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Dizionario biografico: Frondoni-Fustini

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FRONDONI - FUSTINI

FRONDONI ALBERTO, vedi FRONDONI UBERTO

FRONDONI ANGELO
Pieve Ottoville 26 febbraio 1809-Lisbona 4 giugno 1891
Nacque da Paolo e da Maddalena Marchi e studiò presso la scuola del Carmine di Parma, dove si diplomò in pianoforte e composizione. Il 29 giugno 1833 andò in scena al teatro alla Scala di Milano la prima opera del Frondoni, Il carrozzino da vendere, melodramma comico in un atto su libretto di C. Bassi, interpretato da G. Frezzolini (il primo Dulcamara nell’Elisir d’amore di G. Donizetti). L’opera ebbe scarso successo. Migliore destino ebbe invece il suo secondo lavoro teatrale, Un terno al lotto, farsa per musica su testo di C. Cambiaggio, rappresentata al Teatro Carcano di Milano il 24 agosto 1835 e, poco dopo, al Teatro Carlo Felice di Genova l’11 novembre (Frassoni, I, p. 124). L’opera contribuì a far conoscere il Frondoni, il quale nel 1838, mentre era organista a Soragna, fu invitato dal portoghese conte di Farrobo, J.P. Quintella, a dirigere il Teatro San Carlos di Lisbona. Il Frondoni si trasferì nella capitale portoghese, ove rimase fino alla morte. La mole delle opere da lui allora composte è veramente ragguardevole. Appena giunto alla direzione artistica del teatro (che mantenne sino al 1843) compose e diresse le musiche per due balletti: Dgengiz-Kan ou A conquista da China (in cinque atti, coreografia di J. Villa) e A ilha encantada, balletto comico in due atti, coreografia di J. Scannarino (21 gennaio 1839). Scrisse inoltre musiche per l’azione mimica, come A volta de Pedro Grande a Moskou, coreografia del famoso S. Viganò (20 marzo 1839) e diresse il 22 marzo 1841 la ripresa di Un terno al lotto. Ma i lavori che lo consacrarono al successo in terra portoghese furono Os profugos de Parga, dramma lirico in tre atti su libretto di C. Perini (Teatro San Carlos, 29 aprile 1844) e, soprattutto, la farsa lirica in un atto O beijo, su libretto di J.M. da Silva Leal, rappresentata con grande successo il 26 novembre 1844 al Teatro Rua dos Condes di Lisbona, di cui il Frondoni divenne direttore artistico a partire da quello stesso anno. Nel 1850, doo avervi fatto rappresentare la fortunata farsa sui costumi popolari di Coimbra Qual dos dois?, il Frondoni passò alla direzione del Teatro Gymnasio. Numerosi furono i lavori creati dal Frondoni per questo teatro: tra quelli che conobbero megliore fortuna si ricordano O andador das almas (operetta in tre atti, parodia da Lucia di Lammermoor di Donizetti, libretto di F. Falba, 11 settembre 1850), O cappellão do regimento (commedia lirica in un atto, libretto di R.J. de Sousa Netto, 29 ottobre 1850), O cerco de Syracusa (tragedia lirica in quattro atti, libretto di F. Emery, 1852), A somnanbula sem o ser (commedia lirica in un atto, libretto di J.A. de Oliveira e P. Martin, 23 aprile 1853), Gabriel e Lusbel ou O thaumaturgo (misterio in tre atti tratto dall’omonimo lavoro di J.M. Braz Martins, che curò anche il libretto dell’opera, 3 aprile 1854) e O defensor da Egreja (dramma sacro in tre atti, libretto di A. Cesar de Lacerda, aprile 1858). Vanno ricordate inoltre le musiche di scena per drammi e commedie, tra cui Il re ed Ernesta (1856) e La famiglia del colono (1863). Dal 1868 al 1873 il Frondoni diresse il Teatro Trinidade, anche in questa occasione inaugurando la nuova direzione con un’opera sua: la farsa in un atto Barbablu (libretto di anonimo, 18 luglio 1863). Fecero seguito le due magicas, ovvero opere a soggetto fantastico, in tre atti As tres rocas de crystal (libretto di A. Abranches, 17 luglio 1872) e Agata barralbeira, il balletto per il dramma Le pupille del signor rettore e il melodramma O rouxiñol das salas. Convinto repubblicano, il Frondoni compose nel 1846, l’inno Maria da Fonte, divenuto l’inno degli avversari della casa regnante portoghese, scrisse un poema in celebrazione del presidente americano A. Lincoln (1867) e fece pubblicare una serie di polemici pamphlet, uno tra i quali contro il Lohengrin di R. Wagner (1883). Da segnalare ancora, tra le sue composizioni, O caçador (farsa lirica in un atto, libretto di M. Leal Junior, Teatro San Carlos, 25 marzo 1845), O bon homen de outro tempo (commedia lirica in un atto, libretto di J.C. dos Santos, Teatro San Carlos, 6 gennaio 1846), l’operetta francese Mademoiselle de Mérange (libretto di anonimo, Teatro Larangerais, 11 giugno 1847), Il figlio di madame Angot (Teatro Prence Real, 1875), il dramma religioso Il Vangelo in azione (Teatro Gymnasio, 1870) e le due raccolte di musiche per canto e pianoforte Antologia musicale e Nuova Collezione (Soresina, p. 168).
FONTI E BIBL.: P. Bettoli, I nostri fasti musicali. Dizionario biografico, Parma, 1875, 82; C. Dassori, Opere e operisti. Dizionario lirico 1541-1902, Genova, 1903, 178, 554, 674, 873; E. Frassoni, Due secoli di lirica a Genova, I, Genova, 1980, 134; J. Towers, Dictionary catalogue of operas and operettas, Morgantown, 1910, 49, 88, 121, 521, 558, 620, 756; C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, I, 571; D. Soresina, Frondoni Angelo, in Enciclopedia diocesana fidentina, Fidenza, 1961, 166-168; The New Grove Dict. of music and musicians, V, 866 s., Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, III, 48; L. Giannetti, in Dizionario biografico degli Italiani, 50, 1998, 602-603.

FRONDONI MARCELLINA
Busseto 6 maggio 1828-Pieve Ottoville 22 gennaio 1895
Generosa e caritatevole, destinò prima di morire la cospicua somma di 7000 lire per la costruzione a Pieve Ottoville di un asilo per l’infanzia, che fu terminato però solo nel 1912 e venne a costare, alla fine, ben 25293 lire.
FONTI E BIBL.: Strade di Zibello, 1991, 18.

FRONDONI UBERTO 
Parma-Bosco Lamia 29 ottobre 1915
Sergente maggiore del 147° Reggimento Fanteria, fu decorato di medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Facendo fuoco egli stesso con una mitragliatrice, validamente contribuì, a tenere una posizione conquistata ed a respingere cinque contrattacchi avversari. Ricevuto l’ordine di ripiegare rimase dal posto a far fuoco col moschetto, permettendo così, che la mitragliatrice potesse essere ritirata. Cadde colpito a morte. Il Frondoni risiedette a lungo fuori Parma.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 275-276; Decorati al valore, 1964, 87.

FRONI Parma 1762/1779 Fu cantore alla Cattedrale di Parma dal 12 febbraio 1762 al 15 agosto 1779.

FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

FRONI ANTONIO
Parma 1659
Fu suonatore di trombone della Cattedrale di Parma per le Feste di Pasqua dell’anno 1659.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

FRONI CRISTOFORO
Parma 1608/1609
Intagliatore, fratello di Paolo. È ricordato da due documenti: 1608, nota di lavori per la Comunità di Parma, tra cui un tavolino di noce del mio fatto in su le collone et intagliato il friso atorno et le sue rosette in fondo a le colone; 1609, pagamento per il portone fuori porta S. Michele per la venuta della signora Duchessa.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Mastri farnesiani, 191; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 150; Il mobile a Parma, 1983, 253.

FRONI CRISTOFORO PAOLO GIUSEPPE
Parma 5 gennaio 1755-post 1789
Figlio di Giovanni, orafo, e Paola Spinazzi. Fu anch’egli buon argentiere.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 8.

FRONI GIOVANNI BATTISTA PIETRO
Parma 11 maggio 1721-post 1787
Figlio di Ottavio e Margherita Girelli. Orafo. La sua attività a Parma è documentata dal 1772. Realizzò un calice con incastonata una medaglia raffigurante Maria Amalia d’Austria. Lavorò nel 1783 con i figli per la collegiata di Busseto, ove dimostra di avere precocemente assimilato il lessico decorativo d’impronta petitoniana seguendo, per i busti dei quattro vescovi, i canoni del gusto neoclassico sia nelle linee che nelle scelte decorative. Ma se si confronta questa opera con quelle che il Froni realizzò negli anni Sessanta e Settanta da solo, come un’acetoliera su vassoio per i principi Meli Lupi, si nota che l’uso delle conchiglie, delle volute, dei naturalistici ramoscelli a fusione con olive e grappoli è attinto da un repertorio ancora influenzato dallo stile rococò mentre la disposizione simmetrica degli ornati, la forma e il decoro dei cestelli sono in linea con il gusto tardo settecentesco e qualificano il manufatto come un pezzo di transizione. Sempre al secondo periodo va ascritta la mazza rettorale da cerimonia databile al 1782. Lo stile formale e decorativo impiegato è un neoclassico puro che trae ispirazione dal repertorio dell’antichità classica, dove l’elemento vegetale viene riproposto in rosette, foglie di acanto e corone di alloro e che è caratterizzato da una simmetria rigorosa e da un disegno sottile e incisivo, come nelle volute a greca e nei festoni. Le figurine di divinità classiche che animano la mazza testimoniano l’interesse per il recupero del passato, stimolato anche dagli scavi nella zona archeologica di Veleia.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 133; F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 142; Argenti e argentieri, 1997, 7-11 e 102-107; Enciclopedia di Parma, 1998, 358.

FRONI GIUSEPPE MARIA GAETANO
Parma 20 maggio 1765-prima metà del XIX secolo
Figlio di Giovanni, orefice, e Paola Spinazzi. Fu anch’egli buon argentiere e orefice. Fu attivo ancora nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 133; Argenti e argentieri, 1997,
8.

FRONI LUIGI 
Parma seconda metà del XVIII secolo
Scultore, attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 156.

