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Dizionario biografico: Abati-Adam Guido

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ABATI-ADAM GUIDO


  

ABATI
Ranzano XVII secolo
Falegname, artefice di un’ancona in Santo Stefano a Ranzano (Palanzano).
FONTI E BIBL.: A. Santangelo, 1934, 271; Il mobile a Parma, 1983.

ABATI PIETRO GIOVANNI, vedi ABBATI PIETRO GIOVANNI

ABBANESI OTTORINO, vedi ALBANESI OTTORINO

ABBATI ALESSANDRO
Parma XIX secolo
Cavaliere dell’Ordine Pontificio dello Speron d’Oro, fu capispettore del Patrimonio dello Stato.
FONTI E BIBL.: Almanacco della Ducal Corte, 241; Per la Val Baganza 8 1986, 171.

ABBATI CARLO
(1957-Parma 16 giugno 1999)

Compiuti gli studi classici al liceo Romagnosi di Parma, intraprese con passione gli studi di medicina e, dopo essersi brillantemente laureato con una tesi sperimentale in neurologia, iniziò l’attività professionale come volontario della Divisione neurologica di Fidenza diretta dal professor Saginario, che gli fu maestro di studi e di ricerca. Vinti numerosi concorsi e assunto come assistente in direzione sanitaria all’Ospedale Maggiore di Parma, maturò una prima significativa esperienza dei problemi concreti della sanità pubblica e, senza mai trascurare gli studi, si specializzò con lode all’Università di Parma dapprima in neurologia e quindi in psichiatria. Forte di una solida e profonda preparazione, vinse il concorso di assistente al Servizio psichiatrico dell’Unità sanitaria locale di Fidenza, dove si prodigò con grande impegno nell’assistenza dei malati psichici anche sul territorio e dove organizzò, sotto la direzione del professor Bassi, il settore di assistenza psichiatrica, additato a esempio da giornali e riviste specializzate. Passato alla divisione Neurologica dell’ospedale fidentino, nell’équipe del professor Montanari, da ultimo si impegnò, oltre che nella normale attività di reparto, anche nello studio e nella cura della sclerosi multipla e si adoperò strenuamente per il potenziamento del nuovo centro per la cura di tale patologia, centro che conseguì fama nazionale e internazionale. Accanto all’attività all’ospedale, assiduo studioso, continuò a svolgere con impegno e passione l’attività di ricerca in diverse istituzioni pubbliche e private, ottenendo importanti riconoscimenti. Frutto dell’intensa attività di ricerca è un cospicuo numero di sue pubblicazioni nel campo della neurologia, della neurobiologia e della psichiatria. Morì a seguito di un incidente stradale.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 giugno 1999, 9.

ABBATI GIOVANNI BATTISTA
(Parma 1515)
Nel 1515 era ostiario del papa Leone X in Roma.
FONTI E BIBL.: A. Bertolotti, Artisti Parmensi in Roma, in Atti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia Patria per le Province Modenesi e Parmensi 1 1883.

ABBATI GIUSEPPE
(Parma 4 marzo 1853)
Fu studiosissimo e raccolse con singolare impegno varie notizie spettanti alla Collegiata e al Capitolo del Battistero della Cattedrale di Parma, e le pubblicò nel Calendario che fece per molti anni a uso del medesimo. Fu Rettore di Santa Maria Maddalena, cui venne obbligato dal Papa a rinunciare per ottenere la Dogmania. Predicò la divina parola nella città di Parma e fuori con frutto, e con assiduo zelo.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie Cronologica dei Vescovi, I, 1856, 342.

ABBATI NORBERTO
(Parma 1895-Sagrado 1 maggio 1916)
Figlio di Guerrino, muratore. Soldato fante zappatore nel 19° Reggimento Fanteria, fu decorato sul campo di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Sprezzante d’ogni pericolo, dava esempio di grande coraggio per superare gravi difficoltà nella costruzione di un importante approccio, finché cadeva mortalmente ferito. S. Martino 30 aprile 1916. Morì nella 21a Sezione di sanità in seguito a ferite multiple d’artiglieria riportate in combattimento. Fu sepolto nel Cimitero di Sagrado.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Gazzetta di Parma 7 aprile e 26 maggio 1917; G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 5; Decorati al valore, 1964, 73.

ABBATI PIETRO GIOVANNI
(Parma 1683/1745)
Figlio di Bernardo, visse tra la seconda metà del secolo XVII e la prima del XVIII. Le date di nascita e di morte (1708-1790) riportate dallo Janelli, che cita come fonte lo Scarabelli, sono evidentemente errate, perché in contrasto con i documenti riferiti nel suo manoscritto dallo stesso Scarabelli, il quale non può, quindi, aver fornito tali erronei elementi. Allevato dai domenicani della chiesa di San Pietro Martire a Parma, fu da questi affidato a Ferdinando Galli-Bibiena, da cui apprese la scenografia. La prima notizia certa su di lui è quella che lo ricorda quale testimone in un atto del 25 agosto 1683. Nel 1703 fece disegni per le scene al Regio Teatro di Torino. Il 28 gennaio 1706 era già in buone relazioni con la Corte di Parma e ne ottenne una commendatizia per Venezia. Nel 1707 fece una raccolta di prospettive del Bibiena e nel maggio 1714 le scene di bizzarra invenzione per il dramma per musica Carlo, Re di Alemagna di G. Orlandini, rappresentato al Teatro Ducale di Parma. Qui il suo nome è accompagnato dalla denominazione di servitor familiare del serenissimo Duca di Parma. Nello stesso anno dipinse altre scene per il teatrino privato dei duchi Farnese. Ma solo dal 25 novembre 1718 ricevette una provvigione fissa mensile di lire 73 in moneta corrente di Parma, provvigione che gli venne tolta nel 1727. Un altro pagamento di lire 1500 viene registrato al suo nome il 26 gennaio 1733 per l’assistenza da lui data al vestiario della danza a cavallo nella farsetta recitata in onore del Duca. Questa è l’ultima data certa della sua attività di scenografo, operante per teatri di numerose città, oltre che a Parma: in Urbania, ove fece tutto uno scenario per il teatro, a Torino, a Bologna e a Vienna. Ma si sa che fu anche incisore all’acquaforte e M. Oretti lo dice, pur senza darne documento, ancora operante nel 1745. Alcune notizie ne tratteggiano poi il carattere: infatti nel 1727 promise di beneficiare dopo la sua morte con lire 10.000 l’opera pia per i figli illegittimi (vedi Borra, Diarii). Ebbe a Parma due discepoli, Giuseppe Pellizzoli ed Agostino Filippi, coi quali per naturale suo umore allegro, anziché da maestro, da fratello trattando, di burle e arguti motti arricchiva il conversare. Rimangono di lui: Disegni delle scene che servono alle due opere che si rappresentano l’anno corrente (1703) nel Regio Teatro di Torino, invenzione di Ferdinando Bibiena, poste in opera, dipinte e dedicate da me Pietro Giovanni Abbati all’Altezza Reale di Carlo Emanuele Duca di Savoia. Carlo Antonio Buffagnotti intagliò e Varie opere di prospettiva inventate da F. Galli raccolte da P. Abbati e intagliate da C.A. Buffagnotti, Bologna, 1707.
FONTI E BIBL.: Archivio Comunale di Parma, ms. 88; G. Borra, Diarii parmensi, V, alla data 13 ottobre 1727; Bologna, Biblioteca Comunale, ms. B. 132; M. Oretti, Notizie dei professori del disegno bolognesi et forestieri, tomo X, c. 203; Biblioteca del Museo Nazionale di Antichità di Parma, ms. 12; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI (1651-1700), cc. 1-4; Parma, Biblioúteca Palatina, ms. 1106 (senza paginazione): notizie sull’Abbati tratte da note ms. dell’Affò; G. Bertolucci, Cenni intorno ad artisti specialmente parmigiani; P. Zani, Enciclopedia metodica delle Belle Arti, I, 1, Parma 1819, 291 (ricorda l’Abbati solo come incisore e architetto e senza alcuna datazione); A. Ilg, Die Fischer vom Erlach, Wien, 1891, p. 626 (con ulteriore bibliografia e con notizie di dipinti dell’Abbati conservati tra l’altro a Sibiu e a Graz, dove tuttavia essi non sono attualmente identificabili); J. Meyer, Allgemeines Künstler-Lexikon, I, p. 10; U. Thieme-F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, I, 11; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 1; Enciclopedia dello Spettacolo, I, 7; A. Ghidiglia Quintavalle, in Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 27.

ABBATIA SABINA
Parma 140 d.C.
Di condizione incerta, menzionata da Flegonte di Tralles tra i longevi vissuti cento anni della città di Parma. A differenza del nomen Abbatia, non documentato a Parma e in Cisalpina, Sabina è cognomen assai comune, ampiamente documentato anche a Parma.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses. 1986, 47.

ABBONDI MASSIMO, vedi ABLONDI MASSIMO

ABDESIO EPIDANEO, vedi FERRARI GIORGIO

ABELLI LUIGI
Parma 14 aprile 1889-1965
Figlio di Tancredi e di Adalgisa Bacchini. Fu custode del Municipio, donzello capo e banditore. Lavorò presso il Comune di Parma per 47 anni. Durante la seconda guerra mondiale si rifiutò di lasciare il palazzo municipale, che custodì giorno e notte. Un suo intervento, durante l’occupazione tedesca, salvò i preziosi quadri del Comune dall’asportazione.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 7

ABELLI PASQUALE
Calestano 1911-Parma 1960
Si laureò in Chimica farmaceutica e divenne titolare di farmacia a Parma, in strada Cavour. Fu Presidente del circolo stenografico Leone Bolaffio, Presidente dell’Ordine dei farmacisti di Parma e sindaco di Calestano. Fu tra i fondatori della sezione Parma Nuova della Democrazia cristiana. Morì d’infarto.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 7.

ABFOLTER PASQUALE
Parma 1654
Fu orefice in Parma nel 1654.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker (E. Scarabelli Zunti, ms. della Biblioteca Palatina in Parma); L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 52.

