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Dizionario biografico: Abati-Adorno

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ABATI-ADORNO


  

ABATI
Ranzano XVII secolo
Falegname, artefice di un’ancona in Santo Stefano a Ranzano (Palanzano).
FONTI E BIBL.: A. Santangelo, 1934, 271; Il mobile a Parma, 1983.

ABATI PIETRO GIOVANNI, vedi ABBATI PIETRO GIOVANNI

ABBANESI OTTORINO, vedi ALBANESI OTTORINO

ABBATI ALESSANDRO
Parma XIX secolo
Cavaliere dell’Ordine Pontificio dello Speron d’Oro, fu capispettore del Patrimonio dello Stato.
FONTI E BIBL.: Almanacco della Ducal Corte, 241; Per la Val Baganza 8 1986, 171.

ABBATI CARLO
(1957-Parma 16 giugno 1999)

Compiuti gli studi classici al liceo Romagnosi di Parma, intraprese con passione gli studi di medicina e, dopo essersi brillantemente laureato con una tesi sperimentale in neurologia, iniziò l’attività professionale come volontario della Divisione neurologica di Fidenza diretta dal professor Saginario, che gli fu maestro di studi e di ricerca. Vinti numerosi concorsi e assunto come assistente in direzione sanitaria all’Ospedale Maggiore di Parma, maturò una prima significativa esperienza dei problemi concreti della sanità pubblica e, senza mai trascurare gli studi, si specializzò con lode all’Università di Parma dapprima in neurologia e quindi in psichiatria. Forte di una solida e profonda preparazione, vinse il concorso di assistente al Servizio psichiatrico dell’Unità sanitaria locale di Fidenza, dove si prodigò con grande impegno nell’assistenza dei malati psichici anche sul territorio e dove organizzò, sotto la direzione del professor Bassi, il settore di assistenza psichiatrica, additato a esempio da giornali e riviste specializzate. Passato alla divisione Neurologica dell’ospedale fidentino, nell’équipe del professor Montanari, da ultimo si impegnò, oltre che nella normale attività di reparto, anche nello studio e nella cura della sclerosi multipla e si adoperò strenuamente per il potenziamento del nuovo centro per la cura di tale patologia, centro che conseguì fama nazionale e internazionale. Accanto all’attività all’ospedale, assiduo studioso, continuò a svolgere con impegno e passione l’attività di ricerca in diverse istituzioni pubbliche e private, ottenendo importanti riconoscimenti. Frutto dell’intensa attività di ricerca è un cospicuo numero di sue pubblicazioni nel campo della neurologia, della neurobiologia e della psichiatria. Morì a seguito di un incidente stradale.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 giugno 1999, 9.

ABBATI GIOVANNI BATTISTA
(Parma 1515)
Nel 1515 era ostiario del papa Leone X in Roma.
FONTI E BIBL.: A. Bertolotti, Artisti Parmensi in Roma, in Atti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia Patria per le Province Modenesi e Parmensi 1 1883.

ABBATI GIUSEPPE
(Parma 4 marzo 1853)
Fu studiosissimo e raccolse con singolare impegno varie notizie spettanti alla Collegiata e al Capitolo del Battistero della Cattedrale di Parma, e le pubblicò nel Calendario che fece per molti anni a uso del medesimo. Fu Rettore di Santa Maria Maddalena, cui venne obbligato dal Papa a rinunciare per ottenere la Dogmania. Predicò la divina parola nella città di Parma e fuori con frutto, e con assiduo zelo.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie Cronologica dei Vescovi, I, 1856, 342.

ABBATI NORBERTO
(Parma 1895-Sagrado 1 maggio 1916)
Figlio di Guerrino, muratore. Soldato fante zappatore nel 19° Reggimento Fanteria, fu decorato sul campo di medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Sprezzante d’ogni pericolo, dava esempio di grande coraggio per superare gravi difficoltà nella costruzione di un importante approccio, finché cadeva mortalmente ferito. S. Martino 30 aprile 1916. Morì nella 21a Sezione di sanità in seguito a ferite multiple d’artiglieria riportate in combattimento. Fu sepolto nel Cimitero di Sagrado.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Gazzetta di Parma 7 aprile e 26 maggio 1917; G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 5; Decorati al valore, 1964, 73.

ABBATI PIETRO GIOVANNI
(Parma 1683/1745)
Figlio di Bernardo, visse tra la seconda metà del secolo XVII e la prima del XVIII. Le date di nascita e di morte (1708-1790) riportate dallo Janelli, che cita come fonte lo Scarabelli, sono evidentemente errate, perché in contrasto con i documenti riferiti nel suo manoscritto dallo stesso Scarabelli, il quale non può, quindi, aver fornito tali erronei elementi. Allevato dai domenicani della chiesa di San Pietro Martire a Parma, fu da questi affidato a Ferdinando Galli-Bibiena, da cui apprese la scenografia. La prima notizia certa su di lui è quella che lo ricorda quale testimone in un atto del 25 agosto 1683. Nel 1703 fece disegni per le scene al Regio Teatro di Torino. Il 28 gennaio 1706 era già in buone relazioni con la Corte di Parma e ne ottenne una commendatizia per Venezia. Nel 1707 fece una raccolta di prospettive del Bibiena e nel maggio 1714 le scene di bizzarra invenzione per il dramma per musica Carlo, Re di Alemagna di G. Orlandini, rappresentato al Teatro Ducale di Parma. Qui il suo nome è accompagnato dalla denominazione di servitor familiare del serenissimo Duca di Parma. Nello stesso anno dipinse altre scene per il teatrino privato dei duchi Farnese. Ma solo dal 25 novembre 1718 ricevette una provvigione fissa mensile di lire 73 in moneta corrente di Parma, provvigione che gli venne tolta nel 1727. Un altro pagamento di lire 1500 viene registrato al suo nome il 26 gennaio 1733 per l’assistenza da lui data al vestiario della danza a cavallo nella farsetta recitata in onore del Duca. Questa è l’ultima data certa della sua attività di scenografo, operante per teatri di numerose città, oltre che a Parma: in Urbania, ove fece tutto uno scenario per il teatro, a Torino, a Bologna e a Vienna. Ma si sa che fu anche incisore all’acquaforte e M. Oretti lo dice, pur senza darne documento, ancora operante nel 1745. Alcune notizie ne tratteggiano poi il carattere: infatti nel 1727 promise di beneficiare dopo la sua morte con lire 10.000 l’opera pia per i figli illegittimi (vedi Borra, Diarii). Ebbe a Parma due discepoli, Giuseppe Pellizzoli ed Agostino Filippi, coi quali per naturale suo umore allegro, anziché da maestro, da fratello trattando, di burle e arguti motti arricchiva il conversare. Rimangono di lui: Disegni delle scene che servono alle due opere che si rappresentano l’anno corrente (1703) nel Regio Teatro di Torino, invenzione di Ferdinando Bibiena, poste in opera, dipinte e dedicate da me Pietro Giovanni Abbati all’Altezza Reale di Carlo Emanuele Duca di Savoia. Carlo Antonio Buffagnotti intagliò e Varie opere di prospettiva inventate da F. Galli raccolte da P. Abbati e intagliate da C.A. Buffagnotti, Bologna, 1707.
FONTI E BIBL.: Archivio Comunale di Parma, ms. 88; G. Borra, Diarii parmensi, V, alla data 13 ottobre 1727; Bologna, Biblioteca Comunale, ms. B. 132; M. Oretti, Notizie dei professori del disegno bolognesi et forestieri, tomo X, c. 203; Biblioteca del Museo Nazionale di Antichità di Parma, ms. 12; E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VI (1651-1700), cc. 1-4; Parma, Biblioúteca Palatina, ms. 1106 (senza paginazione): notizie sull’Abbati tratte da note ms. dell’Affò; G. Bertolucci, Cenni intorno ad artisti specialmente parmigiani; P. Zani, Enciclopedia metodica delle Belle Arti, I, 1, Parma 1819, 291 (ricorda l’Abbati solo come incisore e architetto e senza alcuna datazione); A. Ilg, Die Fischer vom Erlach, Wien, 1891, p. 626 (con ulteriore bibliografia e con notizie di dipinti dell’Abbati conservati tra l’altro a Sibiu e a Graz, dove tuttavia essi non sono attualmente identificabili); J. Meyer, Allgemeines Künstler-Lexikon, I, p. 10; U. Thieme-F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, I, 11; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova, 1877, 1; Enciclopedia dello Spettacolo, I, 7; A. Ghidiglia Quintavalle, in Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 27.

ABBATIA SABINA
Parma 140 d.C.
Di condizione incerta, menzionata da Flegonte di Tralles tra i longevi vissuti cento anni della città di Parma. A differenza del nomen Abbatia, non documentato a Parma e in Cisalpina, Sabina è cognomen assai comune, ampiamente documentato anche a Parma.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses. 1986, 47.

ABBONDI MASSIMO, vedi ABLONDI MASSIMO

ABDESIO EPIDANEO, vedi FERRARI GIORGIO

ABELLI LUIGI
Parma 14 aprile 1889-1965
Figlio di Tancredi e di Adalgisa Bacchini. Fu custode del Municipio, donzello capo e banditore. Lavorò presso il Comune di Parma per 47 anni. Durante la seconda guerra mondiale si rifiutò di lasciare il palazzo municipale, che custodì giorno e notte. Un suo intervento, durante l’occupazione tedesca, salvò i preziosi quadri del Comune dall’asportazione.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 7

ABELLI PASQUALE
Calestano 1911-Parma 1960
Si laureò in Chimica farmaceutica e divenne titolare di farmacia a Parma, in strada Cavour. Fu Presidente del circolo stenografico Leone Bolaffio, Presidente dell’Ordine dei farmacisti di Parma e sindaco di Calestano. Fu tra i fondatori della sezione Parma Nuova della Democrazia cristiana. Morì d’infarto.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 7.

ABFOLTER PASQUALE
Parma 1654
Fu orefice in Parma nel 1654.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker (E. Scarabelli Zunti, ms. della Biblioteca Palatina in Parma); L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 52.

ABISSINO, vedi BUCCI BRUNO

ABLONDI GIOVAN BATTISTA
Parma 1606/1622
Religioso, fu suonatore di cornetto nella chiesa della Steccata di Parma, eletto l’8 gennaio 1610, ove si fermò fino al giugno del 1622. Anche prima, quale aiutante della musica e suonatore, prestò la sua opera in occasioni straordinarie, ottenendo in compenso dei donativi, come nel 1606.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 82.

ABLONDI MASSIMO
Calestano 1893-Monte Zebio 19 giugno 1917
Sergente, figlio di Zeffirino. Appartenne al 3° Reggimento Fanteria. Fu decorato con la medaglia d’argento al valore militare, con la seguente motivazione: Costante, mirabile esempio di coraggio, con irresistibile slancio, primo fra i primi del proprio reparto, si spingeva all’assalto della trincea nemica e, raggiuntala, vi cadeva colpito a morte.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1918, Dispensa 51a, 4259; Decorati al Valore, 1964, 31.

ABBATI GIOVANNI
Parma 1853
Violinista. Con decreto 12 dicembre 1853 fu nominato professore della Reale Orchestra di Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

ABSBURGO MARGARETE
Audenarde 28 dicembre 1522-Ortona 18 gennaio 1586
Figlia illegittima di Carlo V e di Giovanna van der Gheynst. Fu amorevolmente allevata dall’arciduchessa Margherita d’Asburgo e dalla regina Maria d’Inghilterra ed educata secondo il suo rango, per servire all’ambizioso gioco politico del padre. Era ancora bambina quando Carlo V la promise sposa ad Alessandro de’ Medici, pronipote o addirittura figlio di Papa Clemente VII, come un prezioso pegno di pace dopo il sacco di Roma del 1527. Tuttavia solo il 7 gennaio 1533 ella partì da Malines per raggiungere Firenze e lo sposo che non conosceva, ma che la pubblica voce diceva di intelligenza aperta, intraprendente e prestante. Dopo una prima, festosa sosta a Firenze (17 aprile) e una seconda, non meno festosa e solenne a Roma, l’Absburgo raggiunse Napoli, dove rimase ospite del viceré spagnolo fino al tempo di consumare il matrimonio essendo ancora molto putta. Le nozze si celebrarono solo quando l’Absburgo raggiunse quattordici anni (29 febbraio 1536), alla presenza dell’Imperatore, trionfante per la vittoriosa impresa che l’aveva condotto alla conquista di Tripoli. Nello stesso anno fece il suo ingresso a Firenze, vezzeggiata e adulata. Ma potè vivervi lietamente per poco in quanto il 5 giugno 1537 Alessandro cadde sotto il pugnale del cugino Lorenzino de’ Medici. L’Absburgo fu costretta a rifugiarsi nella fortezza del Basso, appena costruita, dove la confortò l’assidua corrispondenza con il padre, preoccupato sia per lei sia per i mutamenti della politica italiana, di cui la giovane vedova costituiva un’importante pedina. Tanto è vero che subito ella ebbe dei pretendenti, tra cui lo stesso Cosimo de’ Medici, che aveva assunto il governo di Firenze. Certo l’Absurgo contava molto. Voleva dire l’appoggio dell’imperatore e il cospicuo patrimonio che era venuto a concentrarsi nelle sue mani: il Ducato di Penne e le terre d’Abruzzo, palazzi e case in Roma, Castel Sant’Angelo, Castel Madama, e denaro, ori e preziosi. Quando all’Absburgo venne proposto come secondo marito Ottavio Farnese, il figlio di Pier Luigi, recalcitrò e si oppose. Trovò molto da ridire su cose, su persone, su Ottavio, sul contratto matrimoniale, sugli incaricati a trattare le pratiche. Ma alla fine, contenta o no, dovette cedere, e giunse a Roma con aria altera e polemicamente ancora vestita a lutto. Né le accoglienze particolarmente fastose, né l’atteggiamento affettuoso del papa Paolo III Farnese la fecero recedere dalla sua presa di posizione. Le nozze comunque si fecero, per lo meno sulla carta il 12 ottobre 1538. Ma Ottavio, di alcuni anni minore della sposa (aveva tredici anni) era timido, goffo e pieno di soggezione, ed ella, sentendosi troppo intelligente per un marito così, cominciò a snobbarlo. Non convivevano, s’incontravano casualmente come due estranei, ma la ragion di stato esigeva che il matrimonio fosse consumato. Vaticano e Spagna fremevano e tempestavano di messaggi, l’alta diplomazia era in fermento. A Roma coccolavano l’Absburgo, e da Madrid, Carlo V rimproverava la figlia. Lei mise in campo un sacco di scuse per non dormire con il marito e si attaccò a tutti gli appigli per chiedere l’annullamento dicendo anche di non aver pronunciato la formula di rito al momento delle nozze. Carlo V fece esaminare da un’apposita consulta le ragioni da lei invocate, che, peraltro, vennero dichiarate insussistenti. Questo responso piegò alla fine la volontà dell’Absburgo dopo due anni di rancori e castità. Il 27 agosto 1545 diede alla luce due gemelli, Carlo e Alessandro, che, presentati in una culla d’argento, vennero battezzati in Sant’Eustachio di Roma alla presenza di diciannove cardinali, padrini Carlo V e la regina di Francia. Uno dei neonati, Carlo, morì poco dopo, ma l’altro divenne una delle figure più rappresentative del Cinquecento italiano. Spogliata in quell’anno col marito dei ducati di Nepi e Camerino, coinvolta per l’assassinio di Pier Luigi (1547), nell’ardua lotta con la Francia, con Roma e con l’Impero, più forte del marito, sostenne intrepida e risoluta i diritti farnesiani ed ebbe parte vivissima nei trattati col padre e con la Chiesa perché Parma e Piacenza fossero ridate al marito. Dopo molte lotte, queste vennero alfine, per la pace di Gand (15 Aprile 1556), riconfermate ai Farnese. Religiosissima, di una devozione forse più formale che intimamente sentita, sostenne, specie nel periodo in cui fu a Roma, il nascente ordine di Sant’Ignazio di Loyola. L’Absburgo lasciò Roma nel 1550 dopo avervi soggiornato per dodici anni (villa Madama è da lei che prende il nome). Entrò trionfalmente a Parma il 2 luglio 1550 tra il giubilo del popolo, accolta da una ricca cavalcata di nobili e magistrati guidati dal marito e preceduta da due schiere di giovanetti splendidamente vestiti, parte in nero e parte in bianco, con in capo berretti piumati. Per quasi nove, difficili anni rimase a Parma a lottare per conservare un impossibile equilibrio tra i contrastanti interessi del suo casato, dell’Imperatore e del Papa. Ottavio si era gettato nel 1551 in braccio alla Francia, rischiando di dare esca a un incendio che avrebbe potuto coinvolgere l’intera Italia. Il nuovo papa Giulio III dichiarò decaduto il Farnese e Parma fu assediata dalle coalizzate truppe pontificie e imperiali. L’intervento francese e altre circostanze condussero alla tregua e al riconoscimento del Ducato. Poi venne l’abdicazione dell’imperatore Carlo V e l’ascesa al trono del regno su cui mai tramontava il sole di Filippo II, il quale espresse il desiderio che il nipote Alessandro venisse educato a Corte. L’Absburgo decise di accompagnare il figlio, prima a Bruxelles e poi a Londra, anche per poter vedere, dopo tanti anni, la patria lontana e il padre. Ma questi, deciso a ritirarsi nel silenzio di un chiostro, era già partito per la Spagna. L’Absburgo non lo vedrà più: avrà notizia della sua morte, avvenuta nel monastero di San Giusto in Castiglia il 21 settembre 1558, al suo ritorno da un viaggio a Bruxelles. Nel 1556 decise di erigere a Piacenza un edificio degno di lei e dei Farnese. I lavori della costruzione, sotto la direzione del Vignola, interrotti durante l’assenza della Duchessa impegnata nel governo delle Fiandre, furono ripresi in seguito dalla Comunità piacentina, che poi dovette sospenderli definitivamente a causa delle spese eccessive. Nel 1559 la difficilissima situazione delle turbolente Fiandre, in cui le aspirazioni di indipendenza si complicavano con i profondi contrasti di lingua, nazionalità e religione, indusse Filippo II ad affidarne il governo alla sorella, le cui doti gli apparivano le più adatte. Malgrado le difficoltà del compito, l’Absburgo non esitò ad accettare, pensando di fare gli interessi dei Farnese e di Alessandro. Governò per otto anni caratterizzati da difficoltà, tensione e pericoli, che affrontò con animo virile (nel 1563 fece richiamare per la sua debolezza il Cardinale di Granvelle) cercando di rinsaldare l’autorità del Sovrano e della Chiesa e di assicurare l’ordine e la pace contro una quantità di elementi disgregatori, ma non riuscì a vincere l’opposizione delle popolazioni che miravano all’indipendenza. Quando Filippo II, di fronte al diffondersi del protestantesimo, inviò nelle Fiandre il suo crudele e spietato luogotenente duca d’Alba, l’Absburgo protestò energicamente, e quindi chiese di essere esonerata dall’incarico. L’Absburgo partì da Bruxelles il 30 dicembre 1568 accompagnata da schiette dimostrazioni di affetto e di rammarico. Nel febbraio dell’anno seguente giunse nel suo Ducato di Parma e Piacenza, lontana dalle preoccupazioni del governo, felice di essere nuovamente presso i suoi cari e la nipotina Margherita, che Alessandro aveva avuto dalla moglie Maria Daviz del Portogallo. Alcuni mesi più tardi si recò con il marito e il figlio a Piacenza dove il pontefice Pio V le fece consegnare, per le sue benemerenze verso la religione in Fiandra, la rosa aurea, una rosa d’oro tempestata di pietre preziose e stimata dodicimila scudi romani, che ogni anno il Papa destinava a uno dei sovrani cattolici d’Europa. Da Piacenza, al fine di ristabilire la sua salute, nel 1569 l’Absburgo si portò nelle sue terre d’Abruzzo, a Città Ducale, a Penne, all’Aquila. Nel dicembre del 1571 emanò da Città Ducale gli Ordini e le Leggi per i suoi Stati d’Abruzzo, che sono un altissimo documento di grande saggezza amministrativa, di esperienza di governo e di ammirevole umanità. Da quel sereno soggiorno la strappò Filippo II, che, visto il complicarsi delle cose in Fiandra, decise di richiamare a quel governo la sorella. L’Absburgo esitò ad accettare per vari motivi, e solo alla fine acconsentì a patto che si mutasse radicalmente tutta l’impostazione del governo dei Paesi Bassi, abbandonando la disastrosa politica delle armi iniziata da Giovanni d’Austria. Frattanto questi, morente, chiamò a succedergli nel comando delle armate spagnole e nel governo dei Paesi Bassi, il figlio di Margherita, Alessandro. Ma Filippo II, convinto dell’opportunità che comando militare e governo politico non dovessero restare accentrati nella stessa persona, decise di affidare il secondo alla sorella e di conservare il primo al nipote Alessandro. Seguì un penoso contrasto, che indusse l’Absburgo a far presente all’Imperatore il suo desiderio di rinunciare all’incarico, convinta che la divisione del potere delle Fiandre fosse dannosa all’imperatore e al destino del Paese stesso. Filippo II alla fine si convinse, ma volle che ella rimanesse per qualche tempo accanto al figlio come fedele consigliera. L’Absburgo rientrò in Italia solo nel 1583; nell’ottobre fu a Piacenza, e quindi a Parma. Si recò poi in Abruzzo, a Loreto e all’Aquila, dove provvide ad ampliare con una grande villa la sua residenza. A Ortona, sua residenza d’inverno, fece costruire un grande palazzo da uno dei più noti architetti di Roma, Giacomo della Porta. Continuò ad occuparsi dell’amministrazione delle sue città d’Abruzzo, che unì in unico Stato al vecchio Ducato di Penne. Questo mentre le sue condizioni di salute andavano ormai peggiorando. Ad Ortona, nella casa dei nobili De Sanctis (il Palazzo Farnese era ancora in costruzione), morì a 64 anni di età. Il 29 maggio 1586 fu sepolta del monastero di San Sisto in Piacenza.
FONTI E BIBL.: F. Rachfahl, Margareta von Parma, statthalterin der Niederlande, Monaco, 1898; H. Pirenne, Histoire de Belgique, voll. III e IV, Parigi, 1923-1927; L. Van Der Essen, Alexandre Farnese, vol. I, Bruxelles, 1953; R. Palmarocchi, in Enciclopedia Cattolica, VIII, 1952, 71; G. Cor., in Dizionario Utet, VIII, 1958, 316; Aurea Parma 4/6 1943, 76; M. Gomez Del Campillo, Margarita de Austria, duquesa de Parma, in Boletin de la Real Academia de la historia, XXLV, 1959; R. Lefevre, Villa Madama, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1964; J. De Jongh, Madama Margaretha van Oostenrijk Hertogin van Parma en Piacenza 1522-1586, Amsterdam, 1965; C. Bernardi Salvetti, S. Maria degli Angeli alle Terme e Antonio Lo Duca, Roma, 1965; R. Lefevre, Castelsantangelo (Castel Madama) sotto la signoria dei Medici e di Margarita d’Austria nel sec. XVI, in Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte, XL, 1967-1969; C. Bernardi Salvetti, Le tre dame coronate nel quadro di Giulio Mazzoni il Piacentino nella Chiesa di S. Maria degli Angeli, in L’Urbe 1 1967; R. Lefevre, L’ultima dimora di Madama Margherita d’Austria, in L’Emilia, 1968; R. Lefevre, Viaggio a Campli, Penne e Ortona con Madama Margherita d’Austria, in Rivista Abruzzese 4 1968; R. Lefevre, Sosta ad Audenarde, patria di Margherita di Parma, in Rivista delle Nazioni 5 1968; R. Lefevre, Il testamento di Madama Margherita d’Austria (1585), in Palatino 12 1968; Dizionario. Storico Politico, 1971, 789; Artocchini, Padrone di Parma e Piacenza, 1975, 15-23; U. Delsante, in Al Pont ad Mez 2 1977, 26-28; B.W. Meijer, Parma e Bruxelles, 1988; Fonti documentarie e testimonianze su Margherita d’Austria e i Farnese nei feudi d’Abruzzo, 1994; G. Bertini, Le nozze di Alessandro Farnese, 1997.

