 all’Esposizione di Belle Arti di Milano, ispirò a un redattore della Gazzetta Privilegiata il seguente giudizio: perciò che riguarda il colorito e la bella distribuzione e la quiete del luogo ti pare di ritornare col pensiero a’ bei lavori antichi del Bellini o del suo imitatore da Conegliano (Riportato dalla Gazzetta di Parma del 27 settembre 1843, n. 77). L’essenza dell’opera del Pescatori è nell’atmosfera idillica e religiosa, che trasporta il sogno dell’artista al di fuori della contingente realtà in un’epoca lontana di profondo e sincero misticismo e insieme di purezza creativa. Non imitazione, dunque, ma ispirazione limpida alle grandi sorgenti dell’arte. Il San Lorenzo non manca di una certa gravità ieratica, impreziosita dalla splendida dalmatica dorata. Meno felice è il Sant’Antonino di Velleja. Probabilmente il Pescatori non ebbe dimestichezza con i cavalli, e per quello che il Santo tiene per la briglia pigliò a modello qualche stampa, forse quella di Carlo Alberto del Toschi. Nella Pala di San Biagio il Pescatori si dimostra stanco: certamente la malattia gli impedì di lavorare con spirito libero. Se si eccettua infatti il bel gruppo della madre che presenta la sua creatura al Santo, la composizione è compassata e inerte, priva di una sincera commozione. Migliore invece, e tale da essere accostato a S. Giacomo, a S. Francesco e a S. Giuseppe di Calasanzio, è il grande dipinto della Nascita di Maria a Baganzolino. Qui il Pescatori sfoggia tutte le ricchezze del suo scrigno di coloriture nella tenda a fasce, nello scialle dorato di una delle ancelle, nelle vesti e nei bianchi luminosi. Ma la poesia più intensa sta, oltre che nella calma scena, in un’atmosfera pacata e dolce di luci e penombre dorate. Altri artisti parmensi sentirono l’attrazione della suggestiva arte romantica, ma il solo che ne assimilò, consciamente o inconsciamente, lo spirito fu il Pescatori. Il quale lasciò anche un altro capolavoro nel fine, commosso e commovente Ritratto di vecchia Signora (1842), donato alla Pinacoteca Stuard dal pittore Paolo Baratta. Non si sa chi sia l’effigiata ma il Pescatori effuse, nel fermarne l’immagine sulla tavola, un affetto e una tenerezza che si potrebbero definire filiali. Il dipinto non è finito ma la sua sommarietà di abbozzo colpisce e incanta. Il Pescatori morì di tisi a soli 34 anni d’età.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 308; G. Copertini, Pittura dell’ottocento, 1971, 48 e 50; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1973, 2435; M. Leoni, 1834, 361; Gazzetta di Parma 8 febbraio 1837, 44, suppl., 5 maggio 1838, 164, 1 maggio 1839, 154, 27 maggio 1840, 181, 28 aprile 1 maggio 1841, 151-155; C. malaspina, 1841, 149; C. malaspina, 4 giugno 1842, 181; L. Vigotti-C. Malaspina, 1842, 21-22; gazzetta di Parma supplemento 10 settembre 1842, 27 settembre 1843, 308; C. Malaspina, 7 giugno 1845, 187; Il Giardiniere 16 maggio 1846, 74; G. Negri, 1850, 63-64; G. Negri, 1852, 54-57, 59, 61-62 e 64-66; P. Martini, 1862, 24-25; P. Martini, 1873, 21-22; A. Ferrarini, 1882, 7; Corriere di Parma 30 maggio 1889; C. Ricci, 1896, 177 e 263; E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie, v. IX, 213 r. e v.; N. Pelicelli, in U.Thieme-F. Becker, 1932, v. XXVI, 460-461; A. Santangelo, 1934, 20; G. Copertini, 1954, 161-167; M. Pellegri, 1954, 51-52; Pinacoteca Stuard, 1961, 47; R. Alloggio, 1969, 29; mecenastimo e collezionismo pubblico, 1974, 42; Dizionario Bolaffi pittori, VIII, 1975, 438-439; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 278; G. Copertini, Pittori dell’ottocento, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1954, 161-167; M. Sacchelli, in Gazzetta di parma 10 giugno 1996, 5.

PESCATORI FULVIO
Parma 1716/1726
Il 9 agosto 1720 fu iscritto alla nobiltà parmigiana. Unitamente alla consorte Laura Mantegazza fu decorato anche con un titolo marchionale per concessione del duca Francesco Farnese (23 luglio 1726). Il Pescatori e la moglie furono particolarmente legati alla Corte farnesiana, per conto della quale, agli inizi del Settecento, egli svolse diversi incarichi diplomatici: nel 1716 presso la Repubblica di Genova e successivamente in Spagna, dove sua moglie risiedeva al seguito della regina Elisabetta Farnese.
FONTI E BIBL.: M.De Meo, in Gazzetta di Parma 2 novembre 1999, 13.

PESCATORI GIROLAMO BARTOLOMEO
Parma 29 marzo 1690-Gallipoli 11 gennaio 1747
Figlio di Flavio, falegname, e di Laura Mantegazza, dei marchesi di Sant’Andrea. Dopo gli iniziali studi di belle lettere e filosofia, vestì l’abito cappuccino nel convento di Carpi (13 giugno 1706), luogo di noviziato, all’età di diciasette anni. Ammesso alla professione religiosa, terminato l’anno di noviziato (13 giugno 1707), intraprese lo studio delle discipline filosofiche e teologiche distinguendosi subito per profondità d’ingegno e virtù. Concluso il corso degli studi e ordinato sacerdote (24 febbraio 1714), attese alla predicazione ottenendo grandi successi. Elisabetta Farnese, andata sposa a Filippo V di Spagna, dopo aver chiamato al suo seguito, quale dama, la madre del Pescatori (che era già stata aja di Elisabetta), lo fece nominare cappellano e predicatore di Corte: il Pescatori si trasferì a Madrid verso il 1724. Fu teologo ed esaminatore della Nunziatura Apostolica di Madrid e della Chiesa di Toledo, consigliere delle Corti di Spagna e Napoli, Arcivescovo titolare di Efeso (28 giugno 1739), prelato domestico e assistente al Soglio Pontificio di papa Clemente XII (18 luglio 1739). Il 6 marzo 1741 venne destinato da papa Benedetto XIV (su proposta di Carlo di Borbone) alla Diocesi di Gallipoli, in provincia di Lecce, che governò con pastorale sollecitudine. Gallipoli era una sede tranquilla e di tutto riposo: non vasta (il distretto diocesano coincideva con quello della città), contava circa cinquemila anime, un capitolo di sette dignità e nove canonicati e sei chiostri (quattro maschili di francescani riformati, domenicani, cappuccini e paolotti, due femminili di chiariste e di teresiane). L’angustia delle dimensioni era compensata dai cinquemila ducati annui che rendevano le entrate della Mensa, che, pur decurtati della pensione riservata al predecessore dimissionario, formavano pur sempre un asse di consistente affidamento. Per quanto fosse bene ordinata, la diocesi presentava aspetti che offrirono al pescatori materia d’incisivi interventi sul piano pastorale, che, se non condussero all’erezione del seminario e del monte di pietà (istituti la cui fondazione Roma gli aveva raccomandato), si risolsero nell’indizione di una visita, nell’erezione di un conservatorio per fanciulle, nell’incremento di paramenti e di tele per la cattedrale e l’episcopio, nel quale ricevette il cardinale arcivescovo di Napoli Giuseppe Spinelli, itinerante nel Regno. Un biografo contemporaneo annotò che il Pescatori si fece conoscere come dotto e fecondo predicatore e amare quale presule sensibile e caritatevole. Per quanto fosse incline a favorire i gentiluomini nelle cariche ecclesiastiche, non esitò a conferire a un prete non nobile e povero il canonicato della penitenzieria, e dimostrò di avere a cuore la giustizia quando, accortosi di essere stato ingannato dalle apparenze di un intrigo, scacciò i calunniatori e si riconciliò con quelli che erano stati ingiustamente perseguitati. Di lui gli scrittori di Gallipoli ricordano non tanto le opere a stampa che anche da vescovo produsse, l’interessamento per ottenere vesti congrue per i suoi capitolari e la cospicua somma impiegata alla fondazione del seminario, quanto piuttosto due episodi singolari. Introdotta una vertenza per assicurare alla Corona un tesoretto di monete greche rinvenute in un podere di proprietà della Mensa, al Pescatori riuscì, per i buoni uffici della madre, di ottenere l’assegnazione di quei nummi, che, per troncare ogni controversia, fece fondere impiegandone l’argento per realizzare un pastorale, un turibolo e una navicella. Il secondo episodio riguarda la morte apparente del Pescatori che sarebbe stata accertata sul tavolo settorio dove la vita gli sarebbe stata tolta per davvero da coloro ai quali era stata richiesta l’imbalsamazione della salma. A Gallipoli lasciò un tesoro di suppellettili sacre fregiate del suo stemma. Del Pescatori resta una splendida orazione funebre in lingua latina e spagnola recitata per le esequie del duca francesco Farnese nella cappella di Corte in Madrid l’anno 1727.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 152-153; michelangelo da Rossiglione, Cenni di padri cappuccini, 1850, 81-83; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 472-473; Distinto e fedele ragguaglio del festoso ricevimento fatto all’illustrissimo Monsignor Arcivescovo di Gallipoli Fra Don Antonio Maria Pescatori e mantegazza de’ Marchesi di Sant’Andrea di Parma nel suo primo arrivo e pubblico ingresso in quell’illustrissima e fedelissima Città, dalla medesima consagrato all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore D. Gioacchino di Montallegro Duca di Salas, Consigliere di Stato e Guerra, e del Dispaccio universale di Sua Maestà, che Dio guardi, Lecce, 1741, nella Stamperia di Domenico Viverito; B. Ravenna, Memorie istoriche della città di Gallipoli, Napoli, presso Raffaele Miranda, 1836, 489-494; L. Franza, Storia di Gallipoli, Napoli, tip. dell’Iride, s.a., passim; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 308; Coll. Franc. IV 1934, 407; Melchiorre da Pobladura, Los Frailes Menores Capuchinos en Castilla, Madrid, 1946, 304; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 273; F. da Mareto, Bibliografia cappuccini, 1951, 176 e 178; dal fasto della reggia di Filippo V alla più ricca sede vescovile del Regno di Napoli, Il Meridionale 18 febbraio 1956; Hierarchia catholica medii e recentioris aevi, Padova, VI, 1958, 209 e 222; Cappuccini a Parma, 1961, 23; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 60; Ausiliatrice 7/9 1965, 3; M. Paone, in Gazzetta di Parma 7 dicembre 1992, 5.

PESCATORI GIULIO
Parma 19 luglio 1692-Madrid 6 marzo 1767
Figlio di Flavio, falegname, e di Laura Mantegazza, dei marchesi di Sant’Andrea. Vestì l’abito di frate cappuccino nel convento di Carpi il 7 ottobre 1713. Fu approvato per la predicazione nel 1724. Il Pescatori fu cappellano e predicatore di Carlo III di Spagna, esaminatore prosinodale, teologo della Nunziatura apostolica di Madrid, qualificatore della Santa inquisizione di Toledo e visitatore di vari conventi.
FONTI E BIBL.: Melchiorre da Pobladura, Los Frailes Menores Capuchinos en Castilla, Madrid, 1946, 66, 302 e 306; F. da Mareto, Bibl. cappuccini, 1951, 252; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 170.

PESCATORI LAURA, vedi MANTEGAZZA LAURA

PESCATORI STANISLAO
Parma 1761-1839
Fu autore di sculture in cera a tutto tondo. Il Pescatori, in qualità di accademico onorario dell’Accademia di Belle Arti di Parma, presentò nel 1811 all’Esposition des Objets d’art et d’Industrie du Département du Taro Une figure de femme toute nue couchée qu’il nomme une Danae. Elle est en cire peinte avec une peruque fixée de cheveux blonds. Nella stessa sede portò, nel 1812, un busto a grandezza naturale raffigurante l’avvocato Rossetti. Nel 1835 espose al pubblico un gabinetto di lavori in plastica in cera e in stucco, a figure intere e a mezze, con dimensioni diverse, per la maggior parte immagini di santi, e opere da valere agli usi della chiesa; sebbene ve n’abbia di altri generi ancora. Il prelodato signor Pescatori con una simile esposizione ha avuto in mira di far noto al pubblico come abbia egli impreso di nuovo a occuparsi alacremente nell’esercizio della sua professione, dopo essersene da molti anni astenuto per affatto particolari motivi: ed ebbe altresì intenzione di far invito così a chiunque volesse valersi dell’opera sua, sia che si tratti di acquistare alcuno degli oggetti esposti, sia d’incaricarlo di nuove apposite commissioni. Definito mediocre autore di figure in ceroplastica, il Pescatori ebbe forse più fortuna come fabbricatore di maschere di cartapesta per il Carnevale. Nel 1821 Angelo Pezzana, direttore della biblioteca Parmense, rifiutò l’offerta del Pescatori per l’esecuzione di sette busti e undici vasi a ornamento delle scansie della nuova sala che accoglieva la raccolta De Rossi. Il Pescatori non utilizzò però solo la cera ma modellò anche il gesso e lo stucco come dimostra sia l’effigie policroma di San Luigi Gonzaga nella parrocchiale di Varano Marchesi, sia il grande crocifisso policromo in una delle cappelle laterali della chiesa di San Vitale a Parma, opere entrambe collocabili intorno al 1822. La croce appare circondata da una corona di raggi saettanti simulanti lo sfolgorio della luce divina, dalla quale sembra nascere l’immagine sacra del supplizio tra un giro di visetti alati di cherubini in rilievo facenti capolino tra le nuvole che circondano il Crocifisso e la raggiera. I due putti paffuti e gesticolanti situati ai due lati, quasi ai piedi della croce, ricordano nelle fattezze il Sacro Bambino modellato dal Carra in Sant’Antonio da Padova di Soragna, ma sembrano motteggiare anche quelli più illustri dipinti dal Correggio, a esempio nella Camera di San Paolo. Il Crocifisso in stucco e legno, nonostante la semplice e quasi grossolana fattura, non scevra di sproporzioni, caratteristica riconoscibile un po’ in tutto il genere della produzione destinata all’arredo delle chiese, è assimilabile nella tipologia naturalista del corpo a quelli modellati dallo Sbravati. Nel 1828 il Pescatori inaugurò la sua nuova bottega aperta in Parma con l’esposizione di tutte le sue opere, soprattutto in cera, ma anche in cartapesta e stucco, la maggior parte delle quali andarono sicuramente distrutte a causa dei materiali usati facilmente degradabili, come quel busto in scagliola rappresentante la Duchessa, modellato per il Comune di Parma nel 1833 e del quale, in seguito, si è persa ogni traccia.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1992, 194-195; Archivio Storico per le Province Parmensi 1996, 240-241.

PESCATORI MANTEGAZZA, vedi PESCATORI

PESCE FRANCESCO MARIA
Parma XVIII secolo
Detto anche Francesco Maria da Parma. Fu pittore attivo nel XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XV, 1823, 69.

PESCENIA PAULINA
Parma IV/V secolo d.C.
Dedicataria, insieme a Sertoria Tert(ia) e (de)metria Hermonina, di un’epigrafe funeraria posta da C. Valerius Aeclanius. Pescenia è nomen di probabile origine etrusca, presente forse in questo solo caso in Aemilia, rarissimo in tutta la Cisalpina ma frequente in Italia. Paulina è cognomen diffuso in Italia e nelle province celtiche, abbastanza frequente in tutta la Cisalpina, in questo solo caso documentato a Parma.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 144.

PESCHIERA GUIDO
Parma 5 ottobre 1859-post 1887
Studiò violino alla Regia Scuola di musica di Parma dal 1868 al 1878 con Luigi Del Majno, diplomandosi con la lode. Dopo aver suonato in orchestra in teatri di tutto il mondo, si fermò alle isole Mauritius dove, per molti anni, insegnò alla Scuola di musica di Port Luis. Nel Duomo di quella città nell’ottobre 1883, in occasione della festa di San Luigi, eseguì il preludio della messa, incontrando il plauso della stampa locale.
FONTI E BIBL.: Dacci; Gazzetta di Parma 14 luglio 1887.