ABISSINO, vedi BUCCI BRUNO

ABLONDI GIOVAN BATTISTA
Parma 1606/1622
Religioso, fu suonatore di cornetto nella chiesa della Steccata di Parma, eletto l’8 gennaio 1610, ove si fermò fino al giugno del 1622. Anche prima, quale aiutante della musica e suonatore, prestò la sua opera in occasioni straordinarie, ottenendo in compenso dei donativi, come nel 1606.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 82.

ABLONDI MASSIMO
Calestano 1893-Monte Zebio 19 giugno 1917
Sergente, figlio di Zeffirino. Appartenne al 3° Reggimento Fanteria. Fu decorato con la medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Costante, mirabile esempio di coraggio, con irresistibile slancio, primo fra i primi del proprio reparto, si spingeva all’assalto della trincea nemica e, raggiuntala, vi cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 51a, 4259; Decorati al Valore, 1964, 31.

ABBATI GIOVANNI
Parma 1853
Violinista. Con decreto 12 dicembre 1853 fu nominato professore della Reale Orchestra di Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

ABSBURGO MARGARETE
Audenarde 28 dicembre 1522-Ortona 18 gennaio 1586
Figlia illegittima di Carlo V e di Giovanna van der Gheynst. Fu amorevolmente allevata dall’arciduchessa Margherita d’Asburgo e dalla regina Maria d’Inghilterra ed educata secondo il suo rango, per servire all’ambizioso gioco politico del padre. Era ancora bambina quando Carlo V la promise sposa ad Alessandro de’ Medici, pronipote o addirittura figlio di Papa Clemente VII, come un prezioso pegno di pace dopo il sacco di Roma del 1527. Tuttavia solo il 7 gennaio 1533 ella partì da Malines per raggiungere Firenze e lo sposo che non conosceva, ma che la pubblica voce diceva di intelligenza aperta, intraprendente e prestante. Dopo una prima, festosa sosta a Firenze (17 aprile) e una seconda, non meno festosa e solenne a Roma, l’Absburgo raggiunse Napoli, dove rimase ospite del viceré spagnolo fino al tempo di consumare il matrimonio essendo ancora molto putta. Le nozze si celebrarono solo quando l’Absburgo raggiunse quattordici anni (29 febbraio 1536), alla presenza dell’Imperatore, trionfante per la vittoriosa impresa che l’aveva condotto alla conquista di Tripoli. Nello stesso anno fece il suo ingresso a Firenze, vezzeggiata e adulata. Ma potè vivervi lietamente per poco in quanto il 5 giugno 1537 Alessandro cadde sotto il pugnale del cugino Lorenzino de’ Medici. L’Absburgo fu costretta a rifugiarsi nella fortezza del Basso, appena costruita, dove la confortò l’assidua corrispondenza con il padre, preoccupato sia per lei sia per i mutamenti della politica italiana, di cui la giovane vedova costituiva un’importante pedina. Tanto è vero che subito ella ebbe dei pretendenti, tra cui lo stesso Cosimo de’ Medici, che aveva assunto il governo di Firenze. Certo l’Absurgo contava molto. Voleva dire l’appoggio dell’imperatore e il cospicuo patrimonio che era venuto a concentrarsi nelle sue mani: il Ducato di Penne e le terre d’Abruzzo, palazzi e case in Roma, Castel Sant’Angelo, Castel Madama, e denaro, ori e preziosi. Quando all’Absburgo venne proposto come secondo marito Ottavio Farnese, il figlio di Pier Luigi, recalcitrò e si oppose. Trovò molto da ridire su cose, su persone, su Ottavio, sul contratto matrimoniale, sugli incaricati a trattare le pratiche. Ma alla fine, contenta o no, dovette cedere, e giunse a Roma con aria altera e polemicamente ancora vestita a lutto. Né le accoglienze particolarmente fastose, né l’atteggiamento affettuoso del papa Paolo III Farnese la fecero recedere dalla sua presa di posizione. Le nozze comunque si fecero, per lo meno sulla carta il 12 ottobre 1538. Ma Ottavio, di alcuni anni minore della sposa (aveva tredici anni) era timido, goffo e pieno di soggezione, ed ella, sentendosi troppo intelligente per un marito così, cominciò a snobbarlo. Non convivevano, s’incontravano casualmente come due estranei, ma la ragion di stato esigeva che il matrimonio fosse consumato. Vaticano e Spagna fremevano e tempestavano di messaggi, l’alta diplomazia era in fermento. A Roma coccolavano l’Absburgo, e da Madrid, Carlo V rimproverava la figlia. Lei mise in campo un sacco di scuse per non dormire con il marito e si attaccò a tutti gli appigli per chiedere l’annullamento dicendo anche di non aver pronunciato la formula di rito al momento delle nozze. Carlo V fece esaminare da un’apposita consulta le ragioni da lei invocate, che, peraltro, vennero dichiarate insussistenti. Questo responso piegò alla fine la volontà dell’Absburgo dopo due anni di rancori e castità. Il 27 agosto 1545 diede alla luce due gemelli, Carlo e Alessandro, che, presentati in una culla d’argento, vennero battezzati in Sant’Eustachio di Roma alla presenza di diciannove cardinali, padrini Carlo V e la regina di Francia. Uno dei neonati, Carlo, morì poco dopo, ma l’altro divenne una delle figure più rappresentative del Cinquecento italiano. Spogliata in quell’anno col marito dei ducati di Nepi e Camerino, coinvolta per l’assassinio di Pier Luigi (1547), nell’ardua lotta con la Francia, con Roma e con l’Impero, più forte del marito, sostenne intrepida e risoluta i diritti farnesiani ed ebbe parte vivissima nei trattati col padre e con la Chiesa perché Parma e Piacenza fossero ridate al marito. Dopo molte lotte, queste vennero alfine, per la pace di Gand (15 Aprile 1556), riconfermate ai Farnese. Religiosissima, di una devozione forse più formale che intimamente sentita, sostenne, specie nel periodo in cui fu a Roma, il nascente ordine di Sant’Ignazio di Loyola. L’Absburgo lasciò Roma nel 1550 dopo avervi soggiornato per dodici anni (villa Madama è da lei che prende il nome). Entrò trionfalmente a Parma il 2 luglio 1550 tra il giubilo del popolo, accolta da una ricca cavalcata di nobili e magistrati guidati dal marito e preceduta da due schiere di giovanetti splendidamente vestiti, parte in nero e parte in bianco, con in capo berretti piumati. Per quasi nove, difficili anni rimase a Parma a lottare per conservare un impossibile equilibrio tra i contrastanti interessi del suo casato, dell’Imperatore e del Papa. Ottavio si era gettato nel 1551 in braccio alla Francia, rischiando di dare esca a un incendio che avrebbe potuto coinvolgere l’intera Italia. Il nuovo papa Giulio III dichiarò decaduto il Farnese e Parma fu assediata dalle coalizzate truppe pontificie e imperiali. L’intervento francese e altre circostanze condussero alla tregua e al riconoscimento del Ducato. Poi venne l’abdicazione dell’imperatore Carlo V e l’ascesa al trono del regno su cui mai tramontava il sole di Filippo II, il quale espresse il desiderio che il nipote Alessandro venisse educato a Corte. L’Absburgo decise di accompagnare il figlio, prima a Bruxelles e poi a Londra, anche per poter vedere, dopo tanti anni, la patria lontana e il padre. Ma questi, deciso a ritirarsi nel silenzio di un chiostro, era già partito per la Spagna. L’Absburgo non lo vedrà più: avrà notizia della sua morte, avvenuta nel monastero di San Giusto in Castiglia il 21 settembre 1558, al suo ritorno da un viaggio a Bruxelles. Nel 1556 decise di erigere a Piacenza un edificio degno di lei e dei Farnese. I lavori della costruzione, sotto la direzione del Vignola, interrotti durante l’assenza della Duchessa impegnata nel governo delle Fiandre, furono ripresi in seguito dalla Comunità piacentina, che poi dovette sospenderli definitivamente a causa delle spese eccessive. Nel 1559 la difficilissima situazione delle turbolente Fiandre, in cui le aspirazioni di indipendenza si complicavano con i profondi contrasti di lingua, nazionalità e religione, indusse Filippo II ad affidarne il governo alla sorella, le cui doti gli apparivano le più adatte. Malgrado le difficoltà del compito, l’Absburgo non esitò ad accettare, pensando di fare gli interessi dei Farnese e di Alessandro. Governò per otto anni caratterizzati da difficoltà, tensione e pericoli, che affrontò con animo virile (nel 1563 fece richiamare per la sua debolezza il Cardinale di Granvelle) cercando di rinsaldare l’autorità del Sovrano e della Chiesa e di assicurare l’ordine e la pace contro una quantità di elementi disgregatori, ma non riuscì a vincere l’opposizione delle popolazioni che miravano all’indipendenza. Quando Filippo II, di fronte al diffondersi del protestantesimo, inviò nelle Fiandre il suo crudele e spietato luogotenente duca d’Alba, l’Absburgo protestò energicamente, e quindi chiese di essere esonerata dall’incarico. L’Absburgo partì da Bruxelles il 30 dicembre 1568 accompagnata da schiette dimostrazioni di affetto e di rammarico. Nel febbraio dell’anno seguente giunse nel suo Ducato di Parma e Piacenza, lontana dalle preoccupazioni del governo, felice di essere nuovamente presso i suoi cari e la nipotina Margherita, che Alessandro aveva avuto dalla moglie Maria Daviz del Portogallo. Alcuni mesi più tardi si recò con il marito e il figlio a Piacenza dove il pontefice Pio V le fece consegnare, per le sue benemerenze verso la religione in Fiandra, la rosa aurea, una rosa d’oro tempestata di pietre preziose e stimata dodicimila scudi romani, che ogni anno il Papa destinava a uno dei sovrani cattolici d’Europa. Da Piacenza, al fine di ristabilire la sua salute, nel 1569 l’Absburgo si portò nelle sue terre d’Abruzzo, a Città Ducale, a Penne, all’Aquila. Nel dicembre del 1571 emanò da Città Ducale gli Ordini e le Leggi per i suoi Stati d’Abruzzo, che sono un altissimo documento di grande saggezza amministrativa, di esperienza di governo e di ammirevole umanità. Da quel sereno soggiorno la strappò Filippo II, che, visto il complicarsi delle cose in Fiandra, decise di richiamare a quel governo la sorella. L’Absburgo esitò ad accettare per vari motivi, e solo alla fine acconsentì a patto che si mutasse radicalmente tutta l’impostazione del governo dei Paesi Bassi, abbandonando la disastrosa politica delle armi iniziata da Giovanni d’Austria. Frattanto questi, morente, chiamò a succedergli nel comando delle armate spagnole e nel governo dei Paesi Bassi, il figlio di Margherita, Alessandro. Ma Filippo II, convinto dell’opportunità che comando militare e governo politico non dovessero restare accentrati nella stessa persona, decise di affidare il secondo alla sorella e di conservare il primo al nipote Alessandro. Seguì un penoso contrasto, che indusse l’Absburgo a far presente all’Imperatore il suo desiderio di rinunciare all’incarico, convinta che la divisione del potere delle Fiandre fosse dannosa all’imperatore e al destino del Paese stesso. Filippo II alla fine si convinse, ma volle che ella rimanesse per qualche tempo accanto al figlio come fedele consigliera. L’Absburgo rientrò in Italia solo nel 1583; nell’ottobre fu a Piacenza, e quindi a Parma. Si recò poi in Abruzzo, a Loreto e all’Aquila, dove provvide ad ampliare con una grande villa la sua residenza. A Ortona, sua residenza d’inverno, fece costruire un grande palazzo da uno dei più noti architetti di Roma, Giacomo della Porta. Continuò ad occuparsi dell’amministrazione delle sue città d’Abruzzo, che unì in unico Stato al vecchio Ducato di Penne. Questo mentre le sue condizioni di salute andavano ormai peggiorando. Ad Ortona, nella casa dei nobili De Sanctis (il Palazzo Farnese era ancora in costruzione), morì a 64 anni di età. Il 29 maggio 1586 fu sepolta del monastero di San Sisto in Piacenza.
FONTI E BIBL.: F. Rachfahl, Margareta von Parma, statthalterin der Niederlande, Monaco, 1898; H. Pirenne, Histoire de Belgique, voll. III e IV, Parigi, 1923-1927; L. Van Der Essen, Alexandre Farnese, vol. I, Bruxelles, 1953; R. Palmarocchi, in Enciclopedia Cattolica, VIII, 1952, 71; G. Cor., in Dizionario Utet, VIII, 1958, 316; Aurea Parma 4/6 1943, 76; M. Gomez Del Campillo, Margarita de Austria, duquesa de Parma, in Boletin de la Real Academia de la historia, XXLV, 1959; R. Lefevre, Villa Madama, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1964; J. De Jongh, Madama Margaretha van Oostenrijk Hertogin van Parma en Piacenza 1522-1586, Amsterdam, 1965; C. Bernardi Salvetti, S. Maria degli Angeli alle Terme e Antonio Lo Duca, Roma, 1965; R. Lefevre, Castelsantangelo (Castel Madama) sotto la signoria dei Medici e di Margarita d’Austria nel sec. XVI, in Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte, XL, 1967-1969; C. Bernardi Salvetti, Le tre dame coronate nel quadro di Giulio Mazzoni il Piacentino nella Chiesa di S. Maria degli Angeli, in L’Urbe 1 1967; R. Lefevre, L’ultima dimora di Madama Margherita d’Austria, in L’Emilia, 1968; R. Lefevre, Viaggio a Campli, Penne e Ortona con Madama Margherita d’Austria, in Rivista Abruzzese 4 1968; R. Lefevre, Sosta ad Audenarde, patria di Margherita di Parma, in Rivista delle Nazioni 5 1968; R. Lefevre, Il testamento di Madama Margherita d’Austria (1585), in Palatino 12 1968; Dizionario. Storico Politico, 1971, 789; Artocchini, Padrone di Parma e Piacenza, 1975, 15-23; U. Delsante, in Al Pont ad Mez 2 1977, 26-28; B.W. Meijer, Parma e Bruxelles, 1988; Fonti documentarie e testimonianze su Margherita d’Austria e i Farnese nei feudi d’Abruzzo, 1994; G. Bertini, Le nozze di Alessandro Farnese, 1997.