ABSBURGO MARGHERITA, vedi ABSBURGO MARGARETE

ABSBURGO LORENA ISABELLA MARIA ANTONIETTA, vedi BORBONE PARMA ISABELLA MARIA ANTONIETTA

ABSBURGO LORENA MARIA AMALIA, vedi ABSBURGO LORENA MARIA AMALIE

ABSUBRGO LORENA MARIA AMALIE
Vienna 26 febbraio 1746-Praga 18 giugno 1804
Nona degli undici figli di Maria Teresa, imperatrice, e di Francesco Stefano I, imperatore, duca di Lorena e granduca di Toscana. Il 19 luglio 1769, a ventitré anni d’età, sposò a Vienna il diciottenne Ferdinando di Borbone, infante di Spagna e duca di Parma. Nozze non gradite al potente ministro Guglielmo Du Tillot che, mediante altro progetto, aveva mirato all’ingrandimento dello Stato. Francia e Spagna fecero anch’esse proposte di matrimonio per il Duca di Parma. Di questi dissensi approfittò Maria Teresa facendo accettare sua figlia Maria Amalia. L’Absburgo ebbe grande ingerenza negli affari dello Stato. Combatté la grande influenza esercitata da Francia e Spagna sul Ducato per mezzo di Guglielmo Du Tillot, a cui Ferdinando di Borbone, salito al trono appena quattordicenne, aveva lasciato la cura del governo. Sicché, nei primi quattro anni di regno di un principe molto devoto, si riaccese più viva la controversia tra il Papa e il Ducato parmense. Ma Ferdinando, appena poté, si ribellò contro tutto quello che aveva dovuto accettare e che non era mai stato in armonia con le sue convinzioni. E così nella lotta contro il Du Tillot, l’Absburgo, oltre che tutti i malcontenti e i nemici del grande ministro, ebbe con sé anche il Duca. Licenziato il Du Tillot il 14 novembre 1771, Ferdinando di Borbone governò direttamente lo Stato. Il 9 ottobre 1802, morto Ferdinando, che aveva lottato contro l’invadenza napoleonica, il conte Francesco Schizzati, a cui il sovrano defunto nell’assenza del figlio Carlo Lodovico aveva delegato i pieni poteri, istituì una reggenza composta dall’Absburgo, da se stesso e dal marchese Cesare Ventura. Ma l’Absburgo, ben comprendendo le intenzioni francesi, lasciò Parma il 22 dello stesso mese dirigendosi a Praga. Il giorno successivo i Francesi sciolsero la reggenza e decretarono che, dalla morte di Ferdinando, la sovranità dello Stato par mense era devoluta di pieno diritto alla Francia. L’Absburgo morì a Praga due anni dopo. Carattere indipendente, nei suoi 33 anni di sovranità agì con abilità e fermezza, e condusse una lotta senza quartiere contro l’invadenza franco-spagnola. Tale sua politica, allora in armonia con gli intenti dell’Austria mirante a eliminare dal Ducato di Parma l’egemonia francese, valse senza dubbio a diffondere nel Parmense quell’amore all’indipendenza che tanta parte doveva poi avere nella storia del Risorgimento italiano. L’Absburgo fu priora della Compagnia del Santo Angelo Custode di Parma.
FONTI E BIBL.: C. Pigorini-Beri, La corte di Parma nel secolo XVIII, in Nuova Antologia, anno XXVII, fascicolo X, 16 maggio 1892; C. Pigorini-Beri, Un battesimo principesco nella fine del secolo XVIII, in Nuova Antologia, anno XX, 15 febbraio 1885; C. Fano, I primi Borboni a Parma, Parma, Ferrari e Pellegrini, 1890; T. Bazzi e U. Benassi, Storia di Parma, Parma, Battei, 1908; G. Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 49; Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 487; Dizionario UTET, VIII 1958, 326; Dizionario Storico Politico, 1971, 791.

ABSBURGO LORENA MARIA LUDOVICA LEOPOLDINE
Vienna 12 dicembre 1791-Parma 17 dicembre 1847
Imperatrice dei Francesi, poi Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Figlia primogenita di Francesco I, imperatore d’Austria, e di Maria Teresa di Borbone Napoli. Docilissima di carattere fin dalla fanciullezza, apprese con facilità le lingue inglese, italiana, francese e si applicò pure al disegno e alla musica. Quanti l’attorniavano, le istillarono una grande avversione per i Francesi, e specialmente per Napoleone I, il quale, divorziato da Giuseppina Beauharnais (15 dicembre 1809), il 13 febbraio 1810 ottenne invece il consenso, su sollecitazione del ministro degli esteri austriaco, il principe di Metternich, reduce dall’umiliazione di Wagram, dell’imperatore austriaco per sposarne la figlia. Il matrimonio, dapprima per procura, fu celebrato l’11 marzo. Due giorni dopo l’Absburgo lasciò Vienna, e a Courcelles presso Soissons il 27 marzo si unì con Napoleone I che era andato a incontrarla con Murat. Il matrimonio civile ebbe luogo a Saint- Cloud il 1° aprile e quello religioso il giorno dopo al Louvre. Fin dai primi giorni l’Absburgo s’avvide che i suoi gusti e le sue abitudini male s’adattavano agli splendori della Corte francese, e preferì vivere quasi appartata, non troppo sensibile alle cure di cui la circondava Napoleone. Il 20 marzo 1811 essa diede alla luce un figlio, Francesco Giuseppe Carlo, al quale fu dato il titolo di re di Roma. Quando Napoleone partì per la campagna di Russia, l’Absburgo andò per qualche giorno a Praga. Il 15 aprile 1813 fu investita del titolo di reggente dell’Impero, ma non parve interessarsi troppo degli affari di governo, che affidò al consiglio messole a fianco dall’Imperatore. Avvenuti i disastri militari del marito, rimase a Parigi fino al 29 marzo 1814. Il 30 marzo 1814 gli eserciti coalizzati entrarono a Parigi, e il 1° aprile si formò un Governo provvisorio e due giorni dopo Napoleone fu dichiarato decaduto. L’atto di abdicazione in favore del figlio fu respinto e Napoleone fu costretto ad abbandonare i troni di Francia e Italia. L’Absburgo, confusa e frastornata dai grandiosi sconvolgimenti storici, chiese aiuto al padre e rifiutò di raggiungere il marito a Fontainebleau. Il 2 aprile, fu a Blois, quindi si trasferì a Orléans, decisa di ricongiungersi al padre, con cui s’incontrò a Rambouillet, e il 25 aprile partì per Vienna, dove ebbe un’accoglienza trionfale. Il medico Corvisart le fornì il pretesto per non raggiungere Napoleone Bonaparte all’isola d’Elba. L’Absburgo trascorse l’estate del 1814 ad Aix-les-Bain per le cure termali, accompagnata dal conte di Neipperg, uomo di fiducia del Metternich, col quale intrecciò una relazione amorosa e che si occupò di difendere i suoi interessi a Vienna. Con la fuga del Bonaparte dall’Elba le fu tolta l’amministrazione dei Ducati e il governo fu affidato al conte Magawly-Cerati. Solo nel 1815, qualche giorno prima della definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte a Waterloo, il 18 giugno, ne rientrò in possesso. Il 19 febbraio 1815 protestò con un atto presentato al Congresso di Vienna contro la restaurazione dei Borbone in Francia, reclamando quel trono in favore del figlio. Dopo la partenza di Napoleone per Sant’Elena (18 luglio 1815), l’Absburgo, che era stata investita dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, interruppe qualunque relazione epistolare col marito, che invece continuò a scrivere a lei lettere commoventi. A Parma giunse, provenendo da Casalmaggiore e Coúlorúno, il 20 aprile 1816. A quei tempi il territorio del Ducato era depauperato dalle devastazioni del periodo napoleonico. La miseria a Parma era diffusa e le condizioni igieniche pessime. Il Governo ducale si occupò per prima cosa di recuperare nuove entrate per il bilancio dello Stato. L’Absburgo privilegiò sempre Parma rispetto a Piacenza: a Parma fissò la sua residenza e l’amministrazione dello Stato, organizzato in modo fortemente accentrato, diventando la benefattrice della sua capitale e la protettrice della cultura e delle arti. Neipperg, suo cavaliere d’onore, venne nominato governatore della Casa Ducale, gran maestro di Corte, maresciallo di Palazzo, generalissimo delle Forze Armate e ministro degli Affari Esteri, poi il 1° gennaio 1817 assunse definitivamente il governo dei Ducati. Nel frattempo l’Absburgo portava avanti nel più grande riserbo una gravidanza e il 1° maggio 1817 diede al Neipperg una figlia battezzata a porte chiuse con il nome di Albertina Maria: la bambina ricevette il titolo di contessa di Montenovo (traduzione italiana del cognome Neipperg). Il 9 agosto 1819 diede alla luce il figlio Guglielmo. Dopo la morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio 1821, l’Absburgo sposò il 7 agosto dello stesso anno il Neipperg e si dedicò alla vita familiare. Coadiuvata e consigliata non solo dal Neipperg ma da molti intelligenti e valenti personaggi del Ducato, che riscossero la sua piena fiducia, l’Absburgo resse il suo Stato con saggezza e moderazione anche nei momenti più critici. Quello con Neipperg fu un matrimonio felice: soldato valoroso (in battaglia aveva perso un occhio), il conte era un uomo equilibrato e colto, buon amministratore e ottimo musicista. Ed ebbe un ruolo importante nel far sì che l’Absburgo, della quale era molto più anziano, si ambientasse felicemente a Parma. Il Neipperg morì il 22 febbraio 1829. Il figlio di Napoleone, apprendendo in quell’occasione del secondo matrimonio della madre, interruppe la corrispondenza con lei. Nuovo segretario di Stato divenne il barone Giuseppe Werklein. Due anni dopo l’Absburgo dovette abbandonare per breve tempo Parma, che aveva aderito al moto rivoluzionario dell’Italia centrale, e, tornatavi, non infierì su coloro che l’avevano costretta a partire, contrariamente a ciò che aveva fatto il suo vicino, duca di Modena. Quando le morì il figlio Francesco (22 luglio 1832) si trovava da pochi giorni a Vienna. Dopo la morte di Neipperg era rimasto al suo fianco il Marchall, un amministratore che l’Absburgo non apprezzava, ritenendolo incapace di trovare un giusto equilibrio nel drammatico frastuono di quei tempi difficili. Di questi problemi interessò il padre, e l’Impeúratore, su consiglio del Metternich, inviò a Parma (1833) un nuovo e più abile consigliere: il conte Charles di Bombelles. Quest’ulútimo, uomo semplice e capace, apparteneva per nascita a una illustre famiglia portoghese, passata prima in Francia e poi in Austria. Il 17 febbraio 1834 l’Absburgo passò a terze nozze col Bombelles, suo maggiordomo maggiore. Il matrimonio della figlia Albertina con Luigi Sanvitale, avvenuto nell’ottobre del 1833, rimise la Corte al centro della vita mondana. L’Absburgo visse circondata dai pettegolezzi su sue presunte relazioni amorose, ma anche dall’affetto della figlia e dei nipotini. Quando morì, a 57 anni, di pleurite reumatica, il Ducato passò a Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca. I funerali furono celebrati a Parma nella cappella di San Lodovico, successivamente la salma fu traslata a Vienna per essere inumata nella Cripta dei Cappuccini, tomba degli Absburgo. L’Absburgo cambiò il volto delle città del Ducato facendo realizzare una serie di opere pubbliche di grande pregio. Fu, oltre che munifica protettrice delle arti, ella stessa pittrice, e come tale trattò in prevalenza il paesaggio. Ogni settore del suo governo fu improntato al progresso, merito in parte dei saggi uomini politici da cui fu circondata: basti pensare alla riforma del Codice. Ma il campo nel quale la Sovrana lasciò un’impronta più personale è quello artistico. Con lo stesso decreto del 22 marzo 1816 con il quale richiamò in vigore gli antichi statuti dell’Accademia di Belle Arti di Parma, ella annunciò il ritorno delle opere che il marito aveva portato in Francia. Tra le istituzioni che fecero onore al suo Ducato, quella per la quale più vigili e costanti furono le sue attenzioni, fu l’Accademia. Per stimolare l’emulazione nei giovani artisti, conservò la tradizione dei premi annuali portando il pensionato artistico a diciotto mesi di perfezionamento a Roma. La premiazione, a cui partecipava tutta la Corte, costituiva uno degli atti protocollari di maggiore importanza. Come appare nel quadro del pittore boemo Johann Pock, era la stessa Absburgo, in elegante abito da cerimonia, a premiare gli allievi. Assegnò inoltre ogni anno la somma di lire 5000 della sua borsa privata per l’acquisto di un certo numero di opere a soggetto religioso, che faceva pervenire alle parrocchie povere dei paesi più lontani delle montagne del Ducato. L’Absburgo coltivò con passione la pittura di paesaggio: la sua produzione in questo campo è attestata da un prezioso album conservato nel Museo Lombardi di Parma. Tale album comprende 46 freschissimi acquerelli, firmati Marie Louise, recanti visioni dei paesi visitati che l’avevano più sensibilmente impressionata. Sono luoghi della Savoia, delle Alpi italiane e svizzere, dell’Austria, vedute di Venezia, di Parma e provincia, tra cui un prospetto della chiesa romanica di Vicofertile. Altri rappresentano castelli medioevali in riva a laghi o dominanti il mare, fortilizii montani, interni di palazzi, paesaggi con piante in primo piano le cui fronde sono minuziosamente condotte. Composizioni che rivelano perizia tecnica non comune accompagnata spesso da emozioni sensibili e commosse. Comunque, se l’Absburgo non superò la mediocrità, va detto che la sua sensibilità artistica fu determinante per quel considerevole sviluppo dell’arte che caratterizzò il suo Ducato. Il volto neoclassico di Parma è legato al nome dell’Absburgo e all’architetto di Corte Nicola Bettoli. Le grandi iniziative realizzate, impressero caratteri inconfondibili alla città, che si arricchì di monumenti e di opere di pubblica utilità attraverso un piano dettato da una politica urbanistica e costruttiva illuminata. Innanzitutto portò a termine il cimitero della Villetta. Altra opera significativa è il ponte sul Taro realizzato tra il 1819 e il 1821 su progetto di Antonio Cocconcelli, con sculture di Giuseppe Carra, iniziativa che impiegò trecento operai disoccupati e favorì i collegamenti con benefici notevoli per il commercio. Numerosi furono gli interventi nel campo della beneficenza: nel 1817 creò l’Ospizio della Maternità, che accoglieva ragazze madri, con annessa una Scuola tecnico-pratica di ostetricia della durata di diciotto mesi per otto ragazze, due delle quali erano mantenute agli studi direttamente dalla Absburgo. nel 1818 concedette i locali dell’ex convento di San Francesco di Paola per l’Ospedale dei Pazzerelli, inoltre creò ospizi e ricoveri allo scopo di migliorare la difficile situazione sanitaria. La sua opera architettonica più significativa fu la realizzazione del Teatro Ducale, disegnato da Bettoli e decorato da Toschi, iniziato nel 1821 e terminato nel 1829. L’Absburgo impose bassi prezzi d’ingresso per aprire il teatro anche ai ceti meno agiati. Per fare fronte alla carestia del 1829, intraprese una serie di opere pubbliche tra cui il rifacimento di Porta San Barnaba e di Porta Santa Croce, poste al termine delle strade omonime, che si inserisce nel quadro delle opere d’inverno, concepite per dare lavoro alle classi più povere, attenuando loro le difficoltà della cattiva stagione. Dopo i moti del 1831, la politica dell’Absburgo subì una svolta: gli interventi, anche se minori, divennero più di sostanza che di immagine e più funzionali alle esigenze della città. Diverse modifiche furono effettuate nel palazzo della Pilotta a favore delle istituzioni culturali che vi ebbero sede. Nel 1833 venne creata una sala per l’Archivio di Stato. Nel 1834 fu terminato l’ampliamento della Biblioúteca con la costruzione della nuova Sala Ducale. Fu rilanciata anche l’Accademia delle Belle Arti con la scelta di prestigiosi insegnanti di pittura, scultura e architettura. Per rispondere a necessità igieniche, tra il 1836 e il 1837 nell’area della Ghiaia fu costruito il complesso delle Beccherie, che riunì le botteghe per la vendita della carne, mentre il mercato del bestiame fu sistemato nel Foro Boario tra il Giardino e il greto del torrente. Nel 1836 fu trasferito nell’ex convento dei Francescani, a fianco di Santa Maria del Quartiere, l’Ospedale degli Incurabili che dal 1322 aveva sede nell’oratorio di San Giacomo in strada San Francesco. Nel 1842 destinò un edificio di strada Santa Croce a Convitto per le Suore di Carità. Si occupò anche dell’istruzione fondendo il Collegio Lalatta e il Collegio dei Nobili in una sola istituzione, il Collegio Maria Luigia, affidato all’amministrazione dei padri Barnabiti. Fondò la Scuola della Compagnia dei figli di Truppa, destinata ai figli di ufficiali e sottufficiali. Trasformò il Giardino Ducale, risalente all’epoca farnesiana, in un parco pubblico e diede il via tra il 1838 e il 1840 ai lavori di restauro della facciata, del tetto e degli interni del Palazzo Ducale, che a ogni primavera ospitò una mostra di pittori locali. Fu essenziale per la vita del Ducato la ripresa del progetto napoleonico di una strada che attraversasse l’Appenúnino: nel 1835 si iniziarono i lavori nel tratto da Fornovo al passo della Cisa.
FONTI E BIBL.: G. Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 49; J.A. Helfert, Maria Luise Erzherzogin von Oesterreich, Vienna, 1873; E. Wertheimer, Die Heirat der Erzherzogin Maria Luise mit Napoléon, Vienna, 1892; E. Guglia, Maria Luise von Oesterreich, Vienna, 1894; B. Antonmarchi, Le mariage par procuration de Maria Louise et Napoléon, in Revue Hébdomadaire, 1898; A. Fournier, Maria Louise et la chute de Napoléon, in Revue Historique, 1903; M. Billard, Les maris de Maria Louise, Parigi 1909; E. d’Hauterive, Lettres de l’Impératrice Maria Louise à la Reine Cathérine, in Revue des Deux Mondes, 1928; E.M. Ravage, Empress Innocente, the Life of Maria Luigia, New York, 1931; G. Gualtieri, Maria Luigia, Firenze, 1932; F. Salata, Maria Luigia e i moti del Trentino, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1932; M.M., in Enciclopedia Italiana, XXII, 1934, 312; Dizionario Storico Politico, 1971, 792; G. Copertini, La pittura parmense dell’800, Milano, 1971, 32-33; I. Petrolini, Museo Glauco Lombardi, catalogo, Parma, 1972; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi Pittori, VII, 1975, 193; G. Capelli, in Gazzetta di Parma 17 dicembre 1983, 3; Grandi di Parma, 1991, 71-75; M. Oblin, Le vrai visage de Marie-Louise, 1974; I Schiel, Maria Luigia, 1983; A. Solmi, Maria Luigia duchessa di Parma, 1985; Maria Luigia donna e sovrana, Parma, Guanda, 1992, 2 volumi (con bibliografia precedente); M. Leoni, I Principali Monumenti innalzati dal MDCCCXIV a tutto il MDCCCXXIII da Sua Maestà la Principessa Imperiale Maria Luigia, arciduchessa d’Austria, duchessa di Parma, ora pubblicati da P. Toschi, A. Isac e N. Bettoli, e descritti da Michele Leoni, Parma, Co’ Tipi Bodoniani, 1824; C.-R. Bombelles, Monumenti e munificenze di S.M. la Principessa Imperiale Maria Luigia, Arciduchessa d’Austria, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Opera pubblicata per cura del suo Gran Maggiordono S.E. il Conte Carlo di Bombelles, Consigliere intimo e Ciamberlano di S.M., Parma-Parigi, dalla Tipografia di Paolo Renouard, 1845; J. Lecomte (A. Pezzana-V. Mistrali), Parme sous Marie Louise, Paris, Souverain, 1845, 2 volumi; G. Negri, Elenco di tutti i quadri fatti eseguire da pittori nostrali da S.M. Maria Luigia d’Austria, in Il Parmigiano Istruito nelle Cose della Sua Patria, Parma, 1852, riedito in G. Godi, Mecenatismo e collezionismo pubblico a Parma nella pittura dell’Ottocento, Colorno, 1974, 165-170; F.G. Martini, Alla memoria di Maria Luigia d’Austria Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, nel XXV anniversario della sua morte. Omaggio di un antico magistrato parmense, Parma, Adorni, 1872; F. Masson, L’Impératrice Marie Louise 1809-1815, Paris, 1902; A. del Prato, Le spese della Casa Ducale di S.M. Maria Luigia, in Aurea Parma 1-2 1913, 20-28; L. Seidler, Erinnerungen der Malerin Louise Seidler, Berlin, Propyläen, 1922, Hrsg.v. H. Uhde; A. Valeri, Maria Luigia (1791-1847). L’Arciduchessa d’Austria. L’Imperatrice dei Francesi. La Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, 2a edizione, Milano, Corticelli, 1934; A. Micheli, I Barnabiti a Parma ed il Regio Collegio Maria Luigia, Fidenza-Salsomagúgiore, Mattioli, 1936; A. Tomasinelli, Maria Luigia, Torino, Gambino, 1941, con prefazione di Renzo Pezzani; M. Prampolini, La Duchessa Maria Luigia. Vita familiare alla Corte di Parma. Diari, carteggi inediti, ricami, Bergamo, Arti Grafiche, 1942, ristampa: Parma, Guanda, 1991, a cura di G. Cusatelli; G. Copertini, Il bozzetto del ritratto di Maria Luigia del Borghesi, in Parma per l’Arte I 1953, 93; G. Copertini, È scomparsa sotto il piccone la biblioteca privata di Maria Luigia, in Parma per l’Arte 1 1957, 33-34; G. Vernazza, L’Università di Parma e Maria Luigia, in Parma per l’Arte 8 1958, 216-218; C. Johnson, La storia metallica di Maria Luigia duchessa di Parma, in Medaglia 3 1972, 42-82; M. Corradi Cervi, Six valses autrichiennes arrangées pour Sa Majesté l’Impératrice Marie Louise par le L.C. de Neipperg, in Parma nell’Arte 2 1976, 119-122; E. Bezzi, Associazione in Parma per l’effige in busto dell’Augusta Sovrana Maria Luigia, in Parma nell’Arte II 1978, 135-138; P. Ceschi Lavagetto, G.B. Borghesi. Ritratto di Maria Luigia duchessa di Parma, in Le Regge disperse. Colorno rintraccia gli arredi ducali presenti in collezioni pubbliche parmensi. Secoli XVIII-XIX, Colorno, Una Città Costruisce una Mostra, 1981; M.L. Hotz, Arredamenti dei Palazzi Ducali di Parma durante il governo di Maria Luigia d’Austria, in Le Regge Disperse, Colorno, Una Città Costruisce una Mostra, 1981, 25-40; G. Mondelli, Distrutto un salotto che era stato di Maria Luigia, in Il Resto del Carlino 4 gennaio 1981; L. Farinelli, Maria Luigia duchessa di Parma, Milano, Rusconi, 1983, schede a cura di G. Godi e G. Carrara; M. Zannoni, Vincenzo Agnoletti credenziere di S.M. Maria Luigia Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, in Malacoda 33 1990, 43-51; T. Coghi Ruggiero, Maria Luigia, protettrice delle Belle Arti e l’incremento del patrimonio artistico nel Ducato, in Malacoda 38 1991, 3-12; A.V. Marchi, Volti e figure del ducato di Maria Luigia 1816-1847, Milano, Antea, 1991; P. Pedretti, Com’era Parma neoclassica. Riscoperti quattro album dell’Ottocento, in Gazzetta di Parma 23 aprile 1991; M. Turchi, Le nomine dei cavalieri costantiniani ai tempi della duchessa Maria Luigia per chiara fama culturale, in Malacoda 35 1991, 27-30; M. Zannoni, A tavola con Maria Luigia. Il servizio di bocca della Duchessa di Parma dal 1815 al 1847, Parma, Silva, 1991; Rapporto del Mareschal a Maria Luigia 28 novembre 1832, Parma, Archivio di Stato, Casa e Corte di Maria Luigia d’Austria, busta 716; P. Capello, La Gazzetta di Parma nell’età di Maria Luigia: varietà, letteratura e cultura musicale, tesi di laurea discussa nella Facoltà di Magistero dell’Università di Bologna nell’anno accademico 1989-1990, relatore Luisa Avellini; Enciclopedia di Parma, Milano, Ricci, 1998, 437-438.