FRONI LUIGI Alseno 2 aprile 1901-Parma 15 novembre 1965 Diciassettenne si iscrisse, a Parma, all’Istituto di Belle Arti, sezione architettura, che frequentò per un anno. Si fece notare negli ambienti cittadini per l’estrosità e l’eccentricità dei suoi comportamenti anticonformistici, nei quali si ritrova una costante dell’animo del Froni: allegro, apparentemente spensierato, provocatorio, originale e irregolare fino alla stramberia, con atteggiamenti di un ribellismo romantico, un po’ rétro e teatrale, ma anche con vene di autentico anticonformismo. Lar., che firma una delle prime recensioni alle sue opere, nell’estate 1921 scrive esplicitamente: E dichiaro di disapprovare vivamente la eccentricità di Froni. Le ragioni sono ovvie e non sto qui a dirle. Mi basta di disapprovarle. Giovanissimo, appena uscito dall’adolescenza, intorno a lui si combatté la prima guerra mondiale, che lo lasciò al margine. Il Froni in quegli anni espresse, a quanto è possibile capire, un disagio profondo, una difficoltà a ritrovare la propria strada e a ritrovarsi, che probabilmente fu comune anche ad altri giovani. Il senso di disorientamento di una generazione che si sentì messa da parte, accantonata dagli eventi, si unì a una fantasia accesa, al sogno di una vita d’artista, una vita che di per sé segnò e plasmò l’uomo prima ancora di manifestarsi con le opere. Non vi è dubbio che atteggiamenti provinciali si unissero e mescolassero con velleità giovanili, anche se la genuinità del sentire del Froni li riscattarono, restituendo loro autenticità. Ci fu anche in lui una predestinazione alla marginalità, una necessità interiore di differenziarsi dalla cultura ufficiale. Le amicizie e le frequentazioni del Froni, anche successive, lo dimostrano ampiamente. Vi fu, inoltre, una orgogliosa solitudine, una isolata ricerca e una ostinata, ma sofferta e pagata a caro prezzo, esaltazione della propria libertà. Il revival futurista a Parma, nel primo dopoguerra, iniziò nel 1922, nella seconda esposizione di Salsomaggiore e in occasione della trionfale accoglienza tributata, nel novembre di quell’anno, a Filippo Tommaso Marinetti. Il 15 gennaio 1923 comparve Il Rovente, foglio dichiaratamente futurista diretto da Pietro Illari e inserito nel quindicinale La Difesa Artistica, diretto da Renzo Pezzani, che era succeduto nel 1922 in questo incarico a Manfredo Lusignani. Ben presto Illari rese autonoma la propria pubblicazione, staccandosi da quella diretta da Pezzani. Il Froni iniziò la sua attività artistica al margine di queste vicende. Fu certamente quello il periodo più vitale e innovativo, almeno rispetto ai propositi e al coinvolgimento del pubblico, dell’arte parmigiana, nel quale tendenze, stili e scuole si intrecciarono, confrontarono e scontrarono in un dibattito spesso aggressivo, irruento e animato. Esemplare fu l’occasione offerta dalla Mostra Triennale di Belle Arti, promossa dalla Società di Incoraggiamento tra gli Artisti, tenutasi nel Ridotto del Teatro Regio di Parma nel gennaio 1921, alla quale partecipò anche il Froni con l’opera Un amico. I vecchi maestri quali Paolo Baratta, Guido Carmignani, Daniele de Strobel e Agostino Marzaroli, punto di riferimento per la scultura, paternalisticamente mischiarono le loro opere agli esordienti Alberto Bazzoni, Guglielmo Cacciani e Vighi per la scultura e ai pittori Ugo Monica, Umberto Concerti, Donino Pozzi, Guido Montanari e Latino Barilli. Nel 1921, in agosto, si aprì a Salsomaggiore la IV Esposizione Nazionale d’Arte, voluta da Rizzini e Oreste Emanuelli. Emanuelli era appena tornato da Parigi e si impegnò nell’iniziativa non senza molte ingenuità e una certa generosa ma irriflessiva audacia. Del fallimento di quella iniziativa esultò, su La difesa artistica del 1° settembre, Renzo Pezzani, che ebbe parole dure, che indicano il clima acceso delle polemiche: vero covo di brutalità artistica ove il cattivo gusto e la mancanza d’ogni elementare concetto di linea e colore si danno la mano in una raccapricciante fraternità. È indubbio che nello scontro posizioni estetiche diverse si mischiarono, in queste dure stroncature dell’iniziativa di Salsomaggiore, con malcelati campanilismi, se non addirittura con rivalità di natura personale. L’unico artista che venne salvato fu comunque il Froni, sia nella recensione di Anna Franchi che in quella di Pezzani. Nel 1921, in base alle note giornalistiche rinvenute, oltre a Un amico, il Froni realizzò la Maschera di Pezzani (presentata con l’opera precedente alla mostra di Salsomaggiore e pubblicata, il 1º settembre, su La difesa artistica), una testa di Eroe, la figura di Un altro amico, giudicata da Pezzani con qualche riserva (pur mantenendosi ad alta forma d’arte ci appare meno spontaneo e sincero) e altre opere così descritte sinteticamente dallo stesso critico: Io ho visto alcune maschere così modulate, che hanno bozze frontali o mascelle così vive, così ben toccate, da sembrare vibranti. Questi dati dicono di una intensa attività iniziale, di un lavoro febbrile, mescolato a lavori manuali, seppure saltuari, che il Froni dovette fare per mantenersi. Nel 1922 partecipò al concorso per il monumento ai caduti di Salsomaggiore, al quale diedero la propria adesione anche Alberto Bazzoni con tre bozzetti, uno dei quali fu prescelto come vincitore, Agostino Marzaroli con altri tre e il Froni con uno solo. Si trattò di una ardita idea, espressa da due disegni prospettici policromi eseguiti con scioltezza, ma con grafismo esotico. In essi sono manifesti pregi di invenzione; ma il carattere che rispecchia una modernità di ispirazione straniera, si discorda grandemente da quello spirito di italianità che la Commissione reputa fattore indispensabile. Ha aspetto più di opera funeraria che di monumento commemorativo, il costo suo eccede indubbiamente la disponibilità dei mezzi; che le dimensioni e la forma non sono le più adatte per la località prescelta; che il simbolismo complesso non chiaramente può essere compreso dalla moltitudine, infine la forma sua e la sua maniera d’arte, pur notevoli e di singolare significato, contrastano alla serena ispirazione dell’estetica nostra. L’anno successivo il Froni partecipò al XXII Premio Perpetuo, organizzato da Paolo Baratta. Espose un Busto di donna, nel quale Pezzani vide qualcosa di egizio, con un effetto di ansiosa offerta, senza dipartirsi, dunque, dalla linea tradizionale. Ed è appunto la purezza della linea, la morbidezza, l’anelito che in questa testa è palese, che ce la fa considerare una bella opera di scultura. La stilizzazione non raffredda l’espressione, o meglio l’anima, del busto. Il quale è inoltre costruito con forza, senza che per questo perda alcunché della sua aristocratica armonia, e una Maschera di Mussolini, che si fece notare, oltre che per la somiglianza, per il vigore dei suoi piani larghi (Pezzani). Poi vi fu un lungo periodo di silenzio. Nel 1932 partecipò alla I mostra sindacale d’arte con il ritratto della prima moglie e l’anno successivo alla II mostra del G.U.F., dove il Froni fu elogiato: Non è un giovane che promette: è un artista che ha già mantenuto tutte le sue promesse (Corriere Emiliano 7 maggio 1933). Ma col passare del tempo le apparizioni in pubblico del Froni divennero eventi eccezionali. Scelse l’isolamento e si rifugiò in un’attività che a lungo considerò, non senza vezzi, la propria: quella del contadino. Sposatosi, si ritirò presso Fidenza, a Vaio, ove diresse, non senza alterne fortune, un’azienda agricola. Non abbandonò del tutto la scultura, ma a essa si dedicò saltuariamente. Eppure le poche opere rimaste di questo periodo dimostrano, come annotano i rari giudizi giornalistici di quegli anni, una evidente e costante maturazione. Solo negli anni Cinquanta ritornò alla scultura, con indubbio coraggio ma anche con un senso più accentuato di isolamento e di solitudine, nonostante il calore di amici quali Erberto Carboni, Renzo Pezzani, Pietro Bianchi, Baldassarre Molossi, Giovannino Guareschi e Tiziano Marcheselli. Si recò spesso a Milano, dove frequentò gli ambienti artistici. A Parma la Galleria Camattini gli consentì periodicamente di confrontarsi con un pubblico non ampio ma che gli si legò anche in rapporti di amicizia. Del 1953-1954 è L’ultimo della classe o Gramigna, il monumento funerario che venne posto sulla tomba di Lina Maghenzani, madre di Giovannino Guareschi, che era stata insegnante elementare, nel cimitero di Marore. Del 1954 è anche la Maschera di Giovannino Guareschi, che ricordò le sedute col Froni in un vivace racconto apparso su Candido il 4 settembre 1960, con il titolo La faccia di Milano. Tra gli amici di quegli anni si deve ricordare Giuseppe Venturini, un estroso pittore parmigiano attivo nel periodo, che, trasferitosi a Milano, ebbe fortuna nell’industria litografica. Testimonianza di affetto è l’articolo che il Froni scrisse su di lui sulla Gazzetta di Parma del 12 aprile 1960. Nel frattempo il Froni si sposò per la seconda volta, con Renata Fornelli, dirigente di un importante istituto assicurativo, e si trasferì al Bettolino, tra Sorbolo e Chiozzola, dove costruì una casa che denominò la maison du pendu. In quegli anni, avendo ripreso con maggiore assiduità la scultura, all’antica qualifica di contadino aggiunse quella, notevolmente autoironica, di el marmorén, il marmista. Il suo unico monumento pubblico non gli rende giustizia: dei suoi limiti lo stesso Froni fu cosciente. Si tratta del Monumento ai Caduti collocato sulla torre campanaria tardo barocca di San Paolo, a chiusura di Strada Cavour, a Parma. Si cominciò a parlare di questo monumento nel 1952, in occasione della celebrazione della festa della Repubblica. Nel dicembre dello stesso anno si costituì un Comitato esecutivo, al quale aderirono anche il Comune e la Provincia, che tuttavia, in un’assemblea del gennaio 1953, sostennero la priorità della costruzione del Monumento al Partigiano, affidato a Marino Mazzacurati, con la collaborazione dell’architetto Guglielmo Lusignoli. Il Comitato, sin dall’inizio, individuò nel campanile del Valmagini la sede del monumento. L’opera, senza concorso, fu affidata all’architetto Monguidi per l’ambientazione e a Renato Brozzi per l’intervento plastico. Nell’agosto 1960, appena ultimati i lavori architettonici, Monguidi morì e nel novembre Brozzi, che aveva già realizzato i tondi con i fregi della Marina, dell’Aeronautica e delle quattro armi dell’esercito, si ritirò. L’incarico fu allora affidato al Froni, che completò l’opera con la statua inginocchiata della Stirpe italica, fusa dalla Fonderia d’arte Battaglia di Milano, e la Lampada Perpetua sostenuta da cinque volti che rappresentano altrettanti stati d’animo del soldato in combattimento. I due fili di reticolato che cingono le fronti ricordano il filo spinato delle trincee e dei campi di concentramento. L’epigrafe fu dettata da Jacopo Bocchialini. L’opera, esposta al pubblico il 26 ottobre 1961, fu inaugurata dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi un mese dopo. Non furono molte le personali del  Froni, tra le quali vale la pena ricordare quella milanese del 1958 al Centro Santa Babila, organizzata da Giuseppe Venturini, e quella con opere scelte da Giovanni Copertini alla Galleria Camattini di Parma del 1960. Pochi furono i suoi monumenti messi in opera: nel 1953, a Fidenza, venne collocata nell’oratorio salesiano la maschera di don Garlaschi, con epigrafe dell’avvocato Nino Denti e dieci anni dopo negli stabilimenti Massenza quella del proprietario. Il busto di Winston Churchill, commissionato da un gruppo italo-francese di ammiratori dello statista, nel 1965 fu donato alla circoscrizione del partito conservatore di Woodford Green nell’Essex. Su di lui appare chiara in questo periodo l’influenza di Wildt (si veda a esempio Autunno) soprattutto nella ricerca di smaterializzazione della materia per cui i singoli personaggi vengono avvolti in un alone di trascendente spiritualità che fa affiorare la parte più segreta dell’anima. Nel frattempo in Italia avvenne il recupero di quei valori plastici che traggono spunto dalla classicità rinascimentale. E anche il Froni modellò i suoi ritratti a pieno volume con una cadenza estremamente misurata, che tende a una idealizzazione grecizzante (come Bichi), anche se non mancano alcune osservazioni naturalistiche che imprimono al personaggio una specifica connotazione (Dadi, Antonia). D’altronde il Froni oscillò sempre tra il mondo del reale, suggerito dalla disarmonia del quotidiano, e quello dell’ideale, nella sua immagine pura (Raffaele De Grada). Il Froni accolse con prontezza la ventata realistica (si veda il sorridente Giovane Sangiorgi o il corrucciato Meticcio al fiume) che gli permise di dar vita a personaggi di una felice immediatezza espressiva, senonché subito dopo tornò alle sue meditazioni sull’uomo e sul suo modo di essere e di apparire e i visi vengono pietrificati in maschere, sotto cui si celano ed emergono i tratti più significativi della personalità di chi viene ritratto (l’attore Memo Benassi, il chirurgo Dogliotti, lo statista Winston Churchill, il Cavalier Camattini). Il Froni, infatti, scandagliò gli individui con occhio acuto, ironico e impietoso. Ne colse le connotazioni psicologiche e le fissò con un procedimento di astrazione iconica. Diverso invece è l’approccio col corpo umano, visto in alcuni momenti attraverso il filtro delle reminiscenze classiche, così da attuarne delle rivisitazioni in chiave arcaica (Giunone) o di frammento recuperato (Sirena) ma più spesso interpretato con calligrafia manierista (l’esile Nudo, il flessuoso Tutu, l’aerea Primavera), allungando e assottigliando la figura fino a togliere alla donna ogni peso corporeo e farla librare con eterea leggerezza in uno spazio più metafisico che reale, traducendola in un simbolo onirico. Grazie alla sensibilità della vedova, si poté realizzare dal 22 dicembre 1989 al 30 gennaio 1990 una grande antologica del Froni nel Centro Civico del Comune di Sorbolo. In quell’occasione copia della Maschera di Memo Benassi fu donata a Sorbolo, paese natale del grande attore, e collocata nello stesso Centro Civico. Una accuratissima scelta della produzione del Froni, donata per volontà della vedova alla Fondazione Cassa di Risparmio di Parma nella primavera 1995, venne esposta integralmente nelle sale espositive di Palazzo Bossi-Bocchi nello stesso anno.

FONTI E BIBL.: A.A.B., Cronache d’Arte. Luigi Froni, in Il Piccolo 21 gennaio 1921; Uno scultore. Luigi Froni, in Il Piccolo 28 luglio 1921; Per il monumento ai Caduti, in Il Gazzettino di Salsomaggiore 15 febbraio 1922; V. Bianchi, Artisti della nostra terra. Uno scultore: Froni, in Corriere Emiliano 30 luglio 1929; Artisti nostri. Luigi Froni, in Corriere Emiliano 11 settembre 1930; I Mostra sindacale d’arte, Ritratto di Luigi Froni, in Corriere Emiliano 17 novembre 1932; P. Bianchi, Note per Luigi Froni, in La Fiamma 30 settembre 1941, 28; L’ultimo della classe opera di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 18 maggio 1953; Inaugurazione del monumento a don Garlaschi, in Gazzetta di Parma 24 maggio 1953; Ritratto di Ughetto Fagandini opera di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 1 marzo 1954; Dalla sveglia al silenzio, in La Notte 27-28 maggio 1954; G. Guareschi, La faccia di bronzo, in Il Candido 16 maggio 1954; Luigi Froni scultore, in Gazzetta di Parma 24 gennaio 1958; Una Mostra di scultura di Luigi Froni a Milano, in Gazzetta di Parma 22 marzo 1958; Genio e sregolatezza, in Il Candido 23 marzo 1958; Luigi Froni scultore, in Il Resto del Carlino 29 marzo 1958; N. Denti, Uno scultore che non assomiglia a nessun altro. Luigi Froni, contadino diceva il suo biglietto da visita, in Gazzetta di Parma 2 aprile 1958; Picus, Due critici e un contadino, in Il Candido 6 aprile 1958; Artisti parmigiani a Milano. Dopo la personale di Froni due mostre postume di Soldati, in Gazzetta di Parma 10 aprile 1958; J. Bocchialini, Sculture di Luigi Froni, in Settimo Giorno, 1958; G. Copertini, Una mostra senza fiamma ossidrica. Corvi e Froni al Premio Forlì vertice della scultura italiana, in Gazzetta di Parma 4 settembre 1960; Alla Galleria Camattini. Inauguata la personale dello scultore Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 4 dicembre 1960; T. Mazzieri, Cose d’Arte. Le sculture di Luigi Froni alla Galleria Camattini, in Gazzetta di Parma 8 dicembre 1960; T. Marcheselli, Alla Camattini. Le forti sculture di Luigi Froni, in L’Avvenire d’Italia 8 dicembre 1960; Renato Brozzi ha dovuto rinunciare. Affidata a Luigi Froni la scultura del monumento ai Caduti, in Gazzetta di Parma 8 dicembre 1960; Per l’impossibilità del Capo dello Stato a presenziare. Rinviata sine die l’inaugurazione del Monumento ai Caduti di guerra, in Gazzetta di Parma 27 ottobre 1961; Il prof. Pietro Bezza opera di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 2 febbraio 1962; Una maschera di Luigi Froni dedicata a Giuseppe Massenza, in Gazzetta di Parma 30 aprile 1963; Il prof. Valla e la pittrice Guenda opere di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 15 dicembre 1964; Il comm. Giuseppe Rolli opera di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 13 gennaio 1965; A. Mondelli, Froni nella Maison du pendu, in Il Resto del Carlino, 16 gennaio 1965; Busto di Winston Churchill opera di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 19 gennaio 1965; Al Presidente della circoscrizione di Woodford (Essex). Consegnato il busto di Churchill opera dello scultore Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 6 novembre 1965; T. Marcheselli, Ieri all’ospedale all’età di 64 anni. È morto Luigi Froni scultore estroso e umano, in Gazzetta di Parma 16 novembre 1965; M.M., Ieri improvvisamente all’ospedale maggiore. È morto lo scultore Froni, in Il Resto del Carlino 16 novembre 1965; È morto lo scultore Luigi Froni, in L’Avvenire d’Italia 16 novembre 1965; V. Bianchi, Nel trigesimo della scomparsa dello scultore. Luigi Froni: un ribelle di franchezza spietata, in Gazzetta di Parma 15 dicembre 1965; Profilo di Luigi Froni in Parma per l’Arte 15 1965, 116-121; Busto di Winston Churchill opera di Luigi Froni, in The Times 7 marzo 1966; B. Molossi, El marmorén, in Gazzetta di Parma 19 giugno 1966; P. Bianchi, Un artista che era un generoso, un vero amico. Luigi Froni el marmorén: un ricordo di Pietro Bianchi, in Gazzetta di Parma 22 giugno 1966; G. Gennaro, Sculture di Luigi Froni, in Civitas Pacis 18 1976; G. Cavazzini, Froni, tra volti e maschere, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1989, 3; P. Bianchi, Quell’attimo fuggente, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1989; G. Ferraguti, L’arte nella casa del’impiccato, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1989; Artista e contadino, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1989; M. Dall’Acqua, Luigi Froni scultore. Catalogo Mostra Comune di Sorbolo, 22 dicembre 1989 - 30 gennaio 1990, Comune di Sorbolo, 1989; M. Tagliavini, Uno scultore estroso e umano. Aperta la mostra che il Comune ha dedicato a Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 6 gennaio 1990; T. Marcheselli, Froni: quando la verità strizza l’occhio all’ironia, in Qui Parma 11-17 gennaio 1990; Fidenza ispirò Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 28 marzo 1990; Retrospettiva sulla produzione del marmorén. Le sculture di Luigi Froni, in Gazzetta di Parma 7 ottobre 1990; Comune di Sorbolo, 1993, 22; P.P. Mendogni, in Gazzetta di Parma 22 giugno 1995, 5; Luigi Froni scultore, Parma, 1995.