ABSBURGO MARGHERITA, vedi ABSBURGO MARGARETE

ABSBURGO LORENA ISABELLA MARIA ANTONIETTA, vedi BORBONE PARMA ISABELLA MARIA ANTONIETTA

ABSBURGO LORENA MARIA AMALIA, vedi ABSBURGO LORENA MARIA AMALIE

ABSUBRGO LORENA MARIA AMALIE
Vienna 26 febbraio 1746-Praga 18 giugno 1804
Nona degli undici figli di Maria Teresa, imperatrice, e di Francesco Stefano I, imperatore, duca di Lorena e granduca di Toscana. Il 19 luglio 1769, a ventitré anni d’età, sposò a Vienna il diciottenne Ferdinando di Borbone, infante di Spagna e duca di Parma. Nozze non gradite al potente ministro Guglielmo Du Tillot che, mediante altro progetto, aveva mirato all’ingrandimento dello Stato. Francia e Spagna fecero anch’esse proposte di matrimonio per il Duca di Parma. Di questi dissensi approfittò Maria Teresa facendo accettare sua figlia Maria Amalia. L’Absburgo ebbe grande ingerenza negli affari dello Stato. Combatté la grande influenza esercitata da Francia e Spagna sul Ducato per mezzo di Guglielmo Du Tillot, a cui Ferdinando di Borbone, salito al trono appena quattordicenne, aveva lasciato la cura del governo. Sicché, nei primi quattro anni di regno di un principe molto devoto, si riaccese più viva la controversia tra il Papa e il Ducato parmense. Ma Ferdinando, appena poté, si ribellò contro tutto quello che aveva dovuto accettare e che non era mai stato in armonia con le sue convinzioni. E così nella lotta contro il Du Tillot, l’Absburgo, oltre che tutti i malcontenti e i nemici del grande ministro, ebbe con sé anche il Duca. Licenziato il Du Tillot il 14 novembre 1771, Ferdinando di Borbone governò direttamente lo Stato. Il 9 ottobre 1802, morto Ferdinando, che aveva lottato contro l’invadenza napoleonica, il conte Francesco Schizzati, a cui il sovrano defunto nell’assenza del figlio Carlo Lodovico aveva delegato i pieni poteri, istituì una reggenza composta dall’Absburgo, da se stesso e dal marchese Cesare Ventura. Ma l’Absburgo, ben comprendendo le intenzioni francesi, lasciò Parma il 22 dello stesso mese dirigendosi a Praga. Il giorno successivo i Francesi sciolsero la reggenza e decretarono che, dalla morte di Ferdinando, la sovranità dello Stato par mense era devoluta di pieno diritto alla Francia. L’Absburgo morì a Praga due anni dopo. Carattere indipendente, nei suoi 33 anni di sovranità agì con abilità e fermezza, e condusse una lotta senza quartiere contro l’invadenza franco-spagnola. Tale sua politica, allora in armonia con gli intenti dell’Austria mirante a eliminare dal Ducato di Parma l’egemonia francese, valse senza dubbio a diffondere nel Parmense quell’amore all’indipendenza che tanta parte doveva poi avere nella storia del Risorgimento italiano. L’Absburgo fu priora della Compagnia del Santo Angelo Custode di Parma.
FONTI E BIBL.: C. Pigorini-Beri, La corte di Parma nel secolo XVIII, in Nuova Antologia, anno XXVII, fascicolo X, 16 maggio 1892; C. Pigorini-Beri, Un battesimo principesco nella fine del secolo XVIII, in Nuova Antologia, anno XX, 15 febbraio 1885; C. Fano, I primi Borboni a Parma, Parma, Ferrari e Pellegrini, 1890; T. Bazzi e U. Benassi, Storia di Parma, Parma, Battei, 1908; G. Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 49; Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 487; Dizionario UTET, VIII 1958, 326; Dizionario Storico Politico, 1971, 791.