PESCHIERI ILARIO
Parma 13 gennaio 1795-Parma 8 aprile 1865
Nato da Giuseppe e da Rosa Adorni, entrambi di umile condizione. Imparò a leggere da una maestra privata e apprese poi a scrivere e a far conti dal maestro Nazari. Rimasto orfano a otto anni di entrambi i genitori, fu mandato alle scuole primarie avendo denotato amore per lo studio e una certa facilità d’apprendere. Il 2 novembre 1805 recitò a memoria un sermone della durata di mezz’ora, ricevendo gli elogi del sacerdote Giacomo Calestani di borgo San Donnino. Il Peschieri ebbe poi qualche lezione di francese e, col consenso del vescovo di Borgo San Donnino Alessandro garimberti, fu ammesso alla scuola di quel seminario, destinato altrimenti esclusivamente ai chierici. All’Accademia di Rettorica, mentre gli altri studenti recitavano composizioni dei lori maestri, il Peschieri ne presentò una sua, trattando dell’Unzione del re Davide, in esametri latini e quaternari italiani, dettò poi un sonetto sulla sua vita e compose un’ode sull’assunzione: in premio, il prevosto di Busseto, vitali, gli mandò la patente di pastore dell’accademia dell’emonia. Studiata anche metafisica, il 20 aprile 1810 il Peschieri fu nominato commesso del segretario della Mairie. Fornito di libri dal cappuccino Arquati di Busseto, il Peschieri studiò tra gli altri il Muratori, il Tiraboschi e le opere del Genovesi e del cesarotti. Dietro compenso, compose prose e versi per predicatori, per nozze o per argomenti di puro capriccio. Trasferitosi a Parma nel 1817, andò commesso nello studio del notaio Adorni, ove fece la conoscenza del conte Jacopo Sanvitale. Pubblicò allora la sua prima opera: un sonetto in lode del soprano Velluti. Frequentando poi la bottega del libraio Blanchon e quella del pizzicagnolo Domenico Mori, poté farsi conoscere da gran parte dei letterati parmensi. Le sue composizioni, specialmente quelle satiriche, furono assai richieste. Fu ammesso negli uffici del governatore Vincenzo Mistrali e fu chiamato dal conte Francesco Bertioli a far parte di coloro che avrebbero dovuto compilare un dizionario in dialetto parmigiano. In realtà il Peschieri si accinse da solo a quel lavoro, che uscì nel 1828 per le stampe del Blanchon (due volumi in 8°, con prefazione e un breve saggio di principi grammaticali, di complessive 704 pagine), e a cui fece seguire un’Appendice nel 1832, rifondendo poi l’uno e l’altra con una nuova Appendice per le stampe Vecchi-Carmignani-Donati nel 1836. Il Peschieri aggiunse poi un ultimo supplemento nel 1853. Per questo suo Dizionario parmigiano-italiano, il Peschieri lasciò un nome non del tutto dimenticato nella cultura dialettale della provincia. Il Dizionario ebbe gli elogi (con qualche riserva) della Biblioteca Italiana. scrisse anche parecchi Almanacchi, il poemetto la Rosa di montechiaro, parecchi articoli nella biblioteca dilettevole ed istruttiva e nella gazzetta di Parma (1850 e 1851), il Ragguaglio particolareggiato (1834), molti sonetti e canzoni per artisti teatrali, le Cantiche in onore di Pio IX (1850), la Storia della Guerra d’Oriente, la Via della Salute (1858), il poemetto eroicomico Il soffietto (1857), le Cronachette parmigiane (1830-1840), premesse al Diario di parma, la tragedia Imelda, La salvezza inaspettata, dramma giocoso musicato dal Mitilotti (Parma, 1828), il Ragionamento critico sulla Storia d’Italia di Carlo Botta (1825) e varie traduzioni. Il Peschieri fu per qualche tempo segretario particolare del maggiore Rossi, comandante i Ducali Dragoni di Parma. lorenzo Molossi, nel suo Vocabolario topografico, lo dice ingegnosissimo e colto scrittore. mentre era segretario del podestà di Busseto, durante i moti del 1831 il Peschieri fu tra i promotori della rivolta in quella località. Fu inquisito perché ritenuto soggetto assai cattivo, mordace assai nel parlare e facile a menar di mano. Dovette abbandonare Busseto, prendendo impiego come segretario a castell’Arquato.
FONTI E BIBL.: G.B. Passano, Novellieri italiani, 1868, 236; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1880, 135-139; E. Bocchia, La drammatica a Parma, 1913, 219; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 151; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 193-194; Malacoda 10 1987, 55.

PESCHIERI ILLARIO, vedi PESCHIERI ILARIO

PESCI
Parma 1786
Nel verbale del 9 gennaio 1786 dell’accademia Filarmonica di Parma venne decisa la sua assunzione come primo fagotto avendo egli dato un’assai plausibile saggio della sua abilità in questo Instrumento nell’ultima Accademia dell’Avvento prossimo passato.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro, Dizionario.Addenda, 1999.

PESCI BATTISTA
Parma 9 marzo 1597-Modena 13 ottobre 1630
Figlio di Geminiano e Margherita. Frate cappuccino, sacerdote sommamente esemplare nell’umiltà, fu vittima della carità verso gli appestati. Compì la vestizione il 23 marzo 1619 e la professione a Ravenna esattamente un anno dopo.
FONTI E BIBL.: De Pise, Ann., III, 806-807, n. 81; Bertani, Ann., III/III, 321-322, nn. 150-151; mussini, Memorie storiche, II, 109-111, 120-121 e 124-126; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 584.

PESCI CASIMIRO
Parma 1847/1855
Violinista, fece parte della Ducale Orchestra di Parma.
FONTI E BIBL.: Inventario, 1992, 257, 300, 318, 368, 382.

PESCI ETTORE
Parma 30 novembre 1871-Parma 16 gennaio 1932
Figlio unico di Oreste, violinista, e di Giuseppa Battioni. Iniziò la professione di fotografo nel 1898 rilevando lo studio lasciato libero da Enrico Rastellini in strada Garibaldi 81 a Parma. La sua scuola fu eccellente: fece a lungo il garzone da Carlo Grolli, in uno stabilimento che fu una autentica fucina di fotografi. Il Premiato Studio Fotografico di Ettore Pesci partì in sordina ma si affermò presto come uno dei più frequentati della città. Nell’ottobre del 1900 vinse la Gara delle vetrine patrocinata dalla società Pro Parma. partecipò all’Esposizione Internazionale dello Sport di Milano nel 1901 e ricevette in premio una medaglia d’oro. Stesso riconoscimento gli venne assegnato nel medesimo anno a Parma, nel corso della locale Esposizione. riconoscimenti speciali gli vennero poi anche dal Re, dalla Regina, dalla Regina madre e dal principe di Montenegro. Appassionato di musica, il Pesci dedicò molte energie professionali alla stagione lirica del Teatro Regio di Parma ma la sua vera specialità furono il ritratto e le istantanee di bambini. Molto belle sono anche le sue immagini in esterno di gruppi di famiglia e associazioni sportive. Viene inoltre considerato uno specialista del ritocco. Nel 1905 sposò Giacinta Chiapparini. Nel maggio-giugno del 1908, durante lo sciopero agricolo del Parmense, con Eduardo Ximenes fotogrofò crumiri e soldati durante il conflitto agrario per L’Illustrazione Italiana dei fratelli Treves. Non abbandonò lo studio che al momento di cessare l’attività, il 20 settembre 1926. Operò con una sala di posa a galleria vetrata, nel cortile interno dello studio di strada Garibaldi. Morì per una malattia cardiaca. Alla sua scomparsa, l’atelier fotografico venne rilevato dal cognato Ettore Chiapparini che ne mantenne per quindici anni la denominazione. Il Pesci si colloca a metà strada nell’evoluzione della fotografia parmense, tra la generazione dei Grolli (da cui imparò il mestiere) e quella dei Vaghi, degli Zambini e degli amoretti, che furono tutti suoi allievi.
FONTI E BIBL.: R.Rosati, Fotografi, 1990, 211.

PESCI GIAMBATTISTA
Parma 1798
Fu professore di musica in soprannumero del Regio Concerto di Parma (Rescritto del 31 ottobre 1798).
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

PESCI GIUSEPPE
Parma XVII/XVIII secolo
Pittore fiorista attivo nel XVII secolo e nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di belle arti parmigiane, Vii, 152.

PESCI LUIGI GAETANO CLAUDIO
Parma 9 gennaio 1754-11 aprile 1798
Figlio di Giuseppe e Marianna Soncini. Fu cuoco della Corte ducale di Parma. Se dell’attività svolta dal Pesci al servizio della Corte ducale non è rimasta alcuna documentazione tecnica (non esistono né ricette né descrizioni delle sue creazioni cuciniere), di lui è rimasta traccia nelle carte amministrative dei Servizi di Bocca della Computisteria borbonica e nel Ruolo Generale di tutte le persone al servigio della Casa Reale, all’Archivio di Stato di Parma. Se ne ha la prima notizia allorché nel settembre del 1773, diciannovenne, prestò l’attività di avventizio nei servizi di cucina a Colorno riscuotendo dalle mani di monsieur Grillet, inspettore delli Regi Uffizi, la somma di 30 lire per undici giorni di lavoro. Due anni dopo il Pesci raggiunse il grado di sott’ajutante con il soldo di lire duemila annuali e con gli onori di ajutante. Il grado pieno di ajutante di canditoria gli venne conferito nel 1779, ancora a Colorno. Il Pesci si vide elevato nel 1785 la mensiglia a quattromila lire annuali, e passò nel 1787 e nel 1788 ai servizi di cucina di Sala, sede prediletta di Maria Amalia di borbone. A quell’epoca gli vennero, tra l’altro, rimborsate da Pierre Bardou, capo di canditeria, 14 lire per l’acquisto fatto a Piacenza di due strachini destinati alla tavola ducale. Il Pesci rientrò poi a Colorno, probabilmente come capo dei servizi ducali di cucina, in quanto, oltre a dirigere sul piano specifico la preparazione e la confezione delle vivande ducali, gli vennero affidati (a partire dal 1793) anche compiti strettamente amministrativi come il pagamento del lavoro straordinario dei garzoni o l’acquisto, oltre a prodotti alimentari, di materiale diverso, come carta francese azzurra, penne da scrivere, padelle per abbrustolire le castagne e per tostare il caffè, fettucce, nastri, cerchi per bigonci, scope, bicchieri, caraffe e bombacce da ardere per lampade. Lo si trova ancora sul lavoro nel gennaio e nel febbraio 1798. Ammalatosi, morì a poco più di un mese di distanza dall’aver ricevuto dalla Reale Cassina l’ultima fornitura di latte e di fior di latte. Il duca Ferdinando di Borbone volle si dedicasse al Pesci una encomiastica epigrafe, in elegante e forbito latino, che, volta in italiano, dice: Luigi Pesci, parmigiano, che si distinse nel preparare con fedeltà e perizia i pasti, i cibi e i dolci per le regie mense, troppo presto defunto, tutti coloro che lo conobbero qui lo piangono sepolto. Morì il giorno 11 aprile dell’anno del Signore 1798 all’età di 44 anni.
FONTI E BIBL.: F. Razzetti, in Gazzetta di Parma 19 novembre 1990, 3.

PESCI PIETRO
Parma prima metà del XIX secolo
Pittore attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, IX, 216.

PESCI PIETRO BATTISTA vedi PESCI BATTISTA

PESCI SILVESTRO
Parma prima metà del XVII secolo
Orefice attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, V, 277.

PESCINA EUGENIO
Borgo San Donnino 12 maggio 1843-Parma 25 gennaio 1920
Figlio di Luigi. Fu il solo borghigiano che ebbe l’onore di partecipare alla spedizione garibaldina dei Mille. A soli diciassette anni di età partì infatti da Quarto e, come uno dei più giovani volontari appartenenti all’eroica schiera, si batté con valore a Calatafimi, a Palermo e al Volturno, guadagnandosi sul campo il grado di Tenente.
FONTI E BIBL.: D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 351-352.

PESCINA STEFANO
Parma 1649/1661
Fu contralto della Cattedrale di Parma per la festa dell’Assunta nel 1649, poi passò alla Steccata di Parma, ove si fermò dall’11 febbraio 1656 al 1661.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 114.

PESSAROTTI ALESSANDRO, vedi PISSAROTTI ALESSANDRO

PETIT BON, vedi PETITBON

PETIT BON FRANCESCO
-Arrecifes 10 marzo 1900
Fece le campagne risorgimentali del 1859 e 1867.
FONTI E BIBL.: La Battaglia 22 aprile 1900, n. 19; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 416.

PETITBON GIOVANNI
Parma 1881
Laureato. Fu fabbricante di tegole, fumaioli, mattoni, pianelle, pezzi decorativi e ornamentali. All’esposizione di Milano del 1881 ottenne una medaglia di bronzo.
FONTI E BIBL.: G. Corona, La Ceramica, Milano, 1885; A. Minghetti, Ceramisti, 1939, 334.

PETITBON UGO
Parma 1882-Santiago 1955
Fu tra i pionieri dell’importazione e della diffusione dei prodotti dell’industria italiana in Cile. Nel 1900, in collaborazione con Costanza Reiser di Gallarate, iniziò la sua attività importatrice a Valparaiso, con tale successo che presto ne trasferì il centro (assicurando lo sviluppo) a Santiago. Più tardi aprì uffici anche fuori del Cile: nel Perù a Lima, in bolivia a La Paz e in Ecuador a Guayaquil. Nel 1919 ottenne una linea marittima che unì direttamente Genova a Valparaiso (della quale fu nominato agente generale), e fondò a Buin una fabbrica di attrezzi agricoli, liberando così il Cile da una gravosa voce d’importazione.
FONTI E BIBL.: U.Imperatori, Italiani all’estero, 1956, 217.