ACCADEMICO OCCULTO, vedi PALLAVICINO FERRANTE CARLO

ACCARINI BEATRICE
Parma 1912-Buenos Aires 1968
Molto giovane iniziò la carriera di attrice di operetta, con lo pseudonimo di Bicky Astori. Si trasferì in Argentina nel 1936 e cominciò a recitare nel teatro Maipù e in seguito in molti altri locali. Fece anche un po’ di cinema e teatro spagnolo e qualche parte in televisione. FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 luglio 1989, 3.


ACCARINI FERDINANDO
Busseto-post 1868
Pittore di nature morte, fu lo scenografo del vecchio e del nuovo teatro di Busseto, dove nel 1868 dipinse il sipario.
FONTI E BIBL.: E. Seletti, v. II, 288; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

ACCATINO ANDREA
Viarigi Monferrato 1870-Parma novembre 1921
Dirigente cattolico, pubblicista. Giovanissimo entrò nelle organizzazioni salesiane, dove, laico, disimpegnò importanti incarichi. Si trasferì a Parma all’epoca in cui l’Istituto Salesiano di San Benedetto si apprestava a diventare un centro propulsivo d’istruzione, artigiana e letteraria, un efficace semenzaio di educazione morale fra il popolo. L’Accatino si inserì in questo organismo, il più vivace culturalmente, il più aperto politicamente, il più attivo socialmente in campo cattolico a Parma, e diede un notevole contributo di idee e di azione. Si affiancò a don Baratta, a Stanislao Solari e al giovane Micheli. Con loro fondò la Rivista di Agricoltura, una delle più importanti e prestigiose in campo nazionale. L’Accatino ne fu direttore per oltre vent’anni, profondendovi tutta la propria esperienza nel ramo agrario e l’attività di militante cattolico. Convinto assertore delle teorie agronomiche di Solari, ne fu divulgatore instancabile. Contribuì alla ripresa dei consensi verso il mondo cattolico nelle campagne parmensi, specie presso i piccoli proprietari. Nel giugno del 1918 ricevette un’alta onorificenza dello Stato, riconoscimento per l’incessante lavoro di pubblicista e per l’opera svolta a beneficio degli agricoltori. Morì improvvisamente, nel pieno dell’attività.
FONTI E BIBL.: Documenti 14 1978, 32-33.

ACCOLTI CORONATO, vedi OCCOLTI CORONATO

ACCORSI
Parma 1303
Fu astrologo e scrittore d’astrologia. Nel medesimo tempo in cui il parmigiano Egidio Tebaldi si faceva traduttore di cose astrologiche, l’Accorsi nel 1303 scrisse il seguente libro che è descritto nel tomo II dei Codici mss. Latini del Catalogo della Biblioteca Lauúrenúziana al Numero II della Col. 62. Fa parte del Codice XLVI. Ecco la descrizione del Bandini: Astrolabium sphaericum compositum anno Domini 1303. Dominus Accursius de Parma fuit (ita enim videtur legi posse) principium hujus operis. Incipit Prologus: Totius astrologicae speculationis ratio et funda mentum etc. Desinit nunc invocato divino prius auxilio ad hujus instrumenti compositionem procedamus. Tractatus in duas partes divisus est. Prima decem continet Capitula Primum de formatione instrumenti inc: Quum, igitur, favente Domino, volueris hoc instrumentum componere, etc. Capitolo X de formatione lilii des. eritque in hoc compositio ipsius sphaerae instrumenti completa. Secunda pars, nulla Capitulorum numeratione distincta, quae agit de utilitatibus generalibus hujus instrumenti, inc. Postquam auxiliante Deo scripsimus. Des. hunc tractatum sub laude Dei finiemus. Questo codice cartaceo del secolo XIV ha in principio un Tractatus de aequatione planetarum di Maestro Campano. L’Astrolabio dell’Accorsi è scritto a due colonne. Tutto il codice contiene 44 carte scritte. Quello dell’Accorsi comincia alla carta 36.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 68-69; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo V, I, 211, 215, 283; Bandini, Catalogo Codici latini Biblioteca Lauúrenúziaúna, tomo II, 62; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 189; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 2.

ACCORSI ACCORSO
Parma-Parma 1622
Visse tra i secoli XVI e XVII. Professore di Medicina, insegnò a lungo nello Studio di Parma, i Riformatori del quale in un’adunanza del 14 ottobre 1619 lo menzionano con simpatia anco per esser povero et carico di sette figli.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Registro delli Lettori, 1610-1616; Libro de’ Mandati, 1617-1630; F. Rizzi, Professori, 1953, 25.

ACCORSI DOMENICO STEFANO
Parma 26 dicembre 1704-Mirandola 24 aprile 1770
Frate capuccino, fu predicatore e lettore abilissimo, definitore, teologo del vescovo di Modena (1765) e cappellano del presidio. Fece la vestizione a Guastalla il 14 novembre 1722, e la professione di fede, sempre a Guastalla, il 14 novembre 1723.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 257.

ACCORSI GIACOMO, vedi ACCORSI  JACOPO ANTONIO

ACCORSI JACOPO ANTONIO
Graiana 1737-Parma 29 dicembre 1818
Sacerdote, fu avvocato esimio, dottore in ambo le leggi, consorziale della Cattedrale, protonotario apostolico (1776), auditore delle cause civili nella Curia vescovile di Parma, esaminatore sinodale e provicario generale del vescovo di Parma, Francesco Pettorelli. Ben cento cause ebbe a trattare, e pressoché tutte con esito felice. Sparsasi fama non ordinaria di lui, nel 1791 Ferdinando di Borbone, duca di Parma, lo nominò Regio Consigliere del Supremo Tribunale di Parma. Dal 1804 ricoprì il grado di Consigliere presso il Supremo Consiglio di Grazia e Giustizia di Piacenza. In età avanzata, si diede di nuovo alle cure ecclesiastiche. Venne rinominato Consorziale, e vi durò in carica sino alla morte. In virtù del decreto del 1777, col quale furono riconosciuti nobili senza l’obbligo di particolari procedure i consiglieri delle supreme magistrature del Ducato, a far data dalla sua nomina a Consigliere (1791) l’Accorsi fu considerato nobile a tutti gli effetti.
FONTI E BIBL.: G. Negri, in G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 1; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 184.

ACCORSI MAINARDO
-Appennino 1349
Fu in amicizia col Petrarca, del quale frequentò la casa. Perì di morte violenta a seguito di un agguato tesogli tra le gole dell’Appennino. In quell’occasione, insieme con lui perse la vita anche Luca Cristiano.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 28 ottobre 1996, 5.

ACCORSI MARCO
Parma 1614/1620
Un Consulto in data 6 settembre 1620 è sottoscritto dall’Accorsi, fisico, del quale si trova anche una lettera o consulto medico a una monaca di San Cristoforo di Parma, e che fu probabilmente il copista dei Consiliorum in diversis aegritudinibus pro diversis. Nella Matricola del Collegio de’ Medici si legge che l’Accorsi fu laureato il 29 ottobre del 1614. Forse era figlio o nipote di Paolo.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 633; G. Negri, Biografia Universale, 1842, 3; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 2; L. Caetani, Dizioúnaúrio Bio-Bibliografico, 1924, 185.

ACCORSI PAOLO
Parma 1572/1620
Fu probabilmente figlio di Antonio, notaio. Fu laureato l’8 dicembre del 1572, secondo quanto si trova nella Matricola del Collegio de’ Medici di Parma. Sembra che esercitasse costantemente la Medicina in Parma, poiché quelli dei Consigli che hanno data, l’hanno appunto da Parma. Uno è a carte 18 e 19 sottoscritto dall’Accorsi in uno con Filippo Cernitore, col Talentone, col Giunti e con Pompilio Tagliaferri, die 6 Aprilis 1602 extra monasterium Divi Dominici in civitate Parmae. La risposta dell’Accorsi allo Zunti, che si trova a carte 21, 22 e 23 di esso codice, ha la sottoscrizione ex aedibus pridie Calendas Aprilis 1600. Ex.e T. Adictiss.s Paulus A. P. Questo manoscritto è del secolo XVII, in 4°, ed è intitolato Pauli Acursij Artium et Medicinae Doctoris Consiliorum in diversis aegritudinibus pro diversis Liber P.s Le parole Liber Primus fanno ragionevolmente argomentare che uno o più libri seguissero il primo, ma andarono poi smarriti. Contiene 13 Consulti, l’ultimo dei quali ha la data di Parma 6 Calendas 7bris 1620. Quindi è dimostrato che l’Accorsi viveva ancora in quest’anno. I due primi Consigli dell’Accorsi furono scritti per il duca di Sabbioneta, Vespasiano Gonzaga, il terzo per il figlio del Duca di Mondragone, e altri ancora per diverse persone distinte. Il che è sentore che egli fosse salito in molta rinomanza anche fuori della sua patria.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 632-633; G. Negri, Biografia Universale, 1842, 3; G.B. Janelli, Dizioúnaúrio biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 2; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 187.

ACCORSI SEBASTIANO
Parma 1596/1626
Figlio di Andrea. Da documenti del XVI secolo si apprende che, nel trentennio 1596-1626, l’Accorsi fu speziale (aromatario) dell’Ospedale della Misericordia di Parma, "giacché eresse specieria nel luogo e a nome di cotesta Congregazione, dove non vi era vestiggio alcuno di specieria e gli ne ha fatto una a’ utile et honore di quel luogo". Nello stesso memoriale l’Accorsi chiede licenza "perché non gli conferisce quel aere essendo stato sempre nello amalato e per ad infermarsi di qualche male incurabile e per le fatiche".
FONTI E BIBL.: Palazzi e casate di Parma, 1971, 616.