ABSBURGO LORENA MARIA LUDOVICA LEOPOLDINE
Vienna 12 dicembre 1791-Parma 17 dicembre 1847
Imperatrice dei Francesi, poi Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Figlia primogenita di Francesco I, imperatore d’Austria, e di Maria Teresa di Borbone Napoli. Docilissima di carattere fin dalla fanciullezza, apprese con facilità le lingue inglese, italiana, francese e si applicò pure al disegno e alla musica. Quanti l’attorniavano, le istillarono una grande avversione per i Francesi, e specialmente per Napoleone I, il quale, divorziato da Giuseppina Beauharnais (15 dicembre 1809), il 13 febbraio 1810 ottenne invece il consenso, su sollecitazione del ministro degli esteri austriaco, il principe di Metternich, reduce dall’umiliazione di Wagram, dell’imperatore austriaco per sposarne la figlia. Il matrimonio, dapprima per procura, fu celebrato l’11 marzo. Due giorni dopo l’Absburgo lasciò Vienna, e a Courcelles presso Soissons il 27 marzo si unì con Napoleone I che era andato a incontrarla con Murat. Il matrimonio civile ebbe luogo a Saint- Cloud il 1° aprile e quello religioso il giorno dopo al Louvre. Fin dai primi giorni l’Absburgo s’avvide che i suoi gusti e le sue abitudini male s’adattavano agli splendori della Corte francese, e preferì vivere quasi appartata, non troppo sensibile alle cure di cui la circondava Napoleone. Il 20 marzo 1811 essa diede alla luce un figlio, Francesco Giuseppe Carlo, al quale fu dato il titolo di re di Roma. Quando Napoleone partì per la campagna di Russia, l’Absburgo andò per qualche giorno a Praga. Il 15 aprile 1813 fu investita del titolo di reggente dell’Impero, ma non parve interessarsi troppo degli affari di governo, che affidò al consiglio messole a fianco dall’Imperatore. Avvenuti i disastri militari del marito, rimase a Parigi fino al 29 marzo 1814. Il 30 marzo 1814 gli eserciti coalizzati entrarono a Parigi, e il 1° aprile si formò un Governo provvisorio e due giorni dopo Napoleone fu dichiarato decaduto. L’atto di abdicazione in favore del figlio fu respinto e Napoleone fu costretto ad abbandonare i troni di Francia e Italia. L’Absburgo, confusa e frastornata dai grandiosi sconvolgimenti storici, chiese aiuto al padre e rifiutò di raggiungere il marito a Fontainebleau. Il 2 aprile, fu a Blois, quindi si trasferì a Orléans, decisa di ricongiungersi al padre, con cui s’incontrò a Rambouillet, e il 25 aprile partì per Vienna, dove ebbe un’accoglienza trionfale. Il medico Corvisart le fornì il pretesto per non raggiungere Napoleone Bonaparte all’isola d’Elba. L’Absburgo trascorse l’estate del 1814 ad Aix-les-Bain per le cure termali, accompagnata dal conte di Neipperg, uomo di fiducia del Metternich, col quale intrecciò una relazione amorosa e che si occupò di difendere i suoi interessi a Vienna. Con la fuga del Bonaparte dall’Elba le fu tolta l’amministrazione dei Ducati e il governo fu affidato al conte Magawly-Cerati. Solo nel 1815, qualche giorno prima della definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte a Waterloo, il 18 giugno, ne rientrò in possesso. Il 19 febbraio 1815 protestò con un atto presentato al Congresso di Vienna contro la restaurazione dei Borbone in Francia, reclamando quel trono in favore del figlio. Dopo la partenza di Napoleone per Sant’Elena (18 luglio 1815), l’Absburgo, che era stata investita dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, interruppe qualunque relazione epistolare col marito, che invece continuò a scrivere a lei lettere commoventi. A Parma giunse, provenendo da Casalmaggiore e Coúlorúno, il 20 aprile 1816. A quei tempi il territorio del Ducato era depauperato dalle devastazioni del periodo napoleonico. La miseria a Parma era diffusa e le condizioni igieniche pessime. Il Governo ducale si occupò per prima cosa di recuperare nuove entrate per il bilancio dello Stato. L’Absburgo privilegiò sempre Parma rispetto a Piacenza: a Parma fissò la sua residenza e l’amministrazione dello Stato, organizzato in modo fortemente accentrato, diventando la benefattrice della sua capitale e la protettrice della cultura e delle arti. Neipperg, suo cavaliere d’onore, venne nominato governatore della Casa Ducale, gran maestro di Corte, maresciallo di Palazzo, generalissimo delle Forze Armate e ministro degli Affari Esteri, poi il 1° gennaio 1817 assunse definitivamente il governo dei Ducati. Nel frattempo l’Absburgo portava avanti nel più grande riserbo una gravidanza e il 1° maggio 1817 diede al Neipperg una figlia battezzata a porte chiuse con il nome di Albertina Maria: la bambina ricevette il titolo di contessa di Montenovo (traduzione italiana del cognome Neipperg). Il 9 agosto 1819 diede alla luce il figlio Guglielmo. Dopo la morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio 1821, l’Absburgo sposò il 7 agosto dello stesso anno il Neipperg e si dedicò alla vita familiare. Coadiuvata e consigliata non solo dal Neipperg ma da molti intelligenti e valenti personaggi del Ducato, che riscossero la sua piena fiducia, l’Absburgo resse il suo Stato con saggezza e moderazione anche nei momenti più critici. Quello con Neipperg fu un matrimonio felice: soldato valoroso (in battaglia aveva perso un occhio), il conte era un uomo equilibrato e colto, buon amministratore e ottimo musicista. Ed ebbe un ruolo importante nel far sì che l’Absburgo, della quale era molto più anziano, si ambientasse felicemente a Parma. Il Neipperg morì il 22 febbraio 1829. Il figlio di Napoleone, apprendendo in quell’occasione del secondo matrimonio della madre, interruppe la corrispondenza con lei. Nuovo segretario di Stato divenne il barone Giuseppe Werklein. Due anni dopo l’Absburgo dovette abbandonare per breve tempo Parma, che aveva aderito al moto rivoluzionario dell’Italia centrale, e, tornatavi, non infierì su coloro che l’avevano costretta a partire, contrariamente a ciò che aveva fatto il suo vicino, duca di Modena. Quando le morì il figlio Francesco (22 luglio 1832) si trovava da pochi giorni a Vienna. Dopo la morte di Neipperg era rimasto al suo fianco il Marchall, un amministratore che l’Absburgo non apprezzava, ritenendolo incapace di trovare un giusto equilibrio nel drammatico frastuono di quei tempi difficili. Di questi problemi interessò il padre, e l’Impeúratore, su consiglio del Metternich, inviò a Parma (1833) un nuovo e più abile consigliere: il conte Charles di Bombelles. Quest’ulútimo, uomo semplice e capace, apparteneva per nascita a una illustre famiglia portoghese, passata prima in Francia e poi in Austria. Il 17 febbraio 1834 l’Absburgo passò a terze nozze col Bombelles, suo maggiordomo maggiore. Il matrimonio della figlia Albertina con Luigi Sanvitale, avvenuto nell’ottobre del 1833, rimise la Corte al centro della vita mondana. L’Absburgo visse circondata dai pettegolezzi su sue presunte relazioni amorose, ma anche dall’affetto della figlia e dei nipotini. Quando morì, a 57 anni, di pleurite reumatica, il Ducato passò a Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca. I funerali furono celebrati a Parma nella cappella di San Lodovico, successivamente la salma fu traslata a Vienna per essere inumata nella Cripta dei Cappuccini, tomba degli Absburgo. L’Absburgo cambiò il volto delle città del Ducato facendo realizzare una serie di opere pubbliche di grande pregio. Fu, oltre che munifica protettrice delle arti, ella stessa pittrice, e come tale trattò in prevalenza il paesaggio. Ogni settore del suo governo fu improntato al progresso, merito in parte dei saggi uomini politici da cui fu circondata: basti pensare alla riforma del Codice. Ma il campo nel quale la Sovrana lasciò un’impronta più personale è quello artistico. Con lo stesso decreto del 22 marzo 1816 con il quale richiamò in vigore gli antichi statuti dell’Accademia di Belle Arti di Parma, ella annunciò il ritorno delle opere che il marito aveva portato in Francia. Tra le istituzioni che fecero onore al suo Ducato, quella per la quale più vigili e costanti furono le sue attenzioni, fu l’Accademia. Per stimolare l’emulazione nei giovani artisti, conservò la tradizione dei premi annuali portando il pensionato artistico a diciotto mesi di perfezionamento a Roma. La premiazione, a cui partecipava tutta la Corte, costituiva uno degli atti protocollari di maggiore importanza. Come appare nel quadro del pittore boemo Johann Pock, era la stessa Absburgo, in elegante abito da cerimonia, a premiare gli allievi. Assegnò inoltre ogni anno la somma di lire 5000 della sua borsa privata per l’acquisto di un certo numero di opere a soggetto religioso, che faceva pervenire alle parrocchie povere dei paesi più lontani delle montagne del Ducato. L’Absburgo coltivò con passione la pittura di paesaggio: la sua produzione in questo campo è attestata da un prezioso album conservato nel Museo Lombardi di Parma. Tale album comprende 46 freschissimi acquerelli, firmati Marie Louise, recanti visioni dei paesi visitati che l’avevano più sensibilmente impressionata. Sono luoghi della Savoia, delle Alpi italiane e svizzere, dell’Austria, vedute di Venezia, di Parma e provincia, tra cui un prospetto della chiesa romanica di Vicofertile. Altri rappresentano castelli medioevali in riva a laghi o dominanti il mare, fortilizii montani, interni di palazzi, paesaggi con piante in primo piano le cui fronde sono minuziosamente condotte. Composizioni che rivelano perizia tecnica non comune accompagnata spesso da emozioni sensibili e commosse. Comunque, se l’Absburgo non superò la mediocrità, va detto che la sua sensibilità artistica fu determinante per quel considerevole sviluppo dell’arte che caratterizzò il suo Ducato. Il volto neoclassico di Parma è legato al nome dell’Absburgo e all’architetto di Corte Nicola Bettoli. Le grandi iniziative realizzate, impressero caratteri inconfondibili alla città, che si arricchì di monumenti e di opere di pubblica utilità attraverso un piano dettato da una politica urbanistica e costruttiva illuminata. Innanzitutto portò a termine il cimitero della Villetta. Altra opera significativa è il ponte sul Taro realizzato tra il 1819 e il 1821 su progetto di Antonio Cocconcelli, con sculture di Giuseppe Carra, iniziativa che impiegò trecento operai disoccupati e favorì i collegamenti con benefici notevoli per il commercio. Numerosi furono gli interventi nel campo della beneficenza: nel 1817 creò l’Ospizio della Maternità, che accoglieva ragazze madri, con annessa una Scuola tecnico-pratica di ostetricia della durata di diciotto mesi per otto ragazze, due delle quali erano mantenute agli studi direttamente dalla Absburgo. nel 1818 concedette i locali dell’ex convento di San Francesco di Paola per l’Ospedale dei Pazzerelli, inoltre creò ospizi e ricoveri allo scopo di migliorare la difficile situazione sanitaria. La sua opera architettonica più significativa fu la realizzazione del Teatro Ducale, disegnato da Bettoli e decorato da Toschi, iniziato nel 1821 e terminato nel 1829. L’Absburgo impose bassi prezzi d’ingresso per aprire il teatro anche ai ceti meno agiati. Per fare fronte alla carestia del 1829, intraprese una serie di opere pubbliche tra cui il rifacimento di Porta San Barnaba e di Porta Santa Croce, poste al termine delle strade omonime, che si inserisce nel quadro delle opere d’inverno, concepite per dare lavoro alle classi più povere, attenuando loro le difficoltà della cattiva stagione. Dopo i moti del 1831, la politica dell’Absburgo subì una svolta: gli interventi, anche se minori, divennero più di sostanza che di immagine e più funzionali alle esigenze della città. Diverse modifiche furono effettuate nel palazzo della Pilotta a favore delle istituzioni culturali che vi ebbero sede. Nel 1833 venne creata una sala per l’Archivio di Stato. Nel 1834 fu terminato l’ampliamento della Biblioúteca con la costruzione della nuova Sala Ducale. Fu rilanciata anche l’Accademia delle Belle Arti con la scelta di prestigiosi insegnanti di pittura, scultura e architettura. Per rispondere a necessità igieniche, tra il 1836 e il 1837 nell’area della Ghiaia fu costruito il complesso delle Beccherie, che riunì le botteghe per la vendita della carne, mentre il mercato del bestiame fu sistemato nel Foro Boario tra il Giardino e il greto del torrente. Nel 1836 fu trasferito nell’ex convento dei Francescani, a fianco di Santa Maria del Quartiere, l’Ospedale degli Incurabili che dal 1322 aveva sede nell’oratorio di San Giacomo in strada San Francesco. Nel 1842 destinò un edificio di strada Santa Croce a Convitto per le Suore di Carità. Si occupò anche dell’istruzione fondendo il Collegio Lalatta e il Collegio dei Nobili in una sola istituzione, il Collegio Maria Luigia, affidato all’amministrazione dei padri Barnabiti. Fondò la Scuola della Compagnia dei figli di Truppa, destinata ai figli di ufficiali e sottufficiali. Trasformò il Giardino Ducale, risalente all’epoca farnesiana, in un parco pubblico e diede il via tra il 1838 e il 1840 ai lavori di restauro della facciata, del tetto e degli interni del Palazzo Ducale, che a ogni primavera ospitò una mostra di pittori locali. Fu essenziale per la vita del Ducato la ripresa del progetto napoleonico di una strada che attraversasse l’Appenúnino: nel 1835 si iniziarono i lavori nel tratto da Fornovo al passo della Cisa.
FONTI E BIBL.: G. Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 49; J.A. Helfert, Maria Luise Erzherzogin von Oesterreich, Vienna, 1873; E. Wertheimer, Die Heirat der Erzherzogin Maria Luise mit Napoléon, Vienna, 1892; E. Guglia, Maria Luise von Oesterreich, Vienna, 1894; B. Antonmarchi, Le mariage par procuration de Maria Louise et Napoléon, in Revue Hébdomadaire, 1898; A. Fournier, Maria Louise et la chute de Napoléon, in Revue Historique, 1903; M. Billard, Les maris de Maria Louise, Parigi 1909; E. d’Hauterive, Lettres de l’Impératrice Maria Louise à la Reine Cathérine, in Revue des Deux Mondes, 1928; E.M. Ravage, Empress Innocente, the Life of Maria Luigia, New York, 1931; G. Gualtieri, Maria Luigia, Firenze, 1932; F. Salata, Maria Luigia e i moti del Trentino, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1932; M.M., in Enciclopedia Italiana, XXII, 1934, 312; Dizionario Storico Politico, 1971, 792; G. Copertini, La pittura parmense dell’800, Milano, 1971, 32-33; I. Petrolini, Museo Glauco Lombardi, catalogo, Parma, 1972; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi Pittori, VII, 1975, 193; G. Capelli, in Gazzetta di Parma 17 dicembre 1983, 3; Grandi di Parma, 1991, 71-75; M. Oblin, Le vrai visage de Marie-Louise, 1974; I Schiel, Maria Luigia, 1983; A. Solmi, Maria Luigia duchessa di Parma, 1985; Maria Luigia donna e sovrana, Parma, Guanda, 1992, 2 volumi (con bibliografia precedente); M. Leoni, I Principali Monumenti innalzati dal MDCCCXIV a tutto il MDCCCXXIII da Sua Maestà la Principessa Imperiale Maria Luigia, arciduchessa d’Austria, duchessa di Parma, ora pubblicati da P. Toschi, A. Isac e N. Bettoli, e descritti da Michele Leoni, Parma, Co’ Tipi Bodoniani, 1824; C.-R. Bombelles, Monumenti e munificenze di S.M. la Principessa Imperiale Maria Luigia, Arciduchessa d’Austria, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Opera pubblicata per cura del suo Gran Maggiordono S.E. il Conte Carlo di Bombelles, Consigliere intimo e Ciamberlano di S.M., Parma-Parigi, dalla Tipografia di Paolo Renouard, 1845; J. Lecomte (A. Pezzana-V. Mistrali), Parme sous Marie Louise, Paris, Souverain, 1845, 2 volumi; G. Negri, Elenco di tutti i quadri fatti eseguire da pittori nostrali da S.M. Maria Luigia d’Austria, in Il Parmigiano Istruito nelle Cose della Sua Patria, Parma, 1852, riedito in G. Godi, Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’Ottocento, Colorno, 1974, 165-170; F.G. Martini, Alla memoria di Maria Luigia d’Austria Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, nel XXV anniversario della sua morte. Omaggio di un antico magistrato parmense, Parma, Adorni, 1872; F. Masson, L’Impératrice Marie Louise 1809-1815, Paris, 1902; A. del Prato, Le spese della Casa Ducale di S.M. Maria Luigia, in Aurea Parma 1-2 1913, 20-28; L. Seidler, Erinnerungen der Malerin Louise Seidler, Berlin, Propyläen, 1922, Hrsg.v. H. Uhde; A. Valeri, Maria Luigia (1791-1847). L’Arciduchessa d’Austria. L’Imperatrice dei Francesi. La Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, 2a edizione, Milano, Corticelli, 1934; A. Micheli, I Barnabiti a Parma ed il Regio Collegio Maria Luigia, Fidenza-Salsomagúgiore, Mattioli, 1936; A. Tomasinelli, Maria Luigia, Torino, Gambino, 1941, con prefazione di Renzo Pezzani; M. Prampolini, La Duchessa Maria Luigia. Vita familiare alla Corte di Parma. Diari, carteggi inediti, ricami, Bergamo, Arti Grafiche, 1942, ristampa: Parma, Guanda, 1991, a cura di G. Cusatelli; G. Copertini, Il bozzetto del ritratto di Maria Luigia del Borghesi, in Parma per l’Arte I 1953, 93; G. Copertini, È scomparsa sotto il piccone la biblioteca privata di Maria Luigia, in Parma per l’Arte 1 1957, 33-34; G. Vernazza, L’Università di Parma e Maria Luigia, in Parma per l’Arte 8 1958, 216-218; C. Johnson, La storia metallica di Maria Luigia duchessa di Parma, in Medaglia 3 1972, 42-82; M. Corradi Cervi, Six valses autrichiennes arrangées pour Sa Majesté l’Impératrice Marie Louise par le L.C. de Neipperg, in Parma nell’Arte 2 1976, 119-122; E. Bezzi, Associazione in Parma per l’effige in busto dell’Augusta Sovrana Maria Luigia, in Parma nell’Arte II 1978, 135-138; P. Ceschi Lavagetto, G.B. Borghesi. Ritratto di Maria Luigia duchessa di Parma, in Le Regge disperse. Colorno rintraccia gli arredi ducali presenti in collezioni pubbliche parmensi. Secoli XVIII-XIX, Colorno, Una Città Costruisce una Mostra, 1981; M.L. Hotz, Arredamenti dei Palazzi Ducali di Parma durante il governo di Maria Luigia d’Austria, in Le Regge Disperse, Colorno, Una Città Costruisce una Mostra, 1981, 25-40; G. Mondelli, Distrutto un salotto che era stato di Maria Luigia, in Il Resto del Carlino 4 gennaio 1981; L. Farinelli, Maria Luigia duchessa di Parma, Milano, Rusconi, 1983, schede a cura di G. Godi e G. Carrara; M. Zannoni, Vincenzo Agnoletti credenziere di S.M. Maria Luigia Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, in Malacoda 33 1990, 43-51; T. Coghi Ruggiero, Maria Luigia, protettrice delle Belle Arti e l’incremento del patrimonio artistico nel Ducato, in Malacoda 38 1991, 3-12; A.V. Marchi, Volti e figure del ducato di Maria Luigia 1816-1847, Milano, Antea, 1991; P. Pedretti, Com’era Parma neoclassica. Riscoperti quattro album dell’Ottocento, in Gazzetta di Parma 23 aprile 1991; M. Turchi, Le nomine dei cavalieri costantiniani ai tempi della duchessa Maria Luigia per chiara fama culturale, in Malacoda 35 1991, 27-30; M. Zannoni, A tavola con Maria Luigia. Il servizio di bocca della Duchessa di Parma dal 1815 al 1847, Parma, Silva, 1991; Rapporto del Mareschal a Maria Luigia 28 novembre 1832, Parma, Archivio di Stato, Casa e Corte di Maria Luigia d’Austria, busta 716; P. Capello, La Gazzetta di Parma nell’età di Maria Luigia: varietà, letteratura e cultura musicale, tesi di laurea discussa nella Facoltà di Magistero dell’Università di Bologna nell’anno accademico 1989-1990, relatore Luisa Avellini; Enciclopedia di Parma, Milano, Ricci, 1998, 437-438.