FRONI NATALE
Parma 1831
Già trombettiere della guardia ducale di Parma, prese parte attiva ai moti del 1831. La sua scheda segnaletica compilata dalle autorità di polizia riporta quanto segue: Allorché nacque il pensiero di far la spedizione di Fiorenzola si offrì spontaneamente come volontario a cavallo. Lo stesso ricevette e seguì altra missione da parte del Governo provvisorio ed era in istrettissima relazione col famigerato Pasquale Berghini. Figura nell’elenco degli inquisiti di stato con requisitoria.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 169.

FRONI PAOLO 
Parma 1579-Parma 1634
Intagliatore e intarsiatore. Realizzò nell’anno 1613 il pulpito nel Duomo di Parma.
FONTI E BIBL.: A. Ronchini, 1852, 314; C. Malaspina, 1869, appendice; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 150; Il mobile a Parma, 1983, 253.

FRONI VINCENZO 
Parma 1753 o 1758-post 1787
Figlio di Giovanni, orafo, e Paola Spinazzi. Fu anch’egli argentiere di buon valore.
FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 8.

FRONTANI ATANASIO, vedi SOLDATI ATANASIO

FROSIO EVANGELISTA
Parma 1660/1661
Violinista ammesso il 15 ottobre 1660 tra i suonatori della chiesa della Steccata di Parma, vi figurò soltanto fino al 30 dicembre 1661.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 100.

FRUGARDO RUGGERO
Parma 1180
Figlio di Giovanni, originario di Frügard in Finlandia, il quale probabilmente fece parte del piccolo contingente svedese sceso in Italia nel 1154 al seguito di  Federico Barbarossa, e che si stabilì poi a Parma. Il Frugardo insegnò nello Studio di Parma. Passò poi a Salerno, maestro o fondatore della Scuola Chirurgica Salernitana, onde fu chiamato anche Rogerius Salernitanus. Il Frugardo fu autore di due fondamentali trattati di chirurgia: Practica Medicinae e Practica Chirurgiae (Biblioteca di Parigi, codice 6954). L’Università di Montpellier, in cui fu probabilmente professore, gli conferì la carica di cancelliere (auctore Rogerio Studii Montispessulani Cancellario; Biblioteca di Parigi, codici 7035, 7050 e 7056). Il Frugardo trasse molti insegnamenti dall’arabo Albucasi, cui però aggiunse osservazioni del tutto personali.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori, I, 118-121; A. Pezzana, Memorie degli scrittori, VI, 45 ss. Il Puccinotti, nella Storia della Medicina, Firenze, 1870, II/2, 375-413 e 662-795, dimostra che la Practica Medicinae fu compilata prima del 1180, anno in cui si riporta la compilazione della Practica Chirurgiae, le due grandi opere del Frugardo. A. Thomas, La Chirurgie de Ruggero de Parma en vers provençaux, in Romania X 1881, 63; G. Mariotti, Memorie e Documenti, I, 57, 59; U. Gualazzini, Scuole preuniversitarie, 262; A. Pazzini, Storia della Medicina, Milano, 1947, I, 419 ss.; A. Pazzini, Bibliografia di Storia della Chirurgia, Roma, 1948, pp. 39, 363, 369; G.M. Giuliani, Commemorazione di G.  Rossi, in Bollettino Società Medica di Parma maggio-giugno 1928, 58; Aurea Parma 3 1951, 184.

FRUGONI Parma 1867  Pittore, autore del quadro La piccola filatrice (olio su tela, cm 91x74, Fidenza, Palazzo Comunale). Il quadro venne sorteggiato nel 1867 dalla Società d’Incoraggiamento al Comune di Borgo San Donnino. Questa è la sua sola opera conosciuta. Garbatamente aneddotica, ricorda, forse casualmente, l’impianto scenico di altra opera anonima, mentre il morbido modellato degli incarnati e della camiciola della bimba e la graffiata pennellata della gonna, si avvicinano molto ai modelli di Ignazio Affanni. La composizione complessiva e la figura della donna invece somigliano a quelli del Preti.

FONTI E BIBL.: Mecenatismo e collezionismo pubblico, 1974, 113.

FRUGONI ANTONIO Parma 25 luglio 1823-post 1864 Figlio di Stefano e Rosa Ripetta. Negoziante di commestibili. A seguito degli avvenimenti nelle province meridionali, il Frugoni fissò nel 1860 la sua dimora a Napoli, ove fu nominato segretario del Comitato segreto mazziniano. Nel 1862 fu in Aspromonte, ove ebbe il grado di capitano. Nel 1864 fu tenuto sotto sorveglianza perché acceso repubblicano.

FONTI E BIBL.: P. D’Angiolini, Ministero dell’Interno, 1964, 103.