ACCORSO, vedi ACCORSI

ACCURSIO SEBASTIANO, vedi ACCORSI SEBASTIANO

ACHIARDI RENZA, vedi JOTTI RENZA

ACHILLE, vedi ACHILLI

ACHILLE DA COLORNO, vedi CERATI ACHILLE

ACHILLI PAOLO
Parma 1512-Palermo 7 maggio 1586
Gesuita, seguì Ignazio di Loyola ancor prima che la Compagnia di Gesù fosse riconosciuta e confermata da papa Paolo III. In età matura, sacerdote, domandò d’essere annoverato compagno al Fabbro e al Lainez. Cosa che ottenne nel 1539, insieme al suo amico papa Elpidio Ugoletti. Il Papa lo inviò con molti altri all’Accademia di Parigi, affinché si fornisse delle scienze bisognevoli per operare gran cose a beneficio delle anime. In seguito, Ignazio di Loyola, che ebbe in gran stima l’Achilli, lo costituì Superiore di tutti gli altri. Guadagnò molti a Dio col suo esempio, e coi suoi ragionamenti, e tra essi un predicatore agostiniano, il quale volle provarsi a fare gli esercizi spirituali sotto la guida dell’Achilli. Nel 1544, in seguito alle notizie dell’avvicinarsi a Parigi dell’imperatore Carlo V, l’Achilli, mandati altrove i compagni, con Manuello Miona si portò in Milano, accoltovi dai cherici regolari di San Paolo. Acquietatisi i rumori di guerra, egli fece ritorno in Parigi per proseguire gli studi. All’Accademia di Parigi l’Achilli si laureò dottore in filosofia e professore di sacra teologia. Richiamato in Italia da Ignazio, riuscì uno dei più fruttuosi operai della Compagnia. Mandato con Niccolò Lanoi nel 1549 a Palermo a fondare quel Collegio, dopo due anni, una volta partito Giacomo Lainez, ne divenne Rettore e lo governò per ventitré anni. L’Achilli fu vigilantissimo nel promuovere le facoltà del Collegio, e nel provvedere agli studenti. Comperò una vicina villa per la loro ricreazione, fabbricò una grande chiesa, promosse il fervore delle scuole con pubbliche rappresentazioni. Dai modi piuttosto bruschi nei confronti dei confratelli, l’Achilli si segnalò per le sue doti caritatevoli e per la sua propensione a umiliare il proprio corpo con prolungati digiuni (anche in età avanzata) e continue flagellazioni. Fu confessore della Viceregina Marchesa di Pescara, ma sfuggì gli onori della Corte. Per due volte fu eletto viceprovinciale, ma per sua indole si mostrò sempre restio nell’accettare incarichi pubblici all’interno della Compagnia: destinato Provinciale da Francesco Borgia, si sottrasse alla designazione. Nel maggio del 1586 l’Achilli fu oppresso da un continuo dolore di stomaco e da una febbre pestilenziale che in pochi giorni lo portarono al trapasso. Il popolo di Palermo concorse al celebrarsi delle sue esequie in così gran numero che fu necessario differire il canto dell’Uffizio. Si dovette anche difendere la salma dai tentativi della folla di procurarsi una qualche reliquia. Fu seppellito ai piedi dell’altare maggiore. Nel 1607, ad istanza della Congregazione Provinciale, furono esumate le sua ossa e riposte in una cassa più decorosa, in un’ara sotto l’altare del Santissimo Sacramento. La Congregazione Provinciale chiese all’Acquaviva che procurasse dalla Santa Sede il titolo di Beato all’Achilli, tanto era universale il concetto della sua santità.
FONTI E BIBL.: G.A. Patrignani, Menologro dei Gesuiti, 1730, II, 36-39; R. Pico, Appendice, 1642, 86-92; Sommervogel, Bibliografia de la Compagnia de Jesus, parte I, tomo VIII, supplemento, col. 1567; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 210.

ACII, vedi AZZI

ACUTI ALFONSO, vedi ACUTI CINO

ACUTI CINO
Piacenza 6 marzo 1898-Salsomaggiore 18 ottobre 1985
Studiò pittura a Piacenza con Nazzareno e Giuseppe Sidoli, dai quali apprese il disegno e quel colore che fu definito nei suoi maestri il fiammingo. Scoppiata la guerra 1915-1918, vi partecipò, non ancora diciottenne, nell’arma di artiglieria. Passò poi, volontario, nel corpo dei bombardieri, meritando una medaglia al valore per il comportamento tenuto al fronte nell’aspro combattimento di Ponte della Priula (Piave, Vittorio Veneto). Terminate le ostilità e smobilitato dall’esercito, riprese lo studio con Nazzareno Sidoli, la cui influenza è manifesta nelle prime opere, eseguite dall’Acuti per sé, come, del resto, le successive, dato che egli si presentò alla ribalta solo dopo anni di silenzioso lavoro. L’influenza dei Sidoli, con i quali riprese successivamente gli studi, affiora, come detto, soprattutto nelle sue opere giovanili. Le nature morte, con l’uso della terra di cassel e nelle qualità minute e sottili, guardano alla pittura dei fioranti fiamminghi. Il ricordo di quella tradizione miniaturistica ispirò probabilmente più tardi (anche se non nella tecnica e nei colori), la vasta produzione di quelli che l’Acuti amava chiamare miniquadri, piccole composizioni al limite del bozzetto, che accennava con pochi colpi di spatola o stendendo il colore con le dita. Rapide impressioni di paesaggi, scorci di viottoli boschivi o delicate presenze floreali personalizzate dall’abilità del maneggio del colore e nell’accostamento dei toni, sono il frutto di una sensibilità spiccata, già palesata nei suoi primi lavori. La danzatrice ad esempio, un’opera del 1916 che contiene modi Liberty nella danza fluttuante di veli alla Loie Fuller, nel fermaglio di gusto esotico tra i capelli, nella simbologia del serpente che si riferisce al demone della curva, ossessione degli artisti di quello stile. Anche nei ritratti si nota il serio studio tecnico, unito al gusto tradizionalista, che evidenzia la matrice ottocentesca e la personalità romantica dell’Acuti, presente ad esempio nel Ritratto di ragazza di spalle, caratterizzato dai colori scuri, quasi corruschi, dello sfondo indistinto, o nei grigi plumbei squarciati dal lampo procelloso di Bufera sulla laguna. Ma anche nei quadri successivi, fino alle ultime cose della carriera, i suoi oli, pur caldi e calibrati, non raggiungono mai la solarità. Nei paesaggi, la sua è sempre un’atmosfera d’inverno e i colori sono quelli dell’autunno che si spegne: i marroni, gli ocra, i gialli, la lacca di garanzia, dove la luce non è colore ma contrasto di tinte. Il ventennio che va dal 1920 al 1940 fu sicuramente il periodo più fertile per l’Acuti, che usciva ancora fresco dall’esperienza acquisita nella bottega dei Sidoli. Ne è un esempio l’opera datata 1930, Ragazza sulla terrazza, un olio su tela che riprende con chiaro cromatismo le atmosfere e gli ambienti degli ultimi fuochi di quegli anni dorati. Ma furono anche anni di isolamento che l’Acuti trascorse nello studio e nel lavoro, durante i quali andò approfondendo una tecnica svolta secondo i canoni precedenti alle grandi rivoluzioni dell’Ottocento. Nel 1930 si stabilì definitivamente a Salsomaggiore dove la personalità del suo stile andò delineandosi, evolvendo la tecnica coloristica e della figura verso quei caratteri che conservò sino alla fine. In questa città, dal 1956, presiedette anche il circolo pittorico Cristoforo Marzaroli, attorno al quale si strinsero pittori salsesi come Attilio Bertolotti, Aldo Menoni, Fausto Avanzi, Lella e Dino Marzaroli, Luigi Ariggi. Fu solo nell’agosto del 1955, e proprio nella città termale, che l’Acuti mostrò per la prima volta in una personale il frutto del suo lavoro. Quella mostra riassunse l’itinerario pittorico percorso, con diversi esempi dei dipinti della prima maniera, passando attraverso le fantasie floreali (la serie dei Crisantemi, delle Dalie, delle Ortensie, delle Paulonia Imperialis) e gli studi sulle nature morte, nei quali le composizioni di frutta vivono di sensibilità e gusto. La vocazione pittorica dell’Acuti non fu, per sua stessa ammissione, incline alla modernità, al trasformarsi delle arti. Eppure, in alcuni suoi quadri non si può fare a meno di notare una scansione, un’attrazione verso altri modi di pensare la pittura, di interpretare le cose. Nature morte come I peperoni si mostrano moderne nel trattamento dei colori e nella composizione, che piega le forme verso l’astrattismo. Altre volte sono vigorose pennellate che attraversano la tela nei toni del grigio, del nero e del rosso, o una cascata di petali di rosa trasformata in macchie di colori, a trasportare l’artista più lontano del suo intendimento.
FONTI E BIBL.: D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 1-4; R. Santi Tanzi, in Gazzetta di Parma 17 giugno 1992, 17.

ADALBERTINI ADALBERTO, vedi ADALBERTO

ADALBERTO
Parma 921
Fu Conte di Parma nell’anno 921.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Soragna 996
Figlio di Oberto. Fu marchese e conte di palazzo.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 7.

ADALBERTO
Parma 1007
Fu Conte di Parma nell’anno 1007.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Parma 1007/1008
Sacerdote, fu canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1008.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO
Parma 1104
Sacerdote, fu canonico della Cattedrale di Parma nell’anno 1104.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALBERTO, vedi anche ADELBERTO e PALLAVICINO ADALBERTO

ADALBERO da Bazzano
Bazzano 835/853
Fu Conte di Bergamo, Brescia e Parma (835-853). Risiedette a Parma.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 6.

ADALGISO
Parma 835/853
È ricordato per la prima volta come Conte di Parma il 15 giugno 835, nella sottoscrizione di una chartula traditionis della regina Cuneúgonda a favore del monastero di Santa Maria e Sant’Alessandro (U. Benassi, Codice diplomatico parmense, I, secolo VIIII, Parma, 1910, 101-105). Non è sicuro che questo Adalgiso debba identificarsi con l’Adalgiso conte che, nell’836, Ludovico il Pio mandò in ambasceria, con i vescovi di Magonza e Verdun e col conte Guarino, al figlio Lotario in Pavia. Certo è che il 1° maggio 838 (e non il 10, come dice il Pivano, Il comitato, pagina 13; cfr. I placiti del Regnum Italiae a cura di C. Manaresi, I, Roma, 1955, in Fonti per la Storia d’Italia, XCII, pagine 139-144) l’Adalgiso come messo imperiale tenne placito a Rovigo. Pare che dopo la morte di Ludovico il Pio (840) Lotario abbia posto l’Adalgiso, già Conte di Parma, a capo di un ducato comprendente i comitati di Parma, Bergamo, Brescia, Cremona e forse anche Piaúcenza, allo scopo di proteggere il confine settentrionale del Regnum Italiae dalle mire del fratello Ludovico il Germanico. Il Pivano (Il comitato, pagine 13-59) giunse alla formulazione di questa ipotesi fondandosi su di una inquisitio tenuta in Cremona il 22 marzo 841 dall’Adalgiso come messo dell’imperatore Lotario intorno ad alcuni diritti della Chiesa cremonese. Poichè nel testo del documento figurano due giudici bergamaschi e diciannove bresciani, i quali tutti vengono detti vassalli del conte Adalgiso, il Pivano ne ha ricavato che l’Adalgiso esercitava un dominio diretto o indiretto sulle suddette città. Più precisamente l’Adalgiso sarebbe stato Conte di Brescia, di città, cioè, che, in quel periodo, non appare retta da conti, e sarebbe stato duca di un ducato comprendente i comitati di Parma, Brescia (direttamente suoi), Cremona (ove tenne l’inquisitio dell’841), Bergamo e fors’anche, per ragioni territoriali, Piacenza. Di questo ducato, come si è detto, l’Adalgiso sarebbe stato investito da Lotario. Nell’844 l’Adalgiso fu presente, a Roma, all’incoronazione regia di Ludovico II. Nell’846 figura nel noto capitolare di Ludovico De expeditione contra Sarracenos facienda, come missus della prima schiera di feudatari italici. Nell’aprile dell’850 l’Adalgiso accompagnò a Roma l’imperatore Ludovico II e fu presente al placito tenuto dall’imperatore stesso e dal pontefice Leone IV per dirimere la questione dei confini delle due diocesi di Siena e Arezzo. In questa occasione, allontanatosi Ludovico, fu da questo lasciato come suo giudice delegato insieme con altri tre messi (C. Manaresi, I, pagine 176-187). L’ultima notizia che si possiede dell’Adalgiso è dell’853. In quell’anno, egli si recò prima a Ravenna, presso il Pontefice, quale inviato imperiale per la questione della disubbidienza di Anastasio Bibliotecario, e in seguito, prima che fosse pronunciata nel dicembre la definitiva condanna di Anastasio, a Roma, con altri due messi imperiali. È da notare che secondo il Pivano (Il testamento, pagina 294 n.) l’imperatrice Angelberga, moglie di Ludovico II, sarebbe stata figlia di Adalgiso.
FONTI E BIBL.: S. Pivano, Il comitato di Parma e la marca lombardo-emiliana, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXII 1922, 11-61; S. Pivaúno, Il testamento e la famiglia dell’imperatrice Angelberga, in Archivio Storico Lombardo, s. 5, XLIX (1922), 269-294; Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 225.

ADALGISO
Parma 882/890
Figlio primogenito di Suppone, Conte di Parma, successe al padre sicuramente dopo il 9 maggio 882 (data in cui Suppone era ancora in vita: cfr. I. Affò, Storia di Parma, I, Parma, 1792, 302). Nell’agosto 885 riconobbe in Piacenza i diritti rivendicati dal diacono Gariberto su un terreno di proprietà regia (L. Schiaparelli, Documenti inediti dell’archivio capitolare di Piacenza, in Archivio Storico per le Province Parmensi, VII, 1897-1898, ma pubblicato 1903, 186), dichiarandosi nel documento conte di Piacenza. Si noti che secondo il Manaresi (I placiti del Regnum Italiae, I, Roma, 1955, in Fonti per la Storia d’Italia, XCII, 328-332) il documento in questione andrebbe invece collocato tra il dicembre 880 e il febbraio 881, cioè anteriormente alla morte del padre dell’Adalgiso, Suppone, in quanto l’Adalgiso, pur dicendosi Conte di Piacenza, non si sarebbe detto Conte di Parma. Nell’888-889, l’Adalgiso partecipò, nell’esercito di Berenúgaúrio, alla guerra contro Guido, insieme con i fratelli minori Vilfredo e Bosone (cfr. Gesta Berengarii imperatoris, a cura di E. Dümmler, Halle, 1871, 101). Il 20 ottobre 890 Berengaúrio, dietro preghiera dell’Adalgiso, concesse a un vassallo di questo, certo Roperto, alcune terre nel contado di Reggio (cfr. L. Schiaparelli, I diplomi di Berengario I, Roma, 1903, in Fonti per la Storia d’Italia, XXXV, 35-37). In base a questo documento, il Dümmler ha fatto dell’Adalgiso un conte di Reggio (Gesta Berengarii, 25 n. 4). La cosa non è improbabile e, se fosse sicura, se ne dovrebbe dedurre che l’Adalgiso avrebbe ereditato dal padre il potere ducale su una zona comprendente almeno tre comitati, quelli cioè di Piacenza, di Parma e di Reggio. Si ignora la data di morte dell’Adalgiso. Nel 911 gli era succeduto, come Conte di Piacenza, il fratello Vilfredo.
FONTI E BIBL.: S. Pivano, Le famiglie comitali di Parma dal secolo IX all’XI, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXII 1922, 506-509; Dizioúnaúrio biografico degli Italiani, I, 1960, 226.

ADAM Caracosa
Parma post 1256
Figlia di Guido. Una volta rimasta vedova, entrò nel Monastero di Santa Chiara in Parma. Dopo diversi anni, assieme ad altre consorelle parmigiane, si portò a Reggio, e vi fondò il Monastero di Santa Chiara, di cui fu badessa. Più tardi rientrò a Parma, dove morì. Fu donna onesta e sapiente. Così ne parla il fratello, Salimbene, nella sua Cronica: Pater meus tres genuit filias, pulchras dominas, et nobiliter maritatas. Secunda Domina Karacosa. Haec post mortem viri sui intravit Monasterium Parmense Ordinis Sanctae Clarae, et post plures annos assumpsit aliquas Sorores Parmensis Monasterii, duxit eas ad Civitatem Reginam, in qua prius non erant Sorores Ordinis Sanctae Clarae, et fuit eorum Priorissa. Postea fecit se absolvi, et rediit ad Monasterium Parmense, in quo laudabiliter vitam suam finivit. Haec fuit amabilis Domina, sapiens, honesta, et gratiosa, iam Deo, quam hominibus, cujus anima requiescat in pace. Le Clarisse furono in Reggio l’anno 1256, nel qual tempo comprarono il Convento abitato prima dai Frati Minori. E questi, col denaro ritrattone, comprarono da Guglielmo Fogliaúno, vescovo di Reggio, il Palazzo donato al suo antecessore Niccolò dall’Imperatore. Così passando i Frati Minori nel luogo nuovamente acquistato, incominciarono le Clarisse sotto la scorta della Adam a vivere in Reggio nel Convento che fu prima dei Francescani.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 172-173.

ADAM GUIDO
Parma 1244
Figlio di Giovanni ed Ermengarda, padre del giurista Guido, poi minore, e del cronista Salimbene. L’Adam esercitò la milizia, e ai tempi di Baldovino conte di Fiandra guerreggiò in Oriente a soccorso della Terra Santa. Ebbe due mogli, Ghisla de’ Marsiliis e Iumelda De Cassio, e numerosa prole. Oltre ai più noti Guido e Ognibene (Salimbene), ebbe tre figlie: Maria, sposata ad Azzo Sanvitale, Caracosa che, rimasta vedova, fu poi fondatrice del Monastero di Santa Chiara in Reggio, ed Egidia, che fu collocata nella famiglia da Puzúzoúlese. Fu il padre mio Guido degli Adam bell’uomo e forte che una volta andò oltremare in soccorso di Terrasanta, a’ tempi di Baldovino conte di Fiandra; ed io ancora non ero nato. E mio padre mi narrava che, mentre gli altri lombardi in quelle terre d’oltremare interrogavano gli indovini sullo stato di lor case, egli non volle domandar loro e tornato trovò le cose sue così tranquille ch’era una consolazione, gli altri invece trovaron tutto di tristo, come avevano saputo dagli indovini. Anche mi narrava che sopra quanti ne aveva la sua compagnia fu lodato per bellezza e bontà il destriero che egli condusse seco in Terrasanta. Il padre di Salimbene era stato dunque Crociato in Terra Santa, nella classe distinta dei combattenti a cavallo (forse Salimbene si attarda a descrivere le qualità del destriero del padre proprio per fare risaltare questo particolare). L’Adam fu amico del Vescovo e dell’alto clero di Parma, ed ebbe una certa familiarità con Federico II. Le ricche famiglie borghesi godevano di uno stato sociale non inferiore a quello delle famiglie patrizie, con le quali spesso accendevano legami di parentela per mezzo di matrimoni avvedutamente programmati e dosati. Salimbene è consapevole del suo stato sociale e racconta che, da frate, avrebbe potuto correre il rischio di essere fatto vescovo o di avere una qualche altra prestigiosa prelatura: Mio padre aveva anche maritato sua figlia donna Maria con messer Azzone, cugino di Guarino; e questi era cognato del papa. Così per via dei nipoti e della familiarità che aveva con lui, mio padre sperava che il papa mi avrebbe restituito a lui, dato che non aveva altro figlio maschio. Cosa che il papa non avrebbe fatto, penso. Tutt’al più, forse, per consolare mio padre, mi avrebbe dato un vescovado o qualche altra dignità.
FONTI E BIBL.: L. Grazzi, Viaggiatori, missionari e crociati, 1945, 86; Salimbene, Cronaca, 1987, XIII.