ACCADEMICO OCCULTO, vedi PALLAVICINO FERRANTE CARLO

ACCARINI BEATRICE
Parma 1912-Buenos Aires 1968
Molto giovane iniziò la carriera di attrice di operetta, con lo pseudonimo di Bicky Astori. Si trasferì in Argentina nel 1936 e cominciò a recitare nel teatro Maipù e in seguito in molti altri locali. Fece anche un po’ di cinema e teatro spagnolo e qualche parte in televisione. FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 luglio 1989, 3.


ACCARINI FERDINANDO
Busseto-post 1868
Pittore di nature morte, fu lo scenografo del vecchio e del nuovo teatro di Busseto, dove nel 1868 dipinse il sipario.
FONTI E BIBL.: E. Seletti, v. II, 288; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

ACCATINO ANDREA
Viarigi Monferrato 1870-Parma novembre 1921
Dirigente cattolico, pubblicista. Giovanissimo entrò nelle organizzazioni salesiane, dove, laico, disimpegnò importanti incarichi. Si trasferì a Parma all’epoca in cui l’Istituto Salesiano di San Benedetto si apprestava a diventare un centro propulsivo d’istruzione, artigiana e letteraria, un efficace semenzaio di educazione morale fra il popolo. L’Accatino si inserì in questo organismo, il più vivace culturalmente, il più aperto politicamente, il più attivo socialmente in campo cattolico a Parma, e diede un notevole contributo di idee e di azione. Si affiancò a don Baratta, a Stanislao Solari e al giovane Micheli. Con loro fondò la Rivista di Agricoltura, una delle più importanti e prestigiose in campo nazionale. L’Accatino ne fu direttore per oltre vent’anni, profondendovi tutta la propria esperienza nel ramo agrario e l’attività di militante cattolico. Convinto assertore delle teorie agronomiche di Solari, ne fu divulgatore instancabile. Contribuì alla ripresa dei consensi verso il mondo cattolico nelle campagne parmensi, specie presso i piccoli proprietari. Nel giugno del 1918 ricevette un’alta onorificenza dello Stato, riconoscimento per l’incessante lavoro di pubblicista e per l’opera svolta a beneficio degli agricoltori. Morì improvvisamente, nel pieno dell’attività.
FONTI E BIBL.: Documenti 14 1978, 32-33.