PETITOT ENNEMOD-ALEXANDRE
Lione 17 febbraio 1727-Parma 3 febbraio 1801
Figlio terzogenito di Simon, architetto e ingegnere idraulico, e di Catherine Blanchet. entrò inizialmente nel collegio dei gesuiti, in quanto il padre volle avviarlo alla carriera ecclesiastica. Nel 1739 fu nel seminario di saint’ireneo, ove frequentò i corsi di filosofia e di fisica, ma non avvertì alcuna vocazione e scelse di dedicarsi al disegno. Il suo primo maestro fu Jacques-Germain Soufflot (1741). Inviato a Parigi, studiò all’Accademia d’architettura, seguendo l’insegnamento di Denis Jossenay. Nel 1745 riportò il Grand Prix con il progetto di un faro e nel giugno del 1746 raggiunse Roma. Seguì i corsi all’Accademia di Francia e redasse tre progetti: la colonna per il sepolcro di una regina, la seconda macchina per la Chinea e un ponte trionfale. Il soggiorno-premio di quattro anni (1746-1750) a Roma fu essenziale nella sua formazione, sia per le notevoli influenze esercitate su di lui dalle opere del Salvi, sia per lo studio dei monumenti del passato che probabilmente andò copiando insieme al Piranesi. Rientrò a Parigi nel 1750, con Joseph-Marie Vien. Eseguì quindi la cappella della famiglia d’Hartcourt, a Notre-Dame. Collaborò, divenendone amico, col conte Anne-Claude de Caylus, disegnando e incidendo tavole per il Requeil d’Antiquités. Il Du Tillot stava cercando un architetto per la Corte di Parma e offrì al Petitot uno stipendio annuo di ventimila lire vecchie di Parma: il 16 aprile 1753 il Petitot partì per l’Italia. Un decreto lo nominò Architetto dei reali palazzi e lo associò all’esercito ducale con il titolo di Ingegnere militare. Venne inoltre nominato insegnante presso l’Accademia di belle arti, fondata poco prima (12 dicembre 1752). Prese alloggio nel palazzo Ducale, ove rimase quindici anni. I suoi interventi cominciarono nel 1753 a Colorno con la Veneria, palazzina di caccia voluta da Filippo di Borbone, e con i due appartamenti verso il giardino nel Palazzo Ducale, dove creò la Sala Grande (1755) e ricostruì lo scalone verso il giardino (1757). Studiò il giardino di Parma (tempietto d’arcadia, fontana) e quello di Colorno (anche la cappella ducale e alcuni progetti di camini). boudard realizzò i vasi per il giardino di parma su disegno del Petitot (1754). Il suo intervento nel giardino trasformò la tessitura architettonica secondo una versione riformata ed emblematica in cui trionfa la partizione degli spazi in unità ridotte al microlabirinto, quasi a sala d’intrattenimento, dove anche la formula scultorea implica una positura assisa e una gestualità colloquiale.Lo stile adottato dal Petitot non è né bizzoso né troppo ricercato ma è concettualmente pensato tra il razionale e il protoneoclassico, il funzionale e il simbolico, secondo un programma moderatamente riformista in cui il Petitot si rinnova nel profondo senza cesure con la storia, unendo la linea di ascendenza ellenistica a un proprio gusto per il design.La realizzazione del tempietto di Arcadia (1769), ultimo suo intervento per il Giardino, in onore di Ferdinando di Borbone e Maria Amalia, nuova coppia regnante, mostra un disegno originale e inedito: l’edificio in stile dorico, circolare dodecastilo con volta diruta e soltanto sette colonne erette, si identifica con l’architettura ruinistica del piccolo santuario della Sibilla di Tivoli, mostrando una nuova sensibilità che si andava affermando nel Ducato. La chiesa di San liborio a colorno (1757) è generalmente considerata il suo capolavoro. Di notevole unità stilistica dovuta al fatto che fin nei più piccoli ornamenti è di mano del Petitot, ha interno a croce latina con i bracci trasversali non molto profondi, e nella navata maggiore, tra i pilastri, si aprono specie di anticappelle così che la trabeazione risulta sostenuta da due colonne isolate, come nelle nicchie del Pantheon. L’Accademia diventò Reale (1758) e il Petitot venne insignito, con Boudard, Peroni, Bresciani, Baldrighi, Du Bois, Manicardi e Ravenet, del titolo di architetto, disegnatore, incisore, accademico del nudo e decoratore di libri. Pubblicò inoltre in quegli anni il ragionamento sopra la prospettiva. Il 4 giugno 1758 gli venne concessa la cittadinanza parmense. Nel 1759 il Petitot progettò la ristrutturazione di Piazza Grande, la facciata della chiesa di San Pietro e un palco per il Teatro Ducale. Il progetto per la facciata della chiesa di San Vitale venne invece respinto. Nel 1760 ebbe dal Re di Francia la nomina a Cavaliere dell’ordine di San Michele. Tra il 1761 e il 1762 il Petitot portò a termine i lavori per la facciata della chiesa di San Pietro.Il portone d’ingresso, su suo disegno, venne eseguito dal Guibert nel 1763.Il rifacimento della facciata si inserì in un più ampio progetto di riscrittura della piazza Grande, per adeguarla ai nuovi criteri di abbellimento urbano elaborati in Francia.La voluta ripresa di una simbologia classica rientrava in un preciso progetto del Du Tillot, di recupero ed esaltazione dei frammenti antichi sparsi per la città al fine di sottolineare l’origine romana di Parma. L’incisore Benigno Bossi incise vari disegni del Petitot, che nel 1762 fu nominato corrispondente dall’académie Royale d’Architecture di Parigi. Eseguì poi progetti per la Biblioteca di Parma e i primi schizzi per la Mascarade à la grecque. Del 1763 è il progetto del Casinetto sullo Stradone e del Casino dei nobili nel Palazzo di riserva. Al Petitot venne concessa la patente di ingegnere in secondo delle truppe e piazze e il grado di Capitano di fanteria. Nel 1764 Bossi incise la Suites de vases, e il Petitot realizzò un progetto per l’acquedotto da Malandriano a Parma. Nel 1759 Du Tillot decise di trasformare lo Stradone farnesiano in Stradone Borbone, sul modello dei boulevard di progettazione urbana illuministica tracciati a Parigi, Lione e Tolosa, con la funzione di recuperare le vie afferenti, favorendo così la ripresa economica e sociale di una parte trascurata della città.Ai poli dello Stradone avrebbero dovuto trovarsi la Colonna Borbone (eseguita dal Petitot nel 1763 e spezzatasi durante il tragitto) e il Casino del Caffè, concepito come ritrovo mondano con funzione panoramica.l’elegante viale alberato è diviso in tre corsie: le laterali destinate al passeggio e ornate con sedili di marmo, la centrale riservata alle carrozze. Nella notte di San Giovanni (4 agosto) dello stesso anno si inaugurò il Casino dello stradone. Nel censimento della popolazione del 1765 si legge che il Petitot aveva 38 anni, viveva sotto la parrocchia di San Paolo in contrada Rocchetta, con Francesco Jourdan di tredici anni, studente di architettura, Angelo Pioppa e la moglie Teresa, servi. Del 1767 è il progetto di ristrutturazione del Palazzo del Giardino e del Palazzo dei Ministeri. Il 2 agosto ferdinando di Borbone (succeduto al padre Filippo l’anno prima) approvò il grandioso progetto di un Palazzo Reale, per il quale si iniziarono le demolizioni. Realizzò il progetto di rinnovo per il palazzo del Giardino, innalzando le ali dell’edificio a livello del mezzanino e ampliando le zone laterali, mentre all’interno ricavò nuove proporzioni ridistribuendo gli spazi.La facciata mantiene tuttavia molti degli elementi preesistenti, quali le finestre del piano terra e le lesene, ma vennero aggiunti un orologio e due camini ad anfora al posto delle torrette e dei festoni vegetali ai lati delle finestre del piano nobile.Sempre all’interno creò il grande scalone d’onore a quadruplice rampa.Dalla piazza semicircolare posteriore si dipartiva poi un viale extraurbano che giungeva sino a Colorno.Nel 1760 lavorò in intesa con il Boudard alla Loge ducale nel Teatro di Corte edificato dal Lolli e restaurato nel proscenio dall’architetto francese, esperto in macchine teatrali, Jean-Antoine Morand. Al 1767 datano i progetti di fontane per il Palazzo Reale, mentre Bossi eseguì, su disegni del Petitot, le decorazioni per alcuni ambienti del Palazzo del Giardino. Dello stesso anno è il primo progetto per l’Ara amicitiae, commissionato al Petitot per celebrare i rapporti con la casa d’Asburgo.Il cippo doveva riprendere il valore simbolico delle colonne militari dell’età tardo antica erette sulle vie percorse dagli antichi romani, in onore dei quali riportavano scritte dedicatorie.Il Petitot non faceva ancora parte del corpo della congregazione degli Edili creata dal primo ministro proprio quell’anno con competenza sugli interi Stati borbonici: solo nel 1769 fu chiamato ufficialmente a partecipare ai lavori della congregazione, rivolti al piano di riedificazione della città.Nel 1766 aveva eseguito il disegno delle librerie da collocarsi nella Biblioteca Palatina, realizzate poi dal Drugman.Dal 1770 si iniziarono i lavori dell’area dell’Orto Botanico: la serra vetrata con un ingresso sormontato da un timpano (che, per tradizione, si ritiene eseguita su disegno del Petitot) fu poi costruita nel 1793 dall’architetto Antonio Tomba. Il Petitot acquistò nel 1767 una casa di borgo Riolo, progettò l’Orto botanico, e quindi la porta del giardino su piazzale Santa Croce. Il 5 maggio dello stesso anno venne benedetta la posa della prima pietra del Palazzo Reale, con iscrizione latina del Paciaudi, ma i lavori vennero presto interrotti e non furono più ripresi. l’imperatore Giuseppe II fu a Parma dal 10 al 13 maggio per l’inaugurazione della Biblioteca Palatina: gli venne offerta una stampa allegorica disegnata dal Petitot e incisa da Pietro martini. Il 7 giugno si inaugurò l’Ara amicitiae in piazza. Intanto si andavano preparando i festeggiamenti per le nozze di Ferdinando di Borbone con Maria Amalia, e la Stamperia reale pubblicò un volume dal titolo Feste celebrate in Parma per le nozze del Reale Infante Duca Ferdinando di Borbone con S.A.R. l’arciduchessa d’Austria Maria Amalia l’anno MDCCLXIX contenente quanto progettato dal Petitot per le feste. Il Petitot venne anche associato all’Accademia delle scienze, belle lettere e arti di Lione. Il 1770 vide la pubblicazione della Raccolta di rami incisi in varie occasioni dalla Regia Ducal Corte di Parma e il Petitot progettò inoltre una serie di biglietti da visita. Nel 1771 Bossi incise per il Petitot la mascarade à la grecque, e a Venezia venne costruito un bucintoro per i duchi su disegno del Petitot. Ma il 19 novembre 1771 venne destituito dalla carica il Du Tillot, e i suoi amici caddero in disgrazia: il Petitot venne incriminato per interessi con ebrei. Nel 1773 Giovanni Furlani, allievo del Petitot, fu nominato architetto ducale da Ferdinando di Borbone mentre Laurent Guyard successe al Boudard nella carica di primo scultore e di professore di scultura all’Accademia. Mentre il Du Tillot si rifugiò a Parigi, il Petitot si ritirò nella sua casa di Marore. Lungo sarebbe ancora l’elenco delle opere che il Petitot realizzò o solo progettò, ma sembra indispensabile ricordare almeno la raccolta di una serie di incisioni pubblicata verso il 1759 che riunisce i progetti e le opere da lui eseguite databili intorno al 1756-1757 e che servirono anche alla successiva raccolta di rami incisi in varie occasioni dalla Regia Ducal Corte di Parma, edita nel 1770, dove si può ammirare la grande personalità del Petitot anche come illustratore. Nel 1775 ebbero inizio i lavori del Casino dei Boschi a Sala, per il quale il Petitot elaborò un progetto per altro non realizzato, inaugurato nel 1789 dal principe ereditario Ludovico di Borbone. Nel 1777 corresse il progetto di Angelo Rasori per la chiesa di Sant’Ambrogio o delle cinque piaghe. Del 1779 è il ritratto del Petitot attribuito a Zoffany. Importante continuò a essere la sua partecipazione alla vita dell’Accademia di Belle Arti di Parma, di cui stese nel 1781 un progetto di riforma. Nel 1789 il Petitot venne nominato Conte della nobiltà di Parma dall’infante Ferdinando di Borbone. Nel 1800 donò al nipote Ennemondo Alessandro Petitot de Mont-Louis ogni suo avere. Si conosce del Petitot una sola incisione all’acquaforte come antiporta per il volume Costituzioni della Reale Accademia di Pittura, Scultura e Architettura (Parma, s.d.).
FONTI E BIBL.: E.Casa, Un progetto del cavaliere architetto Ennemondo Petitot de Mont-Louis per edificare in Parma un Palazzo ducale (1766-1769), Parma, 1895; E.Monti, l’architetto Petitot: uno spiraglio d’arte francese a Parma, in Bollettino d’Arte 1924; G.Lombardi, I disegni di un grande architetto francese alla corte di Parma, in Aurea parma I 1926; M.Castelli Zanzucchi, L’architetto Ennemondo Petitot, in Parma per l’Arte III 1964; M.Pellegri, Ennemondo Alessandro Petitot 1727-1801 architetto francese alla real corte dei Borboni di Parma, Parma, 1965; M.Pellegri, Vita ed opere dell’architetto Ennemondo Alessandro Petitot nel periodo romano, in Parma nell’Arte II 1977; G.Bertini, Ennemond Alexandre Petitot.L’arte del legno a Parma nel XVIII secolo, in L’Arte a Parma dai Farnese ai Borbone, catalogo della mostra, Parma, 1979; R.Tassi, Ennemond Alexandre Petitot, in L’Arte a Parma dai Farnese ai Borbone, catalogo della mostra, Parma 1979, 261; G.Benassati, Parma, Teatrino di Villa Petitot a Marore, in Teatri storici in Emilia Romagna, catalogo della mostra, Reggio Emilia, 1982; M.Pellegri, Alcuni ragguagli sugli architetti Petitot, Mazzotti e gli scultori Boudard e Cousinet, in Parma nell’Arte I 1982, 127-128; F.Mazzocca, Disegni neoclassici da petitot a Bossi, catalogo, Milano, 1983; F.Barocelli, Il teatrino privato di Ennemond-Alexandre Petitot, in Aurea Parma II 1987; P.Bédarida, Petitot disegnatore di vasi.Schede, in Feste Fontane Festoni a Parma nel Settecento.Progetti e decorazioni disegni e incisioni dell’architetto E.A. Petitot (1727-1801), catalogo della mostra, Roma-parma, 1989; A.Cabassi-M.Dall’Acqua, Ennemond Alexandre Petitot.La pratique de la bâtisse, Parma, 1989; G.Cirillo-G.Godi, Tecnica e stile nella grafica di Petitot, Apparati di circostanza, Schede, in Feste Fontane Festoni a Parma nel Settecento, catalogo della mostra, Roma-parma, 1989; R.Tassi, Mascarade.Le opere e i sogni di petitot, in FMR 71 1989; A.M.Amonaci, Parma, petitot, gli stucchi della Villa del Poggio Imperiale a Firenze e l’Empirismo inglese, in Archivio Storico per le Province Parmensi, quarta serie, XLV 1993; G.Capelli, I traslochi del Gruppo del Sileno, in Gazzetta di Parma 17 dicembre 1996; Petitot, un artista del Settecento europeo a Parma, Parma, Cassa di risparmio, 1997; Arte incisione a Parma, 1969, 41; E. Monti, L’art du XVIII siècle français à Parme e à Colorno, in Revue de l’art ancien et moderne 1926 Hautecœur, IV, 1952, ind.; Dizionario architettura e urbanistica, IV, 1969, 425-426; Disegni antichi, 1988, 43; T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 5 giugno 1989; Enciclopedia di Parma, 1998, 528-529.

PETITOT ENNEMONDO ALESSANDRO, vedi PETITOT ENNEMOND-ALEXANDRE

PETITOT de MONT LOUIS ENNEMOND-ALEXANDRE
Lione 1760-Marore o Parma 20 marzo 1825
Ben presto raggiunse a Parma l’omonimo zio architetto, presso il quale rimase tutta la via. Di lui rimane un bellissimo ritratto, che lo mostra in veste di cacciatore, di proprietà dell’accademia di Belle Arti di Parma. Ricoprì diverse cariche: venne nominato Cavaliere onorario nella Cour des monnoies e Membro del Corpo legislativo (Biblioteca Palatina ms. parmensi n. 550, 127), venne iscritto tra i messieurs della Società di Maternità di Parma e piacenza fondata nel 1812 dall’Imperatrice (giornale del Taro 28 agosto 1813), fece parte dei Cavalieri dell’Ordine Costantiniano di San giorgio dall’11 dicembre del 1821 e rivestì infine la carica di Podestà di Marore. Dalle nozze con Ippolita Zoccoli ebbe un figlio, Telesforo.
FONTI E BIBL.: Parma nell’Arte 1 1982, 127-128.

PETITOT de MONT LOUIS ENNEMONDO ALESSANDRO, vedi PETITOT de MONT LOUIS ENENMOND-ALEXANDRE

PETREI FRANCESCO
Parma 1644
Fu dottore di teologia e primicerio della Cattedrale di Parma. Scrisse una lunghissima rappresentazione spirituale in cinque atti, La Natività di Cristo, edita nel 1644 (Parma, Mario Vigna) dedicata al priore e ai presidenti della Congregazione della Madonna della Steccata, che fu forse recitata in Seminario al pari di quelle del Prati. In essa non sono osservate le unità di tempo e di luogo, ma il Petrei nella prefazione invoca per questo l’autorità di Lope de Vega. Del Petrei si trovano pure componimenti sparsi in diversi libri.
FONTI E BIBL.: I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 243; E. Bocchia, La drammatica a Parma, 1913, 126-127.

PETRINI ANTONIO, vedi PATRINI ANTONIO

Parma 16 giugno 1757-post 1811
Figlio di Giovanni Michele e Maria Stella Pellegrini.Fu argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 30-32.