ADAM Guido
Montefalcone post 1236
Figlio di Guido e della sua prima moglie, Ghisla de’ Marsiliis. Fin da fanciullo l’Adam mostrò svegliezza d’ingegno e attitudine agli studi, per cui nelle patrie scuole, frequentate con non comune profitto, ottenne il diploma, assai onorifico, di laureato in legge, ed esercitò l’ufficio e la carica di giudice. Sposatosi quindi con Adelaxia, figlia di Gerardo de’ Baratti, nobilissimo personaggio, parente della contessa Matilde di Canossa, ne ebbe una fanciulla, cui nel battesimo impose il nome di Agnese. Ma sia l’Adam che la consorte, stancatisi del mondo e attratti dalla vita povera, umile ed esemplare dei figli di San Francesco, deliberarono di entrare l’Adam nel Convento dei Frati Minori, e Adelaxia con la figlia nel Monastero delle Clarisse in Parma. Agnese sarà la destinataria della Cronaca e di altri scritti dello zio Salimbene. Consacratosi a Dio coi voti di religione e divenuto sacerdote, l’Adam si adoperò per la salvezza delle anime dedicandosi in modo speciale alla predicazione evangelica. Passò l’anno del noviziato in Fano, e qui si trovava pure quando il fratello Salimbene vestì l’abito Francescano. Tutto ciò narra appunto Salimbene: Hic habuit uxorem nobilem Dominam Adelaxiam nomine filiam Domini Gerardi de Barattis, ex qua unam tantum habuit filiam, quae dicta est Soror Agnes. Ambae tamen, tam mater, quam filia, in Monasterio Parmensi Ordinis Sanctae Clarae vitam suam laudabiliter finierunt. Fr. vero Guidus, maritus et pater in saeculo Judex fuit, et in Ordine Fratrum Minorum Sacerdos, et Praedicator. Tale risoluzione ebbe effetto prima del 1236, avanti che morisse Grazia, vescovo fiorentino di Parma, dicendo il Salimbene di quel prelato: Fratrem meum Guidonem dilexit, sed postquam Ordinem Fratrum Minorum intravit, non curavit de ipso. La stima che dell’Adam ebbero Gherardo da Correggio, potentissimo in Parma, e Martino, auditore delle cause nel Palazzo Apostolico, e poi Vescovo di Mantova, non meno che il carico di una solenne ambasceria datagli dai Parmigiani alla persona di papa Innocenzo IV, lo qualifica per uomo di singolarissimo valore. L’Adam morì nel Convento di Montefalcone, nel Reggiano, e lì giacque sepolto, come narra Salimbene.
FONTI E BIBL.: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 172-173; Beato Buralli 1889, 46-48; Salimbene, Cronaca, 1987, XII.

ADAM KARACOSA, vedi ADAM CARACOSA

ADAM OGNIBENE
Parma 9 ottobre 1221-Montefalcone giugno 1288/dicembre 1289
Figlio di Guido e di Iumelda de Cassio. Entrato nell’Ordine francescano il 4 febbraio 1238, a Parma, venne accolto dallo stesso generale, frate Elia, che riuscì a sventare i numerosi tentativi paterni di riportare il figlio nella famiglia. Trasferitosi a Fano, vi continuò gli studi, già iniziati mentre era ancora laico, sotto la guida di fra’ Umile da Milano, scolaro di fra’ Aimone di Favesham. Sempre per sottrarsi agli interventi del padre, si portò poi a Iesi, dove si fermò nella quaresima del 1239, per raggiungere poi Lucca, sua nuova residenza. Durante il viaggio a Città di Castello l’Adam incontrò l’ultimo (ma se ne ignora il nome) dei frati accolti nell’Ordine direttamente da Francesco, che gli rimproverò l’ambizioso nome Ognibene proponendogli di mutarlo nell’altro, più umile e più augurale di Salimbene, che da allora in poi adoperò fino alla morte. A Lucca, ove rimase dalla metà del 1239 ai primi mesi del 1241, continuò i suoi studi di sacra scrittura e di teologia, a cui unì quello del canto sacro, in cui gli fu guida fra’ Vita da Lucca. Vi si fece molti amici e vi incontrò l’imperatore Federico II. Mandato a Siena nel 1241, vi conseguì il suddiaconato. Allargò inoltre il suo mondo spirituale e culturale, perché vi conobbe il primo seguace di Francesco, Bernardo di Quintavalle e Ugo di Digne, dal quale udì, forse per la prima volta, parlare delle dottrine gioachimitiche. Da Siena passò a Pisa, ove nel 1243 dovette vincere l’ultimo tentativo del padre di riportarlo in seno alla famiglia con l’appoggio del pontefice Innocenzo IV, da poco eletto, che era imparentato con gli Adam. Ma proprio durante questi maneggi il padre morì, nel 1244. Il soggiorno pisano ebbe molta importanza per la formazione culturale dell’Adam, perché vi acquistò, sotto la guida di Rodolfo di Sassonia, maximum Ioachista, un’ampia e precisa conoscenza degli scritti di Gioacchino da Fiore, da quelli autentici ai meno certi, come il Liber figurarum, e ai sicuramente falsi commentari ad Isaia e Geremia. Nel 1247 fu a Cremona e poi a Parma, ove fu spettatore dell’eroica resistenza della città natia alle forze di Federico II. Mentre ancora durava l’assedio, fu inviato in Francia per chiedere aiuto e informare il Pontefice. Partito tra il settembre e l’ottobre, a Lione fu ricevuto dal Papa il 1° novembre 1247. Quindi iniziò, per tornare in patria, una serie di spostamenti di città in città, di cui restano vividi ricordi nella Cronica, come a Villefranche, ove incontrò Giovanni da Pian dei Carpini, che gli riferì molte notizie sui suoi viaggi tra i Tatari, a Troyes, a Provins, ove restò dal 13 dicembre 1247 al 2 febbraio 1248 ed ebbe occasione di approfondire ancora le sue conoscenze gioachimitiche, a Parigi, a Sens, incontrandovi ancora Giovanni da Pian dei Carpini, e infine ad Auxerre, che doveva essere la sua nuova residenza. Qui incontrò il re Luigi IX del quale scrive un ritratto in cui risulta, vivacemente, più l’uomo e il credente che il sovrano. Trasferito in Provenza, dopo il capitolo provinciale della Pentecoste del 1248, raggiunse Arles il 21 giugno 1248 recandosi poi ad Aix-en-Provence e infine, per Hyères e Marsiglia, a Tarasconne, a incontrarvi il generale dell’Ordine e suo concittadino Giovanni da Parma. In tale occasione superò l’esame necessario per poter predicare in pubblico ma ricevette anche l’ordine di prendere stabile residenza in Genova, poiché il generale era malcontento di quel continuo peregrinare. Sia nel viaggio a Tarasconne sia in quello a Genova, l’Adam incontrò a Hyères (ove nel 1248, al secondo viaggio, si trattenne dal 5 ottobre al 1° novembre) il suo confratello Ugo di Digne, col quale si intrattenne lungamente a parlare delle idee gioachimitiche, come riferisce distesamente nella Cronica. Poté anche assistere a vivaci discussioni tra Ugo e gli avversari delle idee di Gioacchino. A Genova, ove era ai primi di dicembre 1248, l’Adam fu ordinato sacerdote. Poco dopo ripartì per la Francia (il 28 febbraio 1249 fu per la terza volta a Hyères), incontrandosi ad Avignone con Giovanni da Parma, che lo portò con sé a Lione, ove però il provinciale di Bologna ne chiese il ritorno alla provincia d’origine. Dalla Francia ancora una volta tornò in Italia attraverso la Savoia, puntando su Genova e di lì, per Bobbio, su Parma, ove incontrò fra’ Giovanni che era sul punto di partire per la Grecia. Ebbe allora fissata la sua residenza a Ferrara, ove restò sette interi anni che furono in molta parte dedicati alla sua attività di scrittore e di uomo di chiesa. Per circa due anni, tra il 1256 e il 1258, fu poi a Reggio Emilia, ove conobbe Gerardo da Borgo San Donnino, con il quale si trattenne a discutere di gioachimismo, a cui continuava ad aderire sempre fervidamente. Nel 1260 (egli è anche uno dei più vivaci ed efficaci testimoni del moto dei flagellanti a Modena) maturò la crisi che doveva sconvolgere la sua coscienza religiosa: avendo visto cadere nel vuoto le profezie di Gioacchino, se ne distaccò decisamente e definitivamente. Dopo questi anni è difficile seguire i movimenti dell’Adam: le testimonianze che egli ha lasciato, non sistemate come la prima parte della sua vita in un ricordo organico e coerente (frutto forse anche di una stesura tranquilla, quale gli fu possibile solo nei sette anni di residenza ferrarese), danno molte notizie ma in gran disordine cronologico, da cui emergono solo alcuni dati sicuri. Si sa che nel 1261, dopo il marzo, fu a Bologna e che visse, a intervalli, cinque anni a Rimini. Ma nel 1265 era a Faenza per il Natale, nel 1265-1266 a Ravenna, ove fu spettatore dell’episodio della falsa figlia di Paolo Traversari. Fu poi, in data imprecisabile, ad Assisi, a Perugia, alla Verna, nel 1270 a Imola, alla fine del 1273 e nel 1274 a Faenza. Per otto anni (1275-1283) non è possibile precisare i suoi spostamenti. Sola data sicura è che nel 1283-1284 era di nuovo a Reggio, poi fino all’8 settembre 1287 si trovava al convento di Montefalcone. Si ignora l’anno preciso della sua morte, che però può fissarsi a dopo il 1288. Alla data del 1288, come ultima della Cronica e quindi termine post quem per la morte dell’Adam, si è giunti con un calcolo di approssimazione che, sulla base dei fogli mancanti (di cui è possibile conoscere il numero dall’indice del codice), ha cercato di determinare il numero degli anni che potevano essere stati oggetto del racconto. Una così larga esperienza di vita fu accompagnata da una formazione culturale non meno complessa, sebbene non maturata e organizzata in un approfondito ripensamento: certo l’Adam nella sua Cronica mostra conoscenza vasta, pronta e precisa della Scrittura, che cita a ogni possibile occasione, anche per solo sfoggio di dottrina, e ampie e articolate dovettero essere anche le sue conoscenze di teologia, se compose un trattato scolastico sulla Trinità, entrando nella polemica relativa alla dottrina trinitaria di Gioacchino da Fiore. In stretta connessione con i suoi studi di Scrittura e di teologia è anche il suo confessato, lungo studio delle opere di Gioacchino da Fiore, di cui accettò l’interpretazione diffusa in seno all’Ordine francescano. A questi studi, che ben si inquadrano nella sua preparazione di uomo di chiesa, vanno aggiunte conoscenze (non scarse né comuni) di diritto, di letteratura e di poesia. In conclusione, la valutazione frequentemente restrittiva della sua cultura è certo solo conseguenza del fatto che l’unica sua opera sopravvissuta, la Cronica, secondo quanto egli stesso dice, fu scritta a diletto e informazione d’una sua nipote monaca. Però la Cronica stessa, al di là di certe apparenze estrinseche, come la sciattezza del latino, intriso di elementi volgari, è fondata su buone cronache anteriori per le parti in cui l’Adam racconta fatti e vicende a cui non ha personalmente partecipato. Adopera infatti una redazione, andata perduta, della cronaca di Sicardo di Cremona e, pare, quella di Alberto Milioli da Reggio. Si discute, invece, tra i critici, sui modi e le forme con cui sono state usate dall’Adam nella sua opera. L’Adam inserisce la lettera del khan dei Tatari al Papa, che viene trascritta immediatamente dall’esemplare nelle mani di Giovanni di Pian dei Carpini, il decreto di condanna della dottrina trinitaria di Gioacchino da Fiore che è ripreso da qualche circolare, allora in giro nell’Ordine francescano, e poi testi di poesie in latino e in volgare, trascritte di volta in volta, durante i suoi viaggi, come quella di Ugo d’Orléans e di Gherardo Patecchio. Ma la fonte principale della Cronica è l’Adam stesso, che con franchezza dà le notizie della sua esperienza diretta, colte da una personalità pronta e recettiva, senza troppo preoccuparsi della propria coerenza interiore. In forma annalistica, le anima spesso della sua speranza gioachimita, fino al 1260, poi, deluso, si lascia andare più che mai al gusto del racconto e al piacere del ricordo esprimendo, senza preoccupazioni periodizzatrici, i sentimenti di un francescano, di parte guelfa, parmense, parente di un papa, al di là dell’ossequio sincero ma formale verso i supremi poteri universali, nei limiti e nel travaglio della borghesia della città italiana del secolo XIII. Lo stesso Adam parla di altre sue opere, come i Duodecim scelera Friderici (forse la Cronica brevior a cui attinse per le sue Historiarum decades l’umanista Flavio Biondo), il Tractatus de Heliseo, il Tractatus papae Gregorii decimi, il Liber tediorum composto sul modello delle Noie di Gherardo Patecchio, mentre era a Borgo San Donnino, e un trattatello sulla Trinità. Ma di tutte queste opere nulla è soppravvissuto. La Cronica, conservata acefala e mutila nel Codice Vaticano latino 7260 (mancante di alcune pagine nell’interno dell’opera) è quasi certamente autografa. Fu pubblicata, con molti errori, da una copia, a cura del parmense Antonio Bertani per la prima volta nel 1857: Chronica fr. Salimbene Parmensis Ordinis Minorum ex codice Biblioúthecae Vaticanae nunc primum edita, in Monuúmenta Historica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, Parmae, 1857. Altre edizioni: Chronica fratris Salimbene de Adam Ordinis Minorum, a cura di O. Holder-Egger, in Monumenta Germ. Hist., Scriptores, XXXII, Hannoverae et Lipsiae, 1905-1913; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di F. Bernini, 2 volumi, Bari, 1942; e altre ancora.