FRUGONI CARLO INNOCENZO
Genova 21 novembre 1692-Parma 20 dicembre 1768
Nacque da Giovan Stefano e da Camilla Isola, entrambi patrizi genovesi. La famiglia, come era peraltro consentito alla nobiltà genovese dagli Statuti, aveva esercitato ed esercitava la mercatura, il che lo espose poi a crudele ironia alla Corte di Parma. Egli ebbe due fratelli, Domenico Leonardo e Antonio, morti entrambi senza discendenza, e tre sorelle: Annetta, moglie di G. Tassarello ministro di Genova alla Corte di Torino, Giovannetta, sposa di A. Saoli, e Violante, monaca. Dei primi studi non si sa nulla, ma è certo che egli si sentì sempre sacrificato all’interesse dei fratelli, visto che i genitori lo spinsero a entrare giovanetto e senza vocazione alcuna nella Congregazione somasca, uccellato dai suoi educatori del collegio di Novi Ligure, nel quale appena quindicenne vestì l’abito. Svolto dal 12 maggio 1708 il noviziato a Genova, nella casa della Maddalena, pronunciò il 20 maggio 1709 i voti solenni e sottoscrisse, senza valutarne la gravità, l’atto di rinuncia ai cospicui beni familiari. Completati gli studi a Novi e a Milano, venne inviato a insegnare retorica nel collegio di Brescia: fu lì che nel 1716 si affacciò al mondo letterario, entrando a far parte della colonia Cenomana dell’Arcadia col nome di Comante Eginetico, con il quale fu poi conosciuto più che con il suo proprio. Nel 1717-1718 il Frugoni fu a Roma, nel collegio Clementino, sempre come insegnante di retorica, ma già nel 1719 risulta di nuovo presente a Genova, nel liceo della Maddalena. Il 16 maggio 1720 raggiunse Bologna per insegnare retorica nell’Accademia di Porto dei somaschi. Il periodo bolognese ebbe grande importanza per la formazione letteraria del Frugoni: strinse amicizia con G.P. e F.M. Zanotti, F.A. Ghedini, P.J. Martelli, G.G. Orsi ed E. Manfredi, che già aveva incontrato a Venezia durante un breve soggiorno. Il legame più stretto fu però quello con G.P. Zanotti, col quale ebbe in comune la facilità a verseggiare, il piacere della buona tavola e il gusto delle burle e delle rime salaci. A Bologna provò anche il primo dei suoi molti innamoramenti, quello per Faustina Maratta (figlia del pittore Carlo), la celebratissima Aglauro degli arcadi, vedova di F. Zappi, uno dei fondatori dell’Arcadia che egli aveva conosciuto durante il soggiorno romano. Il tono delle odi che il Frugoni dedicò alla donna è pervaso di gioiosa sensualità (Opere, V, pp. 475-482, 483-486, 490-495), anche se la scoperta dell’amore gli fece prendere coscienza dell’inganno subito con la monacazione, delle possibilità perdute e della felicità negata. Nell’ottobre 1721 il Frugoni dovette lasciare Bologna per Piacenza: gli amici bolognesi lo munirono di ampie credenziali per i molti eruditi cavalieri della Corte di Parma, che divennero presto suoi amici ed estimatori. Furono P.F. Scotti, O. Barattieri, B. Morandi, G. Pollastrelli, G. Bandini, L. Dal Verme e i conti Marazzani Visconti, che dal 1715 coltivavano la colonia Trebbiense dell’Arcadia. Vicino al Frugoni fu soprattutto il marchese U. Landi, uomo colto e innamorato della poesia, che divenne suo protettore e contribuì non poco alla sua affermazione letteraria e sociale. Nel 1722 il Frugoni si impegnò a tradurre in versi la tragedia Rhadamiste et Zénobie (1711) di P. Joliot de Crébillon, che fu rappresentata a Bologna durante il Carnevale del 1724 (e ivi pubblicata, col titolo di Radamisto e Zenobia, in quello stesso anno). Quest’opera lo fece apprezzare dal cardinale Marco Cornelio Bentivoglio d’Aragona, legato di Romagna, che divenne suo importante protettore, sebbene lo spingesse a comporre opere drammatiche, per le quali il Frugoni non riteneva di avere attitudine. Nel corso di un viaggio da Piacenza a Bologna, a Modena fu colto dal vaiolo: scampò e, atterrito dall’idea della morte, fece voto alla Madonna di San Luca di cambiare vita, voto che però ben presto i divertimenti, il lusso, le belle dame, i teatri, i salotti, le accademie e le villeggiature gli fecero dimenticare, pur accentuando i sensi di colpa e le malinconie di cui sono felice testimonianza le canzoni Per la festa di S. Antonio, La navigazione d’Amore e Ritorno dalla navigazione d’Amore (per cui cfr. Opere, V, pp. 23, 456, 462-469). Si invaghì in quel tempo della contessa Ginevra Albergati Fontana, bellissima e corteggiatissima, che lo respinse provocando in lui una crisi d’ipocondria. La disillusione lo indusse a comporre e a diffondere un libello diffamatorio in versi sulle principali dame bolognesi e sui loro amanti, servendosi di un linguaggio spesso crudo. Se le protezioni di cui godeva lo salvarono in quella occasione da sanzioni gravi, una nuova impresa di tal genere gli fu fatale. Chi fosse l’amplissimo personaggio attaccato questa volta dal Frugoni fu scoperto solo molto dopo: si trattava di G. Crispi, arcivescovo di Ravenna, che aveva pubblicato una rozza e ingenua opera di edificazione, sulla quale il Frugoni diffuse un’Ammonizione di persona devota che, applaudita con divertimento dal bel mondo, suscitò le ire delle gerarchie ecclesiastiche e dei superiori somaschi. Il solo a scendere in campo in difesa del Frugoni fu il letteratissimo cardinale Bentivoglio d’Aragona, il quale gli diede asilo nella sua villa di Montericco e lo munì poi di commendatizie per la Corte di Parma e in particolare per il principe ereditario Antonio Farnese (Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano, Interno, b. 666, agosto 1724). Questi lo accolse benignamente, lo condusse nella sua villeggiatura di Sala e lo presentò al duca Francesco suo fratello, del quale il Frugoni cercò di ottenere il favore pubblicando il baccanale Pan Dio della Villa in Sala (Parma, 1724), un polimetro di 321 versi, rarissimo (una copia presso la Biblioteca Palatina di Parma). Avendo ormai assaggiato il lusso e gli splendori di Corte, gli fu particolarmente penoso obbedire ai superiori per ritirarsi a Piacenza, nel collegio degli orfanelli. Accomiatandolo, il principe Antonio Farnese gli affidò l’incarico di rimaneggiare un vecchio melodramma, Il trionfo di Camilla, sul quale il Frugoni si gettò a corpo morto, nonostante la sua scarsa propensione per quel genere letterario. A Piacenza fu preso da attacchi di depressione grave e finì con l’ammalarsi. Guarito, non resistette alla tentazione di correre a Parma per il Carnevale, dove passò alcuni mesi felici, intercalati da una gita a Genova tra marzo e giugno. Intanto fu rappresentato con successo Il trionfo di Camilla con le musiche di L. Vinci, mentre egli, rientrato a Piacenza a fine agosto, cominciò ad apprezzare i circoli aristocratici piacentini, anch’essi capaci di offrirgli conversazioni, gite e buoni pranzi, che il Frugoni allietava con i suoi versi. Il 1º febbraio 1726 fu nuovamente a Parma, per mettere in scena un suo melodramma, I fratelli ritrovati (Opere, I, p. 14), musicato da G.M. Capello e interpretato dal divino Farinelli. In maggio ricevette una visita del Metastasio, che accompagnò per i principali salotti, con grande vantaggio per il proprio prestigio. Costretto dai superiori a rientrare ancora una volta a Piacenza, il Frugoni, ormai insofferente, fuggì e alla fine di settembre 1726 si ristabilì a Parma, ove sperava di poter diventare il cantore dei fasti farnesiani. Gli toccò ancora, invece, dedicarsi all’assai meno congeniale melodramma. Sperava altresì, il Frugoni, di poter regolarizzare la sua posizione ottenendo lo scioglimento dai voti. La pratica si trascinò per anni, finché papa Clemente XII, nel 1733, lo liberò da alcuni vincoli con certe condizioni. Solo nel 1743 il Frugoni ottenne, da papa Benedetto XIV, di essere costituito prete secolare, sciolto per sempre da ogni voto claustrale. All’assunzione al trono di Antonio Farnese fu incaricato dell’orazione funebre per il duca defunto, che pronunciò nel febbraio 1727 sulla piazza dei Cappuccini. In occasione del matrimonio del nuovo duca con Enrichetta d’Este il Frugoni pubblicò Il trionfo dei pubblici voti (Parma, 1728) e curò alcune rappresentazioni teatrali (tra cui la Tebaide di Stazio nella traduzione del cardinale Bentivoglio e, il 17 aprile 1730, il suo Scipione in Cartagine), quindi, per aver compilato una notizia biografica del duca, ottenne l’ambito titolo di storiografo ufficiale della Corte. La morte senza figli di Antonio Farnese, il 20 gennaio 1731, se pose fine a un periodo felice per il Frugoni, generò una tra le più incredibili farse della storia: l’ultimo Farnese infatti, forse in buona fede e ingannato dalla moglie, nominò erede il ventre pregnante di tre mesi di lei che, se pure non incinta, simulò la gravidanza fino a quando non fu inevitabilmente smascherata. Tutta l’Europa si mobilitò e il Ducato fu militarmente occupato in nome di Carlos di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese. Al Frugoni certo dovette mancare l’intuito, perché si schierò con la duchessa vedova Enrichetta d’Este, dedicando ben ventisei composizioni al ventre pregnante. Nonostante lettere di giustificazione largamente inviate e suppliche alla duchessa vedova Dorotea Sofia di Neuburg, madre di Elisabetta Farnese, che aveva assunto la reggenza, egli fu costretto a rimanere lontano da Parma, dove rientrò solo alla fine del 1732 quando la spedizione spagnola a Orano gli permise di dedicare a Filippo V la canzone Orano espugnata (Opere, IV, pp. 448-456), che gli valse il perdono e un nuovo stipendio. Da quel momento si dedicò anima e corpo al servizio della casa di Borbone. Così, nel 1734, diede alle stampe a Parma il volume Rime dell’abate Frugoni pubblicate sotto gli auspici della s.r.c.m. Elisabetta Farnese, una delle pochissime raccolte che la ritrosia del Frugoni a pubblicare in vita abbia lasciato. Scoppiata la guerra di successione polacca, la vittoria di Bitonto conseguita da Carlos di Borbone fu occasione di una Canzone del Frugoni (Opere, V, p. 479), considerata una tra le sue cose migliori: solenne, compatta e felice nell’ispirazione. Ma presto le truppe piemontesi e imperiali invasero e devastarono il Parmense, frantumando il piccolo mondo cortigiano del Frugoni. Egli partì per Genova il 16 novembre 1734 e là attese trepidante l’esito della guerra. La pace di Vienna del 1738, che vide Parma ceduta all’Austria, fu per lui un duro colpo. Ormai senza alloggio, senza stipendio e senza protezioni, rientrò comunque nel Ducato, dove trovò ospitalità presso i conti Terzi di Sissa (sia in città che nella villa di Rocca di Vigatto), per i quali pubblicò alcune raccolte di gratitudine: per Francesco (Parma, 1738), per le nozze della di lui figlia Corona col marchese B. Rangoni (Parma, 1741) e per quelle dell’altra figlia Costanza col conte A. Marazzani Visconti (Milano, 1744). Anche questo periodo si concluse con un episodio destinato a suscitare scalpore: il Frugoni, infatti, che aveva sempre nutrito massima disistima per i medici, riunì alcune satire in un manoscritto intitolato Poesia piccanti dell’anno 1740, in cui attaccò duramente la vana arte febea. Le polemiche che ne seguirono costrinsero il Frugoni, alla fine del 1742, a partire per Venezia. In quella città gli aspetti piacevoli della vita (galanteria, mondanità, Carnevale e gioco, che non fu la meno grave delle sue passioni) furono coronati dall’incontro con i due principali e più duraturi astri femminili della sua vita, Aurisbe Tarsense (la veneziana Cornelia Barbaro Gritti) e Nidalma Mellenia (la duchessa M. Ginevra Toruzzi Millini, romana). Della prima, poetessa in vernacolo veneziano, si innamorò follemente tra gelosie, dispetti e molta letteratura (in concorrenza con C. Goldoni, P. Chiari, F. Algarotti, S. Bettinelli e P. Metastasio): lui la rese celebre e lei, nonostante le pur amabili malizie e perfidie, gli rimase legata a lungo. Con la seconda fu tutt’altro: ella, che amava la poesia, studiosa e seria, rappresentò una vera, dolce e confidente amicizia che continuò negli anni, per corrispondenza, dopo il rientro di lei a Roma. A Venezia, però, nell’autunno del 1744 il Frugoni conobbe anche la miseria e una grave malattia. Il 28 ottobre 1745, non appena appreso che Parma era tornata sotto il controllo dei Borbone, partì senza esitare per l’amata città, dove però già il 20 aprile 1746 rientrarono gli Austriaci. La situazione non mutò più fino alla pace di Aquisgrana del 1748 che sancì il ritorno dei Borbone in un Ducato stremato dalle tasse austriache, nel quale anche i ricchi amici del Frugoni versavano in cattive condizioni. Di lui in quegli anni si hanno poche notizie: si lasciò ancora una volta coinvolgere in una querelle per la diffusione di un feroce libello contro il ricco e avaro O. Mazza, padre del poeta Angelo, colpevole di non aver compensato un lavoro letterario commissionato al Frugoni, al conte A. Bernieri e al conte G.A. Scutellari. Si tratta dei 60 sonetti della  Ciaccheide, composizione di incredibile oscenità e sconcezza che fece la delizia dei salotti e provocò le furie del Mazza (ser Ciacco), scabrosa al punto da venire pubblicata solo nel 1768, anonima e con la falsa indicazione di Danzica. Don Filippo di Borbone prese possesso del Ducato l’8 marzo 1749 e la stella del Frugoni riprese a brillare: il 2 agosto 1750 presentò una supplica per essere riammesso a servire e ne ottenne 100 zecchini. Alla nascita del primogenito ducale pubblicò uno splendido infolio illustrato, Festa pastorale nel nascimento (Parma, 1751), che gli valse il 29 gennaio 1751 la nomina a istitutore di belle lettere italiane del neonato infante Ferdinando di Borbone, carica che conservò fino al 1758. Frattanto la grande figura di G. Du Tillot andava rafforzando sul Ducato quell’influenza benefica che ne fece per qualche tempo l’Atene d’Italia, piccolo ma raffinato centro di cultura, e i rapporti del Frugoni con il ministro furono fin dall’inizio eccellenti. Nel marzo 1752 il Frugoni compì un viaggio a Genova, nella speranza di raccogliere l’eredità del fratello Antonio, ma il testamento paterno l’aveva escluso espressamente a favore delle femmine: ne nacque un processo che egli vinse in parte, ottenendo il saldo dei suoi cospicui debiti e una piccola rendita. Fu quello il periodo più felice della vita del Frugoni, libero dalle ristrettezze economiche più pressanti, favorito dal Du Tillot che, forse anche per calcolo politico, diede alle arti un appoggio straordinario, sia pure con i limiti della cieca imitazione dei modelli francesi e dell’assoluta preferenza per il teatro (penosa questa per il Frugoni), il quale aveva sempre coltivato quel genere obtorto collo mentre ora doveva compiacere un ministro persuaso di aver trovato un novello Metastasio che avrebbe attuato il suo sogno di rinnovare il melodramma. Il 25 febbraio 1754 ottenne la carica di revisore degli spettacoli e direttore dei regi teatri, con 6000 lire di Parma di stipendio, poi portate a 8000, nonché il beneficio dell’abbazia di San Remigio a Parodi. Il Goldoni, quell’anno a Parma, gli dedicò Il Cavalier giocondo, in segno di rappacificazione dopo le gelosie veneziane per la Gritti: con la quale, peraltro, il Frugoni giunse alla rottura, causa la gelosia della donna, dopo un’infatuazione per la danzatrice francese Marie La Rivière, cui dedicò un’Epistola (Parma, 1758) e un Sonetto d’addio (Opere, II, p. 544). La sostituì quale musa ispiratrice Caterina Gabrielli, la Coghetta. Fino al 1760 egli curò un numero considerevole di rappresentazioni teatrali, sia di opere altrui da lui rielaborate sia di originali suoi propri, come nel Carnevale 1756-1757 i quattro poemetti martelliani e Le feste di Tersicore (Parma, 1756), che ebbero uno strepitoso successo e risonanza europea, non meno di Ippolito ed Aricia (Opere, VII, p. 235), o de I Tindaridi e Le Feste d’Imeneo (Parma, 1760), quasi tutte condizionate dagli schemi e dalle musiche di J.-Ph. Rameau, anche se con la novità dell’introduzione dei cori da lui voluta. Nel 1757 fu incaricato di redigere le costituzioni e i privilegi della Regia Accademia di Belle Arti, della quale venne ben presto nominato segretario perpetuo, con amplissimi poteri che fecero di lui la più prestigiosa figura ufficiale delle lettere locali. In verità, di quella carica egli più che adempiere i doveri godette i privilegi (il Du Tillot dovette più volte amichevolmente ammonirlo per questo), circondandosi di una piccola corte di giovani rampanti (C.G. Rezzonico, L. di Canossa) e di belle dame (la contessa D. Del Bono, la marchesa M. Bevilacqua), ai quali tutti dedicò un numero sterminato di componimenti poetici. Nel 1763 lasciò la direzione degli spettacoli al conte A. Sanvitale, che era vissuto in Francia per anni, visto che la riforma del teatro vagheggiata dal Du Tillot e dal Duca si era ridotta all’imitazione pedissequa delle forme e degli splendori di Versailles, e per il teatro non scrisse più. Fu allora che ricevette dal Sovrano l’ordine di raccogliere e pubblicare i suoi lavori: anche se inizialmente lusingato, capì ben presto che sarebbe stato un impegno difficilissimo e quasi irrealizzabile giacché, generosissimo di composizioni e poco vanitoso, non aveva quasi mai conservato copie, tanto che si trovò a doverle ricercare a destra e a manca per mezza Italia. A tale scopo nel 1761 si recò a Venezia, dove avrebbe dovuto realizzarsi l’edizione, ma incontrò (o inventò) mille difficoltà, anche quando nel dicembre l’impresa fu trasferita a Parma. Di rimando in rimando riuscì a far slittare il tutto fino alla sua morte, probabilmente non solo per la difficoltà di reperire l’ingente numero dei suoi lavori, che comunque temeva di non avere più la forza di correggere e limare, ma soprattutto per timore di sottoporre il complesso della sua opera ai critici, specie dopo che G. Baretti l’aveva così duramente attaccato sulla Frusta Letteraria (in particolare nel n. 21 del 1º agosto 1764). In quell’anno fu a Parma Corilla Olimpica, protetta dell’Algarotti, che il Frugoni si sentì obbligato a celebrare (Opere, X, p. 72). Nel giugno 1765 si apprestava ad accompagnare a Genova l’infanta Luigia di Borbone che andava sposa al principe delle Asturie, quando poco dopo l’improvvisa morte del Duca suo protettore lo bloccò, riempiendolo di apprensione per le sue cariche e i suoi benefici, visto che il suo ben noto epicureismo non era certo fatto per ingraziargli l’ipocrita bigotteria del successore duca Ferdinando di Borbone. A Genova andò comunque l’anno successivo, ad affrontare un ennesimo processo e per sostenere i diritti dell’amata nipote Anna Cambiaso Rivarola con un curioso lavoro in versi, Supplica ai prestantissimi giudici della Rota civile (Opere, IX, p. 40). Vinta la causa, volle tornare a Parma, nonostante la ricca ospitalità che le nipoti gli offrivano a Genova. Ma aveva ormai 69 anni e si sentiva stanco, sebbene l’aspetto e la buona salute gli concedessero una esteriore mentita gioventù, e abbandonò del tutto le ricerche per la pubblicazione delle sue opere. Nel 1767 cadde gravemente ammalato, ma si riprese e nella primavera del 1768 volle fare una gita a Mantova. La sua ultima composizione fu destinata a celebrare la guarigione da una grave malattia del Du Tillot. Il Frugoni morì nel 1768, dopo aver lasciato per testamento le sue carte al Rezzonico. Dopo la morte rispuntò con rinnovato vigore l’annosa questione della pubblicazione delle sue opere che, tra ambizioni, gelosie e ripicche, divenne quasi un affare di Stato. Alla fine l’incarico fu dal Duca affidato al Rezzonico (con la collaborazione di P. Manara), il quale si mise al lavoro nel 1773, sulla base di un elenco, lasciato dal Frugoni, di persone presso le quali era forse possibile reperire manoscritti suoi. Il maggior problema che si presentò fu se procedere a un rigoroso vaglio critico, oppure includere tutto quanto fosse possibile reperire. Prevalse quest’ultimo criterio e certo non giovò alla fama del Frugoni per essere stata la maggior parte delle composizioni estemporanea o quasi, poco limata e non pensata per la pubblicazione. D’altra parte è difficile immaginare che altro avrebbe potuto fare il Rezzonico alle prese con quell’incredibile mole di copie, copie di copie, imitazioni e apocrifi. Comunque le Opere poetiche del Frugoni (esclusi i melodrammi) uscirono a Parma nel 1779, in nove splendidi volumi tipograficamente curati dal Bodoni (se ne aggiunse poi un decimo), il primo dei quali arricchito da una Memoria storica e letteraria della vita e delle opere di Carlo Innocenzo Frugoni, opera del Rezzonico, che resta la principale fonte biografica e bibliografica sul Frugoni. Le critiche furono numerose e severe: emblematica quella di I. Affò, che pubblicò anonima a Firenze la Lettera di messer Ludovico Ariosto al pubblicatore delle opere di Carlo Innocenzo Frugoni, datata dagli Elisi il 1° aprile 1780, cui il Rezzonico replicò con durezza (Apologia dell’edizione frugoniana, Firenze, 1781). Per l’elenco completo delle edizioni del Frugoni, si rimanda a C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana (Genova, 1920) e al volume Lirici del Settecento, per cura di M. Fubini (Milano-Napoli, 1959, p. 226). Taluni atteggiamenti moralistici della critica ottocentesca influenzarono pesantemente il giudizio dei posteri sull’opera frugoniana, che meriterebbe di essere rivisitata. In realtà la produzione del Frugoni, sebbene raggiunga raramente la misura dell’assoluto, contiene tuttavia importanti elementi d’innovazione della poesia lirica: in particolare quell’uso libero ed elegante del verso sciolto che, giovandosi di una tecnica raffinata, ariosa e musicale, finì per riproporsi quale modello per autori del calibro del Monti, del Parini e del Foscolo. L’interesse per il Frugoni si concentra soprattutto sull’interprete sommo, più di ogni altro autore italiano, di quella douceur de vivre sull’orlo dell’abisso rivoluzionario che nella letteratura francese è tanto largamente rappresentata. Dopo tutto egli non è frivolo, né ipocrita, né vano: gran parte dei suoi lavori è ispirata ai valori dell’amicizia, dell’amore e della riconoscenza, da lui vivamente sentiti. Quanto al mondo arcadico (del quale è sempre stato considerato uno tra i massimi rappresentanti, sebbene con sottintesi negativi) egli poté viverlo, probabilmente, con il distacco e l’affettuosa ironia che questi versi ben rappresentano: Favola è Arcadia nostra che va, sott’auree leggi, donando nomi e greggi e campi che non ha.
FONTI E BIBL.: Parma, Biblioteca Palatina, Manoscritti frugoniani; Archivio di Stato di Parma, Decreti e rescritti, 8, 1760-1761, f. 183, Raccolta speciale di documenti farnesiani, Epistolario scelto, Carlo Innocenzo Frugoni; Parma, Accademia di Belle Arti, busta II, mazzo I, 11 gennaio 1761, busta II, carte aggiunte, 24 luglio 1763; Piacenza, Biblioteca piacentina, Fondo Landi, cod. 43; Genova, Archivio dei padri somaschi alla Maddalena, Atti del Collegio di Novi, ad Indices; Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, cod. 897 (É¡-0-4-9); Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, mss., A, 2064, n. 81, A, 2044-2045, ff. 9, 23-33, 183-193, 197, A, 2433, f. 3, B, 157 (lettere ad A. Bernieri e a F. Hercolani); Bologna, Biblioteca universitaria, 302 (239), fasc. V, n. 14 (ms. della satira sulle dame bolognesi), 383 (407), busta II (lettere a G. Casali), 453 (574), n. 16, 1819 (3937), caps. CII, nn. 82 s.; Novelle Letterarie di Firenze, XIV, 1753, col. 130, XVII, 1756, col. 187, XXX, 1769, col. 38, n.s., X, 1779, col. 499, n.s., XI, 1780, col. 824, n.s., XIV, 1783, col. 519, n.s., XVII, 1786, coll. 311-313; G. Baretti, La Frusta Letteraria, a cura di M. Bontempelli, III, Milano,1929, 219 s. e passim; C.G. Della Torre di Rezzonico, Elogio del sig. abate Carlo Inocenzo Frugoni, in Discorsi accademici, Parma, 1772, I-VIII, 3-16; A. Cerati, Elogio dell’abate Carlo Innocenzo  Frugoni, Padova, 1776; G. Cocconi, Prefazione a Poesie scelte di Carlo Innocenzo Frugoni, I-IV, Brescia,1782-1783; A. Fabroni, Elogi d’illustri italiani, I, Pisa, 1786, 160-206; F. Soave, Poesie scelte dell’abate Carlo Innocenzo Frugoni, con la vita e una discorso, I-IV, Bassano,1812; E. De Tipaldo, Biografie degli Italiani illustri, VII, Venezia, 1840, 44-47; E. Bertana, Intorno al Frugoni, in Giornale Storico della Letteratura Italiana XXIV 1894, 337-379; L. Balestrieri, Feste e spettacoli alla corte dei Farnesi, Parma, 1909, passim; C. Calcaterra, Il traduttore della Tebaide di Stazio, ricerche intorno alle relazioni del card. C. Bentivoglio con Carlo Innocenzo Frugoni, Asti, 1910; C. Calcaterra, Il Frugoni prosatore, Asti, 1910; C. Calcaterra, La Ciaccheide di Carlo Innocenzo Frugoni, A. Bernieri e G.A. Scutellari, Parma, 1912; L. Frati, Una satira bolognese dell’abate Frugoni, in Giornale Storico della Letteratura Italiana 2 1912, 146-158; G. Rossi, Il sonetto cartaginese di Carlo Innocenzo Frugoni, in Varietà Letterarie, Bologna, 1912, 422-427; F. Picco, I soggiorni in Piacenza di Carlo Innocenzo Frugoni, Piacenza, 1914; M. Dardana, Un letterato piacentino del secolo XVIII, Piacenza, 1914 (sull’amico del Frugoni, U. Landi), passim; A. Equini, Carlo Innocenzo Frugoni alle corti dei Farnesi e dei Borboni, I-II, Milano-Palermo-Napoli, 1920; L. Sammartino, L’abate letterato galante del Settecento (Carlo Innocenzo Frugoni), Salerno, 1921; U. Benassi, Il Frugoni e il Rezzonico. Letteratura e politica in una corte italiana del Settecento, in Giornale Storico della Letteratura Italiana 2 1922, 95-119; C. Zuretti, Alcuni sonetti da attribuirsi a Carlo Innocenzo Frugoni, in Athenaeum, n.s., I 1923, 114-130; B. Croce, La letteratura italiana del ’700, Bari, 1949, 12 ss.; M. Fubini, Arcadia e illuminismo, in Questioni correnti di storia letteraria, Milano, 1949, 503 ss.; C. Calcaterra, Il Barocco in Arcadia e altri scritti sul Settecento, Bologna, 1950, passim; G. Natali, Il Settecento, Milano, 1950, ad Indicem; E. Raimondi, Aspetti del grottesco barocco: dal Frugoni al Tesauro, in Convivium XXVI 1958, 261-279; C. Calcaterra, La brigata frugoniana di casa Malaspina, Novara, Cattaneo, 1919; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova, Lib. Ed. Moderna, 1920; G. P. Clerici, Storie intime parmensi del Settecento, Parma, 1925; Atti del Convegno sul Settecento Parmense nel 2º centenario della morte di C.I. Frugoni, a cura della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, Parma, La Nazionale, 1969, con interventi di G. Allegri Tassoni, A. Ciavarella, L. Felici, G. Gronda, D. Heartz, G. Marchesi e A. Piromalli; M. Turchi, La maliziosa ed impertinente intuizione della muliebrità nell’arcadia amorosa del Frugoni, in Aurea Parma 1 1975, 7-25; M. Turchi, Ritratto di Anna Malaspina ispiratrice di poesia, in Aurea Parma 1 1976, 3-11; G. Gronda, Poesia italiana: il Settecento, Milano, 1978, 105-115; A. Piromalli, La trasfigurazione della Corte di Parma nei versi di Carlo Innocenzo Frugoni, in Società, cultura e letteratura in Emilia Romagna, Firenze, 1980, 65-80; F. Barocelli, In margine al boschetto d’Arcadia del Giardino ducale di Parma, in Parma per l’Arte 2 1982, 81-94; M. Pozzi, L’Atene d’Italia nei versi di Carlo Innocenzo Frugoni, in Musica e Spettacolo a Parma nel Settecento, Parma, Università degli Studi, Istituto di musicologia, 1983, 267-280; M. Dall’Acqua, V. Bocchi, Alla Regal Colorno. Carlo Innocenzo Frugoni, Colorno, 1987; G. Fagioli Vercellone, in Dizionario biografico degli Italiani, L, 1998, 622-627.