PETRINI GIOVANNI, vedi PATRINI GIOVANNI

PETRINI GIUSEPPE, vedi PATRINI GIUSEPPE

PETRINI LUIGI
Montechiarugolo 1831
Segretario Distrettuale, durante i moti del 1831 fu il propagatore della rivolta in montechiarugolo. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato ma senza requisitoria. Fu poi nominato Controllore delle contribuzioni dirette.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 197.

PETRINI JACOPO
Parma 1589
Compositore musicale conosciuto unicamente per una raccolta di pezzi a varie voci intitolata Jubilo di S. Bernardo con alcune canzonette spirituali a 3 e 4 voci (Parma, 1589).
FONTI E BIBL.: P.Bettoli, Fasti musicali, 1875, 124-125.

PETROBONO ALESSIO
Pellegrino 1510
Fu Commissario e Podestà di Pellegrino nel 1510. Rogò investiture per la famiglia fogliani.
FONTI E BIBL.: A.Micheli, Giusdicenti, 1925, 7.

PETROGALLI PIETRO
Parma 1811
Disegnatore attivo nell’anno 1811.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XV, 1823, 85.

PETROLINI ITALO
Montechiarugolo 1911-Parma 14 settembre 1983
Alla morte prematura del padre, il peso della famiglia gravò sul fratello geometra. Quando questi per lavoro si trasferì sul lago d’Iseo, a Sarnico, il Petrolini dovette seguirlo. Intanto maturò la decisione di abbandonare gli studi di legge e passare alla facoltà di lettere dell’università di Bologna. Il cammino per arrivare a laurearsi (in lingua francese) fu lungo, ma il Lugli , che lo apprezzava, lo attese a lungo per la tesi di laurea su Moreas. Cominciò a scrivere abbastanza giovane, subito dopo il Liceo, sui fogli locali ma anche su qualche rivista letteraria nazionale come Circoli, diretta dal poeta Grande e da Barile, alla quale collaborarono scrittori (critici o poeti) già di qualche nome o affermati. Il Petrolini vi pubblicò poesie di una sensibilità acuta e sottile, senza scadere nella ripetizione monotona di situazioni scontate e di imitazioni letterarie abusate: uno stile che lo collocò di diritto nella linea che fu detta padana, quella di Bertolucci e Sereni (più vicina all’esperienza essenziale ed esistenziale di Montale o di Sbarbaro che non a quella dell’ermetismo fiorentino). Le prose, forse più frequenti (con la poesia smise abbastanza presto), sembrano rientrare in quella che allora si chiamò la prosa d’arte, ma vanno ben al di là di un esercizio letterario: anche qui è un gusto preciso e concreto della parola, insieme alla freschezza e immediatezza della sensazione e della memoria (quel mondo che il Petrolini ritrova nel Virgilio delle Georgiche o in Esiodo). Anche se più saltuariamente, non mancò di fissare in brevi saggi o recensioni, gli interessi che continuarono a legarlo alla cultura e alla ricerca in una prosa quieta, corposa, incisiva e mai superflua. La sua attività didattica, svolta con rigore in un lungo arco di tempo, documenta il grande impegno professionale che lo vide sempre protagonista nelle aule del Collegio Maria Luigia (dal 1940 al 1982 insegnò lettere latine e greche), dove per qualche tempo ebbe come colleghi docenti di profonda dottrina, da Squarcia a Bertolucci e Di Stefano, da Ciofani a Pernigotti, e alla facoltà di Magistero dell’Università di Parma dove, docente in collaborazione coll’Andreotti, insegnò lineamenti della civiltà greca. Fu un umanista sensibile, finissimo nella lettura dei classici, amante della filologia, studioso dei dialetti locali (portava sempre con sé un libretto in cui annotava parole e frasi sulle quali poi indagava minutamente), buon conoscitore di lingue moderne, interessato alla letteratura contemporanea. Solitario, sempre schivo di pubblicità, amò defilarsi dalla folla per una innata modestia che caratterizzò un personale costume di vita. Del tutto estraneo alle associazioni e lontano da ogni forma di esibizionismo, il Petrolini visse coltivando con amore e in silenzio gli studi severi del latino e del greco, che, da illuminato maestro, trasmise a generazioni di studenti della sua città. Poche, per non dire limitatissime, furono anche le sue amicizie. Del suo non comune talento letterario rimane traccia in numerosi scritti (prose apparse qua e là e un libro su Zerbini ne forniscono la prova evidente) e nelle pagine della Gazzetta di Parma, dove il Petrolini si mascherò sotto lo pseudonimo di Il Quadrello. Notevoli benemerenze di carattere culturale il Petrolini si acquistò pure nei riguardi della città di Parma, sia collaborando all’allestimento del Museo Lombardi e preparando il relativo catalogo sia facendo parte della commissione teatrale del Teatro Regio.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 settembre 1983, 6; Aurea Parma 2/3 1984, 86-88; Al Pont ad Mez 2 1984, 45.

PETROLINI LEOPOLDO
-Parma 5 aprile 1892
Prese parte ai moti rivoluzionari del 1854. Arrestato, dal tribunale borbonico fu condannato a morte. Graziato all’ultimo momento, fu rinchiuso poi per parecchi anni nelle segrete del carcere di Mantova.
FONTI E BIBL.: G. Annigoni, in Corriere di Parma 10 aprile 1892, n. 99; Gazzetta di Parma 9 aprile 1892, n. 98; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 416.

PETROLINI SILVIO
Traversetolo 1893-Basso Piave 5 luglio 1918
Figlio di Ildebrando. Sottotenente di fanteria del Reggimento Marina, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Audacemente e con supremo sprezzo del pericolo, sotto l’intenso fuoco nemico raggiungeva, alla testa dei suoi mitraglieri, l’argine del fiume, riuscendo pienamente nell’intento di proteggere le truppe operanti. Colpito a morte, incitava ancora i dipendenti alla lotta, per la completa vittoria.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1920, 662; Decorati al valore, 1964, 126.

PETROLINI WALDO
Parma 13 febbraio 1906-Parma 18 gennaio 1986
Figlio di Giovanni. Si diplomò in viola nel 1929 presso il Conservatorio di musica Arrigo Boito di Parma. Suo insegnante fu Giuseppe alessandri. Subito il Petrolini si fece notare nell’orchestra del Conservatorio, della quale fece parte come prima viola, per la sua tecnica e la particolare interpretazione del pezzo musicale. L’orchestra di studenti del Conservatorio di Parma si esibì in vari teatri italiani e in quell’orchestra la presenza del Petrolini diventò presto indispensabile. Il padre, che viveva in America, disse al celebre direttore d’orchestra Arturo Toscanini che suo figlio era una valente viola. Toscanini, venuto per un concerto in Italia, volle ascoltare il Petrolini e rimase stupefatto. Volle poi sempre nei suoi concerti il Petrolini perché è la migliore viola che io abbia sottomano. Il Petrolini non mancò mai di essere presente nell’orchestra del Teatro Regio di Parma ma fu anche continuamente richiesto dalle orchestre di Zara, Como, Genova, Macerata, Trieste, Roma, Firenze, Piacenza, Milano, Bologna, Torino, Cremona e Sanremo. Fu anche all’estero: a Budapest, in Austria, in Jugoslavia e in Svizzera. La Radio italiana con sede a Torino (Eiar) lo scritturò per dieci anni. Fece parte del quartetto d’archi che si esibì al Teatro Regio di Parma e al Conservatorio Boito e fu un componente, nel 1935, del quintetto dell’orchestra di Bologna. Tra i suoi numerosi direttori d’orchestra, oltre a Toscanini, sono da ricordare Marinucci, Ligabue, Capuana e Majoli, che rilasciarono al Petrolini ottimi attestati. Ma anche tenori, soprani, bassi e baritoni, ammirati dalla sua arte, gli donarono foto con affettuose dediche. Renata Tebaldi ebbe parole di lode per il Petrolini. Tra le sue ultime prestazioni, nel luglio 1976 il Petrolini fece parte di un concerto verdiano a Busseto, ove cantarono Katia Ricciarelli e Luciano Pavarotti. Venne inciso un disco che riporta i nomi dei migliori strumentisti, tra i quali il Petrolini. Fu commissario d’esami al Conservatorio di Parma e in altre città. Negli ultimi anni di vita fu insegnante di teoria musicale (solfeggio) nella banda di Montechiarugolo.
FONTI E BIBL.: G. Milan, in Gazzetta di Parma 19 gennaio 1986, 5.

PETRONIA QUARTA
Collecchio I secolo d.C.
Figlia di Caius Petronius. Libera, dedicò un’epigrafe al fratello T. Petronius Rufus, proveniente da Collecchio, databile, per i caratteri paleografici e la classica essenzialità del testo, al I secolo d.C.. I Petronii, diffusissimi in Occidente, e frequenti anche in Cispadana, sono documentati a Parma anche in un’altra epigrafe di un personaggio di condizione libera e di particolare rilievo nella vita municipale cittadina, come si deduce dal cursus honorum riportato sul cippo a lui dedicato, L. Petronius Pol. Sabinus. Il cognomen Quarta è diffusissimo soprattutto al femminile in ogni luogo e specialmente nelle provincie celtiche e in Cisalpina.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 145.

PETRONIU CAIUS
Collecchio I secolo d.C.
Fu padre di Petronia Quarta e di T. Petronius Rufus, ricordati in epigrafe del I secolo d.C. proveniente da Collecchio.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 145.

PETRONIUS LUCIUS SABINUS
Parma 1 secolo d.C.
Figlio di Lucio. Libero, fu cittadino romano iscritto alla tribù Pollia, appartenente alla gens Petronia, diffusissima nelle regioni occidentali dell’impero, frequente anche in Aemilia, a Parma documentata per altri due personaggi, pure liberi. Il cognomen, diffusissimo e già documentato altre volte a Parma e nella zona, potrebbe indicare l’origine, anche remota, dal Centro Italia. Il Petronius presenta una completa carriera politica nell’ambito cittadino: fu infatti sexvir, dec(urio), q(uaestor), duovir, pontif(ex). Quindi senza dubbio fu personaggio di grande rilievo nella vita di Parma romana, non privo, si può credibilmente supporre, di un certo reddito personale. La sua presenza nella città è documentata da un cippo marmoreo, poi trasformato in sarcofago cristiano, attribuibile, per caratteri paleografici e contenutistici, al I secolo d.C.. Il cippo fu fatto eseguire dallo stesso Petronius per ordine testamentario e posto su di un sepolcro di notevoli dimensioni.
FONTI E BIBL.: L.Grazzi, Parma romana, 1972, 142; M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 147.

PETRONIUS TITUS RUFUS
Collecchio I secolo d.C.
Libero, dedicatario di un’epigrafe postagli dalla sorella Petronia Quarta, proveniente da Collecchio e conservata nel Museo archeologico Nazionale di Parma. I Petronii furono diffusissimi in Occidente e frequenti anche in cispadana. Rufus è cognomen assai comune, diffuso dappertutto e in special modo in Italia e nelle Spagne, ben documentato in tutta la Cisalpina.
FONTI E BIBL.: M.G.Arrigoni, Parmenses, 1986, 146.

PETROPOLI GUIDO
Parma 4 agosto 1913-Kassam-Torquarié Agher 21 giugno 1938
Iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna (che gli conferì nel 1939 la laurea ad honorem), fu ammesso all’accademia Militare di Modena il 16 ottobre 1933 e nominato sottotenente di fanteria due anni dopo. Ultimato il corso di applicazione a Parma, venne assegnato al 35° fanteria e dopo pochi mesi (febbraio 1937), trasferito al R.C.T.C. dell’Eritrea, partì per l’Africa orientale. Assegnato al III Battaglione coloniale Galliano, partecipò alle operazioni di polizia coloniale distinguendosi in particolar modo nel ciclo operativo dal 1° al 5 dicembre 1937 con la colonna del generale Mischi e in quello dal 1° al 21 giugno del 1938. Dopo una prima medaglia d’argento al valor militare (Cabì, Medà, Kassam, dicembre 1937), fu decorato di medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: comandante di compagnia fucilieri seppe trasfondere nei propri ascari il suo ardire e il suo incomparabile entusiasmo, guidandoli con pieno successo in numerosi scontri e combattimenti di un lungo ciclo di operazioni di polizia coloniale. Fu sempre esempio di valore in ogni circostanza e con il suo coraggioso contegno destò l’ammirazione dei propri dipendenti. Pur essendo sofferente, si offriva volontario per un delicato incarico e, conscio del grave pericolo al quale si esponeva per le soverchianti forze avversarie, riusciva a prendere contatto con esse, a debellarle e ad inseguirle. Mentre impavido, con l’esempio e con la parola, animava i suoi uomini cadeva colpito a morte. Già distintosi in precedenti combattimenti.
FONTI E BIBL.: Medaglie d’Oro d’Africa, 1961, 121-122; G. Carolei, Medaglie d’Oro, 1965, I, 309-310.

PETROSINO DOMENICO GIUSEPPE
Parma 1824-post 1864
Già ufficiale borbonico, prese parte nel 1848 alla difesa di Venezia e nel 1860 ottenne il grado di Maggiore di fanteria. Nel 1864 fu posto sotto sorveglianza perché fervente repubblicano.
FONTI E BIBL.: P.D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 177.

PETRUCCI FRANCO
Langhirano 1932-Parma 18 maggio 1997
Dopo il completamento degli studi superiori a Parma, si iscrisse al corso di laurea in Scienze geologiche, laureandosi nel 1959 discutendo la tesi con Sergio Venzo, di cui divenne ben presto allievo prediletto, che volle avviare il petrucci alla Geologia del Quaternario, settore di ricerca in cui il Venzo eccelleva in campo mondiale. Così, dapprima assistente volontario quindi assistente straordinario, il Petrucci nel 1967 vinse il concorso per assistente ordinario nella cattedra di Geologia dell’Università di Parma. Nel 1970 conseguì l’abilitazione alla libera docenza, confermata nel 1976. Nel 1980 vinse il concorso a professore straordinario di Geologia del Quaternario, ottenendo la nomina a ordinario nel 1983. Lunga e impegnata fu l’attività didattica del Petrucci, che tenne nella facoltà di Parma numerosi corsi a partire dall’anno accademico 1968/1969: rilevamento geologico, geografia, geografia fisica e infine geologia del quaternario, di cui fu titolare. Fu inoltre presidente del consiglio di corso di laurea in Scienze geologiche. Il Petrucci sviluppò la sua articolata e intensa attività di ricerca, testimoniata da oltre novanta pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali, accompagnata da una impegnata e qualificata attività di terreno, contribuendo tra l’altro al rilevamento di vaste aree dei fogli geologici alla scala 1:100.000 di Parma, Fiorenzuola d’Arda, Reggio nell’Emilia, Piacenza, Vercelli, Torino, Carmagnola e Cremona. La sua esperienza di geologo rilevatore fu determinante anche per la Carta geologica della Provincia di Parma e zone limitrofe pubblicata in occasione della 63a adunanza della Società Geologica Italiana (Parma-Garda, ottobre 1965). Nell’ambito più specifico della sua disciplina, l’attività di campagna fu congiunta alla pubblicazione di lavori, divenuti classici, sugli anfiteatri morenici delle Prealpi e sul Quaternario continentale dell’Appennino e della Pianura Padana. Su tale impostazione fondamentale di rilevamento e di profonda conoscenza della Geologia del Quaternario, della Geomorfologia e della Pedologia, il Petrucci si dedicò, soprattutto a partire dalla fine degli anni settanta, a studi sempre più indirizzati alle applicazioni che le sue conoscenze avrebbero potuto portare alla ricerca e allo sfruttamento razionale delle acque sotterranee, al problema dell’inquinamento e ai problemi di instabilità dei versanti. In tale veste divenne ben presto apprezzato consulente di amministrazioni pubbliche e di enti privati, non solo di Parma e della sua Provincia. Non esercitò mai la libera professione ma volle che tutte le convenzioni con gli Enti venissero stipulate con l’Università, assumendone in prima persona la responsabilità scientifica, con ricadute non solo di immagine e di formazione di giovani sul campo, ma anche economiche per l’Istituto di Geologia e per il potenziamento delle sue attrezzature.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 maggio 1997, 8 e 8 luglio 1997, 11.