ACCOLTI CORONATO, vedi OCCOLTI CORONATO

ACCORSI
Parma 1303
Fu astrologo e scrittore d’astrologia. Nel medesimo tempo in cui il parmigiano Egidio Tebaldi si faceva traduttore di cose astrologiche, l’Accorsi nel 1303 scrisse il seguente libro che è descritto nel tomo II dei Codici mss. Latini del Catalogo della Biblioteca Lauúrenúziana al Numero II della Col. 62. Fa parte del Codice XLVI. Ecco la descrizione del Bandini: Astrolabium sphaericum compositum anno Domini 1303. Dominus Accursius de Parma fuit (ita enim videtur legi posse) principium hujus operis. Incipit Prologus: Totius astrologicae speculationis ratio et funda mentum etc. Desinit nunc invocato divino prius auxilio ad hujus instrumenti compositionem procedamus. Tractatus in duas partes divisus est. Prima decem continet Capitula Primum de formatione instrumenti inc: Quum, igitur, favente Domino, volueris hoc instrumentum componere, etc. Capitolo X de formatione lilii des. eritque in hoc compositio ipsius sphaerae instrumenti completa. Secunda pars, nulla Capitulorum numeratione distincta, quae agit de utilitatibus generalibus hujus instrumenti, inc. Postquam auxiliante Deo scripsimus. Des. hunc tractatum sub laude Dei finiemus. Questo codice cartaceo del secolo XIV ha in principio un Tractatus de aequatione planetarum di Maestro Campano. L’Astrolabio dell’Accorsi è scritto a due colonne. Tutto il codice contiene 44 carte scritte. Quello dell’Accorsi comincia alla carta 36.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 68-69; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo V, I, 211, 215, 283; Bandini, Catalogo Codici latini Biblioteca Lauúrenúziaúna, tomo II, 62; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 189; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 2.

ACCORSI ACCORSO
Parma-Parma 1622
Visse tra i secoli XVI e XVII. Professore di Medicina, insegnò a lungo nello Studio di Parma, i Riformatori del quale in un’adunanza del 14 ottobre 1619 lo menzionano con simpatia anco per esser povero et carico di sette figli.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Registro delli Lettori, 1610-1616; Libro de’ Mandati, 1617-1630; F. Rizzi, Professori, 1953, 25.

ACCORSI DOMENICO STEFANO
Parma 26 dicembre 1704-Mirandola 24 aprile 1770
Frate capuccino, fu predicatore e lettore abilissimo, definitore, teologo del vescovo di Modena (1765) e cappellano del presidio. Fece la vestizione a Guastalla il 14 novembre 1722, e la professione di fede, sempre a Guastalla, il 14 novembre 1723.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 257.

ACCORSI GIACOMO, vedi ACCORSI  JACOPO ANTONIO

ACCORSI JACOPO ANTONIO
Graiana 1737-Parma 29 dicembre 1818
Sacerdote, fu avvocato esimio, dottore in ambo le leggi, consorziale della Cattedrale, protonotario apostolico (1776), auditore delle cause civili nella Curia vescovile di Parma, esaminatore sinodale e provicario generale del vescovo di Parma, Francesco Pettorelli. Ben cento cause ebbe a trattare, e pressoché tutte con esito felice. Sparsasi fama non ordinaria di lui, nel 1791 Ferdinando di Borbone, duca di Parma, lo nominò Regio Consigliere del Supremo Tribunale di Parma. Dal 1804 ricoprì il grado di Consigliere presso il Supremo Consiglio di Grazia e Giustizia di Piacenza. In età avanzata, si diede di nuovo alle cure ecclesiastiche. Venne rinominato Consorziale, e vi durò in carica sino alla morte. In virtù del decreto del 1777, col quale furono riconosciuti nobili senza l’obbligo di particolari procedure i consiglieri delle supreme magistrature del Ducato, a far data dalla sua nomina a Consigliere (1791) l’Accorsi fu considerato nobile a tutti gli effetti.
FONTI E BIBL.: G. Negri, in G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 1; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 184.

ACCORSI MAINARDO
-Appennino 1349
Fu in amicizia col Petrarca, del quale frequentò la casa. Perì di morte violenta a seguito di un agguato tesogli tra le gole dell’Appennino. In quell’occasione, insieme con lui perse la vita anche Luca Cristiano.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 28 ottobre 1996, 5.

ACCORSI MARCO
Parma 1614/1620
Un Consulto in data 6 settembre 1620 è sottoscritto dall’Accorsi, fisico, del quale si trova anche una lettera o consulto medico a una monaca di San Cristoforo di Parma, e che fu probabilmente il copista dei Consiliorum in diversis aegritudinibus pro diversis. Nella Matricola del Collegio de’ Medici si legge che l’Accorsi fu laureato il 29 ottobre del 1614. Forse era figlio o nipote di Paolo.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 633; G. Negri, Biografia Universale, 1842, 3; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 2; L. Caetani, Dizioúnaúrio Bio-Bibliografico, 1924, 185.

ACCORSI PAOLO
Parma 1572/1620
Fu probabilmente figlio di Antonio, notaio. Fu laureato l’8 dicembre del 1572, secondo quanto si trova nella Matricola del Collegio de’ Medici di Parma. Sembra che esercitasse costantemente la Medicina in Parma, poiché quelli dei Consigli che hanno data, l’hanno appunto da Parma. Uno è a carte 18 e 19 sottoscritto dall’Accorsi in uno con Filippo Cernitore, col Talentone, col Giunti e con Pompilio Tagliaferri, die 6 Aprilis 1602 extra monasterium Divi Dominici in civitate Parmae. La risposta dell’Accorsi allo Zunti, che si trova a carte 21, 22 e 23 di esso codice, ha la sottoscrizione ex aedibus pridie Calendas Aprilis 1600. Ex.e T. Adictiss.s Paulus A. P. Questo manoscritto è del secolo XVII, in 4°, ed è intitolato Pauli Acursij Artium et Medicinae Doctoris Consiliorum in diversis aegritudinibus pro diversis Liber P.s Le parole Liber Primus fanno ragionevolmente argomentare che uno o più libri seguissero il primo, ma andarono poi smarriti. Contiene 13 Consulti, l’ultimo dei quali ha la data di Parma 6 Calendas 7bris 1620. Quindi è dimostrato che l’Accorsi viveva ancora in quest’anno. I due primi Consigli dell’Accorsi furono scritti per il duca di Sabbioneta, Vespasiano Gonzaga, il terzo per il figlio del Duca di Mondragone, e altri ancora per diverse persone distinte. Il che è sentore che egli fosse salito in molta rinomanza anche fuori della sua patria.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 632-633; G. Negri, Biografia Universale, 1842, 3; G.B. Janelli, Dizioúnaúrio biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 2; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 187.

ACCORSI SEBASTIANO
Parma 1596/1626
Figlio di Andrea. Da documenti del XVI secolo si apprende che, nel trentennio 1596-1626, l’Accorsi fu speziale (aromatario) dell’Ospedale della Misericordia di Parma, "giacché eresse specieria nel luogo e a nome di cotesta Congregazione, dove non vi era vestiggio alcuno di specieria e gli ne ha fatto una a’ utile et honore di quel luogo". Nello stesso memoriale l’Accorsi chiede licenza "perché non gli conferisce quel aere essendo stato sempre nello amalato e per ad infermarsi di qualche male incurabile e per le fatiche".
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 616.

ACCORSO, vedi ACCORSI

ACCURSIO SEBASTIANO, vedi ACCORSI SEBASTIANO

ACHIARDI RENZA, vedi JOTTI RENZA

ACHILLE, vedi ACHILLI

ACHILLE DA COLORNO, vedi CERATI ACHILLE

ACHILLI PAOLO
Parma 1512-Palermo 7 maggio 1586
Gesuita, seguì Ignazio di Loyola ancor prima che la Compagnia di Gesù fosse riconosciuta e confermata da papa Paolo III. In età matura, sacerdote, domandò d’essere annoverato compagno al Fabbro e al Lainez. Cosa che ottenne nel 1539, insieme al suo amico papa Elpidio Ugoletti. Il Papa lo inviò con molti altri all’Accademia di Parigi, affinché si fornisse delle scienze bisognevoli per operare gran cose a beneficio delle anime. In seguito, Ignazio di Loyola, che ebbe in gran stima l’Achilli, lo costituì Superiore di tutti gli altri. Guadagnò molti a Dio col suo esempio, e coi suoi ragionamenti, e tra essi un predicatore agostiniano, il quale volle provarsi a fare gli esercizi spirituali sotto la guida dell’Achilli. Nel 1544, in seguito alle notizie dell’avvicinarsi a Parigi dell’imperatore Carlo V, l’Achilli, mandati altrove i compagni, con Manuello Miona si portò in Milano, accoltovi dai cherici regolari di San Paolo. Acquietatisi i rumori di guerra, egli fece ritorno in Parigi per proseguire gli studi. All’Accademia di Parigi l’Achilli si laureò dottore in filosofia e professore di sacra teologia. Richiamato in Italia da Ignazio, riuscì uno dei più fruttuosi operai della Compagnia. Mandato con Niccolò Lanoi nel 1549 a Palermo a fondare quel Collegio, dopo due anni, una volta partito Giacomo Lainez, ne divenne Rettore e lo governò per ventitré anni. L’Achilli fu vigilantissimo nel promuovere le facoltà del Collegio, e nel provvedere agli studenti. Comperò una vicina villa per la loro ricreazione, fabbricò una grande chiesa, promosse il fervore delle scuole con pubbliche rappresentazioni. Dai modi piuttosto bruschi nei confronti dei confratelli, l’Achilli si segnalò per le sue doti caritatevoli e per la sua propensione a umiliare il proprio corpo con prolungati digiuni (anche in età avanzata) e continue flagellazioni. Fu confessore della Viceregina Marchesa di Pescara, ma sfuggì gli onori della Corte. Per due volte fu eletto viceprovinciale, ma per sua indole si mostrò sempre restio nell’accettare incarichi pubblici all’interno della Compagnia: destinato Provinciale da Francesco Borgia, si sottrasse alla designazione. Nel maggio del 1586 l’Achilli fu oppresso da un continuo dolore di stomaco e da una febbre pestilenziale che in pochi giorni lo portarono al trapasso. Il popolo di Palermo concorse al celebrarsi delle sue esequie in così gran numero che fu necessario differire il canto dell’Uffizio. Si dovette anche difendere la salma dai tentativi della folla di procurarsi una qualche reliquia. Fu seppellito ai piedi dell’altare maggiore. Nel 1607, ad istanza della Congregazione Provinciale, furono esumate le sua ossa e riposte in una cassa più decorosa, in un’ara sotto l’altare del Santissimo Sacramento. La Congregazione Provinciale chiese all’Acquaviva che procurasse dalla Santa Sede il titolo di Beato all’Achilli, tanto era universale il concetto della sua santità.
FONTI E BIBL.: G.A. Patrignani, Menologro dei Gesuiti, 1730, II, 36-39; R. Pico, Appendice, 1642, 86-92; Sommervogel, Bibliografia de la Compagnia de Jesus, parte I, tomo VIII, supplemento, col. 1567; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 210.