FUGACCIA DOMENICO
Borgo Taro-Abba Garima 1 marzo 1896
Cadde colpito dal fuoco nemico combattendo contro le truppe abissine. Il municipio di Borgo Taro ne ricordò il valore con una iscrizione marmorea nell’atrio del palazzo municipale.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 190.

FUGACCIA LUIGI
 
Londra 1894-1973
Nacque da genitori di Valdena, villaggio alle pendici del monte Borgallo, sulla parte destra del Taro. Come tante altre famiglie di quel versante appenninico, anche i coniugi Fugaccia emigrarono in Inghilterra perché le risorse del paese nativo erano assolutamente insufficienti. Il Fugaccia fu seminarista a Pontremoli, la cui Diocesi comprende territorialmente Valdena e altre quattro parrocchie sulla destra del Gotra-Taro. Il Seminario vescovile godeva a quei tempi di grande prestigio per i valenti e dotti maestri che insegnavano ai seminaristi e agli esterni che i vescovi ammettevano alla frequenza nelle loro scuole. Scoppiata la prima guerra mondiale, con il fratello Tranquillo, che morì sul campo di battaglia, fu chiamato alle armi (fanteria), dove rimase per quattro anni. Alla fine del conflitto riprese gli studi teologici nel Seminario, donde uscì, a ventotto anni, ordinato sacerdote e assegnato come parroco a Bratto, sotto il passo del Bratello, nel versante opposto a Valdena. A Bratto trovò la stessa situazione economica di Valdena: un po’ di pastorizia, la coltivazione delle patate, l’industria del carbone di faggio e l’emigrazione in Inghilterra. Rimase a Bratto quattordici anni. Ingegno vivace e fornito di doti profondamente umane, stabilì viva solidarietà con quella povera popolazione che, spesso, mancava del necessario per tirare avanti stentatamente. A Bratto il Fugaccia ebbe tempo per dedicarsi allo studio e nei lunghi inverni nevosi andò rifacendo i classici che sentiva più congeniali al suo temperamento e mandò a memoria tutte le poesie di Pascoli, che sempre predilesse. Iniziò anche la collaborazione al Corriere Apuano, il settimanale cattolico della Diocesi di Pontremoli, rimanendo sempre fedele e presente nel giornale, che per tutta la vita considerò come unico tramite di dialogo con l’umile gente di Lunigiana. Tra le pagine del Corriere Apuano, che iniziò le pubblicazioni con la Giovane Montagna (per quattro mesi i due periodici ebbero in comune la prima pagina), l’onorevole Giuseppe Micheli scoprì Fra Ginepro (con tale pseudonimo vi collaborò sempre il Fugaccia), invitandolo a scrivere per il suo periodico su Bratto e su Braia, l’altro paese di poche anime, delle quali il Fugaccia ebbe pure la cura. Con freschezza di stile e acutezza d’indagine descrisse così la vita e i costumi di quei paesi e le sue memorie furono poi riunite in un quaderno della biblioteca della Giovane Montagna (Bratto e Braia, Parma, 1942). Nel 1937, resasi vacante la parrocchia di Malgrate, già capoluogo dell’omonimo feudo, il Fugaccia lasciò i monti del Pontremolese per passare nella nuova parrocchia. Il lavoro che più compiutamente esprime le qualità letterarie del Fugaccia è Lunigiana visioni e figure (Badalamenti, Bergamo, 1959), che raccoglie bozzetti alla maniera del Fucini, ma semplici e brevi, in cui il Fugaccia si muove a suo agio. Gli affanni della vita vi sono accolti con viva partecipazione e le tristezze e la miseria sono di casa nelle figure di povera gente che cerca di tirare avanti. Il Fugaccia può ricordare la letteratura toscana di ispirazione regionale, ma si riallaccia a Pietro Ferrari delle Novelle di Valdimagra, il cui modo di narrare, sostanzialmente semplificato nel giro del racconto e della frase, è pur sempre quello dei novellatori trecenteschi e cinquecenteschi, condito e alleggerito con quel che di scorrevole e popolaresco che spicca nell’ammodernata narrativa del Fucini e del Paolieri (J. Bocchialini). Le Visioni, che precedono nel libro le Figure, hanno, alcune, titoli di ricordo letterario: Notturno, Primo vere, Idillio campestre, Il Sabato del villaggio. Ma il ricordo è letterario solo nel titolo e il racconto si snoda in scorci che colgono istintivamente la parte caratterizzante della figura o del paesaggio che è tipicamente lunigianese. Animo schivo e riservato, non indugia ad accenni autobiografici che nel ritorno a casa, d’estate, reduce dagli studi, atteso dalla madre che lo accoglieva lieta e serena sul limitare di casa, e in un triste episodio della guerra di occupazione nazista: la cattura da parte dei Tedeschi, la deportazione, il ritorno a piedi dal campo di Bibbiano e il nuovo arresto al Poggio di Berceto da parte di un maresciallo tedesco.
FONTI E BIBL.: L. Antiga, Fugaccia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1974, 35-38.

FUGAZZA ENRICO
Parma-post 1882
Nel 1882 era allievo del Conservatorio di musica di Milano. Il 29 luglio 1882 cantò (tenore) in un concerto al Teatro Adelaide Tessero di Salsomaggiore e il 23 agosto in uno al Teatro Reinach di Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Reinach, 1995, 111.