PETTENARIO ALBERTO
Parma 1177/1179
Figlio di Marsilio, agiato cittadino abitante nel Borgo di Capo di Ponte in Parma e uno tra i consiglieri dei Consoli di Parma. Sebbene sicuramente di indole più empirica del suo illustre contemporaneo Giovanni Pallavicino, viene segnalato come apprezzato teorico nel campo del disegno tecnico: quantunque l’ingegneria fosse ancora bambina non andava disgiunta dall’arte del disegno, e lui è ricordato tra i più autorevoli professori della materia. Fu quello il momento più fortunato della creatività tecnologica medievale, che offrì risultati talora sorprendenti, soprattutto nel campo della meccanica e dell’idraulica. Per quest’ultima in particolare si fu in grado di sfruttare con immediatezza le possibilità offerte dalla ripresa conosciuta in quel tempo dagli studi in materia di geometria e disegno, a cui Parma riuscì certamente a non rimanere estranea. Il Pettenario ebbe, dopo che l’inondazione del 1177 aveva colmato le fosse dell’Oltretorrente, l’incarico di studiare il riassetto idraulico di quel quartiere di Parma. Lo dotò di un nuovo giro di fosse e di un nuovo canale in sostituzione del precedente che proveniva dal Baganza. Questo nuovo cavo traeva acqua dal Cinghio e, per arrivare al quartiere in Co’ di Ponte, doveva attraversare in quota, per mezzo di una nave di dimensioni ragguardevoli, il corso stesso del Baganza. Opera quest’ultima che dovette richiedere una notevole padronanza, da parte del Pettenario, delle più aggiornate potenzialità tecnologiche, e che certamente ebbe una notevole risonanza, tanto che in seguito il sito venne sempre definito con l’appellativo di Navetta. Il Pettenario donò al Capitolo della Cattedrale di Parma un caseggiato nella villa del Grugno, sul torrente Taro, affinché venisse costruita la chiesa parrocchiale, intitolandola ai Santi Gervaso e Protaso, suoi particolari patroni. Perché fosse convenientemente dotata, offrì un vigna di due bifolche e tutte le decime delle tante terre che possedeva nella villa del Grugno.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Storia di Parma, II, 271-272, 388 e 391; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 61; P. Zanlari, Tra rilievo e progetto, 1985, 37.

PETTENARIO ALFONSO, vedi PETTENA-RIO ALBERTO

PETTENATI ALFREDO
Noceto 1873-Salsomaggiore Terme 7 marzo 1956
Abitò per molti decenni a Varano Marchesi svolgendovi l’attività di geometra. Fu eletto Sindaco di Medesano (il Pettenati fu il primo sindaco socialista del Comune) il 26 giugno 1910 su proposta dell’avvocato Antonio Grossardi. In quella seduta ottenne 17 voti a favore e una scheda bianca su 18 consiglieri presenti e votanti. Un’unanimità che poi lo rielesse di nuovo alla massima carica cittadina il 19 luglio 1914. Fu costretto a dimettersi il 30 giugno 1921 di fronte a un ordine del giorno di sfiducia presentato al sindaco e alla maggioranza dalla minoranza capeggiata da Ulisse Cenci. Quest’ultimo fu poi per un breve periodo podestà del Comune di Medesano. Dopo le dimissioni del Pettenati e dell’intera maggioranza, fu inviato a Medesano il commissario prefettizio e iniziò l’era dei podestà. Durante la permanenza del Pettenati in municipio furono costruite diverse e importanti strade comunali sulle colline (Varano marchesi, Miano e Santa Lucia), vari servizi pubblici e dato slancio al termalismo a Sant’Andrea bagni. A Varano Marchesi il Pettenati aprì una cassa rurale aiutando le famiglie locali, spesso senza avere il ritorno dei fondi elargiti. Il pettenati trascorse gli ultimi anni della sua vita a Salsomaggiore.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 31 dicembre 1992, 21; Gazzetta di Parma 1 maggio 1997, 26.

PETTENATI FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA
Borgo Taro 11 luglio 1790-post 1848
Entrato come soldato nel 3° Reggimento leggero del Regno d’Italia nel 1808 e fatta la campagna d’Istria dal 1809, fu come sottotenente (poi Tenente) nel 1813 e 1814 all’armata d’osservazione in Italia. Prese parte ancora alla campagna di Francia del 1815 come Tenente nel Reggimento Maria Luigia. ammonito nel 1823 come carbonaro e compromessosi per la sua partecipazione ai moti rivoluzionari del 1831, fu cancellato dai ruoli per effetto del sovrano decreto 14 marzo di quell’anno, fu confinato a Borgo Taro e perdette anche il grado di Capitano tenente e il diritto di portare l’uniforme. I gradi gli furono ridati, col diritto alla pensione, soltanto nel 1834. Avendo tuttavia mantenuto vivo il sentimento nazionale, accettò il 6 aprile 1848 dalla Suprema Reggenza dello Stato di Parma la nomina a Colonnello comandante generale delle truppe.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Gli Ufficiali Napoleonici Parmensi, Parma, Tipografia Parmense, 1930, 30; C. Di Palma, Parma durante gli avvenimenti del 1848-1849, in Bollettino Ufficio Storico Comando Stato Maggiore, Roma aprile 1930, 13; E. Casa, I Carbonari parmigiani e guastallesi cospiratori nel 1821, Parma, 1904; A. Del Prato, L’anno 1831, 1919, XXII-XXIII; E. Loevison, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 865; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 198; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 377-378.

PETTENATI GIOVANNI BATTISTA, vedi PETTENATI FRANCESCO GIOVANNI BATTISTA

PETTENAI STEFANO
Parma 1831
Rigattiere, ebbe parte attiva nei moti del 1831 in Parma come disarmatore della truppa. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato ma senza requisitoria.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 196.

PETTORELLI ANDREA
Busseto 24 aprile 1779-Busseto 29 luglio 1862
Studiò filosofia all’Università di Parma. Sorta in lui la vocazione al sacerdozio, intraprese la carriera ecclesiastica. Prima di essere destinato a reggere la collegiata di San Bartolomeo in Busseto, fu canonico a Castell’Arquato e a Monticelli d’Ongina. A Busseto insegnò anche lettere nelle pubbliche scuole e fece parte delle accademie Emonia (con lo pseudonimo di Olmero Idnuride) e di lettere greche. Letterato di valore, tradusse Orazio con eleganza in vari metri, compose un buon numero di poesie, scrisse una commedia, L’olmo di Colle Ombroso, e i drammi Le veglie di Assuero e Il sogno di Nabucco. Dedicò alla duchessa Maria Luigia d’Austria un componimento poetico, L’omaggio dei fiori. Il Pettorelli fu tra coloro che si accapigliarono nella polemica sorta all’indomani della morte di Provesi per la successione dell’organista e maestro di Cappella in San Bartolomeo: parteggianti per Verdi o contro Verdi, col prevosto Ballarini o col filarmonico Barezzi, codini o coccardini. Il pettorelli fu tra i codini, ma mellifluo com’era (l’aggettivo è dell’Abbiati) non dovette completamente e apertamente inimicarsi Verdi, se di lì a poco ne benedisse le nozze con Margherita Barezzi (5 maggio 1836) nella chiesa della santissima Trinità, e se più tardi compose anche un sonetto panegirico in suo onore. La contesa paesana lo ebbe non solo quale attore ma anche quale testimonio e cronista singolare: di lui resta, in nove canti di ben 650 sestine, un poema allegorico, l’Accademia degli uccelli, che, con partigiana acredine, presenta sotto le spoglie di un pappagallo, di un merlo, di una gazza, di un cucù, di un’oca e così via, i protagonisti dell’incruenta guerra che divise i filarmonici dai pretini. Verdi, come pappagallo, è più volte bistrattato dalla lingua pungente del Pettorelli. Enrico Carrara prima e Franco Abbiati poi dedicarono all’Accademia degli uccelli pagine definitive.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 304; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 352; Biblioteca 70, 1, 1970, 63-64.

PETTORELLI ANTONIO
Parma XVI/XVII secolo
Laureato in legge, fu considerato dai contemporanei il più eccellente avvocato, e fu spesso adoperato negli affari pubblici della città di Parma, divenendo molto ricco. Visse tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII. Morì in età avanzata.
FONTI E BIBL.: R.Pico, Appendice, 1642, 50; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 304.

PETTORELLI GIOVANNI
Busseto 1840-Busseto 1922
Di nobile famiglia, il Pettorelli svolse la propria attività a Piacenza distinguendosi nei settori culturale e assistenziale. Fu per alcuni anni medico presso l’Ospedale Civile e collaborò al periodico Guglielmo da Saliceto con numerosi saggi, alcuni dei quali davvero originali. Fu inoltre autore di una biografia di Jacopo Morigi (Piacenza, 1875). Il Pettorelli diede però il suo più grande contributo impegnandosi per la costruzione dell’ospizio marino piacentino a Fano. Al Pettorelli fu conferita inoltre la carica di Presidente del comitato piacentino degli ospizi marini per i fanciulli poveri scrofolosi.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Libertà 20 luglio 1922 e in Bollettino Storico Piacentino 1922, 144; P.Marchettini, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 210.

PETTORELLI GIUSEPPE MARIA
Busseto 1637-Oweri 27 luglio 1693
Frate cappuccino, compì a Piacenza la vestizione (17 maggio 1657) e la professione di fede (17 maggio 1658). Il Pettorelli fu il primo missionario cappuccino parmigiano: andò nel Congo nel 1666 col modenese Bonaventura da Salto. Svolse il suo apostolato a massangano, a Loanda e a Sogno, ove organizzò il servizio religioso, estendendo le sue cure a ogni ceto e conquistando tra i suoi fedeli tutta la famiglia del governatore. In soli tre anni battezzò circa sedicimila persone. Tornato in Italia nel 1676, nel settembre 1681 ritornò nella sua missione in qualità di vice prefetto. intelligente, colto e zelante, da Giancrisostomo da Genova, prefetto della missione d’Angola, il Pettorelli fu giudicato il miglior soggetto della missione. Nel 1686 venne destinato vice prefetto a San Tomè e poi inviato a fondare una missione sulla costa del Benin.
FONTI E BIBL.: Cappuccini a Parma, 1961, 25; F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 436.

PETTORELLI PIETRO
Busseto 1505-Parma dicembre 1566
Figlio di Giacomo. Compì gli studi a Parma, dove conseguì il 29 aprile 1527 la laurea in ambo le leggi. Ben presto si dimostrò tra i migliori avvocati di quel foro. Per le doti di ingegno, di prudenza e discrezione, ottenne anche importanti cariche pubbliche. Ricordato dal famoso giureconsulto menocchio nel suo Consiglio 495, Fu Pretore di trento negli anni 1523, 1527 e 1539, sotto Bernardo Clesio e Cristoforo Madruccio, vescovi e principi della Città.Pare che anche nel 1538 sia stato in carica, giacché in un documento trentino di tale anno è chiamato Lo magnifico Podestà. Nell’anno 1541 fu dal madruccio delegato a pronunciare in appallo la sentenza del 15 giugno in una causa tra la comunità di Lomaso e quella di Bleggio superiore, concernente il monte di Cogorna, nella quale egli si enuncia P.Pattorellus Parm. J.U.D. Rever.mi D.D. Christophori Episcopi e Principis Tridentini Illustrissimi Cancellarius et Commissarius. Fu Avogadro in Parma nel 1534 e Delegato nel 1548, nel 1537 fu nominato Uditore generale del conte di Santa Fiora, nel 1541 e 1542 Cancelliere e Segretario del principe e vescovo di Trento cardinale Cristoforo Madruccio, quindi, nel 1562, referendario della Comunità parmense e infine vicario e luogotenente del podestà di Piacenza Francesco Strimeri. Al Pettorelli, Vespasiano Gonzaga, duca di Sabbioneta, affidò nel 1563 l’incarico di patrocinare i suoi diritti nella causa intercorsa tra quel principe e i cugini. Del suo paese natale, fu benefattore insigne: provvide tra l’altro a ricostruire a proprie spese la chiesa delle monache di Santa Chiara, che minacciava rovina. Lasciò Allegazioni e Annotazioni allo Statuto Pallavicino. Il Sacca lo chiama legum oraculum.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 5, 1932, 304; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 352-353.

PETTORELLI PIETRO
Busseto-1621
Figlio di Antonio. Fece fabbricare il Collegio dei Gesuiti di Busseto, come racconta il cordara nell’Historia Soc. Jesu (parte sesta, carta 20, n. 29, sotto l’anno 1616), e riedificare la chiesa di Santa Chiara nel 1611.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 512.