FONTI E BIBL.: La bibliografia sull’Adam fino al 1931 è riunita da F. Bernini, Bibliografia Salimúbeúniana, in Studi Francescani s. 3, IV 1932, 80-85. Per la bibliografia successiva si veda G. Prezzolini, Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1932, II, Roma, 1939, 911 s.; G. Prezzolini, Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1933 al 1942, New York, 1948, 198. In generale su di lui si veda: E. Michael, Salimbene und sein Chronik, Innsbruck, 1889; P.M. Bizilli, Salimbene. Episodi della vita italiana del secolo XIII, Odessa, 1916, introvabile in Italia, per cui si veda la notizia che ne dà V. Zabughin, in Giornale Storico della Letteratura Italiana LXXII 1918, 133-142, e in Archivio Storico per le Province Parmensi, n. s., XIX 1919, 253-261. Sulla famiglia dell’Adam sono importanti e decisivi i documenti raccolti da F. Bernini, Il parentado e l’ambiente familiare del cronista fra’ Salimbene da Parma secondo nuovi documenti, in Archivum Francisc. Hist. XX 1935, 345-373; F. Bernini, Nuovi documenti sulla famiglia del cronista frate Salimbene, in Archivium Francisc. Hist. XXXI 1938, 198-201. Si veda inoltre: I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, Parma, 1789, 208-233; M. Tabarrini, Della Cronaca di fra Salimbene, in Archivio Storico Italiano XVI 1862, 25-69 e XVIII 1863, 42-89; A. Dove, Die Doppelúchronick von Reggio und die Quellen Salimbene’s, Leipzig, 1873; L. Clédat, De fratre Salimbene et de eius Chronicae auctoritate, Parisiis, 1878; F. Novati, La Cronaca di Salimbene, in Giornale Storico della Letteratura Italiana I 1883, 384-388; L. Clédat, La Chronique de Salimbene, in Annuaire de la Faculté des Lettres de Lyon I 1833, 201-214; O. Holder-Egger, Reise nach Italien 1884, in Neues Archiv X 1885, 222-224; P. Scheffer-Boichorst, Salimbene und Biondo, in Zur Geschichte des XII. und XIII. Jahrhunderts, Berlin, 1897, 284-289; O. Holder-Egger, Salimbene und Albert Milioli, in Historische Aufsätze Karl Zeumer zum sechzigsten Geburtstag als Festgabe dargebracht von Freunden und Schülern, Weimar, 1910, 451-482; O. Holder-Egger, Zur Lebensgeschichte des Bruders Salimbene de Adam, in Neues Archiv XXXVII 1912, 163-218 e XXVIII 1913, 469-481 (postumo); F. Bernini, Noterelle in margine a Salimbene, in Archivio Storico per le Province Parmensi XXVIII 1928, 35-41; F. Bernini, Che cosa vide e raccontò di Ferrara il cronista Salimbene da Parma, in Riv. di Ferrara, 1934 (estratto). Per un giudizio letterario sull’Adam si veda specialmente A. Momigliano, Motivi e forme della Cronica di Salimbene, in Cinque Saggi, Firenze, 1945, 71-108, con la discussione di F. Bernini, Di un recente giudizio critico su Salimbene, in Belfagor II 1947, 588-591. Un inserimento dell’Adam nel mondo culturale del suo tempo è tentato da G. Toffanin, Il secolo senza Roma, Bologna, 1942, 147-165 e, con molto maggiore aderenza storica, da C. Violante, Motivi e carattere della Cronica di Salimbene, in Annali della Scuola Normale Superiore, s. 2, XXII 1953, 108-154, che completa e arricchisce i dati di N. Scivoletto, Fra’ Salimbene da Parma, Bari, 1953. Sui rapporti tra gioachinismo e l’Adam si veda, oltre alle notizie generali di G. Bondatti, Gioachinismo e francescanesimo nel Dugento, Santa Maria degli Angeli, 1924, in particolare: E. Benz, Ecclesia Spiritualis, Stuttgart, 1934, 175 ss., 182, 191 ss., 199 e 205 ss. La fortuna dell’Adam infine è stata oggetto di un apposito studio di F. Bernini e di A. Boselli, La fortuna della Cronica di Salimbene, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LII (1937), 265-281; R. Manselli, in Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 228; F. Bernini, L’unico documento originale relativo a Salimbene, Parma, 1948; N. Scivoletto, Fra Salimbene da Parma e la storia politica e religiosa del secolo decimoterzo, Bari, 1950; A. Cerlini, Fra Salimbene e le cronache attribuite ad Alberto Milioli, in Archivio Muratoriano 8 1910, 383-409; Frammenti della Cronaca di Salimbene, in Aurea Parma 44 1960, 171-175; A. Zamboni, L’eremo di fra Salimbene, in Gazzetta di Parma 15 luglio 1960, 3; G. Miazzi, Salimbene, i vini e le pietanze del suo tempo, in Gazzetta di Parma 17 gennaio 1965; Stanislao da Campagnola, Orientamenti critici interpretativi intorno alla Cronaca di Salimbene de Adam, in Laurentianum 6 1965, 461-491; G. Gonizzi, Cremona vista da Fra Salimbene, in Gazzetta di Parma 5 aprile 1966; Stanislao da Campagnola, Intuito storiografico e rilievo letterario nella Cronaca di Salimbene, in Laurentianum 7 1966, 486-495; M. Turchi, La Cronica di Salimbene, in Letteratura 88-89 1967, 297-305; M. Turchi, Salimbene o la ricerca dell’umano nella storia, in Aurea Parma 51 1967, 79-93; Stanislao da Campagnola, La Cronica di Salimbene de Adam davanti alla critica, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1967, 329-369; P. Jacques, L’eloge des personnes et l’ideal humain au XIII siecle d’apres la Chronique de Fra Salimbene, in Le Moyen Age 22 1967, 403-430; M. Turchi, L’intuizione parmigiana della Cronica di Salimbene, in Parma Economica 4 1967, 13-17; M. Turchi, Le biz zarie del Duecento dalla Cronica di Salimbene, in Gazzetta di Parma 2 luglio 1967; M. Turchi, Una storia romanzesca dalla Cronica di Salimbene, in Gazzetta di Parma 5 luglio 1967; M. Turchi, Sfondi e figure della Cronica di Salimbene, in La Stagione luglio-agosto 1969, 15-21; G. Balzani Ripamonti, La donna nella Cronica di Salimbene de Adam, in Italia Francescana 45 1970, 125-169; G. Capelli, Fra Salimbene geniale interprete del suo tempo, in Parma Economica 4 1970, 31-37; Mariano da Alatri, Il vescovo nella Cronica di Salimbene, in Collectanea Franciscana 42 1972, 5-38; Stanislao da Campaúgnola, L’Ordo poenitentium nella Cronica di Salimbene de Adam, in L’ordine della Penitenza di San Francesco d’Assisi nel secolo XIII, Roma, 1973, 165-177; Salimbene de Adam, Cronica, nuova edizione critica a cura di Giuseppe Scalia, Bari, Laterza, 1966, 2 volumi. La bibliografia salimbeniana essenziale fino al 1912 si trova raccolta in O. Holder-Egger, a pp. XXXI-XXXII della Prefazione, oltre che nelle note della medesima. Per gli anni successivi, fino al 1941, l’aggiornamento è stato compiuto dal Bernini, sia nella Bibliografia Salimbeniana pubblicata in Studi francescani, serie 3a, IV 1932, 80-85, sia nell’edizione della Cronica dallo stesso curata, a p. 955 s. La prima è divisa in due paragrafi: La fortuna della Cronica di frate Salimbene (80-82) e Bibliografia (82-85), quest’ultimo a sua volta suddiviso in: Edizioni, Traduzioni e Opere critiche. Nell’edizione della Croúnica, con la stessa suddivisione del predetto paragrafo, è data una bibliografia essenziale. L’aggiornaúmento del Bernini è stato eseguito con poca cura e abbonda, quindi, di omissioni, approssimazioni e inesattezze. Così, per esempio, di numerosi articoli è fornita solo l’indicazione dell’annata della rivista in cui sono apparsi, e non quella delle pagine, o l’indicazione è errata. Mancano poi nella Bibliografia del 1932, solo per citare qualche caso tra i tanti: G.L. Bertolini, Criteri geografici nella Cronaca di Fra Salimbene, in Rivista geografica italiana XXIX 1922, 32-40; A. Callebaut, Le Joachimite Benoît, abbé de Camajore et Fra Salimbene, in Archivium Franciúscanum Historicum XX 1927, 219-222, di notevole interesse per la formazione gioachimita di Salimúbene; F.M. Delorme, Élévations; P. Pelliot, Les Mongols et la Papauté. La lettre du gran khan Güiük à Innocent IV (1246), in Revue de l’Orient chrétien XXIII 1922-1923, 3-30, dove è pubblicata, dall’originale ritrovato nel 1920, e illustrata la redazione persiana della lettera indirizzata al papa Innocenzo IV dal Khan dei Tartari, trascritta, nella versione latina, nella Cronica, a pagina 298 s. Notizie bibliografiche, anche per gli anni successivi al 1941, sono nel volumetto di N. Scivoletto, a pp. 55- 57, 69 e altrove. Data la considerevole quantità di materiale che, per la vastità e l’importanza dei riflessi della Cronica in vari campi di studio, si è venuto accumulando, sarebbe utile e opportuno condurre una indagine bibliografica sistematica, il più possibile estesa e approfondita, e riunire insieme i risultati già conseguiti dai singoli studiosi. Ricerche in tal senso sono state compiute da un allievo della Scuola di Biblioteúconomia annessa alla Biblioteca Apostolica Vaticana, L. Bussi, ma con esiti parziali e approssimativi. La Cronica è stata ripetutamente tradotta in più lingue, ma solo parzialmente e non con intento scientifico. Migliore tra tutte è quella tedesca di A. Doren, Die Chronik des Salimbene von Parma, Leipzig, 1914, voll. 2 (Die Geschichtschreiber der deutschen Vorzeit, 93-94), fondata sul testo di O. Holder-Egger, con esclusione della parte derivata, per dichiarazione del cronista, della cronaca di Sicardo, di quasi tutte le citazioni bibliche e dei brani discesi, a giudizio dell’editore tedesco, dal Liber de temporibus. Le principali traduzioni italiane sono: Cronaca di Fra Salimbene Parmigiano, volgarizzata da C. Cantarelli sull’edizione unica del 1857, Parma, 1882-1883, voll. 2: completa, ma fondata sulla lacunosa e mendosissima edizione Parmense; La bizzarra Cronaca di frate Salimbene, traduzione di F. Bernini, Lanciano, 1926 (Collana Scrittori Italiani e Stranieri della Casa editrice G. Carabba): scelta di brani di O. Holder-Egger, suddivisi in paragrafetti, preceduta da una Introduzione (I-XXIV) su Salimbene e la sua opera; Fra’ Salimbene, La Cronaca, a cura di G. Pochettino, Sancasciano Val di Pesa, 1926: La traduzione che qui presento non è assolutamente originale, perchè l’ho fatta con l’occhio a quella pubblicata dal Cantarelli nel 1882. E non riproduce nemmeno tutta la Cronaca. Arbitraria quindi è risultata la scelta dei brani, la loro disposizione e talora anche la loro connessione; Salimbene de Adam, La Cronaca, versione di G. Tonna, Milano, 1964: brani scelti dell’edizione Bernini, raggruppati per argomento e tradotti in un italiano con coloriture arcaiche e dialettali. Traduzioni francesi: Pacifique M. d’Aincreville, Voyage de Fra Salimbene en France (1247-1249), in La France franciscaine I 1912, 21-75: traduzione, a pp. 25-75, della sola parte della Cronica concernente i viaggi di Salimbene in Francia; Jourdain de Giano, Thomas d’Eccleston et Salimbene d’Adam, Sur les routes d’Europe au XIIIe siècle - Chroniques, traduites et commentées par M.-Th. laureilhe, Paris, 1959: a pp. 161-218 è la traduzione della descrizione dei due viaggi in Francia, preceduta da una breve nota intorduttiva (147-160). Traduzioni inglesi: From St. Francis to Dante - Translations from the Chronicle of the Franciscan Salimbene (1221-1288) with notes and illustrations from other medieval sources. By G.G. Coulton, London, 1907: traduzione di parti della Cronica tendenziosamente scelte (cfr. recensione di M. Bihil, in Historisches Jahrbuch XXIX 1908, 922 s.); Jordan of Giano, Thomas of Eccleston, Salimbene degli Adami, XIIIth Century Chronicles translated from the Latin by P. Hermann, with introduction and notes by M.-Th. Laureilhe, Chicago, 1961: traduzione inglese parallela a quella francese del 1959. La bibliografia salimbeniana successiva all’edizione del Bernini è abbastanza ricca e interessante. Senza pretesa di completezza, diamo di seguito, in ordine cronologico, i principali studi di carattere monografico: A. Momigliano, Motivi e forme della Cronica di Salimbene, apparso prima, con lo pseudonimo Giorgio Flores, in Leonardo XIV 1943, 47-55, ripubblicato in Cinque saggi, Firenze, 1945: analisi critica, acuta e sensibile, di taluni aspetti e caratteri della Cronica, con attenzione rivolta esclusivamente a questioni stilistiche. Il saggio è stato recensito da F. Bernini, in Belfagor II 1947, 588-591, ma ingenerosamente: tra le considerazioni di quest’ultimo sono quelle concernenti il carattere domestico della Cronica (a p. 589, in armonia col Momigliano, che aveva ravvisato nell’opera un colore simpatico d’intimità, il carattere di modesta rievocazione famigliare o municipale) e la struttura sintattica del linguaggio salimbeniano; L. Messedaglia, Legúgendo la Cronica di frate Salimbene da Parma. Note per la storia della vita economica e del costume nel secolo XIII, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti 1943-1944, tomo CIII, parte II: Classe di Scienze morali e lettere, 352-426 (+ XVII di Indice): esame accurato della Cronica, con l’intento di evidenziarne tutto ciò che ha attinenza con l’economia agricola del tempo e quindi con le condizioni meteorologiche, le inondazioni, le carestie, i terremoti, le guerre, le epidemie, le epizoozie e i prezzi delle derrate; numerose e interessanti sono le considerazioni su particolari aspetti del costume e opportune talune precisazioni semantiche; N. Scivoletto, Fra Salimúbene da Parma e la storia politica e reigiosa del secolo decimoterzo, Bari, 1950, recensito tra l’altro da N. Valeri, G. Pepe (cfr. Bibliografia storica nazionale, XVII, 1950, 54), F. Bernini, L. Cellucci (Bibliografia storica nazionale, XIII, 1951, 54), M.C. Daviso (Bibliografia storica nazionale, XIV, 1952, 54), R. Manselli, C. Violante (Bibliografia storica nazionale, XV, 1953, 70), R. Pratesi (Bibliografia storica nazionale, XVII, 1955, 77): il volumetto, in tre lunghi capitoli, tratta rispettivamentente di questioni bio-bibliografiche e dei principali spunti offerti dalla Cronica per una indagine sulla vita politica e sulla vita religiosa del tempo di Salimbene; in un quarto capitolo è tracciato un ritratto del frate, in quanto tale e come cronista. La questione delle fonti reggiane della Cronica, è esaminata dallo Scivoletto con impengo ma con impostazione esclusivamente contenutistica. Una breve appendice tratta dell’importanza di Salimbene per la storia della letteratura italiana; L. Cellucci, Storie della vita religiosa in Salimbene, in Arcadia - Atti e memorie, serie III, volume II, 3 1950, 95-105, articolo pubblicato come parziale anticipazione del V capitolo della seconda edizione, riveduta e corretta, dell’opera Le leggende francescane del secolo XIII nel loro aspetto artistico dello stesso Cellucci (Modena, 1958), dedicato in gran parte (pp. 175-206) a Salimbene: l’autore si sofferma a illustrare taluni aspetti del temperamento del frate alla luce dell’esperienza religiosa riflessa nell’opera; l’ampia conoscenza della leteratura francescana gli consente di stabilire qualche interessante parallelo; C. Violante, Motivi e caratteri della Cronica di Salimbene, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa - Lettere, storia e filosofia, serie II, XXII 1953, 108-154: studio critico e interessante in cui l’autore, attraverso una acuta analisi del testo della Cronica, mette a fuoco la posizione spirituale del frate , definibile, a suo giudizio, aristocratica, cortese, mondana, e, in un certo senso, laica:l’atteggiamento culto del letterato che vagheggia l’ideale cortese e si rifugia nella sua arte; il venir meno di intimi profondi tormentati interessi religiosi; la stanchezza per le lotte comunali; lo scetticismo verso le forze politiche e gli ideali politico-religiosi rappresentati da Chiesa e Impero (p. 109). Da ricordare inoltre: G. Toffanin, Il secolo senza Roma (Il Rinascimento del secolo XIII), Bologna, 1943, 147 ss. (nell’ambito di tre brevi capitoli intitolati rispettivamente: Da San Francesco a Salimbene, La Cronaca di Salimbene: il libro del secolo, L’altro gioachimismo, ove sono appena accennati argomenti che meriterebbero una ben più ampia esposizione); M. Apollonio, Uomini e forme nella cultura italiana delle Origini - Storia letteraria del Duecento, Firenze, 1943, 103-113 (paragrafo 7 del capitolo III, intitolato: Fra salimbene da Parma); G. Pepe, La Cronaca di fra Salimbene da Parma, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Univerúsità di bari III 1957, 95-112 (ma già pubblicato in XX Secolo del settembre 1943, che, a causa degli eventi bellici, non ebbe diffusione); G. Musetti, Fra’ Salimbene da Parma, Tipografia Grafica Nocetana di Castelli Ausonio, 1954: nel volumetto, scritto senza pretese critiche, è fatto tra l’altro l’accostamento Dante-Salimbene. Da ricordare infine per la acuta ed efficace presentazione dei caratteri preminenti della Cronica e della personalità di Salimbene, le pagine 69-71 (paragrafo 8 del capitlo III) del I volume (Da Francesco d’Assisi a Girolamo Savonarola) della Storia della letteratura italiana di L. Russo (Firenze, 1957).

ADAM SALIMBENE, vedi ADAM OGNIBENE

ADAMANTI LUDOVICO
Parma XV-XVI secolo
Fu Dottore dei canoni a Parma nel secolo XV.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Catalogo de’ dottori di Parma. Appendice, 27; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 267.

ADAMI GUIDO, vedi ADAM GUIDO

ADAMI ROMUALDO
novembre 1914-Noceto 14 ottobre 1986
Figlio di Francesco. Alpino caporale maggiore della gloriosa Julia, combattè sul fronte greco-albanese, dove fu fatto prigioniero. Succesúsivamente partecipò alla campagna di Russia, e nella battaglia di Nikolajewka del gennaio 1943 per rompere l’accerchiamento nemico, l’Adami si meritò la medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: In aspro combattimento, caduto il comandante di plotone si metteva alla testa degli elementi più avanzati e, con pronta decisione, li guidava all’assalto di munita posizione nemica, riuscendo a conquistarla. Contrattaccato, manteneva la posizione dopo aver ricacciato in lotta corpo a corpo il nemico, cui infliggeva gravi perdite. Già distintosi in precedenti azioni per ardimento, coraggio e noncuranza del pericolo. Nel dopoguerra, l’Adami, che era di origine montanara, si ritrovò piccolo agricoltore sul podere I Casoni a Sanguinaro di Noceto.
FONTI E BIBL.: G.M., in Gazzetta di Parma 15 ottobre 1986, 18.

ADANI ARTURO
Traversetolo 20 marzo 1910-
Figlio di Giuseppe e di Maria Ferrari, fu decorato con medaglia d’argento al valor militare, con la seguente motivazione: Lanciafiamme, benché ferito al braccio sinistro da pallottola, proseguiva col suo pesante apparecchio verso le linee nemiche; avuto in seguito l’apparecchio inutilizzato, volontariamente si univa ai fucilieri e con essi continuava nella lotta finché non fu ferito una seconda volta (Passo dell’Escudo, 14, 15 e16 agosto 1937).
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Eroismo dei legionari, 1940.

ADANI GIOVANNI
San Martino Sinzano-Parma 3 giugno 1695
Di lui si legge nel libro dei giustiziati della Compagnia di San Giovanni Decollato, in data 3 giugno 1695: È stato tirato a coda di cavallo et al piede della forca gli è stata tagliata la mano destra dal carnefice dal quale poscia è stato impiccato in pubblica piazza e in detto giorno è stato seppellito con la mano recisa nella solita sepoltura. Costui, soldato di fortuna alla porta di S. Francesco è stato giustiziato per aver ammazzato nel letto un soldato suo compagno per levargli i denari e poi seppellito in un orto.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario dei Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 11 gennaio 1960, 3.

ADANI RENZO
Felino-Sala Baganza 8 aprile 1945
Fu valoroso partigiano, col nome di battaglia Barba.
FONTI E BIBL.: Ufficio toponomastica del Comune di Felino.

ADEGARI ROBERTO
Parma 1224
Fu Giudice del Podestà di Parma nell’anno 1224.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 8.

ADELBERTO
Parma IX secolo
È considerato il capostipite della scuola notarile parmense del IX secolo, cresciuta all’ombra dell’episcopio.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 55.

ADELFO FIDENTINO, vedi FOSCHIERI GIOSEFFANTONIO

ADEODATO
-Parma 960 o 962
Undicesimo dei vescovi parmensi. Succedette a Sigifredo I nell’anno 946, regnante il pontefice Agapito II. Nel 952 intervenne alla dieta di Augusta, e morì, secondo il Cherbi, (Le grandi Epoche Parmensi) nell’anno 962.
FONTI E BIBL.: G. Negri, Biografia Universale, 1842, 3; G.M. Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, 1856, 53-55; N. Pelicelli, I vescovi della Chiesa parmense, 1936, 85-92.

ADEODATO DA BIANCONESE
Bianconese 949
Notaio attivo in Parma nell’anno 949.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 9

ADEODATO DA PARMA, vedi LABBADINI BENEDETTO

ADIGERI UGOLINO
Parma ante 1332-post 1348
Scolaro in Padova, nel 1332 fu Vescovo di Cremona. Viveva nel 1348.
FONTI E BIBL.: Gloria, Monumenti, I, 493; Pico, Catalogo de’ dottori di Parma; Caetani, Dizionario bio-bibliografico, 1924, 297; M. De Meo, in Gazzetta di Parma 6 ottobre 1997, 5.

ADIGHERO
Parma 1307
Fu Anziano dell’Arte della Lana di Parma nell’anno 1307.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 9.

ADO
Parma 1053/1096
Fu chierico e prevosto della Chiesa di Parma dal 1053 al 1096.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 9.

ADOBATO
Parma 1183
Giudice, fu Nunzio della città di Parma per giurare e accettare la Pace di Costanza (25 maggio 1183).
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 144.

ADONE
Parma1058/1068
Fu diacono e preposto del Capitolo della Chiesa di Parma dal 1058 al 1068.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 9.

ADORNI AMONASRO
Parma 21 maggio 1902-Parma 10 aprile 1977
Tenore, debuttò il 14 novembre 1929 al Teatro Reinach di Parma come Arturo nella Lucia. Il Corriere Emiliano scrisse: Se l’è cavata con onore A. A. un tenorino principiante dalla voce ben timbrata e simpatica. La carriera si svolse come comprimario in un gran numero di opere e di teatri. In mancanza di contratti, faceva parte del coro e dava lezioni di canto.
FONTI E BIBL.: Leoni; G.N. Vetro, Reinach, 532, 546; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.


ADORNI ANGELO
Parma 19 febbraio 1890
Nel 1859 fu soldato del 10° Reggimento Regina. Nel 1860 prese parte alla spedizione dei Mille, nel 1861 fece la campagna contro il brigantaggio e nel 1866 combatté nel Tirolo, ancora nelle file garibaldine. Prese pure parte alla campagna dei Vosgi nel 1870.

FONTI E BIBL.: Il Presente 20 febbraio 1890, n. 6; G. Sitti, il Risorgimento italiano, 1915, 397.