FULCHINI LAZZARO
Parma 1477/1494
Si diede alle lettere e riuscì soprattutto nella poesia: fu assai lodato anche da Andrea Bajardi, suo intrinseco, che gli indirizzò non pochi sonetti. Nel 1477 fu uno dei capi del tumulto che insanguinò Parma dopo l’uccisione del duca Galeazzo Maria Sforza. Nella maturità fu considerato uno dei più assennati cittadini, tanto che nel 1494 fu tra i consiglieri della Repubblica Parmigiana.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1958, 179.

FULCHINI LODOVICO
Paradigna 1450/1452
Decretorum doctor, verso il 1450 fu abate dei monaci cistercensi in San Martino dei Bocci in Valserena, nella villa di Paradigna. Forse fu fratello o comunque parente di Lazzaro.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3 1958, 179.

FULCINI BENEDETTO 
1740-Busseto 21 ottobre 1811
È ricordato da Emilio Seletti come buon letterato e valente oratore. Canonico della collegiata di San Bartolomeo, fu annoverato a Busseto tra i soci dell’accademia Emonia. Con il nome arcadico di Elimanto Doricrenio lasciò ispirati sonetti che vennero pubblicati in raccolte poetiche.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 168.

FULCINI FRANCESCO Parma 1831
Dottore e ricco possidente liberale moderato, durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico. Non fu inquisito, ma sottoposto a visita e sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 166.

FULCINI FULVIA, vedi OLIVARI FULVIA

FULCINI GIOVANNI 
Roncole di Busseto 1832-Pieve Ottoville 13 aprile 1922
Sacerdote, fu nominato coadiutore a Pieve Ottoville nel 1856. Partecipò con entusiasmo agli avvenimenti pievani, fissandone il ricordo in due volumi di memorie, di cui non è rimasta traccia. Scrisse molto, ma di quanto produsse rimane poca cosa. Le sue sparse memorie furono raccolte e ordinate da don Paride Godi nel 1975.
FONTI E BIBL.: Zibello, 1985, 295.

FULCINI MARIANNA 
-Parma 21 giugno 1843
Contessa, fece parte della Compagnia del Sant’Angelo Custode di Parma. Fu sepolta con iscrizione nell’arco di casa Fulcini e un’altra iscrizione a lei dedicata si legge in fronte all’arco della Compagnia.
FONTI E BIBL.: G. Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 69.

FULGONI CARLO PIETRO Parma 1 febbraio 1857-Parma 4 giugno 1920
Per trent’anni fu il custode del Teatro Regio di Parma e dal 1890 fino alla morte il direttore dei meccanismi (macchinista). Fu allievo del Mastellari, che seguì anche a Parigi. Nella grande stagione lirica del 1919 meravigliò il pubblico per le sue pronte e perfette messe in scena. Morì nel Teatro Regio precipitando dal soffitto da un’altezza di diciotto metri e sfracellandosi nei locali sottostanti il palcoscenico.
FONTI E BIBL.: C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 88; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 73.

FULGONI GABRIELE 
Parma XV secolo
Laureato in legge, fu dottore dei canoni. Fu attivo nel XV secolo.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 23.

FULGONI GIUSEPPE Parma 13 giugno 1907- Diplomato in viola al Conservatorio di musica di Parma nel 1933, fu prima viola dell’orchestra della RAI di Milano.

FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

FULGONI PIETRO, vedi FULGONI CARLO PIETRO

FULGONI RICCARDO
Bore 1912-1990
Fu sindaco di Bore dal 1956 al 1970 e, per la sua appassionata attività a favore della montagna e per la sua conoscenza dei problemi economici del Comprensorio urbano, nel 1968 fu nominato all’unanimità vice presidente del Consorzio di Bonifica Montana dell’Appennino Parmense. Nel 1960 divenne vice direttore della Banca Nazionale del Lavoro e fu presidente delle sezioni locali dell’Associazione provinciale della Caccia e dell’Associazione nazionale Alpini. Con decreto del Presidente della Repubblica del 1970 gli venne conferita l’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica Italiana.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 aprile 1995, 29.

FULLONI AGOSTINO Parma 30 settembre 1782-post 1811 Figlio di Giuseppe e Luisa Linici. Fu argentiere di buon valore.

FONTI E BIBL.: Argenti e argentieri, 1997, 34.

FULLONI CESARE Parma 1546/1564 Fu notaio a Parma dal 1546 al 1564 e, come era allora consuetudine dei notai, compose pure diversi sonetti.

FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 186.

FULMINE, vedi BOCCONI BRUNO

FULVIO, vedi LONGHI BRUNO

FUMAGALLI VITO 
Bardi 1938-Bologna 16 aprile 1997
Quinto figlio di Giuseppe, veterinario. Andò a studiare prima a Pontremoli al ginnasio, poi all’Università di Pisa, dove incontrò maestri di grande statura e presentò la sua tesi di laurea dedicata a Geraldo d’Aurillac, sotto la direzione di uno degli specialisti più famosi dell’Alto Medioevo, Ottorino Bertolini. Dopo cinque anni d’insegnamento nelle scuole superiori, venne ammesso all’Istituto germanico di Roma, diretto da Gerd Tellenbach, il maestro tedesco che seppe riunire attorno alla sua persona una vera scuola di studiosi, ostinati a decifrare i legami di parentela dei personaggi storici dell’Alto Medioevo. I molti anni di studio all’Istituto germanico furono decisivi per il Fumagalli: si trattò di anni di ricerche intensive, durante le quali si affermarono le sue convinzioni storiche attorno alla storia delle campagne e dei contadini e degli ambiti territoriali più vicini all’esperienza quotidiana degli uomini (i distretti minori, quelli emiliani, l’amministrazione periferica dell’Italia carolingia e la zona di Parma-Piacenza-Reggio vi hanno un posto di primaria importanza). Il volume su Adalberto-Atto di Canossa (Le origini di una grande dinastia feudale), pubblicato a Tubingen nel 1971 ne è il coronamento. La famiglia canossiana rimase un argomento caro al Fumagalli, se si pensa che poco prima della sua scomparsa uscì nel 1996 il volume sulla grande contessa Matilde (Matilde di Canossa. Potenza e solitudine di una donna nel Medioevo). Dopo gli anni tanto impegnativi del soggiorno all’Istituto germanico, cominciò la carriera accademica del Fumagalli. Assistente all’Università di Macerata durante l’anno 1969-1970, approdò nell’inverno 1970-1971 alla facoltà di lettere di Bologna, che non lasciò più fino alla sua scomparsa. Da allora sostenne trent’anni di attività ininterrotta tra l’Università di Bologna, come docente di storia medievale e direttore del dipartimento di paleografia e medievalistica, l’Istituto di storia ambientale di Bologna, di cui fu presidente, e il Centro Studi Valceno. Le sue doti di comunicatore andarono rischiarandosi e lasciarono un segno profondo non solo sugli allievi che lo accompagnarono nella vita accademica, ma in una moltitudine di altri, che, senza avere seguito la strada di una carriera accademica, portarono con sé gli interessi e i metodi del suo insegnamento, che veicolava i valori etici ed esistenziali che coinvolgono la persona nella sua totalità. Sarebbe peraltro ingiusto dimenticare quanto il Fumagalli fosse attento a mantenere stretti legami con il mondo della scuola, delle biblioteche, degli archivi, dei circoli e delle associazioni locali, partecipando a convegni, corsi di aggiornamento, lezioni e conferenze. Tale vitalità, che lo vide irradiare così fuori dell’Università, rappresentò uno dei risultati maggiori della sua attività didattica. L’opera scientifica del Fumagalli si concentra attorno a un tema fondamentale: lo studio del territorio e della vita degli uomini sul territorio. Si può riassumere la sua attività scientifica con tre titoli, che sono proprio al centro del metodo e della prospettiva seguiti dal Fumagalli: Terra e società nell’Italia padana (Einaudi, 1976), Il regno italico (secondo volume della Storia d’Italia, UTET, 1978), Città e campagne nel Medioevo (1979 e 1985), riscritto e divenuto nel 1993 La civiltà medievale, Aspirazioni e realtà di un’epoca. La metodologia della ricerca, il Fumagalli la definì in un modo chiaro nella voce Fonti storiche per il grande Dizionario enciclopedico UTET: In fondo tutte le fonti ci forniscono messaggi su tutti i quesiti che ci poniamo. Il problema nasce dal modo di entrare nel documento, di leggerlo e rileggerlo fino a diventare oltre che lettore protagonista. Al documento conviene saper parlare, ascoltarlo, farne un familiare con chi chiacchierare come con un amico. Il Fumagalli non ebbe una predilezione affermata per un tipo di documento, ma seppe affiancare testi narrativi, normativi e trattatistici a fonti documentari, quali livelli, donazioni, permute e testamenti. L’Alto Medioevo non gli forniva documenti di natura seriale e di fatti non gli piacque tale tipo di documentazione, ma di gran lunga preferì porre domande a documenti anomali e non codificati. Il tema campagna-città e rapporti città-campagna, che si fece sempre più vivo nel suo spirito, il Fumagalli lo studiò non tanto in termini di dialettica sociale, economica e politica ma innanzitutto come espressione di sensibilità diverse e atteggiamenti mentali. La città non fu tanto al centro delle sue indagini, poiché i suoi interessi lo portarono più a privilegiare la campagna e i contadini. Il titolo del suo libro Terra e società nell’Italia padana lo dice chiaro, senza per altro che sia assente all’interno la città altomedievale. Nel volume Il regno italico inserì i suoi temi favoriti di storia agraria e quelli riguardanti i rapporti uomo-ambiente: il lavoro quotidiano e la percezione del mondo degli uomini di allora. Fu per l’epoca, nella storiografia italiana, una novità che fece andare in secondo piano la storia politica. Basta aprire il libro sulla bella traduzione che fece del testo di Paolo Diacono della peste del 565 per capire quanto l’opera sia in rottura con altri vecchi volumi dedicati alla storia dell’Italia altomedievale. La trilogia degli anni 1987-1990, Quando il cielo s’oscura (1987), La pietra viva (1988) e Solitudo carnis (1990), con i sottotitoli Modi di vita nel Medioevo, Città e natura nel Medioevo e Vicende del corpo nel Medioevo, riassume in certo qual modo il percorso storico del Fumagalli. Nel 1991 il Comune di Bardi lo insignì del diploma di bardigiano onorario, per ringraziarlo dell’impegno sostenuto nello studio e nella promozione del territorio. In quell’occasione il Fumagalli puntò l’attenzione sull’unità storico-culturale Fornovo-Bobbio, di cui Bardi faceva parte. Quattro anni dopo in Parlamento ritornò su questo progetto proponendo un disegno di legge sulla valorizzazione della via Francigena. Il Fumagalli fu membro del senato accademico e del consiglio direttivo del Centro Studi Italiani sull’Alto Medioevo. Gli ultimi anni della vita del Fumagalli furono oscurati dalla malattia. La sua esperienza della vita politica (fu eletto deputato al Parlamento nelle file dei Progressisti) negli anni 1994-1996 non corrispose alla sua natura di studioso mite e scrupoloso. Ardente difensore della democrazia, intese comunque partecipare alla vita cittadina ma la sua salute era già gravemente alterata dalla malattia tumorale che poi ne causò la morte. Uscito dalla vita parlamentare, tornò, per poco tempo, a quella accademica, che, a dire la verità, non aveva mai completamente abbandonato.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 18 aprile 1997, 6; L. Caffagnini, in Gazzetta di Parma 21 aprile 1997, 30; P. Racine, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1997, 28-29.

FUMAGALLO G.
Parma 1732
Nel 1732 scrisse i versi della Canzonetta in allegrezza de’ Parmigiani e Piacentini mentre viene l’Altezza Reale di Don Carlo, Infante di Spagna, per suo Ser.mo Duca, composta sopra l’aria della Molinarella. (Parma, per gli eredi di Paolo Monti).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

FUMIANI GIACOMO 
Parma 1681-Parma 1709
Del Fumiani si conoscono unicamente due tavole con San Mauro che risuscita Eligio e San Mauro che ridà la vista al cieco Lino, provenienti dalla chiesa pavese di San Salvatore (nella Pinacoteca Civica di Pavia). Le opere risultano datate 1705 e rivelano culturalmente stretti legami con l’Abbiati. Un dipinto del Fumiani datato 1704 è ricordato a Parma dallo Zani.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker, XX, 1916; A.M. Romanini, La pittura milanese nel XVII secolo, in Storia di Milano, XII, Milano, 1959; Arte a Pavia. Salvataggi e restauri, Milano, 1966; Dizionario Bolaffi pittori, IV, 1973, 168.

FURI EGIDIO Parma 1249
Fu ambasciatore del Comune di Parma nell’anno 1249.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 331.

FURIA EUGENIO 
Parma 1855-post 1896
Assai scarse sono le notizie su questo pittore del secondo Ottocento parmense di cui non si conoscono che due opere. Il suo nome compare per la prima volta nei ruoli degli alunni dell’Accademia di Parma nel dicembre del 1870, allorché venne iscritto alla scuola di paesaggio elementare. Già nel 1871 venne promosso alla scuola di paesaggio superiore, dove seguì gli insegnamenti di  Guido Carmignani, mentre dal 1875 al 1877 frequentò con lusinghieri risultati anche i corsi di prospettiva e di disegno industriale. Numerosi furono i riconoscimenti che ottenne durante l’alunnato accademico nei concorsi a premi di scuola: menzione onorevole nel 1872 e 1873, premi di prima e seconda classe nel 1874, premio di seconda classe con lode in prospettiva elementare nel 1875 e premio di prima classe in prospettiva superiore nel 1877. Il Furia fu tardo pittore di architetture, il cui dignitoso mestiere è ravvisabile nelle due vedute che, alla Pinacoteca di Parma, documentano la sua attività: Il Ponte Dattaro presso Parma e Bastioni di porta San Barnaba.
FONTI E BIBL.: Archivio dell’Accademia di Parma, Atti, vol. 8, 1864-1877, seduta del 29 ottobre 1874, Ruolo, 1868-1877; Catalogo della Galleria di Parma, 1896; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, 1916, XII; A. Sorrentino, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1931; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni, Milano, II, 1971, 1315; Dizionario Bolaffi pittori, IV, 1973, 173; Giusto, 1991, 30-31; Città latente, 1995, 90.