PETTORELLI LALATTA FRANCESCO
Parma 12 febbraio 1712-Parma 2 maggio 1788
Nacque da Angelo, conte, e da Caterina Del Monte. Coltivò le lettere, le scienze teologiche, la giurisprudenza e la storia sacra e profana. Il conte Antonio Cerati in una lettera dice che il Pettorelli Lalatta fu uomo di qualche erudizione, che giovane tenne in sua casa un’Accademia di Storia Ecclesiastica, che scriveva in prosa lodevolmente, e che molti assicurano avere esso abbruciata una Storia Ecclesiastica manoscritta da lui composta. Fu insignito della laurea in teologia, e ascritto al collegio dei teologi di Parma il 12 marzo 1735. Fu ordinato sacerdote nel 1735. Divenuto Canonico della Cattedrale di Parma, nello stesso anno ne fu Arcidiacono, e fu fatto poi Vicario generale capitolare. Fu eletto da papa Clemente XIII Vescovo di Parma il 10 novembre 1760 e consacrato in Roma il 21 dicembre 1760. Il 23 novembre si cantò il Te Deum in Cattedrale. Poi il 25 novembre fu rilasciato un attestato al Pettorelli Lalatta, dietro sua istanza, che dice che da 20 anni era stato fatto arcidiacono dietro preghiere del Capitolo, ed ora fatto Vescovo con loro universale soddisfazione, ch’era stato capo di varie congregazioni, e per molti anni di quella de’ cavamenti, con somma lode; per otto anni presidente della congregazione dello spedal grande detto della Misericordia, ove avea mostrato singolare prudenza; che tutti gli uffizi a lui affidati dal Capitolo, e furono molti, gli avea sempre disimpegnati con somma alacrità, destrezza, attività. Andato a Roma per le occorrenze vescovili, di là prese possesso dell’episcopato per mandato il 30 dicembre e vi fece l’ingresso il 1° marzo 1761. Un poemetto di Pietro bertinelli celebrò il suo ritorno dopo la consacrazione. Nel 1769 il duca Ferdinando di borbone lo nominò suo Grande Limosiniere. Il 4 maggio 1761 i dottori collegiati stabilirono, con approvazione del Pettorelli Lalatta che si aprisse nella casa del Collegio una biblioteca che contenesse libri di diverse scienze, a pubblico vantaggio e sotto la presidenza dei tre dottori Castelli, Artusi e Pisseri, e che si erigesse nella medesima casa del Collegio l’oratorio di San Bernardo, in adempimento della volontà del loro benefattore, Pietro Maria Bosi. Il 27 marzo 1761 il Pettorelli Lalatta nominò giudici sinodali Francesco Maria Casapini, alessandro Pisani, Cesare Alberto Malpeli, Francesco Civeri, Pietro Bertoncelli, Tommaso Ortis, Tommaso Bertolotti e pierfrancesco Garsi, e nominò altresì esaminatori sinodali Cesare Malpeli e Francesco Bertolini. Fu un assiduo maestro della parola, che portò ripetutamente in tutte le parrocchie della diocesi, visitandole: gli atti di tali visite (12 febbraio 1762-1779) sono raccolti in cinque volumi nell’archivio vescovile di Parma. Il 25 agosto 1762 fu conferito dal Pettorelli Lalatta, nella chiesa dei Domenicani, al principe Ferdinando di Borbone l’Ordine dello Spirito Santo di Sua Maestà Cristianissima. Il 7 settembre 1763 il Pettorelli Lalatta approvò l’ordinazione fatta dal Capitolo che i guardacoro della Cattedrale, prima della loro ammissione, dovessero apprendere il canto fermo. Sempre nell’anno 1763, mediante permesso pontificio, il Pettorelli Lalatta fece la permuta dei due Mezzani col castello di Felino, vigna, maglio da rame, molino e due possessioni nella Badia di Fontevivo, cedutegli dalla Camera Ducale. Il 22 dicembre 1768 fece la riconciliazione della chiesa parrocchiale di Maria Maddalena, rimasta polluta per un suicidio ivi commesso, e il 25 aprile 1769 benedisse solennemente il bajone coi nomi della Beata Vergine, dei Santi Pietro e Paolo, e di Santa Eurosia Vergine e martire. Il 22 novembre 1770 nacque la principessa Carlotta Maria, figlia del duca ferdinando di Borbone. Fu battezzata il 23 dal pettorelli Lalatta nel Reale palazzo magnificamente addobbato, presente la Corte e la nobiltà. Il padrino fu il marchese Revilia, ministro di Spagna a nome del Re, e la madrina la marchesa Anna Malaspina, a nome della regina di Ungheria. Il 5 luglio 1773 nacque l’infante Lodovico di Borbone, principe ereditario e il 18 aprile 1774 il Pettorelli Lalatta fece nel Reale palazzo la cerimonia battesimale. Il 28 novembre 1774 nacque la principessa Maria Antonia, figlia del duca Ferdinando: la neonata fu immediatamente battezzata dal Pettorelli Lalatta. Il 6 aprile 1777 il canonico teologo Giovanni Biondi avrebbe dovuto dare inizio in Cattedrale alle lezioni scritturali per ordine del Petorelli Lalatta ma i canonici si opposero alla novità. Il 28 aprile 1779 si fece in Cattedrale, su iniziativa dell’Anzianato, un triduo coll’esposizione del legno della Santa Croce e coll’adorazione del clero secolare e regolare per ottenere la grazia della pioggia. Si fece la processione per borgo San Nicolò, Santa Cristina, la piazza e ritorno alla cattedrale. Il Pettorelli Lalatta fece una pastorale nella quale affermò che Dio era giustamente irritato contro il popolo per il gran lusso e mollezza del vivere, e per il continuo ozio e dissipamento, ed esortò a riconciliarsi con Dio con sincera confessione e pentimento. Gaspare Cerati, il Paciaudi, e Manuel de Roda, ministro della giustizia nella Spagna di Carlo III e uno dei più distinti letterati dei suoi tempi, non ebbero buoni rapporti col Pettorelli Lalatta. Il suo amore per le lettere e per le scienze è ricordato nei due poemetti a lui dedicati dal Frugoni (a f. 278 e seg. del t.° 7° delle Opere, 1779) ove si fa pure menzione di alcune prose recitate in Arcadia dal Pettorelli Lalatta e dei suoi versi. Una di quelle prose, lodata dal Zaccaria nella sua Storia Letteraria d’Italia, è contenuta nell’adunanza di Canto tenutasi dagli Arcadi della Colonia Parmense l’anno 1755 in onore della divina Vergine (nella Colonia Parmense il Pettorelli Lalatta ebbe il nome di Eumonte). Lasciò molte scritture teologiche. Giovanni Weber coniò una medaglia in suo onore. Andrea Mazza fu autore dell’iscrizione posta alla sua morte nella Cattedrale di Parma.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori, 1833, IV, 317; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 378-408; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 308-309; A. Schiavi, La Diocesi di Parma, vol. II, Fresching, Parma, 1940, 242; Stanislao da Campagnola, Adeodato Turchi uomo, oratore, vscovo (1724-1803), Istituto Storico Ordine Fr. Min. Cappuccini, Roma, 1961, 239-240; Per la Val Baganza 9 1988, 174; Gazzetta di Parma 12 gennaio 1984, 9.

PEZONE CAMILLO, vedi PLAUZIO CAMILLO PEZONE

PEZZALI ANDREA
Parma 1785
Pittore attivo nell’anno 1785.
FONTI E BIBL.: P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XV, 1823, 93.

PEZZALI DOMENICO
Parma XVII secolo
Fu alfiere e tenente nelle truppe ducali di Parma.
FONTI E BIBL.: V.Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 1928-1935.

PEZZANA ANGELO
Parma 17 febbraio 1772-San Lazzaro Parmense 20 maggio 1862
Nato da Giuseppe e Teresa Droghi. Il padre, buon verseggiatore e colto letterario, amico del Du Tillot, dopo che il ministro cadde in disgrazia, essendo fatto segno a persecuzioni, abbandonò la famiglia e la città natale. Alla madre sola toccò dunque il compito di educare il Pezzana. Piena di sollecitudine per lui, desiderosa di dargli una istruzione conveniente, vista l’indole sveglia del ragazzo, lo mandò alle scuole pubbliche, dove percorse tutti gli studi dalle elementari all’Università. Ebbe a maestri, tra gli altri, Giuseppe Maria Pagnini e Sante Del Rio, che ne apprezzarono l’ingegno e lo seguirono paternamente fino alla laurea, conseguita il 15 luglio 1794 con una tesi in Ragione civile e canonica, relatori Gaetano godi e G. Capretta. Ottenuta la laurea, si diede alla pratica forense, ma senza entusiasmo. Il disordine delle leggi borboniche, la venalità dei giudici che le applicavano, le bassezze e gli intrighi dominanti nell’avvocatura, lo disgustarono al punto che decise di lasciare la pratica del foro e di abbracciare qualunque altra occupazione che gli procurasse da vivere onestamente. Intanto la Rivoluzione francese aveva determinato novità politiche e innovazioni filosofiche nella classe colta. Per un certo tempo anche il Pezzana parteggiò per le nuove idee, conquistato dal fascino della ventata rivoluzionaria. Ma seppe imporre misura alle sue aspirazioni, preoccupandosi in primo luogo di ottenere un posto sicuro, privo com’era dell’aiuto del padre e dovendo contare unicamente sull’appoggio della madre. A trentadue anni, il 1° gennaio 1804, il Pezzana venne nominato dall’amministratore francese, Moreau de Saint-Méry, Segretario della biblioteca Palatina, indi, per la competenza e lo zelo dimostrati, fu chiamato a coprire la carica di Bibliotecario. Nominato il 25 marzo 1807 Conservatore dell’Archivio Farnesiano, declinò l’ufficio in favore dell’insigne paleografo Tommaso Gasparotti. Alieno dall’accumulare cariche, si adoperò perché ai posti di comando venissero chiamati uomini di valore: così, nella sua veste di consultore del Collegio Lalatta, propose la nomina a direttore dell’abate Giuseppe Taverna, valentissimo educatore. Il Pezzana fu anche direttore della Gazzetta di Parma dal 1811 al 1812. Sotto la sua direzione la Gazzetta di Parma, che aveva mutato nome in Giornale del Taro, cominciò a uscire due volte la settimana (mercoledì e sabato). Dopo la caduta del Governo francese, la duchessa Maria Luigia d’Austria, che apprezzò il Pezzana per i severi studi, lo nominò storiografo di Parma, professore universitario di storia (1819), e più tardi professore onorario di filologia e storia e Direttore della Biblioteca ducale. La direzione del Pezzana coincise con il periodo aureo della Biblioteca Palatina. Ne accrebbe il decoro, l’ampliò e l’arricchì di numerosi e importanti acquisti, portandola al livello delle più importanti biblioteche d’Italia e d’Oltralpe. Acquisì i nuovi fondi Librerie B. Gamba, Porta e M. Colombo, Collezione Bodoniana, Biblioteca G. B. de Rossi, considerata la più preziosa nel campo dei manoscritti orientali, la Raccolta di stampe M. ortalli, con le minori raccolte di Pietro antonio Marini e del Balestra, i manoscritti albergati e Bramieri, la suppellettile tipografico-fusoria dell’Officina G. B. Bodoni, il fondo di pergamene antiche e moderne e altre preziose scritture utilissime di storia patria, raccolte da Pietro Casapini. I nuovi ambienti creati dal Pezzana portano i nomi di Sala Dante, De Rossiana, Salone Maria Luigia, Uffici del Direttore e della Bibliografia. Ma oltre a questa intensa attività strettamente professionale e amministrativa a favore della Biblioteca, il Pezzana attese anche a lavori letterari e storici di notevole mole e importanza: le Osservazioni concernenti alla lingua italiana ed ai suoi vocabolari, che contengono gemme della lingua italiana non prima scoperte, colle quali arricchì la lessicografia nazionale, le Giunte e correzioni alle Memorie degli Scrittori e letterati parmigiani (4 voll.) e i cinque ponderosi volumi della Storia della città di Parma (1345-1500). Quest’ultima è la più copiosa raccolta di fatti storici e di tutto quanto attiene alle leggi, al costume, alla religione, alle arti, al commercio, alle vicende civili e militari della Province parmensi. Dice il Polidori nel I volume dell’appendice all’Archivio storico italiano: gli Italiani che tante ignorano delle cose lor proprie non sanno forse che un uomo assai dotto di incorrotta reputazione e di provata operosità sta conducendo in Parma una storia della sua Patria continuata da quella del Padre Affò con tante dignità, correttezza ed eleganza di stile che assai di rado è dato riscontrare negli storici municipali. Lo storico e diplomatico tedesco Alfred Von Reumont lodò la storia civile del Pezzana e la additò come modello di storia municipale perché scritta con profondità di dottrina non uguagliata che dal più scrupoloso studio della verità. Lasciò ben quarantadue opere tra edite e inedite, secondo la testimonianza di Carlo Malaspina, e ben ventiquattro volumi di lettere, scritte la più parte ai maggiori letterati suoi contemporanei. Uomo sì benemerito degli studi e degli studiosi e senza rivali, scrisse l’Ugoni, dacché più non sono Morelli e Van Praet (lettera di C. Ugoni a Pezzana, Verola Nuova, 22 maggio 1844). Ella ha tanto maggior sapere, tanta maggiore perseveranza nel lavoro, tanta benemerenza verso gli studiosi ch’io non so a chi non abbia giovato in particolare, oltre l’utilità recata a tutti colle sue pubblicazioni e tante altre doti, che lasciano a me il solo merito di venerarle (lettera di C.Ugoni al Pezzana, Brescia, 19 luglio 1844). Lo stesso Malaspina, che fu al suo fianco per vent’anni, lo ricorda modello di costante attività. Eppure, mentre il suo nome fu per cinquant’anni sulla bocca di tutti i dotti, morì sconosciuto alla più parte dei suoi concittadini. In una pubblica relazione del 1859 il Pezzana fa sapere che i 44800 volumi del 1804, quand’egli entrò in biblioteca in qualità di segretario, erano saliti a 120000. Un incremento di 75200 volumi nello spazio di cinquantacinque anni: una cifra assai rilevante per quei tempi. Assicurò inoltre alla biblioteca parmense le opere musicali che facevano parte della Libreria privata di Maria Luigia d’Austria. Si dovette al suo infaticabile interessamento se detto archivio, passato in eredità all’Arciduca Leopoldo d’Austria alla morte della Sovrana, rimase a Parma e costituì il primo nucleo della Sezione Musicale del Conservatorio. Né va dimenticato che il Pezzana fu tra i fondatori della Società storica parmense, sorta nel 1854, segnalata dalla critica italiana e straniera per la sua fervida e coraggiosa operosità e che diede vita ai monumenta historica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, una fonte di notevole importanza per la storia politica e civile. quando, in virtù del decreto Farini (10 febbraio 1860), la Società storica si trasformò in Deputazione di storia patria, il Pezzana ne assunse la presidenza, che tenne fino alla morte. Il Pezzana ebbe valenti collaboratori: da Amadio Ronchini, archivista e professore di epigrafia, ad Antonio Bertani, vice bibliotecario, a Giovanni Mantelli, conservatore delle stampe, all’abate Luigi Barbieri, vice segretario della Deputazione storica. Fu cavaliere del Merito civile, gli furono affidati importanti incarichi e venne ascritto a numerose accademie italiane e straniere: fu, tra l’altro, accademico corrispondente della Crusca (31 luglio 1838). Sposò nel 1809 Maddalena Pelati. Morì a novant’anni e fu sepolto al Cimitero di Parma in un arco dell’Ordine costantiniano di San Giorgio con un’iscrizione di Amadio Ronchini, che tenne pure un discorso in suo onore. Un busto marmoreo porta un’iscrizione di Enrico Adorni.
FONTI E BIBL.: A. Ronchini, Commemorazione, in Atti e Memorie della Deputazione delle provincie Modenesi e Parmensi, serie 1a, I, Modena, 1863, CXXXI-CXXXVI; C. Malaspina, Cenni biografici del commendator Angelo Pezzana bibliotecario della Parmense, 2a edizione, Parma, 1862 (con elenco delle Opere edite e inedite; anche la 1a edizione è di Parma, 1862, e contiene l’Elenco bibliografico); S. Pellico, recensione della Lettera di Angelo Pezzana circa le cose dette dal Sig. Millin, Bologna, 1818, nel Conciliatore, riprodotta in Prose di Silvio Pellico, Firenze, Le Monnier, 1851, 483-487; Autobiografia in E. Diamilla-Müller, Biografie autografe ed inedite d’illustri italiani di questo secolo, Torino, 1853, 281 sg.; le nozze del Pezzana furono celebrate (1809) con due pubblicazioni poetiche: l’ode di V. Mistrali Al Padre, e 4 sonetti dell’avvocato L. Bottini, entrambe di edizione bodoniana (vedi De Lama, II, 188); al Pezzana è indirizzato da G. Orti, direttore del Poligrafo di Verona, un volgarizzamento di due Orazioni di Sallustio, fatto da B. Latini, comunicatogli da Fruttuoso Becchi, da un codice laurenziano (vedi Poligrafo. Giornale di scienze, lettere ed arti, tomo VI, Verona, 1837, 196-205); Ruolo degli Accademici residenti e corrispondenti, in Atti dell’accademia della Crusca, anno 1915-1917, Firenze, 1917, 144; C. Guasti, Biografie, Prato, 1895, 93 sg.; Lettere a Dionigi Strocchi, Firenze, 1868, vol. II, 254-255; G. Bustico, Lettere inedite di Angelo Pezzana a G. Brunati, in Archivio storico per le provincie Parmensi, nuova serie, X 1910, 171-191; G. Mazzoni, L’Ottocento, Milano, 1913, I, 324, II, 1354 (nota bibliografica); il Pezzana lasciò un Diario, il cui manoscritto si conserva nella raccolta Del Prato di Parma, e che A. Boselli dice notevole (vedi Aurea Parma IV 1920, 61; lo stesso possessore Del Prato se ne valse largamente nella sua opera postuma L’anno 1831 negli ex Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Parma, 1919); lettere del Pezzana si trovano nella collezione Diederichs di Amsterdam (vedi F. Novati, in Rassegna bibliografica di Letteratura Italiana IV 1896, 19; lettere di F. Mordani a lui dirette nel 1855 sono edite in Lettere famigliari inedite di F. Mordani, 1880, 126-127; G. P. Clerici, Noterelle di Storia Parmense: I. Lo storico Angelo Pezzana, Giudice di Pace, in Archivio Storico per le Province Parmensi, nuova serie, XXII bis 1922, 129-132; A. Scafi, Voltaire, Pezzana, Pecis, in Rivista delle biblioteche XI 1900, 97-103; Valery, Voyages historiques et litteraires en Italie (anni 1826-1828), Paris, 1831, II, 195 e 218; dodici lettere a Luigi Bramieri (1810-1815) sono nella biblioteca Palatina di Parma (vedi A. Boselli, in Bollettino storico Piacentino XIX 1924, 69); G. Micheli, Pel tempietto Petrarchesco di Selvapiana. Una lettera di Angelo Pezzana ad Enrico Adorni, in Aurea Parma 6 1927, C. Guasti, Necrologia di Angelo Pezzana, in Archivio storico italiano, n.s., XV 1862 A. Boselli, Angelo Pezzana e A. Panizzi, in Archivio storico parmense 1933; C. Frati, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecarii e bibliografi italiani, Firenze, 1933, 455-457; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova-Parma, 1877-1884, 309-311 e 524 e Appendice, I, 181; G. Natali, Pezzana, Angelo, in Enciclopedia Italiana, Roma, 1935, vol. XXVII, 81; Parenti, Bibliotecari, III, 1960, 75; Allegri, Presidenti Deputazione di Storia Patria, 1960, 35-36; G. Vecchi, Tributo di vera stima al chiar.mo bibliotecario Angelo Pezzana, Reggio, Torregiani, 1841; P. Martini, Angelo Pezzana, memoria intitolata all’Accademia Parmense di Belle Arti dal segretario di essa, Parma, Ferrari 1862; A. Ciavarella, Due date celebrative, Archivio storico per le Province Parmensi IV serie, vol. XIV 1962; Centenario della Deputazione di storia patria per le Province Parmensi, Parma, 1962; Per il centenario della morte di Angelo Pezzana, Parma, 15-16 dicembre 1962, La Nazionale editrice, 1962; A. Ciavarella, Notizie e documenti per una storia della Biblioteca Palatina di Parma, Parma, 1962; Dizionario enciclopedico Letteratura Italiana, 4, 1967, 350-351; Angelo Ciavarella, in Archivio storico per le Province Parmensi, 1972, 235-239; T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 28 dicembre 1987; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 204.