ADORNI ANGELO
Parma 12 aprile 1875-Roma 12 febbraio 1963
Figlio di Giovanni e di Angela Massari. Generale, decorato di medaglia d’argento al valor militare, fu combattente in aspre battaglie nella foresta somala, sul Gebel Cirenaico, sui monti del Trentino e della Macedonia Serba e, infine, nell’ultima disperata difesa di Gondar. Il 27 novembre 1892, realizzando un sogno lungamente accarezzato nella sua prima giovinezza, l’Adorni entrò come volontario al 28° Reggimento Fanteria, con ferma di cinque anni. Dopo una lunga e faticosa trafila, nel 1899 fu promosso sottotenente e iniziò la vita di guarnigione. Il 23 agosto 1904, in Catania, il Ministero dell’Interno gli conferì l’attestato di pubblica benemerenza per aver salvato, con l’aiuto di altre persone, cinque operai travolti da una frana ancora pericolante. Nel 1896 chiese invano di andare volontario in Africa con lo scaglione del 28° Fanteria. Solo il 4 ottobre 1904, con l’imbarco a Napoli, iniziò la pluridecennale avventura dell’Adorni in Africa, spesso illuminata da sprazzi di vera gloria. A Danàne il 9 e 10 febbraio 1907 duecento Ascari con l’Adorni e i tenenti Taramaso, Pesenti e Hercolani-Gaddi furono assaliti da oltre duemila Somali. Nell’impossibilità di comunicare e di ricevere rinforzi dalle basi, l’esigua colonna si rafforzò in una zeriba e diede luogo a una epica difesa. Pesenti fu gravemente ferito al collo, l’attendente dell’Adorni e il suo muletto furono fulminati dal veleno di due frecce, ma la resistenza si protrasse per due giorni, fino a quando i Somali abbandonaronno il campo. L’Adorni si dedicò allora alla riorganizzazione del reparto e alla cura dei feriti e salvò la vita a Pesenti. Per questo episodio l’Adorni ricevette la medaglia d’argento al valor militare. Questa la motivazione: Dette prova di singolare coraggio e sangue freddo, animando colla voce e con l’esempio le truppe, fino ad ottenere vittoria sul numero soverchiante di nemici nel combattimento notturno avvenuto dal 9 al 10 febbraio 1907, con bande del Benadir (Somalia Italiana). L’Adorni combatté ancora a Dongab (2 marzo 1908), a Mellet (11-12 luglio 1908) e a Merere (30 agosto 1908). All’Adorni venne conferita la croce al valore militare con la seguente motivazione: In due successivi combattimenti contro un forte nucleo di ribelli armati di fucile, di lance e frecce, con coraggio, calma e sangue freddo conduceva all’assalto dei trinceramenti nemici i propri reparti, che per la prima volta si trovavano contro un avversario provvisto d’armi da fuoco, guidato da capi esperti ed abilmente appostato dietro ottimi ripari (Dongab, 7 marzo 1908). Dopo una parentesi di due anni durante i quali l’Adorni fu capo dell’ufficio politico della piazza di Tobruk, fu inviato con la sua compagnia, la 4a del 61° Reggimento Fanteria, sulle pendici del Monte Mascio, alla destra di Cima Palone. Il 13 dicembre 1915 da uno shrapnel si abbatté violenta sulla compagnia una grandinata di pallette di piombo che seminarono morte e ferite. L’Adorni ebbe un piede frantumato. Non appena guarito fu inviato al comando del Quartier generale del XXVII Corpo d’Armata ove lo raggiunse la promozione a Maggiore. Fu poi Comandante del III Battaglione del 62° Reggimento fanteria, sulle posizioni di quota 1050 nella Macedonia Serba. Nell’agosto 1917 assunse a Mogadisco il comando del Regio Corpo truppe coloniali della Somalia. Per cinque anni svolse un complesso lavoro politico e organizzativo, tra difficoltà di ogni genere. Nel 1922 raggiunse a Parma il 62° Reggimento Fanteria. Nel 1927 venne collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Nel maggio del 1939, l’Adorni, col grado di Colonnello e alla rispettabile età di 64 anni si imbarcò a Napoli diretto in Africa Orientale, chiamatovi per cooperare alla organizzazione dell’Impero coloniale di recente conquista. Il 15 settembre 1941 gli venne ufficialmente comunicata la promozione, per merito di guerra, a Generale di Brigata. Il 27 novembre 1941 il Campo trincerato di Gondar, ormai senza munizioni né viveri, fu sommerso dalle forze nemiche, e l’Adorni fu fatto prigioniero. Riottenne la libertà solo nell’ottobre 1945.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’Impero, 1937, 187; G. Liberti, in Gazzetta di Parma 12 febbraio 1964, 3; M. Bonati, Vittorio Bottego, 1997, 252.

ADORNI ANNA MARIA CAROLINA
Fivizzano 19 giugno 1805-Parma 7 febbraio 1893
Nacque da Matteo e da Antonia Zanetti, ricevendo nel battesimo i nomi di Anna, Maria, Carolina, Emilia. Fin dall’infanzia, cristianamente allevata dai pii genitori, diede notevoli prove delle sue egregie disposizioni, dimostrate tra l’altro quando ad appena sette anni, imitando la riformatrice del Carmelo, fece il tentativo di fuggire dalla casa paterna con una piccola amica per andare a convertire gli infedeli. Morto il padre nel 1820 e ridotta la famiglia in povertà, si recò con la madre a Parma, dove assunse l’incarico dell’educazione delle figlie della famiglia Ortalli. Malgrado si sentisse attratta dalla vita religiosa, il 19 ottobre 1826 si unì in matrimonio con Antonio Domenico Botti, impiegato presso la Corte ducale, per aderire al consiglio della madre e del proprio direttore spirituale. Da questa unione nacquero sei figli, che l’Adorni riuscì ad allevare tutti cristianamente. Nel 1844, dopo breve malattia, le morì il marito. Rimase vedova con cinque figli e una pensione ridotta a 433 lire e 35 centesimi all’anno. Fu come cadere dall’agiatezza nella povertà. Avrebbe desiderato entrare in un istituto religioso ma ne fu trattenuta dal suo confessore. Intanto cominciò a visitare le carceri, su consiglio del monaco benedettino Attiliano Oliveros, seguita e accompagnata in questa opera benefica da altre pie donne. Ne parlò alla nobildonna Teresa Botteri Lusardi, e insieme si recarono presso le famiglie distinte della città a sollecitare un’opera di misericordia tanto grande: visitare le carcerate, istruirle nella dottrina cristiana, condurle al ravvedimento. Sorse così, nel 1847, la Società di pie Signore per l’assistenza spirituale delle detenute, approvata con decreto di Maria Luigia d’Austria del 27 luglio di quell’anno. È un caso di volontariato organizzato, che fu accolto con gratitudine dalle autorità, e che continuò facendo del bene fino all’avvento del Regno d’Italia. Nel 1860 fu interdetta la visita al carcere sia alla Adorni che alle visitatrici. Ma qualche anno dopo l’attività fu ripresa per richiesta delle detenute e della stessa direzione del carcere. Per completare l’opera intrapresa, l’Adorni radunò le donne dimesse dal carcere per evitare loro ricadute. A vigilare sulle detenute trovò la maestra d’asilo Pietrina Bergamaschi, che poi rimase sempre con lei. L’Adorni vi si recava ogni giorno, passandovi il pomeriggio e parte della sera, dopo essersi recata al mattino nelle prigioni. Questo ritmo dovette interrompersi per qualche mese, nel 1850, per la malattia e la morte del figlioletto Guido di dieci anni. Il fratellino Alberto era pure morto, decenne, nel 1847. L’Adorni restava con il figlio Leopoldo e la figlioletta Celestina, di sette anni, che morì qualche anno dopo, a tredici anni. Le richieste di ricovero di ex carcerate si fecero più urgenti, e fu necessaria una casa più ampia. L’Adorni chiese al Podestà di Parma l’uso del convento di Sant’Antonio, ma non le fu concesso. Allora si decise a prendere in affitto una casa più ampia in borgo della Canadella. Furono accolte sette o otto ex detenute, a partire dal novembre 1852. Nel frattempo, per iniziativa di Giacomo Lombardini, Vicario capitolare della Diocesi, fu ottenuta dal duca Carlo di Borbone, in data 7 giugno 1853, l’autorizzazione a istituire una Casa di ricovero e di educazione per le femmine ravvedute. Dopo qualche tempo, l’Adorni decise di trasferirsi in quella casa con la figlia. La casa ebbe il nome di Conservatorio, ossia istituto di educazione, ma ben presto se ne venne a conoscere la vera identità: una casa di riabilitazione per ex carcerate ed ex prostitute. Si levarono critiche da ogni parte. Ma in breve la fama delle trasformazioni avvenute in quella casa si diffuse per la città, e le critiche si mutarono in elogi. Da questi inizi prese la sua caratteristica fisionomia l’Istituto del Buon Pastore, fondato con regole proprie dalla Adorni a Parma nel 1857, a somiglianza di quello omonimo di Angers, fondato da Eufrasia Pelletier. Per assicurare perpetuità e provvido governo all’Istituzione l’Adorni fondò pure le Ancelle dell’Immacolata Concezione con il compito specifico di impartire una cristiana educazione alle fanciulle, di preferenza povere e pericolanti. Già sulla fine d’aprile del 1854, l’Adorni si era recata dalla duchessa Luisa Maria di Borbone, divenuta Reggente per il figlio Roberto, dopo che Carlo di Borbone era stato ucciso il 26 marzo di quell’anno. Le aveva chiesto anzitutto di autorizzare la fondazione di una Istituzione religiosa che attendesse alla cura e rieducazione delle ravvedute. Le aveva chiesto poi l’ex convento di San Cristoforo, perché la casa della Canadella non bastava più. Il convento le era stato concesso ma rimase in un primo tempo occupato dai militari e poi adibito a lazzaretto per l’epidemia di colera che afflisse Parma a partire dal luglio 1855. Solo nel gennaio 1856 le erano state date le chiavi. Alla ristrutturazione pensò l’abate benedettino Gianbenedetto Bottamini. Il locale fu diviso in tre reparti: uno per le suore, uno per le ravvedute e uno per la bambine. Vi entrarono sette giovani ex carcerate e nove orfane. Il primo maggio 1857 vi entrarono anche le prime sette giovani desiderose di seguire l’Adorni nel suo spirito e nella sua opera: In questo giorno, primo maggio (scrisse l’Adorni) si diede principio alla Congregazione religiosa, con otto individui per sostenere questa santa istituzione. La Congregazione dell’Adorni non ebbe l’approvazione definitiva da parte del Vescovo se non il 28 gennaio 1893, quasi alla vigilia della morte della Adorni. Nel 1859, appena dopo l’annessione di Parma al Regno d’Italia, si rese necessario un ambiente per stanziarvi le truppe governative che affluivano dal Piemonte e dalle altre regioni del Regno. Il Governatore decise di requisire il convento di San Cristoforo. L’Adorni e il Vescovo si adoperarono per scongiurare la requisizione che avrebbe gettato sulla strada le orfane e le rieducande. Si arrivò a un compromesso: metà del convento fu adibita a caserma e metà lasciata all’Adorni. Le truppe lasciarono il Convento nel 1863. L’anno seguente il Governo ridiede il permesso alle dame visitatrici di riprendere l’opera di volontariato e istituì una Commissione che ne regolasse l’attività: vi fecero parte due suore dell’Adorni. Nello stesso anno fu eretto presso il carcere di Sant’Elisabetta un ospizio per prostitute ammalate di sifilide: l’Adorni e le sue Ancelle continuarono le visite a queste malate come avevano già fatto nel reparto esistente antecedentemente nelle carceri. Nel 1867 scoppiò di nuovo il colera a Parma, e il Comune intimò all’Adorni di sgomberare l’edificio di San Cristoforo, da adibire a lazzaretto, nello spazio di tre giorni. Alle angustie di quei momenti, si fece incontro Mattia Ortalli, che offrì una sua villa in zona San Lazzaro. Qui, per oltre due anni, l’Adorni ebbe occasione di esercitare la sua carità in modi talvolta nuovi, come per esempio l’insegnamento del catechismo e la preparazione alla prima comunione dei bambini o come la visita e l’assistenza ai malati, specie a quelli terminali, portandoli spesso alla conversione e ai sacramenti. Non mancò di interessarsi delle fanciulle della parrocchia, organizzando per loro corsi di economia domestica: di cucito, di ricamo, ecc. Il 15 dicembre 1869 l’Adorni e le sue Ancelle rientrarono in San Cristoforo, ridotto ancora una volta in condizioni disastrose. Finché ebbe forze l’Adorni non si risparmiò. Verso i 70 anni iniziò una artrosi che le deformò le mani e le rese difficile reggersi a lungo in piedi. Si aggiunse poi una progressiva obesità dovuta a disfunzioni delle ghiandole endocrine. Cominciò ad uscire raramente di casa, e finalmente fu ridotta al seggiolone. Nel gennaio 1893 fu colpita da apoplessia con paralisi al lato sinistro, che ne causò infine la morte. In base alla fama di santità, furono fatti da monsignor Evasio Colli, vescovo di Parma, i processi ordinari nel 1940. La causa fu introdotta l’11 gennaio 1952. La Chiesa l’ha proclamata Venerabile il 6 febbraio 1978 e si appresta a elevarla agli onori degli Altari.
FONTI E BIBL.: AAS XLIV 1952, 636; R. Simonazzi, Un Apostolo di Carità. La Serva di Dio Anna Maria Adorni, Parma, 1939; S. Mattei, in Enciclopedia Cattolica, I, 1949, col. 325; F. Baumann, in LThK, I, Friburgo, 1957, col. 157; Raimondo della Purificazione, in Bibliotheca Sanctorum, I, 1961, 266; Dizionario Ecclesiastico, III, 1958, 1411; R. Simonazzi, La vita e le opere di Anna Maria Adorni, Parma, 1894; R. Cioni, Anna Maria Adorni, fondatrice delle Ancelle dell’Immacolata e dell’Istituto del Buon Pastore di Parma, Parma, 1953; D.M. Montagna, in Dizionario Istituti di Perfezione, I, 1974, 125; R. Lecchini, Suor Maria Eletta, 1984; A. Luca, in Gazzetta di Parma 6 febbraio 1986; T. Marcheselli, Strade di Parma, I, 1988, 11; Grandi di Parma, 1991, 6; M. Montani, in Gazzetta di Parma 7 febbraio 1992, 5; A. Luca, Far rifiorire la speranza. Anna Maria Adorni, 1982; P. Bonardi-U. Delsante, Anna Maria Adorni e il suo tempo, 1993; M.P. Cesareo, Anna Maria Adorni e l’Istituto Buon Pastore in Parma. La rieducazione delle ragazze traviate, tesi di laurea, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1952; Parmensis Beatificationis et Canoúúnizationis Servae Dei Annae Mariae Adorni, Fundatricis Congregationis Ancillarum Beatissimae Mariae Immaculate, necnon Parmensis Instituti a Bono Pastore - Processus Ordinarii Positio et Sumúmarium, Roma, 1970; A.M. Adorni, Al servizio dei più deboli. Scritti spirituali, a cura di Damiana Passarotti, Città Nuova, Roma, 1983; M. Macúchiavelli Verdelli, Anna Maria Adorni e le città di Parma, Istituto di Scienze Religiose S. Ilario di Poitiers, Parma, 1992-1993; M. Longhi Mazza, Madre Adorni e il volontariato ecclesiale nella seconda metà dell’Ottocento, Istituto superiore di Scienze religiose Santi Vitale e Agricola, Bologna, 1993; F. Magnani, Anna Maria Adorni. Vita e opere, Istituto di Scienze religiose Nicolò V, La Spezia, 1993; A. Bussoni, I cento anni del Buon Pastore, in Gazzetta di Parma; M. Montani, Aperte dal Vescovo le celebrazioni nel centenario della morte. Madre Adorni, eroina tra i miserabili, in Gazzetta di Parma; M. Montani, L’opera di Madre Adorni, in Gazzetta di Parma; M. Montani, Madre Maria Adorni, a cent’anni della morte. Quando il carcere è terra di missione, in Gazzetta di Parma; P. Bonardi-U. Delsante, Anna Maria Adorni e il suo tempo, Parma, 1994; Anna Maria Adorni, 1994, 23-38; Gazzetta di Parma 6 febbraio 1999, 13.

ADORNI CAROLINA, vedi ADORNI ANNA MARIA CAROLINA

ADORNI CIRILLO
Ozzano 1827-Parma 5 agosto 1854
Guardia di finanza, partecipò, secondo alcuni suoi accusatori, alla congiura contro Carlo di Borbone, e fu uno dei sicari. Avendo preso parte al moto del 22 luglio 1854, fu arrestato e, perché armato di carabina e cinto di fascia rossa sottoposto al Consiglio di guerra e condannato a morte. Fu fucilato il 5 agosto 1854.
FONTI E BIBL.: G. Scaramella, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1930; Ercole, Martiri, 1939, 15.

ADORNI ENRICO
Parma 4 luglio 1806-Parma 18 maggio 1858
Figlio di Giuseppe. Laureatosi in legge, esercitò il notariato in patria, guadagnandosi ben presto la stima e la considerazione dei suoi concittadini, tanto da essere eletto, durante la rivoluzione del 1848 e dopo la cacciata del duca di Modena, membro del consiglio degli Anziani. L’Adorni ebbe buona cultura storico-antiquaria e letteraria, fece parte di numerose accademie e fu amico di noti letterati del tempo a cominciare da Tommaso Grossi (ma fu anche in relazioni epistolari col conte Jacopo Sanvitale, con l’abate Luigi Manuzzi e con Angelo Pezzana). Letterato di buona vena, l’Adorni scrisse molti versi di occasione e prose di circostanza come Per Fanny Cerrito in Parma, Parma, 1844, Ricordanze intorno ai meriti e la persona di Nicola Pellegrini notaio parmense, Milano, 1846, Notizie intorno a Luigi Raballia avvocato, Parma, 1857. Scrisse anche alcuni studi epigrafici: Saggio d’iscrizioni, Milano, 1846, Iscrizioni, Parma, 1848, Altre iscrizioni, Parma, 1851, Nuove iscrizioni, Parma, 1857. Dalla sua esperienza professionale trasse spunto per un libretto che ebbe una certa fortuna e gli guadagnò anche le lodi di Tommaso Grossi: Il notaio, Parma 1842, un rapido compendio di storia e diritto notarile contenente anche dei consigli sulla lingua da usare nella redazione degli atti.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri e benemeriti, Genova 1877, 2; S. Lottici-G. Sitti, Bibliografia generale per la storia parmigiana, Parma, 1904, nn. 4815-4818; G. Micheli, Una lettera di Angelo Pezzana a Enrico Adorni, Parma, 1926; Il Notariato, 1961, 6.