FURIA GIOVANNI
Parma 1635/1663
Sacerdote, fu cantore ordinario della Cattedrale di Parma (1635). Fu anche suonatore di cornetto e lo si trova alla chiesa della Steccata di Parma tra i musici dal 1644 al 2 febbraio 1663.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 113.

FURIA LANFRANCO
Parma 10 giugno 1836-Parma 10 dicembre 1915
Bracciante, fece nel 1859 la campagna di Lombardia, poi nel 1860 prese parte alla spedizione dei Mille ma appartenne alla schiera degli sbarcati a Talamone per la diversione nello Stato pontificio sotto gli ordini dello Zambianchi. Partecipò anche alla guerra del 1866 per la liberazione del Veneto. Prima di ottenere la pensione dei Mille, esercitò il mestiere di merciaio ambulante e di venditore di fiammiferi.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano nelle epigrafi parmensi, Parma, Officina grafica Fresching, 1915, 356; Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 154; A. Ribera, Combattenti, 1943, 213.

FURLANETTI MARCO
Parma 1716/1762
Fu violinista della Cattedrale di Parma dal 22 giugno 1716 al 3 maggio 1762 e della chiesa della Steccata di Parma dal 25 marzo 1726 al 1757.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 178.

FURLANI ANTONIO 
Parma 1759/1775
Suonatore di viola, lo si trova a suonare nelle opere buffe date nel Teatro Ducale di Parma durante il Carnevale del 1761 e nell’agosto del 1773. Nel 1775 fu accettato per un triennio a suonare nell’Accademia teatrale di Parma. Per molti anni partecipò alle funzioni straordinarie della Steccata (dal 1759 al 1770).
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Teatro 1732-1843, cartella n. 1, Teatro 1770-1779, Affari diversi, cartella n. 2; Archivio della Steccata, Mandati 1759-1770; N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 203.

FURLANI GIOVANNI ISIDORO 
Parma ante 1740-1792
Abate, fu nominato il 20 marzo 1750 aiutante dell’oratorio della Real Casa, il 23 gennaio 1773 architetto ducale (Raccolta decreti sovrani, in Archivio di Stato di Parma), il 1774 tesoriere del consiglio privato di Ferdinando di Borbone e il 1° gennaio 1775 segretario di gabinetto. Nel 1751 venne mandato a spese della Corte a perfezionarsi a Bologna nel disegno di architettura. Vinse il concorso di architettura dell’Accademia di Belle Arti di Parma nell’anno 1761. Dal 1774 divenne professore della Reale Accademia di Belle Arti di Parma, di cui nel 1777 fu anche segretario. Costruì in Parma il Palazzo della Dogana (1768), edificio a bugne in tutta la sua facciata, possente di linea e tuttavia elegante. Il portale soprattutto è rimarchevole e lascia scorgere il portico del cortile e una prospettiva illusionistica. È incastrato tra due belle colonne con contropilastri dorici in marmo. Pure suo è il Palazzo Grillo, commissionatogli nel 1770 dal duca Scipione Grillo e completato nel 1772. Il Furlani, che pure ne fu allievo, sfuggì all’influenza del Petitot per ispirarsi ai modelli classici cinquecenteschi. La sua arte è sobria e imponente, ispirata come quella del Rasori alla nuova concezione neoclassica. Sembra che il Furlani sia morto di peste.
FONTI E BIBL.: Parma nell’Arte 3 1964, 218; M. Pellegri, Boudard statuario, 1976, 37; Accademia Parmense di Belle Arti, 1979, 57.

FURLANI STEFANO 
Parma 1831
Durante i moti del 1831 in Parma fu arrestato per grida sediziose commesse coll’atto del disarmamento della truppa sul piazzale della Corte. Fu processato e poi rimesso in libertà nel settembre 1831, ma sottoposto ad alcuni precetti.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 166.

FURLONI CESARE, vedi FULLONI CESARE

FURLOTTI AMATO 
Parma 10 agosto 1895-Dolina Zappatori 1 novembre 1916
Figlio di Amato e Ada Bonomi. Ancora studente, partecipò alla prima guerra mondiale e divenne sottotenente nel 42º Reparto Mitragliatrici. Dopo varie azioni belliche, nelle quali ebbe modo di dimostrare il proprio valore, a est di Oppachiesella, sul Carso, venne colpito da una granata alla testa e al petto, cessando di vivere poco dopo. Pochi giorni prima era stato ferito in combattimento all’occhio destro ma aveva abbandonato l’Ospedale di Palmanova per tornare alla propria mitragliatrice. Fu sepolto nel cimitero di Deretacchi.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Caduti e decorati parmigiani nella guerra di liberazione 1915-1918, Parma, Fresching, 1919; Gazzetta di Parma 10 e 11 novembre 1916; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 278.

FURLOTTI ANGELO 
Fontanellato 1869-Mendoza 1965 c.
Arrivò a Mendoza, in Argentina, nel 1889. Figlio di modesti agricoltori, nel 1901 comprò 25 ettari di terra incolta, che trasformò in una importante fattoria detta Santa Rosa. In seguito impiantò vigneti, organizzò la vendita all’ingrosso di tutti i suoi prodotti e fondò una grande società vinicola a Maipù. Impiantò anche grandi oliveti, poi amministrati dai figli. Arrivò a possedere dieci aziende e a produrre, già nel 1965, 390 mila ettolitri di vino.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 luglio 1989, 3.

FURLOTTI ARNALDO 
San Secondo Parmense 12 ottobre 1880-Parma 22 marzo 1959
Nacque da Eugenio, musicista dilettante, e da Lucia Varacca. Fu avviato agli studi musicali durante il seminariato: dapprima allievo dell’organista F. Savazzini, successore di G. Verdi all’organo delle Roncole, studiò poi, presso il Seminario vescovile di Parma, con il gregorianista G. Bonati. Nel 1906 venne nominato maestro di cappella della Cattedrale dal vescovo di Parma F. Magani. Continuò a studiare privatamente armonia, contrappunto e fuga con A. Galliera, insegnante d’organo presso il Conservatorio di Parma, e nello stesso anno si diplomò in canto corale. Nell’autunno del 1907 fu ammesso come allievo di G.A. Fano nella classe di composizione del Conservatorio della sua città. Nel 1905 il Furlotti fu ordinato sacerdote e si fece promotore del circolo musicale Camerata parmense insieme, tra gli altri, ai poeti M. Silvani e R. Guazzi, al critico musicale S. Copertini, allo scultore G. Bazzoni, ai musicisti L. Bevilacqua e V. Frazzi e al filosofo D. Spaggiari: organo del suddetto circolo fu la rivista culturale Medusa. Nel 1910 si diplomò in musica sacra e nell’anno successivo conseguì il diploma in composizione. Per l’occasione scrisse l’oratorio Iudith, poi eseguito e da lui stesso diretto al Teatro Regio di Parma il 13 novembre 1912 e al Teatro Vittorio Emanuele di Torino il 26 aprile 1914 (tra gli esecutori della prima rappresentazione figurano Elisa Ferrari Giardini, N. Fasciolo e P. Alberti). In quegli anni il Furlotti lavorò a buona parte della sua cospicua produzione di musica sacra e, insieme con Silvani e Guazzi, al libretto per un’opera teatrale, La samaritana, ispirata alla famosa parabola evangelica. Il lavoro di composizione fu però interrotto dall’arruolamento del Furlotti per il primo conflitto mondiale come cappellano militare. Successivamente venne incaricato dal duca d’Aosta di comporre una Messa da requiem per i caduti, eseguita e da lui stesso diretta nella basilica di Aquileia il 2 novembre 1916. Due anni dopo furono eseguiti al Regio di Parma due suoi poemi sinfonici, Voci del mare e Leggenda. Ritornato nella sua città dal fronte nel 1919, il Furlotti riprese la composizione dell’opera La samaritana, completata l’anno successivo. L’opera fu eseguita con successo nello stesso teatro il 4 aprile 1920: direttore d’orchestra fu G. Gandolfi, mentre i ruoli principali furono affidati a Giulia Tess (protagonista), P. Alberti, R. Calzolari, O. Bachini, Z. Zinconi e Cesira Ferrari. Nel settembre dello stesso anno il Furlotti partì per Buenos Aires, dove conobbe R. Strauss e dove poté assistere alla rappresentazione de La samaritana al Teatro Coliseo. L’opera conobbe ancora una certa fortuna in campo internazionale e fu rappresentata successivamente a Marsiglia e a Helsinki. Il periodo compreso tra il 1920 e il 1948 vide il Furlotti in piena attività: fu nominato consulente artistico alle prove del Regio di Parma, compose nuovi lavori teatrali, La Maddalena e Il martirio di Santo Stefano, il prologo L’annunciatore per l’oratorio Iudith, l’oratorio La nascita, la morte, la resurrezione del Signore e ancora moltissima musica sacra (ivi compresa la Messa Xaveriana per coro all’unisono e organo) e da camera (per violino e pianoforte, canto e pianoforte, oboe e orchestra e pianoforte), diresse ad Amburgo il suo Iudith, poi radiotrasmesso, e assisté all’esecuzione di suoi lavori ancora ad Amburgo e a Dubrovnik, infine insegnò al Conservatorio di Parma (istituto di cui fu pure bibliotecario) canto gregoriano e organo complementare a partire dal 1927 e storia della musica a partire dal 1938. Autore di musica prevalentemente sacra, tra le sue composizioni, conservate in gran parte presso la Biblioteca del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, si ricordano: Fanciulla morta, per 4 voci virili (Torino, 1928), Allegro, Andante, Allegro vivo, per violoncello e pianoforte (Firenze, 1932), Le quattro stagioni, per violino e pianoforte (Torino, 1932), Liriche per canto e pianoforte (Frammento, Non torna più, L’infedele, L’alouette, Ritorno; Parma, 1934), Motecta quatuor vocibus (Iustus si morte, Regina Coeli, Christus factus est oboediens, Adoramus te Christe, Requiem aeternam; Leipzig, 1935), Trois morceaux d’autrefois, per quattro corni (Chanson sacre, Chanson d’amour, Chanson profane, Paris, 1935), Missa Xaveriana in honorem beatorum martirum Siniensium, per coro all’unisono e organo (Milano, 1937), I pastori a Betlemme e I piccoli al presepe (in Raccolta di 17 pastorali per organo, Torino, 1937), Magnificat a tre voci virili e organo (Bergamo, 1938), Missa in honorem s. Ceciliae a due voci pari e organo (Torino, 1938), Benedicta tu a Deo tuo (O Salutaris hostia, Tantum ergo per mezzosoprano, baritono o coro all’unisono e organo o armonium, Torino, 1939), Iuravit Dominus a tre voci e organo (Torino, 1939), La samaritana, opera in tre atti (libretto di M. Silvani e R. Guazzi; Milano, 1942), Andante per violoncello e pianoforte (Milano, 1949), Maria assunta in cielo per coro all’unisono con accompagnamento (Firenze, 1950), Regina coeli, Exsultet orbis gaudiis, Ecce sacerdos magnus per coro a 2 voci e organo (Padova, 1953), Ave Maria per tenore solo e pianoforte (Torino, s.d.), Oremus pro pontifice nostro Pio a 4 voci dispari (Torino, s.d.), Tu es Petrus a 8 voci (2 cori; Torino, s.d.), cui vanno ad aggiungersi numerose altre messe, composizioni sacre di vario genere (inni, Magnificat, Tantum ergo, O salutaris hostia, salmi), pastorali per organo, liriche per canto e pianoforte e altra musica da camera. All’attività di compositore il Furlotti associò quella di teorico. Tra i suoi scritti più importanti si ricordano: Riccardo Guazzi (Parma, 1918), Canto gregoriano: elementi teorici di accompagnamento (Parma, 1934), Il Brigidin di F. Dall’Ongaro musicato da Giuseppe Verdi (Parma, 1941), Il conservatorio Arrigo Boito di Parma (Firenze, 1942), la raccolta di brevi saggi Riflessi e profili 1918/1949 (Parma, 1949), Fondamenti fisici della musica (Parma, s.d.) ed Elementi di xemiografia musicale (Parma, s.d.).
FONTI E BIBL.: Recensioni in la Gazzetta di Parma e ne Il Piccolo di Parma del 6 aprile 1920; M.V. Recupito, Artisti e musicisti moderni, Milano, 1933, 118 s.; R. Martini, Vita di un musicista parmense, Magenta, 1949; R. Martini, Il musicista sacerdote: Arnaldo Furlotti, in San Secondo. Arte, storia, attualità, Parma, 1970, 127-150 (con elenco delle composizioni); C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, I, 574 s.; Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti, Le biografie, III, 61; L. Giannetti, in Dizionario biografico degli Italiani, L, 1998, 782-783.

FURLOTTI GIOVANNI
Felino 24 giugno 1910-Uork Amba 28 febbraio 1936
Nato da Giuseppe e da Adalgisa Stocchi. Visse con la famiglia a Ozzano Taro. Prestò il servizio militare nel 232º Reggimento Fanteria a Bolzano, cattivandosi la stima dei superiori per la sua disciplina e la sua volonterosità. Congedatosi nel 1923, si iscrisse alla M.V.S.N. Fu tra i primi a chiedere di essere arruolato come volontario e, ottenuto di partire con la 180ª Legione, si imbarcò a Napoli il 6 settembre 1935. Partecipò a tutti i fatti d’arme nei quali fu impegnata la 2ª Divisione 28 Ottobre. Cadde colpito mortalmente nella seconda battaglia del Tembien. Venne sepolto nel cimitero Medaglia d’oro Padre Giuliani a Passo Uarieu. Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare alla memoria, con la motivazione: Mentre coraggiosamente slanciavasi in soccorso di ufficiale ferito, cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’Impero, 1937, 246; Decorati al valore, 1964, 41.