PEZZANA GIUSEPPE
Parma 28 ottobre 1735-Parma giugno 1802
Nacque da Biagio, di famiglia economicamente modesta. Sin dalla giovinezza vestì l’abito clericale, che portò anche dopo il matrimonio. Coltivò le lettere e la poesia, diventando sotto la guida del Frugoni (che poi ne ironizzò i componimenti) un facile e sopportabile, benché allora lodato da molti forse più del debito, verseggiatore. La conoscenza della lingua francese, in una Parma dove risiedevano cinquemila francesi e con un governo che imponeva al Ducato la cultura transalpina, permise al Pezzana di entrare a servizio del Governo, dal quale ebbe l’incarico di diverse traduzioni: L’Orfano de la Cina del Voltaire, Nuove osservazione sopra l’albero chiamato Acazia, Memoria sopra i Pomi di terra e sopra il pane fatto di essi di Mustel. Lavorò anche con il Paciaudi nella costituenda Biblioteca Ducale. Nel 1764, apprezzandone l’operosità e la preparazione, il Du Tillot affidò al Pezzana, affiancandolo al tipografo Filippo carmignani, la redazione della Gazzetta di Parma, fedele divulgatrice delle nuove idee e della politica riformatrice. Il lavoro dovette risultare sfibrante, se il Pezzana confidò al ministro: Mi obbliga tutto l’anno, non è seguita come le altre d’Italia, non ha lasciato di turbare la mia tranquillità, eccitando manifestamente contro di me l’avversione de’ Gesuiti e di alcuni de’ loro divoti. Il giornale, tuttavia, col Pezzana migliorò la stampa, si abbellì di un’elegante testata e aumentò la tiratura. Il Pezzana fu membro dell’Arcadia di Roma, col nome di Usario Lisiade, degli Inestricati di Bologna e degli Ereini di Palermo, col nome di Pisindro Surmonteo. Uomo di fiducia del Du Tillot, quando questi perse il potere (1771), la testa del Pezzana fu tra le prime a cadere. Mentre altri, con maggior scaltrezza, mutarono bandiera per mantenere il posto, il Pezzana (redattore della Gazzetta e dal 1770 segretario dell’Accademica deputazione del concorso letterario parmense) restò talmente frastornato dalle calunnie feroci sparse sul conto dell’intera opera del grande ministro che n’ebbe la mente travolta con lunga e penosa malattia. Recuperate alquanto le forze corporee e la lucidezza della mente, nel 1772 si allontanò all’insaputa della stessa famiglia, e per qualche mese, nonostante le ricerche fatte eseguire dalla moglie, non se ne seppe nulla. finalmente il Brunk, corrispondente svizzero del Paciaudi, comunicò al teatino che il Pezzana era passato da lui a Basilea ed era diretto a Parigi. Il Governo ducale lo dichiarò allora disertore e gli tolse lo stipendio, lasciando così nella miseria la moglie e il figlio di pochi mesi. A Parigi, grazie a numerosi amici, tra cui il Du Tillot, poté entrare con facilità nel mondo editoriale e letterario della capitale culturale dell’Europa. Per alcuni librai parigini curò le edizioni della Gerusalemme liberata (1776), delle Opere varie (1776) e dell’orlando furioso (1777). Stimato precettore di lingua italiana, la insegnò alla regina Maria antonietta e a numerosi membri della Corte. Queste due attività gli procurarono abbastanza denaro da indurlo a pubblicare a proprie spese le Opere del Metastasio in 12 volumi, ma l’edizione lo indebitò fino al collo. Le difficoltà gli fecero perdere di nuovo la ragione e tentare il suicidio. Amico del Goldoni, caro al Voltaire e a molti altri letterati (Hertzberg, Rohan, metastasio, Cerretti, Roberti, Bettinelli, Landi), si trasferì in seguito a Londra (a Parigi il Pezzana aveva studiato la lingua inglese), e poi nuovamente a Parma (1783). Tradusse e pubblicò in Parma nel 1786 la Dissertazione sopra la vera ricchezza degli Stati del von hertzberg (dello stesso autore, nel 1788, approntò per la stampa la versione di altre sette dissertazioni) e nel 1787 si fece editore dei componimenti pubblicati per le nozze del conte Stefano Sanvitale. Nel 1790, assai malato, fu ricoverato in ospedale. Vi rimase per dodici anni, in completa assenza di mente. Il figlio Angelo, che poco lo aveva conosciuto, ne lasciò un affettuoso ricordo nelle Giunte alle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani dell’Affò.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 359-365; U. Benassi, Curiosità storiche parmigiane, Parma, 1914; G. molossi, La Gazzetta di Parma dal Settecento ad oggi. Brevi note illustrative, Parma, 1925; L. Ferrari, onomasticon, Milano, 1947; Storia del giornalismo, VIII, 1980, 611; Gazzetta di Parma 5 novembre 1984, 3.

PEZZANELLI CARLO
Sissa (PR) 28 maggio 1842-Brasile ante 1931
Studiò privatamente musica con Giovanni Rossi. Giovanissimo si dedicò alla carriera di maestro dei cori e di direttore d’orchestra che svolse tutta nei teatri secondari dell’America del Nord e del Sud, in Australia e nelle Filippine. Compose una Sinfonia per orchestra che venne eseguita a Milano, una romanza, Christus, dedicata allo scultore Jerace, e l’opera teatrale Schiava, in un atto (inedita).
FONTI E BIBL.: C.Alcari, Parma nella musica, 1931, 152.

PEZZANELLI GIOVANNI BATTISTA
Sissa 4 novembre 1875-Sissa 16 dicembre 1952
Studiò contrabbasso al Conservatorio di musica di Parma senza conseguire il diploma. Lavorò comunque nei maggiori teatri italiani. Carattere introverso, metodico e sensibile, lasciò presto l’attività orchestrale e si ritirò al paese natale, dove per tutta la vita fece l’organista della parrocchiale di Santa Maria Assunta e dedicò il suo tempo a insegnare gratuitamente musica ai giovani, che affluivano da tutto il circondario. Quando morì, lasciò parte dei suoi beni al ricovero dei vecchi. Il Comune nel 1985 lo commemorò con un concerto dell’Orchestra Emilia Romagna.
FONTI E BIBL.: G.B.P., in Gazzetta di Parma 20 dicembre 1984.

PEZZANELLI LUIGI
Sissa XVIII secolo
Incisore di caratteri da stampa, aiutò giambattista Bodoni come punzonista dopo la rottura con gli Amoretti.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della stampa, 1969, 251; Giambattista Bodoni, 1990, 310.

PEZZANI ALBERTO
Roccabianca 1897-Col dell’Orso 4 luglio 1918
Figlio di Vincenzo e di Ebe Fogliati. Fu arruolato il 20 settembre 1916 nel 28° Reggimento Fanteria. Dopo pochi mesi di istruzione militare, passò al 37° fanteria in linea di combattimento. Dopo aver partecipato a numerose azioni belliche in vari settori del fronte (per le sue benemerenze militari fu promosso caporale maggiore), morì per schiacciamento in seguito al crollo di una galleria colpita in pieno da una granata nemica. Fu seppellito a Cason delle Mura.
FONTI E BIBL.: Combattenti di Roccabianca, 1923, 44.

PEZZANI ANDREA
Parma seconda metà del XVIII secolo
Pittore attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti, VIII, 240.

PEZZANI DANTE
Berceto 1892-Monti Solaroli 27 ottobre 1918
Figlio di Modesto. Caporale maggiore del 4° Alpini, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Appartenente ad una Compagnia di riserva, attraversava spontaneamente una zona battuta dal violento tiro nemico di sbarramento per portare munizioni sulla prima linea. Quivi giunto si univa ai compagni nel respingere un forte attacco avversario e combatteva con esemplare vigore, dando prova di mirabile coraggio e di alto sentimento del dovere, finché colpito in fronte cadde, incitando ancora i compagni a resistere.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1921, Dispensa 4a, 141; Decorati al valore, 1964, 24.

PEZZANI ENRICO
Parma 17 settembre 1819-Parma 19 ottobre 1879
Figlio di Carlo e di Angela Martani, fu libraio e fotografo. Il 24 agosto 1847 scrisse al podestà di Parma a volergli permettere di far imprimere nell’arco della sua bottega posta in strada Santa Lucia 43 la seguente ditta: Enrico pezzani Rigatore di carta e legatore di Libri. Nel 1851 risulta coloritore di carta tanto fiorata che stampata, per poi trasformare la propria attività in quella di commerciante di libri e stampe con negozio in strada Santa Lucia. Le prime notizie dell’attività del Pezzani in campo fotografico risalgono al 1862 allorché apparve un annuncio a stampa con il quale avvisò che nel proprio negozio trovansi vendibili un assortimento di vedute stereoscopiche, stereoscopi americani contenenti venticinque vedute, stereoscopi a cannocchiale e tascabili. Fotografie in biglietti da visita di soggetti artistici e principalmente del Correggio, e ritratti di personaggi illustri. In quel periodo il Pezzani risulta libraio, iscritto alla società di Mutuo Soccorso. Nello stesso 1863 un avviso biblografico apparso ne Il Patriota, porta l’annuncio che presso il libraio Enrico Pezzani, strada Santa Lucia, trovasi vendibile un opuscolo di sedici sonetti del prof. Astimagno in onore del padre Basilio da Neirone, predicatore nella Basilica cattedrale di Parma. Col ritratto in fotografia del Laboratorio Pezzani in Parma, Borgo degli studi 4 rimpetto alla ex chiesa di S. Elisabetta. Le Commissioni si ricevono nel laboratorio suddetto o nel negozio libraio Pezzani strada S. Lucia 57. Si colorano anche ritratti fatti da altri fotografi. È certo tuttavia che tra le foto marchiate sul retro Fotografia di Enrico Pezzani vi sono anche immagini da lui commissionate ad altri o da lui acquistate. Come per le venti fotografie de’ freschi di Correggio eseguiti nella camera di San Paolo, riproposte in quegli anni anche da Filippo Beghi e Carlo Saccani, che il Pezzani pubblicizzò in un catalogo redatto in quattro lingue. Figura poliedrica, il Pezzani vendette nel suo negozio nel 1865 Il Capriccio, foglio che esce quando gli pare e piace e che ne dice di tutte le qualità. Per ora si vende in Parma nel negozio di Enrico Pezzani in strada Santa Lucia 57, in seguito dal Tabaccajo che gli stà rimpetto. L’Ufficio del Giornale è nelle saccoccie del Direttore: però si potrà parlare al medesimo quando capiterà nel Negozio Pezzani suddetto. Le associazioni si ricevono per un sol Numero mediante il pagamento ad col ch’a s’va d’accordi. Nelle matricole conservate alla Camera di Commercio di Parma, il Pezzani risulta iscritto, per il triennio 1868-1870, come libraio e fotografo con studio in strada Santa Lucia 57. Nelle matricole del 1871 risulta, allo stesso indirizzo, solamente come libraio. Nel Registro della Popolazione 1865-1871 risulta una annotazione successiva all’impianto dello stesso dalla quale il Pezzani risulta cieco. Menomazione che potrebbe spiegare la definitiva e quasi improvvisa chiusura di uno studio con un reddito d’impresa valutato in ben 1500 lire annue.
FONTI E BIBL.: Malacoda 24 1989, 39-40; R. Rosati, Fotografi, 1990, 143.

PEZZANI GIACOMO
Parma 1572
Sacerdote, fu cantore nella chiesa della steccata in Parma l’11 gennaio 1572.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel secolo XVI, 33; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 21.

PEZZANI GIOVANNI
Fontanelle di Roccabianca 3 novembre 1903-Milano 21 febbraio 1981
Si diplomò geometra a Parma. Prestò servizio militare in artiglieria, entrando subito dopo in aviazione. Il temperamento vivace e una intelligenza fervida gli spianarono la strada verso una carriera prestigiosa, fino ai vertici più alti. Cominciò a specializzarsi nel settore degli idrovolanti acquisendo ben presto una preparazione e una esperienza tali che l’imposero all’attenzione dei superiori e dei tecnici. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale (1940) il Pezzani era già tra gli ufficiali più stimati dell’aviazione militare: infatti gli fu subito affidato il comando della ricognizione marittima, impegnato quotidianamente nel delicato e rischioso compito di preparare il terreno per i successivi attacchi degli aerei da caccia o da bombardamento. In oltre tre anni, con base in Africa Settentrionale, innumerevoli furono le missioni portate a compimento e le prove di coraggio fornite dal Pezzani. In una occasione, per soccorrere l’equipaggio di un velivolo abbattuto, ammarò e dovette rimanere in acqua per oltre sessanta ore, prima di poter essere soccorso. Anche gli aerosiluranti lo videro ufficiale ardito e preparato. Furono tributati al Pezzani molti riconoscimenti al valor militare, tra i quali due medaglie d’argento. concluso il conflitto, rimase nell’aeronautica ricoprendo incarichi anche presso il ministero in qualità di capo ufficio del segretariato generale dell’Aeronautica. Promosso generale di divisione, gli fu successivamente affidato il comando della Zona aerea di Milano, dalla quale dipendeva in pratica tutta l’Italia Settentrionale. In questo importante e delicato incarico, il Pezzani ebbe modo di confermare non solo le sue elevate qualità di comando, ma anche di rivelare grandi doti di organizzatore nell’interesse della collettività. Infatti si batté con tutta l’autorità del suo grado perché l’aeroporto di Linate, utilizzato esclusivamente per scopi militari, fosse trasformato in struttura civile. Sempre al Pezzani si deve la creazione del Centro sportivo dell’aeronautica a Linate. Quando si trattò, attorno agli anni sessanta, di nominare il capo di stato maggiore, nella terna dei selezionati fu incluso pure il suo nome, anche se poi non venne prescelto perché non aveva frequentato nessuna accademia. Prima di andare in pensione fu nominato generale di squadra aerea. Lasciata la divisa, il Pezzani fu nominato commissario per l’aeroporto di Genova. fu sepolto a levanto.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 febbraio 1981, 4.

PEZZANI GIOVANNI BATTISTA
Parma 1501 c.-Roma 3 febbraio 1571
Fu uno dei primi gesuiti parmigiani.
FONTI E BIBL.: M.Scaduto, Catalogo dei gesuiti, 1968, 116.

PEZZANI LUIGI
Colorno 21 giugno 1792-
Sarto, sposò nel 1818 Teresa Rondani, dalla quale ebbe quattro figlie. Fu in servizio alla corte di Maria Luigia d’Austria dal 1817 come garzone della cantina.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 313.

PEZZANI MARTINO
Parma-Lisbona 1543
Fu uno dei primi gesuiti parmigiani. Fu un seguace della teologia scolastica.
FONTI E BIBL.: M.Scaduto, Catalogo dei gesuiti, 1968, 116.

PEZZANI PIETRO
Parma 1866
Sergente, fu decorato con medaglia d’argento al valore militare dopo la battaglia di Bezzecca (21 luglio 1866).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 25 agosto 1980, 3.