ADORNI FRANCESCO
Parma 1627
Pittore attivo nella prima metà del secolo XVII. Allievo di G. Lanfranco, avrebbe dipinto, secondo il Sanseverino, nella chiesa poi soppressa di Santa Caterina, un Sacrificio e una Santa Marta moribonda. Nel 1627, secondo memorie manoscritte del Sanseverino, riportate da E. Scarabelli Zunti, un Adorni senza indicazione del nome avrebbe fatto lavori di decorazioni pittoriche per le feste in occasione del matrimonio tra Margherita de’ Medici e Odoardo Farnese. E il Buttigli specifica che l’Adorno, alunno del cavalier Lanfranchi, aveva, nel mezzo della facciata del Duomo, dipinto a bronzo quando Papa Pasquale II consacrò il Duomo con una comitiva di Vescovi.
FONTI E BIBL.: Parma, Museo Nazionale di Antichità ms. 12, E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1601-1650, 6; M. Buttigli, Descrizione dell’apparato per le nozze di Odoardo Farnese, Parma, 1628; A. Sanseverino, Il Parmigiano istruito, parte II, Casalmaggiore, 1778, 148; P. Zani, Enciclopedia metodica delle Belle Arti, I, Parma 1819, 310; M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma, II, Parma 1856, 193; U. Thieme-F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, I, 88-89; A. Ghidiglia Quintavalle, in Dizionario biografico degli Italiani, I, 1960, 285.

ADORNI FRANCESCO
Parma 31 luglio 1606-Bologna 16 settembre 1688
Gesuita, fu professore, e poi rettore nel Collegio dei Nobili di Parma dal 12 agosto 1646 al febbraio 1650.
FONTI E BIBL.: Sommervogel, Bibliographie de la Compagnie de Jésus, parte I, t. I, col 55; t. VIII, suppl. colonna 1571; L. Caetani, Dizionario Bio-Biblioúgraúfico, 1924, 354.

ADORNI FRANCESCO
Parma 1681/1741
Intagliatore in legno, del quale si conosce la seguente attività: 1681-1690 credenzone nella Parrocchiale di Sant’Ilario Baganza, in collaborazione col falegname Cristiano Sani; 1710 intagli al Lotto di fortuna eretto per il Carnevale, in collaborazione con l’intagliatore Alessandro Manzi; 1719-1720 quattro confessionali in Steccata, in collaborazione col falegname Francesco Sovrani, ambientati dall’architetto Pietro Abbati; commissione per un piccolo Pulpito portatile; 1727 saldo del catafalco per il duca Francesco Farnese; 1741 pagamento per una impugnatura da spada stragrande e cinque scettri occorsi nel catafalco per l’Imperatore Carlo VI.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. VII, p. 1; L. Testi, 1922, 216 nota 62; Santangelo, 1934, 225; Scheda ds. in Soprintendenza Beni Artistici e Storici di Parma, S. Ilario Baganza; U. Thieme-F. Becker; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 329; Il Mobile a Parma, 1983, 256.

ADORNI GIOVANNI
Parma 1627
Mastro lignario. Insieme con Giovan Francesco Frambati fu chiamato, nell’occasione delle nozze tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, per ornare la facciata del Duomo di Parma di assi e altre sorte di legname lavorati, su disegno dell’architetto Giovan Battista Magnani.
FONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 253.

ADORNI GIOVANNI
Felino 1806-Parma 14 ottobre 1877
A quindici anni fu mandato alle scuole in Parma. Nel 1829 scrisse intorno alle scuole domenicali, e, poco dopo, pubblicò i libri intitolati Guida ai giovinetti, Vita del conte Stefano Sanvitale, e vari opuscoli e articoli di educazione, di economia, di critica e di filologia. Nel 1831 fu, con Macedonio Melloni e altri, tra i venti aggiunti al Consesso Civico di Parma. A trentacinque anni fu colpito da una grave malattia che per tre anni lo tenne nella impossibilità di darsi ad ogni benché piccola occupazione. In seguito si riebbe, e fondò il giornale La Lettura (Parma, 1843-1844), mensile di argomento letterario. Iniziò poi la compilazione della Strenna, periodico che, col pretesto della letteratura, diffondeva idee e principii di patria indipendenza. Venne allora in sospetto al governo di Carlo di Borbone, che gli tolse l’impiego di professore di belle lettere della Scuola militare e gli vietò di esercitare l’insegnamento. Intraprese allora con due soci, gli operai Demetrio e Carlo Ferrari (legatori di libri), un piccolo commercio di libri e un laboratorio di rilegatura. Nel 1855 l’Adorni fu nominato dalla reggente Luisa Maria di Berry professore di alta eloquenza nell’Università di Parma, ma vi rinunziò nell’anno 1859: fondò e diresse L’annotatore (Parma, 1857 - 31 marzo 1860) che il Bocchia giudica organo molto grave e cattedratico, dei liberali dottrinarii. Qualche collaborazione diede anche ad altri giornali e in particolare alla Gazzetta di Parma e alla Sveglia cittadina di Caserta. Instaurato il governo nazionale, venne scelto quale Direttore della tipografia governativa, nominato Ispettore scolastico di prima classe, e chiamato a dirigere la nascente Scuola Normale Femminile di Parma. Nella sua qualità di Direttore della Tipografia del Governo, il 1° gennaio 1861 gli fu affidata la direzione (in effetti solo formale) della Gazzetta di Parma. Costituì in Parma una Società per la distribuzione di libri ai fanciulli poveri, e un’altra per redimere i pegni dal Monte di Pietà. Iniziò inoltre una società di patronato per i figli dei poveri, fu membro e quindi presidente della Camera di Comúmercio, promosse e presiedette nel 1864 l’esposizione industriale. Morì a 71 anni per una crisi cardiaca.
FONTI E BIBL.: Cenno Necrologico, in Gazzetta di Parma 16 ottobre 1877, n. 280; A. Bellentani, in Sveglia Cittadina, 4 febbraio 1877; D’Ayala, Bibliografia militare, 218; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Appendice, Parma, 1880, 13-18; A. Bellentani, Lettera a G.A. Franceschi intorno a Giovanni Adorni suo amico, Napoli, 1869, 8; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 397; L. Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 329 e 359; E. Bocchia, Giornali Parmensi prima del 1860, in Aurea Parma, a. X (1926); G. Scaramella, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1930; G. Mariotti, L’università di Parma e i moti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi, s. 2°, vol. 33°, 1933, 67; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 21; L. Gambara, Le ville parmensi, Parma, 1966, 292; M. De Grazia, Lettera di Carlo III, in Archivio Storico per le Province Parmensi, 1969, 258; Parma, vicende e protagonisti, 1978, II, 192; Storia del Giornalismo, VIII, 1980, 426.

ADORNI GIROLAMO
Parma-Parma 1649
Fu Legista dell’Università di Parma. Nell’Archivio di Stato di Parma (in Mandati 1631-1658) è ricordato nel Luglio 1641 come Lettore d’Instituta. Continuò nell’insegnamento fino al 1649.
FONTI E BIBL.: F. Rizzi, Professori, 1953, 157.

ADORNI GISELLA 
Parma 7 marzo 1878-Bologna 16 gennaio 1967
Corista e comprimaria. Suo padre, suo nonno, i suoi fratelli Augusto (chiamato il re dei coristi) e Roberto, sua sorella Gemma erano tutti coristi. L’Adorni debuttò a quindici anni nei cori di Traviata e di Faust, ma soltanto più tardi, durante una prova in cui teneva lo spartito alla rovescia, i suoi compagni e i maestri si accorsero che non conosceva nemmeno le note e che tutta la sua perfetta intonazione era dovuta all’orecchio finissimo. Istruita dai maestri di canto e apprese le nozioni musicali, nel 1906 l’Adorni si staccò di colpo dalle masse corali per balzare in primo piano: si era ammalata la cantante che ricopriva il ruolo di Loia nella Cavalleria rusticana e il maestro Mugnone propose l’Adorni a sostituirla poche ore prima dell’andata in scena. L’Adorni, notata non solo per la sua straordinaria voce, ma anche per la sua bellezza, ebbe calorosissimi applausi al Teatro Regio di Parma. Per lei cominciò una lunga carriera di corista e comprimaria che per cinquant’anni l’avrebbe portata per tutti i maggiori teatri lirici del mondo, sotto la direzione dei più eccelsi maestri, tra i quali anche Cleofonte Campanini e Arturo Toscanini. Per ben ventiquattro volte l’Adorni attraversò l’oceano per partecipare a mesi di spettacoli lirici nell’America del Nord e del Sud, al Metropoúlitan di New York, al Colon di Buenos Aires (1910 e 1914), a Chicago, a San Francisco, con compagni di viaggio illustri come Caruso, Pertile, Caleffi, Toti Dal Monte, Maria Caniglia, Gino Bechi e la Tetrazzini. In Europa non si contano le sue tournée. In Italia cantò nelle maggiori città: alla Pergola di Firenze, alla Scala di Milano, al Carlo Felice di Genova (1913 e 1914) sotto il maestro Gaetano Bavagnoli, al San Carlo di Napoli. L’Adorni conobbe Arturo Toscanini nel primo decennio del secolo, durante una audizione alla Scala per una comprimaria. Da allora, Toscanini la volle con sé per numerosi altri spettacoli, comprese le celebrazioni verdiane a Busseto nel 1913, per l’arco di circa vent’anni. Al rientro in Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale, Toscanini fu intervistato da un giornale di Torino e disse, tra l’altro: Portai per il mondo Gisella Adorni, la principessa delle comprimarie. La carriera artistica dell’Adorni: si concluse nel 1946, quando la cantante aveva già sessantotto anni, a Rimini dove per l’ultima volta impersonò Madlon in Andrea Chénier. Gli ultimi vent’anni, l’Adorni li visse a Bologna, in casa della figlia Elettra. Morì a causa di una crisi cardiaca.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 gennaio 1967, 4.

ADORNI GIUSEPPE
 Parma-13 novembre 1803
Figlio di Tommaso, fu dottore e poeta.
FONTI E BIBL.: L. Cicognara, Catalogo dei libri d’arte, n. 972; Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, II, 253; L. Caetani, Dizionario Bio-Biblioúgraúfico, 1924, 329.

Limido di San Vitale Baganza 17 gennaio 1774-Parma 26 maggio 1851
Nato da una famiglia non ricca e quindi fatto studiare a Parma da un parente, laureatosi in giurisprudenza nel 1797, l’Adorni conservò sempre un maggior interesse per la letteratura italiana e latina che per la giurisprudenza, dedicandosi all’insegnamento privato come prima occupazione. Richiamato in famiglia, per diversi anni tornò ad abitare a San Vitale. Fu consigliere comunale a Sala durante la dominazione francese e durante il ducato di Maria Luigia d’Austria. Ricoprì inoltre l’incarico di Ispettore delle scuole del Comune di Sala. Dal 1811 al 1833 fu segretario dell’Opera Parrocchiale di San Bartolomeo a Parma. A quarant’anni venne chiamato a dirigere la Gazzetta di Parma (26 agosto 1814, cinque mesi dopo che i Francesi avevano lasciato definitivamente la città e al Giornale del Taro era stata sostituita la vecchia testata): evidentemente il brusco passaggio dalla caduta del governo francese all’entrata degli Austriaci in Parma aveva richiesto, oltre al nome, un cambio anche alla direzione, fin allora retta da Domenico Rossetti. Quando il conte Filippo Francesco Magawli-Cerati gli conferì il privilegio esclusivo di compilare la Gazzetta nel 1814, l’Adorni era già da gran tempo, del resto, correttore di bozze della tipografia Carmignani. Abbandonò definitivamente l’incarico alla Gazzetta di Parma nell’ottobre del 1820 perché venne chiamato alla Cattedra di Poetica della Facoltà filosofica della ducale Università di Parma. Nello stesso tempo gli venne affidata anche l’ispezione delle scuole del Ducato e la censura dei libri scolastici. Durante la carriera accademica (1820-1849) pubblicò numerose opere in cui spicca particolarmente il suo interesse verso le traduzioni sia dallo spagnolo (Colomba di Fille di Melendez Valdes e Favole letterarie di Tomaso de Yriarte) che dal latino. Soprattutto rilevanti sono le sue traduzioni italiane in poesia della prima e quarta Egloga di Virgilio e della Chioma di Berenice di Catullo, in cui appare con evidenza la passione e l’amore per la letteratura greco-romana. Fu inoltre attento correttore degli scritti di Zani. E non è un caso, quindi, che durante la sua direzione sia più regolare e articolata la presenza della cultura classica e del mondo antico nella Gazzetta di Parma, che proprio in quegli anni sembrò assumere anche a Parma, sia pure effimeramente, quel profondo e vivo significato civico, e non solo antiquario e collezionistico, proposto dalla cultura europea del primo Ottocento. L’Adorni scrisse le parole per L’addio della sposa alle sorelle, la prima delle due cantate musicate da Ferdinando Simonis in occasione delle faustissime nozze della signora M. Marianna Boscoli col signore M. Giacomo Zambeccari (Parma, 1813).
FONTI E BIBL.: Strenna Parmense, 1842, 179; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova, 1877, 483-485 (la biografia è scritta da Giovanni Adorni); F. Rizzi, I Professori dell’Università di Parma attraverso i secoli, Parma, 1953, 120; P. Bonardi, Sala Baganza: cronache del passato, Parma 1979, 14, 124, 125, 127 e 137; Archivio Parrocchiale di San Bartolomeo (Parma), Deliberazioni dell’Opera Parrocchiale di San Bartolomeo (1811-1833); Caetani, Dizionario Bio-Bibliografico, 1924, 329; Parma. Vicende e protagonisti, 1978, II, 191; Per la Val Baganza 5 1981, 80; Arrigoni, Lettere di Pietro de Lama, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 349; Aurea Parma 2 1991, 127-129.

ADORNI GIUSEPPE
Parma 1873 c.-1948 c.
Comprimario e corista, è così definito dal Sacchi: Celebre tra tutti i coristi, uscito da una famiglia di coristi e comprimari, un uomo ignorantissimo, che non sapeva né leggere né scrivere, ma formidabile nel suo mestiere, ferrato nelle partiture più di un direttore d’orchestra. Faceva anche Marullo e il messaggero nell’Aida. Andava a fare stagioni d’opera persino in America: aveva traversato 28 volte l’oceano. A Parma lo chiamavano il Bersagliere. Seguitò a cantare sino al 1947, cioè a 74 anni. E quando l’anno seguente smise definitivamente di cantare, subito morì.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

ADORNI IGNAZIO
Parma 29 maggio 1820-San Remo 20 marzo 1903
Generale. Cadetto di Linea nelle truppe Parmensi dal 16 dicembre 1839, fu promosso sottotenente il 16 ottobre 1841, tenente il 1° marzo 1845, capitano del 1° Battaglione di Linea del Governo provvisorio il 15 giugno 1848. In data 11 novembre 1848 passò al servizio dell’Esercito Sardo, dapprima al 23° di fanteria e poi, il 14 dicembre dello stesso anno, al 18° di fanteria, partecipando alle campagne del 1848 e 1849 contro l’Austria e distinguendosi nei fatti d’arme della Sforzesca e di Novara. Fece da Maggiore (nel 2° granatieri dal 15 agosto 1858, e nel 4° granatieri dal 1° novembre 1859) le campagne del 1859 e 1860, guadagnandosi la medaglia di bronzo all’attacco di Porto Farina e quella d’argento all’assedio di Capua. Fu promosso tenente colonnello comandante del 2° reggimento granatieri il 17 novembre 1860, e colonnello il 1° dicembre 1861. Nella campagna del 1866 ebbe col grado di colonnello, il comando della Brigata Calabria (3 maggio 1866). Lasciò il servizio attivo il 1° agosto 1871 e raggiunse il grado di Tenente Generale nella riserva nel 1893.
FONTI E BIBL.: D. Guerrini, Brigata Granatieri Sardegna, 1902, 772; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 397; Enciclopedia Militare, 1923, I, 126; M. Rosi, in Dizionario del Risorgimento Italiano, Milano, 1930; A. Ribera, Combattenti, 1943, 13-14.

ADORNI LORENZO
Parma 1635
Religioso, fu cantore della Cattedrale di Parma nel 1635.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

ADORNI MARIANO
Parma 1848
Fu membro del Governo provvisorio parmense del 1848.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indici, 1967, 10.

ADORNI MICHELE
Parma 1892
Giovanetto fu messo garzone presso l’antica tipografia Carmignani e in brevissimo tempo, animato da ferrea volontà, si fece uno dei migliori impressori d’allora. Sebbene fosse di un’età abbastanza matura, pure, anche come compositore, diede non dubbie prove di aver appreso l’arte sua. Dopo vari anni divenne proto, e anche in questa carica si dimostrò capacissimo. In seguito, nel 1871, per cessione degli antichi proprietari, rilevò per suo conto la vecchia tipografia. L’Adorni diede alla sua stampa un nuovo indirizzo, l’arricchì di uno svariato assortimento di nuovi caratteri e in posto dei torchi collocò macchine modernissime. Ben presto si videro gli effetti dell’impulso da lui dato alla sua officina nella larga clientela che seppe formarsi: in breve, da sei operai che occupava arrivò ad averne una quarantina. La tipografia Adorni fornì gli stampati alle principali e più importanti amministrazioni cittadine di Parma, e per la prontezza, nitidezza e perfetta esecuzione dei lavori fu citata come una specialista del genere. Pubblicò anche opere pregevoli, tra le quali merita una speciale menzione per il formato, la disposizione delle tabelle, l’intonazione dei caratteri (in puro elzevir) e l’esecuzione accurata della stampa, il volume del Ferrari sugli Spettacoli melodrammatici dati in Parma, e il Compendio di Analisi Chimica-Medica del Krukenberg, tradotto dal professor Gibertini, lavoro rimarchevole per la somma difficoltà nella composizione, e per la proprietà e nitidezza colle quali venne stampato.

FONTI E BIBL.: Bollettino del Museo Bodoniano 6 1992, 145.

ADORNI ODOARDO
Parma 11 aprile 1853-1926
Figlio di Pietro e di Maria Cavalca. Classico esempio di self-made-man, per cinquant’anni lavorò alla Gazzetta di Parma e per quasi un trentennio ne fu l’amministratore. Alla Gazzetta l’Adorni entrò all’età di nove anni, nel 1862, quando ancora il giornale aveva sede presso il vecchio Ponte Verde, nella Tipografia Ducale che fu di Bodoni, e direttore ne era Davide Rabbeno. Cominciò come garzone di tipografia, e poi fu prima apprendista, poi operaio compositore e proto. Per vari anni fu anche gerente responsabile del giornale e in tale veste dovette rispondere di una querela spiccata da Luigi Musini, il primo deputato socialista del Parmense. Nel 1894, sotto la direzione di Pellegrino Molossi, cui l’Adorni era legato da profonda e leale amicizia, fu nominato direttore amministrativo della Gazzetta la quale versava in quel tempo in cattive acque. L’Adorni, con un’amministrazione oculata e sagace, superò la grave crisi finanziaria e diede al giornale un solido assetto economico. Per ottenere questo risultato, in seguito fu uno dei promotori della costituzione della tipografia Adorni-Ugolotti che stampò la Gazzetta dal 1902 al 1923.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 9.

ADORNI PELLEGRINO, vedi ADORNI GIUSEPPE

ADORNI ULISSEParma 1942-1991
Maestro elementare, sceneggiatore e narratore, fu protagonista nelle vesti di assessore comunale di Parma di numerose battaglie a favore dei giovani. Ideò il premio di poesia Fabio Scovenna. In due volumi, il secondo dei quali intitolato Giovanen dal bastonsen (1985), raccolse e trascrisse, recuperandole attraverso gli anziani scovati nella Bassa o in qualche sperduto paese delle montagne del Parmense, una miniera di fole e di fiabe che venivano raccolte nelle aie o nelle notti invernali trascorse nelle stalle o accanto al camino.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 56.

ADORNO, vedi ADORNI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Teca Digitale Biblioteche del Comune di Parma - V.lo Santa Maria 5, 43125 Parma (PR)

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