ACII, vedi AZZI

ACUTI ALFONSO, vedi ACUTI CINO

ACUTI CINO
Piacenza 6 marzo 1898-Salsomaggiore 18 ottobre 1985
Studiò pittura a Piacenza con Nazzareno e Giuseppe Sidoli, dai quali apprese il disegno e quel colore che fu definito nei suoi maestri il fiammingo. Scoppiata la guerra 1915-1918, vi partecipò, non ancora diciottenne, nell’arma di artiglieria. Passò poi, volontario, nel corpo dei bombardieri, meritando una medaglia al valore per il comportamento tenuto al fronte nell’aspro combattimento di Ponte della Priula (Piave, Vittorio Veneto). Terminate le ostilità e smobilitato dall’esercito, riprese lo studio con Nazzareno Sidoli, la cui influenza è manifesta nelle prime opere, eseguite dall’Acuti per sé, come, del resto, le successive, dato che egli si presentò alla ribalta solo dopo anni di silenzioso lavoro. L’influenza dei Sidoli, con i quali riprese successivamente gli studi, affiora, come detto, soprattutto nelle sue opere giovanili. Le nature morte, con l’uso della terra di cassel e nelle qualità minute e sottili, guardano alla pittura dei fioranti fiamminghi. Il ricordo di quella tradizione miniaturistica ispirò probabilmente più tardi (anche se non nella tecnica e nei colori), la vasta produzione di quelli che l’Acuti amava chiamare miniquadri, piccole composizioni al limite del bozzetto, che accennava con pochi colpi di spatola o stendendo il colore con le dita. Rapide impressioni di paesaggi, scorci di viottoli boschivi o delicate presenze floreali personalizzate dall’abilità del maneggio del colore e nell’accostamento dei toni, sono il frutto di una sensibilità spiccata, già palesata nei suoi primi lavori. La danzatrice ad esempio, un’opera del 1916 che contiene modi Liberty nella danza fluttuante di veli alla Loie Fuller, nel fermaglio di gusto esotico tra i capelli, nella simbologia del serpente che si riferisce al demone della curva, ossessione degli artisti di quello stile. Anche nei ritratti si nota il serio studio tecnico, unito al gusto tradizionalista, che evidenzia la matrice ottocentesca e la personalità romantica dell’Acuti, presente ad esempio nel Ritratto di ragazza di spalle, caratterizzato dai colori scuri, quasi corruschi, dello sfondo indistinto, o nei grigi plumbei squarciati dal lampo procelloso di Bufera sulla laguna. Ma anche nei quadri successivi, fino alle ultime cose della carriera, i suoi oli, pur caldi e calibrati, non raggiungono mai la solarità. Nei paesaggi, la sua è sempre un’atmosfera d’inverno e i colori sono quelli dell’autunno che si spegne: i marroni, gli ocra, i gialli, la lacca di garanzia, dove la luce non è colore ma contrasto di tinte. Il ventennio che va dal 1920 al 1940 fu sicuramente il periodo più fertile per l’Acuti, che usciva ancora fresco dall’esperienza acquisita nella bottega dei Sidoli. Ne è un esempio l’opera datata 1930, Ragazza sulla terrazza, un olio su tela che riprende con chiaro cromatismo le atmosfere e gli ambienti degli ultimi fuochi di quegli anni dorati. Ma furono anche anni di isolamento che l’Acuti trascorse nello studio e nel lavoro, durante i quali andò approfondendo una tecnica svolta secondo i canoni precedenti alle grandi rivoluzioni dell’Ottocento. Nel 1930 si stabilì definitivamente a Salsomaggiore dove la personalità del suo stile andò delineandosi, evolvendo la tecnica coloristica e della figura verso quei caratteri che conservò sino alla fine. In questa città, dal 1956, presiedette anche il circolo pittorico Cristoforo Marzaroli, attorno al quale si strinsero pittori salsesi come Attilio Bertolotti, Aldo Menoni, Fausto Avanzi, Lella e Dino Marzaroli, Luigi Ariggi. Fu solo nell’agosto del 1955, e proprio nella città termale, che l’Acuti mostrò per la prima volta in una personale il frutto del suo lavoro. Quella mostra riassunse l’itinerario pittorico percorso, con diversi esempi dei dipinti della prima maniera, passando attraverso le fantasie floreali (la serie dei Crisantemi, delle Dalie, delle Ortensie, delle Paulonia Imperialis) e gli studi sulle nature morte, nei quali le composizioni di frutta vivono di sensibilità e gusto. La vocazione pittorica dell’Acuti non fu, per sua stessa ammissione, incline alla modernità, al trasformarsi delle arti. Eppure, in alcuni suoi quadri non si può fare a meno di notare una scansione, un’attrazione verso altri modi di pensare la pittura, di interpretare le cose. Nature morte come I peperoni si mostrano moderne nel trattamento dei colori e nella composizione, che piega le forme verso l’astrattismo. Altre volte sono vigorose pennellate che attraversano la tela nei toni del grigio, del nero e del rosso, o una cascata di petali di rosa trasformata in macchie di colori, a trasportare l’artista più lontano del suo intendimento.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 1-4; R. Santi Tanzi, in Gazzetta di Parma 17 giugno 1992, 17.

ADALBERTINI ADALBERTO, vedi ADALBERTO

ADALBERTO
Parma 921
Fu Conte di Parma nell’anno 921.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Soragna 996
Figlio di Oberto. Fu marchese e conte di palazzo.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 7.

ADALBERTO
Parma 1007
Fu Conte di Parma nell’anno 1007.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Parma 1007/1008
Sacerdote, fu canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1008.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Parma 1104
Sacerdote, fu canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1104.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO, vedi anche ADELBERTO e PALLAVICINO ADALBERTO

ADALBERO da Bazzano
Bazzano 835/853
Fu Conte di Bergamo, Brescia e Parma (835-853). Risiedette a Parma.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALGISO
Parma 835/853
È ricordato per la prima volta come Conte di Parma il 15 giugno 835, nella sottoscrizione di una chartula traditionis della regina Cuneúgonda a favore del monastero di Santa Maria e Sant’Alessandro (U. Benassi, Codice diplomatico parmense, I, secolo VIIII, Parma, 1910, 101-105). Non è sicuro che questo Adalgiso debba identificarsi con l’Adalgiso conte che, nell’836, Ludovico il Pio mandò in ambasceria, con i vescovi di Magonza e Verdun e col conte Guarino, al figlio Lotario in Pavia. Certo è che il 1° maggio 838 (e non il 10, come dice il Pivano, Il comitato, pagina 13; cfr. I placiti del Regnum Italiae a cura di C. Manaresi, I, Roma, 1955, in Fonti per la Storia d’Italia, XCII, pagine 139-144) l’Adalgiso come messo imperiale tenne placito a Rovigo. Pare che dopo la morte di Ludovico il Pio (840) Lotario abbia posto l’Adalgiso, già Conte di Parma, a capo di un ducato comprendente i comitati di Parma, Bergamo, Brescia, Cremona e forse anche Piaúcenza, allo scopo di proteggere il confine settentrionale del Regnum Italiae dalle mire del fratello Ludovico il Germanico. Il Pivano (Il comitato, pagine 13-59) giunse alla formulazione di questa ipotesi fondandosi su di una inquisitio tenuta in Cremona il 22 marzo 841 dall’Adalgiso come messo dell’imperatore Lotario intorno ad alcuni diritti della Chiesa cremonese. Poichè nel testo del documento figurano due giudici bergamaschi e diciannove bresciani, i quali tutti vengono detti vassalli del conte Adalgiso, il Pivano ne ha ricavato che l’Adalgiso esercitava un dominio diretto o indiretto sulle suddette città. Più precisamente l’Adalgiso sarebbe stato Conte di Brescia, di città, cioè, che, in quel periodo, non appare retta da conti, e sarebbe stato duca di un ducato comprendente i comitati di Parma, Brescia (direttamente suoi), Cremona (ove tenne l’inquisitio dell’841), Bergamo e fors’anche, per ragioni territoriali, Piacenza. Di questo ducato, come si è detto, l’Adalgiso sarebbe stato investito da Lotario. Nell’844 l’Adalgiso fu presente, a Roma, all’incoronazione regia di Ludovico II. Nell’846 figura nel noto capitolare di Ludovico De expeditione contra Sarracenos facienda, come missus della prima schiera di feudatari italici. Nell’aprile dell’850 l’Adalgiso accompagnò a Roma l’imperatore Ludovico II e fu presente al placito tenuto dall’imperatore stesso e dal pontefice Leone IV per dirimere la questione dei confini delle due diocesi di Siena e Arezzo. In questa occasione, allontanatosi Ludovico, fu da questo lasciato come suo giudice delegato insieme con altri tre messi (C. Manaresi, I, pagine 176-187). L’ultima notizia che si possiede dell’Adalgiso è dell’853. In quell’anno, egli si recò prima a Ravenna, presso il Pontefice, quale inviato imperiale per la questione della disubbidienza di Anastasio Bibliotecario, e in seguito, prima che fosse pronunciata nel dicembre la definitiva condanna di Anastasio, a Roma, con altri due messi imperiali. È da notare che secondo il Pivano (Il testamento, pagina 294 n.) l’imperatrice Angelberga, moglie di Ludovico II, sarebbe stata figlia di Adalgiso.
FONTI E BIBL.: S. Pivano, Il comitato di Parma e la marca lombardo-emiliana, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXII 1922, 11-61; S. Pivaúno, Il testamento e la famiglia dell’imperatrice Angelberga, in Archivio Storico Lombardo, s. 5, XLIX (1922), 269-294; Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 225.