FURLOTTI GUGLIELMO 
Parma 24 dicembre 1837-Parma 24 gennaio 1912
Figlio di Giovanni Maria Antonio e Costanza Bonani. Ardente repubblicano e garibaldino, prese parte come volontario, insieme coi fratelli Alberto e Attilio, alle campagne del 1859 e del 1860-1861 con Garibaldi. Nel 1861 entrò nell’esercito regolare arruolandosi nel 25º Battaglione Bersaglieri comandato dal maggiore Pinelli. Di nuovo con Garibaldi partecipò alla campagna d’Aspromonte e vi fu fatto prigioniero. Condannato a morte, riuscì a tenersi nascosto finché ebbe mutata la pena capitale in quella del carcere a vita. Graziato nel 1865, combatté l’anno dopo con Garibaldi nel Trentino e per un atto di valore compiuto a Bezzecca ottenne le spalline di ufficiale. Nel 1867 fu di nuovo con Garibaldi a Mentana. Fu sepolto nel cimitero di Parma con la seguente epigrafe: Qui riposa la cara Salma di Gugl. Furlotti morto il 24-1-1912 d’anni 74 buon cittadino e patriota combattendo da eroe nelle campagne 1859-60-61 e 67 per il bene della patria. I figli per eterna memoria.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il Risorgimento italiano nelle epigrafi parmensi, Parma, 1915, 127, 327, 361, 365, 374, 387; G. Zimolo, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1933, III, 154; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 146.

FURLOTTI PIER GIOVANNI 
Parma 1831
Prese parte ai moti del 1831. In seguito non fu inquisito ma sottoposto a sorveglianza. L’autorità di polizia compilò la seguente scheda segnaletica: Sotto tenente in ritiro, ora corriere presso la principessa Orsolina di Bourbon. Trovavasi con un distaccamento di gioventù riscaldata a S. Prospero allorché si temeva che le truppe imperiali passassero il fiume Enza e mostravasi assai volenteroso di battersi con esse. Ritornato da Borgo S. Donnino, dopo il fatto di Fiorenzuola, e sentendo ch’erasi levata la bandiera tricolorata dalla piazza d’armi, incoraggiava il popolo a sostenersi nell’indipendenza assicurando con la sciabola nuda alla mano che i Tedeschi non sarebbero altrimenti venuti ed in unione all’ora fuggitivo Conte Bertioli fece di nuovo inalzare la bandiera.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 169.

FURLOTTI PIERO, vedi FURLOTTI PIETRO

FURLOTTI PIETRO 
Noceto 18 febbraio 1906-Noceto 4 gennaio 1971
Nato in una famiglia con tradizioni pittoriche (decoratori e freschisti attivi nelle ville, nei palazzi e nelle chiese del Parmense, in particolare nel territorio di Noceto), fin da ragazzo aiutò il padre Torquato e il fratello Bruno nel lavoro di decoratore, apprendendone i segreti e sperimentandosi nella pittura murale così come nella tecnica della riproduzione pittorica. Compì gli studi presso l’Istituto d’Arte di Parma, allievo di Paolo Baratta e Guido Marussig. Nel 1924 si diplomò e due anni dopo fu chiamato a sostituire Atanasio Soldati alla cattedra di decorazione della Scuola del Libro di Milano, iniziando così quella carriera scolastica che poi portò avanti ininterrottamente per quarantaquattro anni. Sin dagli inizi si dedicò alla pittura murale e all’illustrazione grafica realizzando le prime copertine del Radiocorriere e, soprattutto, curando le illustrazioni di molte opere letterarie e poetiche di Renzo Pezzani (Focovivo, Angeli Verdi, Innocenza) cui fu sempre legato da affettuosa amicizia, di Giuseppe Perlini (Gäroi ad nozi) e di Alfredo Zerbini (Sott’al Torri di Pavlot). Per quanto riguarda l’attività di pittura murale, si possono ricordare, tra le opere più importanti, numerosi e imponenti affreschi nelle sale del castello di Castelguelfo, decorazioni e rappresentazioni sacre nella chiesa di Noceto, la pittura murale nell’atrio della scuola elementare Pezzani di Noceto e molte tempere per le varie agenzie della Cassa di Risparmio di Parma. Si dedicò pure alla cartellonistica con notevoli risultati: nel 1951 vinse il 1º premio a un concorso nazionale realizzando le dodici scene per l’opera di Verdi Macbeth. Vinse inoltre numerosi concorsi a carattere nazionale per la realizzazione di manifesti pubblicitari. Fin da giovane si dedicò alla pittura da cavalletto, ottenendo numerose affermazioni e riconoscimenti e allestendo diverse mostre personali con notevole successo di critica e di pubblico. Dal 1961 al 1971 tenne la cattedra di scenotecnica all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma. Fu assessore, poi vice sindaco e quindi sindaco di Noceto dal 1951 al 1956 e primo preside della locale scuola media, da lui stesso voluta e istituita, nonché promotore e animatore di innumerevoli manifestazioni culturali. Il progressivo distacco dall’attività politica e una recuperata tranquillità gli consentirono di dedicare l’ultimo lungo periodo della sua produzione a una rinnovata fase di ricerca pittorica, dove lo studio delle tecniche diversificate gli permise di conseguire nuovi traguardi nella pittura su tela, soprattutto di paesaggio, giocata soprattutto en plein air, e ancora nella decorazione a fresco e tempera a muro. Fu sepolto a Noceto.
FONTI E BIBL.: E. Padovano, Dizionario artisti contemporanei, 1951, 139; L’improvvisa scomparsa del prof. Piero Furlotti, in Gazzetta di Parma 5 gennaio 1971; Piero Furlotti, in Gazzetta di Parma 13 gennaio 1971; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 473; Rossetti, Noceto e la sua gente, 1977, 294-295; Gazzetta di Parma 30 aprile 1992, 18; Aurea Parma 3 1992, 268-269.

FURLOTTI RICCARDO
Parma 8 novembre 1856-Parma 28 gennaio 1929
Entrò nella Regia Scuola di musica di Parma come allievo di violoncello e di clarinetto, uscendo dall’Istituto nel 1873. Esercitò la professione di violoncellista per vari anni in Italia e all’estero e nel 1875 fu maestro del coro al Teatro Dal Verme di Milano, per darsi poi alla direzione d’orchestra. Diresse diverse stagioni aVicenza, Lodi, nel 1878 a Verona, al Teatro Sannazzaro a Napoli, poi al Teatro Regio di Parma (1884-1885), a Torino, a Milano (Teatro Manzoni), a Vienna e a Trieste (1885). Qui fu espulso dalla polizia in quanto vi aveva diretto la Marcia Reale italiana. Nel 1885 partì per l’Argentina. Iniziò la propria attività come maestro sostituto e maestro del coro al Teatro Colon di Buenos Aires, poi prese in affitto il giardino Florida a Cordova e intraprese la direzione di concerti orchestrali (fino al 1887). Nel 1888 fu a capo dell’Associazione musicale Beethoven. Diresse delle opere, fondò scuole di musica e, amico del presidente della repubblica Ippolito Irigoyen, fu messo a capo dell’istruzione musicale per le scuole normali argentine. Nel 1925, pensionato dal Governo argentino, tornò a Parma per morirvi.
FONTI E BIBL.: C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, 3, 1938, 326; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 73; G.N. Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 53; Dietro il sipario, 1986, 282; A. Del Bono, in Gazzetta di Parma 3 luglio 1989, 3.

FUSARI ALESSANDRO
Belforte 1618
Nel 1618 fu nominato aiutante del terzo di Belforte.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 292.

FUSARI FERDINANDO Parma 1838/1840
Fabbricante di maioliche, ricordato da un documento datato 5 dicembre 1838: Ferdinando Fusari Fabbricatore di terre e stoviglie nelle Fonderie di Parma, desiderando di potere siccome negli scorsi anni, esporre a pubblica vendita in codesta Piazza Grande di Parma i diversi oggetti di sua Fabbricazione, supplica la V.S. Ill.ma affinché si compiaccia di dare gli ordini opportuni affinché siano destinate a quest’uopo i consueti due quadrati. La manifattura, che negli ultimi anni fu gestita da Antonio Fusari, cessò l’attività attorno al 1861. Di questa manifattura è conosciuta una ciotola in maiolica decorata all’interno con ornati in blu e uno stemma. Datata 1840, porta il nome del Fusari. Il pezzo è conservato al museo della Rocca Sanvitale di Fontanellato.
FONTI E BIBL.: G. Dondi, Maioliche e vetri, 1990, 62.

FUSARI GIACOMO 
Parma 1764/1781
Fu nella milizia ducale di Parma nel 1764 col grado di tenente e divenne tenente colonnello nel 1781.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 292.

FUSARI GIAN TOMMASO 
Parma 1693/1695
Fu creato banchiere ducale il 5 gennaio 1693. Nel 1695 ricevette una patente ducale di familiarità.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, 3, 1930, 291-292; Dizionario banchieri, 1951, 100.

FUSI GUIDO 
Salsomaggiore 1906-Salsomaggiore Terme 8 dicembre 1996
Entrato giovanissimo nella banda cittadina di Salsomaggiore, suonò diversi strumenti, ma in particolare il trombone. Fu anche membro della corale che era stata fondata da Gino Gandolfi. Nell’immedito dopoguerra fu uno dei fondatori della banda di Salsomaggiore, diventandone poi il direttore e l’istruttore nella scuola di musica annessa.
FONTI E BIBL.: Moriva un anno fa Guido Fusi, in Gazzetta di Parma 8 dicembre 1997.

FUSIA ALBERTO, vedi FUSIA GIOVANNI

FUSIA GIOVANNI Parma ante 1278-1316/1335 Figlio di Alberto, fu medico rinomatissimo: Magister Johannes dictus de Parma filius quondam Domini Alberti de Fusia. È registrato tra gli allievi illustri dell’anno 1278 dell’Università di Bologna. Nell’anno 1298 andò a Bologna a leggervi, forse privatamente, medicina. In un documento scoperto dal Cavazza (Le scuole dell’antico Studio bolognese, doc. XLI), è raccontato che il Fusia, avendogli ai primi di luglio del 1301 il rettore dell’Università dei medici mandato nella sua scuola un dottore per fargli certe ambasciate, egli, vedute le lettere, scese di cattedra e, fattosi incontro al malcapitato, lo prese a schiaffi, poi, non contento, gli tolse il cappuccio e lo acciuffò per i capelli gridandogli in viso ogni sorta d’ingiurie. Probabilmente per causa di questo incidente, piuttosto che per la ragione cui pensa l’Affò (che cioè, non essendo ancora i maestri stipendiati del Comune, non gli piacesse dover estorcere un qualche pagamento dagli scolari), egli lasciò Bologna e andò a insegnare a Brescia per il magro compenso di quaranta lire all’anno. Se non che, il suo allontanamento provocò vive lagnanze degli allievi bolognesi di medicina, i quali tanto brigarono presso il Comune che pochi anni dopo (1308) ottennero gli fosse mandata un’apposita ambasceria dal rettore dell’Università per invitarlo a riprendere l’insegnamento in Bologna: Primus enim ab eadem Universitate anno mcccviii ad Medicinam docendam electus stipendium ex publico accepit Joannes Parmensis, vir aetate sua admodum celebris, de quo alio loco dicemus. L’Alidosi (Dottori forestieri che hanno letto in Bologna, 28) afferma che ciò avvenne nel 1309 e il Ghirardacci (Istoria di Bologna) nell’anno 1311: Ritrovandosi nella Città di Brescia Gioanni da Parma Professore dell’Arte di Medicina, dove pubblicamente leggeva col salario di quaranta lire l’anno, il Consiglio di Bologna, ad istanza del Rettore dell’Università degli Scolari, che studiavano in Medicina nella Città di Bologna, mandò Ambasciadori et lettere alla detta Città, et al detto Gioanni, acciocché gli fosse concesso, et ch’egli venisse col salario di cento lire l’anno. Quella Città, ch’era anco in travaglio, volentieri acconsentì, et il detto Gioanni, desideroso di compiacere i Bolognesi, tutto contento con la sua famiglia et robbe venne. Da allora non si mosse quasi più da Bologna, dove si ammogliò ed ebbe vari figli. Nello stesso anno 1311 il cardinale Leonardo Guarcino, vescovo di Albano, chiamò il Fusia a Lucca perché, provenendo da Avignone per andare a Roma, si era ammalato e volle essere da lui curato, come appare dal suo testamento: Item volo et mando satisfieri Magistro Johanni de Parma Medico de salario, seu labore suo pro diebus illis, quibus in servitio meo stetisse reperietur, si ci non esset per me, vel de mandato meo prius pro hujusmodi servitiis forsitan satisfactum. Nel 1314 il Fusia era ancora lettore a Bologna, mentre nel 1315 fu chiamato, con Pietro d’Albano e Angiolieri da Monte Martino di Piacenza, a insegnare medicina a Treviso. Il Fusia diede in moglie sua figlia Giacoma a Bertuccio, medico celeberrimo e professore in Bologna.

FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 42-49; R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1930, 74-75.

FUSTERI CARLO
1553-Busseto 23 aprile 1628
Si laureò a Parma nelle leggi civili e canoniche. Prima di essere nominato nel 1613 prevosto di Busseto, fu per ventidue anni canonico di quella collegiata. Ebbe col vescovo Giovanni Linati una clamorosa lite e per tale ragione fu sospeso a divinis con editto del vicario e cancelliere vescovile affisso in pubblico il 14 aprile 1615 e dal Fusteri dichiarato nullo con altro editto da lui stesso emanato. Il Fogaroli lo definisce homo gioviale, da bene e prudente assai, ma di poche lettere. Nei quindici anni di ministero si rese benemerito per l’opera assidua da lui spiegata nell’incrementare nel popolo, con varie iniziative, la fede e la pietà. La sua salma riposa nella Collegiata bussetana in un sepolcro situato ai piedi della scalinata di accesso all’altare maggiore.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 168.

FUSTINI GIUSEPPE Borgo San Donnino 1766-1816 c.
Il Fustini ebbe modestissima fama di miniatore.
FONTI E BIBL.: C. Malaspina, Nuova Guida di Parma, 1869, 172; A. Musiari, Neoclassicismo senza modelli, 1986, 271.

Teca Digitale Biblioteche del Comune di Parma - V.lo Santa Maria 5, 43125 Parma (PR)

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