PEZZANI RENZO
Parma 4 giugno 1898-Castiglione Torinese 14 luglio 1951
Figlio di Secondo, artigiano del ferro, e di Clementina Dodi. L’ambiente in cui visse la fanciullezza, di schietto sapore popolare, intessuto di dure fatiche, di slanci passionali e di solidarietà, rivive nelle pagine della sua poesia dialettale. Se la sua cultura si formò sulle pagine più dense della poesia pascoliana, senza ignorare Novaro e Moretti, per non dire Papini e Manzoni, la sua ispirazione più genuina guardò, più che alla cultura strettamente letteraria, ai mutevoli orizzonti di una realtà osservata nel cuore della sua terra. Nel 1915 si arruolò volontario come ardito lancia-fiamme allo scoppio della prima guerra mondiale. All’entusiasmo patriottico dei primi mesi, subentrò ben presto una valutazione critica delle cose, con dubbi, scontentezze e ripensamenti. Infine un’amara reazione lo portò a una intensa e tormentosa crisi spirituale, acuita, nel 1918, dallo sconforto seguito alla morte del padre e della sorella minore Elsa. Ritornato definitivamente alla vita civile, riprese gli studi (Istituto tecnico e Istituto magistrale) e nel 1919 aderì al socialismo e al sindacalismo di De Ambris. Nel 1920 fece l’esordio letterario con la pubblicazione della raccolta di liriche Ombre, con derivazioni stranamente composite di stilemi futuristico-crepuscolari e qualche pennellata dannunziana. In Parma, frequentò il Caffè Marchesi di via Garibaldi, luogo di convegno e di discussioni degli appassionati di lettere e arti, e iniziò l’attività giornalistica: collaborò a La Difesa Artistica (arte, letteratura e teatro, 1921-1923), di cui divenne direttore nel 1922 e che nel febbraio del 1923 accolse in appendice Rovente (diretto da Pietro Illari, futurista). Il Pezzani affiancò a La Difesa artistica una propria casa editrice (ETO) per stampare in proprio la rivista e pubblicare volumi di poesia e prosa. Sempre nel 1922 compilò il manifesto Per una religione immanente del Bene, e iniziò l’insegnamento nella scuola elementare P. Cocconi. Del 1923 è l’abbozzo del mito Le seti di Baussa, rimasto inedito e introvabile. Nello stesso anno pubblicò il primo lavoro destinato ai ragazzi: Il sogno di un piccolo re (fiaba in versi, Parma, Fresching) e finì di stampare la raccolta di liriche Artigli (ETO) con coloriture futuriste e dannunziane. Del 1924 è la breve e presto delusa adesione al fascismo del Pezzani. Ritornò poi a collaborare attivamente a giornali e fogli di propaganda politica e di lotta sindacale, particolarmente a Gioventù sindacalista e L’Internazionale, cui diede la sua adesione fin dal 1922. In aperto dissenso col fascismo ormai imperante, subì persecuzioni politiche. Infine, amareggiato e disilluso della vita politica attiva, trovò ospitalità nel monastero di San Giovanni Evangelista di Parma. I colloqui con l’abate Caronti lo ricondussero alla pratica religiosa e a studi liturgici. Il Pezzani, più tardi, così esprime quelle esperienze vissute tra il 1920 e il 1924: Partecipò alle battaglie politiche. Se ne ritrasse con anima nuova e cattolica. Nel maggio 1924 fondò La Grande Orma (1924-1925, mensile di religione, lettere e arti), che riporta, nel 2° numero, la nuova professione di fede del Pezzani. Nel 1925 compose una Leggenda di San Francesco, rimasta inedita e poi smarrita. Nello stesso anno il Pezzani subì il forzato allontanamento dalla scuola e la forzata sospensione de La Grande Orma, e collaborò a Battaglie magistrali (periodico di interessi magistrali della provincia di Parma). Nel 1926 si trasferì a Torino, dove lavorò alla Società Editrice Internazionale. Pubblicò la raccolta di liriche La rondine sotto l’arco (S.E.I.) e iniziò una multiforme attività giornalistica. Sempre nel 1926 pubblicò La stella verde, romanzo fiabesco, presso la S.E.I. Nel 1927 compose i primi versi dialettali, Al stizz (Scuola tipografica San Benigno Canavese – S.E.I., rimasti in bozze), destinati alle scuole di Parma, notevoli come inizio di un interessante settore della produzione poetica del Pezzani. Inoltre iniziò l’attività di traduttore (racconti e romanzi). Nella primavera 1928 fondò la casa editrice Le Muse, con il proposito di lasciare l’ufficio della S.E.I. (un distacco che avvenne effettivamente soltanto nel 1941) e dedicarsi interamente ad attività editoriali in proprio. La prima sede fu a Torino (via Cirié 14), poi a Parma (strada Cairoli 17). L’attività de Le Muse durò poco più di un anno e mezzo: se ne ricorda il titolo d’una collana (Trovatori del tempo nuovo) e pochissimi volumi, nonostante un’ampia programmazione. Nel 1930 collaborò alla rivista Boccadoro, di cui in seguito divenne direttore. Pubblicò la raccolta di liriche L’usignolo nel claustro (Alpes, Milano), i Racconti del coprifuoco (Artigianelli, Pavia) e il romanzo per ragazzi Corcontento (S.E.I.). Nel 1933 pubblicò Angeli verdi (S.E.I.), canzoniere degli alberi, e Sole Solicello (La Scuola), raccolta di liriche. Del 1935 è Credere (S.E.I.), racconti cui fu assegnato il premio Pallanza. Compose inoltre opere in versi e in prosa a ritmo incalzante: La casa del padre (Ancora, Milano), racconto, L’apostolo dell’illusione (Artigianelli, Pavia), romanzo, Il viatico nella tempesta (Tip. Editrice Commerciale, Vicenza), racconto, e Belverde (S.E.I.), canzonette. Nel 1936 uscì Cantabile (Gambino, Torino), liriche nelle quali lo scavo più profondo dell’esperienza umana si realizza in una espressione ormai personale e robusta. Nel 1937 pubblicò Ruggine (S.E.I.), fiabe che segnarono l’affermazione del Pezzani quale prosatore per ragazzi. Due anni dopo pubblicò Il fuoco dei poveri (La Scuola), liriche. Sempre nel 1939, presso La Giovane Montagna di Parma, uscì il canzoniere dialettale Bornisi, matura rivelazione del Pezzani poeta dialettale e nuova stagione di un dolce stil nuovo per la poesia parmigiana in vernacolo. Nel 1940 fu richiamato alle armi. Dopo qualche mese di servizio, trascorso senza alcun entusiasmo né giustificazione ideale, venne congedato e ritornò a Torino. Il distacco definitivo dalla S.E.I. avvenne nel 1941. Iniziò allora l’attività editoriale autonoma con le edizioni de Il Verdone (1942-1945). Nel 1943 pubblicò La prigione illuminata (Il Verdone), con prefazione polemicamente antiermetica e con rifacimento di alcuni testi de La rondine sotto l’arco (1926). Sempre all’insegna de Il Verdone uscì il dittico Gesù Giuseppe Maria e Il fanciullo di Galilea, nonché la fiaba Il re artigiano. Presso la S.E.I. pubblicò una raccolta di bozzetti, La stirpe prediletta, e infine fece uscire un nuovo canzoniere parmigiano, Tarabacli (Il Verdone). L’anno seguente pubblicò la grande fiaba Re Ombra (Il Verdone). Al 1945 data l’attività partigiana e antifascista, a Torino e dintorni, del Pezzani. Nello stesso anno vi fu il fallimento della casa editrice Il Verdone. Il Pezzani aderì al Partito Comunista Italiano e collaborò con il quotidiano ufficiale del partito, L’Unità. Nel 1946 volle pubblicare in edizione propria il suo Foco Vivo (corso di letture per la classi elementari: cinque volumi illustrati, già usciti in 1° edizione nel 1943 presso la S.E.I.), progettò una nuova rivista per Parma (Novissima Parma), che giunse a essere quasi pronta ma che si arrestò alle bozze del primo numero, e fondò una nuova casa editrice, le Edizioni Palatine (1946-1950). Del 1948 sono Angelo di fuoco (Edizioni Palatine) e Boschetto (poi ripreso nella definitiva raccolta Innocenza, del 1950), ma una bufera economica si abbatté sulle Edizioni Palatine, mentre in Pezzani si aggravavano i disturbi diabetici. L’anno seguente pubblicò La Bagaronna, novella dialettale in versi (Edizioni Palatine) e I mesi dell’anno, La cusen’na pramzana, Il specialitè ‘d Parma (poesie dialettali, in Giallo e blu, Tip. Donati). Del 1950 sono Innocenza (S.E.I.), raccolta di liriche, e Oc Luster (a cura della biblioteca del Consolato Parmense), terzo canzoniere dialettale parmigiano. I due volumi, nei rispettivi campi, segnano la vetta della poesia del Pezzani. contemporaneamente uscirono, presso Paravia, le liriche Odor di cose buone e, presso la S.E.I., il romanzo l’orchidea nera. Il Pezzani patì però in quel periodo nuovi gravi disastri finanziari nel campo dell’attività editoriale. Nel 1951 pubblicò la raccolta di liriche Poesie a due voci, in collaborazione con Giuseppe Colli (Ceam, Avezzano), e scrisse la commedia Al marches Popò. Le sue ultimissime cose furono l’Inno a Parma, musicato da Ildebrando Pizzetti, e un centinaio di versetti dettati per i coristi di Parma. sommerso dai debiti, il Pezzani venne sepolto sotto le azioni giudiziarie che il fisco e i creditori fecero precipitare sui suoi beni immobili. Morì stroncato da coma diabetico, quando ormai si apprestava a traslocare dalla sua villa nella casa del parroco di Castiglione. Pochi mesi dopo la morte del Pezzani, vide la luce Frate Luca e le noci (S.E.I., Torino), deliziosa favoletta in versi. Nel 1963, a cura di Ubaldo e Giovanna Ciabatti (edizione fuori commercio) vennero pubblicate sette poesie lasciate dal Pezzani tra i suoi scritti inediti. Il 28 novembre 1953 i resti mortali del Pezzani vennero traslati dal piccolo cimitero di Castiglione Torinese alla Villetta di Parma, con grande partecipazione di tutta la cittadinanza. La poesia del Pezzani nasce da una singolare biografia di irregolare e di inadattabile, e si svolge su un registro tra il grottesco e il macabro, nella descrizione di una Parma piccolo borghese, cupa, gretta e chiusa. Pateticamente dolorosa, lungo un discorso che unisce alla nostalgia dell’infanzia il senso della vita fallita, questa poesia è sempre tragica, desolata, disperata, anche negli abbandoni più accorati, segnando esiti di indimenticabile forza e commozione.
FONTI E BIBL.: Renzo Pezzani nella vita nell’arte nel ricordo (a cura del Cenacolo degli amici di Renzo Pezzani), Parma, 1952; I. Scaramucci, Renzo Pezzani, Le Monnier, s.d. (probabilmente 1955); J. Bocchialini, Frammenti e ricordi parmensi, Battei, Parma, 1960; J. Bocchialini, Frammenti di storia, di arte e di vita parmense, La Nazionale, Parma, 1962; J. Bocchialini, Memorie e figure parmensi, La Nazionale, Parma, 1964; P. ferretti, La vita e l’opera di Renzo Pezzani (tesi di laurea, università Cattolica del Sacro Cuore, Milano); b. Guareschi, La poesia giovanile di Renzo Pezzani (tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1970-1971); M. Delsante, Renzo Pezzani (tesi di laurea, Università di Bologna, 1959-1960; una copia è depositata nella biblioteca del Seminario Minore di Parma); G. Marchi, Renzo Pezzani editore, Battei, Parma, 1985; in Aurea Parma sono numerose pagine critiche, dalla prima produzione poetica del Pezzani fino a quella più recente; in Gazzetta di Parma sono note puntuali a ogni pubblicazione del Pezzani e sintesi di lettura del 1951 in poi; G. Marchetti, La petite capitale, Parma, 1979, 171-179; Renzo Pezzani, in Gazzetta di Parma 15 ottobre 1971; G. Capelli, Umanità e arte di Renzo Pezzani, in Parma economica 8 1972, 23-30; M. Gaj, La voce di Renzo Pezzani nella poesia del suo tempo, in Aurea Parma 1972, 110-126; F. Squarcia, Pezzani, in Aurea Parma 1951, 151-161; M. Gaj, Poesie d’oggi: Ungaretti, Montale, Pezzani, Bergamo, 1950; A. De Caro, Un poeta fedele al suo stile: Renzo Pezzani, in La Fiera Letteraria 9 dicembre 1951; P. Bargellini, Canto alle rondini, Vallecchi, 1953; A. Galletti, Il Novecento, in Storia letteraria d’Italia, Vallardi, Milano, 1967 (3a ediz., 4a ristampa), 527 e 564; G. Fanciulli, Pezzani Poeta, ne L’indice d’oro, n. 9 settembre 1951; C. betocchi, Poesia di Pezzani, ne Il Frontespizio, firenze, novembre 1951; G. Ravegnani, Renzo Pezzani, ne La Fiera Letteraria 15 gennaio 1927; R. Fantini, Un’ora con le Muse: La rondine sotto l’arco di Renzo Pezzani, in Vita Nuova 29 gennaio 1927; R. Fantini, Libri di poesia e di musica, in Vita Nuova 22 agosto 1931; F. Casnati, Renzo Pezzani, ne Il Popolo di Milano 28 settembre 1951; C. Villani, Un poeta del XX secolo: Renzo Pezzani, in Convivium n.2 1935; O. castellino, Un poeta parmigiano a Torino, in Torino n. 3 1951; P. Bargellini, I Crepuscolari, ne L’indice d’oro n. 5, 1955; G. Zoppi, Un Poeta: Renzo Pezzani, in Giornale del popolo, Bergamo, 29 settembre 1933; L. Tonelli, La musa e i tempi, ne Il Resto del Carlino 27 febbraio 1927; F. Palazzi, Pezzani, in L’Italia che scrive marzo 1927; G. Colli, Ricordo Renzo Pezzani, in Torino n. 10, 1951; G. Colli, Pezzani poeta fedele, ne La Gazzetta del Popolo 15 luglio 1951; A. Biancotti, Ricordo di Renzo Pezzani, ne Il Giornale Letterario 25 luglio 1951; I. Audino Launa, Poesie e mondo poetico di Renzo Pezzani, ne Il solitario n. 21 1951; G. Fanciulli e E. Monaci, La letteratura per l’infanzia, Torino, 1937, 272 e 273; A. Codignola, Pedagogisti, 1939, 337; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 118-119; P.P. Pasolini, Introduzione a Poesia dialettale del Novecento, Parma, 1952; Dizionario UTET, IX, 1959, 1086; G. Colli, in sodalizio luglio-agosto 1951; R. Fantini, in Avvenire d’Italia 27 luglio 1951 e 15 luglio 952; I. Petrolini, in Aurea Parma XXVI 1952; G. Sardo, in Popolo 1 agosto 1952; Dizionario Enciclopedico letteratura italiana, 4, 1967, 351; Parma economica 8 1972, 23-30; I. Domino, in Due donne e dieci uomini, Firenze, All’insegna del libro, 1938; A. Gr., in La Stampa 28 febbraio 1951; Dizionario letteratura italiana contemporanea, 1973, 591-592; M. Dall’Acqua, Terza pagina della Gazzetta, 1978, 307; M. Caroselli, La storia di Parma, 1980, 99; V. Sani, in Gazzetta di Parma 14 luglio 1981, 3; T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1984; R. Pezzani, Opera omnia, 1988, 491-501; Grandi di Parma, 1991, 90; dizionario letteratura Novecento, 1992, 421; Al Pont ad Mez 1998 (numero monografico di 144 pagine dedicato interamente al Pezzani).

PEZZONE CAMILLI, vedi PLAUZIO CAMILLO EZONE

PFALZ NEUBURG DOROTHEA SOPHIA, vedi NEUBURG DOROTEA SOPHIE

Teca Digitale Biblioteche del Comune di Parma - V.lo Santa Maria 5, 43125 Parma (PR)

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