ADALGISO
Parma 882/890
Figlio primogenito di Suppone, Conte di Parma, successe al padre sicuramente dopo il 9 maggio 882 (data in cui Suppone era ancora in vita: cfr. I. Affò, Storia di Parma, I, Parma, 1792, 302). Nell’agosto 885 riconobbe in Piacenza i diritti rivendicati dal diacono Gariberto su un terreno di proprietà regia (L. Schiaparelli, Documenti inediti dell’archivio capitolare di Piacenza, in Archivio Storico per le Province Parmensi, VII, 1897-1898, ma pubblicato 1903, 186), dichiarandosi nel documento conte di Piacenza. Si noti che secondo il Manaresi (I placiti del Regnum Italiae, I, Roma, 1955, in Fonti per la Storia d’Italia, XCII, 328-332) il documento in questione andrebbe invece collocato tra il dicembre 880 e il febbraio 881, cioè anteriormente alla morte del padre dell’Adalgiso, Suppone, in quanto l’Adalgiso, pur dicendosi Conte di Piacenza, non si sarebbe detto Conte di Parma. Nell’888-889, l’Adalgiso partecipò, nell’esercito di Berenúgaúrio, alla guerra contro Guido, insieme con i fratelli minori Vilfredo e Bosone (cfr. Gesta Berengarii imperatoris, a cura di E. Dümmler, Halle, 1871, 101). Il 20 ottobre 890 Berengaúrio, dietro preghiera dell’Adalgiso, concesse a un vassallo di questo, certo Roperto, alcune terre nel contado di Reggio (cfr. L. Schiaparelli, I diplomi di Berengario I, Roma, 1903, in Fonti per la Storia d’Italia, XXXV, 35-37). In base a questo documento, il Dümmler ha fatto dell’Adalgiso un conte di Reggio (Gesta Berengarii, 25 n. 4). La cosa non è improbabile e, se fosse sicura, se ne dovrebbe dedurre che l’Adalgiso avrebbe ereditato dal padre il potere ducale su una zona comprendente almeno tre comitati, quelli cioè di Piacenza, di Parma e di Reggio. Si ignora la data di morte dell’Adalgiso. Nel 911 gli era succeduto, come Conte di Piacenza, il fratello Vilfredo.
FONTI E BIBL.: S. Pivano, Le famiglie comitali di Parma dal secolo IX all’XI, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXII 1922, 506-509; Dizioúnaúrio biografico degli Italiani, I, 1960, 226.

ADAM Caracosa
Parma post 1256
Figlia di Guido. Una volta rimasta vedova, entrò nel Monastero di Santa Chiara in Parma. Dopo diversi anni, assieme ad altre consorelle parmigiane, si portò a Reggio, e vi fondò il Monastero di Santa Chiara, di cui fu badessa. Più tardi rientrò a Parma, dove morì. Fu donna onesta e sapiente. Così ne parla il fratello, Salimbene, nella sua Cronica: Pater meus tres genuit filias, pulchras dominas, et nobiliter maritatas. Secunda Domina Karacosa. Haec post mortem viri sui intravit Monasterium Parmense Ordinis Sanctae Clarae, et post plures annos assumpsit aliquas Sorores Parmensis Monasterii, duxit eas ad Civitatem Reginam, in qua prius non erant Sorores Ordinis Sanctae Clarae, et fuit eorum Priorissa. Postea fecit se absolvi, et rediit ad Monasterium Parmense, in quo laudabiliter vitam suam finivit. Haec fuit amabilis Domina, sapiens, honesta, et gratiosa, iam Deo, quam hominibus, cujus anima requiescat in pace. Le Clarisse furono in Reggio l’anno 1256, nel qual tempo comprarono il Convento abitato prima dai Frati Minori. E questi, col denaro ritrattone, comprarono da Guglielmo Fogliaúno, vescovo di Reggio, il Palazzo donato al suo antecessore Niccolò dall’Imperatore. Così passando i Frati Minori nel luogo nuovamente acquistato, incominciarono le Clarisse sotto la scorta della Adam a vivere in Reggio nel Convento che fu prima dei Francescani.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 172-173.

ADAM GUIDO
Parma 1244
Figlio di Giovanni ed Ermengarda, padre del giurista Guido, poi minore, e del cronista Salimbene. L’Adam esercitò la milizia, e ai tempi di Baldovino conte di Fiandra guerreggiò in Oriente a soccorso della Terra Santa. Ebbe due mogli, Ghisla de’ Marsiliis e Iumelda De Cassio, e numerosa prole. Oltre ai più noti Guido e Ognibene (Salimbene), ebbe tre figlie: Maria, sposata ad Azzo Sanvitale, Caracosa che, rimasta vedova, fu poi fondatrice del Monastero di Santa Chiara in Reggio, ed Egidia, che fu collocata nella famiglia da Puzúzoúlese. Fu il padre mio Guido degli Adam bell’uomo e forte che una volta andò oltremare in soccorso di Terrasanta, a’ tempi di Baldovino conte di Fiandra; ed io ancora non ero nato. E mio padre mi narrava che, mentre gli altri lombardi in quelle terre d’oltremare interrogavano gli indovini sullo stato di lor case, egli non volle domandar loro e tornato trovò le cose sue così tranquille ch’era una consolazione, gli altri invece trovaron tutto di tristo, come avevano saputo dagli indovini. Anche mi narrava che sopra quanti ne aveva la sua compagnia fu lodato per bellezza e bontà il destriero che egli condusse seco in Terrasanta. Il padre di Salimbene era stato dunque Crociato in Terra Santa, nella classe distinta dei combattenti a cavallo (forse Salimbene si attarda a descrivere le qualità del destriero del padre proprio per fare risaltare questo particolare). L’Adam fu amico del Vescovo e dell’alto clero di Parma, ed ebbe una certa familiarità con Federico II. Le ricche famiglie borghesi godevano di uno stato sociale non inferiore a quello delle famiglie patrizie, con le quali spesso accendevano legami di parentela per mezzo di matrimoni avvedutamente programmati e dosati. Salimbene è consapevole del suo stato sociale e racconta che, da frate, avrebbe potuto correre il rischio di essere fatto vescovo o di avere una qualche altra prestigiosa prelatura: Mio padre aveva anche maritato sua figlia donna Maria con messer Azzone, cugino di Guarino; e questi era cognato del papa. Così per via dei nipoti e della familiarità che aveva con lui, mio padre sperava che il papa mi avrebbe restituito a lui, dato che non aveva altro figlio maschio. Cosa che il papa non avrebbe fatto, penso. Tutt’al più, forse, per consolare mio padre, mi avrebbe dato un vescovado o qualche altra dignità.
FONTI E BIBL.: L. Grazzi, Viaggiatori, missionari e crociati, 1945, 86; Salimbene, Cronaca, 1987, XIII.

ADAM Guido
Montefalcone post 1236
Figlio di Guido e della sua prima moglie, Ghisla de’ Marsiliis. Fin da fanciullo l’Adam mostrò svegliezza d’ingegno e attitudine agli studi, per cui nelle patrie scuole, frequentate con non comune profitto, ottenne il diploma, assai onorifico, di laureato in legge, ed esercitò l’ufficio e la carica di giudice. Sposatosi quindi con Adelaxia, figlia di Gerardo de’ Baratti, nobilissimo personaggio, parente della contessa Matilde di Canossa, ne ebbe una fanciulla, cui nel battesimo impose il nome di Agnese. Ma sia l’Adam che la consorte, stancatisi del mondo e attratti dalla vita povera, umile ed esemplare dei figli di San Francesco, deliberarono di entrare l’Adam nel Convento dei Frati Minori, e Adelaxia con la figlia nel Monastero delle Clarisse in Parma. Agnese sarà la destinataria della Cronaca e di altri scritti dello zio Salimbene. Consacratosi a Dio coi voti di religione e divenuto sacerdote, l’Adam si adoperò per la salvezza delle anime dedicandosi in modo speciale alla predicazione evangelica. Passò l’anno del noviziato in Fano, e qui si trovava pure quando il fratello Salimbene vestì l’abito Francescano. Tutto ciò narra appunto Salimbene: Hic habuit uxorem nobilem Dominam Adelaxiam nomine filiam Domini Gerardi de Barattis, ex qua unam tantum habuit filiam, quae dicta est Soror Agnes. Ambae tamen, tam mater, quam filia, in Monasterio Parmensi Ordinis Sanctae Clarae vitam suam laudabiliter finierunt. Fr. vero Guidus, maritus et pater in saeculo Judex fuit, et in Ordine Fratrum Minorum Sacerdos, et Praedicator. Tale risoluzione ebbe effetto prima del 1236, avanti che morisse Grazia, vescovo fiorentino di Parma, dicendo il Salimbene di quel prelato: Fratrem meum Guidonem dilexit, sed postquam Ordinem Fratrum Minorum intravit, non curavit de ipso. La stima che dell’Adam ebbero Gherardo da Correggio, potentissimo in Parma, e Martino, auditore delle cause nel Palazzo Apostolico, e poi Vescovo di Mantova, non meno che il carico di una solenne ambasceria datagli dai Parmigiani alla persona di papa Innocenzo IV, lo qualifica per uomo di singolarissimo valore. L’Adam morì nel Convento di Montefalcone, nel Reggiano, e lì giacque sepolto, come narra Salimbene.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 172-173; Beato Buralli 1889, 46-48; Salimbene, Cronaca, 1987, XII.

ADAM KARACOSA, vedi ADAM CARACOSA

Teca Digitale Biblioteche del Comune di Parma - V.lo Santa Maria 5, 43125 Parma (PR)

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